Paisaje de la multitud que orina

FACOLTA’ DI FILOSOFIA, LETTERE, SCIENZE UMANISTICHE E STUDI
ORIENTALI
Corso di Laurea Magistrale in Scienze del Testo
«Paisaje de la multitud que orina», Federico García Lorca, da Poeta en Nueva York:
Professore : Norbert von Prellwitz
Studentessa: Evaa Speranzini
Matr. 1175341
Un’analisi
Anno Accademico 2010/2011
1

Paisaje de la multitud que orina
(Nocturno de Battery Place)
Se quedaron solos:
aguardaban la velocidad de las últimas bicicletas.
Se quedaron solas:
esperaban la muerte de un niño en el velero japonés.
Se quedaron solos y solas,
soñando con los picos abiertos de los pájaros agonizantes,
con el agudo quitasol que pincha
al sapo recién aplastado,
bajo un silencio con mil orejas
y diminutas bocas de agua
en los desfiladeros que resisten
el ataque violento de la luna.
Lloraba el niño del velero y se quebraban los corazones
angustiados por el testigo y la vigilia de todas las cosas
y porque todavía en el suelo celeste de negras huellas
gritaban nombres oscuros, salivas y radios de níquel.
No importa que el niño calle cuando le clavan el último alfiler,
no importa la derrota de la brisa en la corola del algodón,
porque hay un mundo de la muerte con marineros definitivos
que se asomarán a los arcos y os helarán por detrás de los árboles.
Es inútil buscar el recodo
donde la noche olvida su viaje
y acechar un silencio que no tenga
trajes rotos y cáscaras y llanto,
porque tan sólo el diminuto banquete de la araña
basta para romper el equilibrio de todo el cielo.
No hay remedio para el gemido del velero japonés,
ni para estas gentes ocultas que tropiezan con las esquinas.
El campo se muerde la cola para unir las raíces en un punto
y el ovillo busca por la grama su ansia de longitud insatisfecha.
¡La luna! Los policías. ¡Las sirenas de los transatlánticos!
Fachadas de crin, de humo, anémonas; guantes de goma.
Todo está roto por la noche,
abierta de piernas sobre las terrazas.
Todo está roto por los tibios caños
de una terrible fuente silenciosa.
¡Oh gentes! ¡Oh mujercillas! ¡Oh soldados!
Será preciso viajar por los ojos de los idiotas,
campos libres donde silban las mansas cobras deslumbradas,
paisajes llenos de sepulcros que producen fresquísimas manzanas,
para que venga la luz desmedida
que temen los ricos detrás de sus lupas,
el olor de un solo cuerpo con la doble vertiente de lis y rata
2

y para que se quemen estas gentes que pueden orinar alrededor de un gemido
o en los cristales donde se comprenden las olas nunca repetidas.
La solitudine e lo straniamento ambientale dell’io lirico di Federico García Lorca sono alla
base delle suggestive visioni che compongono la sua opera surrealista del 1929-30, Poeta
en Nueva York 1 e in particolare della III Sezione del libro (strutturato secondo livelli di
senso e momenti cronologici e spaziali differenti), intitolata Calles y sueños, dedicata a
Rafael Rodríguez Rapún 2 e con in epigrafe una citazione da uno dei suoi scrittori - simbolo
e modello di generazioni successive di poeti, Vicente Aleixandre 3 :
Un pájaro de papel en el pecho
dice que el tiempo de los besos no ha llegado 4
L’inconsistenza della figura animale dell’uccello di carta, rovesciato dalla sua accezione
naturale tipicamente presente nel paradigma positivo lorchiano a quello di stasi e non
vitalità della carta bianca annuncia l’impossibilità di un rapporto amoroso corrisposto, che
non è quindi finito o morto ma mai giunto, mai vissuto interamente dal poeta.
E questa atmosfera svuotata dei suoi contenuti positivi e immersa in uno stato di
desolazione appare fortemente caratteristica della poesia Paisaje de la multitud que orina
(Nocturno de Battery Place), terza poesia della III Sezione e una dei tanti deserti paesaggi
della metropoli newyorkese osservati dalla posizione privilegiata dell’autore, non
completamente immerso nella città caotica senza radici ma intimamente ancorato al
retaggio culturale spagnolo fatto di paesaggi naturali e vitalistici.
Già nel titolo, gemello del testo che lo precede Paisaje de la multitud que vomita, si
riscontra l’accostamento di un termine appartenente al paradigma positivo della Natura,
Paisaje, con un richiamo alle celebri opere pittoriche della tradizione che con il titolo
“Paesaggio” volevano designare una raffigurazione idillica e quieta, completamente al di
fuori dei tumulti della civiltà, di un panorama naturale immortalato in una stasi definitiva e
per questo eterna. Così facendo questi conferivano all’opera un velo eroico e leggendario
che, rendendo l’opera immutabile nella sua bucolica serenità, donavano a quell’arte un
alone d’immortalità.
1
Federico García Lorca, Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008.
2
Rafael Rodríguez Rapún (1912‐1937) segretario del teatro itinerante La Barraca , volontario contro gli
insorti franchisti; Note in Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008.
3
Vicente Alexaindre, (1898‐1984) poeta spagnolo della Generazione del ’27 e premio Nobel per la
letteratura nel 1977, Note in Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008.
4
Versi tratti da Vida, nella II sezione di La destrucción o el amor, a cura di F. Tentori Montalto, Einaudi,
Torino, 1970, p. 51.
3

Completamente rovesciata, nelle intenzioni di Lorca è questa volontà di sublimare il
paesaggio evocandone suggestioni mitiche e caratteristiche romantico - classicheggianti ,
di calma e bellezza, a vantaggio di una stridente associazione con la multitud.
Un’informe massa di uomini e donne senza identità, quelle gentes que vacilan insomnes 5
de La Aurora e la folla indefinita con ojos despiertos sobre la superficie concreta del
plato 6 , che vive in edificios deshabitados 7 , con rostros impasibles 8 y algún perfil de yeso
tranquilo 9 .
Un paesaggio disumanizzato dunque, che porta già con sé i segni di un dolore intrinseco
che ha coinvolto anche la natura, ultima istanza positiva e possibilità di riscatto per
l’umanità.
Il quadro è definitivamente completato dall’unica azione che questa apparente inerte
muchedumbre, senza nome né qualificazioni, compie: azione che procede direttamente da
quella del “vomitare” del componimento precedente e che introduce il senso di disdegno e
svilimento che questa umanità attua sulla Natura, che orina nel Paisaje, unico portatore di
un significato con accezione ambientale nell’intera poesia.
L’aspetto scatologico, leitmotiv caro a Lorca e presente in molti componimenti di Poeta en
Nueva York, con immagini di sangue putrido, vomito e cloache, evoca la rappresentazione
interiore che il poeta ha della città come polo negativo opposto alla campagna, luogo di
giochi, fiori e allegria di bambini in opposizione alle strade sudice dovute alla
sovrappopolazione della Grande Mela, soprattutto quelle che congiungono il centro con le
vie di Broadway e Wall Street (simboli di vanità, commercializzazione dell’umano e del
silencio de la moneda 10 , demone della società moderna), pulluli di turisti, nuovi schiavi
neri e d’inquinamento delle macchine.
Il verbo orina abbraccia un polivalente campo semantico nell’opera mirando a
concretizzare quell’atto di profanazione da parte dell’umanità delle macchine di tutto ciò
che è sacro, innocente, naturale, simbolo di purezza:
5 Federico García Lorca, «La Aurora», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008,
v. 19, p. 72.
6 ID. , «Poema doble del Lago Eden», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008,
v. 23, p. 76.
7 ID., «Niña ahogada en el pozo», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008,
v. 29, p. 96.
8 ID., «Nocturno del hueco», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, v. 10,
p. 102.
9 Ibidem, v. 36.
10 ID., «Danza de la muerte», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, v. 32,
p. 43.
4

