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Un «filo» tra Milano e Cologno Monzese: Franco ... - poliscritture

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muoversi, del vedere soprattutto), di dipendenza affannosa dall'esterno, di allarme interiore<br />

incessante, di perdita di memoria, di non comunicazione, di supplizio.<br />

Evito qui le citazioni possibili. Molte cose, forse, già “si sanno" ma come parte inerte della<br />

nos<strong>tra</strong> attuale coscienza civile e politica. E Del Giudice per questo insiste: a volte con un'angoscia<br />

<strong>tra</strong>ttenuta dal suo gelo razionale; a volte, invece, con la brutalità disarmata di chi c'è stato e ci sta in<br />

quelle celle, in quei cortili, in quei cameroni. E vuole che noi si fissi lo sguardo non su di lui, ma su<br />

quella realtà, su quel1a «macchina». E giudica sempre troppo dis<strong>tra</strong>tto il nostro occhio e reticente la<br />

nos<strong>tra</strong> volontà di capire.<br />

Mi chiedo se tale incomprensione fra "fuori" e "dentro" - dato sistematico, obbligato,<br />

fondamentale del regime carcerario - può essere aggredita, ridotta, limitata. Non lo so.<br />

Riconosco quant'è stata impacciata, minima, frastornata la mia - diciamo - solidarietà<br />

epistolare. Sappiamo che gli inviti suoi e di altri a ragionare del carcere, dei processi, delle leggi<br />

d'emergenza, sono stati poco accolti; che sono cadute nel vuoto le sue sollecitazioni agli intellettuali<br />

alti, medi, bassi; che protagonisti e partecipanti a quei «15 anni di scontro sociale e di classe» sono<br />

stati azzittiti e seppelliti da teoremi giudiziari e sensi di colpa.<br />

Perché? Non lo sappiamo ancora del tutto e – come afferma Fortini nella sua lettera a Del<br />

Giudice nelle ultime pagine di Le nude cose - sarebbe «vile e idiota» chiederlo a lui o solo a quelli<br />

finiti in carcere.<br />

In questo vuoto la scrittura di Piero s'è fissata in «grido di fronte a questi fatti generali»; s'è<br />

abbandonata anche a mitizzazioni del «fuori» (come se chi stesse «fuori» oggi in una condizione<br />

proletaria avesse davvero possibilità di vivere e battersi «nel reale» e non solo appena di resistere);<br />

si è avvitata a volte anche in un disinganno a stento mascherato: «Dunque bisogna at<strong>tra</strong>versarla<br />

questa realtà di sale, per saperne la profonda, totale amarezza?»(pag. 129).<br />

Le nude cose hanno l'impronta distruttiva del carcere speciale. perché - se non è provato che<br />

il carcere normale recuperi gli individui, quello speciale non può avere al<strong>tra</strong> funzione che espellere<br />

e distruggere quelli che sono stati intesi da troppi come semplice "diossina sociale".<br />

Il risultato è stato - sarà più evidente in futuro - che, s<strong>tra</strong>ppati al nostro sguardo, dimenticati -<br />

la crisi del Paese che a loro veniva imputata, non si è affatto sanata.<br />

<strong>Un</strong>a mente vigile potrà scoprire anche in Piero cristallizzazioni e amputazioni, che pur egli<br />

non esibisce. Non sono d’accordo, perciò. con quanto afferma Baget Bozzo a pag. 186: il carcere<br />

speciale riesce - eccome! - a fare l'uomo in qualche modo più disumano: il recluso, ma anche quelli<br />

di "fuori”. E i segni di imbarbarimento li riscontriamo ogni giorno nei luoghi di lavoro, nelle scuole,<br />

nelle famiglie, nella città. Segno che la "diossina sociale" è diffusa, capillare e ha altre radici<br />

inestirpate.<br />

La vicenda di Piero De Giudice non si conclude, per fortuna, in queste lettere. Egli continua<br />

a interrogarsi sul carcere, insistendo sui legami fra sociale e istituzione, fra legalità e i11egalità e<br />

sullo sconvolgente processo («quasi un'accumulazione originaria» la definisce) che ha portato il<br />

capitale gestore del settore degli stupefacenti a dilagare nel carcere e qui nelle nostre città,<br />

ristrutturando e arruolando al suo servizio l'artigianato criminale <strong>tra</strong>dizionale. E nell'intervista<br />

rilasciata a Giovanna Gal1i (Nauti1us di settembre, inserto de «il manifesto» 30 settembre 1983)<br />

ritroviamo in forma più distesa questa sua ricerca tesa a individuare «punti d'apertura del carcere»<br />

E ritorna l'invito al colloquio, al confronto culturale <strong>tra</strong> "fuori" e " dentro". Scrive infatti:<br />

«A cosa penso in concreto? A "comunità", e con questa parola intendo luoghi reali e intellettuali<br />

che non siano il carcere e il processo in aula, in cui sia possibile un confronto culturale dato e<br />

ricevuto in condizioni non schiaccianti. Anche piccole comunità attive e propositive, ove la critica<br />

del passato diventi la proposta di oggi; individuale e collettiva, dunque anche affettiva e presente<br />

nella sfera dei rapporti interpersonali. Comunità libere su cui la società civile Istituzione riversi<br />

particolari energie di osservazione e di creatività, di ricerca per es<strong>tra</strong>rre ricchezza da una esperienza<br />

errata, ma pur sempre politica, e da un lungo processo autocritico ormai ultimato».<br />

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