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PSICO 10/07/07 11-07-2007 11:01 Pagina 38
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Non potrei dire quanto durò: forse il tempo che l’auto
impiegò a disegnare un giro di novanta gradi, coinvolgendomi
passivamente nel cambiamento di prospettiva.
Mentre quella mezza capriola mi rimandava alla certezza
della mia morte, mi sembrò di vedere, sotto la volta del
cielo, un altro me stesso che affacciato al guard-rail mi
guardava volare di sotto, come se assistesse al replay di una
scena al rallentatore.
Mi scrutava pensieroso, ma non preoccupato. Seguiva
con lo sguardo la traiettoria del mio salto, con un’espressione
da psichiatra un po’ esasperato che finì, paradossalmente,
per darmi sui nervi.
L’auto puntava a capofitto verso il fiume, che vedevo avvicinarsi
pericolosamente. Milioni di neuromediatori tempestavano
il mio cervello, quasi a volerlo proteggere da
quella grande paura: scenari e ricordi si affastellavano nella
mia mente, come le immagini di un film di cui ero l’interprete
principale.
Quando mi capovolsi, fui certo che ciascuna di quelle
molecole si fosse rigirata con me, sgusciandomi dalle
mani e ricombinandosi con una finalità nuova e a me
sconosciuta.
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