Caerán sobre la gran cúpula
que unta de aceite las lenguas militares,
donde un hombre se orina en una deslumbrante
paloma 11 .
La coincidenza degli atti dissacranti, l’uno fatto in Grito hacia Roma dal Pontefice sulla
colomba, simbolo dello Spirito Santo e del sacrificio di Cristo che incarna nel contesto una
figura d’innocenza infantile, un Cristo‐niño, e l’altro sul paesaggio naturale dalla folla
indistinta dei cittadini di New York e sul niño del velero japonés 12 , esprime l’impossibilità
di un rapporto con la natura da una parte, ormai totalmente perduto e disprezzato e,
dall’altra, l’impossibilità di una speranza per il futuro, un futuro che si preannuncia scevro
di pietà cristiana (e umana) verso colui che è emblema della sopravvivenza della specie, il
Niño, la nuova generazione, a cui prima dal Papa, rappresentazione della massima carità e
benevolenza, e poi dall’umanità intera, viene tolta la speranza, affogato non dalle lacrime
cristalline della pietas cristiana ma dal liquido maleodorante e dal cromatismo riprovevole
del giallo sporco. Un po’come al Niño Stanton, cui il cáncer ha tolto la vita perché
“es verdad que la gente quiere echar las palomas a las alcantarillas” 13 .
Il titolo è ulteriormente caricato di senso dal sottotitolo in corsivo posto tra parentesi che
molto spesso nei componimenti lorchiani va a sommare immagini e luoghi paradossali
colmando i vuoti d’un interpretazione che avanza da accostamenti surrealisti.
(Nocturno de Battery Place), didascalia che ci offre immediatamente una collocazione nel
tempo e nello spazio di questa muchedumbre dissacratoria, oltre al riferimento sotteso al
tipo di tradizione letteraria a cui si vuol far riferimento.
Il Notturno è, nella tradizione musicale del XVIII secolo, un componimento ispirato alla
notte e ai topoi che questa raffigura, appare come un opera in vari movimenti di genere
lento ma incalzante, in cui il ritmo melenso e ripetitivo è teso ad esprimere istanze
malinconiche, nostalgiche, di generale apatia verso l’esistenza o di dolore per motivi
amorosi non corrisposti.
L’aspetto però melenso tipico del Notturno è qui del tutto rovesciato a vantaggio di un
componimento che trova il coronamento del suo ritmo nell’esposizione di contenuti cruenti
11
ID., «Grito hacia Roma», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, vv. 12 ‐ 15,
p. 146.
12
ID., «Paisaje de la multitud que orina», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008,
v. 4, p. 53.
13
ID., «El niño Stanton», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, vv. 41 ‐ 43,
p. 88.
5

e carichi d’una violenza che sottende all’intero testo, oltre che a una voce che, piuttosto
che dedicarsi all’atto contemplativo del proprio dolore nel ricordo, opera una vera e propria
invettiva.
Il Notturno, nella tradizione componimento sentimental-amoroso, acquista qui la
specificazione d’appartenenza a un determinato spazio geografico e socio-culturale, quello
di Battery Place, una delle vie centrali di New York e zona che circonda l’area portuale
situata sulla 9th Avenue, attigua a Broadway.
Le poesie di Poeta en Nueva York si categorizzano metricamente in 3 diversi gruppi:
poesie tradizionali (in numero esiguo), poesie che si pongono a metà tra la metrica
tradizionale e il verso libero e quelle del tutto svincolate da restrizioni numeriche e
metriche 14 .
Paisaje de la multitud que orina s’inserisce perfettamente in quest’ultima categoria di
componimenti, appare come uno dei più rappresentativi testi del Surrealismo lorchiano 15 ,
sia per i contenuti che per la forma estetica, che con il ritmo spezzato crea versi
graficamente isolati per sottolinearne la rilevanza e altri volutamente più lunghi per rendere
il senso d’ineluttabilità della condizione descritta.
Anche al solo approccio visivo si possono isolare almeno cinque gruppi graficamente
divisi dalla diversa lunghezza dei versi e separate, l’una dall’altra, dal punto.
Questo tipo di scansione mira a creare categorie di senso raggruppate in strofe in una
poesia che appare come imponente blocco unico e serie di versi liberi senza nessuna
apparente connessione con la poetica e la metrica tradizionali.
All’interno dei cinque gruppi v’è poi un’ ulteriore serie di ripartizioni che interessano, in
maniera diversa e a seconda della posizione, i versi suddivisi in gruppi speculari, atti a
formare delle sottosezioni nelle sezioni stesse che scandiscono il rimo spezzato della
poesia.
Questi sottogruppi, come in un climax ascendente, vogliono arrivare alla conclusione con
una tensione emotiva fratturata e continuamente confusa dai cambi di ritmo repentini,
d’esortazione, di diversa drammatizzazione del linguaggio e dai continui rimandi interni
alle immagini precedenti all’interno degli insiemi poetici.
14 Manuel Garcia ‐ Posada, Lorca: Interpretacion de Poeta en Nueva York, Akal, 1981.
15 Il surrealismo di Lorca è caratterizzato dalla ribellione metrica, sintattica e grafica verso tutto ciò che
appare come convenzione borghese, tutto ciò che è retaggio d’una tradizione classica statuaria (v. «Oda a
Salvador Dalì», Poeta en Nueva York, Einaudi, Torino, 1940) immobile, fredda e scevra d’immagini
vitalistiche.
6

