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alba settembre 05 - CRIEA

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“La tigre e la neve”<br />

La storia di un amore non ricambiato.<br />

Attorno: la guerra in Iraq<br />

Cinema e Spettacolo<br />

Dicembre 20<strong>05</strong><br />

L’ultimo gioiello di Roberto Benigni:<br />

“La tigre e la neve”, un film sull’amore e<br />

sulla poesia che ha sullo sfondo la guerra<br />

irachena.<br />

Attilio (Roberto Benigni) è un poeta<br />

italiano, padre di due adolescenti ed innamorato<br />

di una donna Vittoria (Nicoletta<br />

Braschi), che, però, non lo ricambia. Per<br />

lei, ferita a Baghdad, il caro Attilio si muoverà<br />

in situazioni esilaranti e superlativi<br />

per aiutarla a trovare una medicina in grado<br />

di ridurre l’edera cerebrale che la sta<br />

uccidendo. Così, anche lui si recherà a Baghdad<br />

e qui incontrerà l’amico poeta arabo<br />

Jean Reno, che dall’Europa torna in Iraq<br />

durante la guerra.<br />

Siamo nella primavera del 2003, in Iraq,<br />

all’inizio del conflitto. E qui il povero Attilio<br />

che non conosce una parola di arabo,<br />

combatterà la sua guerra personale in una<br />

terra dilaniata dall’orrore, armato solo della<br />

sua poesia. Nonostante il film possa<br />

sembrare ripetitivo e troppo dolciastro nella sua struttura narrativa e nella messinscena,<br />

non si può nascondere il talento di Benigni attore che tra una sventura e l’altra ci regala<br />

momenti di una comicità sublime che rimarranno nell’immaginario collettivo: come, quando<br />

saltella su di un campo minato come se fosse un canguro per inseguire la sua amata, o<br />

quando dialoga col dromedario.<br />

Non si può definire La tigre e la neve un film sulla guerra irachena, anche se è ambientato<br />

in questo contesto, ma sulla poesia e sull’amore che tutto vince, anche ciò che può sembrare<br />

impossibile, come la malattia di Vittoria. Pensiamo alla scena sulla lezione tenuta dal<br />

professore Attilio e alle diverse citazioni letterarie o al sogno dei quattro poeti: Borges,<br />

Montale, Ungaretti, Yourcenar. Qui la guerra è solo evocata, è proprio l’amore che spinge<br />

e prende il sopravvento, la voglia di vivere, nonostante la vita sia disperata. È Benigni<br />

stesso che sottolinea che la forza del suo film è nel sentimento e gli iracheni e gli americani<br />

sono solo sullo sfondo. I posti di blocco in cui si imbatte Attilio sono di marines americani,<br />

visti con gli occhi di un poeta:<br />

“Sono ragazzi, verso di loro non esprimo giudizi, ma mostro la mia pietas”.<br />

Sulla scia di questo amore universale, Benigni si muove tra i sogni di Fellini e la comicità<br />

di Chaplin. In sogno con mutandoni, calzini e canottiera, Attilio porterà la sua amata<br />

Vittoria all’altare sulle struggenti note di You can never hold back spring cantata live da<br />

Tom Waits; in un prato circondato da antiche mura romane davanti a una platea in cui si<br />

riconoscono i quattro poeti.<br />

“Il sublime –afferma Benigni- deve sempre essere sorvegliato dal comico. Se dovessi<br />

vergognosamente indicare un modello a cui mi sono ispirato inopinatamente per questo<br />

film è il maestro Chaplin di Luci della città. Qui il protagonista fa la sua guerra per una<br />

donna in coma, lì Chaplin la fa per una ragazza cieca. E sulla scena finale ho quasi copiato<br />

