mare monstrum 2002 - Legambiente
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Mare<br />
<strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
I NUMERI E LE STORIE<br />
DELL’ASSALTO ALLE COSTE<br />
Roma, 27 giugno <strong>2002</strong>
IL "CHI E'" DI LEGAMBIENTE<br />
LEGAMBIENTE è l'associazione ambientalista italiana con la diffusione più capillare sul territorio<br />
(1000 gruppi locali, 20 comitati regionali, 110000 tra soci e sostenitori). Nata nel 1980 sull’onda<br />
delle prime mobilitazioni antinucleari, LEGAMBIENTE è un'associazione apartitica, aperta ai<br />
cittadini di tutte le idee politiche, religiose, morali, che si finanzia con i contributi volontari dei soci<br />
e dei sostenitori delle campagne. E' riconosciuta dal Ministero dell'Ambiente come associazione<br />
d'interesse ambientale, fa parte del "Bureau Européen de l'Environnement", l'unione delle principali<br />
associazioni ambientaliste europee, e della “International Union for Conservation of Nature”.<br />
Campagne e iniziative<br />
Tra le iniziative più popolari di LEGAMBIENTE vi sono grandi campagne di informazione e<br />
sensibilizzazione sui problemi dell’inquinamento: "Goletta Verde", il “Treno Verde”, l'"Operazione<br />
Fiumi", che ogni anno "fotografano" lo stato di salute del <strong>mare</strong> italiano, la qualità dell'aria e la<br />
rumorosità nelle città, le condizioni d'inquinamento e cementificazione dei fiumi; "Salvalarte",<br />
campagna di analisi e informazione sullo stato di conservazione dei beni culturali; “Mal’Aria”, la<br />
campagna delle lenzuola antismog stese dai cittadini alle finestre e ai balconi per misurare i veleni<br />
presenti nell’aria ed esprimere la rivolta del “popolo inquinato”.<br />
LEGAMBIENTE promuove anche grandi appuntamenti di volontariato ambientale e di gioco che<br />
coinvolgono ogni anno centinaia di migliaia di persone (“Clean-up the World/Puliamo il Mondo”<br />
l’ultima domenica di settembre, l’operazione “Spiagge Pulite” l’ultima Domenica di maggio, i<br />
campi estivi di studio e recupero ambientale, “Caccia ai tesori d’Italia” all’inizio della primavera),<br />
ed è fortemente impegnata per diffondere l'educazione ambientale nelle scuole e nella società (sono<br />
migliaia le Classi per l'Ambiente che aderiscono all'associazione e molte centinaia gli insegnanti<br />
che collaborano attivamente in programmi didattici, educativi e formativi).<br />
Per una globalizzazione democratica<br />
LEGAMBIENTE si batte contro l’attuale modello di globalizzazione, per una globalizzazione<br />
democratica che dia voce e spazio alle ragioni dei poveri del mondo e che non sacrifichi le identità<br />
culturali e territoriali: rientrano in questo impegno le campagne “Clima e Povertà”, per denunciare e<br />
contribuire a combattere l’intreccio tra problemi ambientali e sociali, e “Piccola Grande Italia”, per<br />
valorizzare il grande patrimonio di “saperi e sapori” custodito nei piccoli comuni italiani.<br />
L’azione sui temi dell’economia e della legalità<br />
Da alcuni anni LEGAMBIENTE dedica particolare attenzione ai temi della riconversione ecologica<br />
dell’economia e della lotta all’illegalità: sono state presentate proposte per rinnovare profondamente<br />
la politica economica e puntare per la creazione di nuovi posti di lavoro e la modernizzazione del<br />
sistema produttivo su interventi diretti a migliorare la qualità ambientale del Paese nei campi della<br />
manutenzione urbana e territoriale, della mobilità, del risanamento idrogeologico, della gestione dei<br />
rifiuti; è stato creato un osservatorio su “ambiente e legalità” che ha consentito di alzare il velo sul<br />
fenomeno delle “ecomafie”, branca recente della criminalità organizzata che lucra migliaia di<br />
miliardi sullo smaltimento illegale dei rifiuti e sull'abusivismo edilizio.<br />
Gli strumenti<br />
Strumenti fondamentali dell'azione di LEGAMBIENTE sono il Comitato Scientifico, composto di<br />
oltre duecento scienziati e tecnici tra i più qualificati nelle discipline ambientali; i Centri di Azione<br />
Giuridica, a disposizione dei cittadini per promuovere iniziative giudiziarie di difesa e tutela<br />
dell'ambiente e della salute; l'Istituto di Ricerche Ambiente Italia, impegnato nel settore della<br />
ricerca applicata alla concreta risoluzione delle emergenze ambientali. LEGAMBIENTE pubblica<br />
ogni anno "Ambiente Italia", rapporto sullo stato di salute ambientale del nostro Paese, e invia a<br />
tutti i suoi soci il mensile “La Nuova Ecologia”, “voce” storica dell’ambientalismo italiano.
MARE MONSTRUM <strong>2002</strong><br />
INDICE<br />
1. Premessa 1<br />
2. La sporca dozzina: le bandiere nere <strong>2002</strong> di <strong>Legambiente</strong> ai "pirati" del <strong>mare</strong> e delle coste 8<br />
3. I numeri del <strong>mare</strong> illegale 12<br />
4. E la nave va: l’illegalità del “popolo dei naviganti” 16<br />
5. Cemento in spiaggia 18<br />
6. L’ultima spiaggia 61<br />
7. Fronte del porto 66<br />
8. L’erosione della costa 85<br />
9. La pesca “miracolosa” 105<br />
10. Il <strong>mare</strong> inquinato 132<br />
11. L’onda nera 155<br />
12. 20.000 bombe in fondo al mar 166
Il dossier “Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong>” è stato realizzato dall’Ufficio Ambiente e Legalità, dall’Ufficio<br />
Aree Protette e Territorio, dall’Ufficio Campagne, dall’Ufficio Scientifico e dall’Ufficio Stampa di<br />
<strong>Legambiente</strong> Nazionale.<br />
Hanno collaborato: Pio Acito, Simone Andreotti, Francesca Biffi, Riccardo Biz, Michele<br />
Buonomo, Adolfo Cavallo, Stefano Ciafani, Nunzio Cirino Groccia, Leo Corvace, Milena<br />
Dominici, Luca Fazzalari, Lucia Fazzo, Domenico Fontana, Enrico Fontana, Salvatore e Tiziano<br />
Granata, Lidia Liotta, Angela Lobefaro, Angelo Mancone, Maurizio Manna, Umberto Mazzantini,<br />
Giuseppe Mele, Giuseppe Messina, Rossella Muroni, Luzio Nelli, Antonio Nicoletti, Carla<br />
Quaranta, Luca Ramacci, Luigi Rambelli, Peppe Ruggiero, Stefano Sarti, Sandro Scollato,<br />
Tommaso Tedesco, Vincenzo Tiana, Sebastiano Venneri, Lucia Venturi.<br />
Si ringraziano per i contributi forniti: il Comando generale delle Capitanerie di Porto, il<br />
Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, il Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente,<br />
il Comando generale della Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato e delle Regioni<br />
Sardegna e Sicilia, che hanno fornito i dati statistici relativi alle attività di controllo in materia di<br />
tutela ambientale;<br />
Maria Cristina Gambi e Maria Cristina Buia della Stazione zoologica “Anton Dohrn” Laboratorio di<br />
ecologia del benthos, Ischia;<br />
la Prof.ssa Teresa Crespellani dell’Università di Firenze;<br />
Fias di Lecce e Lega Pesca;<br />
Ezio Amato, ricercatore Icram; Roberto Giangreco, <strong>Legambiente</strong> Sub; Enzo Incontro, <strong>Legambiente</strong><br />
Sub; Alberico Simioli, direttore dell’Area Protetta di Punta Campanella; Alberto Vignali,<br />
giornalista de La Nazione de La Spezia; Andrea Costantini, Fias Gallipoli; Dante Matelli, de<br />
L’Espresso; Giancarlo Bussetti; Giulietta Rak; Chiara Della Mea, Franco Mancusi de Il Mattino;<br />
Giuseppe Contini e Giuseppe Fanelli;<br />
Il paragrafo Onda nera è tratto dal dossier “I traffici marittimi petroliferi - Regole, strumenti,<br />
soluzioni - Riflessioni a dieci anni dall’incidente Haven”, realizzato da <strong>Legambiente</strong> e WWF.
Ecomostro (comp. di eco- (1) e mostro (2), 1999) s.m.<br />
Costruzione che suscita repulsione sul piano estetico<br />
e dal punto di vista ambientale<br />
(lo Zingarelli <strong>2002</strong> -<br />
Vocabolario della lingua italiana)
1. Premessa<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
La “pianificazione urbanistica contrattata”, ovvero come ridisegnare il<br />
territorio, il profilo delle nostre coste, secondo le proprie volontà e i propri<br />
desideri. Contrattando, appunto, con le amministrazioni locali deroghe,<br />
soppressioni di vincoli, aumento di cubature e quant’altro. E’ questo, in sintesi,<br />
il sogno di ogni speculatore immobiliare. Ed è proprio quello che si sta<br />
materializzando in tante parti del nostro Paese, soprattutto lungo le coste, i<br />
territori più pregiati della nostra penisola. Basti pensare a quanto sta accadendo<br />
nei 150 chilometri di litorale delle province di Taranto e Matera. Si tratta di<br />
una delle più cospicue trasformazioni di un territorio costiero che sia mai<br />
avvenuta in Italia, più consistente della Costa Smeralda, paragonabile piuttosto<br />
alla realizzazione dei grossi insediamenti costieri nell’Alto Adriatico. Decine di<br />
migliaia di nuovi posti letto, centinaia e centinaia di posti barca in porti turistici<br />
nuovi di zecca, e poi discoteche, centri per la talassoterapia, ipermercati, campi<br />
da golf (immancabili!) ed altro ancora. Il tutto spalmato su una stretta fascia di<br />
costa omogenea che un tempo era una zona umida fra le più importanti del<br />
nostro Paese e ora è una striscia di sabbia e dune, protetta da una pineta e da<br />
vincoli comunitari che si stanno rivelando velleitari almeno quanto la nostra<br />
legge Galasso.<br />
Ai pirati del golfo di Taranto è andata, non a caso, una delle dodici<br />
bandiere nere assegnate nel dossier Mare Monstrum di <strong>Legambiente</strong>. La<br />
nomination forse è un po’ generica, ma in questo caso era difficile stabilire<br />
delle priorità o gradi diversi di responsabilità fra gruppi imprenditoriali,<br />
amministratori locali, organi di controllo e quanti altri stanno contribuendo a<br />
cambiare i connotati ad uno dei tratti di costa più significativi del nostro Paese.<br />
A partecipare a questa discutibile impresa urbanistica nella culla della<br />
Magna Grecia sono i principali gruppi imprenditoriali del settore. Sono loro<br />
che stanno ridisegnando l’intero golfo di Taranto costruendo una vera e propria<br />
città lineare che vivrà per qualche settimana all’anno, ospitando centinaia di<br />
migliaia di persone, per poi chiudere i battenti a ogni fine di stagione. Due<br />
accordi di programma siglati con il Ministero del Tesoro per centinaia di<br />
miliardi pubblici sono stati destinati a cofinanziare lo scempio. I sigilli della<br />
magistratura, intanto, hanno già chiuso i cantieri dell’intervento più<br />
significativo perché, neanche a dirlo, le norme in materia di sicurezza del<br />
lavoro non erano rispettate per nulla. Operai in fuga all’arrivo dei Carabinieri,<br />
subappalto utilizzato come norma, in una provincia in cui quasi la metà degli<br />
operai impiegati nell’edilizia lavorano in nero. Tornano, insomma, le<br />
caratteristiche di un fenomeno che poco ha da spartire con i toni pretenziosi e<br />
manageriali di quanti a parole reclamano la necessità di interventi di questa<br />
natura per dare sviluppo a queste regioni, ma nella realtà ne saccheggiano il<br />
territorio, comprano manodopera poco qualificata a buon mercato pagandola<br />
con i soldi pubblici e magari non riescono neppure a portare a compimento<br />
l’intervento.<br />
1
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
E’ l’imprenditoria “arruffona” che avevamo già evidenziato nel dossier<br />
dello scorso anno, capitanata da personaggi come Mario Bertelli, titolare della<br />
società bresciana che ha realizzato il Bagaglino a Stintino (un intervento su uno<br />
dei tratti più belli della costa sarda per il quale il sig. Bertelli, insignito della<br />
“bandiera nera” di <strong>Legambiente</strong> proprio lo scorso anno, qualche settimana fa è<br />
stato arrestato). O come quella che su uno dei più bei promontori del Salento,<br />
nel Comune di Santa Cesarea, ha preteso di realizzare ben due piscine, un<br />
intervento, anche questo segnalato da <strong>Legambiente</strong> lo scorso anno con una<br />
bandiera nera, che se non fosse diventato oggetto d’interesse per la locale<br />
Procura (sette avvisi di garanzia per reati urbanistici), sarebbe sicuramente<br />
stato al centro delle attenzioni di qualche psicopatologo. Costruire piscine a<br />
pochi metri da uno dei mari più belli e più puliti del Mediterraneo fa il paio con<br />
quanti, solo nelle barzellette, pretendono di costruire congelatori al Polo Nord.<br />
O magari posti barca in un’area sperduta dell’Abruzzo, alla foce di un fiume, a<br />
chilometri di distanza dal primo centro abitato. E’ successo anche questo, a<br />
Fossacesia, bandiera nera nel 2000, tanto che l’Unione Europea, sollecitata dal<br />
ricorso delle associazioni ambientaliste, ha aperto un procedimento contro la<br />
Regione Abruzzo. Nel frattempo il porticciolo è stato portato a termine, e i 400<br />
posti barca sono ancora lì, belli e invenduti.<br />
Valutazioni sbagliate, conti approssimativi, decisioni discutibili<br />
sembrano caratterizzare le scelte di un’imprenditoria scellerata che vuole<br />
devastare le parti più pregiate del nostro Paese. A cominciare dalla Sardegna,<br />
dove gli angoli più pittoreschi saranno oggetto di contrattazione fra privati<br />
facoltosi e amministratori locali se passerà la norma messa a punto<br />
dall’assessore all’Urbanistica e sponsorizzata fortemente dal Presidente della<br />
Regione, già pupillo del Presidente Berlusconi. Una norma in base alla quale<br />
gli accordi per la realizzazione di interventi urbanistici significativi potranno<br />
andare in deroga alla legge vigente. Siamo in presenza anche qui, insomma, di<br />
una pianificazione fatta caso per caso, tratto di costa per tratto di costa, con<br />
buona pace di quanti pensavano a norme vincolanti su tutto il territorio<br />
nazionale o almeno regione per regione.<br />
Sempre sulla Sardegna incombe la minaccia del Master Plan: quasi due<br />
milioni di metri cubi rischiano di finire sulle coste più pregiate dell’isola e<br />
diventare oggetto di contrattazione fra grossi gruppi privati da un lato e piccoli<br />
sindaci dall’altro.<br />
Se le coste della Sardegna piangono, quelle della Sicilia non ridono. Un<br />
patrimonio inestimabile di spiagge e litorali è anche in questo caso al centro di<br />
un attacco massiccio sferrato dai vertici della Regione, che dietro un disegno di<br />
legge dal rassicurante titolo sul “riordino delle coste” nasconde in realtà<br />
l’obiettivo di condonare gli abusi edilizi consumati sul demanio marittimo:<br />
quindicimila costruzioni illegali che neppure i due precedenti condoni erano<br />
mai riuscite a sanare.<br />
Il tentativo di vendere il demanio marittimo che non è andato in porto<br />
con il famoso articolo 71 della Finanziaria, cancellato dal Governo dopo le<br />
proteste degli ambientalisti, rischia di riproporsi, insomma, regione per regione<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
grazie a provvedimenti che nei fatti si traducono in condoni o svendita dei tratti<br />
di litorale ai privati.<br />
Come se non bastassero le iniziative locali, a peggiorare la situazione<br />
delle nostre coste contribuiscono anche i provvedimenti del governo centrale.<br />
Ultimo in ordine d’arrivo quello del Ministro dell’Economia Tremonti che<br />
prevede l’alienazione di parte del nostro patrimonio, ivi compresi alcuni<br />
immobili sul demanio marittimo sorprendentemente sopravvissuti ai tentativi di<br />
speculazione degli anni passati.<br />
Ad aggravare ulteriormente una realtà così difficile contribuisce,<br />
inoltre, il passaggio delle competenze in materia di gestione del demanio dalle<br />
Regioni ai Comuni. Una norma che doveva servire a semplificare le procedure<br />
in termini di affidamento delle concessioni rischia di tradursi in un pericoloso<br />
strumento discrezionale nelle mani di amministratori e tecnici locali, ansiosi di<br />
utilizzare, in molti casi, la nuova competenza per aumentare le cubature sulla<br />
costa o cambiare la destinazione d’uso di qualche immobile. E’ quanto sta<br />
accadendo sul tratto di costa adriatico del Salento, dove i piani di utilizzo della<br />
costa messi a punto dai Comuni rischiano di dare il via ad un’altra indigestione<br />
di cemento.<br />
Dal sud al nord la musica non cambia: in Veneto l’area presa di mira è<br />
quella di Caorle, un chilometro e mezzo di spiaggia rischia di scomparire a<br />
favore di una nuova strada litoranea. Ancora più consistente il progetto messo a<br />
punto dalla Regione Veneto nella zona lagunare cara ad Hemingway subito a<br />
ridosso della cittadina costiera: qui si prevede di tirare su qualcosa come un<br />
milione e mezzo di metri cubi di cemento, per un totale di 18.000 posti letto e<br />
3.500 posti barca su 450 ettari supervincolati.<br />
Appetiti speculativi anche sull’ultimo tratto di litorale romagnolo<br />
scampato finora alla cementificazione. Le mani dei grandi gruppi immobiliari<br />
sono arrivate fin sulle dune del ravennate e nell’area del Delta del Po.<br />
Situazione analoga sul versante opposto a Sanremo, in Liguria, dove<br />
due ecomostri nuovi di zecca hanno sostituito il vecchio panorama di cui si<br />
poteva godere passeggiando sul lungo<strong>mare</strong>.<br />
Alla pressione del cemento “legale”, o che perlomeno così si presenta,<br />
si sommano i fenomeni d’illegalità vera e propria, come emerge dai dati<br />
raccolti dalle forze dell’ordine e riportati in questo dossier. Si tratta di numeri<br />
in costante crescita che definiscono un trend in aumento del numero dei reati<br />
consumati ai danni di <strong>mare</strong> e coste italiane. Sicilia, Puglia, Campania e<br />
Calabria sono le quattro regioni che guidano la classifica delle illegalità che si<br />
consumano sul <strong>mare</strong>; la Sicilia in particolare svetta in testa alle classifiche per<br />
tutti i tipi di reati, che si parli di abusivismo edilizio o di pesca illegale, di reati<br />
da inquinamento o contro il codice della navigazione.<br />
Per completare il quadro del “<strong>mare</strong> <strong>monstrum</strong>” <strong>Legambiente</strong> ha<br />
selezionato dodici casi esemplari di saccheggio del territorio: una “sporca<br />
dozzina”, come è stata definita, di pirati della costa cui <strong>Legambiente</strong> ha<br />
assegnato la bandiera con teschio e tibia incrociate. Tanti amministratori locali,<br />
ma anche imprenditori grandi e piccoli, nomi noti e altri conosciuti solo<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
localmente, accomunati dalle iniziative ai danni della fascia costiera. Sono loro<br />
i pirati del terzo millennio, quelli che partono all’arrembaggio saccheggiando il<br />
futuro degli abitanti della fascia costiera. Contro questi nuovi pirati viaggerà la<br />
campagna di Goletta Verde di quest’anno, per riconquistare alla legalità anche<br />
questo pezzo di territorio, per restituire una possibilità di futuro ai suoi abitanti.<br />
I numeri del <strong>mare</strong> illegale<br />
Sono state 23.474 le infrazioni lungo la fascia costiera rilevate dalle<br />
forze dell’ordine nel corso del 2001, 501 in più rispetto a quelle rilevate nel<br />
2000. Nel merito di ciascuna tipologia di reato le violazioni al codice della<br />
navigazione e alla normativa da diporto restano al primo posto fra i reati<br />
consumati in questo territorio con 9.009 reati accertati (pari al 43,4% del<br />
totale). A seguire nella classifica del demerito sono i reati contestati per pesca<br />
di frodo (7.207) pari al 34,8% del totale e quelli per abusivismo edilizio sulle<br />
aree demaniali costiere (3.898). A guidare incontrastata la classifica del <strong>mare</strong><br />
illegale la Sicilia, con 4.648 infrazioni accertate, seguita da Puglia (2.513),<br />
Campania (2.442) e Calabria (1.992). L’ordine cambia se si considerano invece<br />
i reati in rapporto ai chilometri di costa: in questo caso al primo posto sale il<br />
Veneto con più di 8 reati per chilometro di costa, seguito dall’Emilia Romagna<br />
(6,9 reati) e dalle Marche (6,36).<br />
I frutti di <strong>mare</strong> della malavita organizzata<br />
In Campania è la camorra. Ma anche in Veneto sono vere e proprie<br />
organizzazioni criminali a tenere le fila della pesca illegale delle vongole e del<br />
commercio dei frutti di <strong>mare</strong>. La spiegazione è abbastanza semplice: il giro<br />
d’affari garantito da queste attività. Si spiegano così episodi clamorosi, dalla<br />
vera e propria guerra che si combatte fra le forze dell’ordine e i cosiddetti<br />
“caparozzolanti” nelle aree della laguna vietate alla pesca dei molluschi ai dati<br />
della Guardia Costiera napoletana, secondo i quali a marzo <strong>2002</strong> su 10 controlli<br />
effettuati solo uno è risultato in regola. E se il Procuratore Generale di Venezia<br />
ha ritenuto, nella relazione in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, di<br />
doversi soffer<strong>mare</strong> diffusamente sull’illegalità che caratterizza il settore della<br />
pesca delle vongole, a Napoli secondo una denuncia avanzata da numerosi<br />
ristoratori la camorra impone i propri fornitori di frutti di <strong>mare</strong> ai ristoranti del<br />
capoluogo. E’ comunque la costa campana a detenere i record in questo settore:<br />
da quello delle denunce per violazione delle norme igienico sanitarie (12.000<br />
procedimenti giudiziari nella sola provincia di Napoli) a quelle sugli<br />
allevamenti abusivi (su duemila quintali di cozze sequestrate in Campania<br />
1.500 vengono coltivate alla foce del Sarno, un fiume noto per l’alto livello<br />
d’inquinamento.<br />
Quest’anno inoltre si è andata affermando ulteriormente la pratica del<br />
pesce all’acqua pazza, così come è stata battezzata nello scorso dossier Mare<br />
Monstrum, ovvero l’abitudine tutta napoletana di rinfrescare pesce e frutti di<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
<strong>mare</strong> con acqua inquinata, invalidando la pratica della stabulazione. Per questa<br />
ragione in sei mesi sono stati sequestrati e distrutti, sempre in provincia di<br />
Napoli, oltre 45 quintali di frutti di <strong>mare</strong>.<br />
Il governo va a pesca<br />
Se questi sono risultati che possono essere archiviati come esempi<br />
d’illegalità, non meno preoccupanti sono, per l’ambiente marino, i<br />
provvedimenti messi in campo dal nostro Governo in materia di pesca. A<br />
cominciare dalla famigerata circolare sul cianciolo: un regalo di Natale fatto<br />
dal Ministero delle Politiche Agricole a poche imbarcazioni che, in virtù del<br />
provvedimento, possono calare le proprie reti fin sulle praterie di Posidonia<br />
distruggendo uno dei più importanti habitat di riproduzione delle specie<br />
marine. Con la decisione di liberalizzare la pesca dei piccoli pelagici in<br />
Adriatico, invece, è stata fatta piazza pulita dei timidi tentativi di gestione<br />
comune della risorsa che si stavano tentando in quell’area.<br />
Nel frattempo proprio quest’anno sono stati pubblicati i risultati di una<br />
ricerca dell’Università di Siena che evidenziano le quantità considerevoli di<br />
diossina e Pcb accumulate dai grandi pelagici, tonno e pesce spada in primo<br />
luogo. I valori riscontrati sono allarmanti: si va dai 990 ai 2070 pg/kg p.f.<br />
(picogrammi per chilogrammo di peso fresco) nei tonni ai 1470 e 1660 pg/kg<br />
p.f. nei pesce spada, concludendo che è consigliabile un’assunzione settimanale<br />
di questi prodotti che non superi i 500 g. a persona.<br />
I nuovi “ecomostri”<br />
I “pirati” del cemento selvaggio continuano l’assalto alle nostre coste.<br />
Dall’abusivismo sulle aree demaniali marittime (monitorato dalle forze<br />
dell’ordine e dalle Capitanerie di Porto) agli “ecomostri”.<br />
Nel corso del 2001 la Sicilia è diventata la prima regione italiana per<br />
reati relativi all’abusivismo sulle aree demaniali costiere. E non solo: i reati per<br />
abusivismo edilizio sul demanio marittimo siciliano sono passati dai 480 del<br />
2000 agli 857 del 2001, per un aumento percentuale di oltre il 78%.<br />
Coincidenza o conseguenza dei proclami a favore del condono da parte del<br />
Governatore siciliano? I dati storici sul fenomeno dell’abusivismo edilizio in<br />
Italia fanno ovviamente propendere per la seconda ipotesi.<br />
La classifica, per il secondo anno consecutivo, non si discosta affatto<br />
per quanto riguarda il quadro emerso lo scorso anno. I primi quattro posti sono<br />
ben presidiati: Sicilia, Calabria, Campania e Puglia primeggiano per numero di<br />
infrazioni accertati sul demanio costiero. La Calabria scende al secondo posto<br />
con 654 reati (più o meno gli stessi consumati nel 2000), mentre Campania<br />
(557 reati) e Puglia (554) si confermano in terza e quarta posizione. Da<br />
segnalare il passo in avanti compiuto dall’Emilia Romagna, che<br />
dall’undicesimo posto del 2000 sale al quinto nel 2001, e quello all’indietro<br />
delle Marche, che dalla settima posizione scendono all’undicesima.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Accanto ai tanti episodi di illegalità perpetrati da privati, ci sono i casi<br />
più eclatanti, i simboli dell’aggressione selvaggia del cemento al nostro<br />
patrimonio costiero: quelli che <strong>Legambiente</strong> definisce “ecomostri”. Anche<br />
quest’anno abbiamo voluto evidenziare diverse storie esemplari di aggressione<br />
alle coste del Belpaese: dall’abusivismo nella riserva di Capo Rizzuto a quello<br />
nella Baia di Copanello, sempre in Calabria; dalle minacce speculative sul<br />
Golfo di Taranto al “sacco del Salento”; dalla “saracinesca” di Punta Perotti<br />
all’Hotel Castelsandra a Castellabate fino all’ecomostro “legalizzato” di<br />
Pozzano a Castellam<strong>mare</strong> di Stabia. Vere e proprie ferite sulle nostre coste<br />
contro le quali la Goletta Verde di <strong>Legambiente</strong> lancerà, anche quest’anno, i<br />
“Demolition day”, i blitz per fer<strong>mare</strong> l’abusivismo e lo scempio sulle coste.<br />
Non sono mancati, fortunatamente, segnali diversi. Come<br />
l’abbattimento del Villaggio Sindona, sull’Isola di Lampedusa, o quello ancora<br />
più recente degli scheletri di Montecorice, nel Parco Nazionale del Cilento e<br />
Vallo di Diana. Ma tanti, troppi ecomostri da tempo attendono l’accensione dei<br />
motori delle ruspe demolitrici.<br />
Il diluvio dei porti<br />
Continua il diluvio di porti turistici lungo la costa, incrementato dalla<br />
semplificazione delle procedure autorizzative. Basti pensare che se in 50 anni<br />
si erano realizzati appena 44 porti turistici, negli ultimi 5 anni ne sono stati<br />
realizzati ben 36, altrettanti sono in fase di realizzazione e una quarantina<br />
aspettano di concludere l’iter autorizzativo. Al termine i posti barca lungo la<br />
nostra penisola aumenteranno di 30.000 unità. A questi si andrebbero ad<br />
aggiungere tutte le altre infrastrutture progettate al di fuori di qualsiasi<br />
pianificazione regionale, ad esempio la miriade di porticcioli previsti per gli<br />
insediamenti progettati sulla costa jonica lucana, o le marine che si prevede di<br />
realizzare all’interno del progetto Palalvo (3.500 posti barca).<br />
E’ la solita storia: i porti turistici si progettano e si realizzano al di fuori<br />
di qualsiasi logica programmatoria. Gli stessi piani regionali dei porti,<br />
approvati peraltro solo da pochissime regioni, sembrano essere una pura e<br />
semplice dichiarazione d’intenti, senza alcun valore vincolante.<br />
L’erosione che avanza<br />
<strong>Legambiente</strong> lo sostiene da anni: l’erosione procede a ritmo implacabile<br />
sottraendo un metro di spiaggia all’anno. E il risultato perverso di una serie di<br />
concause riconducibili alla mano dell’uomo, sia che si parli di<br />
cementificazione delle coste, di realizzazione di strade litoranee, di costruzione<br />
di moli a <strong>mare</strong> o di opere che impediscono l’apporto di materiale solido dai<br />
fiumi. E ogni metro di spiaggia in meno si traduce in una riduzione di introiti: è<br />
stato calcolato che i problemi d’erosione hanno comportato solo sull’isola di<br />
Ischia un mancato introito pari a circa 75 milioni di euro mentre per Procida i<br />
quattrini persi nella sabbia ammonterebbero a circa 13 milioni.<br />
6
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Non stupisce quindi che stiano proliferando le operazioni di<br />
ripascimento lungo le nostre coste con effetti, in certi casi, peggiori del male<br />
cui si sperava di porre rimedio. E’ quanto accaduto lungo la spiaggia del<br />
Poetto, a Cagliari, teatro di uno scellerato tentativo di ripascimento che si è<br />
concluso con la cancellazione della vecchia spiaggia bianca e la sostituzione<br />
con un litorale grigio scuro, più simile alle spiagge dell’alto adriatico che a<br />
quelle della Sardegna. O quello che è accaduto a Ischia, dove l’operazione di<br />
ripascimento ha determinato la distruzione di numerosi ettari della prateria di<br />
Posidonia che proteggeva la spiaggia.<br />
La depurazione<br />
Nulla di nuovo sul fronte della qualità delle acque di balneazione e<br />
della depurazione: secondo i dati del Ministero della Salute nel nostro Paese<br />
risultano vietati alla balneazione oltre 400 chilometri di costa, 270 dei quali lo<br />
sono in modo permanente. Maglia nera per il cattivo stato di salute delle acque<br />
di balneazione è la regione Campania, con 84,1 km inquinati, seguita dal Lazio<br />
(36,1 km). Tra le province la più inquinata risulta essere Caserta dove quasi un<br />