Il primo gruppo che va dal v. 1 al v. 12, fonda il suo discorso sui due poli estremi tra cui la
poesia di Lorca oscilla in tutta l’opera: la velocidad 16 (in omofonia con velero 17 ) e la
muerte 18 , la concezione più alta del dinamismo puro, simbolo di vitalismo, movimento
vissuto come liberazione e l’arresto della morte, stasi eterna, fine dell’esistenza come
tensione creatrice dell’uomo verso l’energia vitale.
La prima strofa appare divisa in tre serie composte da due versi speculari, legate tra di loro
dall’allitterazione continua della [s] e nei primi versi di ciascuna serie dall’anafora e dal
tempo verbale usato (Pretérito Indefinido) Se quedaron solos 19 / Se quedaron solas 20 / Se
quedaron solos y solas 21 , mentre il secondo verso è sempre interessato dal Pretérito
Imperfecto: Aguardaban 22 / Esperaban 23 perfettamente paralleli l’uno all’altro con
l’eccezione del gerundio soñando 24 che termina così la prima suddivisione simmetrica e
concretizza la passività dell’attesa nel sogno, in un atteggiamento inconscio che fa
riaffiorare solo cruente immagini d’agonia e di morti atroci.
La seconda strofa, dal v.13 al v. 20 inizia col passaggio ad un’altra scena che ci immette in
un altro momento nel tempo passato attraverso Lloraba 25 , imperfetto che catalizza la nostra
attenzione sul bambino piangente per esser poi catturata dai suoni duri degli ultimi tre versi
interessati da una serie di tre allitterazioni che appesantiscono la narrazione rendendola più
incisiva: al v. 17 v’è l’allitterazione dell’occlusiva velare sorda [k], que el niño calle
cuando le clavan 26 , al v.18 quella della nasale bilabiale [m], hay un mundo de la muerte
con marineros 27 , e al v. 19 quella della [á], se asomarán a los arcos y os helarán por
detrás de los árboles 28 .
L’intera strofa è questa volta suddivisa in due serie da quattro versi in cui in entrambe in
posizione iniziale si colloca il niño, anafora ai vv. 13 e 17.
16 Federico García Lorca, «Paisaje de la multitud que orina», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici,
Einaudi, Torino, 2008, v. 2, p. 53.
17 Ibidem, v. 4, p. 53.
18 Ibidem, v. 4, p. 53.
19 Ibidem, v. 1, p. 53.
20 Ibidem, v. 3, p. 53.
21 Ibidem, v. 5, p. 53.
22 Ibidem, v. 2, p. 53.
23 Ibidem, v. 4, p. 53.
24 Ibidem, v. 6, p. 53.
25 Ibidem, v. 13, p. 53.
26 Ibidem, v. 17, p. 53.
27 Ibidem, v. 18, p. 53.
28 Ibidem, v. 19, p. 53.
7

All’interno della strofa vi sono due sentenze nette sopra l’angustia della vita umana (qui
incarnata dal niño) spiegate da due causali (una terza comparirà nella terza strofa) legate
dall’anafora porque al v. 15, al v. 20 e al v. 25 nella strofa successiva.
L’intensità di queste causali che procedono da affermazioni negative e insormontabili
sopra la sofferenza dell’esistenza e dall’anafora No importa ai vv. 17 e 18, sottolineano, in
modo martellante, la vanità e la futilità del porsi queste stesse domande, tanta è
l’inesorabilità della condizione terrestre.
Tutto ciò crea un effetto cantilenante e un ritmo dall’andatura filastroccale, un ritmo che
prende quindi una coerenza sino alla strofa successiva e impronta una musicalità
continuativa che verrà poi bruscamente interrotta al v. 27.
La terza strofa, che va dal v. 21 al v. 26, divide i suoi sei versi in tre sottogruppi da due
versi ciascuna per facilitare l’andamento scandito della sentenza Es inútil buscar el recodo,
le sue motivazioni e la sua spiegazione nella causale finale porque al v. 25.
La strofa successiva inizia con una affermazione definitiva sull’esito della storia in corso
già presentata al v. 4 : No hay remedio para el gemido del velero japonés 29 , che, attraverso
la negazione segna la svolta verso l’oscillazione negativa, quella del veliero e non delle
biciclette.
Così dal v. 27 al v. 36 il tono generale della narrazione cambia, da un discorso basato su un
concetto di perdita, attesa e solitudine senza via d’uscita, la voce del poeta si fa aggressiva
e feroce; l’irreversibilità insita nella sua rassegnazione iniziale si riscatta in un’invettiva
che accusa le snaturate azioni degli uomini incitando essi stessi alla ribellione dal male
dell’esistenza e da quell’unica azione perpetrata con incoscienza dell’orinare sul paisaje.
Anche in questa sede i versi appaiono raggruppati in sezioni da due e ulteriormente riuniti
in altri sottoinsiemi che vanno dal v. 27 al v. 32 (con l’usuale sentenza e spiegazione di
questa) e infine dal v. 33 al v. 36, legato dall’anafora che rafforza la concezione di
distruzione di Todo está roto dei vv. 32 e 34.
Le due iniziali negazioni che aprono la strofa, in realtà, ci immettono in un atmosfera che
sembra già impossibilitare quell’idea anelata di riscatto: la necessità di redenzione però,
dopo la serie di immagini di uomini, fauna e flora invertiti in questo contesto, viene
visivamente e musicalmente accumulata tutta in un punto.
29 Ibidem, v. 27, p. 54.
8

Il testo sembra raccogliere tutte le affermazioni precedentemente descritte per risolversi al
v. 29 e al v. 30 con: El campo se muerde la cola para unir las raíces en un punto 30 .
La frase comprime l’intero andamento ritmico del componimento che si ristringe al
massimo in quel punto segnato immaginariamente da Lorca per definire i limiti della sua
argomentazione e sciogliere la tensione narrativa sin’ora accumulata attraverso il ritmo di
frasi spezzate, rotte e ripetute nei versi liberi di diversa lunghezza.
La lettura, attraverso il punto in cui tutte le radici si uniscono, finisce poi per dilatare le
successive coppie di versi che appaiono come un flusso libero di coscienza in cui
l’enumerazione apparentemente caotica dei simboli della corruzione contingente ¡La luna!
Los policías. ¡Las sirenas de los transatlánticos! 31 che col velero si connettono ad
altrettanti simboli del paradigma negativo lorchiano in un accrescimento sempre più
insopportabile delle immagini mortifere che abbracciano ora tutti i sensi e i campi della
vita.
La strofa conclusiva, dal v. 37 al v. 45, ricompone il tono per continuare sulla scia
dell’indignazione e della denuncia in modo più organico e ordinato ma altrettanto feroce.
Il primo verso apre la via d’una nuova enumerazione che richiama l’attenzione, questa
volta non dell’agente maligno ma di chi subisce i soprusi di questo e ne rende possibile la
riuscita creando così il disumano scenario di Battery Place (metonimia per la più
imponente New York, a sua volta metafora dell’intero mondo occidentale civilizzato).
¡Oh gentes! ¡Oh mujercillas! ¡Oh soldados! 32 : l’invettiva stessa viene diminuita dal
pubblico di umani abbassati ai quali si rivolge così che il resto della frase si dispieghi su
affermazioni categoriche che prospettino un futuro ancora miserabile.
Attraverso una gravissima ironia sottesa si scopre come unico paesaggio possibile per
l’umanità schiava quei paisajes llenos de sepulcros que producen fresquísimas
manzanas 33 , un deserto di morti, nutriti con gustose freschissime mele, frutta cresciuta dal
concime e dai corpi in decomposizione degli uomini stessi, il cibo della morte.
La strofa è graficamente divisa in tre segmenti da tre versi che concludono il
componimento con lo stesso ritmo serrato dei precedenti sottoinsiemi grazie, oltre che alla
forma, anche all’anafora della causale para que ai vv. 41 e 44 e alla forti allitterazioni
della [k] al penultimo e all’ultimo verso: cuerpo, que, quemen, cristales.
30 Ibidem, v. 29, p. 54.
31 Ibidem, v. 31, p. 54.
32 Ibidem, v. 37, p. 54.
33 Ibidem, v. 40, p. 54.
9

