Un «filo» tra Milano e Cologno Monzese: Franco ... - poliscritture
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degli anni '70: guardavo le donne e le vedevo asessuate, o almeno prive della immediatezza, della<br />
padronanza che ricordo, guardavo gli uomini filare via in ordine sui marciapiedi, o da vicino agli<br />
stop, quasi snervati, guardavano dentro alla macchina con il prigioniero ed i carabinieri senza dare<br />
l'impressione di vedere.<br />
Avrà contato anche la giornata di piena luce, ma il con<strong>tra</strong>sto con la periferia,<br />
l'emarginazione dell’hinterland, hanno acceso la violenza della differenza, esaltavano il con<strong>tra</strong>sto<br />
non tanto di classe, ma di condizioni di vita, di ombre e di luci, di architetture, di esistenze. Il<br />
degrado della grande periferia aveva negli anni a tal punto tarlato, marcito, una identità sociale.<br />
La città, il suo centro del Palazzo di Giustizia e delle carceri esteriormente rinnovate e che appaiono<br />
oggi come un grande garage, un hangar, il <strong>tra</strong>ffico ordinato dentro la cinta ferroviaria e dentro le<br />
mura, slittavano in avanti rispetto a quando ci si incon<strong>tra</strong>va da per tutto, nei cortei e nelle piazze, nei<br />
cinema, al centro ed alla periferia, e ci si riconosceva.<br />
Ora noi abbiamo davanti questa tecnologia, se la guardiamo tenendo fissi gli occhi ne<br />
possiamo fissare il vuoto. È la città della pura merce, privata della passione politica, privata della<br />
passione sociale, i suoi amminis<strong>tra</strong>tori sono degli affaristi. Ed i suoi impiegati hanno i volti anonimi<br />
dei killers.<br />
Si sa, i killers di professione non hanno facce feroci, hanno volti diligenti applicati al<br />
calcolo. Oppure aspettano che arrivi un killer, nascondono con qualche abilità l'ansia, la loro<br />
vertiginosa solitudine, la loro programmata asocialità.<br />
Vista così amo anche questa città; è talmente curva, talmente smunta dal prepotere e dalle<br />
amputazioni che essa è da per tutto, e pur chiuso dentro una cella vi partecipo, ne ripercorro le<br />
immagini, i volti.<br />
Dunque voglio uscire dal carcere per starci: nella sua periferia, nel suo centro; la<br />
rappresentazione topografica e quasi militare che ne è stata fatta non ne nasconde l'unità dominata<br />
di fondo. Credo sia possibile percorrerla di nuovo.<br />
Che sia possibile scrivere o parlare dell’opera di un poeta morto come se fosse in vita, e che<br />
sia possibile raccontare gli atti delle lotte operaie, il volto, il ricordo, e ciò che hanno dato alcuni<br />
operai nelle fabbriche dello hinterland, negli anni passati. Sentirli vivi, anche se sono scomparsi o<br />
allontanati nella diaspora sociale. Parlare dei rapporti con le donne o con gli uomini del nostro<br />
passato senza vergogna, ed unicamente da questi incontri, solidarietà, confronti accesi, trovare le<br />
ragioni della nos<strong>tra</strong> esistenza.<br />
La nos<strong>tra</strong> memoria sociale è possibile anche con quei giovani che non abbiamo capito nella<br />
scuola e nei quartieri, nel degrado e nello sfascio cui cercavamo far fronte con stereotipi, vecchi<br />
meriti e forme sclerotiche di culture chiuse, incapaci di innovarsi, prive del coraggio della critica.<br />
Lo sapete cosa fa il senso di colpa? Ci sono moltissimi 'detenuti politici’ che sono convinti<br />
di avere davvero ‘costituito' o di avere davvero 'partecipato' a "bande armate" o "associazioni<br />
sovversive"! Non hanno neppure letto il Codice Penale. I Giudici, i Procuratori, i “pentiti” hanno<br />
detto - di questo immenso vivo passato - che si <strong>tra</strong>ttava di "bande armate" ed adesso tutti ne parlano<br />
così. C'è questa voragine da recuperare e da riformulare; altrimenti quale utile? quale critica per il<br />
nostro presente?<br />
Il motore delle cose è la libertà, non la repressione e ciò è tanto più vero e vivo quando si<br />
passa per l'esperienza del carcere oppure per una esperienza politica e sociale quale è quella che noi<br />
tutti viviamo. Ma c'è un'ultima cosa che vorrei almeno accennare, ed è la felicità. Non so bene come<br />
dirvelo, ma sono quotidianamente umiliato dal carcere, profondamente ferito da ciò che subisco e<br />
vedo attorno a me subire - eppure vi è una quota di felicità che non posso negare né nascondere.<br />
Nel rovescio politico e sociale ho rispettato la mia vita e quella di altri, non ho <strong>tra</strong>sformato la<br />
speranza e le lotte di anni, il nostro incontro, in crimine e, nonostante la paura, non ho fatto baratto<br />
di me stesso. So di non riuscire a spiegarmi appieno. Basta accennare a quel principio per cui ho<br />
sviluppato critica ed autocritica al passato senza che ne venisse particolare vantaggio personale,<br />
senza che ne sortisse motivazione al processo di colpa, ma ricchezza e liberazione per i più? Basta<br />
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