l’inquadratura. È un tributo pagato al Maestro<br />

La stagione autunnale consacra le sue migliori<br />

fiction, quando ci propone storie e fatti importanti<br />

per le generazioni future. Come nel il caso di Mediaset<br />

che ci ha raccontato la storia di Nicola Sacco<br />

e Bartolomeo Vanzetti: l’ingiusta condanna di due<br />

immigrati italiani giustiziati innocenti sulla sedia<br />

elettrica americana. Fiction per la regia di Fabrizio<br />

Costa, con Sergio Rubini nel ruolo di Sacco, Ennio<br />

Fantastichini in quello di Vanzetti ed Anita Caprioli<br />

in quello di Rosina, moglie di Sacco. Mai<br />

come oggi, raccontare quella vicenda è così di attualità:<br />

illegalità, sopraffazione, sfruttamento dei<br />

più deboli, libertà d’espressione sono temi più che<br />

mai attuali perché viviamo in un secolo di ingiustizie.<br />

Siamo ai primi del Novecento, l’arrivo in America<br />

(terra di libertà, democrazia e lavoro) della<br />

povera gente pronta ad abbandonare le proprie<br />

radici e i propri affetti, per rimettersi in gioco e<br />

ripartire da zero; come Nicola Sacco, ciabattino<br />

che credeva nella famiglia e Bartolomeo Vanzetti<br />

idealista anarchico. Ad accoglierli nel quartiere italiano<br />

don Mario, la sua bontà e la sua saggezza, la<br />

casa del suo Signore aperta a tutti, anche agli anarchici,<br />

perché cambiare il mondo è giusto se esso è<br />

ingiusto. Lo sguardo di Sacco è intimidito, ma anche<br />

affascinato; così il regista lo mostra e lo segue<br />

con la sua macchina da presa (mdp), mentre percorre<br />

il suo cammino e stanza dopo stanza scoprirà<br />

il bel volto della sua Rosina, che danza sulle tristi<br />

note di Giselle, amore disperato ma intenso come<br />

sarà il suo. Se l’amore e la solidarietà traspaiono dal<br />

quartiere italiano, dall’altra parte, il regista analizza<br />

la corruzione del potere razzista e sopraffattore,<br />

che ha il solo compito di denigrare e soggiogare la<br />

povera gente che emigra in cerca di fortuna.<br />

Pertanto il potere della stampa, cioè l’informazione<br />

venduta, serve il potere, occultando la verità;<br />

mentre il Vanzetti sottolinea come solo la cultura,<br />

intesa come istruzione, può sconfiggere quei padroni<br />

dei cantieri che hanno un solo compito: quello<br />

di sfruttare i poveri immigrati. Da qui parte la<br />

rivoluzione, quella fatta di parole, che annuncia:<br />

libertà e democrazia. “Se l’America è un paese<br />

libero, dov’è la libertà e la democrazia quando manca<br />

la dignità umana?” E’ questa la dignità che don<br />

Mario predica nell’omelia per la morte del padre di<br />

Rosina, avvenuta durante il lavoro; dove in alto il<br />

regista illumina il Cristo in croce, metafora dello<br />

sfruttamento di questa gente, costretta a lavorare<br />

in condizioni disastrose e massacranti.<br />

”.<br />

R. R. C.<br />

Vanzetti invoca lo sciopero, la lotta per cambiare<br />

il sistema: una lotta pacifica fatta solo di parole<br />

e non di azioni violente: “Pianterò un albero e<br />

renderò universali le città… Per te democrazia,<br />

mia donna, per te faccio vibrare questi canti”. Ma<br />

al cantiere non c’è posto per gli anarchici e il sindacato:<br />

Saccho è licenziato. Si è licenziati e messi a<br />

morte se si è contro il potere del governatore e delle<br />

sue idee, non importa se nel corteo ci sono donne<br />

e bambini; bisogna fermarli e se è necessario ammazzarli<br />

tutti. Si vuole impedire un futuro migliore<br />

alle nuove generazioni; infatti Rosina, durante la<br />