La poesia inizia con l’affermazione categorica di una solitudine assoluta.
La costatazione della solitudine interiore del poeta e della sua profonda disapprovazione
prende corpo in un Notturno portuale che assume i tratti d’una sonnambula e inconscia
descrizione della condizione umana presente già dal primo verso del racconto con
l’affermazione d’una solitudine oggettiva, che di colpo affligge la collettività.
Secondo l’analisi di Menarini 34 , nella poesia lorchiana di New York, dove c’è un Io c’è
sempre un Noi poiché la condizione personale di desolazione e miseria esistenziale ne
esprime sempre una più grande e collettiva, una sorta di comunione nel dolore e un sotteso
impegno comune per la sopravvivenza.
Ed è esattamente questo il senso della prima immagine volutamente isolata e in positio
princeps: ellos di se quedaron solos e poi al v. 3 se quedaron solos y solas rappresentano
la moltitudine del titolo e in realtà non sono che il riflesso di quell’ Io e di quella umanità
solitaria, emarginata e scansata ma che prende essa stessa le distanze da un paesaggio così
fuorviato e deprivato della sua originaria natura.
Solos y solas sottolineano l’ineluttabilità di questa solitudine interiore, che non conosce via
di scampo ma che soprattutto coinvolge tutto e tutti, la natura, gli animali, gli uomini e le
donne.
Nello stesso tempo dietro a questo isolamento potrebbe celarsi quella volontà di
nascondersi e fuggire tipica della personalità di Lorca, che sottrae agli occhi del mondo e
dei suoi lettori le vere intime intenzioni dei suo componimenti (soprattutto in ambito di
Conferenze) e gli stati d’animo che li partoriscono.
La moltitudine solitaria viene rappresentata nell’atto di aspettare la velocità delle ultime
biciclette, una chiara contestazione al mondo tecnologizzato è l’elemento connotativo
posto vicino a biciclette, simboli di un trasporto tradizionale, umano, non inquinante, un
mezzo di trasporto pulito che consente la visuale del mondo, all’aria aperta a chi lo guida:
últimas è ciò che qualifica quest’umile strumento di velocità, una velocità che è sinonimo
di dinamicità e spostamento (lontano quindi dalla stasi tanto drammaticamente
rappresentata nell’immaginario lorchiano), ingoiata come appare nella realtà delle
automobili e delle torri, strutture metalliche oppressive che ostacolano la visuale intera del
paesaggio che finiscono per inglobare nella loro pervertita natura scientifica, fatti di
numeri e di figure geometriche, l’uomo stesso che le guida.
34 Piero Menarini, Poeta en Nueva York di Federico García Lorca. Lettura critica, Firenze, La Nuova Italia,
1975, pp. 222.
10

La ripetizione al femminile del verso iniziale non fa che confermare l’inevitabilità della
solitudine e di questa vana attesa che non può che avere esito fallimentare nel mondo di
New York, per la zona di Battery Place, dove automóviles cubiertos de dientes 35 sfrecciano
per le strade ostruendo tutto il campo visivo portuale e limitando ogni tipo di percezione
umana.
L’unica cosa che appare possibile attendere è quindi la morte di un bambino su un veliero
giapponese, un’immagine di lugubre chiarezza, che ci riporta dal mondo delle strade a
quello dove la scena si consuma interamente, la zona portuale.
Qui le libertà fisiche e morali attribuite al mare e agli elementi facenti parte del suo campo
semantico (la barca, il marinaio, il veliero, la flora e la fauna acquatiche) vengono
completamente privati della loro accezione positiva e assimilati nel paradigma negativo
della morte violenta ai danni del personaggio emblematico e probabilmente più positivo
riscontrabile in tutta la produzione lorchiana:
Es la niñez del mar y tu silencio
donde los labios vidrios se quebraban.
[…] Amor amor amor. Niñez del mar. 36
Lloraba el niño del velero y se quebraban los corazones
angustiados por el testigo y la vigilia de toda las cosas. 37
Il mare, da simbolo privilegiato della purezza e dell’ingenuità positiva infantile che colloca
il niño in una posizione di purezza e verginità rispetto l’amarezza che contraddistingue il
mondo, diviene qui l’elemento che lo priva della vita nel veliero e della sua inesperienza
circa il male che lo circonda, posizionandolo su quel vascello di cuori spezzati che
conoscono e hanno visto l’angoscia di tutte le cose. Il mare è dunque la morte
dell’infanzia.
Il veliero è ulteriormente danneggiato dalla sua provenienza giapponese, assimilabile allo
schema occidentale per il quale, come anche per i cinesi, il poeta riconosce una natura
culturale violenta e dedita per tradizione alle torture e agli stupri.
35
Federico García Lorca, « El rey de Harlem», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino,
2008, v. 133, p. 53 .
36
ID., «Tu enfancia en Menton», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008,
vv. 5 ‐ 6, p. 14.
37
ID., «Paisaje d la multitud que orina», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008,
vv. 15 ‐ 18, p. 53.
11

Se quedaron solos y solas.
L’anafora, come un martellante ritornello riappare nell’immagine definitiva di come
l’umanità si sia emarginata essa stessa dalla vita, solos y solas, uomini e donne ma nessun
bambino, scomparso in quel veliero e con lui la generazione futura.
Inizia poi la descrizione vera e propria del panorama di Battery Place, introdotto dal verbo
soñando che pone al limite tra l’attività inconscia e il piano della realtà gli animali e gli
eventi riportati.
I sette versi successivi appaiono come uno spostamento di senso dalla parte iniziale che,
teorizzando uno scenario di solitudine e morte, registra in ogni caso un avvenimento che si
sta dispiegando in un tempo preciso del passato con il Se quedaron: soñando ci introduce
invece in una sorta di dimensione parallela agli eventi di cui si stava raccontando, una sorta
di pausa meditativa che prende la forma di una grande metafora e riflessione metapoetica
sulla degenerazione in atto dell’arte scrittoria e sull’incapacità di comunicazione anche tra
creature dello stesso ambiente fisico.
La questione poetica è subito rappresentata da los picos abiertos de los pájaros, immagine
sostanzialmente positiva che attribuisce agli uccelli, animali dinamici abitanti del cielo e
vicini col loro canto al canto in versi del poeta, la qualità dei becchi aperti, fotografati
quindi nell’atto stesso del cinguettio melodioso e della comunicazione poetica.
In realtà questo canto liberatorio è del tutto assimilato nel paradigma negativo mortuario,
dato l’aggettivo agonizantes che connota gli uccelli : il suono della voce poetica è quindi
solo una disperata richiesta d’aiuto, un’ultima invocazione spezzata dall’agonia e dal
dolore sul letto di morte.
La poesia sta lentamente morendo quindi sulle bocche dei poeti contemporanei:
l’ispirazione si sta esaurendo, non rimangono che ultimi tentativi (nei quali di certo si
inseriscono anche quelli lorchiani del 27) miserabili e fallimentari che non riescono ad
invertire il corso distruttivo definitivo.
Come in Vuelta de Paseo, Con el árbol de muñones que no canta 38 , la poesia appare
fratturata e mutilata, soffocata come la mariposa ahogada en le tintero 39 , e similmente a
Tu infancia en Menton il poeta denuncia questa condizione dello scrittore attraverso
insufficienti frammenti di suppliche:
38 ID., «Vuelta de paseo», Poeta en Nueva York , a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, vv. 5 ‐ 6,
p. 4.
39 Ibidem, v. 10.
12

