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La comunicazione scientifica nei conflitti ambientali. Casi a ...

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comunità (Bobbio, 2011). Un fenomeno che ha origine nella perdita di fiducia<br />

nelle istituzioni e nella politica (Sintomer e Allegretti, 2009), e nella loro capacità<br />

di gestione delle problematiche <strong>ambientali</strong>, che rappresenta uno dei “principali<br />

antecedenti del conflitto” (Petts, 1995). Una profonda crisi della legittimità politica<br />

che ha portata mondiale: secondo un sondaggio realizzato dai servizi<br />

dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), due terzi degli abitanti del<br />

pianeta non si sentono rappresentati dai loro governanti (Castells, 2007).<br />

Conflitto, quindi, particolarmente legato al capitale di fiducia <strong>nei</strong> confronti delle<br />

istituzioni. Fiducia ulteriormente minata dalla sempre maggiore frammentazione<br />

della scienza, dalla moltiplicazione delle realtà scientifiche (il nucleare è pulito?<br />

Uno scienziato ti dirà di sì, un altro no. Chi ha ragione?), come si vedrà <strong>nei</strong> casi<br />

studio che seguono. <strong>La</strong> gestione delle questioni <strong>ambientali</strong> non è più quindi<br />

delegabile a un sapere esperto, poiché non vi sono più soggetti univocamente<br />

capaci di verità pre-istituita, il cui statuto sia certo da un lato – la scienza moderna<br />

che appariva univoca - e verificabile dall’altro - la rappresentanza politica, che<br />

appariva razionale 3 .<br />

Davanti ad istituzioni che presentano opere o politiche come decisive e<br />

imprescindibili per lo sviluppo (spesso attraverso processi decisionali top-down,<br />

fortemente centralizzati, poco attrezzati all’ascolto delle comunità locali), come ad<br />

esempio gli impianti di incenerimento dei rifiuti, nuovi soggetti rispondono (e si<br />

oppongono) dando vita a nuovi processi di “apprendimento collettivo”, parlando<br />

di rischio e di pericolosità per la salute. Allo scopo, i movimenti si appoggiano<br />

sempre più alla conoscenza e all’expertise tecno-<strong>scientifica</strong> ufficiale per porsi sullo<br />

stesso piano di autorevolezza <strong>scientifica</strong> delle argomentazioni delle istituzioni, e<br />

affrancarsi dallo stigma Nimby (Pellizzoni, 2011). Viene così a cadere il monopolio<br />

sull’expertise da parte delle organizzazioni politiche e le istituzioni, che al<br />

contrario diventa una risorsa a livello di movimenti di base.<br />

<strong>La</strong> capacità di produrre contro-expertise consente ai movimenti di legittimarsi agli<br />

occhi dell’opinione pubblica come portatori d’interessi non (solo) particolaristici e<br />

di progettualità alternativa (Trom, 1999; Rootes, 2007). Allo stesso tempo, però,<br />

ne consegue che il conflitto originario tra proponenti e popolazione locale si<br />

3 <strong>La</strong> scienza, tradizionale apparato di legittimazione razionalista negli ultimi due secoli,<br />

comincia a vacillare: ciò essenzialmente perché quasi sempre le distanze tra cause ed effetti<br />

finiscono per essere notevoli, e quindi difficilmente “coglibili” da parte degli esperti stessi, i<br />

quali non a caso si dividono in scuole di pensiero diverse e contrapposte, producendo un<br />

ulteriore “effetto di spaesamento” da parte dell’opinione pubblica (Giddens, 2000).<br />

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