manifestazione contro la guerra, perderà la sua seconda<br />

gravidanza.<br />

Tre maggio 1920, Sacco e Vanzetti vengono<br />

arrestati per rapina e duplice omicidio; inizia la<br />

loro discesa. Il regista nella seconda parte del film,<br />

la più intensa, evidenzia ancor più il contrasto tra<br />

bene e male, tra verità e menzogna e il processo, col<br />

suo tragico finale, diventa simbolo di libertà e giustizia.<br />

Il merito di Fabrizio Costa è di averci regalato<br />

una vicenda umana filmata nei minimi dettagli,<br />

dove l’aula del processo diventa luogo di razzismo<br />

e malvagità; mentre il posto degli imputati, il più<br />

pulito e sincero. Sacco e Vanzetti sono due animecristo<br />

e la loro integrità e purezza non sarà scalfita<br />

neanche quando il potere, sopraffatto dalla verità<br />

di mezzo mondo, proporrà la grazia solo al Vanzetti,<br />

il quale risponderà: «Io Nicola non lo lascio».<br />

La solidarietà tra i compagni di cella, il suono dei<br />

cucchiai sui cancelli, è una delle scene più emozionanti<br />

del film, e da qui in poi il film è un climax<br />

ascendente di rabbia, tristezza e amarezza, che ci<br />

porterà fino a quel 23 agosto del 1927 su una sedia<br />

elettrica. E che tono alto, dignitoso e sublime le sue<br />

ultime parole davanti al giudice, la corte, i presenti<br />

in aula: “Sono colpevole di essere un radicale, un<br />

italiano, un anarchico, un socialista, uno vicino agli<br />

uomini. Mi avete tolto l’amore e la voglia di sognare.<br />

Grido la mia protesta contro l’ingiustizia; insegno<br />

agli uomini di avere dignità, a far capire loro i<br />

doveri ed anche i diritti. Ci rivedremo in un’altra<br />

vita, migliore di questa”. Ancora oggi, purtroppo,<br />

la cronaca si ripete: il regista ha voluto raccontare<br />

questa storia anche per far capire meglio il tema<br />

dell’immigrazione, in un paese come il nostro in<br />

cui c’è un alto numero di immigrati.<br />

Adesso stiamo diventando sempre meno tolleranti<br />

davanti a questa povera gente che è vista<br />

come il nemico che vuole toglierci il lavoro, ma che<br />

è solo un gruppo disperato in cerca di fortuna,<br />

come lo erano Sacca e Vanzetti. Forse se si racconta<br />

una storia di due italiani immigrati e disprezzati<br />

riusciremo a capire meglio quello stato di cose e ad<br />

immedesimarci di più per riuscire a non disprezzare<br />

ma ad aiutare chi è meno sfortunato di noi. Questo<br />

è il messaggio positivo della fiction: nel mondo<br />

c’è posto per tutti.<br />

Nel 1977 Nike (Nicola Sacco) e Bart (Bartolomeo<br />

Vanzetti) sono stati riabilitati da quell’accusa<br />

ingiusta.<br />

Rocco Roberto Cacciatore<br />

Ogni volta che si parla di Torino, mi<br />

dicono che è una città fredda e grigia,<br />

provinciale. Che non ha tanto da proporre<br />

ai suoi cittadini, figuriamoci ad un<br />

ospite.<br />

Rispondo sempre che non è proprio<br />

come si dice. Certo oggi Torino è<br />

tutto un cantiere che si prepara alle Olimpiadi<br />

del 2006, ma la capitale italiana<br />

dell’arte contemporanea esprime una<br />

realtà tutt’altra che grigia. Anzi, è una<br />

città dove regna il verde; dove principalmente<br />

regna -insieme alla Fiat- il Cinema<br />

con il suo Museo, la strepitosa ambientazione<br />

della Mole Antonelliana, dove si<br />

è svolta la serata di chiusura del 23°<br />

Film festival.<br />

Al “Torino Film Festival” manca però<br />

la mondanità. Mancano i nomi famosi<br />

del grande schermo hollywoodiano e non<br />

si sfoggiano i vestiti di gala come a Cannes,<br />

Venezia, Los Angeles…<br />