No me tapen la boca los que buscan
espigas de Saturno por la nieve
o castran animales por un cielo,
clínica y selva de la anatomía. 40
Una velata immagine apocalittica prorompe nei versi successivi, attraverso quel agudo
quitasol, oggetto la cui funzione primigenia è di oscurare il sole, privare il mondo della sua
luce e del calore con i quali la Terra si nutre e sboccia in verdi paesaggi naturali e
sostentamento dell’umanità, che appare contraddistinto da quell’aggettivo agudo,
esattamente come l’angolo acuto che lo inserisce nel paradigma lorchiano negativo delle
forme geometriche che costruiscono le strutture di New York, quell’insieme di linee rette,
aspre e spigolose che regolano e ordinano anche l’estetica del paesaggio.
L’azione del quitasol, oltre a quella sottesa d’oscurare la luna con i sui rigorosi profili, è
anche quella d’infilzare il rospo appena schiacciato (gioco tipico dei bambini nella prima
infanzia è quello di pungere con gli spilli i piccoli animali, i rospi, le lucertole: il primo
approccio dell’uomo con la natura è necessariamente violento e la violenza dell’uomo è
insista in lui dalla nascita), attuare quindi quella forma d’aggressione violenta piccola, ma
pur sempre letale, su una creatura precedentemente morta, manifestando, con l’attacco
ripetuto, l’accanimento verso la natura più indifesa, più vulnerabile e abbandonata (la
stessa natura del niño ucciso nel veliero e dei neri di New York, minoranza emarginata).
La corrispondenza tra il rospo, suo corrispettivo maschile, e la rana, figurazione positiva
del poeta e del canto artistico, è in realtà solo apparente: nella simbologia lorchiana il rospo
è assimilabile alla figura diabolica tradizionale, per via delle corna e dell’iconografia
popolare e classica; in questa sede tuttavia esemplifica quell’immagine di natura quieta e
debole, che discretamente, nell’atto di condurre la sua esistenza mite, viene stroncata.
Ma la brutalità perpetrata sulla salma del rospo non è che il seguito dell’aggressione già
consumata dal silencio con mil orejas, lo stesso silenzio poetico che ha chiuso gli
agonizzanti becchi aperti degli uccelli impedendo la comunicazione, ogni possibilità di
rapporto umano.
L’immagine ossimorica di questo silenzio con mille orecchie che sembrano quasi protese
ad ascoltare questo statico non suono nella speranza di captare un segnale dalle diminuitas
bocas de agua que resisten, include, apparentemente, il miraggio di una possibilità di
40 ID., «Tu infancia en Menton», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008,
vv. 34 ‐ 37, p. 16.
13

partecipazione a questa comunicazione negata dal silenzio, che si riallaccia alla scena
iniziale di solitudine ( e quindi di silenzio coatto) dove gli uomini se quedaron solos.
Seppur minuscole, diminuite nella loro capacità, le bocche sono ancora fertili e creatrici
(de agua), volenterose di instaurare un dialogo, d’intonare un canto che possa resistere,
reagire e combattere en los desfiladeros, in quei valichi che, in quanto luoghi di passaggio,
possono aprire l’accesso a una nuova realtà senza silenzio.
Resistere dunque, a el ataque violento de la luna, quell’aggressione che da piccola e velata
ai danni del rospo si palesa in tutta la sua smisurata imperturbabilità ai danni dell’umanità
intera: la luna, emblema mortifero di indifferenza e distacco verso l’umana sofferenza,
luna de amianto 41 , luna con la quale yo estaba en la terraza luchando 42 , la luna che ha
sotto di sé las copas falsas, el veneno y la calavera de los teatros 43 , la luna prisionera que
devora a un marinero delante de los niños 44 , la luna con un guante de humo sentada en la
puerta de sus derribos 45 , la luna que copiaba en su mármol nombres viejos y cintas
ajadas 46 .
L’immagine argentea di perenne impassibilità della Luna è in realtà lo spunto per la
metafora più ampia della resistenza della poesia sentimentale in opposizione a questa,
vitale, romantica e al tempo stesso surrealista, carica di umane emozioni verso quella
statica e distante poesia dell’Accademia, poesia che ricerca la sua perfezione
nell’estromissione del dato umano e delle sue passioni a vantaggio di una forma pura,
perfetta.
L’opposizione a questa cristallizzazione della poesia accademica contro quella umana è
una delle isotopie portanti dell’intero sistema organico di Poeta a Nueva York: Mi coral en
la tiniebla 47 che in Son de negros en Cuba, posto significativamente al termine della
raccolta poetica, vuole ribadire la scelta lorchiana di poesia naturale ed emozionale, tanto
quanto di reagire al silenzio sordo delle tendenze letterarie dominanti e, più
41 ID., « El rey de harlem», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, v. 28, p. 24.
42 ID., «Danza de la muerte», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, v. 52,
p. 42.
43
Ivi, v. 63, p. 44.
44
ID., «Nocturno del hueco», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, v. 48,
p. 104.
45
ID., «Luna y panorama de los insectos», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino,
2008, vv. 82 ‐ 84, p. 122.
46
ID., «Cementerio Judio», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, vv. 51 ‐ 52,
p. 136.
47 ID., «Son de negros en Cuba», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, v. 30,
p. 174.
14

profondamente, all’intera realtà straniata e deprivata della sua voce poetica nella società
occidentale degli anni Trenta.
Di nuovo riappare il bambino del veliero giapponese, piangente non solo per la sua
condizione che di lì a poco lo condurrà alla morte ma anche per i cuori spezzati e
angustiados por el testigo y la vigilia de todas las cosas: un diretto richiamo a
quell’ingenuità pura e fragile che distingue il periodo infantile, del Niño Stanton 48 e de tu
niñez, ya fabula de fuentes 49 , così come anche gli occhi del poeta a 10 anni, età simbolica
del passaggio dall’infanzia all’età adulta:
Aquellos ojos míos de mil novecientos diez
No vieron enterrar a los muertos,
ni la feria de ceniza del que llora por la madrugada
ni el corazón que tiembla arrinconado como un
caballito de mar. 50
La consapevolezza delle cose che lo circondano e la testimonianza visibile di quei cuori
spezzati (verosimilmente un richiamo al rapporto amoroso fallimentare) sono quindi, in
rapporto diretto con il veliero giapponese, la causa della morte del niño , una morte che
sempre più non si configura come fisica ma si esplica nella sua accezione interiore come
distruzione dell’innocenza e dei sogni infantili e la fine conseguente della fanciullezza.
Il pianto del bambino continua anche perché gritaban nombres oscuros, salivas y radios de
niquel: l’ellos sotteso al gritaban ci ricongiunge all’ellos di se quedaron solos del primo
verso, che annuncia una nuova azione, apparentemente di ribellione, quella del gridare, dal
margine della loro solitaria condizione.
Il grido infatti è fatto di nomi oscuri, portatori d’un cromatismo tetro e senza luce e d’un
significato scarsamente decodificabile: i nomi non si capiscono attraverso il grido (la voce
del poeta) né possono essere visti nel buio della notte della luna (la vista dl poeta).
In questo modo i due sensi che sottostanno all’espressione poetico-letteraria vengono
annullati e oscurati completamente dai raggi di nichel, quasi degli snaturati e mineralizzati
raggi di sole (che però essendo oscurato dal quitasol non può donare la sua luce) che
offuschino e nascondino il vero senso e la natura delle cose e delle parole.
L’elemento scatologico della saliva, connesso a quello del titolo orina, vuole rafforzare
l’idea di disprezzo umano verso il paesaggio e al tempo stesso vanificare qualsiasi
48 ID., «EL nino Stanton», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008.
49 ID., «Tu infancia en Menton», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008.
In realtà verso tonato da Jorge Guillen dal quale prende inizio la poesia lorchiana.
50 ID., «1910», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino 2008, vv. 1 ‐ 5, p. 6.
15