chilometro su due risulta inquinato (47,5% del litorale).<br />
Il depuratore che avrebbe dovuto servire la provincia di Napoli,<br />
intanto, è stato al centro di un’inchiesta giudiziaria che ha portato al sequestro<br />
dell’impianto, all’esautoramento della ditta privata che ne curava la gestione e<br />
all’affidamento dell’impianto al Presidente della regione Campania.<br />
Ma i guai della depurazione nel nostro Paese non si limitano a quelli<br />
della Regione Campania. Tutta la penisola è caratterizzata da un grave deficit<br />
di depurazione che oscillerebbe dai 29 ai 41 milioni di abitanti equivalenti, da<br />
Milano a Palermo, per citare due capoluoghi che ancora attendono la<br />
realizzazione di un completo impianto di depurazione.<br />
7
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
2. La sporca dozzina: le bandiere nere <strong>2002</strong> di<br />
<strong>Legambiente</strong> ai “pirati” del <strong>mare</strong> e della costa<br />
Al sindaco di Sanremo per la realizzazione di due ecomostri che hanno<br />
chiuso le passeggiate della città dei fiori. Fine delle passeggiate a Sanremo. A<br />
decretarla è stato il sindaco Giovenale Bottini, da 8 anni a capo del Comune<br />
ligure, che ha proceduto alla realizzazione di due incredibili ecomostri, un<br />
albergo e un teatro, che bloccano la visuale a <strong>mare</strong> nei due tratti di passeggiata<br />
della città dei fiori. Un mega albergo a Portosole che supera di due metri il<br />
livello della strada sostituendo con la vista sui piani alti dell’albergo il<br />
panorama a <strong>mare</strong> della passeggiata. Poco oltre un imponente teatro ha cambiato<br />
il paesaggio di uno dei tratti più caratteristici della località della riviera, proprio<br />
di fronte al Casinò e nei pressi della Chiesa Russa. Anche in questo caso il<br />
fronte a <strong>mare</strong> del teatro di una trentina di metri ha sostituito il precedente<br />
panorama della passeggiata.<br />
Al Presidente della Provincia di Cagliari per l’opera di ripascimento<br />
della spiaggia del Poetto che ha compromesso una delle spiagge più belle del<br />
Mediterraneo. 370.000 metri cubi di sabbia scura, color cemento, sono stati<br />
riversati nel giro di poche settimane sulla spiaggia bianchissima del Poetto,<br />
cambiando un paesaggio unico nel Mediterraneo, punto di riferimento per<br />
migliaia di cagliaritani. Nessuna valutazione di impatto ambientale e nessuna<br />
gradualità in un’operazione che la Provincia di Cagliari ha portato avanti con<br />
arroganza a fronte delle preoccupazioni espresse dalla cittadinanza e da buona<br />
parte della comunità scientifica. <strong>Legambiente</strong> ha raccolto 11.000 firme di<br />
protesta indirizzate al Presidente della Provincia, in calce ad una petizione che<br />
chiede un intervento di ripristino del paesaggio ferito.<br />
Al Presidente della Regione Veneto, Carlo Galan, per il progetto<br />
Palalvo. La Regione Veneto ha elaborato e si appresta ad approvare un<br />
colossale piano urbanistico conosciuto come Palalvo (Piano di area delle<br />
lagune e dell’area litorale del Veneto Orientale) che produrrà effetti devastanti<br />
sulla costa del Veneto orientale e sui valori ambientali che ancora essa<br />
conserva. Sul territorio di Bibione e Caorle, due località già gravate dal peso<br />
dell’urbanizzazione degli anni '60, il progetto Palalvo prevede la realizzazione<br />
di 7 nuovi porti turistici (3.500 posti barca che si andranno a som<strong>mare</strong> ai 1200<br />
attuali) ed edificazioni di strutture turistico ricettive per 1.500.000 di metri cubi<br />
(18.000 posti letto) su 450 ettari. Il tutto su zone straordinarie, vere e proprie<br />
oasi di naturalità quali la piccola e preziosa laguna di Caorle resa famosa da<br />
Hemingway, il selvaggio litorale di Valle Vecchia, le valli arginate di Bibione<br />
e quel prodigioso serbatoio di biodiversità che è la foce del Tagliamento. Tutte<br />
queste aree sono state designate dall’Unione Europea come Siti di Importanza<br />
Comunitaria e Zone di Protezione Speciale.<br />
8
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Ai pirati del Golfo di Taranto. 150 chilometri di villaggi e porti<br />
turistici ridisegneranno il profilo di due intere province costiere, quella di<br />
Taranto e quella di Matera. Migliaia di posti letto e posti barca all’interno di<br />
zone umide e Siti di Importanza Comunitaria. A cominciare dal megaprogetto<br />
Nuova Concordia a Castellaneta Marina, oggetto di uno specifico Accordo di<br />
Programma che ha previsto un investimento iniziale di 520 miliardi di lire per<br />
un complesso di alberghi, villaggi turistici, edilizia residenziale, parchi a tema,<br />
campi da golf, infrastrutture commerciali e sportive su un’estensione di circa<br />
1000 pregiatissimi ettari di territorio a ridosso di una riserva biogenetica. A<br />
seguire, nel territorio di Castellaneta Marina, il piano di lottizzazione<br />
Perronello – Catalano, con un investimento di 50 miliardi per la realizzazione<br />
di un albergo, villette ed il raddoppio del villaggio turistico di Riva dei Tessali.<br />
Senza soluzione di continuità sono previsti tre villaggi turistici da realizzare a<br />
ridosso del Lago Salinella di Ginosa Marina, un’area vincolata come sito di<br />
importanza comunitaria. Nelle zone a <strong>mare</strong> di Massafra, nella radura della<br />
pineta Marinella, è stato approvato anche un progetto di villaggio turistico di<br />
6000 metri cubi. Questa quantità impressionante di progetti mette a rischio la<br />
tenuta della pineta, già dichiarata riserva biogenetica e che per 37 km ricopre il<br />
versante occidentale del litorale tarantino.<br />
Stessa situazione anche a levante della città di Taranto, un’area già<br />
gravata da un diffuso abusivismo edilizio, a cominciare dal villaggio turistico<br />
con annesso porticciolo in località Blandamura a Talsano, e proseguendo con i<br />
villaggi turistici delle società Kira e Ondablu a Lido Silvana e a Torretta, fino<br />
ad arrivare al progetto di porto turistico a Baia Colimena e al raddoppio del<br />
porticciolo turistico di Campomarino, una località sulla quale si concentrano<br />
numerosi progetti speculativi, dal Progetto Mirante (180 miliardi di lire in<br />
strutture ricettive su 40 ettari di costa con retroduna ancora intatta) al Messapia<br />
Golf club & resort, 120 miliardi di lire in alberghi, minialloggi, villaggi<br />
turistici per un totale di oltre 300.000 metri cubi da realizzare all’interno della<br />
riserva naturale della foce del fiume Chidro. La cementificazione delle coste<br />
richia di accentuare il già avanzato fenomeno di erosione delle spiagge.<br />
E un altro accordo di programma apre la strada alla realizzazione di<br />
altrettanti villaggi e porti turistici sulla costa jonica lucana. E’ quello siglato tra<br />
il Ministero del Tesoro e la Cit Holding per oltre 200 miliardi di lire (la metà a<br />
carico dello Stato) per realizzare quattro progetti di villaggi turistici e alberghi<br />
su oltre 200 ettari di territorio del Comune di Scanzano Jonico. Ma villaggi<br />
turistici sono previsti lungo tutti i 37 km di costa lucana, a cominciare dai due<br />
porticcioli turistici a Lido di Metaponto e dall’ampliamento dei villaggi<br />
Argonauti, Ti Blu e Le Dune nelle vicinanze di Marina di Pisticci, proseguendo<br />
con un altro porto turistico e il villaggio Marinagri a Lido di Policoro, per<br />
concludere a Nova Siri, al confine con la Calabria, con il villaggio turistico<br />
Akiris, in parte già realizzato e un ulteriore porto turistico. Tirando le somme si<br />
prevede di realizzare 15.000 nuovi posti letto e 1.650 posti barca in poche<br />
9
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
decine di chilometri sui quali già esistono 11.500 posti letto, 4 Siti di<br />
Importanza Comunitaria e una Zona di Protezione Speciale.<br />
All’Immobiliare Medusa srl per la realizzazione del Villaggio Elisea a<br />
Porto Garibaldi (FE). Duemilacinquecento posti letto in una delle ultime aree<br />
rimaste sorprendentemente libere nella zona compresa fra Ravenna e il Delta<br />
del Po, nel territorio del Comune di Comacchio. Titolare della ditta è<br />
l’imprenditore Tomasi, già noto per aver costruito e venduto buona parte delle<br />
seconde case realizzate recentemente nei lidi comacchiesi. L’intervento in<br />
questione, per la mole della cementificazione proposta, per le caratteristiche<br />
delle costruzioni e per i problemi che arrecherebbe alla mobilità in un’area già<br />
congestionata, si presenta come una vera e propria struttura urbana spalmata su<br />
39 ettari in un’area del Parco del Delta del Po (area di Preparco) a due passi<br />
dalla spiaggia, dal sistema dunale e dalla pineta. Il tutto nel silenzio, e in alcuni<br />
casi il benestare, degli enti locali.<br />
Ai vandali delle dune dell’ex colonia Varese a Milano Marittima<br />
(RA). Anche in questo caso uno splendido tratto di duna miracolosamente<br />
scampato all’urbanizzazione massiva di quest’area è vittima di una serie di<br />
interventi vandalici e oggetto di mire speculative che sembrano preludere ad<br />
interventi di speculazione sull’area. Per ora le dune vengono utilizzate come<br />
pista di motocross.<br />
Al polo chimico di Ravenna (ex stabilimento Enichem) per l’impatto<br />
inquinante sull’ecosistema pinete, valli, canale e litorale di Ravenna in termini<br />
di inquinamento delle acque superficiali e di falda; per il contributo al<br />
fenomeno della subsidenza con l’emungimento delle acque di falda; per il<br />
carico inquinante nell’aria e nel suolo; per la gestione degli impianti che negli<br />
anni ha provocato danni all’ecosistema ed alla salute di lavoratori e cittadini.<br />
Al Sindaco di Campofelice di Roccella (PA) per l’approvazione di un<br />
progetto che prevede la realizzazione di un megaalbergo nella fascia dei 150<br />
metri dal <strong>mare</strong>. Sulla costa tirrenica siciliana, tra Termini Imerese e Cefalù, su<br />
una lunga spiaggia di sabbia finissima, l’amministrazione comunale di<br />
Campofelice di Roccella ha dato il via libera a uno pseudo intervento di<br />
recupero di un antico insediamento medievale dietro il quale si nasconde in<br />
realtà la costruzione di un mega albergo entro la fascia dei 150 metri. C’è da<br />
considerare che la precedente amministrazione comunale, caduta per le<br />
improvvise dimissioni del Sindaco vittima pochi giorni prima di un’atto<br />
d’intimidazione mafiosa, non volle mai approvare il progetto in questione, e<br />
stava lavorando invece per l’acquisiszione dell’area e il recupero della torre<br />
castello e del borgo.<br />
Alla Società Italo-Belga per la realizzazione di una baraccopoli di<br />
lusso sulla spiaggia di Mondello (PA). Una splendida spiaggia di sabbia fine e<br />
10
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
bianca dentro la città di Palermo per tre mesi si trasforma in una vera e propria<br />
baraccopoli grazie all’edificazione stagionale di 1600 cabine che invadono<br />
completamente la spiaggia impedendo qualsiasi utilizzo del litorale. Il canone<br />
irrisorio pagato dalla societa immobiliare (poco meno di venti milioni di<br />
vecchie lire) consente ricavi astronomici alla società (oltre tre miliardi di lire) e<br />
deturpa uno dei paesaggi più belli della costa palermitana.<br />
Al Sindaco di Siracusa per la "generosa” variante urbanistica che<br />
consentirebbe la realizzazione di un villaggio turistico a Punta Asparano, uno<br />
dei pochi tratti di litorale siracusano miracolosamente scampato all’abusivismo<br />
edilizio. Un investimento complessivo di 48 milioni di Euro, realizzato da<br />
un’azienda del gruppo Alpitour su 66 ettari di superficie per un totale di oltre<br />
1500 posti letto. Il tutto su aree ricadenti in massima parte entro la fascia di<br />
rispetto dei 150 metri dal <strong>mare</strong> e come tali vincolate per legge al divieto<br />
assoluto di edificazione.<br />
Alla Regione Campania per vent’anni di malfunzionamento del<br />
depuratore di Cuma e per i ritardi accumulati sulla depurazione in generale<br />
lungo tutta la fascia costiera. 300 miliardi di lire spesi per una struttura che<br />
avrebbe dovuto servire i Comuni della provincia a nord e a sud di Napoli,<br />
compreso il capoluogo. Dal 1976 l’opera è affidata in gestione alla Regione<br />
Campania, ma non ha mai funzionato passando da un’emergenza all’altra, da<br />
un’inchiesta giudiziaria all’altra, fino a quella dello scorso gennaio che ha<br />
portato al sequestro dell’impianto, sottraendolo alla gestione della società<br />
privata e affidandolo al Presidente della Regione Campania. Secondo stime<br />
attendibili il 30% degli scarichi fognari in provincia di Napoli sfocia a <strong>mare</strong><br />
senza alcun tipo di trattamento.<br />
Ad Aurelio Misiti, Assessore ai Lavori Pubblici della Regione<br />
Calabria e Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, per il<br />
caparbio impegno pluriennale a favore del Ponte sullo Stretto di Messina,<br />
coronato da successo con l’avvio della progettazione esecutiva. Per lo sperpero<br />
di denaro pubblico in un’opera improbabile per la quale sono evidenti le<br />
caratteristiche di diseconomicità, le riserve sulla fattibilità, gli impatti<br />
ambientali e, in definitiva, l’inutilità.<br />
11
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
3. I numeri del “<strong>mare</strong> illegale”<br />
“Avanti tutta!”. E’ questo il motto che sembra spingere i nuovi “pirati”<br />
a minacciare i nostri mari con ogni tipo di illegalità. A confermarlo anche<br />
quest’anno sono i numeri elaborati da <strong>Legambiente</strong> sulle infrazioni (scarichi<br />
fognari non trattati, pesca illegale, violazioni alla normativa da diporto e<br />
costruzioni di case abusive sulle aree demaniali costiere) accertate lo scorso<br />
anno dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto. Nel 2001, infatti, sono<br />
stati 23.474 i reati accertati in <strong>mare</strong>, per i quali sono state denunciate o arrestate<br />
10.278 persone e sono stati effettuati 8.954 sequestri.<br />
Confrontando i dati sui più ricorrenti illeciti consumati nei mari italiani<br />
nel 2001 con quelli relativi all’anno 2000, tutti i numeri risultano in crescita.<br />
Aumentano, infatti, sia le infrazioni (501 in più) che le denunce (+1.399, pari<br />
ad un incremento di quasi il 16%). Ma il dato più rilevante è quello relativo ai<br />
sequestri che tra il 2000 e il 2001 aumenta di 2.536 unità, per un aumento<br />
percentuale del 39,5%.<br />
IL QUADRO GENERALE DEL “MARE ILLEGALE” IN ITALIA NEL 2001<br />
Cta-CC* Gdf** Cfs - Cfr*** Capitanerie<br />
di porto<br />
TOTALE<br />
Infrazioni accertate 2.852 5.296 647 14.679 23.474<br />
Persone denunciate o 3.428 1.294 801 4.755 10.278<br />
arrestate<br />
Sequestri effettuati 1.489 4.377 141 2.947 8.954<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Comando Carabinieri tutela ambiente,<br />
Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e Capitanerie di<br />
porto.<br />
*: i dati del Comando Carabinieri tutela ambiente sono relativi al periodo<br />
01/05/2001 - 30/09/2001.<br />
**: i dati della Guardia di finanza si riferiscono ai settori Pesca e Codice della<br />
navigazione ed all’abusivismo su aree demaniali.<br />
***: i dati dei Cfr si riferiscono a Sicilia e Sardegna.<br />
Per il secondo anno consecutivo si conferma il trend in aumento del<br />
numero dei reati consumati ai danni di <strong>mare</strong> e coste italiane, già riscontrato nel<br />
precedente dossier “Mare <strong>monstrum</strong> 2001” (erano infatti stati 19.324 nel 1999<br />
e 22.973 nel 2000). Lo stesso si può dire del dato relativo ai sequestri compiuti:<br />
4.744 nel ’99 e 6.418 un anno dopo. Per quanto riguarda invece le persone<br />
denunciate o arrestate, se dal 1999 al 2000 il dato era risultato in diminuzione<br />
(da 10.159 a 8.879), il 2001 con 10.278 denunciati o arrestati ha visto superare<br />
entrambi i dati precedenti.<br />
Analizzando i numeri per singola forza dell’ordine, il dato dei sequestri<br />
del Comando Carabinieri tutela ambiente quasi si quadruplica, passando dai<br />
400 del 2000 ai 1.489 del 2001. In forte aumento anche il numero delle<br />
infrazioni accertate dalla Guardia di finanza (da 4.077 a 5.296) e dei denunciati<br />
12
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
o arrestati dal Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a statuto speciale<br />
(414 nel 2000 contro gli 801 dell’anno appena trascorso). Il numero maggiore<br />
di reati accertati ai danni del <strong>mare</strong> è stato riscontrato anche quest’anno dalle<br />
Capitanerie di porto (14.679, pari al 62,5% del totale).<br />
Analizzando la classifica delle regioni per numero di reati, la Sicilia si<br />
conferma al primo posto con 4.648 infrazioni, 1.437 persone denunciate o<br />
arrestate e 864 sequestri. La Puglia sale al secondo posto, con 2.513 reati,<br />
scavalcando la Campania. Il Lazio dal quarto posto del 2000 scende al settimo<br />
nel 2001. Da segnalare il numero elevato di sequestri compiuti in Sardegna<br />
(ben 1.888), riconducibile soprattutto all’azione di contrasto delle forze<br />
dell’ordine nei confronti dei pescatori di frodo. Chiudono la classifica, come lo<br />
scorso anno, Friuli Venezia Giulia, Molise e Basilicata<br />
LA CLASSIFICA DEL MARE ILLEGALE IN ITALIA: VALORI ASSOLUTI (2001)<br />
Infrazioni Persone denunciate Sequestri<br />
accertate o arrestate effettuati<br />
1 Sicilia ↔ 4.648 1.437 864<br />
2 Puglia ↑ 2.513 907 921<br />
3 Campania ↓ 2.442 924 844<br />
4 Calabria ↑ 1.992 993 414<br />
5 Toscana ↑ 1.377 363 442<br />
6 Liguria ↔ 1.348 239 161<br />
7 Lazio ↓ 1.337 310 486<br />
8 Veneto ↓ 1.302 607 495<br />
9 Marche ↓ 1.101 155 527<br />
10 Sardegna ↔ 906 372 1.888<br />
11 Emilia Romagna ↔ 904 419 132<br />
12 Abruzzo ↔ 393 105 135<br />
13 Friuli Venezia Giulia ↔ 250 54 65<br />
14 Molise ↔ 193 13 103<br />
15 Basilicata ↔ 10 15 2<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Comando Carabinieri tutela<br />
ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e<br />
Capitanerie di porto.<br />
Anche la classifica dei reati per chilometro di costa vede la conferma<br />
della “leadership” dello scorso anno: il Veneto con 8,19 infrazioni per Km<br />
(contro i 9,31 del 2000). A seguire l’Emilia Romagna con 6,90 reati per<br />
chilometro di costa (questa regione scala la classifica passando dal quinto posto<br />
del 2000 al secondo del 2001) e le Marche che scendono dal secondo posto<br />
dello scorso dossier all’attuale terzo, con 6,36 reati per Km. Da segnalare il<br />
balzo in avanti del Molise che dall’ottavo posto sale al quarto di quest’anno e<br />
quello all’indietro fatto dal Lazio che dal quarto del 2000 scende al settimo del<br />
13
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
2001. Chiude la classifica di quest’anno la Basilicata con 0,16 reati per<br />
chilometro.<br />
LA CLASSIFICA DEL MARE ILLEGALE IN ITALIA: INFRAZIONI PER KM DI COSTA (2001)<br />
Infrazioni Km di costa Infrazioni<br />
accertate<br />
per Km<br />
1 Veneto ↔ 1302 158,9 8,19<br />
2 Emilia Romagna ↑ 904 131 6,90<br />
3 Marche ↓ 1101 173 6,36<br />
4 Molise ↑ 193 35,4 5,45<br />
5 Campania ↓ 2442 469,7 5,20<br />
6 Liguria ↑ 1348 349,3 3,86<br />
7 Lazio ↓ 1337 361,5 3,70<br />
8 Sicilia ↑ 4648 1483,9 3,13<br />
9 Abruzzo ↓ 393 125,8 3,12<br />
10 Puglia ↓ 2513 865 2,91<br />
11 Calabria ↑ 1992 715,7 2,78<br />
12 Toscana ↑ 1377 601,1 2,29<br />
13 Friuli Venezia Giulia ↓ 250 111,7 2,24<br />
14 Sardegna ↑ 906 1731,1 0,52<br />
15 Basilicata ↓ 10 62,2 0,16<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Comando Carabinieri tutela<br />
ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e<br />
Capitanerie di porto.<br />
Entrando nel merito di ciascuna tipologia di reato ai danni del <strong>mare</strong> le<br />
violazioni al codice della navigazione e alla normativa da diporto restano al<br />
primo posto con 9.009 reati accertati, pari al 43,4% del totale (in aumento<br />
rispetto alle 8.524 dello 2000). Seguono la pesca di frodo con 7.207 reati<br />
(erano stati 4.885 nel 2000), pari al 34,8% delle infrazioni totali, e i reati di<br />
abusivismo edilizio sulle aree demaniali costiere (3.898 contro i 2.829 del<br />
2000). In calo, infine, i reati di inquinamento riscontrati dalle forze dell’ordine<br />
(602 nel 2001 contro i 2.616 del 2000).<br />
14
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
I PRINCIPALI REATI NEL 2001<br />
Reato Infrazioni Persone denunciate Sequestri % sul<br />
accertate o arrestate effettuati totale<br />
Abusivismo edilizio<br />
sul demanio<br />
3.898 3.973 504 18,8<br />
Depuratori, scarichi fognari,<br />
inquinamento da idrocarburi<br />
602 504 50 2,9<br />
Pesca<br />
di frodo<br />
7.207 1.164 5.769 34,8<br />
Codice navigazione e<br />
Nautica da diporto<br />
9.009 1.022 1.156 43,5<br />
Totale<br />
20.716 6.663 7.479 -<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Comando Carabinieri tutela<br />
ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e<br />
Capitanerie di porto.<br />
15
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
4. E la nave va: l’illegalità del “popolo dei naviganti”<br />
Non gli piace indossare il giubbotto salvagente. Naviga dove non è<br />
consentito e a velocità sostenuta. Usa l’acquascooter dove non può. Non si<br />
preoccupa delle aree protette marine. Sembra questo l’identikit del “popolo dei<br />
naviganti” del Belpaese, stando ai numeri sulle infrazioni alla normativa da<br />
diporto fornite a <strong>Legambiente</strong> da forze dell’ordine e Capitanerie di porto.<br />
I reati in questo settore sono per il secondo anno consecutivo in netta<br />
crescita: 9009 in totale nel 2001, mentre erano state 7.440 nel ’99 e 8524 nel<br />
2000. Anche i numeri delle persone denunciate o arrestate (1.022) e dei<br />
sequestri (1.156) sono in forte aumento rispetto all’anno precedente (nel 2000<br />
erano state rispettivamente 603 e 752).<br />
Nella classifica regionale la Sicilia si conferma al primo posto con<br />
1.919 infrazioni accertate, 66 tra denunciati e arrestati e 65 sequestri compiuti<br />
dalle forze dell’ordine. La Campania è al secondo posto con 1.202 reati (era<br />
terza nel 2000), mentre la Liguria sale sul podio dell’illegalità della<br />
navigazione in <strong>mare</strong> con 877 infrazioni alla normativa da diporto (si era<br />
classificata quinta nel 2000). Il Lazio scende dal secondo posto del 2000 al<br />
sesto dell’anno scorso, mentre la Calabria sale al settimo posto con 641 reati<br />
(era undicesima nello scorso dossier).<br />
LA CLASSIFICA DELL’ILLEGALITÀ DELLA NAVIGAZIONE IN MARE NEL 2001<br />
Regione Infrazioni Persone denunciate Sequestri<br />
accertate o arrestate effettuati<br />
1 Sicilia ↔ 1.919 66 65<br />
2 Campania ↑ 1.202 99 405<br />
3 Liguria ↑ 877 83 46<br />
4 Veneto ↔ 818 418 29<br />
5 Puglia ↑ 815 88 86<br />
6 Lazio ↓ 723 22 167<br />
7 Calabria ↑ 641 67 105<br />
8 Toscana ↓ 587 66 16<br />
9 Marche ↓ 391 18 5<br />
10 Emilia Romagna ↔ 375 66 4<br />
11 Sardegna ↓ 324 3 206<br />
12 Friuli Venezia Giulia ↔ 147 18 13<br />
13 Abruzzo ↔ 133 8 7<br />
14 Molise ↔ 57 0 2<br />
15 Basilicata ↔ 0 0 0<br />
Totale 9.009 1.022 1.156<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Guardia di finanza, Corpo forestale<br />
dello Stato e regionale e Capitanerie di porto.<br />
16
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Stilando la classifica delle tipologie di infrazione alla normativa da<br />
diporto, prima con oltre 3.600 reati accertati la mancanza dell’attrezzatura di<br />
sicurezza a bordo. Seguono la navigazione in zona non consentita (3.153<br />
infrazioni) e il mancato pagamento della tassa di stazionamento (901).<br />
Chiudono, con 1.351 reati, il trasporto di un numero eccessivo di persone a<br />
bordo, il mancato rispetto dei limiti di velocità, la pratica dell’attività<br />
subacquea e dello sci nautico non a norma di legge.<br />
I REATI AL CODICE DELLA NAVIGAZIONE E NAUTICA DA DIPORTO NEL 2001<br />
Reato Numero di<br />
infrazioni<br />
%<br />
Mancanza di attrezzatura di sicurezza<br />
(giubbotto salvagente, razzi segnalatori,<br />
autogonfiabili)<br />
3.604 40%<br />
Navigazione in zona non consentita<br />
(sottocosta, aree marine protette)<br />
3.153 35%<br />
Mancato pagamento tassa di<br />
stazionamento<br />
901 10%<br />
Altro (p.es. trasporto di persone non<br />
consentito, sci nautico non<br />
regolamentare, eccesso di velocità,<br />
violazioni nell’attività subacquea)<br />
1.351 15%<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati delle Capitanerie di porto<br />
17
5. Cemento in spiaggia<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Dai numeri sul demanio costiero preda del cemento selvaggio alla<br />
rassegna degli ecomostri d’Italia, vecchi e nuovi. Ma anche degli ecomostri<br />
finalmente abbattuti dopo le battaglie di <strong>Legambiente</strong> e i blitz “Demolition<br />
day” di Goletta verde. Tutto in un paragrafo interamente dedicato al cemento<br />
illegale e non che deturpa i paesaggi costieri d’Italia.<br />
5.1 La classifica regionale dell’abusivismo costiero<br />
Nel 2001 la Sicilia è diventata la prima regione italiana per reati relativi<br />
all’abusivismo sulle aree demaniali costiere. E non solo: i reati per abusivismo<br />
edilizio sul demanio marittimo siciliano sono passati dai 480 del 2000 agli 857<br />
del 2001, per un aumento percentuale di oltre il 78%. A tal proposito vale la<br />
pena sottolineare come proprio lo scorso anno la Giunta regionale siciliana di<br />
Totò Cuffaro ha presentato un disegno di legge sul condono edilizio che,<br />
sebbene non sia ancora stato approvato, ha prodotto i suoi effetti malefici in<br />
termini di ripresa del fenomeno. E del resto i dati storici sul fenomeno<br />
dell’abusivismo edilizio in Italia dimostrano che gli abusi edilizi progrediscono<br />
dopo il semplice annuncio di un ipotetico condono.<br />
La classifica, per il secondo anno consecutivo, vede le quattro regioni a<br />
tradizionale presenza mafiosa (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia)<br />
primeggiare in reati di abusivismo demaniale costiero. La Calabria scende al<br />
secondo posto con 654 reati (più o meno gli stessi consumati nel 2000), mentre<br />
Campania (557 reati) e Puglia (554) si confermano in terza e quarta posizione.<br />
Da segnalare il passo in avanti compiuto dall’Emilia Romagna, che<br />
dall’undicesimo posto del 2000 sale al quinto nel 2001, e quello all’indietro<br />
delle Marche, che dalla settima posizione scendono all’undicesima.<br />
18
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
LA CLASSIFICA DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO SUL DEMANIO NEL 2001<br />
Regione Infrazioni Persone denunciate Sequestri<br />
accertate o arrestate effettuati<br />
1 Sicilia ↑ 857 793 93<br />
2 Calabria ↓ 654 702 76<br />
3 Campania ↔ 557 601 124<br />
4 Puglia ↔ 554 554 52<br />
5 Emilia Romagna ↑ 241 248 21<br />
6 Toscana ↓ 229 244 30<br />
7 Sardegna ↑ 219 313 22<br />
8 Lazio ↑ 172 143 27<br />
9 Liguria ↓ 163 100 33<br />
10 Abruzzo ↔ 83 83 5<br />
11 Marche ↓ 78 93 8<br />
12 Veneto ↔ 60 61 6<br />
13 Friuli Venezia Giulia ↑ 15 16 5<br />
14 Molise ↓ 8 8 2<br />
15 Basilicata ↔ 8 14 0<br />
Totale 3.898 3.973 504<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Guardia di finanza, Corpo forestale<br />
dello Stato e regionale e Capitanerie di porto.<br />
5.2 Ecomostri: abusivismo edilizio, cemento legale, progetti<br />
insensati, storie esemplari di aggressione al Belpaese<br />
Anche quest'anno gli attivisti di Goletta Verde daranno vita a numerosi<br />
“demolition day”: ville, villaggi turistici, alberghi e lottizzazioni abusive e non,<br />
verranno “assaltate” simbolicamente dagli equipaggi del Pietro Micca e della<br />
Catholica. Bliz anti-ecomostro verranno organizzati inoltre nelle zone in cui<br />
progetti insensati minacciano di distruggere e deturpare cornici paesaggistiche<br />
e naturali uniche al mondo.<br />
Una campagna che, oltre a denunciare vecchi e nuovi attacchi al<br />
patrimonio ambientale del Belpaese, vuole dare un segnale preciso per quanto<br />
riguarda la lotta agli ecomostri e all’abusivismo edilizio. Dopo la demolizione<br />
del Fuenti, quelle nell’Oasi del Simeto a Catania, Eboli, la collina del disonore<br />
di Pizzo Sella a Palermo, la Valle dei Templi di Agrigento, sul lungo<strong>mare</strong> di<br />
Rossano, e l’Hotel Baia delle Ginestre a Porto Malu a pochi chilometri da<br />
Teulada, le ruspe demolitrici, dopo una fase di stallo, hanno riacceso i motori<br />
proprio in questi ultimi mesi, andando all’attacco di altri due ecomostri storici.<br />
Gli scheletri in cemento armato di Baia Punta Licosa a Montecorice in<br />
provincia di Salerno, oggetto di numerosi bliz di Goletta Verde, che da oltre un<br />
decennio deturpavano la baia, sono finiti sotto i cingoli delle ruspe. Il Villaggio<br />
19
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Sindona che dal 1973 sfregiava una delle aree costiere più belle ed interessanti<br />
di tutta l’isola, edificato in piena zona A della Riserva Marina. Anche sull’Isola<br />
di Lampedusa, quindi, si può cantare vittoria, almeno per quanto riguarda un<br />
