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Dove danzano gli angeli - Stefano Emanuele Ferrari

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un noto complesso rock che riempivano la stanza e quel fotografo<br />

con l’occhio socchiuso, proteso sul mirino, tutto per me.<br />

Scattò una decina di rullini. Volta per volta mi suggeriva le pose da<br />

adottare - in piedi, seduto, di profilo - costringendomi spesso a<br />

scomode posizioni. Era un continuo: «… Apri un po’ le labbra,<br />

voltati un po’ a destra, porta un piede in avanti, spostati un po’ i<br />

capelli, alza un po’ la testa, stai rilassato, fai un bel respiro, perfetto,<br />

così, bello, bellissimo…». Inizialmente lo seguivo alla lettera, come un<br />

automa, ma poi, scatto dopo scatto, sentendomi più padrone della<br />

situazione, presi un po’ di iniziativa, e iniziai a divertirmi.<br />

«Abbiamo fatto un bel lavoro» mi disse, sfilando l’ultimo rullino.<br />

«Sei stanco?».<br />

«Un po’».<br />

Mi guardò mentre mi stiravo, sorrise.<br />

«Per me lavorerai tanto, vedrai».<br />

Controllo ancora l’indirizzo dell’appuntamento. “Sì, è questo<br />

palazzo residenziale”. Sul citofono ci sono almeno una trentina di<br />

targhette, le scorro velocemente cercando il mio campanello, poi<br />

suono.<br />

«Fifth floor» risponde una ragazza, e subito attacca. Il portone si<br />

apre.<br />

In ascensore mi guardo allo specchio, mi sistemo i capelli. Poi le<br />

porte si aprono: davanti a me c’è una fila di ragazzi che parte dal<br />

pianerottolo e prosegue fin dentro un appartamento.<br />

«È la coda per il casting vero?» domando, solo per sfizio, all’ultimo<br />

della fila. Ci saranno oltre quaranta modelli, alcuni magri, altri<br />

palestrati, chi con i capelli lunghi, chi con le lentiggini. Tutti giovani,<br />

giovanissimi. Alcuni sembrano perfino adolescenti strappati da<br />

scuola. Scruto quei visi tanto diversi, quei look così variegati e mi<br />

sento già in competizione. Inizio a giudicare, a raffrontarmi. A fare<br />

tutte quelle congetture che si è soliti fare in ambienti ancora da<br />

conoscere. E in poco tempo mi trovo già sull’uscio<br />

dell’appartamento. Sfilo il mio book e riguardo quelle foto da cui non<br />

riesco ad allontanarmi. Ed è sempre una strana sensazione, vedermi lì,<br />

in que<strong>gli</strong> scatti dove fatico a riconoscermi, così lontani dall’immagine<br />

che mi sono sempre fatto di me stesso. Richiudo il mio book solo a<br />

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coda smaltita, quando riesco a sbirciare nella camera dove fanno le<br />

selezioni. Sono curioso, non so ancora come bisogna comportarsi. Il<br />

modello che mi è davanti è appena entrato. Saluta, consegna il suo<br />

book a due giovani donne sedute sul divano, e se ne rimane in piedi<br />

ad aspettare. Un veloce scambio di battute in inglese, di cui sento solo<br />

l’accenno, ed è tutto finito.<br />

“Beh, ce la posso fare!”.<br />

È il mio turno. Entro cercando di mostrarmi il più disinvolto<br />

possibile, saluto e consegno il mio book.<br />

«Stephan, where are you from?» mi chiede subito una di loro.<br />

Stephan era il nome d’arte che mi avevano appioppato in agenzia. «Fa<br />

più international» fu la motivazione «Ti sembrerà assurdo, ma a molti<br />

clienti italiani non piace lavorare con modelli italiani, e allora<br />

cerchiamo, se non altro, di cambiar<strong>gli</strong> il nome».<br />

«Sono italiano» risposi.<br />

“Ecco, mi sono già fregato!”.<br />

«Ma dai! Non si direbbe: hai un look molto particolare lo sai?».<br />

“Anche il tuo look mi piace… quella gonnellina scozzese con <strong>gli</strong><br />

stivali non è niente male...”, sorrido.<br />

E adesso stanno sfo<strong>gli</strong>ando nuovamente il book da capo,<br />

soffermandosi a lungo su quelle poche foto. Di tanto in tanto alzano<br />

lo sguardo come a cercare una corrispondenza tra me e le foto che mi<br />

ritraggono. Sono attimi di imbarazzo quando i nostri sguardi si<br />

incrociano, non so se sorridere o fare finta niente...<br />

“Dai che ho il culo del principiante... Non sarebbe male<br />

incominciare con una campagna d’abbi<strong>gli</strong>amento, seppur piccola… I<br />

primi soldi...”.<br />

E adesso cercano il mio composit.<br />

«I composit veri e propri devono ancora stamparmeli. È il mio<br />

primo casting» dico, per giustificare quel fo<strong>gli</strong>etto fotocopiato che<br />

tengono in mano<br />

«Non preoccuparti. Basta questo per ricordarci di te» e mi<br />

riconsegnano il book.<br />

«A posto?» domando, e mi pento subito di averlo detto.<br />

«Sì, grazie Stephan!».<br />

Un minuto dopo sono già in strada, a fumarmi una sigaretta.<br />

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