speranza o aspettativa del niño, delle mil orejas e delle bocas de agua di avere qualsiasi
prodotto da los picos abiertos de los pájaros che non sia saliva, metonimia per sputo,
umore del corpo, rigetto, rifiuto, disprezzo della voce agonizzante.
Il nichel, come esponente dei metalli bianchi, è l’epicentro del paradigma negativo che nel
componimento passa dal veliero, per lo spillo che infilza il rospo e per l’argentea luna sino
al cromatismo del suelo celeste de negras huellas che da bianco e freddo diviene nero e
portatore d’un significato mortifero.
L’immagine si caratterizza per tre ossimori concatenati che interessano innanzi tutto il
suolo celeste, colorazione naturalmente immaginata per il cielo, suo opposto fisico,
naturale e geometrico: il suolo, dal cromatismo scuro della terra marrone e nera, viene
sublimato in un colore chiaro, promossa a un rango superiore sia per posizione che per la
tradizionale credenza secondo la quale la volta celeste è sinonimo d’ascensione verso il
bene, il paradiso e la dimora di Dio.
Il secondo ossimoro è l’accostamento tra questa terra convertitasi in celeste con le nere
impronte: il suolo di negras huellas si trova di nuovo tramutato in quello che era
originariamente, un insieme di sfumature castane e lontane dal cromatismo divino.
Quest’apparente ristabilimento di senso viene di nuovo contraddetto dall’ultimo ossimoro
proposto: las negras huellas porta in sé due sensi convergenti, il colore nero da una parte e
dall’altra l’immagine delle impronte che immediatamente riportano a uno scenario di neve
distesa ove il passaggio dei camminanti sia subito visibile sopra il fresco biancore.
Ecco che la rappresentazione del paisaje dove la multitud orina diviene più nitida: una
distesa di gelo dove le voci, il canto e le grida si disperdono nel silenzio, dove le biciclette
non posso circolare, dove gli uomini e le donne rimangono soli e i bambini muoiono tra
raggi metallici d’un solo oscurato dalle nubi e dal quitasol.
Inizia quindi la seconda sezione della poesia introdotta da una negazione che riporta sullo
scenario il bambino visto nel dispiegarsi di quella tortura di spilli ad opera del veliero
giapponese.
Cuando le claven el último alfiler si riaggancia totalmente al quitasol que pincha al sapo
recien aplastado, la stessa immagine di morte piccola attraverso lo spillo, la reiterata
violenza ai danni del bambino, lo stesso che nei suoi giochi infantili infilzava le lucertole
con gli aghi e al quale il veliero ora riserva la stessa sorte.
Ecco che il rospo, creatura inerte di fronte all’attacco violento della luna (poiché ad opera
del quitasol che nasconde la luce del sole immergendolo in una prematura notte)
16

s’identifica col niño, entrambi torturati sul vascello, entrambi trafitti dall’ último alfiler e
entrambi muti (el niño calle) di fronte all’azione inevitabile della morte.
L’anafora Ni importa introduce una seconda realtà di dolore, quella che vede la sconfitta
della brezza (il vento in accezione positiva, naturale) en la corola del algodón:
un’immagine che rappresenta l’altro mondo deprivato della sua natura e della sua libertà, la
minoranza dei neri a New York, quelli di Harlem, cara a Lorca poiché rappresentante di
un’umanità sopraffatta dalla freddezza dell’occidentale bianco, da quello spirito di nichel e
metallo che distrugge la corolla e los leves tallitos del canto 51 , del cotone, pianta
rappresentativa dell’oppressione bianca (colore della freddezza e dell’isolamento) sul
mondo dei neri e richiamo a quei campi di schiavitù dove, per generazioni, padri e figli
afroamericani furono sfruttati e sconfitti come la brisa.
Tutto questo può e continua ad accadere porque hay un mundo de muerte, una sentenza
conclusiva che non lascia spazio a nessuna forma vitalistica, né animale (rospo), né
vegetale (corola de algodón), né naturale (brisa) né umana (niño), un mondo distrutto
dalla morte dove le uniche figure rimaste sono i marineros definitivos, nuova immagine di
libertà e dinamicità ribaltata (come già il veliero) con la classificazione di definitivi,
immobili e statici come las estatuas y los ojos de cristal definitivo 52 .
Questi stessi occhi di cristallo definitivo appaiono connotativi dei marinai stessi, che
s’affacciano agli archi (luogo privilegiato di passaggio che può permettere l’accesso a una
realtà migliorata) e che vi agghiacciano da dietro gli alberi.
Questi occhi disumanizzati e mineralizzati non possono che agghiacciare, paralizzare e
congelare qualsiasi sentimento umano dei marinai, limitare qualsiasi nuova prospettiva di
miglioramento attraverso quegli archi e assimilare nel loro mondo pietrificato, fatto di
cristallo e di gelo, quegli alberi dietro i quali si nascondono (quest’ultima rappresentazione
potrebbe sottendere anche alla sessualità incarnata dai marinai, da sempre simbolo
omosessuale, che, schiva e emarginata, deve nascondersi dietro gli alberi per proteggere la
sua intimità).
Il cristallo definitivo e il verbo helarán congiungono l’ultima immagine a quella
precedente di suolo innevato di nere impronte, dipingendo uno scenario che non muta nel
tempo.
51
ID., «Danza de la muerte», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici , Einaudi, Torino, 2008, v. 26,
p. 42.
52
ID., « Grito hacia Roma», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici , Einaudi, Torino, 2008,
vv. 41 ‐ 42, p. 148.
17