altro ecomostro. Infine, anche dalla Calabria arriva qualche timido segnale<br />
nella lotta all’abusivismo edilizio, in una regione che continua a vantare numeri<br />
da primato nazionale nelle costruzioni di nuove case illegali. Il 12 giugno<br />
scorso, infatti è stato abbattuto una struttura abusiva costruita sullo scoglio in<br />
località Fosso Lamia, nel comune di Stalettì, in provincia di Catanzaro, grazie<br />
anche all’intervento economico del ministero dell’Ambiente. “Abbiamo<br />
cancellato così una ferita inferta al paesaggio italiano” ha commentato il<br />
Ministro Altero Matteoli. Ma la speranza è che quest’intervento straordinario<br />
non rimanga un fatto isolato, episodico ma si trasformi ben presto nel nostro<br />
paese in “ordinario”, e che la lotta all’abusivismo edilizio e agli scempi<br />
ambientali diventi finalmente una priorità per gli organismi istituzionali.<br />
Tuttavia gli altri segnali raccolti in quest’ultimo anno non sono stati<br />
incoraggianti, per usare un eufemismo. A cominciare dai progetti che aleggiano<br />
sulle rovine del "mostro" di Fuenti, che fanno pensare a quei mostri che …a<br />
volte ritornano. E poi i ritardi della legge anti-abusivismo, che consentirebbe di<br />
rendere più efficace e tempestivo l’intervento dello Stato, ma che non è riuscita<br />
a vedere la luce nella precedente legislatura e, sebbene sia stata ripresentata in<br />
questa attuale (primo firmatario Ermete Realacci), rimane intrappolata nelle<br />
secche parlamentari. E come se non bastasse la Giunta regionale siciliana di<br />
centro-destra ha rilanciato la proposta di sanatoria per tutte le costruzioni che si<br />
affacciano entro la fascia dei 300 metri dal <strong>mare</strong> camuffandola come “riordino<br />
delle spiagge”. Il provvedimento, passato all’esame dell’Assemblea Regionale,<br />
sebbene non sia stato approvato ha già prodotto effetti negativi. L’iniziativa ha<br />
scatenato un duro attacco da parte di tutte le associazioni ambientaliste alla<br />
Giunta Siciliana e rischia di aprire una falla insanabile nel nostro Paese nella<br />
lotta all’abusivismo edilizio e nel ripristino della legalità.<br />
L'abusivismo, intanto, continua ad “erodere” territorio e paesaggi, si è<br />
interrotto immediatamente il ciclo virtuoso che sembrava esservi avviato<br />
nell’anno 2000, vale la pena ricordare che nel precedente Rapporto<br />
Mare<strong>monstrum</strong>, avevamo segnalato una brusca inversione di tendenza nelle<br />
costruzioni di case illegali nel nostro Paese, ben 4.663 ossia in altre parole una<br />
flessione percentuale del 13,8%, con punte superiore al 15% nel Mezzogiorno:<br />
nel 2001, invece, la “ritirata” del cemento selvaggio si è fermata al 2,3%; non<br />
siamo ancora all’inversione di tendenza, che pure si è registrata in alcune<br />
regioni, ma l’abusivismo, continua a rimanere su livelli inaccettabili per un<br />
Paese civile. Secondo le stime elaborate dal Cresme, nel 2001 sono state<br />
immesse sul mercato edilizio del nostro Paese ben 28.276 case abusive (tra<br />
nuove costruzioni e trasformazioni d’uso illegali) rispetto alle 28.938 del 2000,<br />
per un valore immobiliare di 1.785 milioni di euro. In un anno è stata ricoperta<br />
di cemento una superficie complessiva di 3,8 milioni di metri quadrati. Il<br />
53,6% di questa enorme massa di cemento illegale, ovvero 15.150 case<br />
20
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
abusive, si concentra, e non è un caso, nelle quattro regioni a tradizionale<br />
presenza mafiosa: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.<br />
Soltanto negli ultimi tre anni, grazie alla martellante campagna di<br />
<strong>Legambiente</strong> contro gli ecomostri, sono stati demoliti almeno mille edifici<br />
fuorilegge, una cifra forse superiore alle demolizioni realizzate negli ultimi 20<br />
anni.<br />
Di seguito vengono riassunte delle storie esemplari di pezzi di Belpaese<br />
aggrediti dal cemento selvaggio.<br />
…le new entry<br />
Le villette di Campobello di Mazara<br />
Venti villette sequestrate, per un valore di circa 6 miliardi di vecchie<br />
lire e sei persone denunciate, è questo il risultato di un operazione<br />
antiabusivismo condotta dai carabinieri della Compagnia di Mazara, in<br />
contrada Tonnara di Tre Fontane, un area ad alte potenzialità turistiche, nel<br />
comune di Campobello. Ad essere finiti sotto i riflettori degli inquirenti, sono<br />
stati, oltre al proprietario accusato di aver violato le prescrizioni previste dagli<br />
strumenti urbanistici comunali nonché le normative statali e regionali, anche<br />
cinque funzionari dell’ufficio tecnico comunale, accusati di aver rilasciato<br />
concessioni edilizie illegittime. In particolare è stato accertato che una parte<br />
delle villette è stata edificata in una area che il Prg comunale destinava ad<br />
“zona verde di rispetto del litorale”, dove è consentita soltanto la realizzazione<br />
di strutture a carattere temporaneo di supporto alle attività balneari, dove il<br />
proprietario a pensato bene di costruire delle vere e proprie villette in cemento<br />
armato. Inoltre quest’area ricade interamente all’interno dei 150 metri della<br />
battigia, dove è vietato ogni genere di costruzioni. La questione, adesso, è in<br />
mano alla magistratura, sperando che al più presto venga risanata la grave<br />
ferita inferta all’ambiente siciliano.<br />
All’assalto del Tempio di Hera Lacinia (Crotone)<br />
E’ partito il 19 gennaio scorso l’assalto all’ultima colonna dorica<br />
superstite del Tempio di Hera Lacinia sul promontorio di Capocolonna a<br />
pochissimi chilometri a sud di Crotone. A sferrare l’orribile attacco è stato il<br />
derrick, una torre alta una sessantina di metri di supporto alle attività estrattive,<br />
realizzato dall’Agip a pochissimi metri dall’insediamento archeologico.<br />
Vedendo il danno oggettivo che il derrick con la imponente struttura in acciaio<br />
compie, sorge spontanea una domanda: come può il Ministero per i Beni e le<br />
Attività Culturali consentire tale scempio? Come può non intervenire per<br />
scongiurare questo assalto al patrimonio archeologico? Senza entrare nel<br />
merito della validità o meno della concessione mineraria, ma l’interesse alla<br />
tutela e alla salvaguardia del nostra storia, della nostra cultura non è tra le<br />
fondamenta della nostra Costituzione? E se questo non bastasse, il derrick<br />
dell’Agip si trova in prossimità della zona A della Riserva naturale marina di<br />
21
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Capo Rizzuto e per giunta in piena area del istituendo Parco Archeologico di<br />
Capo Colonna. La ripresa estrattiva sul promontorio non solo è incompatibile,<br />
quindi, con la presenza del futuro parco, ma anche con la situazione ambientale<br />
e geologica dell’area, caratterizzata da una particolare fragilità che rischierebbe<br />
di minare la stabilità e l’equilibrio non solo dei resti del Tempio di Hera<br />
Lacinia, ma dell’intero promontorio.<br />
<strong>Legambiente</strong>, in considerazione della gravità della situazione rivolge un<br />
appello accorato al Ministero per i Beni e le Attività Culturali affinché<br />
scongiuri l’assalto del derrick dell’Agip all’ultima colonna superstite del<br />
Tempio di Hera Lacinia.<br />
L’ecomostro “legalizzato” di Pozzano a Castellam<strong>mare</strong> di Stabia<br />
“Un intervento di tipo conservativo delle strutture preesistenti<br />
rappresentando ciò … un obiettivo principale .. capace di garantire l’identità<br />
del complesso”: sono questi alcuni dei passaggi della Relazione descrittiva<br />
dell’intervento di recupero, approvata dalla Conferenza dei servizi il 30 ottobre<br />
1998, dello stabilimento "Calce e Cemento" in località Pozzano a<br />
Castellam<strong>mare</strong> di Stabia. Il complesso industriale costituito da un edificio a<br />
volte e da due torri dei forni si trova a 10 metri dalla statale per Sorrento e a<br />
due passi dal bagnasciuga, nella splendida cornice della penisola Sorrentina.<br />
Venne presentato come un progetto di recupero archeologico-industriale, di<br />
fatto del vecchio edificio a volte non è rimasto nulla, le due torre sono state<br />
solamente puntellate, al loro posto sono stati costruiti due edifici ex novo che<br />
diventeranno ben presto dei lussuosi alberghi, categoria quattro stelle, oltre 250<br />
posti letti e come corollario una sala congresso e una paninoteca. Inoltre, il<br />
parcheggio è stato ottenuto dall’altra parte della strada sotto la montagna<br />
franata il 10 gennaio 1997, che ha causato la morte di quattro persone, in una<br />
zona ad altissimo rischio idrogeologico. L’intera operazione di “recupero” del<br />
vecchio cementificio grava come un macigno sul paesaggio dell’intera penisola<br />
Sorrentina, realizzato in un area di inedificabilità assoluta come regolamentato<br />
dal Piano paesistico della Penisola Sorrentina. Il grimaldello utilizzato è<br />
contenuto nella delibera del Consiglio regionale della Campania, la n. 53/1 del<br />
18 novembre 1998, con la quale venne concessa una deroga al P.u.t. (Piano<br />
Urbanistico Territoriale della penisola Sorrentina) approvato con legge<br />
regionale n. 35 del 27 giugno 1987, che garantiva la permanenza dello<br />
stabilimento "Calce e Cemento" e il suo riutilizzo a fini turistici privato,<br />
nonostante le innumerevoli contestazioni mosse dall’opinione pubblica e dalle<br />
associazioni ambientaliste in prima fila Italia Nostra, Wwf e <strong>Legambiente</strong>,<br />
sull'opportunità di sottrarre al pubblico godimento uno dei più bei tratti di costa<br />
Sorrentina.<br />
Il gigante di cemento di Bassano a Torre del Greco<br />
Sono più di trent’anni, ormai, che il gigante di cemento di Bassano a<br />
Torre del Greco (Na) continua a fare bella mostra di sé, proprio oscurando la<br />
22
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
torre saracena del 1600. L’albergo a forma di alveare, in parte realizzato<br />
illegittimamente su area demaniale (circa 20 metri in larghezza), con la sua<br />
imponente mole di sette piani, due in più rispetto ai cinque autorizzati, domina<br />
il bagnasciuga torrese. Sono queste alcune violazioni riscontrate nel maggio<br />
2001 dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata.<br />
La vicenda prende le mosse nel 1965 con il rilascio da parte del comune<br />
della concessione edilizia per la realizzazione di una serie di opere di edilizia<br />
residenziale e di un albergo sul <strong>mare</strong>.<br />
Nel 1972 il comune di Torre del Greco si pronuncia sui manufatti<br />
dichiarando che l’albergo può essere realizzato mentre sorgono una serie di<br />
problemi per ciò che riguarda le case residenziali.<br />
Nel corso del 1998 un’altra società subentra ai vecchi proprietari, la<br />
quale viene autorizzata dal comune a compiere solo lavori di ordinaria<br />
manutenzione, mentre la società di fatto lavora per ulti<strong>mare</strong> l’albergo. Nel<br />
1999 la Capitaneria di porto ha emanato un’ordinanza nella quale ha intimato<br />
alla proprietà della struttura di transennare la zona per pericoli di frana.<br />
Ci troviamo davanti ad una situazione, da tempo già denunciata dai<br />
Circolo locale di <strong>Legambiente</strong> e dal Wwf, sempre più ingarbugliata, con<br />
l’ecomostro che continua a dominare imponentemente il litorale.<br />
L’assalto di cemento alla Baia di Campese (Isola del Giglio)<br />
Una colata di cemento ha sommerso la baia di Campese davanti alla<br />
Torre Medicea sull’isola del Giglio. L’albergo realizzato lungo la via<br />
Provinciale in prossimità del centro abitato è arrampicato sul pendio che<br />
scende dolcemente a <strong>mare</strong>, rappresenta sicuramente uno scempio non solo<br />
visivo, ma soprattutto ambientale. Il cantiere, non ancora ultimato, è stato<br />
oggetto di numerosi sopralluoghi dell’Ufficio Tecnico comunale che hanno<br />
ravvisato notevoli violazioni urbanistiche in merito alle previsioni perimetrali e<br />
all’eccedenza di volumetria, ma soprattutto una difformità del progetto alle<br />
previsioni del Piano regolatore generale. Grazie, infatti, ad alcuni articifici<br />
tecnici, varianti, perizie geologiche ed ad una serie di sviste, è stata consentita<br />
la realizzazione di volumi notevolmente superiori rispetto alle indicazioni<br />
contenute nel PRG comunale. La questione ora è in mano al Tribunale<br />
amministrativo che dovrà pronunciarsi sulla regolarità delle procedure seguite.<br />
Il sipario sul lungo<strong>mare</strong> di Sanremo<br />
Cala il sipario sul lungo<strong>mare</strong> di Sanremo. E’ questo il triste destino che<br />
incombe su di un tratto della passeggiata a <strong>mare</strong> denominata Trento-Trieste,<br />
uno dei pezzi più suggestivi e caratteristici della riviera ligure. Il rischio per gli<br />
appassionati frequentatori potrebbe ben presto trasformarsi in realtà se venisse<br />
ultimato l’albergo in fase di costruzione sul lungo<strong>mare</strong> sanremese. Lo scempio<br />
prende le mosse da una errata rilevazione del dislivello, ormai acclarato<br />
tecnicamente, esistente tra le aree di sedime dove sono state impiantate le<br />
fondamenta dell’albergo e il livello della passeggiata. La differenza riscontrata<br />
è superiore ai due metri. Ma davanti a tali fatti, denunciati dal Circolo<br />
23
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
<strong>Legambiente</strong> di Sanremo, l’amministrazione comunale fa finta di nulla,<br />
considerando, anche, che non è il primo caso. Nel gennaio 1996, infatti, dopo<br />
la realizzazione di un primo lotto delle opere a terra del porto privato di<br />
Portosole, scoppia il precedente: una interpellanza consiliare solleva la<br />
questione dirompente delle altezze per un’altra infrastruttura di servizio al<br />
porto. I controlli successivi rilevarono che l’altezza del volume realizzato<br />
superava l’altezza della passeggiata e dei giardini di circa 1 metro, per un<br />
errore nelle tavole del Piano Particolareggiato e precisamente nell’indicazione<br />
della quota della passeggiata. Intanto la Soprintendenza sollecita<br />
l’Amministrazione Comunale ad “adottare provvedimenti cautelativi” e davanti<br />
all’inerzia della Giunta Comunale nell’agosto del 1997 esprime un severo<br />
giudizio di irregolarità delle opere eseguite e caldeggia il ripristino delle<br />
inquadrature panoramiche alterate. Inoltre, lo stesso Piano Particolareggiato L1<br />
Portosole, per la realizzazione delle opere a terra a completamento del porto<br />
privato, prescrive esplicitamente la necessità di salvaguardare il litorale<br />
prevedendo che la localizzazione delle nuove volumetrie deve tener conto delle<br />
visuali godibili sia da <strong>mare</strong> che da terra nei confronti dei giardini di Villa<br />
Ormond.<br />
Dall’Amministrazione comunale ancora nulla; anzi alla richiesta del<br />
Circolo di <strong>Legambiente</strong> di rivedere il Piano risponde affidando un incarico per<br />
un parere tecnico ad uno noto professionista, il quale - pur riconoscendo<br />
l’errore - arriva a sostenere che l’interesse pubblico attuale è quello di<br />
mantenere ciò che è costruito, seppure viziato. La storia si ripete, sperando che<br />
in questo caso, alla fine non cali il sipario.<br />
Teatro del Mare: l’ecomostro 2 di Sanremo<br />
E’ li tronfio ed imponente, oscura oscenamente il paesaggio da tutte le<br />
angolazioni, occupa prepotente una zona di libero accesso al <strong>mare</strong>, fiero della<br />
ingombrante modernità. Una scelta scellerata, contro ogni regola e buon gusto.<br />
Sono queste alcune delle considerazioni fatte sul Teatro del Mare, l’Ecomostro<br />
2, come è stato immediatamente etichettato, costruito in riva al <strong>mare</strong> di fronte<br />
alla Passeggiata Imperatrice, davanti ai Grandi Alberghi, al Casinò, Chiesa<br />
Russa, sul lungo<strong>mare</strong> sanremese. La stessa Soprintendenza per i Beni<br />
ambientali di Genova ha dichiarato, fermo restando la provvisorietà che “la<br />
costruzione è molto avanzata sul <strong>mare</strong>, particolarmente vistosa, ingombrante e<br />
tipologicamente anomala, in contrasto con vincolo ambientale”. Di fronte a<br />
tale scempio la città si è indignata e mobilitata, come dimostrano le oltre<br />
tremila firme raccolte dal Circolo locale di <strong>Legambiente</strong>, in prima linea contro<br />
l’ecomostro, su di un esposto trasmesso alla magistratura e agli organismi<br />
regionali di controllo, per verificare la regolarità della struttura. Di fronte a<br />
tanto fervore, l’amministrazione comunale si affretta a dichiarare che si tratta<br />
di una struttura che non necessità di concessione edilizia, visto che è<br />
caratterizzata dalle condizioni di precarietà, eccezionalità, e di provvisorietà. I<br />
tecnici comunali ribadiscono che la struttura è “precaria” in quanto smontabile<br />
senza “atti demolitori”; la rete di putrelle sarebbe imbullonata e il basamento in<br />
24
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
cemento armato separato da fogli di pvc, quindi non ancorato al suolo. Le<br />
verifiche effettuate e documentate evidenziano che le putrelle sono saldate e<br />
non imbullonate, plinti e cordoli in cemento armato senza alcuna traccia di<br />
fogli di pvc di separazione, riempimenti di terra e pietrisco, rampe di accesso<br />
asfaltate. Gli stessi controlli effettuati dalla Regione hanno riscontrato delle<br />
difformità rispetto all’autorizzazione regionale.<br />
La vicenda, inoltre, presenta notevoli zone d’ombra, ambiguità ed<br />
incertezze da chiarire, anche rispetto al rientro dei costi della struttura, in<br />
rapporto alla temporaneità dell’opera.<br />
Sanremo e la sua costa, finalmente liberati dalla ferrovia, meritavano<br />
sicuramente altri destini.<br />
…. le vecchie conoscenze<br />
L’abusivismo edilizio nella Riserva marina di Capo Rizzuto<br />
Ben 57 costruzioni abusive (10 nel comune di Crotone e 47 in quello di<br />
Capo Rizzuto) per 48.600 metri cubi, sono state individuate dalla Capitaneria<br />
di porto di Crotone, nell’area di demanio costiero della Riserva di Capo<br />
Rizzuto e nella fascia di rispetto.<br />
Una morsa di cemento illegale, fatto di moli che si protendono in <strong>mare</strong>,<br />
porticcioli, fabbricati, muri di recinzione, piattaforme in cemento armato,<br />
porticati, che stringe e avvolge la stupenda riserva marina di Capo Rizzuto, in<br />
provincia di Crotone. Tutte le gare fatte finora per demolire gli immobili sono<br />
andate deserte e nessuno, a cominciare dall’Ente gestore della Riserva, ha<br />
risposto alla stessa Capitaneria di Porto, che aveva dato la propria disponibilità<br />
a provvedere agli abbattimenti. E ancora oggi non si registrano novità volte a<br />
liberare questi luoghi.<br />
Baia di Copanello<br />
Siamo nel Comune di Stalettì, in provincia di Catanzaro, sulla costa<br />
ionica della Calabria. In uno scenario di straordinaria bellezza, “convivono” i<br />
due estremi, negativi e positivi, di tante aree del Mezzogiorno: l'ecomostro di<br />
cemento di Villaggio Lo Pilato, che con i suoi 16mila metri cubi deturpa la<br />
baia da oltre vent'anni; la tomba di Cassiodoro, il grande senatore e letterato<br />
romano del Vivarium, abbandonata a sé stessa nella più totale incuria e a pochi<br />
metri da un “illuminante” caso di scempio urbanistico. Sul Villaggio pende una<br />
ordinanza di demolizione del 1987, mai eseguita, e una gara di demolizione<br />
andata deserta. Alcuni mesi fa <strong>Legambiente</strong> ha presentato una denuncia le cui<br />
indagini sono ancora in corso.<br />
Capo Rossello<br />
Capo Rossello è una baia nel tratto più bello della costa meridionale<br />
della Sicilia, nel comune di Realmonte (Agrigento). E’ un luogo di grande<br />
suggestione, reso unico da uno scoglio, chiamato, per via di una antica<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
leggenda, “Do zitu e da zita”, cioè del fidanzato e della fidanzata, che si trova<br />
nel <strong>mare</strong> a trecento metri dalla spiaggia. La spiaggia di Capo Rossello, proprio<br />
per la sua straordinaria bellezza, è stata al centro delle mire speculative di un<br />
gruppo di politici e di imprenditori, denunciati e condannati dopo la<br />
pubblicazione di un dossier di <strong>Legambiente</strong> Sicilia. Nei primi anni Novanta,<br />
utilizzando uno strumento urbanistico scaduto ed in violazione del vincolo<br />
paesistico, alcuni assessori del Comune di Realmonte rilasciarono a sé stessi<br />
una serie di concessioni edilizie per realizzare palazzine in riva al <strong>mare</strong>,<br />
piantando i piloni nella sabbia e sbancando la costa di pietra bianca che<br />
completava il tratto costiero. Nel febbraio ’94, dopo la denuncia di<br />
<strong>Legambiente</strong>, l’intera Giunta Municipale, la commissione edilizia ed alcuni<br />
imprenditori furono tratti in arresto, processati e condannati. Si attende ancora,<br />
che il Comune demolisca lo scempio, fortunatamente bloccato.<br />
Assalto alla baia dei Turchi<br />
Sempre in territorio di Realmonte (Ag), a pochi chilometri da Capo<br />
Rossello, in località Baia dei Turchi, si trova un altro monumento alla<br />
speculazione edilizia, realizzato illegalmente da un altro gruppo di palazzinari<br />
grazie a concessioni edilizie compiacenti. Si tratta del progetto di un albergo<br />
sul <strong>mare</strong>, su quel tratto di costa dove, come dice il nome, un millennio fa<br />
sbarcarono gli ottomani. L’intervento di <strong>Legambiente</strong>, obbligò la Regione ad<br />
annullare la concessione ed a bloccare i lavori. Anche in questa baia ancora<br />
oggi si attende l’arrivo delle ruspe demolitrici.<br />
Vico Equense<br />
Gli scheletri dell'ecomostro di Alimuri, uno schiaffo all'immagine e al<br />
paesaggio naturalistico della penisola sorrentina, dal 1971 presidia maestoso<br />
una delle conche più belle del golfo di Napoli. Nel 1964 viene rilasciata la<br />
licenza per costruire, sulla spiaggia della conca di Alimuri, un albergo di 100<br />
vani. Nel 1967 la licenza viene rinnovata per la costruzione di 50 vani più<br />
accessori per un altezza massima di 5 piani. Nel 1971 la Soprintendenza ordina<br />
la sospensione dei lavori ma il ministero della Pubblica Istruzione accoglie il<br />
ricorso proposto dal titolare della licenza. Nel 1976 la Regione Campania<br />
annulla le licenze rilasciate dal Comune perché in contrasto con il Programma<br />
di Fabbricazione, ma il Tar Campania nel 1979 ed il Consiglio di Stato nel<br />
1982 annullano gli atti adottati dalla Regione. Nel 1986 i lavori sono sospesi<br />
dal Comune di Vico Equense perché si rendono necessari lavori di<br />
consolidamento del costone roccioso retrostante. Da allora, lo scheletro<br />
dell’albergo diventa un punto di ritrovo per la piccola delinquenza locale e per<br />
lo spaccio di stupefacenti, mentre tra i pilastri di cemento armato sorge<br />
spontanea una vera e propria discarica. Completare l'ecomostro di Alimuri<br />
avrebbe un duplice “effetto”: dare corso all'ennesimo assalto al patrimonio<br />
ambientale della penisola sorrentina e rendersi responsabili di un’opera a<br />
rischio, costruita alle pendici di un costone roccioso fragile, inserito nella zona<br />
rossa, quella a maggior rischio, dell'ultimo piano d’intervento per il dissesto<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
idrogeologico realizzato dall'Autorità di Bacino del Sarno. Basti pensare che i<br />
solai del complesso di Alimuri risultano attualmente sfondati da numerosi<br />
"fori" del diametro anche superiore al metro provocati da ripetuti crolli di<br />
blocchi lapidei staccatisi dal costone. L'amministrazione comunale di Vico<br />
Equense ha fatto rientrare l'area tra quelle di maggior pericolosità, censite nel<br />
nuovo Piano di Protezione Civile Comunale. Il passaggio successivo è quello<br />
di predisporre tutte le procedure amministrative per arrivare all'abbattimento.<br />
L’isola dei Ciurli di Fondi<br />
L’isola dei Ciurli, un'area agricola di grande valore paesistico, 21<br />
scheletri in cemento armato illegali aspettano da decenni di essere demoliti. Il<br />
Tar di Latina con una sentenza dell’ottobre 1997 ha giudicato l'intero<br />
complesso abusivo. Il Comune di Fondi, anziché avviare le procedure per<br />
l’acquisizione della lottizzazione al patrimonio pubblico e prevedere un piano<br />
di demolizione degli edifici, ha invitato i titolari della lottizzazione a<br />
sospendere i lavori e a presentare una proposta di lottizzazione. Il 29 settembre<br />
1998 il Consiglio comunale di Fondi ha approvato il “progetto di lottizzazione<br />
convenzionato e relativo schema di convenzione”. Questo è l’ultimo passaggio<br />
di una lunga storia iniziata nel 1968 che attraverso provvedimenti di<br />
sospensione dei lavori, sequestri giudiziari e ordinanze di sanatorie si è<br />
trascinata fino ai nostri giorni. Il Circolo <strong>Legambiente</strong> di Fondi, da tempo in<br />
prima linea contro l’ecomostro, ha presentato contro la decisione del Comune<br />
un esposto alla Procura della Repubblica di Latina.<br />
Gli scheletri di Agrigento<br />
Dopo la demolizione di uno degli edifici di proprietà di un mafioso che,<br />
da tempo deturpavano una delle aree archeologiche più importanti e suggestive<br />
d’Italia e del mondo, si è aperta agli inizi di quest’anno una nuova stagione di<br />
abbattimenti. Il Ministero dei Lavori Pubblici e il comitato istituito presso il<br />
provveditorato per le Opere Pubbliche della Sicilia, con il positivo contributo<br />
dell’Assessore ai Beni Culturali e Ambientali regionale, Fabio Granata, e<br />
dell’allora Sottosegretario ai Lavori Pubblici, Antonio Mangiacavallo, hanno<br />
dato il via libera all’abbattimento di altri sei scheletri nella Valle dei Templi,<br />
sbloccando una situazione di stallo che si protraeva da tempo. Purtroppo resta<br />
ancora tanto da fare per liberare il Parco archeologico dal cemento selvaggio.<br />
Sono circa 600, infatti, le abitazioni realizzate illegalmente nell'area sottoposta<br />
a vincolo di inedificabilità assoluta.<br />
Simeto: un'oasi a rischio<br />
Complessivamente sono 550 le case abusive da demolire, realizzate<br />
all’interno dell’Oasi del Simeto in Provincia di Catania. Ad oggi ne sono state<br />
abbattute, dalla precedente amministrazione guidata da Enzo Bianco, circa 60.<br />
Una colata di cemento per un totale di 250mila metri cubi, ossia 6 volte la<br />
volumetria del Fuenti. Un altro segnale positivo nella vicenda è arrivato dal Tar<br />
siciliano, che ha sospeso il Decreto regionale con il quale si riduceva<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
drasticamente la zona B di pre-riserva, determinando di fatto la sanatoria anche<br />
delle costruzioni abusive assolutamente incompatibili con i valori naturalistici<br />
della riserva. Sono passati due anni dallo stop agli abbattimenti imposto dalla<br />
nuova amministrazione comunale, mentre si era in attesa dei procedimenti di<br />
autodemolizione da parte dei proprietari, in virtù dei quali dovevano essere<br />
abbattute 40 costruzioni, per 20 è stato presentato ricorso, mentre delle restanti<br />
20 ne sono state abbattute 3 o 4. L’Oasi del Simeto, alla foce dell’omonimo<br />
fiume, è una delle aree umide di maggior pregio ambientale d’Italia, dove<br />
ancora oggi transitano e nidificano rare specie di uccelli migratori.<br />
<strong>Legambiente</strong> chiede che si prosegua, senza ripensamenti, l’opera di<br />
abbattimento delle costruzioni illegali e di recupero dell’Oasi.<br />
Le ville di Pizzo Sella<br />
Un milione di metri quadri di collina scoscesa e rocciosa sottoposta a<br />
vincolo idrogeologico e paesaggistico lottizzati abusivamente, 314 concessioni<br />
edilizie rilasciate illegittimamente dal Comune di Palermo in una zona<br />
destinata a verde agricolo, l59 unità immobiliari realizzate, il tutto corredato da<br />
opere di urbanizzazione primaria, strade, fognature, impianto di illuminazione,<br />
ecc. Si tratta delle ville di Pizzo Sella, a Palermo, un altro ecomostro il cui caso<br />
è quasi chiuso: le case abusive costruite sul promontorio palermitano di Pizzo<br />
Sella, ribattezzata la collina del disonore, vanno confiscate e il danno<br />
ambientale prodotto deve essere risarcito. Lo ha stabilito la sentenza emessa il<br />
29 gennaio 2000 dal giudice Lorenzo Chiaramonte, che ha condannato dieci<br />
tecnici, funzionari comunali e imprenditori, accusati di aver partecipato a vario<br />
titolo ad un’enorme speculazione edilizia. Diversi lotti di terreno con rispettiva<br />
villetta sono stati "donati" ad alcuni tecnici e funzionari comunali, per facilitare<br />
e rendere possibile il rilascio delle concessioni. In particolare, il progettista del<br />
complesso edilizio allo stesso tempo faceva parte della commissione edilizia<br />
che dava il parere sulle concessioni e naturalmente aveva esercitato la sua<br />
influenza affinché i progetti fossero approvati senza problemi. Particolare non<br />
trascurabile, infine, le concessioni edilizie figuravano intestate alla sorella del<br />
noto boss mafioso Michele Greco il "papa della mafia". Una colossale<br />
speculazione immobiliare che nasconde un’imponente operazione di<br />
riciclaggio di denaro “sporco” da parte di Cosa Nostra. Dopo la demolizione<br />