I riflettori abbaglianti non vengono<br />

puntati su vincitori e conduttori di fama<br />

mondiale. La sala del vecchio cinema<br />

“Lux”, il più vecchio di Torino, è rimasta<br />

uguale nella serata di consegna dei premi.<br />

Durante i giorni del festival potevi<br />

avvicinarti liberamente al personaggio<br />

che ti interessava e discutere con lui del<br />

suo lavoro, dei suoi progetti e scambiare<br />

tutte le idee… È tutto cosi compatto<br />

e normale. Motivo per il quale amo i<br />

festival di questo genere: non sono dispersivi<br />

e frenetici; sono fatti su misura<br />

“Sacco e Vanzetti” di Fabrizio Costa<br />

Una storia di ieri per capire tante storie di oggi<br />

23esimo Film Festival<br />

A Torino, niente riflettori su vincitori e conduttori di fama mondiale<br />

per gente comune. Ovvio per gente che<br />

ama il cinema.<br />

Certo che i cinefili hanno avuto chi<br />

incontrare: Claude Chabrol, Walter Hill,<br />

Alfred Green, Amir Naderi, i “nuovi”<br />

Lav Diaz e Lodge Kerrigan, il siciliano<br />

Vittorio de Seta al quale è andato il premio<br />

Cipputi alla carriera. E, infine, Isabella<br />

Rossellini che ha presentato il film<br />

“Mio Padre ha 100 anni”. Tutto suo<br />

dalla sceneggiatura alla ripresa, al montaggio.<br />

Una “lettera d’amore” di 15 minuti<br />

dedicata al Padre come lo ricorda lei.<br />

Su come è nata l’idea e sulla sua famiglia,<br />

Isabella ne parla volentieri in un in-<br />

Via Molinari, 4 - C.da Pezzamandra - Misterbianco (CT)<br />

contro stampa durante il suo soggiorno<br />

torinese. Lei, donna immagine della eleganza<br />

femminile, si presenta vestita con<br />

un abito maschile “perché è più comodo”,<br />

risponde.<br />

INCONTRO CON<br />

ISABELLA ROSSELLINI<br />

My Dad is 100 Years Old<br />

Genesi del film. - Nel 2006 mio<br />

padre compirebbe 100 anni. Ho pensato<br />

molto a cosa fare: restrospettive, articoli,<br />

libri. Poi mi sono detta: «e se non<br />

succede nulla?» Allora ho deciso per il<br />

film, una cosa mia, che posso fare solo<br />

io, non il solito documentario con le immagini<br />

di repertorio, ma un film interno,<br />

basato sulle cose che avevo in<br />

testa.<br />

I personaggi.<br />

- Ho cercato di<br />

dialogare con persone<br />

che avevano<br />

idee sul cinema diverse<br />

da mio padre.<br />

Alfred Hitchcock;<br />

il produttore<br />

David<br />

O. Selznick, che<br />

aveva un contratto<br />

con mia<br />

madre, pur non<br />

avendo mai lavorato<br />

con mio padre co-<br />

nosceva tutti i suoi film; Federico Fellini,<br />

grande amico di papà per cui ha scritto<br />

molto; Charlie Chaplin di cui papà<br />

aveva una foto sul comodino e che nel<br />

film appare come un angelo.<br />

Mettersi in gioco come attrice. -<br />

All’inizio avevo disegnato il copione per<br />

far capire a Maddin cosa volevo. È stato<br />

lui a darmi l’idea di interpretare tutti i<br />

personaggi perchè solo io sapevo quello<br />

che volevo, solo io sapevo cosa avevo in<br />

testa. Così ho provato e direi che ha funzionato:<br />

in particolare mi è piaciuto il<br />

mio Selznick, molto virile.<br />

Mio padre non voleva che facessimo<br />

gli attori, per questo l’ho fatto solo dopo<br />

la sua morte. Il primo film che ho interpretato,<br />

dopo Il Papocchio in cui facevo<br />

me stessa, è stato Il prato (1979) dei<br />

fratelli Taviani: mi ricordo un grande conflitto<br />

interiore perchè papà aveva molta<br />

stima di loro e aveva premiato a Cannes<br />

il loro Padre, padrone. Quindi da una<br />

