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PSICO 10/07/07 11-07-2007 11:01 Pagina 14<br />
vedì». Lei sistemava i soldi ben ordinati sul tavolino che<br />
separava le nostre poltrone e si dirigeva verso la porta, dove<br />
ci stringevamo nuovamente le mani.<br />
Solo in poche occasioni all’«Arrivederci» si aggiungeva un<br />
«Buon Natale» o «Buone vacanze» e poco altro… questo<br />
per cinque lunghi anni.<br />
Con un’unica eccezione, quando un giorno ormai sulla<br />
soglia mi disse: «Domenica ho visto la sua auto parcheggiata<br />
dove c’è la multisala; però dalla macchina non è sceso<br />
lei, ma una persona che soltanto le somigliava. Dalla<br />
sua auto dovrebbe scendere lei, e non persone che sono<br />
diverse anche se somigliano a lei».<br />
Qualche settimana più tardi tornò sull’argomento nel corso<br />
della seduta, ma io la interruppi in modo fermo: «Non<br />
si inquieti» le dissi «quella domenica l’auto serviva a mio<br />
figlio».<br />
Avevo conosciuto Ketti in occasione di un ricovero turbolento,<br />
nel bel mezzo del corridoio del reparto di Psichiatria.<br />
Era circondata dai lettighieri di un’ambulanza parcheggiata<br />
all’ingresso con i lampeggianti ancora accesi, e da almeno<br />
tre carabinieri, incerti se considerare il loro intervento<br />
uno spreco di tempo o una missione impossibile.<br />
Ketti veniva ricoverata per un T.S.O. (Trattamento Sanitario<br />
Obbligatorio), e mentre scorrevo gli incartamenti del<br />
sindaco e dei due medici che ne avevano decretato il destino,<br />
sopraggiunsero il padre e la sorella.<br />
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