dei primi scheletri, la sentenza apre adesso una pagina completamente nuova in<br />
questa vicenda, premessa indispensabile per la demolizione delle oltre 300<br />
costruzioni illegali che da più di vent'anni deturpano la collina.<br />
La “saracinesca” di Bari<br />
Il 29 gennaio 2001 la Corte di Cassazione ha reso definitiva la sentenza<br />
emessa nel 1999 dal giudice per le indagini preliminari di Bari, Maria Mitola:<br />
l’ecomostro di Punta Perotti, 300mila metri cubi di cemento costruiti sul<br />
lungo<strong>mare</strong> di Bari, è abusivo, annullando, così la sentenza della Corte<br />
d’Appello di Bari che aveva assolto gli imputati perché il fatto non sussisteva e<br />
restituito l’ecomostro di Punta Perotti ai proprietari. La sentenza, definitiva,<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
prevede l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dei due grattacieli e<br />
delle aree di sedime in cui sono stati realizzati e, soprattutto, non lascia margini<br />
di equivoco sul futuro della Saracinesca: le costruzioni devono essere<br />
abbattute. Spetta ora all’amministrazione comunale dare corso all’ultimo atto<br />
di una lunga vertenza, che ancora tarda a venire.<br />
Nel frattempo <strong>Legambiente</strong>, in collaborazione col Ministero dei beni<br />
culturali, ha inserito Punta Perotti tra le aree oggetto di un concorso<br />
internazionale di progettazione, al fine di promuovere idee per la<br />
riqualificazione del tratto costiero violato dalla “Saracinesca”.<br />
Una vertenza cominciata, grazie anche all’impegno dei Centri di azione<br />
giuridica di <strong>Legambiente</strong> Puglia, subito dopo l’avvio dei cantieri, nei primi<br />
anni Novanta, e che è proseguita, tra alti e bassi fino al gennaio scorso: prima<br />
la decisione del Gip di Bari, poi la revoca della sentenza in Corte di appello;<br />
infine la decisione della Terza sezione penale della Cassazione, che ha posto la<br />
parola fine a questa sorta di “telenovela” giudiziaria. Resterà comunque alta, in<br />
attesa della demolizione dei due grattacieli, l’attenzione verso le scelte che la<br />
Regione Puglia e l’amministrazione comunale di Bari porteranno avanti sotto il<br />
profilo urbanistico. Troppo a lungo, infatti, in questa terra, accanto ai fenomeni<br />
squisitamente illegali, è prevalsa la logica delle cementificazioni a tutti i costi,<br />
anche in barba ai vincoli previsti dalle normative nazionali, legge Galasso in<br />
testa.<br />
La “Pietra” di Polignano a Mare<br />
Nel febbraio del 1998 è scattata l'operazione “Pietra Igea”, condotta<br />
dagli uomini del Coordinamento provinciale del Corpo forestale di Bari su<br />
delega del sostituto procuratore Roberto Rossi contro una lottizzazione abusiva<br />
nel Comune di Polignano a Mare. L'area, in località Ripagnola, si estende su<br />
quattro ettari, e al momento del blitz già ospitava un volume complessivo di<br />
oltre 20.000 metri cubi di cemento: un complesso turistico, con albergo e villini<br />
annessi. Diciannove i “corpi di fabbrica” già sequestrati nell'area soggetta a<br />
vincolo paesaggistico, sette gli avvisi di garanzia emessi nei confronti dei<br />
responsabili di questo scempio.<br />
Villaggio Coppola: un paese abusivo<br />
Dune mobili e una splendida pineta di proprietà demaniale costituivano<br />
la cornice di uno stupendo paesaggio unico nel suo genere: si presentava così il<br />
litorale domiziano in provincia di Caserta. Ora su quella dune c'è un “paese<br />
privato” di oltre 15.000 abitanti, il Villaggio Coppola “Pineta<strong>mare</strong>”, un mostro<br />
di pietre e cemento lungo quattro chilometri costituito da otto grattacieli<br />
identici di dodici piani, con almeno ottanta appartamenti l'uno, 1300 posti auto,<br />
hotel e residence, pizzerie e rosticcerie, un porto privato per seicento posti<br />
barca, una chiesa e un cinema.<br />
La lottizzazione risale ai primi anni '60. A realizzarla fu la Società<br />
immobiliare Fontana Blu di proprietà dei fratelli Coppola, di Aversa. Nel 1995<br />
scattano i sequestri disposti dal sostituto procuratore Donato Ceglie, inizio di<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
una lunga vicenda giudiziaria che non ha ancora visto la parola fine. Nel<br />
frattempo le ruspe (pagate da chi aveva costruito abusivamente) hanno<br />
terminato d’abbattere la sopraelevata del Parco Saraceno, 800 metri di asfalto<br />
abusivo che collegavano la darsena con le strade principali. Una nuova<br />
primavera per il Villaggio Coppola, sul quale pendono ben 165 procedimenti<br />
penali, è iniziata. Questa accelerazione è dovuta, in buona parte,<br />
all'insediamento dell’allora Commissario Straordinario di Governo per le aree<br />
del territorio di Castel Volturno, il Prefetto Mario Ciclosi. Finalmente si passa<br />
ad una nuova fase, più incisiva, nella gestione della vicenda: sono nominati due<br />
Comitati operativi, nazionale e periferico, per coordinare le diverse attività e<br />
gli interventi. Nel frattempo 101 ettari della Pineta Grande, sopravvissuti al<br />
degrado, sono stati affidati al Corpo Forestale per un periodo sperimentale di<br />
tre anni, in modo che siano garantiti manutenzione e ripristino del verde. Ma il<br />
progetto di recupero del Villaggio Coppola non si deve fer<strong>mare</strong>: una torre è già<br />
stata abbattuta, ma occorre demolire le altre sette torri abusive e dare corso al<br />
progetto di riqualificazione dell’intera area. Gli interventi per il ripristino della<br />
legalità in una zona già tanto danneggiata, passa necessariamente attraverso il<br />
rigoroso rispetto della legge sull’abusivismo e il divieto assoluto di nuove<br />
concessioni.<br />
Lo Spalmatoio di Giannutri<br />
Una lunga fila di fatiscenti immobili in cemento armato per circa<br />
11.000 metri cubi, fa bella mostra di sé da oltre 10 anni nell'insenatura dello<br />
Spalmatoio a Giannutri, isola che fa parte del Parco nazionale dell'Arcipelago<br />
Toscano. Delle costruzioni, iniziate negli anni '80 dalla società Val di Sol e poi<br />
interrotte, rimangono oggi alcuni scheletri in cemento e qualche villetta in<br />
completo stato di abbandono. Dopo oltre 10 anni di oblio, la nuova società che<br />
ha acquisito gli immobili ha chiesto al Consiglio direttivo dell'Ente Parco il<br />
nulla-osta per “recuperare” il complesso. L'Ente Parco è in attesa di<br />
documentazione aggiuntiva dal Comune del Giglio (nel cui territorio rientra<br />
Giannutri) per chiarire una vicenda che presenta diversi lati oscuri.<br />
Il complesso residenziale di Fossa Maestra<br />
"A trenta metri dall'incantevole spiaggia di Marina di Carrara, la<br />
Società Casa Fiorita 2 sta costruendo un complesso immobiliare denominato<br />
Residence Paradiso, formato da tre piccoli gruppi di ville a schiera immersi nel<br />
verde": così nel dicembre del '92 veniva pubblicizzato su alcuni giornali la<br />
costruzione del complesso residenziale di "Fossa Maestra", in un'area dove il<br />
Piano regolatore prevedeva "attrezzature collettive balneari". Il circolo<br />
<strong>Legambiente</strong> di Carrara nell'aprile '93 ha presentato un esposto alla<br />
magistratura; nel luglio '95 il pretore ha condannato i responsabili a 20 milioni<br />
di multa "per aver realizzato un albergo in contrasto con quanto previsto dal<br />
Prg e per aver realizzato l'edificio in difformità rispetto alla concessione<br />
edilizia rilasciata dal comune". La sentenza è stata successivamente confermata<br />
in Cassazione. Sono passati quattro anni ma lo scheletro è ancora in piedi,<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
impedendo ogni possibilità di ripristino e recupero dell'area umida, prevista dal<br />
Piano strutturale in vigore. Quest’anno <strong>Legambiente</strong> Carrara ha organizzato<br />
nella stessa spiaggia l’operazione spiagge pulite per chiedere al Comune di<br />
abbattere, che continua a fare “orecchie da mercante”.<br />
Lo "scheletrone" di Palmaria<br />
Circa 10.000 metri cubi di cemento incombono sul paesaggio del Parco<br />
Regionale delle Cinque Terre. Uno scheletro abusivo alto 30 metri nel Comune<br />
di Portovenere di cui <strong>Legambiente</strong> chiede la demolizione e il recupero<br />
dell'area, tra le più suggestive di Palmaria.<br />
La vicenda inizia nel 1975 quando il Sindaco di Portovenere rilascia<br />
una concessione edilizia per la realizzazione di un albergo e di un residence di<br />
45 appartamenti, con annessi servizi e infrastrutture. Nello stesso anno la<br />
Pretura blocca la speculazione, mette sotto sequestro il manufatto e rinvia a<br />
giudizio i titolari della società lottizzatrice, il Sindaco e l'impresa. La sentenza<br />
è poi confermata anche in appello. Si attende ancora un intervento della Giunta<br />
regionale. La Giunta comunale di Portovenere ha votato una delibera che<br />
rigetta definitivamente la richiesta di condono presentata dai proprietari. Il 23<br />
maggio scorso è stato raggiunto un accordo tra la regione Liguria, il Comune di<br />
Portovenere e la Sovrintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio<br />
della Liguria che dovrebbe portare all’abbattimento dello scheletrone di<br />
Palmaria che da oltre 30 anni sfregia uno dei tratti di costa più belli della<br />
Liguria.<br />
L’Hotel Castelsandra nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diana<br />
(Comune di Castellabate – Salerno)<br />
Un vasto complesso immobiliare a destinazione alberghiera costruito su<br />
di una collina, nel cuore del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diana.<br />
Siamo nel comune di Castellabate in provincia di Salerno dove, a partire dalla<br />
meta degli anni ’80, in assenza di qualsivoglia lecito titolo concessorio, in una<br />
zona incontaminata soggetta a vincolo di inedificabilità e destinato all’uso<br />
civico boschivo, è stato costruito l’Hotel Castelsandra. Il complesso<br />
alberghiero è stato confiscato perché ritenuto oggetto di reinvestimento e di<br />
riciclaggio di attività illecite e criminali da parte del clan camorristico dei<br />
Nuvoletta.<br />
Sull’annosa vicenda che va avanti ormai da un decennio sembrerebbe<br />
comparire la parola fine. Il Sottosegretario di stato per l’economia e la finanza<br />
Maria Teresa Armosino, nella seduta della Camera dei deputati del 28<br />
novembre 2001 ha espressamente risposto in merito all’interrogazione<br />
parlamentare sull’Hotel Castelsandra che: “l’area interessata dalla costruzione<br />
e contraddistinta da un vincolo di inedificabilità assoluta, prevista dal Piano<br />
regolatore generale adottato dal Comune di Castellabate. Di conseguenza<br />
l’edificazione realizzata non è neppure suscettibile di un provvedimento di<br />
sanatoria edilizia”. Inoltre, “Il soggetto giuridicamente tenuto a procedere ad<br />
ogni attività occorrente per la demolizione secondo le regole tipiche dettate in<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
argomento dalla legge n.47/85 è il Comune di Castellabate. Solo in caso di<br />
inerzia ingiustificata del comune, l’ente parco nazionale potrà ad esso<br />
sostituirsi, attivando le procedure di demolizione e rivalendosi,<br />
successivamente, sul comune per i costi sostenuti”.<br />
Le villette abusive di Piscina Rey a Muravera<br />
Dopo una lunga vicenda giudiziaria fatta di appelli e riforme parziali di<br />
sentenze, il 9 aprile 1999 la Corte di Cassazione ha confermato l’ordinanza di<br />
demolizione per un complesso immobiliare di villette a schiera per migliaia di<br />
metri cubi costruito in un’area ad uso civico lungo la costa di Muravera. Dopo<br />
sette pronunce giurisdizionali non è stato ancora demolito nulla.<br />
Il “moncone in cemento armato” a Mondragone<br />
Lungo il lungo<strong>mare</strong> di Mondragone continua a fare bella mostra di se<br />
da oltre vent’anni un moncone di cemento armato mai ultimato, un pontile<br />
d’attracco che parte dalla terra ferma, attraversa l’intero arenile e si protrae per<br />
qualche decina di metri nel <strong>mare</strong>. Il progetto originario risalente al 1971,<br />
prefigurava un pontile di attracco per piccole imbarcazioni, che si sarebbe<br />
dovuto addentrare per oltre 256 metri nel <strong>mare</strong> e consentire così, anche, una<br />
gradevole passeggiata panoramica. I lavori partiti agli inizi degli anni ’80 non<br />
sono mai stati ultimati, non solo per lungaggini tecnico-burocratiche, ma<br />
soprattutto per lo stop decretato il 20 settembre 1990 dall’allora Ministro dei<br />
Beni Culturali e Ambientali che ritenne l’opera incompatibile con la vocazione<br />
turistico-balneare dell’area. Una colata di cemento senza futuro che continua a<br />
sfregiare e deturpare il litorale: dopo la pronuncia del Consiglio comunale per<br />
l’abbattimento si attende, auspichiamo al più presto, l’emissione dell’ordinanza<br />
di demolizione per liberare il litorale dal moncone di cemento.<br />
5.3 L’assalto alle coste: i casi esemplari<br />
5.3.1 Il cemento nel Golfo di Taranto<br />
Centocinquanta chilometri di villaggi e porti turistici ridisegneranno il<br />
profilo di due intere province costiere, quella di Taranto e quella di Matera.<br />
Decine di migliaia di nuovi posti letto e posti barca all’interno di zone umide e<br />
Siti di Importanza Comunitaria, una vera e propria città distesa lungo il litorale,<br />
viva solo per qualche settimana e poi abbandonata e deserta per il resto<br />
dell’anno. Stiamo parlando del progetto di trasformazione forse più rilevante,<br />
per numeri ed estensione territoriale, che si sia mai verificato nel nostro paese.<br />
Paragonabile a quanto accaduto qualche decennio fa sulla Costa Smeralda, con<br />
risvolti socioeconomici da non sottovalutare. Il risultato sarà il completo<br />
stravolgimento di un territorio omogeneo, caratterizzato da un fronte a <strong>mare</strong><br />
basso e sabbioso, da dune e da un entroterra con una fitta pineta interrotta dal<br />
passaggio di numerosi corsi d’acqua e da quanto rimane di quella che una volta<br />
era una delle più importanti zone umide della nostra penisola.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Sono due gli elementi di punta di questo megainsediamento: per la<br />
provincia di Taranto il progetto Nuova Concordia a Castellaneta Marina,<br />
mentre sulla costa materana a fare da apripista ci pensa la Cit Holding con un<br />
megaprogetto a Scanzano Jonico.<br />
Ma procediamo con ordine: il progetto Nuova Concordia, all’interno<br />
del quale insiste il famoso villaggio Valentino, è stato addirittura oggetto di<br />
uno specifico Accordo di Programma che ha previsto lo stanziamento di ben<br />
520 miliardi da parte del Cipe per un’opera che interesserà 300 pregiatissimi<br />
ettari di territorio a ridosso di una riserva biogenetica. Proprietario dell’intera<br />
struttura è il gruppo imprenditoriale Putignano, una delle imprese più quotate<br />
del settore nel Sud Italia. Qualche settimana fa i carabinieri hanno apposto i<br />
sigilli al cantiere per le irregolarità riscontrate in materia di sicurezza sul posto<br />
di lavoro. Ancora una volta quindi l’imprenditoria arruffona e fuorilegge, che<br />
dietro il doppiopetto nasconde in realtà atteggiamenti che di manageriale hanno<br />
poco o nulla. Il blitz dei Carabinieri ha riscontrato che la pratica del sub<br />
appalto era la norma all’interno del cantiere, alla vista delle forze dell’ordine<br />
buona parte degli operai si sono dati addirittura alla fuga. Secondo quanto<br />
denunciato dalla Fillea Cgil di Taranto, più del 41% dei lavoratori del settore<br />
edile di Taranto e provincia sarebbe irregolare, per 2500 operai quindi non ci<br />
sarebbe alcuna forma di tutela contrattuale.<br />
Procedendo sempre in provincia di Taranto si incontrano due villaggi<br />
turistici progettati e approvati a Ginosa Marina, a ridosso del Lago Salinella, al<br />
centro di una storica battaglia di <strong>Legambiente</strong>. Nei pressi dell’ex alveo del<br />
fiume Bradano, il lago Salinella è considerato la più importante zona umida<br />
della provincia di Taranto, meta di circa 150 specie diverse di uccelli, tra i<br />
quali esemplari di airone cinerino e cigno reale. Nonostante i numerosi vincoli<br />
esistenti sull’area il P.R.G. del Comune di Ginosa prevede proprio qui la<br />
realizzazione di villaggi turistici. E ancora, proseguendo lungo la costa, la<br />
lottizzazione Perronello Catalano e i villaggi turistici progettati all’interno della<br />
pineta Marinella sulla spiaggia di Chiatona. La situazione non cambia a levante<br />
della città di Taranto: qui si comincia con il villaggio turistico con annesso<br />
porticciolo in località Blandamura a Talsano, e si prosegue con i villaggi<br />
turistici delle società Kira e Ondablu a Lido Silvana e a Torretta, fino ad<br />
arrivare a Baia Colimena dove è progettato un porticciolo turistico. A poca<br />
distanza un altro porto turistico, in questo caso si tratta del raddoppio di quello<br />
già realizzato a Campomarino, una località sulla quale si concentrano numerosi<br />
progetti speculativi, dal Progetto Mirante (180 miliardi di lire in strutture<br />
ricettive su 40 ettari di costa con retroduna ancora intatta) al Messapia Golf<br />
club & resort, 120 miliardi di lire in alberghi, minialloggi, villaggi turistici per<br />
un totale di oltre 300.000 metri cubi da realizzare all’interno della riserva<br />
naturale della foce del fiume Chidro.<br />
Altrettanto critica la situazione lungo il tratto di costa jonico lucana. E’<br />
un altro accordo di programma ad aprire qui la strada alla realizzazione di<br />
villaggi, porti turistici e divertimentifici vari. E’ quello siglato tra il Ministero<br />
del Tesoro e la Cit Holding per oltre 200 miliardi di lire (la metà a carico dello<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Stato) per realizzare quattro progetti di villaggi turistici e alberghi su oltre 200<br />
ettari di territorio del Comune di Scanzano Jonico. Ma villaggi turistici sono<br />
previsti lungo tutti i 47 km di costa lucana, a cominciare dai due porticcioli<br />
turistici a Lido di Metaponto e dall’ampliamento dei villaggi Argonauti, Ti Blu<br />
e Le Dune nelle vicinanze di Marina di Pisticci, proseguendo con un altro porto<br />
turistico e il villaggio Marinagri a Lido di Policoro, per concludere a Nova Siri,<br />
al confine con la Calabria, con il villaggio turistico Akiris, in parte già<br />
realizzato e un ulteriore porto turistico. Tirando le somme si prevede di<br />
realizzare 15.000 nuovi posti letto e 1.650 posti barca in poche decine di<br />
chilometri sui quali già esistono 11.500 posti letto, 4 Siti di Importanza<br />
Comunitaria e una Zona di Protezione Speciale.<br />
La costa jonica ha già subito, nel volgere di un secolo, il grave<br />
stravolgimento passando da zona umida ad area agricola (con le bonifiche ed i<br />
rimboschimenti degli inizi del ‘900), perdendo importanti biotopi di foresta<br />
planiziaria (Policoro), sostituendo le molteplici varietà vegetazionali tipiche<br />
delle zone umide con monospecie resinose e conifere, eliminando le aree di<br />
laminazione ed espansione delle foci dei fiumi lucani, modificando i regimi dei<br />
venti di costa con la pineta e spostando più a monte i trasporti eolici salini,<br />
alterando la falda acquifera sottocosta, accentuando le modificazioni della linea<br />
di costa con le canalizzazioni e le idrovore.<br />
Con la riforma agraria sorgono anche i primi insediamenti urbani<br />
(Scanzano, Metaponto Borgo) e si creano le premesse per le espansioni di<br />
nuovi abitati (Policoro, Nova Siri), mentre nascono i primi insediamenti<br />
balneari (Metaponto, Ginosa Marina, Castellaneta, e più recentemente Pisticci).<br />
Il grande reticolo viario esistente in tutta l’area, le reti e servizi<br />
realizzati negli ultimi decenni per servire gli insediamenti agricoli sparsi o<br />
concentrati sono un ottimo supporto per la crescita insediativa nel metapontino.<br />
Più recentemente si espandono gli insediamenti balneari di Castellaneta (Il<br />
Valentino e Nova Yardinia che occuperà oltre mille ettari con fondi europei per<br />
il 50% su 600miliardi); Ginosa (lottizzazione alle Salinelle), Metaponto Borgo<br />
e Lido (numerose lottizzazioni e villaggi in costruzione), 48 (Porto degli<br />
Argonauti-Nettis Resort e complesso residenziale alla foce del Basento),<br />
Scanzano, Policoro (porto alla foce dell’Agri e numerosi complessi turistici) e<br />
Nova Siri con il rafforzamento di complessi residenziali turistici più o meno<br />
riservati. Nascono i complessi mimetizzati direttamente nella pineta: Riva dei<br />
Tessali, Club Med, il Valentino, etc. e si moltiplicano i campeggi e gli<br />
stabilimenti balneari che perdono sempre più la caratteristica di removibilità,<br />
diventando dei veri insediamenti in cemento direttamente sulle spiagge.<br />
Qui dunque si stanno realizzando oltre cinque milioni di metri cubi di<br />
fabbricati, una grande città, senza essere una città, con l’accordo stretto tra<br />
amministratori e funzionari regionali, imprenditori, sindaci. Insediamenti<br />
turistici per almeno 300mila persone, con un forte turn over e richiamo in tre<br />
mesi di almeno tre milioni di turisti su un rettangolo di 45 km x 6.<br />
Tre, quattro o cinque porti turistici, uno per ogni foce di fiume (porto<br />
canale sul Bradano a Metaponto, porto degli Argonauti alla foce del Basento,<br />
34
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
porto turistico all’ittica val d’Agri, etc.), e poi ipermercati, acqua park, mega<br />
discoteche, parcheggi di scambio, centri benessere. Tutta roba che richiede<br />
tanta energia, da fornire di acqua potabile, da dotare di depuratori, di<br />
discariche, di strade, fogne, pubblica illuminazione, sistemi di sicurezza; con<br />
flussi concentrati nel tempo e nello spazio, con modificazioni territoriali<br />
irreversibili, con perdita secca del valore paesaggistico ed ambientale.<br />
Tutto questo senza essere una città, di fatto vuota per più di 9 o 10 mesi<br />
l’anno, ma costando alle comunità per tutto l’anno.<br />
Questa nuova città sta sorgendo in un posto di grande sensibilità almeno<br />
sotto altri due profili, oltre quelli paesaggistici ed ambientali, quello storico e<br />
quello della sicurezza.<br />
La Magna Grecia ha lasciato importanti segni della sua storia sulle<br />
popolazioni locali, sugli insediamenti urbani esistenti, sul territorio e<br />
sull’agricoltura, tracce che sono percepibili e che arricchiscono i viaggiatori<br />
curiosi.<br />
Mentre sulla costa si costruiscono nuovi pseudo villaggi, all’interno si<br />
spopolano i centri storici di tutti i paesi lucani. Il recupero e la rivitalizzazione<br />
dei paesi della collina e dell’Appennino lucano possono rappresentare un<br />
investimento positivo ed una seria diversa prospettiva per il turismo e la<br />
ospitalità diffusi. I paesi della collina e dell’Appennino sono situati giusto a<br />
corona della fascia jonica, con tempi di percorrenza raramente superiori ai 30<br />
minuti. Questi centri necessitano solo di interventi diffusi ed attenti.<br />
Il rischio idrogeologico della fascia jonica<br />
Il Piano provinciale di emergenza della Protezione Civile predisposto<br />
dalla Prefettura di Matera indica la fascia jonica come ad altissimo rischio<br />
idrogeologico. L’evento di riferimento è quello accaduto nel novembre del<br />
1959. Solo tre giornate di intense pioggie, con max di 300 mm. nelle basse<br />
valli dei fiumi lucani, furono sufficienti, accanto ad un persistente vento<br />
sciroccale, perché l’intera area metapontina, da Ginosa a Nova Siri, finisse<br />
sott’acqua e ci fossero anche delle vittime. Nessuno dei fiumi lucani riusciva a<br />
sfociare in <strong>mare</strong>, i livelli di guardia furono superati a partire dal medio corso<br />
degli stessi fiumi, furono interrotte le comunicazioni viarie e ferroviarie su tutta<br />
la linea jonica per molti giorni, l’energia elettrica mancò per due settimane,<br />
l’acqua potabile per oltre un mese. A Metaponto Borgo il livello dell’acqua<br />
raggiunse i secondi piani delle case appena costruite dall’Ente Riforma; parte<br />
della linea ferroviaria fu sepolta da oltre due metri di fango e limo per una<br />
lunghezza di circa venti chilometri. Nel novembre del 1959 i danni furono<br />
limitatissimi in confronto a quelli che si verificherebbero oggi ed insignificanti<br />
rispetto a quelli che si potrebbero verificare in futuro a fronte di un evento<br />
simile. Alla fine degli anni ’50 nel metapontino vivevano meno di 10mila<br />
persone (oggi sono quasi 40mila), l’agro era ancora in grado di assorbire<br />
discreti scrosci di pioggia (fino a 20 mm/h), le foci dei fiumi erano<br />
sostanzialmente libere mentre oggi sono tutte “urbanizzate” o regimentate da<br />
varia viabilità. Si può sti<strong>mare</strong> che la superficie impermeabilizzata della fascia<br />
35
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
jonica fosse meno del 5% del totale nel 1960, che sia del 10% oggi e che sarà<br />
del 25-30% se si dovessero realizzare i diversi complessi edilizi e turistici<br />
previsti.<br />
Proviamo ad immaginare quale effetto avrebbe sul territorio un evento<br />
come quello del novembre del 1959. Le capacità di intervento della Protezione<br />
Civile sono aumentate, ma non si potrebbe evitare l’esondazione dei fiumi, che<br />
siano investite le strutture, travolti i porti canali, sepolti i servizi ed i sotto<br />
servizi, che un numero di molte migliaia di cantine, appartamenti sotterranei,<br />
garage, depositi siano investiti dal fango, che le falde superficiali producano<br />
sommovimenti ai fabbricati. Possiamo sperare che la crescita del livello<br />
dell’acqua ed il suo deflusso avvengano in tempi medio lunghi, avremmo danni<br />
solo dall’acqua e dal fango, se i deflussi dovessero essere repentini, per via del<br />
calo improvviso dello Scirocco, avremo un importante fenomeno di<br />
trascinamento verso il <strong>mare</strong> con grave accentuazione dei danni.<br />
Tutto ciò considerato crediamo che l’utilizzo a fini turistici della costa<br />
jonica debba essere fatto con grande attenzione, evitando di incrementare le<br />
impermeabilizzazioni, investendo sull’esistente dei centri storici, con una scelta<br />
di discrezione, di rispetto e non di omologazione a modelli che non<br />
appartengono alla nostra storia e che fanno solo danni al nostro territorio.<br />
5.3.2 Sicilia<br />
Il condono edilizio<br />
Affrontando il tema della crisi della pianificazione e dei rischi della<br />
deregulation urbanistica in Italia, in Sicilia non si può non soffermarsi sul<br />
fenomeno dell’abusivismo edilizio che, lungi dall’essere in una fase recessiva<br />
come qualcuno sostiene, come un virus mutante sta cambiando forma,<br />
diventando sempre più aggressivo e devastante non solo dal punto di vista<br />
paesaggistico-ambientale, ma soprattutto da quello sociale. E’ un’aggressione<br />
“stabilizzata” potremmo dire: nell’anno appena trascorso sono andate infatti<br />
deluse le aspettative di chi puntava su un’ulteriore marcia indietro del<br />
fenomeno. Nel 2000 infatti la costruzione di nuove case abusive in Italia ha<br />
visto una flessione del 13,8%, rispetto al 1999, con punte fino al 15,7% nel<br />
Mezzogiorno e nelle Isole. Era l’epoca degli abbattimenti: Valle dei Templi,<br />
parchi del Vesuvio e del Cilento; e poi nel 1999 era venuto giù il Fuenti.<br />
Insomma la comparazione tra il trend dell’abusivismo e l’attività demolitoria<br />
segnava un processo virtuoso che ora è stato interrotto. Non si abbatte più e<br />
allora ecco che nell’ultimo anno quella flessione nell’attività abusiva che era<br />
stata del 13,8%, si è ridotta ad appena il 2,3%: un segnale importante che<br />
dovrebbe allar<strong>mare</strong> tutti.<br />
In Sicilia, nel 2001, sono state costruite 4.494 nuove case abusive, un<br />
dato che in realtà è ben più grave visto che ai censimenti sul patrimonio<br />
edilizio abusivo, sfuggono quasi tutti gli abusi, ed oggi ne rappresentano una<br />
parte consistente, che vengono realizzati nelle aree rurali attraverso l’uso di<br />
concessioni fasulle, formalmente rilasciate per la realizzazione di manufatti<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
legati alla produzione agricola (magazzini agricoli ed opifici per la<br />
trasformazione dei prodotti agricoli), ma in realtà finalizzate alla costruzione di<br />
ville e villette da usare come residenze stagionali.<br />
Solo in pochi casi tali abusi vengono denunciati e pertanto difficilmente<br />
possono essere censiti. Nonostante la sottovalutazione di questo fenomeno,<br />
possiamo senza retorica affer<strong>mare</strong> che si tratta della nuova frontiera di un<br />
abusivismo edilizio contro il quale, purtroppo, si fa sempre meno.<br />
Anzi, va denunciato il fatto che proprio questa nuova recrudescenza<br />
dell’abusivismo edilizio trova negli uffici tecnici comunali coperture e<br />
complicità, come sta venendo a galla nell’inchiesta giudiziaria relativa alla<br />
lottizzazione abusiva denunciata da <strong>Legambiente</strong> ad Agrigento, in località<br />
“Timpa dei Palombi”.<br />
Si tratta di un caso veramente emblematico: in un’area di particolare<br />
pregio a ridosso della fascia costiera, zona agricola del PRG vigente, negli anni<br />
