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PSICO 10/07/07 11-07-2007 11:01 Pagina 64
Eppure, nonostante le tante pressioni, sentivo di non
voler raccogliere una sfida che era così palese da essere
sospetta, e continuavo a starmene seduto, offrendomi al
mio destino come quel giorno in libreria, in attesa del
primo schiaffo e di quelli successivi, meno sonori, forse,
ma di certo molto più rumorosi.
Intanto, piano piano, dentro di me studiavo Ketti senza
sosta, cercando di capire il senso del suo comportamento.
Era come se la sua antica ossessione di essere esposta agli
occhi di tutti in quelle foto della giovinezza si stesse materializzando
in una nuova realtà, altrettanto alterata. Ketti
dava corpo al suo prepotente desiderio di essere visibile,
riconosciuta, famosa; quasi che soltanto il suo darsi, sempre,
fino in fondo, potesse garantirle la considerazione
degli altri. E farla sentire finalmente degna dell’amore di
un uomo, o di un padre.
Sapevo però che questa interpretazione non bastava a
spiegare tutto, che non dovevo accontentarmi. Sospettavo
che questa rinnovata sovraesposizione veicolasse
altri significati.
E cominciavo a capire che il destinatario di questo metamessaggio
era lo stesso cui aveva riservato il suo schiaffo,
lo stesso che, alla fine di ogni intervento, non dimenticava
mai di citare: ero io, insomma.
Questa piccola intuizione si rafforzò in me quando un
noto quotidiano nazionale pubblicò nell’edizione
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