parte io volevo fare il film con i Taviani,<br />

ma dall’altra era come andare contro i<br />

voleri di mio padre. Fu mia madre che un<br />

giorno mi disse: «Tuo padre faceva i film<br />

con i non-attori, quindi anche tu puoi<br />

fare la non-attrice».<br />

La scelta di Guy Maddin. - Tre anni<br />

fa abbiamo fatto insieme il film The Saddest<br />

Music in the World, che presto uscirà<br />

in Italia. Guy vive in un piccolo paesino<br />

sperduto ma ricco di arte. Quando<br />

mi ha mandato il suo film The Heart of<br />

the World sono rimasta letteralmente incantata:<br />

i suoi film sono “rovinati”, sembrano<br />

disintegrarsi, la sua è un’estetica<br />

della fragilità alla Méliès.<br />

Il Sundance Film Festival ha comprato<br />

My Dad is 100 Years Old e volevano<br />

proiettare anche Roma città aperta<br />

perchè da 18 anni non si vede in America.<br />

Originariamente il mio film era pensato<br />

per l’America e avevo in mente di<br />

fare una retrospettiva nelle Università<br />

per far conoscere agli americani l’opera<br />

di mio padre. Maddin è molto popolare<br />

tra i giovanissimi per cui l’ho usato un<br />

po’ come esca e lui si è prestato molto<br />

volentieri.<br />

La grande pancia. - Papà diceva<br />

sempre che invidiava le donne, che avrebbe<br />

voluto vivere la gravidanza e allattare<br />

i suoi figli. Io da bambina era convinta<br />

che fosse incinto perchè credevo potesse<br />

fare tutto. Papà stava sempre a letto,<br />

lo vedevamo spesso in pigiama e io abbracciavo<br />

il suo grande pancione: per<br />

questo nel film ho usato questa immagine<br />

buffa. I film di papà sono dei grandi<br />

drammi, strappano le lacrime: io ho voluto<br />

fare dell’umorismo per ritrovare la<br />

mia voce.<br />

Ingrid Bergman. - La frase secondo<br />

cui la carriera di mia madre sarebbe<br />

stata rovinata da Rossellini compare in<br />

un libro di Hitchcock. In realtà mia madre<br />

diceva di essere stata lei a rovinare la<br />

carriera di papà. I film che hanno fatto<br />

11<br />

insieme all’epoca non avevano avuto<br />

grande successo, solo ora cominciano a<br />

essere rivalutati.<br />

Roberto Rossellini e la sua famiglia.<br />

- Pur abitando quasi tutti in posti<br />

diversi siamo molto in contatto. Siamo 6<br />

fratelli: Renzo, si occupa di cinema, Roberto<br />

è un pittore, mia sorella gemella<br />

insegna all’Università, Raffaella si è convertita<br />

all’Islam ed è sposata con un<br />

musulmano: Gill che è paraplegico. Ho<br />

adottato un figlio, Roberto, che è nero<br />

con gli occhi blu: mio padre sarebbe stato<br />

felicissimo di lui.<br />

È difficile dire cosa mio padre mi abbia<br />

insegnato, papà era unico. Anche<br />

quando ero in terapia mi chiedevano di<br />

raccontare il rapporto con mio padre ma<br />

io non potevo spiegarlo e dicevo che se<br />

avessero conosciuto Rossellini avrebbero<br />

avuto anche loro il complesso di Elettra.<br />

La cosa più sorprendente è stata<br />

imparare tutto ciò che mio papà non mi<br />

aveva insegnato: ad esempio, ho sposato<br />

Martin Scorsese e poi David Lynch<br />

ed entrambi parlavano continuamente di<br />

cinema. Io pensavo avessero sempre dei<br />

problemi di lavoro e invece ho scoperto<br />

che i cineasti parlano di cinema. Mio<br />

padre invece ne parlava raramente.<br />

Stromboli, terra di Dio. - L’ho scelta<br />

perchè è da lì che sono nata. Se non ci<br />

fosse stata Stromboli, terra di Dio non<br />

sarei mai venuta al mondo.<br />

Silvia Ivanova

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