che vanno dal 1997 al 2000, quattro grandi lotti di terreno sono stati frazionati<br />
in oltre cento particelle di circa 2.500 mq ognuna. Dimensione certamente poco<br />
adatta alla localizzazione di aziende agricole, ma coincidente con il lotto<br />
minimo comunale.<br />
Con una solerzia mai vista prima, l’Ufficio tecnico ha rilasciato nel<br />
periodo a cavallo tra la fine del 1999 e l’anno 2000 oltre settanta concessioni<br />
ricadenti su questi lotti. Le concessioni hanno formalmente ad oggetto la<br />
costruzione di magazzini agricoli ed opifici per la trasformazione dei prodotti<br />
agricoli, ma come è facile immaginare, basta dare un’occhiata agli elaborati<br />
grafici per rendersi conto che si tratta di ville, in molti casi anche di lusso.<br />
Alla denuncia di <strong>Legambiente</strong> è seguito il sequestro da parte<br />
dell’Autorità Giudiziaria di trenta cantieri già aperti ed in fase di ultimazione.<br />
Nonostante tutto però, nemmeno in un momento in cui l’attenzione era<br />
massima, il fenomeno si è arrestato. Nelle zone limitrofe a Timpa dei Palombi,<br />
nelle ultime settimane, sono stati aperti decine di cantieri per la costruzione di<br />
ville al <strong>mare</strong> o meglio, come recitano le concessioni, di “manufatti per la<br />
trasformazione di prodotti agricoli”.<br />
Questo fenomeno, ormai diffusissimo in tutta la Regione, sta<br />
stravolgendo il paesaggio rurale ed il fisiologico equilibrio tra aree urbane,<br />
periurbane ed agricole, urbanizzando di fatto l’intero territorio.<br />
Le motivazioni che spingono l’abusivismo verso questa “nuova<br />
frontiera” sono strettamente connesse alle complicità degli uffici comunali, non<br />
solo perché questi rilasciano scientemente concessioni fasulle, ma soprattutto<br />
perché la presenza di una concessione crea comunque un alibi per la completa<br />
assenza di controlli sulle reali destinazioni d’uso degli immobili.<br />
Questo fenomeno è stato peraltro incoraggiato anche dal Governo<br />
regionale, che con la finanziaria 2001 ha emendato la legge regionale 17/94<br />
che escludeva la possibilità di variare la destinazione d’uso degli immobili<br />
costruiti in zona agricola, trasformandola in “abitativa, alberghiera o ricettiva<br />
in genere”. L’Art. 89 della finanziaria, infatti, sopprimendo le parole<br />
alberghiera o ricettiva in genere, ha di fatto sanato surrettiziamente tutti quegli<br />
37
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
abusi edilizi che, almeno formalmente, verranno trasformati in strutture<br />
ricettive.<br />
Ed è appunto questo il nocciolo della questione. Quali politiche di<br />
prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio sono state messe in campo<br />
dagli ultimi governi regionali e dalle amministrazioni comunali?<br />
Il quadro è desolante! Gli unici sforzi, infatti, vanno nella direzione<br />
opposta.<br />
Oltre a favorire l’abusivismo nelle zone rurali, da anni ormai si tenta di<br />
sanare anche gli abusi insanabili realizzati sulla fascia costiera ed oggi esiste<br />
addirittura un DDL approvato dalla giunta regionale dal titolo altisonante,<br />
“Norme per il governo del territorio e il riordino delle coste”, ma che otterrà<br />
come unico risultato una nuova sanatoria nella fascia costiera.<br />
Spiegare questa scelta semplicemente con un tentativo<br />
d’accaparramento dei consensi elettorali degli abusivi attuali e di coloro che si<br />
preparano a diventarlo, è riduttivo. Esistono anche altre motivazioni. In primo<br />
luogo occorre considerare il deficit politico-culturale che impedisce il<br />
dispiegarsi di una azione di governo capace di elaborare un progetto di reale<br />
sviluppo della Sicilia basato sugli indirizzi ormai consolidati dell’Unione<br />
Europea. Uno sviluppo realmente sostenibile che punti sui beni culturali, sulla<br />
qualità ambientale e sul pregio naturalistico di molti comprensori del territorio<br />
siciliano, come risorse da tutelare e valorizzare, nell’ambito di un credibile<br />
progetto di rilancio del settore turistico che, solo a parole, tutti riconoscono<br />
come essenziale per la crescita economica dell’Isola.<br />
Questo deficit è stato chiaramente esplicitato nel confronto sul<br />
famigerato DDL “Norme per il governo del territorio e il riordino delle coste”.<br />
La <strong>Legambiente</strong> non si è sottratta al confronto col Governo ed anzi ha<br />
ritenuto opportuno fornire anche il proprio contributo di contenuti e proposte<br />
alla luce sia del rilievo che questa norma potrebbe avere sulla gestione<br />
complessiva del territorio siciliano ma anche della condivisione di quegli<br />
obiettivi che il Governo in un primo momento aveva presentati come<br />
principali:<br />
Un riordino del sistema costiero siciliano, che tenesse conto di<br />
tutti i fattori di degrado che negli anni hanno sconvolto un equilibrio già di per<br />
sé piuttosto fragile.<br />
Il potenziamento della ricettività turistica legata alla fruizione<br />
del <strong>mare</strong>, nell’ambito di uno sviluppo equilibrato dalle esigenze di tutela.<br />
Entrambi gli obiettivi rivestono un’importanza strategica per lo<br />
sviluppo socio-economico della Sicilia e vanno certamente considerati<br />
interconnessi sia nella fase di analisi che nella ricerca di possibili soluzioni.<br />
Anzi, il riordino della fascia costiera non può che costituire la precondizione di<br />
un reale potenziamento ricettivo.<br />
Il contributo che <strong>Legambiente</strong> ha fornito, però, non ha trovato<br />
accoglimento da parte dell’Assessorato Territorio e Ambiente che ha<br />
predisposto, invece, un DDL dai contenuti inaccettabili e che rischia di<br />
pregiudicare per sempre la possibilità di uno sviluppo sostenibile della Sicilia.<br />
38
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
“Un atto di responsabilità”, così lo ha definito il Presidente Cuffaro,<br />
peccato però che il DDL approvato non è funzionale al riordino della costa né<br />
tanto meno allo sviluppo turistico.<br />
In che modo la sanatoria edilizia di quindicimila case costruite sulla<br />
spiaggia, seppur filtrata da strumenti di pianificazione (sulla cui efficacia ci<br />
soffermeremo appresso), possa innescare un processo di riqualificazione della<br />
fascia costiera sfugge ai più. Come questo, poi, possa conciliarsi con lo<br />
sviluppo di un turismo legato alla fruizione del <strong>mare</strong> non ci resta che farcelo<br />
spiegare da coloro che, con straordinaria creatività , hanno redatto questo<br />
articolato di legge.<br />
Chi può credere veramente che il riordino di un agglomerato abusivo<br />
costruito sulla spiaggia e la riqualificazione della costa si possano ottenere<br />
semplicemente dotando di fogne ed acqua le case abusive?<br />
In Sicilia gli agglomerati abusivi ancora oggi, dopo due sanatorie<br />
edilizie ed il completo fallimento dei piani di recupero del patrimonio abusivo,<br />
per qualità urbana, somigliano più alle bidonvilles terzomondiali che a pezzi di<br />
città europee, e ciò che li rende molto simili alle favelas brasiliane o<br />
venezuelane non è tanto il ceto sociale d’appartenenza o le condizioni socioeconomiche<br />
di chi vi abita, ma il disordine urbanistico. Bisogna però fare una<br />
distinzione essenziale: le bidonvilles sono nate come risposta spontanea ad un<br />
fenomeno di massiccio inurbamento originato dalla fame e dalla speranza in<br />
una vita migliore di enormi masse di diseredati; in Sicilia, molto più<br />
banalmente, l’origine è da ricercare in un consumismo sfrenato che fa sentire la<br />
seconda o la terza casa come un fabbisogno essenziale e comunque “il<br />
mattone” come un investimento sicuro.<br />
Si tratta di una sub-cultura fondata sull’interesse particolaristico e sul<br />
disprezzo del bene comune, ma che purtroppo trova nelle nostre regioni, non<br />
solo in Sicilia e non solo nel Meridione, molti sostenitori. E ciò anche tra<br />
quelle classi dirigenti che, invece, dovrebbero sentire come propria la<br />
responsabilità dell’emancipazione culturale e della crescita di una reale<br />
coscienza civile delle popolazioni che rappresentano.<br />
Non possiamo dunque prendere seriamente le analisi che ci presentano<br />
l’abusivismo come un fenomeno legato alle rimesse di poveri emigranti che<br />
investono tutti i loro risparmi o alla carenza degli strumenti urbanistici generali<br />
e del quale ci si deve limitare a prendere atto.<br />
Il fenomeno dell’abusivismo edilizio, infatti, si basa su valutazioni<br />
economiche molto precise è ha in ogni caso una natura speculativa: anche una<br />
piccola casa abusiva è frutto di un progetto speculativo con il quale si vuole<br />
ricavare una rendita che decuplichi il capitale investito. Si compra un terreno<br />
inedificabile e per ciò stesso molto conveniente; si edifica in nero e quindi con<br />
un costo di costruzione ridotto di circa il 40%; se si riesce a conseguire la<br />
concessione in sanatoria si ottiene la stessa rendita di una casa regolarmente<br />
costruita ad un costo nettamente più basso. Ovviamente vanno attentamente<br />
valutati e minimizzati i rischi, e per questo, nella maggior parte dei casi, si<br />
evita di costruire nelle aree già escluse dalle due sanatorie del 1985 e del 1994.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Un caso esemplare è quello della Valle dei Templi di Agrigento: la<br />
speculazione abusiva la aggredì negli anni settanta e nella prima metà degli<br />
anni ottanta; dal 1986 (anno successivo alla sanatoria nazionale L.47/85 che<br />
escludeva tale area) il fenomeno si è sostanzialmente arrestato.<br />
Ciò è avvenuto in quasi tutte le aree escluse dalle sanatorie, compresa<br />
la fascia d’inedificabilità assoluta di 150 dalla battigia, oggi oggetto del DDL<br />
del Governo.<br />
Ed è appunto questo il dato di partenza su cui occorre riflettere.<br />
L’insanabilità blocca l’abusivismo, le nuove sanatorie creano grandi<br />
aspettative criminose. Così si spiega lo spostamento dei massicci interessi<br />
speculativi illegali verso le aree rurali: si ritiene tanto semplice evitare<br />
l’acquisizione o la demolizione in queste aree che le case abusive vengono<br />
regolarmente vendute dalle agenzie immobiliari.<br />
Cosa avverrebbe se si approvasse una nuova sanatoria sulla fascia<br />
costiera, cioè in un’area dove il fenomeno si è sostanzialmente arrestato?<br />
La risposta è scontata, ed infatti è stata sufficiente la sola approvazione<br />
in giunta per fare ripartire l’assalto alle nostre coste. La notizia del sequestro di<br />
alcune ville in costruzione e addirittura di un’intera lottizzazione in provincia<br />
di Trapani è più che significativa.<br />
E certamente non sono credibili le rassicurazioni di chi ritiene di grande<br />
importanza avere fissato come limite per la sanabilità il 31 dicembre 1993. La<br />
storia ci ha insegnato che questo non serve a nulla, ma ancora meno servono le<br />
sanzioni previste, di solito negli ultimi articoli come corollario della sanatoria,<br />
per chi non vigilerà in futuro.<br />
Anche su questo fronte infatti ci sono novità. "Con l’approvazione di<br />
questa legge – ha dichiarato Cuffaro – nessuno potrà più fare lo struzzo perché<br />
le sanzioni colpiranno il responsabile del provvedimento se non reprime<br />
l’abuso. Se esiste inerzia nell’adottare gli atti, l’assessorato regionale al<br />
territorio e ambiente comunicherà l’inadempienza all’autorità giudiziaria e al<br />
sindaco che è tenuto a rimuovere il funzionario dall’ufficio. Se il sindaco non<br />
provvede a questo adempimento, prima viene diffidato, e poi rimosso".<br />
L’art.13 dunque prevede che i sindaci da responsabili diretti si<br />
trasformino in semplici controllori dell’operato dei funzionari ed in caso<br />
d’inerzia possano sollevare dall’incarico i funzionari negligenti; e si parla<br />
anche dei fantomatici poteri sostitutivi della Regione che può arrivare anche<br />
alla rimozione del Sindaco. Chi non ha la memoria corta, certamente ricorderà<br />
che quest’ultima sanzione è già prevista da molti anni dalle attuali norme e,<br />
ovviamente, non è mai stata irrogata. Forse perché tutti i Sindaci siciliani<br />
hanno combattuto con solerzia l’abusivismo edilizio? Crediamo debbano essere<br />
cercate altre spiegazioni.<br />
In realtà si tratta di un film già visto e, come è sempre avvenuto nella<br />
storia del cinema, i numeri 2 o 3 di film di grande successo sono molto più<br />
scadenti degli originali.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
L’intera questione del risanamento della costa siciliana non può essere<br />
ricondotta ad un semplice ed ennesimo ricorso a strumenti di riqualificazione<br />
come fa il DDL approvato dalla giunta regionale.<br />
"I comuni siciliani – ha detto ancora il presidente della Regione Sicilia<br />
– dovranno dotarsi di un moderno e aggiornato strumento di programmazione e<br />
risanamento, il cosiddetto Prua, all’interno del quale nell’ambito di interventi<br />
di riqualificazione ben più ampi potrà anche trovare spazio l’attività di<br />
recupero e risanamento di immobili compatibili con gli indirizzi del Prua e,<br />
comunque, realizzati non oltre il 31 dicembre 1993. Tutto il resto verrà<br />
acquisito al patrimonio comunale solo in quanto compatibile con gli obiettivi<br />
dello stesso Piano di riqualificazione urbanistica e ambientale, e destinato<br />
eventualmente a forme di ricettività alberghiera. Tutto ciò che risulta<br />
incompatibile con gli obiettivi del Prua sarà, in ogni caso, demolito".<br />
I piani di recupero degli agglomerati abusivi previsti dalle norme<br />
vigenti hanno completamente fallito il loro obiettivo ed il tentativo di trovare<br />
strumenti leggermente diversi come i Prua, ci conferma come tale fallimento<br />
sia inconfutabilmente ammesso dallo stesso Governo regionale.<br />
Il mancato recupero degli agglomerati abusivi però non può essere<br />
esclusivamente spiegato con la povertà dei finanziamenti disponibili (a<br />
proposito, quante migliaia di miliardi costerebbe il riordino previsto dalla<br />
proposta del Governo?? Quante decine d’anni occorreranno per averli?), cosa<br />
peraltro assolutamente reale, ma anche con le caratteristiche tipologiche di<br />
tessuti edilizi che, per come si sono sviluppati, difficilmente potranno assumere<br />
un aspetto diverso.<br />
Il fatto che poi anche questi ultimi piani siano affidati ai Comuni, le cui<br />
responsabilità sulla crescita del fenomeno dell’abusivismo edilizio sono sotto<br />
gli occhi di tutti, ci dà il senso pieno della strumentalità della proposta.<br />
Entrando nel merito del DDL, vale la pena di sottolineare due punti<br />
significativi:<br />
• I Prua dovrebbero essere “redatti sulla base dei contenuti<br />
dell’Atto di indirizzo del PTUR” e non su quelli del Piano vero e proprio.<br />
Questo Atto d’indirizzo, inoltre, dovrebbe essere redatto entro novanta giorni<br />
dalla data di entrata in vigore della legge “nel rispetto dei principi delle Linee<br />
guida del Piano territoriale paesistico”. In buona sostanza si dovrebbe<br />
provvedere alla redazione dei PRUA in totale assenza di criteri oggettivi<br />
costruiti su una fase di analisi propedeutica, dignitosamente approfondita. In<br />
queste condizioni ovviamente verrebbe sanato tutto ciò che non ricadrebbe<br />
all’interno di aree protette. Potrebbe, infatti, essere questo l’unico criterio<br />
oggettivo adottabile.<br />
• I Prua potranno prevedere il recupero solo per quegli abusi già<br />
oggetto di richiesta di concessione in sanatoria ai sensi delle precedenti leggi di<br />
condono. Cioè potranno sanare esclusivamente coloro che, pur non avendone<br />
titolo ma essendo dotati di sconfinata fiducia nelle classi dirigenti che si sono<br />
alternate alla guida della Regione, hanno comunque richiesto il condono<br />
41
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
edilizio. Saranno premiati quindi coloro che pensano: “tanto prima o poi<br />
arriverà una nuova sanatoria”, gli altri abusivi resteranno a guardare.<br />
Ma è ancor più evidente l’altro profilo d’incostituzionalità di questo<br />
DDL. Non si fa una nuova sanatoria, ma si riaprono i termini delle precedenti<br />
sanatorie nazionali. Onestamente sfugge come possa l’Assemblea Regionale<br />
Siciliana riaprire i termini di una sanatoria approvata dal Parlamento nazionale<br />
che escludeva la possibilità di sanare gli abusi commessi in aree vincolate.<br />
<strong>Legambiente</strong> è stata richiamata dal Governo ad un più sano realismo. E’<br />
stato spiegato che non è credibile pensare alla demolizione di tutte e<br />
quindicimila le case in questione. Proprio in nome del realismo sono state<br />
dunque proposte due soluzioni alternative:<br />
• L’acquisizione al demanio di tutte le case e la concessione in<br />
uso, in applicazione delle norme attualmente vigenti;<br />
• L’acquisizione al demanio di tutte le case e il successivo<br />
riutilizzo di questo patrimonio, in termini di cubatura, da parte di quegli<br />
imprenditori turistici che vorranno realizzare strutture ricettive sulla fascia<br />
costiera, anche all’interno dei 150 metri dalla battigia, facendosi carico della<br />
riqualificazione dell’area. Questa previsione, riguardando ovviamente quei<br />
grossi agglomerati che hanno ormai cancellato ogni possibilità di<br />
rinaturalizazione del sito originario, avvierebbe un reale processo di recupero<br />
ambientale, paesaggistico ed urbanistico di questi, garantendo la sostenibilità<br />
ambientale di un nuovo sviluppo turistico, in un equilibrio attivo con quelle<br />
parti di costa ancora perfettamente conservate che dovrebbero rimanere<br />
intangibili. Tali interventi dovrebbero essere inseriti in specifici piani o progetti<br />
di comparto d’iniziativa privata. Il processo di riqualificazione potrebbe così<br />
realisticamente avviarsi, essendo affidato in gran parte alla finanza privata.<br />
Quest’ultima proposta, peraltro ritenuta di grande interesse anche dagli<br />
industriali siciliani, denuncia uno sforzo reale di tenere insieme diverse<br />
esigenze ma soprattutto di raggiungere i due obiettivi già citati e sbandierati dal<br />
Governo per giustificare la redazione di questo testo di legge.<br />
Non è stata presa minimamente in considerazione dal Governo ma è<br />
servita a smascherare il vero obiettivo della legge e cioè la sanatoria edilizia.<br />
A questo punto è il caso di riflettere su un’altra tanto grave quanto<br />
significativa contraddizione. Uno degli atti contenuti del Prua inseriti nell’art.4<br />
del DDL e quindi approvati dalla giunta è il ripristino del demanio. La stessa<br />
giunta ha però proposto nello stesso periodo, per l’approvazione delle<br />
commissioni competenti, l’art.1 di un altro DDL collegato alla finanziaria, il<br />
n.298. Questo articolo si intitola “Sdemanializzazione di aree e manufatti<br />
demaniali marittimi” e guarda caso prevede la sdemanializzazione anche per le<br />
“opere realizzate in assenza o in difformità dalla concessione” cioè per le case<br />
abusive. Appare superfluo ogni commento!<br />
Se non si volesse regalare ai siciliani l’ennesima sanatoria ed al<br />
contrario si puntasse su uno sviluppo turistico “possibile”, sarebbe<br />
indispensabile fugare ogni dubbio in proposito e partire dall’assunto che è<br />
42
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
prioritario bloccare i meccanismi socio-economici che alimentano l’abusivismo<br />
edilizio.<br />
Questo è necessariamente il presupposto per qualunque discussione<br />
seria sul riordino delle coste e per questo è comunque essenziale arrivare<br />
all’acquisizione delle case abusive. Solo così si può scoraggiare il nuovo<br />
abusivismo edilizio.<br />
Tutte le leggi di sanatoria non hanno ottenuto alcun risultato in termini<br />
di risanamento ed hanno di converso rilanciato l’abusivismo edilizio.<br />
Queste constatazioni portano ad una conclusione quasi banale: I<br />
contenuti degli artt. 4-5-6 (sanatoria e deregulation), contraddicono gravemente<br />
i principi generali e gli obiettivi che presiedono alla formulazione dello stesso<br />
DDL: infatti la norma prevede il potenziamento della strumentazione<br />
urbanistica generale attraverso la creazione del Piano regionale nonché<br />
consentendo ai comuni di far scattare le norme di salvaguardia solo dopo<br />
l’approvazione dello schema di massima del Prg. In estrema sintesi il DDL<br />
proposto è una pericolosissima mina: dietro l’apparenza di un condivisibile<br />
rafforzamento della disciplina urbanistica in Sicilia, nasconde una volgare<br />
sanatoria edilizia promessa in campagna elettorale ed un regalo ai peggiori<br />
interessi speculativi che da venticinque anni aspettano di poter ripartire<br />
all’assalto della fascia costiera.<br />
L’assalto dei nuovi barbari<br />
Sono decine i casi che in questi anni <strong>Legambiente</strong> ha fatto conoscere<br />
anche attraverso il viaggio di Goletta Verde. Segnalazioni, vertenze, blitz,<br />
conferenze stampa, convegni: un tam tam ininterrotto per difendere un<br />
territorio dalle mille bellezze ma in continuo pericolo. E purtroppo anche<br />
quest’anno registriamo alcune new entry nella saga della mala gestione del<br />
territorio. Ne segnaliamo alcune: storie diverse che raccontano, meglio di tante<br />
parole, qual è il futuro che gli amministratori locali riservano a quest’Isola.<br />
Campofelice di Roccella (Pa)<br />
Sulla costa tirrenica della Sicilia, tra la zona industriale di Termini<br />
Imerese e la rinomata città normanna di Cefalù, a due passi dall’antica città di<br />
Himera, c’è, nel territorio del comune di Campofelice di Roccella, una lunga<br />
spiaggia di sabbia finissima.<br />
Il litorale è interrotto da una roccia isolata, dove, pare fin dai tempi<br />
degli arabi, si erge una torre fortificata, chiamata dal geografo Edrisi, Saharat<br />
al hadid, la rupe di ferro.<br />
I resti adesso rimasti sono d’origine medievale: insieme alla torre, ben<br />
visibile, ci sono quelli di un antico casale, con annessi diversi ambienti e locali.<br />
Alcuni mesi fa, l’Amministrazione Comunale di Campofelice di<br />
Roccella ha approvato un progetto presentato da una ditta privata che,<br />
ipotizzando un pseudo intervento di recupero dell’antico insediamento, vuole<br />
in realtà nascondere il suo vero obiettivo: la costruzione di un mega-albergo,<br />
43
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
entro la fascia dei 150 metri, con spregio totale della testimonianza storica<br />
esistente.<br />
Sarebbe così cancellata una delle poche testimonianze storicomonumentali<br />
della zona, diventata, nel tempo, simbolo della comunità di<br />
Campofelice, non a caso sottoposto a vincolo di tutela e salvaguardia.<br />
Inoltre, il progetto è in palese e netto contrasto con gli strumenti<br />
urbanistici in vigore in quel territorio.<br />
Questo vergognoso e speculativo progetto di cementificazione ha fatto<br />
scattare la reazione dei cittadini, che, con una petizione, si sono rivolti a<br />
diverse Istituzioni, compresa la Procura della Repubblica di Termini Imerese,<br />
che, di recente, ha disposto il sequestro di tutto l’incartamento e bloccato<br />
l’inizio dei lavori.<br />
La ditta privata presentatrice del progetto è, però, già riuscita a recintare<br />
i luoghi, impedendo, tra l’altro, il più frequentato degli accessi al <strong>mare</strong><br />
utilizzato dagli abitanti di Campofelice di Roccella.<br />
La precedente Amministrazione Comunale, caduta per le improvvise<br />
dimissioni del Sindaco, vittima alcuni giorni prima di un vile atto<br />
d’intimidazione mafiosa, non volle mai approvare questo progetto e stava,<br />
invece, già lavorando per l’acquisizione dell’intera zona interessata, il restauro<br />
conservativo del bastione e della torre-castello, una campagna di scavi<br />
archeologici e la ricostruzione del borgo circostante per il suo utilizzo per<br />
finalità socio-culturale.<br />
Nella zona sono state già sequestrate altre speculazioni edilizie molto<br />
simili a quelle proposte: nate come strutture alberghiere con villini a schiera e<br />
realizzati con cubature difforme e superiori, sono stati poi lottizzati e messi in<br />
vendita singolarmente.<br />
Sos Punta Asparano (Sr)<br />
Iniziano i saldi di fine stagione per l’Amministrazione comunale di<br />
Siracusa e per la maggioranza che la sostiene in Consiglio. Oggetto della<br />
svendita, però, non sono beni e servizi di largo consumo, ma interi pezzi del<br />
territorio della città.<br />
Dopo la Tonnara di S. Panagia, sacrificata alle previsioni di assurdi<br />
programmi costruttivi, dopo l’Epipoli e la riserva Ciane – Saline, minacciate<br />
dagli interventi previsti nei PRUSST, un altro pezzo del patrimonio ambientale<br />
della città rischia di cadere sotto i colpi di uno sviluppo urbanistico<br />
irresponsabile: l’area dell’Asparano. Più precisamente quell’area ricompresa<br />
tra Punta Arenella e Punta Asparano, una delle poche miracolosamente<br />
risparmiata dall’abusivismo edilizio, sino ad oggi ancora fruibile dalla<br />
collettività.<br />
Il “partito del mattone” e degli interessi privati è venuto nuovamente<br />
allo scoperto con l’approvazione di una variante urbanistica che rischia di<br />
privare tutti i cittadini siracusani della libera fruizione di questo splendido<br />
tratto di costa, riservandolo ad un esclusivo uso privato.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
In cambio della generosa variante urbanistica, la società “Blumarin<br />
Hotels Sicilia S.p.A.” del gruppo Alpitour, che nella stessa zona ha ottenuto<br />
l’autorizzazione per costruire un villaggio turistico, cederebbe gratuitamente al<br />
Comune una quota dell’area nella quale, a proprie cura e spese realizzerebbe<br />
una serie di opere di pertinenza della struttura alberghiera medesima.<br />
Con l’opportuna variazione di alcune destinazioni urbanistiche si<br />
raggiungerebbero 3 risultati:<br />
1) nell’area a ridosso dell’insediamento turistico, e sino alla linea dei<br />
150 mt. dal <strong>mare</strong>, la suddetta società potrebbe realizzare: campi da tennis,<br />
piscine, campo di calcetto, centro fitness polifunzionale, palestre con spogliatoi<br />
e depositi annessi, posti di ristorazione, attrezzature per lo spettacolo, teatri,<br />
spogliatoi, piste da ballo, strutture ludiche con cubature fino ad ieri<br />
irrealizzabili;<br />
2) la zona all’interno della fascia dei 150 mt. verrebbe destinata ad uso<br />
esclusivo del villaggio turistico;<br />
3) si aprirebbe una maglia larghissima nelle previsioni di tutela delle<br />
coste siracusane: verrebbero vanificati anni di battaglie civili per la<br />
salvaguardia del patrimonio costiero e per uno sviluppo economico<br />
ecosostenibile.<br />
In cambio della variazione di destinazione urbanistica la società<br />
costruttrice, come si diceva, cederebbe al Comune un’area nella quale, in<br />
mancanza della suddetta variazione, non potrebbe fare quasi niente; ma<br />
sostanzialmente si tratta di aree ricadenti in massima parte entro la fascia di<br />
rispetto dei 150 m dalla linea di costa e come tali vincolate per legge dal<br />
divieto assoluto di edificazione o comunque tutte a destinazione di pubblica<br />
fruizione, nelle quali – è il caso di ripeterlo - il privato avrebbe potuto fare ben<br />
poco. Insomma non proprio un atto così generoso.<br />
Il Consiglio comunale avrebbe potuto correggere la proposta di variante<br />
assicurando ai cittadini la piena fruizione almeno del golfetto dell’Asparano,<br />
ma non lo ha fatto preferendo assecondare l’amministrazione in una scelta che<br />
potrà avere gravi conseguenze per il litorale siracusano, soprattutto nelle<br />
infinite more dell’approvazione del PRG.<br />
E’ pertanto auspicabile assistere ad una nuova levata di scudi da parte<br />
dell’opinione pubblica e di quella parte della classe dirigente che appena pochi<br />
mesi fa si è opposta alla realizzazione di un massiccio impianto di tonnicultura<br />
a largo della Penisola Maddalena. Oggi il pericolo non è meno grave, è in<br />
gioco, ancora una volta, il patrimonio ambientale della città.<br />
“Giù le mani dalla costa, giù le mani dall’Asparano!”, è lo slogan<br />
scelto dai numerosi cittadini che chiedono la tutela del golfetto dell’Asparano<br />
da vecchi e nuovi progetti speculativi.<br />
L’invito rivolto al Consiglio comunale di Siracusa è perchè riveda la<br />
variante urbanistica proposta dalla “Blumarin Hotels S.p.A.” per un progetto<br />
che sottrarrebbe ai siracusani un’area così bella e cancellerebbe la rigogliosa<br />
macchia mediterranea che la interessa.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Nelle osservazioni che le associazioni faranno pervenire fra breve al<br />
Consiglio comunale verrà chiesto, da un lato, di garantire ai cittadini la libera<br />
fruizione del <strong>mare</strong> nell’area oggetto dello scambio tra Comune e “Blumarin” e<br />
dall’altro, di definire con precisione quali attrezzature la società potrà<br />
realizzare all’interno delle altre aree. La maggiore preoccupazione degli<br />
ambientalisti è che, una volta realizzate le attrezzature previste nella variante, il<br />
Comune dia in concessione le aree costiere alla stessa società, che<br />
prevedibilmente ne riserverà l’accesso ai soli ospiti del complesso turistico.<br />