Lorca procede quindi con una voce profetica e rassegnata, impossibilitata a cercare una
consolazione e allo stesso tempo proclama una sorta di manifestazione di poetica: Es inútil
buscar el recodo/ donde la noche olvida su viaje/ y achecar un silencio que no tenga/
trajes rotos y cáscaras y llanto: è vano cercare una svolta poetica e umana, nella civiltà
come nella scrittura, dove la notte, la sua oscurità e la sua atmosfera funebre di luna
d’argento dimentica il suo viaggio, l’estremo e ultimo viaggio conclusivo della vita; è
inutile spiare (azione che richiama la visione de los marineros detrás de los árboles) un
silenzio, quello del becco muto degli uccelli che le mille orecchie non riescono a carpire,
che non abbia abiti rotti, lacerati dalle torture e dalle ferite degli spilli e gusci vuoti, senza
vita e pianto, manifestazione primigenia del dolore del niño.
È inutile occuparsi e scrivere d’una poesia esente dalla versione personale, che non tenga
conto del pianto, dei sentimenti, della soggettività pura, di quei vestiti stracciati dell’anima
e dai gusci sottratti alla vita.
La denuncia all’Accademia è qui più vivida che mai : il poeta, colto da una crisi letteraria
nel ’27, che aveva egli stesso sperimentato la poesia pura non emozionale sulla scia dei
classici, comprende che l’unica poesia che possa essere ascoltata da quelle mil orejas è
quella scrittura viscerale che abbraccia le smodate passioni dell’animo umano, che le
afferra e smembra per cercarne l’origine profonda, la poesia scritta con sofferenza e amore
e il dolore degli spilli e della tortura esistenziale.
Questo è vero poiché el equilibrio de todo el cielo, la rigida forma stabile perfettamente
ragionata della poesia accademica, è in realtà cosi precario e futile da essere facilmente
spezzato dal diminuto banquete del araña, un piccolo ragno, una forma animale così
minuta e innocua, dalle mille zampette in movimento che con il suo banchetto, la sua festa,
la sua celebrazione, il suo estro, il genio poetico e la manifestazione del suo essere,
possono sconvolgere una poetica fredda e scevra d’emozionalità umana, sovvertire l’intero
ordine dei cieli, delle cose sacre e quindi del loro riflesso sulla terra.
Allo stesso modo però continua ad essere inevitabile il destino della poesia contemporanea,
della vita umana nelle strade di Battery Place, dei poeti nascosti dietro agli alberi e negli
angoli: no hay remedio. La soluzione non può essere trovata, quindi non va nemmeno
cercata.
Non c’è rimedio tanto per il gemito e la sofferenza del bambino torturato e morente sul
veliero giapponese quanto per estas gentes ocultas que tropiezan con las equinas: la gente,
ellos e ellas dei primi versi, il niño, i marinai e i poeti nascosti (nuovo richiamo al campo
semantico dell’omosessualità nascosta) non hanno possibilità di sopravvivenza,
18

inciampano continuamente nella loro volontà di riscatto e metamorfosi per poi finire negli
angoli (acuti come il quitasol):
Entre las formas que van hacia la sierpe
y las formas que buscan el cristal […]
Tropezando con mi rostro distinto de cada día 53
Costretti ad oscillare tra forme che tendono al dinamismo, alla vita e alla rivolta (sierpe) e
a quelle solide, immobili di cristallo (definitivo).
La campagna, luogo privilegiato in cui l’uomo riesce a riscoprire il contatto con Madre
Natura, qui se muerde la cola: la Natura appare così animalizzata, come un cane,
(immagine mortifera legata all’iconografia egizia in cui il Dio Anubi, re del mondo dei
morti, ha testa di cane 54 ), e si morde la coda, rincorrendo se stesso in un progressivo e
circolare svolgersi degli eventi in cui la sua tensione para unir las raíces en un punto, tutta
l’umanità alle sue radici naturali, le stesse radici umane che New York non possiede, fanno
si che il gomitolo, il filo proteso con la sua lunghezza e il suo movimento verso le radici
per trovare la sua soddisfazione, sia teso in un doppio movimento ma incontri solo la
gramigna, rappresentante della natura nella sua accezione negativa, una pianta nociva che
con la sua presenza distrugge tutta la vita che la circonda.
A questo punto Lorca, dopo la constatazione miserabile e affranta della realtà per ciò che
gli appare dalle banchine di Battery Place, si erge contro questa attraverso un’invettiva che
coinvolga tutto il paisaje, tutta la multitud, che possa riscattare le sembianze paradossali e
perverse di questo mondo senza poesia.
L’indignazione procede attraverso la figura retorica dell’apostrofe, nel rivolgersi
direttamente ai soggetti ai quali la denuncia è diretta e dall’enumerazione caotica in un
secondo tempo, attraverso l’accostamento di diverse sfere sensoriali e elementi
apparentemente incomprensibili, nello stesso periodo.
¡La luna! Los policías. ¡Las sirenas de los transatlánticos! L’invettiva percorre questi
soggetti tutti simbolo del corrotto andamento della natura e della società: la luna, colei che
porta la morte con l’argentea sfumatura della sua indifferenza, la polizia (la guardia civil
53
ID., «Vuelta de Paseo», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, vv. 2 ‐ 3,
p. 4.
54
Riferimento visibile nella poesia «Paisaje con dos tumbas y un perro asirio», Poeta en Nueva York, a cura
di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008.
19

del Romancero Gitano 55 ), quelle forze dell’ordine che contribuiscono, con l’abuso del loro
potere, alle torture imposte al bambino del veliero giapponese, alla stabilità del mondo
delle norme e delle linee rette, delle forme geometriche del cristal definitivo, e
all’impossibilità di muoversi del ovillo verso la soddisfazione delle linee curve, e le sirene
dei transatlantici, immagine che fa riferimento alla tradizione epica che le vede come
portatrici del canto e ammaliatrici di marinai sopra mitici velieri che solcavano i mari alla
ricerca di mondi nuovi, qui trasfigurate negli assordanti allarmi ripetuti sulle navi che
portano gli schiavi verso una nuova schiavitù e gli uomini delle grandi aspettative verso lo
schianto esistenziale di una realtà ostile.
Il riferimento all’esperienza personale di Lorca è evidente: egli lascia Granada alla volta di
New York speranzoso di una nuova libertà fisica e intellettuale (e amorosa) sull’Olympic,
uno dei tre transatlantici gemelli della White Star Line con la quale attracca nell’isola di
Manhattan il 25 giugno 1929 56 .
L’enumerazione accosta poi una serie di immagini che postulano l’inconsistenza della
realtà dei transatlantici e delle città: fachadas de orin, finestre di palazzi di ruggine, ruvide
e rossastre fenditure di degenerazione metallica che richiamano il senso del tatto; de humo,
che, facendo capo ai sensi della vista e dell’olfatto designa l’impalpabilità della vita a New
York; anémonas, fiori cimiteriali (e tuttavia anche dall’accezione marina) che riconducono
ai sensi dell’olfatto con il loro olezzo funerario e il loro cromatismo violento; guantes de
goma, che presentano un senso del tatto alterato, fatto di una gomma che impossibilita il
rapporto diretto della mano con gli oggetti, dell’uomo con le cose.
In definitiva, la verità che si preannunciava con Es inútil buscar el recodo appare conclusa
nel Todo está roto por la noche, abierta de piena sobre las terrazas: tutto è rotto, spezzato
e privato della sua uniformità, tutto è distrutto dalla notte che con la sua oscurità assimila i
raggi di nichel e la luna dei poliziotti e appare qui antropomorfizzata poiché fotografata
nell’atto di rimanere a gambe aperte sulle terrazze.
Questa identificazione donna - notte disegna una chiara immagine di violazione: l’atto
sessuale, visto come violenza poiché tutto è rotto, lascia la donna a gambe aperte, come
abbandonata con sdegno e noncuranza dopo l’atto sessuale consumato contro la sua
volontà, su quelle stesse terrazze che già il niño - Lorca aveva raffigurato come luogo
d’incontro degli amanti:
55 ID., Romancero Gitano, “Revista de Occidente”, Madrid, 1928.
56 Introduzione a Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008.
20