Insomma anziché riqualificare un area degradata e realizzarvi un parco urbano<br />
come previsto dal Piano Regolatore, il Comune pensa di mutarne la<br />
destinazione urbanistica e darla in concessione ai proprietari del villaggio<br />
turistico.<br />
Quello che si ritiene sbagliato è il modello di sviluppo economico<br />
sotteso a queste scelte urbanistiche: a dividere non è tanto la prospettiva di<br />
investimenti nel settore del turismo quanto la scelta di privilegiare solo quegli<br />
investimenti che anziché valorizzare i beni paesaggistici del territorio li<br />
mortificano. Ora l’approvazione della tanto contestata variante aprirebbe un<br />
varco pericoloso anche per futuri progetti: se passasse questa variante, si<br />
creerebbe un precedente pericolosissimo. Sorprende infine che la<br />
Soprintendenza non si sia pronunciata su un progetto di tale fatta, in uno dei<br />
più importanti siti del neolitico e in un’area che, quanto a ricchezza della<br />
macchia mediterranea, non è inferiore a Capo Murro di Porco su cui invece ha<br />
posto il vincolo paesaggistico.<br />
I numeri del megavillaggio “Bluemarin Hotels Sicilia Spa”:<br />
48 milioni di euro l'investimento complessivo.<br />
66 ettari la superficie interessata, così distribuita:<br />
17 ettari destinati a costruzioni.<br />
10 ettari per la creazione di una azienda agricola per produzioni biologiche.<br />
11 ettari per attività di servizi del villaggio.<br />
9 ettari per le spiagge.<br />
4 ettari per un parco verde.<br />
15 ettari è la quota ceduta al Comune per la costruzione di un nuovo parco<br />
naturalistico attrezzato dalla stessa Blumarin ma aperto alla fruizione della<br />
collettività.<br />
1553 i posti letto totali.<br />
460 le camere da letto.<br />
2 anni il tempo previsto per il completamento della struttura .<br />
maggio <strong>2002</strong> l'inizio dei lavori.<br />
aprile 2004previsione fine-lavori.<br />
200 le persone impiegate per la costruzione della struttura con picchi fino alle<br />
500 unità.<br />
150 i posti di lavoro stabili che si creeranno nel villaggio con picchi fino a 300<br />
unità considerando l'indotto.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
La baraccopoli di Mondello (Pa)<br />
In Sicilia, nel cuore di Palermo, si può trovare un angolo di tropici: qui<br />
la sabbia bianca e fine si incontra con un <strong>mare</strong> splendido, dal colore azzurro; è<br />
il Golfo di Mondello, la spiaggia dei palermitani, il luogo dove da sempre i<br />
cittadini si ritrovano per inaugurare la stagione balneare e dove da sempre si<br />
svolge un pezzo importante della vita cittadina.<br />
Come spesso accade però qualcuno ha ben pensato che le tradizioni e le<br />
ricchezze ambientali e naturali debbono fruttare, insomma nulla ha valore se<br />
non diventa business.<br />
Ecco allora che lo splendido scenario del golfo di Mondello, nei mesi<br />
estivi, cambia completamente aspetto: la spiaggia di sabbia bianca scompare,<br />
letteralmente cancellata da una moltitudine di “capanne” di legno, accostate<br />
l’una all’altra, in una frenesia di angusti cortili.<br />
Assi bianche, assi rosse, assi arancio, assi verdi… Le “capanne” si riuniscono<br />
in “cortili”, i “cortili” in “settori”. Il tutto rigorosamente sigillato da una<br />
cancellata in ferro, che solo da pochi giorni è stata alleggerita da paurosi<br />
spuntoni metallici. Pochi varchi consentono al cittadino comune l’accesso<br />
all’arenile e quindi al <strong>mare</strong>, che da Hemingway in poi è sinonimo di libertà.<br />
Tutto questo dicevamo è questione di business, anche se da straccioni,<br />
visto che la società “immobiliare Italo-Belga” ha ricevuto i diritti di<br />
concessione, compreso lo Stabilimento in muratura sede permanente del<br />
ristorante Charleston per venti anni – dal 1992 - , del demanio al costo di circa<br />
diecimila euro (circa 20milioni di vecchie lire) per impedire alla collettività di<br />
poter utilizzare pubblicamente una grande porzione della città di Palermo.<br />
L’accesso è consentito, certo, ma solo agli estremi di una lunga spiaggia.<br />
All’insegna del business a tutti i costi, una società – l’immobiliare<br />
italo-belga – reclama i suoi diritti e, contestualmente, azzera i diritti<br />
fondamentali del resto del mondo sotto gli occhi distratti delle autorità<br />
cittadine. Il tutto con ricavi esorbitanti (oltre tre miliardi di vecchie lire) a<br />
fronte di un canone irrisorio. E già, perché ogni “utente” munito di tessera<br />
sborsa cifre esorbitanti che non possono essere giustificate dai servizi resi, né<br />
danno giustizia alla anomala privatizzazione di un bene pubblico prezioso non<br />
soltanto per i palermitani ma per l’intera nazione. Una situazione questa<br />
contestata da tutti gli schieramenti politici. <strong>Legambiente</strong> ha trasmesso alle<br />
autorità competenti - Capitaneria di Porto di Palermo, Assessorato Territorio ed<br />
Ambiente e Comune di Palermo - la richiesta di revocare la concessione, un<br />
atto legale finalizzato ad innescare un procedimento amministrativo destinato a<br />
fare luce sulle inadempienze consumate prima e dopo il 1992 fino ai nostri<br />
giorni relativamente alla gestione dell’arenile di Mondello.<br />
La lottizzazione Pantarei nel comune di Gioiosa Marea (Me)<br />
Lo scorso anno il Circolo <strong>Legambiente</strong> Nebrodi ha presentato un<br />
esposto amministrativo per segnalare che l’approvazione della lottizzazione da<br />
parte del Consiglio Comunale è avvenuta in violazione dei vincoli preposti alla<br />
47
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
tutela della costa. In particolare, in violazione della legge regionale che vieta<br />
qualsiasi costruzione entro la fascia dei 150 metri, ad eccezione delle opere<br />
dirette alla fruizione del <strong>mare</strong>. Nel caso, la lottizzazione prevede una strada<br />
carrabile in zona vincolata.<br />
Nell’esposto si chiedeva al Consiglio Comunale di revocare la delibera<br />
in autotutela ed al Sindaco di non procedere alla firma della convenzione<br />
urbanistica. In occasione del passaggio di Goletta Verde 2001, venne attribuita<br />
la Bandiera Nera al Sindaco ed al Consiglio Comunale di Gioiosa Marea.<br />
Il Sindaco ha mantenuto l’impegno di non sottoscrivere la<br />
Convenzione; il Consiglio Comunale, invece, non ha revocato la deliberazione.<br />
Per questo motivo, il Circolo Nebrodi ha indirizzato un formale esposto alla<br />
Procura della Repubblica di Patti. La nuova amministrazione eletta nel maggio<br />
<strong>2002</strong> ha assicurato che non consentirà alcuna iniziativa in violazione dei<br />
vincoli ambientali.<br />
La Lottizzazione “Torre delle Ciavole” a Piraino (Me)<br />
Nessuna novità dall’anno scorso, quando venne consegnata al Sindaco<br />
di Piraino la Bandiera Nera. La lottizzazione è stata approvata dal Consiglio<br />
Comunale e la Società immobiliare proprietaria si appresta a richiedere le<br />
concessioni per la realizzazione di diversi alberghi in un pendio molto ripido.<br />
Nel suo parere, la Soprintendendenza ai Beni Culturali e Ambientali di<br />
Messina ha limitato l’altezza dei muri di sostegno. Ciò può offrire la possibilità<br />
di un ridimensionamento dell’intervento. Il Circolo di <strong>Legambiente</strong> vigilerà a<br />
riguardo.<br />
5.3.3 Il Salento in vendita<br />
Basterà l’antico sistema difensivo delle torri di avvistamento ad<br />
allontanare l’arrivo dei barbari all’assalto delle coste salentine? Ma ora anche<br />
le torri costiere rischiano di scomparire, dopo secoli di assalti dei pirati,<br />
lasciando il varco al violento saccheggio dei nuovi barbari….<br />
Il Salento è in vendita. Al mercato ulivi millenari, muretti a secco,<br />
pietre storiche, tratturi, grotte, capitelli, aie e macine di frantoi ipogei che<br />
saranno forse suppellettili alla moda di giardini, locali e soggiorni privati dei<br />
predatori di buon gusto.<br />
Intanto milioni di turisti provenienti da tutt’Italia e dal mondo, non a<br />
caso scelgono la Puglia e in particolare le coste salentine per trascorrere le loro<br />
vacanze. La costa “di eccezionale bellezza paesaggistica costituita da uno dei<br />
pochi esempi di costa alta” (L.R. 19/97) del tratto Otranto S. Maria di Leuca è<br />
vista come una delle ultime roccaforti che tentano di resistere alla<br />
cementificazione selvaggia. E neanche la costa jonica, con i suoi nove Sic (Siti<br />
di Interesse Comunitario), una Zona a Protezione Speciale, un’Area Marina<br />
Protetta istituita e sei Parchi Regionali ancora da istituire, riesce a sottrarsi alle<br />
brame speculative.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Il Salento piace e la formula natura/turismo sembra essere quella<br />
vincente per rilanciare il turismo di qualità e vincere la sfida dello sviluppo<br />
sostenibile. E mentre il Comune di Otranto portavoce di questa scelta politica<br />
di sviluppo sostenibile riceve le cinque vele di <strong>Legambiente</strong> come premio a<br />
questo impegno, ancora rimane sulla carta il Parco Otranto - S.Maria di Leuca,<br />
(L.R. 19/97 sulle aree protette) con una Regione Puglia che è in vetta ai primi<br />
posti nella classifica del cemento selvaggio affianco solo a Sicilia, Calabria e<br />
Campania.<br />
E’ tutto sommato recente la revoca da parte della Regione Puglia della<br />
legge scandalo 3/98 che ha inaugurato la stagione della deregulation totale<br />
sulla pianificazione territoriale e consegnato alla memoria illustri ecomostri.<br />
Ma la storia continua: in assenza di strumenti urbanistici e di ogni<br />
logica di programmazione territoriale, altre leggi meno note, come quella<br />
regionale n 13/2001, hanno previsto forme di semplificazione e accelerazione<br />
amministrativa per consentire ai Comuni di andare in deroga ai propri<br />
strumenti urbanistici finendo per affidare al solo buon senso degli Enti locali<br />
la destinazione e l’uso del proprio territorio.<br />
Strade aperte quindi alle speranze degli speculatori delusi, la Regione<br />
Puglia raddoppia e rilancia: un Piano Generale Regionale delle Coste che, in<br />
attesa della sua approvazione definitiva, deroga ai Comuni la gestione delle<br />
concessioni demaniali, così come previsto dalla legge, ma che rischia in questo<br />
modo di mettere all’asta il patrimonio costiero.<br />
E le danze sono aperte: un valzer di ruspe a ritmo di deroghe e<br />
violazioni sulle coste dei Comuni di Santa Cesarea Terme, quest’ultimo già<br />
entrato nella hit parade delle bandiere Nere riconosciute ai nuovi pirati del<br />
<strong>mare</strong> da <strong>Legambiente</strong>, seguono il comune di Salve, Castrignano del Capo e<br />
Nardò .<br />
Non rimangono a guardare gli altri comuni come Diso, Castro,<br />
Gagliano del Capo, Patù, Gallipoli, Ugento che vedono nella delega della<br />
Regione un occasione per rilanciare un improbabile turismo locale a favore di<br />
lobby imprenditoriali senza scrupolo. Le direttive del Piano Regionale delle<br />
coste, che dovrebbero ispirare le istruttorie dei Comuni per l’affidamento o il<br />
rinnovo delle concessioni demaniali marittime, di fatto prevedono meccanismi<br />
derogatori ai vincoli di salvaguardia ambientale, scatenando una vera e propria<br />
vendita all’asta al miglior offerente!<br />
Sembra definitivamente bloccato sul tavolo delle trattative l’iter per<br />
l’istituzione del parco Otranto - Santa Maria di Leuca, che pure nel tentativo di<br />
fare salvi gli strumenti urbanistici comunali vigenti e/o programmati con<br />
assurdi stralci, su tutto il perimetro costiero, di fatto già disattende i veri<br />
obiettivi della legge regionale sulle aree protette, inabissando le numerose<br />
grotte marine che caratterizzano il paesaggio costiero salentino e ogni azione<br />
volta alla sua conservazione e promozione.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
S.O.S…grotte a rischio!!!<br />
Lungo il tratto di costa Otranto-Santa Maria di Leuca spiccano le<br />
“Cipolliane” (insediamento paleolitico e neolitico), la “Grotta Grande del<br />
Ciolo” (paleolitico medio e superiore-neolitico), la grotta delle “Prazziche”<br />
(paleolitico, neolitico,bronzo). Da queste grotte, studiate fin dagli anni ’60<br />
provengono moltissimi reperti archeologici ora esposti presso il Museo<br />
Castromediano di Lecce ed il Museo Paleontologico di Maglie.<br />
Solo alcune grotte sono state già oggetto di studi propriamente di tipo<br />
biologico ritenute importanti anche da un punto di vista turistico, per esempio,<br />
la grotta Zinzulusa che per la sua eccezionale diversità biologica è l’unica<br />
grotta italiana inserita dal KWI (Karst Water Intitute, Charles Town Wv, USA)<br />
tra i primi sistemi carsici mondiali meritevoli di tutela.<br />
Molte, poiché difficili da raggiungere in quanto situate lungo costoni<br />
di roccia inaccessibili via terra, non sono state ancora censite e studiate .<br />
Il Salento occupa una posizione cruciale nel bacino del Mediterraneo,<br />
crocevia naturale tra il Mediterraneo Occidentale e quello Orientale e tra i mari<br />
settentrionali dell’Adriatico e quelli meridionali della costa africana. Per<br />
questa ragione l’area salentina è probabilmente il crocevia anche per forme di<br />
vita ed associazioni di organismi di diversa provenienza. Se le grotte marine si<br />
dovessero rivelare, alla pari di quelle “continentali”, ambienti del tutto<br />
particolari per il tipo di organismi che ospitano, è verosimile supporre che le<br />
grotte salentine possano offrire non poche sorprese ancora tutte da svelare.<br />
I pirati salentini<br />
In seguito un elenco dei casi più significativi censiti da <strong>Legambiente</strong> di<br />
aggressione alla fascia costiera salentina: patrimoni culturali, segni e tracce<br />
della storia ancora inesplorate che rischiano di sparire insieme all’unico<br />
modello di sviluppo possibile per il Salento, quello sostenibile.<br />
1) Niente di nuovo o di buono sul litorale del Comune di Gagliano del<br />
Capo. Il villaggio “Quadrifoglio”, nella località “Ciolo”, rimane nei progetti<br />
del Comune che ha convocato nel novembre scorso una Conferenza di Servizi<br />
per la sua realizzazione in variante al P.d.F. vigente dell’insediamento turistico.<br />
Dieci ettari in area soggetta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, adiacenti<br />
all’alveo del canale naturale della caletta del Ciolo consegnati all’industria del<br />
cemento fino al suo sbocco naturale.<br />
Tutto il tratto costiero del Comune di Gagliano del Capo presenta<br />
elementi di notevole interesse: dal punto di vista geomorfologico, essendo un<br />
territorio roccioso ricco di fenomeni carsici, che lo hanno intessuto di grotte<br />
spesso ricoperte di stalattiti, dal punto di vista paesaggistico, essendo una delle<br />
zone panoramiche più belle del Salento, con alte scogliere a picco sul <strong>mare</strong>,<br />
con profonde insenature, canali naturali e innumerevoli grotte marine…messe a<br />
rischio da un impunito abusivismo a macchia di leopardo. Si segnalano inoltre,<br />
nella zona denominata “delle Mannute” (dal nome della prestigiosa Grotta<br />
detta appunto “delle Mannute” per la ricchezza di stalattiti che pendono<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
dall’ampia volta) interventi per l’ampliamento dei tratturi e nuove vie di<br />
accesso al <strong>mare</strong> che lasciano presagire voglie espansive sulla costa. Inutile dire<br />
quanto rovinosa può essere la distruzione già in atto dei tipici muretti a secco di<br />
Gagliano del Capo, tipici e unici di questo tratto di territorio, più stretti sopra e<br />
spessi sotto, quasi a merletto dei vari terrazzamenti rocciosi e legati ad una<br />
originale funzione di recupero di risorse idriche dal vento umido del clima<br />
salentino.<br />
2) Ancora nel mirino la gravina del Ciolo con la grotta delle Prazziche<br />
che suscita, in un clima di roventi polemiche sulla carta stampata, un<br />
interrogazione consiliare in merito allo stato di conservazione e tutela della<br />
Grotta considerata un sito paleontologico ed archeologico di rilevante interesse.<br />
Al centro della polemica ancora il Comune di Gagliano del Capo. Le<br />
numerose denunce lamentano interventi di grave manomissione, quali la<br />
sostituzione del pavimento e l’installazione di punti-luce (faretti), che lasciano<br />
pensare ad una diversa e impropria destinazione d’uso dell’ambiente della<br />
grotta. Questo intervento ha già in parte compromesso lo stato di conservazione<br />
e l’aspetto tipico di un habitat proprio della vita e della cultura dell’uomo<br />
preistorico, che mal si concilia con pavimentazioni moderne e lampade<br />
elettriche.<br />
3) Tra i Comuni di Castrignano del Capo e Patù esiste un canalone<br />
naturale di notevole pregio paesaggistico-ambientale in area sottoposta a<br />
vincolo di tutela ai sensi della Legge n.1497/1939 denominato “Canale di<br />
Volito”, dove già sono stati avviati lavori di sbancamento con mezzi meccanici<br />
finalizzati all’allargamento di un tratto di circa 200 metri della carreggiata<br />
stradale che, dal “pozzo di Volito” sito nell’alveo torrentizio del canale, risale<br />
il costone destro del canalone in direzione sud verso “Felloniche”.<br />
I lavori stradali hanno comportato una notevole trasformazione dello<br />
stato naturali dei luoghi, con asportazione di macchia mediterranea ed<br />
alterazione e danneggiamento del costone roccioso. Tali lavori hanno<br />
determinato un parziale colmamento dell’alveo del canale con grave<br />
compromissione del flusso naturale delle acque dalle riconosciute proprietà<br />
terapeutiche .<br />
4) Demanio marittimo a rischio in località San Gregorio Patù : due<br />
tratti di strutture murarie megalitiche si trovano a pochi metri dalla linea di<br />
battigia e fanno parte dell’impianto dell’antico porto della Città di Vereto,<br />
l’attuale baia di San Gregorio. L’originario progetto di una passeggiata<br />
panoramica a soli due metri dalla battigia è oggi solo parcheggiato nei cassetti<br />
del Comune di Patù e grazie soprattutto agli innumerevoli esposti degli<br />
ambientalisti che chiedono di inserire il tratto di costa nell’istituendo parco<br />
costiero.<br />
Il via libera agli enti locali nella gestione del demanio marittimo<br />
potrebbe rappresentare un rischio in più per le sorti di questa meravigliosa<br />
51
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
scoperta che andrebbe piuttosto approfondita e salvaguardata quale risorsa<br />
culturale e paesaggistica preziosa per la comunità di Patù.<br />
5) A rappresentare la politica urbanistica scellerata del Comune di Diso<br />
si erge ancora “il Colosseo” il famigerato centro di servizi dalle incongrue<br />
dimensioni, una mega opera, che di fatto inaugura una serie di scelte scellerate<br />
per il destino del territorio costiero del piccolo comune marittimo. L’Ente<br />
Locale infatti, con la approvazione in Consiglio Comunale della proposta di un<br />
Piano di utilizzo delle aree demaniali marittime realizzata dalla Società E.T.A.<br />
CONS. s.r.l. stravolge ora, in modo irreversibile, buona parte del tratto costiero<br />
e successivamente, il rimanente tratto con le previsioni del P.R.G. Sull’intera<br />
fascia costiera del comune di Diso sono presenti vincoli paesaggistici,<br />
ambientali, idrogeologici ed inoltre è inserita nel tratto costiero Otranto-Santa<br />
Maria di Leuca quale sito destinato a Parco dalla Legge Regionale 19/97.<br />
“Area di eccezionale bellezza paesaggistica costituita da uno dei pochi<br />
esempi di costa alta…” (L.R. 19/97) è inserita nei Siti di Importanza<br />
comunitaria, la cui normativa mira alla conservazione degli Habitat naturali e<br />
seminaturali della flora e della fauna selvatica. Inoltre in particolare il Comune<br />
di Diso è classificato come comune ad elevato rischio idrogeologico. Il comune<br />
di Diso già nel 1999 è stato costretto a rivedere il progetto della fognatura<br />
previsto a confine del demanio a seguito del parere negativo della<br />
Soprintendenza che già in relazione al piano di recupero annullato poi dal<br />
Co.Re.Co. poneva l’accento sulla non compatibilità della proposta progettuale<br />
con la tutela ambientale. Nonostante ciò l’Ente Locale programma nuove<br />
discese a <strong>mare</strong> e vari percorsi pedonali fissi sul demanio, oltre ad<br />
“infrastrutture di supporto per allargare la nostra offerta balneare”, recita così<br />
la delibera di approvazione del P.C.C.<br />
6) Porto Miggiano (Comune di Santa Cesarea Terme). Nonostante<br />
l’allarme lanciato da <strong>Legambiente</strong> lo scempio ai danni di uno dei paesaggi<br />
cartolina del Salento si è compiuto. A fer<strong>mare</strong> i lavori sono stati i sigilli della<br />
Guardia di Finanza su ordine dei sostituti procuratori della Repubblica. Iscritti<br />
nell’elenco degli indagati per i lavori relativi alla costruzione del complesso<br />
turistico dotato di ristorante, bar, due piscine di acqua salata, appartamenti e<br />
parcheggi su circa 45mila metri quadri: i fratelli Merico della Società turistico<br />
Alberghiera che ha realizzato la struttura, l’imprenditore Montinari e l’ex<br />
Assessore di Lecce Fausto Giancane, rispettivamente responsabile e tecnico per<br />
la Sis immobiliare proprietaria del comparto interessato; Aldo Bleve direttore<br />
dei lavori; Giuseppe Maroccia della “Maroccia Costruzioni” e il responsabile<br />
del Piano urbanistico Pietro Paolo Maggio.<br />
L’intervento di Porto Miggiano rappresenta in pieno la logica di<br />
sviluppo che sembra avere la meglio nel Salento, a dare questo infausto ed<br />
esclusivo riconoscimento contribuisce il sopraggiungere della originale<br />
sentenza del Tribunale Amministrativo che accoglie il ricorso del Comune di<br />
Santa Cesarea Terme che in persona del sindaco chiedeva l’annullamento del<br />
52
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
provvedimento con cui il soprintendente dei Beni A.A.S.S. della Puglia<br />
annullava il nulla-osta rilasciato dallo stesso Sindaco per la realizzazione del<br />
complesso incriminato ricadente nel piano di lottizzazione del comparto 19/S.<br />
Nella complicata vicenda una cosa sembra essere chiara: la proposta del<br />
sindaco di santa Cesarea di stralciare dal perimetro dell’istituendo Parco<br />
costiero proprio la porzione di territorio destinata alla realizzazione del<br />
complesso incriminato.<br />
7) Comune di Porto Cesareo: una vicenda complessa di segnalazioni e<br />
carte bollate ad oggetto un villaggio albergo di circa 50.000 mc nella zona di<br />
Punta Prosciutto. L’iter di approvazione in variante al Piano Regolatore è<br />
ritenuto illegittimo per vari ed articolati motivi tant’è che il TAR Lecce con<br />
propria sentenza annulla la Deliberazione del Consiglio Comunale con la<br />
quale si approvava l’insediamento in un’area di straordinaria valenza<br />
naturalistica.<br />
In particolare l’intervento proposto dall’Immobiliare F.P.S. di<br />
Melendugno, previsto all’interno di area di pregevole rilievo naturalistico<br />
designata dalla Regione Puglia quale Riserva Naturale Regionale, ha<br />
conseguito il parere favorevole della Conferenza di servizi convocata dal<br />
Comune di Porto Cesareo, senza aver preventivamente conseguito la<br />
Valutazione di Impatto Ambientale positiva.<br />
Il Tar Lecce accoglie le argomentazioni proposte da <strong>Legambiente</strong>,<br />
sostenendo che “quando ci si trovi in cospetto di interventi edilizi di notevoli<br />
dimensioni e di forte significato per l’ambiente e quando s’adotti la procedura<br />
di variante urbanistica prevista dall’art. 5 del D.P.R. n° 447/1998 (la tanto<br />
abusata norma sullo Sportello Unico della Attività produttive) la procedura di<br />
V.I.A. deve necessariamente trovare il suo spazio prima – o al più durante – la<br />
conferenza di servizi, convocata al fine di decidere circa la realizzazione<br />
dell’impianto produttivo in variante al PRG”.<br />
Ora la palla ritorna al Comune di Porto Cesareo, presso il quale<br />
pendono altre istanze di approvazione di villaggi turistici e residence in zone<br />
tutelate dalla UE (SIC) su cui le Conferenze di Servizi già convocate devono<br />
pronunciarsi definitivamente: l’auspicio è che invece si apra finalmente il<br />
procedimento per l’istituzione delle Riserve Naturali Regionali previste dalla<br />
Legge Regionale n° 19/1997, quale richiamo turistico per Porto Cesareo<br />
insieme al Parco marino, che finalmente pare decollare.<br />
53
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
8) E siamo nel Comune di Salve, dove ben tre progetti, con iter<br />
autorizzativo già avanzato, da realizzarsi a cavallo della litoranea, minacciano<br />
uno degli ultimi tratti di costa salentina in cui sono ancora visibili i caratteri<br />
paesaggistici naturali ed antropici storicizzati, ed è ancora evidente il rapporto<br />
con l’immediato retroterra, splendido e denso di angoli dimenticati dal tempo,<br />
nonostante il quotidiano lavorio di ruspe e betoniere.<br />
9) Ed infine di Comune di Nardò, dove la ormai storica battaglia per la<br />
tutela della costa sotto Serra Cicora e contro la realizzazione di un porto<br />
turistico è giunta ad un punto cruciale: la sospensione della Conferenza di<br />
Servizi per l’approvazione del porto turistico proposto dalla ICOS, se da una<br />
parte darà il tempo ai proponenti dell’opera di affinare i mezzi e le strategie per<br />
superare gli ostacoli tecnici cui fino ad ora si è ricorso, dall’altra sposta sul<br />
piano più propriamente politico, “delle scelte”, anche sull’onda degli impegni<br />
presi durante la campagna elettorale appena conclusa, il livello dell’approccio<br />
al problema.<br />
5.3.4 Il cemento illegale su Posillipo<br />
La <strong>Legambiente</strong> ha fatto un’analisi delle richieste di condono delle<br />
opere abusive realizzate sulle coste di Napoli nella zona di Posillipo. Il dato<br />
rilevato consente di conoscere il numero minimo di abusi edilizi commessi sul<br />
litorale partenopeo, in un’area soggetta a vincolo ambientale in cui buona<br />
parte delle opere realizzate, secondo la normativa vigente, non potrebbero mai<br />
essere condonate. Nell’analisi condotta, gli abusi sono stati distinti per<br />
tipologie, secondo lo schema che si riepiloga sinteticamente di seguito:<br />
all’abuso di tipo “A” appartengono: le opere realizzate in assenza o in<br />
difformità della licenza e non conformi alle norme urbanistiche; le opere<br />
realizzate in assenza o difformità della licenza ma conformi alle norme<br />
urbanistiche alla data di entrata in vigore della legge 47/85; opere realizzate in<br />
assenza o difformità della licenza ma conformi alle norme urbanistiche al<br />
momento dell’inizio dei lavori;<br />
all’abuso di tipo “B” appartengono: opere che non comportino aumento<br />
di superficie e volume; opere di restauro;<br />
all’abuso di tipo “C” appartengono le opere di manutenzione<br />
straordinaria o opere non valutabili in termini di superficie o volume;<br />
all’abuso di tipo “D” appartengono le opere realizzate in luoghi di<br />
attività non residenziale.<br />
Il totale degli abusi è di 1.757, di cui 1059 del tipo “A”, 320 del tipo<br />
“B”, 171 del tipo “C”, 207 del tipo “D”.<br />
Abusi di Abusi di Abusi di Abusi di Totale Abusi<br />
Tipo A<br />
Tipo B Tipo C tipo D<br />
1059 320 171 207 1757<br />
Fonte Comune di Napoli Elaborazione <strong>Legambiente</strong><br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
In particolare:<br />
in zona Marechiaro gli abusi sono 70, di cui 46 del tipo “A”, 16 del tipo “B”, 8<br />
del tipo “C”;<br />
in zona discesa Gaiola gli abusi sono 66, di cui 31 di tipo “A” 11 di tipo “B”, 3<br />
di tipo “C”, 21 di tipo “D”;<br />
in zona via Posillipo gli abusi sono 1057, di cui 651 di tipo “A”, 186 di tipo<br />
“B”, 97 di tipo “C”, 123 di tipo “D”;<br />
in zona via Ferdinando Russo gli abusi sono 150, di cui 87 di tipo “A”, 35 di<br />
tipo “B”, 17 di tipo “C”, 11 di tipo “D”;<br />
in zona S. Pietro ai due Frati gli abusi sono 38, di cui 31 di tipo “A”, 4 di tipo<br />
“B”, 3 di tipo “C”;<br />
in zona via Salvatore di Giacomo gli abusi sono 125, di cui 75 di tipo “A”, 22<br />
di tipo “B”, 13 di tipo “C”, 15 di tipo “D”;<br />
in zona via Santo Strato gli abusi sono 62 di cui 38 di tipo “A”, 11 di tipo “B”,<br />
5 di tipo “C”, 8 di tipo “D”.<br />
5.3.5 Emilia Romagna <strong>2002</strong>…le mani sulle dune<br />
120 km stretti tra una forte urbanizzazione ed il <strong>mare</strong> che in questa<br />
Regione rappresenta da sempre un pezzo importante dell’identità culturale e<br />
dell’economia locale: questa è la costa romagnola dove quel che rimane di<br />
"naturale" è ben poco anche se significativo. Sottoposta a forti pressioni dalle<br />
attività umane ha progressivamente perso il suo aspetto originario, sabbioso e<br />
regolare, cedendo il passo a una serie ininterrotta di costruzioni.<br />
E così se si decide di fare una gita in barca lungo la costa da Cervia<br />
verso sud, quello che si vede è davvero impressionante: un muro lungo 50 Km<br />
di palazzoni, una vera e propria barriera che impedisce di ammirare i rilievi<br />
appenninici che sempre di più si avvicinano alla linea di costa fino a giungervi<br />
finalmente a Gabicce ormai nelle Marche. E' il "San Bartolo" un sistema<br />
montuoso costiero ricco di strapiombi a <strong>mare</strong>, baie e insenature deliziose che si<br />
prolunga fino a due passi da Pesaro e che rappresenta una parentesi felice fra la<br />
costa romagnola e l'altro gioiello del medio Adriatico: il Monte Conero. Da<br />
queste parti l'uomo si è dato da fare fin dagli anni '50 per lasciare i segnali non<br />
sempre positivi della propria presenza. Nonostante questo delirio di cemento,<br />
meta di vacanzieri italiani e stranieri, proprio qui ha preso avvio una delle<br />
esperienze migliori: gli alberghi consigliati per l'impegno in difesa<br />
dell'ambiente. Questa spinta a cercare di porre riparo - per quel che si può - ai<br />
danni provocati sull'ecosistema urbano, tentando un alleggerimento<br />
dell'impatto ambientale del modello, si nutre di una presa di coscienza della<br />
necessità di cambiare. Acqua e spiaggia pulite, assenza di rifiuti, contenimento<br />
dell'effetto città, sono le richieste più importanti dei turisti tedeschi diretti in<br />
Italia.<br />
55
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Tutti i rapporti degli ultimi anni parlano chiaro: WTO, UNEP, DOXA,<br />
CISET e da ultima REISEANALISE <strong>2002</strong>, prodotto dal Progetto VISIT in<br />
collaborazione con la ITB ( la prestigiosa Fiera del Turismo di Berlino), sono<br />
concordi nel segnalare la qualità ambientale come elemento primario nella<br />
scelta delle destinazioni turistiche in tutto il mondo e particolarmente in<br />
Europa.<br />
Uno studio presentato dalla DOXA realizzato alle frontiere italiane su turisti in<br />
uscita dall'Italia basato su un campione di 60.000 interviste fatte nel 2001 a<br />
turisti di ritorno dall'Italia, dice l'Emilia Romagna sta perdendo colpi rispetto<br />
alla media nazionale nel grado di soddisfazione avuto durante il viaggio. Tra i<br />
punti deboli i turisti hanno indicato il paesaggio e l'ambiente naturale.<br />
Segnali importanti registrati negli ultimi anni e al centro dell'anno<br />
dell'ecoturismo indicano inoltre l'importanza della salvaguardia degli elementi<br />
naturali, dei residui di testimonianze sulla storia dei luoghi sia per dare voce<br />
alla memoria e ai ricordi, per conoscere ambienti che non riproducano la<br />
situazione caotica delle città di provenienza. Questo consiglia di salvare e<br />
recuperare quanto è oggi possibile di storia, cultura, paesaggio. E' un tema<br />
questa caro a chi ama la propria terra e le proprie radici e allo stesso tempo<br />
tutelare l'interesse pubblico consolidando un sicuro sviluppo economico per i<br />
comuni costieri. Anche il turista italiano o straniero che sia, secondo le più<br />
recenti indagini di mercato, cerca un <strong>mare</strong> pulito, strutture che si sviluppano in<br />
armonia con l'ambiente circostante, cibi sani, luoghi di interesse naturalistico e<br />
storico da visitare e da vivere.<br />
Queste tendenze sempre più accentuate possono essere presenti anche<br />
nelle aree dedicate al turismo di massa specie se si considera che sempre più il<br />
turista non rimane fermo nella località scelta ma si rivolge alle offerte presenti<br />
in territori allargati: il retroterra, la provincia , la regione. Le nuove domande<br />
turistiche possono essere recepite e dare vita ad un nuovo modello solo se si<br />
prende coscienza dei limiti evidenziati dal logorio del modello fin qui<br />
perseguito. Recupero dell'identità, della storia e della cultura locale, sono<br />
possibili perfino nelle situazioni più compromesse sul piano ambientale ma<br />
trovano piena realizzazione soprattutto facendo tesoro del capitale ambientale e<br />
territoriale dei luoghi di grande pregio naturalistico e di grande importanza non<br />
solo per la conservazione dell'ecosistema, ma per l'identità stessa del luogo e<br />
di chi lo abita.<br />
E' paradossale che mentre avanzano nuove tendenze, gli ultimi lembi di<br />
costa dell’Emilia Romagna, che si sono salvati dalla speculazione immobiliare<br />
e dalla cementificazione imperante negli anni dal 50 all'80, corrano rischi assai<br />
seri. Nel mirino di speculatori che non hanno valutato neppure quanto possono<br />
valere gli stessi immobili situati nei pressi di aree naturali conservate e tutelate<br />
sono finite aree vincolate dal Piano Paesistico (colonie, aree agricole residue,<br />
sistemi costieri con la presenza di dune, pinete, spiagge libere). In particolare<br />
sono prese di mira le ultime spiagge libere e le aree costiere del Parco<br />
Regionale del Delta del Po del ravennate e del ferrarese, dalla Foce del Po di<br />
Goro a quella del Savio. Aree protette, sistemi dunali, pinete, prati umidi e<br />
56
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
zone rurali sono sotto il tiro di egoismi privati che spingono per la<br />
realizzazione di grandi insediamenti (villaggi turistici, campi da golf, Centri<br />
Commerciali, Stabilimenti Balneari invasivi e quant'altro). Tra coloro i quali<br />
ignorano che le aree naturali costituiscono un elemento di forza per una<br />
proposta turistica che voglia avere un futuro possono essere collocate anche<br />
alcune amministrazioni pubbliche che si stanno dimostrando deboli e incapaci<br />
di tutelare il loro patrimonio, cedendo a progetti di imprenditori poco<br />
lungimiranti.<br />
Gli esempi<br />
1) la spiaggia dell'ex- Colonia CRI di Marina di Ravenna<br />
Il caso più eclatante è offerto dalle vicende della spiaggia dell'ex-<br />
Colonia CRI di Marina di Ravenna, divenuta il simbolo delle battaglie contro il<br />
nuovo assalto di speculatori privati ai beni demaniali, fenomeno ormai presente<br />
non solo in zone ad alta intensità di abusivismo come le coste meridionali. La<br />
spiaggia in questione è un luogo riconosciuto come Sito di Importanza<br />
Comunitaria, 450 metri di spiaggia libera non attrezzata di estremo interesse<br />
naturalistico per le sue dune alte fino a 2-3 metri intensamente vegetate. Nel<br />
tratto di spiaggia libera l'arenile mantiene un'ampiezza media sui 70-80 m. a<br />
riprova che le dune - come recentemente dimostrato - sono l'unico vero<br />
baluardo anche per la tenuta della linea di costa a fronte dell'erosione e quindi<br />
anche uno strumento importante di protezione civile degli abitanti. La pineta<br />
che protegge la duna - lungo il lato <strong>mare</strong> della vicina litoranea la pineta è<br />
ampia sui 70 - 80 m e risulta in buone condizioni - vede una vegetazione<br />
boschiva a prevalenza di Tamerici e con alcuni bei esemplari di Olivella - e<br />
rappresenta una tregua fra la linea di spiaggia e le strade di accesso al <strong>mare</strong>. E'<br />
ancora sufficientemente vasta da permettere lunghe passeggiate in un contesto<br />
di grande pregio ambientale. Proprio in questo angolo di paradiso, fiore<br />
all'occhiello del litorale ravennate, la società Villa Marina dell'industriale<br />
modenese Giacobazzi (altrimenti noto per produrre vino), ha chiesto e ottenuto<br />
di costruire una struttura balneare che cancellerà per sempre il ricordo di uno<br />
degli ultimi sistemi dunosi ancora intatti. Gli ultimi sviluppi della vicenda<br />
raccontano di un grave imbarazzo della Giunta Comunale di Ravenna al centro<br />
ora di un maldestro tentativo di retromarcia. L'imponente iniziativa dei cittadini<br />
animata da una petizione lanciata da Goletta Verde qualche anno fa, non è però<br />
riuscita ad ottenere finora un necessario atto di coraggio del Comune.<br />
Dichiarare esplicitamente – come sembrava si volesse fare in occasione delle<br />
scorse elezioni - di aver sottovalutato il grave errore potrebbe porre le basi per<br />
recuperare la fiducia dei cittadini (oltre 13 mila) di ogni parte politica che si<br />
sono mobilitati per evitare nuove vicende simili in altre aree della zona costiera<br />
del ravennate, dove incombono interventi di vario genere (campi da golf e<br />
strutture) che replicano un modello turistico già considerato fallito dai suoi<br />
stessi protagonisti.<br />
57
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
2) A Milano Marittima: la spiaggia e il parco dell'ex colonia Varese<br />
stanno correndo lo stesso rischio?<br />
Altra vicenda analoga si sta rischiando in una delle località conservate a<br />
Milano Marittima nel territorio del Comune di Cervia. Qui il soggiorno<br />
turistico non è solamente imperniato sull'arenile, ma sul binomio<br />
spiaggia/pineta, di cui restano tratti non edificati. L'edificio dell'ex colonia,<br />
oggetto di Salvalarte, una campagna di <strong>Legambiente</strong>, rappresenta uno dei<br />
complessi più interessanti dell'architettura degli anni '30. Il Parco circostante e<br />
la spiaggia sono state lasciate incolte e naturali e sono però in balia dei barbari<br />
che fanno delle spiagge e delle dune piste per motocross. Nelle dune di fronte<br />
alla ex colonia Varese, si possono trovare: il granaccio delle sabbie, l'assenzio<br />
vero, il ravastrello marittimo, il vilucchio marittimo, la carota spinosa, la<br />
salsola erba-cali, l'enagra comune e una pungentissima graminacea, la nappola<br />
delle spiagge, presente un tempo su tutte le dune che fronteggiavano il litorale<br />
cervese. La tutela dell'area ha consentito il permanere di condizioni ideali per<br />
un auspicabile recupero conservativo che ne impedisca interventi devastanti<br />
anche se le autorità preposte non hanno ancora provveduto a mettere in opera<br />
le tutele (recinzioni e vigilanza) che possano evitare vandalismi e danni. Nel<br />
frattempo si addensano voci di corposi appetiti di grandi società alimentari<br />
multinazionali.<br />
3) Il Villaggio Elisea di Porto Garibaldi<br />
Tra i progetti in itinere per la realizzazione di nuovi insediamenti<br />
immobiliari e Villaggi Turistici nelle aree finora rimaste libere nell'area tra<br />
Ravenna e il Delta del Po c'è quello sul quale si è già aperta una procedura<br />
formale da parte del Comune di Comacchio. Qui si è votato un nuovo sindaco,<br />
il pittore Giglio Zarattini (DS) eletto nel maggio <strong>2002</strong>, già vicesindaco nella<br />
precedente amministrazione, che ha fatto della realizzazione di questo<br />
insediamento uno dei punti forti della sua campagna elettorale. Il capo della<br />
precedente amministrazione comunale (l'Avv. Pierotti) anche lui grande<br />
sostenitore di questo progetto, è al momento candidato a fare l'assessore<br />
provinciale al turismo.<br />
Sul piano normativo c'è da dire che già la Giunta Regionale intervenne<br />
verso la fine degli anni 80 bloccando l'espansione edilizia nell'area. I<br />
protagonisti politici dell'epoca sono scomparsi dalla scena anche per opera<br />
della magistratura, ma restano gli appetiti. Oggi c'è un piano regolatore<br />
comunale approvato da pochi mesi che prevede 34 ettari di urbanizzazione.<br />
Il nuovo progetto privato da esaminare - non compreso nel PRG -<br />
occuperebbe altri 39 ettari in un'area del Parco del Delta del Po (area di<br />
Preparco) a due passi dalla spiaggia, dal sistema dunale e dalla Pineta. Il<br />
villaggio vacanze "Elisea" (2.500 posti letto) proposto dall'impresa Turistica<br />
immobiliare Medusa srl, dovrebbe insediarsi appunto in questa zona (area del<br />
Podere Forbino) una delle aree bloccate dalla Giunta Regionale all'epoca. Il<br />
costruttore Tomasi, proprietario dell'immobiliare (anche lui sostenitore<br />
dell'elezione del sindaco nelle ultime elezioni), è noto per aver costruito e<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
venduto (anche grazie all'uso della pubblicità televisiva) buona parte delle<br />
seconde case di ultima generazione realizzate nei Lidi Comacchiesi.<br />
L'intervento, per la mole di cementificazione proposta, per le caratteristiche<br />
delle costruzioni, per i problemi che arrecherebbe alla mobilità in un'area già<br />
congestionata, presenta tutte le caratteristiche di una vera e propria struttura<br />
urbana con tutti i difetti che i turisti trovano già nelle loro città. Si tratta<br />
dell'ennesima operazione speculativa diretta a catturare investimenti in "beni<br />
rifugio" di risparmi in fuga dai BOT e dai CCT. Gli argomenti usati dai<br />
proponenti a difesa del loro progetto, criticato con dovizia di argomenti da<br />
<strong>Legambiente</strong> e dal WWF, sono stati assai deboli: una generica disponibilità a<br />
mitigare le cose più aberranti insieme al sostegno della tesi che le 2500 persone<br />
che arriveranno al villaggio Elisea useranno l'aereo e quindi non si<br />
sommeranno altre automobili! Non ci sarebbe nessun pericolo quindi né sul<br />
fronte del temuto aumento della mobilità, né per le dune e gli altri elementi di<br />
naturalità che hanno a suo tempo fatto sì che l'area scelta del Podere Forbino<br />
fosse prima inserita nel perimetro del Parco del Delta del Po e che oggi venga<br />
proposta per una nuova colata di cemento "nelle immediate vicinanze del Parco<br />
del Delta".<br />
<strong>Legambiente</strong> ha fatto appello ai cittadini, al Parco, al Comune, alla<br />
Provincia e alla Regione perché siano bloccati questo ed altri progetti che si<br />
pongono in netto contrasto con le tendenze turistiche in atto e con la dignità e<br />
l'orgoglio di chi ama il proprio territorio e desidera difendere le sue zone più<br />
preziose da uno sviluppo dalle gambe corte. Purtroppo fino ad ora molti hanno<br />
preferito tacere. La Regione balbetta, il Parco del Delta del Delta del Po appare<br />
finora in una posizione abulica, il Comitato Scientifico presieduto da Giorgio<br />
Celli non si è ancora pronunciato. Purtroppo l'unica a parlare è stata la<br />
Provincia di Ferrara, organo di controllo per quanto riguarda gli strumenti<br />
urbanistici, e lo ha fatto con una delibera nella quale la Giunta Provinciale<br />
capeggiata da un esponente della Margherita, con un Vicepresidente DS (l'ex<br />
capogruppo alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati On.<br />
Zagatti,) e un assessore verde all'ambiente, ha deliberato la costituzione di una<br />
"cabina di regia" con l'intento di garantire un esito favorevole alla procedura<br />
per la costruzione del villaggio sostenendo che questo rientra negli obiettivi del<br />
piano d'area. Una situazione che desta allarme.<br />
La situazione non è rosea, nonostante che il 15 giugno sia stato<br />
insediato dalla Regione Emilia Romagna il Comitato Istituzionale del Piano per<br />
la Gestione Integrata delle Zone Costiere. Ne fanno parte i 4 presidenti delle<br />
province e i 14 sindaci dei comuni costieri.<br />
<strong>Legambiente</strong> ha preso atto della dichiarazione - fatta dal Presidente<br />
della Regione Vasco Errani in quella occasione - di volere una gestione<br />
integrata delle zone costiere che punti sulla qualità ambientale e che concorda<br />
con l'invito rivolto agli amministratori e alle categorie economiche a puntare<br />
sulla qualità delle produzioni, sulla valorizzazione dell'identità e su una<br />
gestione che non consumi ambiente e territorio, dato che l'ambiente<br />
rappresenta, specie per il turismo, un vero e proprio patrimonio economico,<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
oltre che una risorsa culturale. E' sperabile che all'assenso formale degli<br />
esponenti di Province, Comuni, Parchi ed altri enti presenti all'incontro,<br />
seguano i fatti e che la Regione faccia uso dei poteri sostitutivi nei confronti di<br />
chi continua a dichiarare intenzioni e a fare il contrario di quanto dichiarato. Le<br />
prime verifiche si potranno avere proprio sulle questioni denunciate da<br />
<strong>Legambiente</strong>: l'intervento edilizio che si sta tentando con il Villaggio Elisea a<br />
Porto Garibaldi, la tutela di dune, pinete e zone umide residue nel litorale<br />
ravennate e cervese, l'assalto in atto in alcune località ai terreni collinari e della<br />
pianura rimasti finora liberi dal cemento.<br />
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6. L’ultima spiaggia<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Per alcune spiagge e località costiere italiane, l’estate <strong>2002</strong> potrebbe<br />
essere l’ultima occasione. O meglio: per noi, cittadini e turisti, potrebbe essere<br />
l’ultima opportunità di visitare e vivere questi luoghi ancora belli e<br />
incontaminati, prima che scelte scellerate e politiche miopi li trasformino<br />
irrimediabilmente. Nuove costruzioni abusive, sbancamenti di dune, strade<br />
illegali o altre azioni criminali perpetrate dall’uomo, minacciano infatti alcuni<br />
dei gioielli delle coste italiane. Gioielli sui quali <strong>Legambiente</strong> vuole attirare<br />
l’attenzione affinché questi interventi destinati a soddisfare le esigenze<br />
(economiche) di pochi, non danneggino per sempre un patrimonio di tutti.<br />
E’ il caso della spiaggia di Galenzana all’isola d’Elba, isolata e<br />
selvaggia, attualmente meta ambita per chi vuole godersi un angolo di paradiso<br />
in tutta tranquillità. Un gioiello naturale che presto potrebbe sparire per fare<br />
posto ad un porticciolo per 650 posti barca.<br />
Nella splendida zona dell’area marina protetta di Capo Rizzuto in<br />
Calabria, invece, la bella e frequentata spiaggia del Soverito rischia di venire<br />
inglobata nell’opera di ampliamento urbanistico di un villaggio vacanze posto<br />
nelle vicinanze: al posto dell’arenile turisti e residenti potranno trovare<br />
bungalow e piscine per vacanze “tutto compreso”, anche lo scempio del<br />
paesaggio.<br />
L’estate del <strong>2002</strong> potrebbe essere l’ultima occasione anche per vedere<br />
ed apprezzare il litorale di Metaponto e Policoro in Basilicata: 37 chilometri di<br />
costa quasi incontaminata minacciati da un mega-progetto di nuovi<br />
insediamenti turistici per 30mila posti letto e 5mila posti barca. E tutto questo<br />
in un’area Sic (Sito d’Interesse Comunitario). Così, a Sanremo, rischia la<br />
pregiata costa dei Tre Ponti. Un delizioso tratto di litorale caratterizzato da<br />
scogli a picco sul <strong>mare</strong> intervallati da spiagge sabbiose, potrebbe sparire e<br />
trasformarsi da attuale paradiso dei surfisti in una lunga e dritta pista<br />
aeroportuale.<br />
Scendiamo allora in Campania, in una delle zone più belle e famose in<br />
tutto il mondo: Positano, la perla della costiera Amalfitana. Qui, ogni giorno,<br />
incessantemente, l’erosione mangia centimetri di battigia minacciando<br />
pesantemente la spiaggia libera di Fornillo, dove il processo di sfaldamento è<br />
stato favorito e sostenuto dai lavori di realizzazione del nuovo pontile per<br />
l’attracco degli aliscafi. Vediamo allora se va meglio altrove, in Veneto per<br />
esempio, nell’affascinante laguna di Caorle, dove anche Hemingway amava<br />
fermarsi a scrivere e dove un altro imponente progetto rischia di distruggere la<br />
Valle Vecchia, unica oasi rimasta: un chilometro e mezzo di spiaggia, pari a 6<br />
ettari di arenile, scompariranno seppelliti dalla nuova strada litoranea prevista<br />
davanti alla fascia degli alberghi. Al posto della vecchia litoranea, alle spalle<br />
degli hotel, nuove piscine e strutture turistiche.<br />
Ma le perle da salvare non sono solo queste. Gli 8mila chilometri di<br />
costa italiana, costellati di calette preziose e baie belle da togliere il fiato, sono<br />
costantemente minacciate dall’uomo: a volte dalle sue mire speculative, altre<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
semplicemente dall’incuria, spesso da piccoli e grandi atti di illegalità. Qui<br />
presentiamo solo i primi 12 casi segnalati dai circoli di <strong>Legambiente</strong> e dai<br />
singoli cittadini.<br />
Se andate in vacanza in Emilia Romagna allora, non perdete l’occasione<br />
di visitare la spiaggia dell’ex-colonia della Croce Rossa Italiana a Marina di<br />
Ravenna, dove la società “Villa Marina” ha chiesto e ottenuto la concessione<br />
per la costruzione di una mega-struttura balneare che, se realizzata,<br />
stravolgerebbe questo unico tratto di spiaggia libera rimasto con i caratteristici<br />
cordoni dunosi. Ovviamente si tratta di un’area tutelata paesaggisticamente e<br />
ambientalmente ricadendo, in parte, in un Sic. Non sfugge allo scempio<br />
nemmeno l’Abruzzo, dove la spiaggia della foce del Sangro a Fossacesia è a<br />
rischio sparizione grazie alla nuova darsena per 400 barche, costruita<br />
all’interno dell’istituendo Parco Nazionale della Costa Teatina. Qui<br />
<strong>Legambiente</strong> è già intervenuta con i blitz di Goletta Verde, la consegna al<br />
sindaco della Bandiera Nera, simbolo della peggiore gestione della costa e con<br />
una denuncia all’Unione Europea, che ha attivato un procedimento di<br />
infrazione contro la Regione Abruzzo, visto che lo scempio avverrebbe in<br />
un’altra zona Sic.<br />
Ma i casi eclatanti per assurdità non risparmiano nessuna regione. In<br />
Sicilia, l’orrore riguarda la spiaggia più famosa di Palermo: Mondello. Qui la<br />
fascia costiera, già danneggiata dall’estensione degli stabilimenti balneari e<br />
sbarrata da una lunga inferriata metallica che la divide dalla strada, sta per<br />
sparire, cancellata alla vista da centinaia di cabine di legno che un<br />
concessionario affitterà ai turisti.<br />
La spada di Damocle di una “villettopoli di cemento” minaccia invece il<br />
litorale marchigiano: la spiaggia di Sant’Elpidio, nota soprattutto per quel<br />
pregiato pezzo di archeologia industriale dell’ex fabbrica Fim che la sovrasta,<br />
rischia di essere completamente trasformata in area densamente costruita con<br />
palazzine, alberghi e centri commerciali, per un totale di 70mila metricubi di<br />
cemento senza alcuna destinazione pubblica. Un bel progettino realizzabile<br />
attraverso la demolizione della struttura della Fim, sottoposta ovviamente a<br />
vincolo da parte della Soprintendenza. Della spiaggia del Poetto, in Sardegna,<br />
si è molto parlato ma vale la pena ricordare il danno: oltre otto chilometri di<br />
sabbia bianca finissima dai riflessi luminosi, che costituisce un grande<br />
monumento naturale e che caratterizza la zona cagliaritana, ha subito i più<br />
svariati interventi di devastazione con indiscriminati e ricorrenti prelievi che<br />
hanno fortemente ridotto i sistemi dunali. Eppure, sebbene fortemente<br />
ridimensionata, la spiaggia era rimasta viva, bianca e luminosa, fino a quando<br />
un recente intervento di ripascimento con massiccio apporto di sabbia scura,<br />
totalmente inadeguata al contesto, ne ha stravolto il paesaggio.<br />
Ma non sfugge alla logica della devastazione nemmeno una terra che<br />
della corretta gestione del <strong>mare</strong> potrebbe fare il volano dello sviluppo turistico<br />
ed economico: la Puglia. Nella rinomata zona del Salento, dopo la recente e<br />
pericolosa opera di distruzione della Piana di Porto Miggiano (Santa Cesarea<br />
Terme), devastata e resa pericolante dalla realizzazione di infrastrutture<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
turistiche (tra cui una piscina a picco sul <strong>mare</strong>), è attualmente in via di<br />
realizzazione il porto turistico di ”Marina di Torre Inserraglio” a Serracicora<br />
(Lecce). In un’area prossima ad un Sic, vicina alla zona A (massima<br />
protezione) dell’Area Protetta Marina di Porto Cesareo e al Parco Regionale<br />
Attrezzato di Porto Selvaggio, ai piedi di un pregiato sito archeologico ancora<br />
oggetto di scavo, è previsto un porticciolo di 72mila metri quadrati che<br />
cancellerebbe la bellissima scogliera da sacrificare in cambio di un bacino<br />
interrato di 42mila mq con un lungo e ampio canale d’accesso.<br />
63
egione l'ultima<br />
spiaggia<br />
VENETO<br />
LIGURIA<br />
EMILIA<br />
ROMAGNA<br />
TOSCANA<br />
MARCHE<br />
ABRUZZO<br />
spiaggia di<br />
Caorle<br />
Spiaggia dei<br />
Tre Ponti<br />
Marina di<br />
Ravenna<br />
spiaggia di<br />
Galenzana<br />
all'Isola<br />
d'Elba<br />
Spiaggia di S.<br />
Elpidio<br />
foce del<br />
Sangro<br />
(Fossacesia)<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
visitarla perché… sacrificata per…<br />
si affaccia su un suggestivo<br />
tratto di laguna che affascinò<br />
anche Hemingway<br />
delizioso tratto di costa<br />
caratterizzato da scogli a picco<br />
sul <strong>mare</strong> intervallati da spiagge<br />
sabbiose, è uno dei pochi<br />
paradisi italiani per surfisti<br />
area tutelata paesaggisticamente<br />
e ambientalmente che ricade, in<br />
parte, in un Sito di Importanza<br />
Comunitaria (SIC)<br />
spiaggia selvaggia rimasta<br />
finora intatta, che non a caso<br />
<strong>Legambiente</strong> ha piazzato al<br />
terzo posto tra quelle più belle<br />
della nostra penisola.<br />
incantevole spiaggia libera<br />
caratterizzata dalla presenza, a<br />
poche centinaia di metri dalla<br />
linea di costa, di uno splendido<br />
esempio di archeologia<br />
industriale riconosciuta dalla<br />
Soprintendenza, la FIM<br />
uno degli ultimi tratti di costa<br />
non cementificata del litorale<br />
adriatico. A due passi dalla<br />
Lecceta di Torino di Sangro, è<br />
un Sic interessato da flussi<br />
migratori avi faunistici e ricade<br />
perciò all’interno<br />
dell’istituendo Parco Nazionale<br />
della Costa Teatina<br />
64<br />
un km e mezzo di spiaggia (6 ha di<br />
arenile) verranno seppelliti dalla<br />
nuova strada litoranea prevista<br />
davanti alla fascia degli alberghi<br />
rischia di trasformarsi - a causa di<br />
un progetto insensato - in una lunga<br />
e dritta pista aeroportuale.<br />
la società Villa Marina ha chiesto e<br />
ottenuto la concessione per una<br />
mega-struttura balneare che, se<br />
realizzata, stravolgerebbe l’unico<br />
tratto di spiaggia libera sulla quale<br />
si sono ancora mantenuti intatti i<br />
cordoni dunosi.<br />
ha ripreso insistentemente a<br />
circolare l’ipotesi di un porto<br />
turistico per oltre 600 barche a<br />
Marina di Campo, da realizzarsi a<br />
spese della costa di Galenzana.<br />
minacciata dal sinistro progetto di<br />
una "villettopoli di cemento" a soli<br />
50 metri dalla spiaggia (11<br />
palazzine e poi alberghi e<br />
supermercati per un totale di 70.000<br />
mc senza alcuna destinazione<br />
pubblica). Naturalmente anche la<br />
FIM, vincolata dalla<br />
Soprintendenza, verrebbe<br />
rimpiazzata da cemento fresco<br />
fresco.<br />
l’amministrazione regionale, dopo<br />
aver riconosciuto il valore<br />
naturalistico della zona, in un<br />
secondo momento, l’ha declassata<br />
per consentire la realizzazione di un<br />
porticciolo turistico per circa 400<br />
imbarcazioni. Per questo si è già<br />
meritata, l'anno scorso, la Bandiera<br />
nera di <strong>Legambiente</strong>. Il porto oltre<br />
ai posti barca prevede bar, ristoranti,<br />
minimarket, negozi.
CAMPANIA<br />
CALABRIA<br />
PUGLIA<br />
BASILICATA<br />
SARDEGNA<br />
spiaggia di<br />
Fornilo a<br />
Positano<br />
spiaggia del<br />
Soverito<br />
Serracicora<br />
(Lecce)<br />
litorale di<br />
Policoro e<br />
Metaponto<br />
spiaggia del<br />
Poetto<br />
SICILIA Mondello<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
una delle più grandi ed<br />
importanti spiagge di Positano,<br />
perla della costiera Amalfitana<br />
bella e frequentatissima, si<br />
trova nella Riserva marina di<br />
Isola Capo Rizzuto<br />
area prossima ad un Sic, vicina<br />
alla zona A (massima<br />
protezione) dell’Area Protetta<br />
Marina di Porto Cesareo e al<br />
Parco Regionale Attrezzato di<br />
Porto Selvaggio, ai piedi di un<br />
pregiato sito archeologico<br />
ancora oggetto di scavo<br />
37 km di costa quasi<br />
incontaminata in un Sito<br />
d'Interesse Comunitario (SIC)<br />
rinomata per la sua sabbia<br />
bianchissima, accoglie da<br />
maggio ad ottobre i cagliaritani<br />
che lì vanno a godersi i loro<br />
bagni di sole<br />
da secoli è la spiaggia dei<br />
palermitani<br />
65<br />
sta del tutto scomparendo a causa<br />
dell’erosione marina: la sabbia è<br />
quasi del tutto sparita ed i lidi degli<br />
stabilimenti si sono visti ridurre di<br />
quasi tre metri la battigia.<br />
L'accelerazione del fenomeno è in<br />
gran parte attribuibile alla<br />
realizzazione del nuovo pontile per<br />
gli aliscafi.<br />
rischia di venire inglobata nell'opera<br />
di ampliamento urbanistico di un<br />
limitrofo villaggio vacanze<br />
è prevista la realizzazione di un<br />
porticciolo di 72mila metri quadrati<br />
che cancellerebbe la bellissima<br />
scogliera sacrificata per<br />
l’escavazione di un bacino interrato<br />
di 42mila mq con un lungo e ampio<br />
canale d’accesso<br />
minacciato da un mega-progetto di<br />
nuovi insediamenti turistici per<br />
30mila posti letto e 5mila posti<br />
barca<br />
appare adesso agli occhi increduli<br />
dei visitatori nera. La causa del<br />
cambiamento è il ripascimento,<br />
necessario ma realizzato in modo<br />
discutibile, commissionato dalla<br />
Provincia.<br />
l’accesso al <strong>mare</strong> è impedito dagli<br />
stabilimenti balneari, che lungo i tre<br />
chilometri di litorale hanno lasciato<br />
aperti solo due varchi, invece di uno<br />
ogni 150 metri come prescritto dalla<br />
normativa. Arrivano poi ogni estate<br />
centinaia di cabine di legno a<br />
nascondere la dolce vista sul <strong>mare</strong>.