En el seno traspasado de Santa Rosa dormida,
en los tejados del amor, con gemidos y fresca manos,
en un jardín donde los gatos se comían a las ranas 57 .
Tutto continua a essere distrutto nei tiepidi tubi di una tremenda fonte silenziosa: la fuente
della poesia, quell’acqua vitale e calorosa che solo appare tiepida per quei tubi da dove
l’acqua non riesce a sgorgare più.
La fon seca 58 , che appare come mot valyse in Son de negros en Cuba, rappresenta la
sterilità e l’aridità della vita e della poesia a Lorca contigente: todos está roto perché nelle
vene delle fonti non scorre e non scorrerà mai più una goccia di vita che possa alimentare
la scrittura e l’invettiva del poeta.
L’apostrofe finale richiama invece all’attenzione quella folla, la multitud, che deve essere
risvegliata specularmente contro la luna, i poliziotti e le sirene dei transatlantici: ¡Oh
gentes! ¡Oh mujercillas! ¡Oh soldados!
Tuttavia la massa interpellata non appare all’altezza di una tale rigenerazione, la
rivoluzione auspicata dal poeta non riesce a trovar un pubblico che possa cogliere la
grandezza della miseria della città: gli uomini sono inglobati nel generico appellativo di
gente, un’anonima massa informe quindi nella quale i contorni appaiono sempre più
sfumati, le donne sono diminuite nell’esortativo donnette, che ne rivela le discutibili
qualità morali e il modesto valore intellettuale, i combattenti, i rivoluzionari, coloro che
dovrebbero sollevare il cambiamento verso la purificazione del mondo non sono che
semplici soldati, aiutanti deformi di quei poliziotti subordinati all’ordine, obbligati
anch’essi al rispetto delle regole della città, pronti a donare la loro vita per una causa nella
quale sono chiamati a combattere per denaro, mercenari della guerra e non idealisti
rivoltosi.
L’unica soluzione quindi, appare quindi una personale Apocalisse, un viaggio, un cammino
che porti verso gli occhi degli idioti (come quel pico idiota del faisán 59 , al quale il Papa dà
il bacio prodigioso) campi liberi, simboli d’una natura liberata dalla sua prigionia dove,
come il vento, silban mansas cobras deslumbradas: fischiando attraverso i prati come una
leggera brezza, i cobra, quei serpenti verso la qual forma tendere per riappropiarci della
57
Federico García Lorca, «1910», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008,
vv. 14 ‐ 16, p. 6.
58
ID., «Son de negros en Cuba», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, v. 13,
p. 174.
59
ID., «Grito hacia Roma», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, v. 25,
p. 148.
21

nostra umanità, docili e fragili, già ingannati dalle forme del cristallo definitivo e dagli
occhi degli idioti che non ne riconoscono la natura benigna, arriveranno a nuovi paesaggi,
un paesaggio diverso da quello disprezzato della multitud que orina.
L’attesa del cambiamento del mondo ricade però, improvvisamente in un nuovo, definitivo
sconforto: i nuovi paesaggi auspicati liberi e redenti dai tumulti delle città sono in realtà
sterminate lande de sepulcros que producen fresquísimas manzanas, rinnovati cimiteri
collettivi dove, dall’erba che consuma la vita dalle salme sotterranee, crescono
freschissime mele, fatte di sangue e carne umani, frutto del peccato che associa questo
paesaggio di sepolcri a un nuovo Eden perverso, dove i morti che risorgono nei cieli
vengono in realtà divorati dagli stessi uomini che, peccando, consumano le freschissime
mele in un atto d’estremo cannibalismo e disprezzo per l’umanità .
Le mele poi ci riportano a quella forma di tortura e morte sottile che abbraccia l’intero
componimento a partire dalle torture inflitte al bambino del veliero, sono quelle Manzanas
levemente heridas por fines espadines de plata 60 che riassumono la condizione umana di
eterna e reiterata sofferenza quotidiana.
Para que venga la luz desmedida: perché l’oscurità ricercata nella notte spezzata sui tetti e
il buio di raggi di nichel vengano distrutti insieme a quel quitasol che impedisce la luce; la
smisurata immagine di illuminazione sembra quasi voler rappresentare una discesa divina
che con la sua luminosità possa schiarire l’oscurità dei nomi gridati e ristabilire un rapporto
di comunione tra l’uomo e la terra che lo ospita.
Ed è per questo che la luce è temuta da los ricos detrás de sus lupas, ormai troppo lontani,
causa la moneda che scandisce le loro vite e ne oscura la vista con le lenti d’ingrandimento
che falsano l’aspetto della vera realtà, dalla possibilità di riemergere dagli angoli acuti
della civiltà che essi stessi hanno contribuito a creare, los paisajes llenos de sepulcros.
Il poeta auspica a una realtà in cui l’uomo appaia in una doppia dimensione del suo essere,
(allusione velata alla sua omosessualità), un solo corpo ma con un doppio aspetto di iris, el
lirio del oscuro desván 61 , e di ratto, e con un solo ambivalente olor, che sappia di
profumato fiore del passato felice e inconsapevole del bambino ( il fiore che per Garcilaso
richiama l’innocenza, la purezza e il candore) per vivere in armonia con la natura, e di
ratto, dall’odore meno gradevole ma con la forza del movimento e del rischio nel pericolo,
60 Ivi, vv. 1‐2, p . 146.
61 ID., «Pequeno Vals Viennes», Poeta en Nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino, 2008, v. 15,
p. 164.
22

condannato per questo a vivere in quegli angoli e dietro agli alberi in cui anche il poeta
spesso si rifugia.
Così da estirpare per sempre dal paesaggio che Lorca vuole contemplare questa
moltitudine che continua a orinare sopra la natura e attorno a un gemito, il gemito di
sofferenza e paura del bambino assassinato, della donna violentata, degli uomini rimasti
soli, dei marinai definitivi e della campagna violata dalla luna, dai poliziotti e dalle
soffocanti sirene dei transatlantici, così rumorose da coprire il suono del canto degli uccelli
agonizzanti sino ad assordire quelle mille orecchie protese verso le bocche aperte dei poeti.
Para que se quemen estas gentes que pueden orinar alrededor de un gemido, perché la
multitud venga bruciata, punita per il suo crimine e purificata, attraverso il fuoco, dei suoi
peccati, condannando la realtà del cristallo, la morte definitiva dell’umanità.
Per azzittire le assordanti sirene, per distruggere le lenti dei ricchi, e scaldare i tubi tiepidi
della fonte silenziosa così che se comprenden las olas nunca repetidas, così che le voci
ispiranti del poeta siano assimilate per sempre nella coscienza collettiva per auspicare a un
futuro fatto di canto e comunione con la natura.
Le onde, le oscillazioni e i movimenti perpetui del mare salvifico che, liberando la parola
poetica dalla sua prigionia di cristallo , possano genera nuovi versi e nuovi voci pronte a
sollevarsi contro la civiltà moderna, poesie mai ascoltate prima, mai ripetute e mai scritte
né mai lette: una nuova combinazione di versi per una nuova letteratura, una nuova
letteratura per un nuovo poeta, un nuovo poeta per un nuovo mondo.
23

Bibliografia
GARCÍA LORCA, FEDERICO, Poeta en nueva York, a cura di Glauco Felici, Einaudi, Torino,
2008
GARCÍA – POSADA, MIGUEL, Lorca: interpretación de “Poeta en Nueva York”, Akal, 1981
MENARINI, PIERO, Poeta en Nueva York di Federico García Lorca. Lettura critica, La
Nuova Italia, Firenze, 1975
24