7. Fronte del porto<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
In epoca antica, i porti marittimi rappresentavano una risorsa<br />
importante per i territori che li ospitavano, essendo il crocevia dei percorsi dei<br />
mercanti, depositari di beni e conoscenze di difficile reperibilità in un mondo<br />
tutt’altro che globalizzato. Con l’avvento della società contemporanea questo<br />
ruolo è andato progressivamente sbiadendo, ma i porti per molte località del<br />
litorale italiano continuano a costituire una ricchezza molto importante. Non<br />
solo dal punto di vista commerciale, ma anche, e soprattutto, come volano<br />
dell’industria che ruota attorno al turismo.<br />
Dietro a questo scenario idilliaco, però, spesso si cela una realtà ben<br />
diversa. Una realtà in cui i porti si trasformano nell’ennesima occasione per<br />
speculazioni a molti zeri, ai danni delle casse pubbliche, e in una vera e propria<br />
aggressione ai danni del patrimonio naturale. Così in alcuni casi decine di porti<br />
e porticcioli spuntano lungo la costa a poche decine di chilometri l’uno<br />
dall’altro come funghi dopo un temporale, in barba alla logica e a qualsiasi<br />
seria valutazione di impatto ambientale. In altri casi, invece, strutture portuali<br />
progettate per rispondere a reali o presunte esigenze finiscono impantanate<br />
nella palude della burocrazia e dei ritardi incomprensibili, che trasformano<br />
vaste porzioni di territorio in un cantiere in pianta stabile. In altri casi ancora,<br />
porti realizzati facendo ricorso a stanziamenti dell’erario finiscono<br />
inspiegabilmente nelle mani di privati che li gestiscono a proprio piacimento. Il<br />
risultato è quasi sempre lo stesso: fiumi di denaro pubblico gettati al vento e<br />
nelle tasche degli speculatori, mentre il <strong>mare</strong> e i litorali agonizzano, insidiati<br />
sempre di più dal cemento. E’ quanto avvenuto, per esempio, in Sardegna,<br />
dove, in assenza di un adeguato controllo, gli interessi di progettisti e imprese<br />
costruttrici hanno spinto verso la realizzazione di infrastrutture<br />
sovradimensionate, spesso inadatte al loro ruolo.<br />
Se da un lato il diporto nautico va considerato come una componente<br />
significativa dell’economia turistica delle aree costiere, dall’altro è evidente<br />
che le proposte di piani per la portualità turistica presentati fino ad oggi sono<br />
condizionati da alcune presunte esigenze che tendono ad appesantire più del<br />
necessario il livello delle infrastrutture presenti lungo il litorale. E’ opinione<br />
comune, infatti, che i porti turistici debbano avere una grande dimensione, pari<br />
ad almeno 700-800 posti barca, per ragioni di economia di gestione. Accettare<br />
indiscriminatamente questo principio significa ignorare la netta distinzione di<br />
funzione tra i porti stanziali, destinati a servire da basi logistiche permanenti,<br />
ed i porti di scalo, da utilizzare su base stagionale come semplici punti di tappa<br />
durante le crociere estive. I porti del secondo tipo non richiedono, in realtà, né<br />
le dimensioni, né l’insieme di servizi che devono essere presenti nei porti<br />
stanziali. Deve essere sfatata anche la presunta esigenza di attrezzare l’intero<br />
sviluppo costiero del nostro paese con una catena ininterrotta di porti da<br />
disporre a distanze di 20-30 miglia, vale a dire ad una normale giornata di<br />
navigazione l’uno dall’altro. Già oggi, infatti, è molto elevato il numero delle<br />
imbarcazioni che dai porti della Liguria, della Toscana e del Lazio migrano per<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
le vacanze verso la Corsica e la Sardegna, coprendo tratte in <strong>mare</strong> aperto anche<br />
nell’ordine del centinaio di miglia, così come è considerato normale<br />
nell’Adriatico un trasferimento verso le coste della Dalmazia, di lunghezza<br />
poco inferiore.<br />
E’ essenziale, perciò, che dagli sforzi volti ad avviare un processo di<br />
sviluppo della nautica nel nostro paese non emerga un approccio simile a<br />
quello proposto in passato con il progetto Bonifica per il Ministero della<br />
Marina Mercantile (“Sistema di Approdi nel Mezzogiorno”), che accettava in<br />
modo acritico i due postulati appena messi in discussione, vale a dire quello<br />
della dimensione dei porti, considerati tutti obbligatoriamente di grandi<br />
dimensioni, e quello delle distanze tra loro. Un simile modo di procedere si<br />
tradurrebbe in un’ulteriore cementificazione della fascia costiera o in uno<br />
spreco di risorse pubbliche. Appena ci si allontana dai principali bacini di<br />
utenza, infatti, la possibilità di realizzare dei porti turistici utilizzando<br />
esclusivamente capitali privati sussiste solo quando alla realizzazione di porti<br />
vengono abbinate grosse operazioni immobiliari. Un esempio chiaro in questo<br />
senso è rappresentato da quanto accaduto nelle isole Baleari, ed in particolare a<br />
Mallorca, dove i numerosissimi porti turistici sono, in realtà, soltanto i “garage<br />
da barche” dei complessi turistici realizzati a filo di costa.<br />
Anche se lo sviluppo della nautica può avere delle ripercussioni<br />
positive dal punto di vista economico, c’è dunque il rischio concreto che dietro<br />
l’obiettivo ufficiale di tale sviluppo possano nascondersi interessi non<br />
dichiarati per operazioni immobiliari sul litorale o per la costruzione di porti<br />
inutili a carico di tutta la collettività. Innanzitutto è necessario fare chiarezza<br />
sui numeri: si è spesso parlato di 800mila barche, ma le dimensioni reali della<br />
flotta da diporto italiana si aggirano tra le 80-90mila unità. Il resto è composto<br />
da gommoni, lancette, derive e pattini, che con i porti non hanno nulla a che<br />
fare. La “densità nautica media” non è unque di una barca ogni 70 abitanti, ma<br />
di una ogni 700. La domanda di posti barca permanenti potrà dunque registrare<br />
una certa crescita ma sarà sempre difficile convincere i diportisti a scegliere<br />
come porti di armamento delle località lontane dalla loro residenza, e magari<br />
anche difficili da raggiungere.<br />
E invece negli ultimi quattro anni sono stati realizzati nel nostro Paese<br />
36 nuovi porti turistici contro i 44 costruiti nei cinquant’anni precedenti. Sono<br />
35 i progetti (per un totale di 17mila posti barca) che hanno già ottenuto<br />
l’autorizzazione, mentre altre 50 richieste (altri 20mila posti barca) attendono il<br />
sì definitivo dalle Conferenze di servizi. Il tutto si andrà a som<strong>mare</strong> ai 110mila<br />
posti barca già esistenti.<br />
Senza riportare documenti di fede ambientalista, che potrebbero essere<br />
sospettati di faziosità, vale la pena riportare quanto contenuto nel Documento<br />
sulla portualità turistica nel Mezzogiorno, curato dall’Ucina, l’organismo della<br />
Confindustria che raggruppa gli imprenditori della nautica. A detta dell’Ucina<br />
su intere regioni del nostro Paese la disponibilità attuale dei posti barca sarebbe<br />
più che sufficiente a soddisfare le esigenze della domanda: è il caso del Lazio,<br />
dell’Abruzzo e della Puglia. Al contrario, se si legge il Piano porti della<br />
67
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Regione Lazio si scopre la volontà di realizzare nel prossimo periodo ben<br />
10mila nuovi posti barca. In Abruzzo, se si portassero in porto, è il caso di dire,<br />
i progetti presentati, si conterebbe un approdo ogni 13 chilometri, senza<br />
considerare quanto sta accadendo in Puglia dove si prevede di realizzare un<br />
porticciolo, quello di Serra Cicora, a due passi da due aree protette, ma<br />
soprattutto a tre chilometri da un porto già esistente (porto Cesareo).<br />
Queste valutazioni devono anche tenere in considerazione il tenore di<br />
vita che caratterizza le diverse aree della penisola: non a caso la grande<br />
maggioranza della flotta è concentrata nel mar Ligure, nell’Alto Tirreno e<br />
nell’Alto Adriatico. Lo sviluppo del turismo nautico nel Mezzogiorno<br />
dipenderà dunque in misura significativa dalla capacità o meno di attirare una<br />
clientela proveniente dall’Italia settentrionale e dal Nord Europa. Ciò implica<br />
l’abilità nell’attirare una clientela disposta a lasciare permanentemente la<br />
propria imbarcazione nel sud, dato che la maggior parte dei diportisti durante le<br />
crociere estive non si allontana più di 150-200 miglia dal porto di armamento.<br />
L’acquisizione di una clientela stanziale può però venire solo a<br />
rimorchio di un massiccio sviluppo turistico a terra, oppure da un reale<br />
interesse nautico delle coste, come in Grecia, Turchia o in Croazia. Una<br />
prospettiva che, sulla scorta di quanto avvenuto in passato, può far venire i<br />
brividi: è auspicabile, infatti, che nell’Italia meridionale non si ripeta la<br />
tentazione di costruire più abitazioni sulla costa nella speranza di attirare più<br />
barche, e la demolizione di Coppola Pineta<strong>mare</strong> sembra dare un segnale<br />
positivo in questo senso. D’altra parte, molti tratti della costa del Mezzogiorno,<br />
per quanto dotati di grande potenziale turistico, hanno caratteristiche che le<br />
rendono poco attraenti da un punto di vista nautico, a causa soprattutto del<br />
carattere lineare e poco articolato delle coste. Si giustifica così un approccio<br />
più selettivo, che concentri l’attenzione sulle zone più interessanti come bacini<br />
di vacanze nautiche, rifiutando la tesi del porto di grandi dimensioni ogni 20 o<br />
30 miglia lungo il litorale.<br />
Abruzzo: nel 2000 bandiera nera per Fossacesia<br />
Il Comune abruzzese di Fossacesia due anni fa si è meritato una delle<br />
bandiere nere di <strong>Legambiente</strong>. Il motivo? La realizzazione di un porticciolo<br />
turistico per circa 400 imbarcazioni di lunghezza variabile dai sei ai 12 metri,<br />
su uno degli ultimi tratti di costa non cementificata del litorale adriatico, in<br />
prossimità della foce del fiume Sangro, all’interno dell’istituendo Parco<br />
Nazionale della Costa Teatina.<br />
Gli strali congiunti di <strong>Legambiente</strong>, Wwf e Italia Nostra, che si sono<br />
mobilitati per impedire la costruzione del porto, non sono serviti a bloccare i<br />
lavori, estesi su una superficie di 100mila metri quadrati ad un centinaio di<br />
metri dalla foce del Sangro e a due passi dalla Lecceta di Torino di Sangro, in<br />
un'area Sito di importanza comunitaria. Al contrario, l’ennesimo attentato<br />
all’ambiente, in un’area interessata da flussi migratori avi faunistici, è stato<br />
favorito dall’atteggiamento pilatesco dell’amministrazione regionale, che dopo<br />
aver riconosciuto il valore naturalistico della zona, in un secondo momento, per<br />
68
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
consentire la realizzazione del porto, l’ha declassata. Il tutto per fare spazio ad<br />
un porto che oltre ai posti barca prevede bar, ristoranti, minimarket, negozi e<br />
stutture di pronto intervento. La denuncia degli ambientalisti a Bruxelles ha<br />
sortito i suoi effetti e l'Unione europea ha avviato un procedimento di<br />
infrazione nei confronti della Regione Abruzzo per l'intervento.<br />
Come testimoniato dai dati dell’Ucina, l’unione di cantieri, industrie<br />
nautiche e affini che aderisce a Confindustria, la domanda della navigazione da<br />
diporto poteva essere soddisfatta dalle vicine strutture di Pescara, Ortona e<br />
Vasto, ma grazie al furore cementificatorio di Regione ed enti locali, il litorale<br />
abruzzese rischia di raggiungere in un brevissimo arco di tempo una densità di<br />
aree portuali da Guinness dei Primati: una ogni 13 chilometri. Nella stessa<br />
fascia di litorale, infatti, è già in programma la costruzione di nuovi attracchi,<br />
sebbene gli stessi operatori economici del settore abbiano già espresso la<br />
propria perplessità rispetto a nuovi progetti.<br />
Calabria: il porto “fantasma” di Crotone<br />
Il porto di Crotone si va progressivamente spegnendo. Paradossalmente,<br />
proprio ora che Crotone può contare su un porto attrezzato e su chilometri di<br />
banchine, non ci sono più imbarcazioni, mentre in passato spesso si creava la<br />
fila di quelle costrette ad attendere il proprio turno per poter sbarcare e<br />
imbarcare il proprio carico. Due anni fa è stato registrato un calo del 23,56 per<br />
cento del movimento delle merci, con un valore in assoluto pari a meno 73.507<br />
tonnellate. Il maggior calo è stato registrato nelle merci sbarcate, meno 33,37<br />
per cento, mentre quelle imbarcate, i cui volumi però sono inferiori, hanno<br />
fatto registrare un incremento del 17,86 per cento. A quest’ultimo risultato ha<br />
contribuito la chiusura dello stabilimento Pertusola: circa 50mila tonnellate di<br />
ferriti, 4.600 di cemento di rame e 1.550 di calamina calcinata, rappresentano<br />
infatti, i residui di lavorazione dello stabilimento metallurgico e costituiscono<br />
da sole poco meno dell’80 per cento del totale delle merci imbarcate.<br />
Il crepuscolo del porto di Crotone si stava delineando da almeno un<br />
decennio, e si è aggravato ulteriormente negli ultimi tre anni, senza che ci fosse<br />
alcuna iniziativa per attrarre un volume di traffici più consistente. La soluzione<br />
del problema, come spesso accade, sembra dover passare ancora una volta dal<br />
cemento. La dotazione delle banchine, infatti, è destinata ad aumentare di 570<br />
metri lineari, facendo del sistema portuale crotonese una struttura di notevoli<br />
dimensioni. Il tutto ad un costo complessivo pari a circa 32 miliardi. Altri<br />
ingenti investimenti, dunque, come se l’ampliamento di un porto già<br />
scarsamente utilizzato bastasse di per sé a rilanciare l’economia locale.<br />
In effetti, a questa eventualità non sembrano credere in molti, tanto che<br />
già si punta sul turismo per lo sviluppo del territorio. Così fioriscono nuovi<br />
progetti, a cominciare da quello del porto turistico nel bacino sud (porto<br />
Vecchio), che prevede la sistemazione dell’intera area con l’apertura verso il<br />
quartiere marina e la costruzione di edifici per servizi. In questo contesto si<br />
inserisce anche la richiesta della società Aeroporto Sant’Anna di utilizzare una<br />
parte del bacino nord, banchina di riva e radice dell’attiguo molo foraneo,<br />
69
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
come approdo turistico riservato ad imbarcazioni di maggiore stazza. Sta<br />
prendendo corpo, inoltre, l’ipotesi della realizzazione di un approdo per navi da<br />
crociera, inserendo la città negli itinerari turistici.<br />
Tutti questi progetti sembrano preludere all’ulteriore esborso di<br />
quattrini pubblici per la realizzazione di opere la cui effettiva utilità resta tutta<br />
da dimostrare. Visti gli errori compiuti in passato, sarebbe dunque preferibile<br />
cercare di far funzionare una volta per tutte le strutture già realizzate. A meno<br />
che non si pensi di rilanciare l’economia locale attraverso la continua apertura<br />
di nuovi cantieri fini a se stessi.<br />
Lazio: il caso di Tarquinia…<br />
La teoria che sia sufficiente costruire un porto per promuovere lo<br />
sviluppo turistico di una zona sembra aver fatto proseliti anche nel Lazio. E’ il<br />
caso, almeno, di Tarquinia, culla della civiltà etrusca, dove è in progetto la<br />
realizzazione di una struttura portuale per imbarcazioni da diporto all’altezza<br />
della foce del fiume Marta. Un vasto terreno, distante circa due chilometri alla<br />
foce del fiume, è infatti oggetto da tempo di una tentata variante urbanistica per<br />
trasfor<strong>mare</strong> 43 ettari di zona agricola ad alto valore paesaggistico in zona<br />
portuale, in grado di ospitare più di mille imbarcazioni.<br />
Contro il progetto si sono schierate le principali associazioni<br />
ambientaliste, che hanno sottolineato come sulla costa di Tarquinia siano già<br />
stati costruiti in passato un milione e mezzo di metri cubi di cemento in<br />
seconde case ed alberghi, mentre l’amministrazione comunale si è già attivata<br />
per consentire altre operazioni simili nelle lottizzazioni di San Giorgio, del<br />
Lido di Tarquinia e di Marina Velca.<br />
Il progetto di Tarquinia non tiene conto, inoltre, dell’estrema vicinanza<br />
di un altro porto, progettato alla foce del fiume Fiora e inserito nel Piano dei<br />
Porti della Regione Lazio nel contratto d’area Tarquinia-Montalto di Castro.<br />
L’aver progettato due strutture portuali alla distanza di circa 10 chilometri<br />
l’una dall’altra, per di più insistenti su pianure alluvionali e servite da fiumi<br />
con scarso apporto idrico, sembra preludere alla distruzione delle due foci<br />
fluviali. Le dimensioni della variante sono anche del tutto incompatibili con<br />
l’attività balneare delle spiagge del Lido, a causa dell’inquinamento<br />
atmosferico e acustico, e dell’intorbidimento delle acque derivante dalla<br />
presenza del porto.<br />
Il sospetto è che il progetto del porto possa in realtà rappresentare uno<br />
stratagemma per cambiare la destinazione d’uso dei terreni interessati. Il solo<br />
passaggio da zona agricola a zona portuale, infatti, ha determinato un aumento<br />
istantaneo del valore dei terreni pari a 40 miliardi di lire. Così, se il progetto<br />
della nuova area portuale sarà bocciato, basterà una piccola variante per dare il<br />
via alla costruzione di nuove seconde case.<br />
…e quello di San Felice Circeo (Lt)<br />
La Delibera del Consiglio Regionale (n. 491 del 22/12/1998) prevedeva<br />
un ingrandimento “non eccessivo” del porto di San Felice Circeo, viste le<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
“difficoltà di collegamento stradale, la ripidità delle pendici incombenti e la<br />
limitata disponibilità delle aree terrestri”. Consigliava, inoltre, di studiare<br />
provvedimenti per l’eliminazione della barra sabbiosa che si forma presso<br />
l’imboccatura portuale, e auspicava che il Comune assumesse iniziative decise<br />
per una razionalizzazione del porto esistente.<br />
Quello che nella Delibera era un'ampliamento "non eccessivo" nella<br />
realtà è diventato il raddoppio secco dei posti barca.<br />
Nel corso del mese di maggio 1999 la PENTA Srl presenta al Ministero<br />
dei Trasporti e della Navigazione – Capitaneria di Porto di Gaeta – un progetto<br />
per l’ampliamento del porto turistico di San Felice Circeo che andrà ad<br />
occupare un’area demaniale marittima di circa mq 56.650, comportando un<br />
incremento di oltre 200 posti barca, rispetto ai 250 già esistenti.<br />
Tale progetto, pur ponendosi in contrasto con le direttive del Nuovo<br />
Piano di Coordinamento dei Porti della Regione Lazio, ha visto recentemente<br />
l’approvazione delle autorità competenti.<br />
Oltre alla compromissione irreversibile degli ecosistemi marini e<br />
terrestri, tale opera comporterà un notevole aggravamento della già precaria<br />
situazione urbana dell’abitato di San Felice Circeo, soprattutto con riferimento<br />
al traffico veicolare, il rischio dell’incremento del fenomeno di erosione delle<br />
coste, già in atto, lungo il litorale fino a Terracina e la distruzione di una<br />
prateria di posidonia.<br />
Liguria: molti progetti, molti dubbi<br />
Anche sul litorale ligure la situazione della portualità minore presenta<br />
alcune situazioni a rischio. Una di queste è quella di Levanto, dove il Piano<br />
Regionale della Costa prevede un porto con funzioni di rifugio, a mezza via tra<br />
il Tigullio e il Golfo della Spezia. Le caratteristiche della baia di Levanto<br />
implicano però dei costi elevatissimi a causa della necessità di fissare la diga su<br />
fondali oltre i 10 metri. Dato che il porto sarebbe molto piccolo, con 200-250<br />
posti barca, il solo modo per realizzare l’opera sarebbe quello di abbinarla ad<br />
un’operazione immobiliare, contraddicendo così uno dei principi alla base del<br />
Piano: niente condomini con la scusa che servono a coprire i costi dei porti. In<br />
attesa che si chiarisca la fattibilità del porto rifugio, il Comune ha autorizzato la<br />
costruzione di un miniporto, realizzato con mezzi di fortuna, che rappresenta<br />
una vera e propria baraccopoli nautica.<br />
Procedendo verso Genova, va segnalato il caso di Chiavari-Lavagna, da<br />
citare come esempio classico delle cose da non fare, con due porti collocati ai<br />
lati della foce del fiume che alimentava le spiagge circostanti. Oggi le spiagge<br />
sono in crisi e i due porti si insabbiano. L’unica attenuante è costituita dal fatto<br />
che si tratta di opere realizzate da tempo, prima che i problemi dell’equilibrio<br />
costiero fossero tenuti nella dovuta attenzione. Per lo meno a Chiavari il<br />
Comune ha preso in carico un’opera abbozzata dal Genio Civile Opere<br />
Marittime e lo ha trasformato in un porto ben gestito ed accogliente. Tutto<br />
sbagliato, invece, a Lavagna: localizzazione, progetto, costruzione (i pontili<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
stanno sprofondando e la diga è in cattive condizioni), e modalità di gestione<br />
(la società realizzatrice è fallita clamorosamente). La “fame” di posti barca in<br />
questo tratto di litorale è nota, ma si sarebbe potuto provvedere ricorrendo a<br />
soluzioni più rispettose del contesto costiero.Sempre nel Tigullio sta montando<br />
una grossa polemica sull’ipotesi di sistemazione del porto di Santa Margherita.<br />
Le obiezioni, in particolare, si concentrano sulla realizzazione di una diga di<br />
sottoflutto a ridosso del castello, che gli autori del progetto ritengono<br />
indispensabile per garantire la tranquillità dello specchio d’acqua protetto.<br />
L’ammissibilità del progetto dovrà dunque essere valutata alla luce dei risultati<br />
della valutazione di impatto ambientale.<br />
Merita attenzione anche il progetto di Noli-Spotorno, che ha messo<br />
d’accordo le aspirazioni dei due Comuni proponendo un porto a cavallo tra i<br />
loro territori. In quel punto, però, i fondali scendono rapidamente, tanto da<br />
limitare drasticamente la larghezza del bacino, nonostante la presenza di una<br />
diga posta in più di 10 metri d’acqua. Quattrini pubblici a disposizione non ce<br />
ne sono e il valore stimato dei posti d’acqua difficilmente arriverà a bilanciare<br />
il costo della costruzione. Ancora una volta, dunque, c’è il rischio concreto che<br />
per far quadrare i conti alla realizzazione del porto venga abbinata una<br />
speculazione edilizia sulle colline retrostanti.<br />
La situazione non è rosea neppure a Loano. Il porto, infatti, sembra<br />
destinato a creare problemi reali alle spiagge di Pietra Ligure. Per di più, i<br />
lavori di Loano sono rimasti a metà per molti anni, con risultati paesaggistici<br />
facilmente immaginabili. A Diano Marina, invece, è in progetto un<br />
ampliamento del porticciolo attuale che, a causa del suo rilevante aggetto dalla<br />
linea di costa, rischia di bloccare i flussi di sedimenti che provengono da un<br />
torrente e alimentano la spiaggia a ponente del porto. Al termine della spiaggia,<br />
già sotto Capo Berta, è possibile “ammirare” uno dei migliori mostri litoranei<br />
della Liguria, costituito da un’orrenda roulottopoli sovrastata dai resti<br />
incompiuti di un complesso immobiliare abbarbicato alla falesia sovrastante.<br />
Sospiro di sollievo per Imperia, il cui piano regolatore portuale<br />
inizialmente prevedeva l’occupazione di tutto il tratto di costa tra Oneglia e<br />
Porto Maurizio. Fortunatamente, trattandosi di un porto anche commerciale, la<br />
procedura di Via era di competenza nazionale ed il gruppo di valutazione lo ha<br />
bocciato. La revisione del piano che ne è conseguita ha notevolmente ridotto<br />
l’impatto delle opere previste. Va segnalato anche il caso di Sanremo, dove si<br />
vorrebbe saldare completamente Portosole con il vecchio porto pubblico,<br />
eliminando il tratto di spiaggia che si colloca tra i due bacini. Sebbene la<br />
spiaggia non abbia più un ruolo dal punto di vista balneare, dal punto di vista<br />
urbanistico è il solo elemento che evita la completa chiusura della città sul lato<br />
a <strong>mare</strong>, e dunque meriterebbe di essere conservata.<br />
Puglia: cresce il rischio speculazione<br />
La Regione Puglia, pur priva di un piano organico dei porti e degli<br />
approdi turistici, ha inserito una serie di opere portuali in delibere funzionali<br />
all’accesso ai fondi strutturali (ex POP, ora POR), che per la provincia di Lecce<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
comprendono, tra le altre, strutture portuali incongrue sia dal punto di vista<br />
dell’impatto paesaggistico e ambientale, sia per il loro dimensionamento. Si<br />
tratta dei porti di Santa Cesarea Terme, Ugento e Gallipoli.<br />
Nel caso della struttura di Ugento-Torre San Giovanni i posti barca<br />
previsti sono ben 733. Il progetto, però, dopo essere stato approvato dal<br />
Consiglio Comunale è stato bocciato dalla Regione. Per quanto riguarda<br />
Gallipoli, invece, la tipologia di intervento prevede una stazione marittima in<br />
grado di ospitare 650 imbarcazioni, affiancata da spazi espositivi, aggregativi e<br />
di servizio. Nel complesso banchine e moli avranno un’estensione di 2.500<br />
metri e le opere foranee di mille metri. Il contratto di programma per la<br />
realizzazione del porto è in via di completamento, ma il progetto è ancora privo<br />
della valutazione di impatto ambientale. Considerato che i porti di Sibari e<br />
Leuca sono già sottoutilizzati e ultrastagionali, e che ad essi si aggiungerà<br />
quello in programma a Taranto, queste strutture appaiono del tutto slegate da<br />
logiche di mercato, ma volte piuttosto ad alimentare una logica tutta affaristica<br />
e a valorizzare singoli insediamenti privati.<br />
Al di là di questa bozza di pianificazione fioriscono poi, su istanza di<br />
ogni singola frazione “balneare”, tutta una serie di altri approdi di cui pullulano<br />
le coste salentine. Create quasi sempre come semplici scali d’alaggio con<br />
frangiflutti, in seguito queste strutture si trasformano di fatto in porti “abusivi”<br />
da condonare. In altri casi, come quello ormai tristemente famoso del porto<br />
turistico “Marina di Torre Inserraglio”, da realizzarsi nel Comune di Nardò, in<br />
località Serra Cicora, la società che possiede un villaggio turistico propone un<br />
porto per cui l’amministrazione comunale indice immediatamente una delle<br />
famigerate conferenze di servizi, tuttora in corso, per valorizzare la sua<br />
struttura e creare il precedente infrastrutturale per l’urbanizzazione turistica di<br />
un tratto di costa incantevole, non a caso tutelato dall’Unione Europea. Il<br />
progetto del porto di Serra Cicora prevedeva un’area totale d’intervento di<br />
72mila metri quadrati, l’escavazione di un bacino interno di 42mila metri<br />
quadrati, un canale di accesso di 55 metri di lunghezza per 35 metri di<br />
larghezza, due dighe foranee a <strong>mare</strong> lunghe rispettivamente 148 e 15 metri,<br />
oltre ad infrastrutture a terra che comprendono un’area parcheggio per oltre<br />
300 posti auto, strade di collegamento e due edifici per servizi. L’impatto che<br />
una struttura simile avrebbe avuto sull’ambiente circostante sarebbe stata senza<br />
dubbio devastante, e per questa ragione in molti tra associazioni ambientaliste,<br />
politici e privati cittadini si sono attivati per impedirne la realizzazione.<br />
Sardegna: troppi soldi gettati a <strong>mare</strong><br />
L’amministrazione regionale sarda negli ultimi 20 anni ha erogato<br />
finanziamenti a fondo perduto corrispondenti a più di 600 miliardi di lire di<br />
oggi per la realizzazione di porti turistici, senza riuscire tuttavia ad innescare<br />
un reale processo di sviluppo. Forse in nessuna regione come in questa, infatti,<br />
i soldi pubblici sono stati sperperati in decine di interventi inutili nella migliore<br />
delle ipotesi, ma spesso dannosi e convenienti solo per chi doveva speculare<br />
sulla costa. Un’indagine curata dall’ingegner Bussetti, un esperto del settore<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
nautico e nella progettazione di opere portuali, ha portato a conclusioni<br />
sconfortanti: secondo Bussetti, infatti, il costo complessivo di un porto di<br />
medie dimensioni (500 posti barca) è di circa 30 miliardi, ovvero 60 milioni a<br />
posto barca, assumendo di operare in situazioni estreme, ovvero in litorali<br />
aperti e privi di ridossi naturali, anche se il costo medio di costruzione di un<br />
posto barca lungo il Tirreno non supera di norma i 50 milioni. Con queste cifre<br />
di riferimento, i 600 miliardi spesi in Sardegna avrebbero dovuto produrre<br />
qualcosa come 10-13mila posti barca. Se le cose fossero andate davvero così,<br />
l’isola italiana avrebbe doppiato la disponibilità offerta dai vicini corsi, sempre<br />
invidiati per i loro 5.900 posti barca ben distribuiti lungo tutto il litorale. In<br />
realtà, i posti barca messi insieme dal piano di intervento pubblico in Sardegna<br />
sono soltanto 2.500 e spesso di qualità discutibile. In pratica, dunque, ogni<br />
posto barca pubblico in Sardegna è costato alla Regione 240 milioni, quasi<br />
cinque volte il costo medio sul Tirreno. Dopo 15 anni di lavori, tutti i porti<br />
avviati sull’isola sono ancora cantieri in costruzione, secondo una pratica<br />
diffusa fatta di varianti in corso d’opera, contenziosi fra imprese e<br />
amministrazioni locali, e altri giochi di prestigio a spese dell’erario. In effetti,<br />
l’estrema frammentazione dei centri d’investimento sembra un meccanismo<br />
creato ad arte per mantenere costantemente aperti i canali di erogazione dei<br />
fondi pubblici. Un cantiere aperto, infatti, è il modo migliore per far continuare<br />
a scorrere i rubinetti dei finanziamenti.<br />
Se da un lato i porti del nord-est dell’isola sono cresciuti al seguito di<br />
un’escalation immobiliare simile a quella delle Baleari, dall’altro i centri<br />
maggiori sono ancora privi di basi nautiche di buone dimensioni e di buon<br />
livello qualitativo. Cagliari, Alghero, Porto Torres e Olbia, infatti, dispongono<br />
solo di strutture precarie, di dimensione limitata ed incapaci di attirare una<br />
clientela qualificata. In compenso lungo il litorale dell’isola sono stati<br />
progettati, e spesso realizzati magari in forma incompiuta, porti disegnati come<br />
se dovessero sorgere in Liguria o in Costa Azzurra. Gli esempi di questo tipo<br />
non mancano. Alla Maddalena il Comune spinge per un porto con più di mille<br />
posti barca e c’è chi pensa di trasfor<strong>mare</strong> l’arsenale della Marina in un centro<br />
di manutenzione per grandi unità da diporto. Resta però da spiegare come un<br />
progetto di questo genere possa conciliarsi con il parco marino.<br />
A Palau, invece, è prevista un’espansione del porto che finirebbe per<br />
eliminare tutta la spiaggia e la pineta ad est dell’abitato. E’ probabile che in<br />
questo caso la domanda di ormeggi sia reale, ma la loro realizzazione non può<br />
prescindere dalla valutazione dell’impatto delle infrastrutture sull’ambiente.<br />
Sulla costa di levante esiste effettivamente un buco di copertura tra Siniscola<br />
(La Caletta) e la zona di Arbatax, in quanto Cala Gonone è caratterizzata da<br />
dimensioni ridotte e durante la stagione è strapiena, tanto da essere stata<br />
ribattezzata Cala Gommone. Un’espansione del porto sul lato nord sarebbe<br />
però demenziale dal punto di vista dei costi, mentre a sud i danni alle spiagge<br />
recentemente risistemate sarebbero quasi certi. Se non si trova un’alternativa<br />
migliore dalle parti di Orosei sarebbe dunque preferibile lasciare le cose come<br />
stanno.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Un vero e proprio caso di follia pianificatoria è quello di Porto Corallo.<br />
Realizzare un porto da quasi 700 posti barca con grandi piazzali ed altre<br />
infrastrutture di supporto, in una zona lontana da qualunque centro abitato, è<br />
stata un’operazione priva di qualunque significato. Il sospetto è che il porto sia<br />
stato utilizzato come grimaldello per far saltare i vincoli urbanistici della zona,<br />
ma la questione merita di essere approfondita. A Villasimius il porto è stato<br />
completato, ma stenta a trovare clienti. Evidentemente invece di costruire un<br />
porto stanziale da 650 posti sarebbe stato più ragionevole realizzare uno scalo<br />
stagionale di minore impatto, ma in tal caso non si sarebbero potuti spendere<br />
gli oltre 70 miliardi che si mormora siano stati investiti nella struttura di<br />
Villasimius. Che sia questa la ragione che ha fatto propendere per il porto<br />
stanziale?<br />
Sulla costa meridionale non emergono casi macroscopici a proposito<br />
della portualità turistica. Spicca soltanto l’assenza a Cagliari di una base<br />
nautica importante, che dovrebbe diventare uno dei poli portanti dell’ipotetico<br />
sistema regionale. Sempre a Cagliari bisogna però ricordare il Porto Canale,<br />
opera ciclopica destinata a diventare una sorta di Porto Marghera della chimica,<br />
che invece col passare del tempo si è trasformata in un porto di trasbordo per<br />
contenitori. Il porto, infatti, è finito, con tanto di gru di banchina e mezzi di<br />
piazzale, ma di navi non se ne vede traccia, se si escludono le unità di<br />
cabotaggio della Tarros che ne utilizzano solo una piccola porzione. Una<br />
considerazione che sicuramente non interessa a chi attorno al Porto Canale è<br />
riuscito a spendere centinaia di miliardi di denaro pubblico. A Oristano la<br />
situazione è simile: il porto industriale, diventato famoso negli anni Ottanta<br />
come unico porto italiano sottratto al monopolio delle compagnie portuali, è<br />
una struttura macroscopica che sta manifestando in pieno la sua inutilità.<br />
Tornando alle strutture turistiche, quella di Porto Teulada è stata<br />
lasciata a metà, e potrebbe forse essere completata in modo più congruo<br />
rispetto a quanto previsto dal progetto iniziale. Il porto è in una zona deserta,<br />
col paese a parecchi chilometri nell’entroterra, tanto che sulla diga già<br />
completata sono stati rubati rubinetti dell’acqua, lampade, fili elettrici degli<br />
impianti e quant’altro potesse servire ai costruttori di casette abusive della<br />
zona. Girato l’angolo si giunge a Carloforte, dove il piano regolatore del porto<br />
commerciale prevede un bacino protetto di dimensioni faraoniche, come se<br />
invece dei traghetti locali si dovesse accogliere tutto il traffico del porto di<br />
Genova. Il traffico commerciale è stato incredibilmente sopravvalutato, ed è<br />
dunque auspicabile che la realizzazione del piano regolatore venga bloccata.<br />
Un altro caso eclatante è quello di Buggerru, una piccola località del<br />
Fluminese, sulla costa occidentale della Sardegna, in provincia di Cagliari.<br />
Collegata al resto del mondo da poche stradine tortuose, Buggerru non dispone<br />
di alberghi, né e facile trovare da dormire nel raggio di una ventina di<br />
chilometri. Eppure proprio qui,15 anni fa, la Regione decise di avviare i lavori<br />
di realizzazione di un porticciolo turistico. Avrebbe dovuto ospitare 150<br />
barche, ma neppure nei periodi di maggiore affluenza turistica si registra il<br />
tutto esaurito. Anzi, chi conosce il porto lo evita: l’entrata, in caso di <strong>mare</strong><br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
mosso, rappresenta un’ardua impresa anche per i marinai più esperti. Per non<br />
parlare dell’uscita: una volta entrati, infatti, non è raro ritrovarsi insabbiati.<br />
Nessuno sa come rimediare, ma in attesa di trovare una soluzione si è<br />
provveduto ad avviare la pavimentazione delle banchine con quadrotti di<br />
granito lucidato. Ovvero, quando l’apparenza conta più della sostanza...<br />
Un altro caso di “faraonismo progettuale” è quello di Bosa, a metà<br />
strada tra Oristano e Alghero. L’idea è quella di trasfor<strong>mare</strong> l’attuale porto<br />
fluviale in una struttura importante e agibile in ogni condizione meteo. Con<br />
questo obiettivo, è stata ipotizzata la realizzazione di una di una diga<br />
monumentale che dovrebbe sorgere a ridosso di tutta la zona della foce del<br />
Temo, con implicazioni paesaggistiche ed economiche del tutto sproporzionate<br />
rispetto alla possibile utilità dell’opera. E’ evidente, infatti, che Bosa non può<br />
rappresentare altro che un porto di scalo, oltre che una base per i natanti leggeri<br />
dei villeggianti. Per il primo scopo sarebbe sufficiente proteggere meglio il<br />
porto esterno già esistente, mentre per il secondo non è necessario alcun<br />
intervento. Anche nel caso di Bosa, però, la spinta a spendere quattrini pubblici<br />
è difficilmente contrastabile.<br />
La febbre dell’espansionismo ha colpito anche sulla costa settentrionale<br />
dell’isola. A Stintino, infatti, la situazione è a rischio perché come al solito si<br />
ipotizza un’espansione di Porto Mannu di dimensioni e caratteristiche<br />
esagerate. Il caso più clamoroso rimane comunque quello di Porto Torres, dove<br />
il porto industriale non è mai entrato in servizio e apparentemente non è<br />
neppure convertibile in porto turistico. Il piano regolatore portuale prevede,<br />
infatti, una grande espansione del vecchio porto commerciale.<br />
Sicilia: il cantiere di Capo d’Orlando compie 30 anni<br />
Il cantiere del porto di Capo d’Orlando, aperto da più di un quarto di<br />
secolo, è riuscito nella poco invidiabile impresa di coniugare lo spreco di<br />
risorse pubbliche (10 i miliardi spesi finora) con il degrado dell’ambiente<br />
circostante. I lavori per la costruzione del porto, infatti, hanno determinato lo<br />
sconvolgimento di tutto il litorale nella zona di sottoflutto: a Brolo, a Piraino e<br />
a Gioiosa Marea intere spiagge sono state spazzate via dalla realizzazione del<br />
molo, che ha interrotto il trasporto litoraneo della sabbia e ridisegnato il profilo<br />
della costa, portando le onde fino a lambire le case e la litoranea. Anche in<br />
questo caso la soluzione al problema nelle menti degli amministratori locali<br />
prende corpo sotto forma di un raddoppio del progetto esistente. Così, invece di<br />
creare le condizioni per ulti<strong>mare</strong> una buona volta i lavori avviati nel 1972, il<br />
Comune di Capo d’Orlando vorrebbe ampliare il porto.<br />
Pochi chilometri più in là ecco Sant’Agata di Militello, 13mila abitanti<br />
per buona parte dediti alla pesca artigianale. Le barche tirate faticosamente a<br />
secco sulle spiagge convinsero l’Amministrazione Comunale della necessità di<br />
avviare anche qui la realizzazione di un porticciolo. I lavori sono partiti nel<br />
lontano 1979 e non se ne vede ancora la fine. Nel frattempo la realizzazione del<br />
molo ha determinato l’erosione della spiaggia. Oggi la spiaggia non c’è più e i<br />
pescatori sono costretti a tirare a secco le loro barche direttamente sulla strada.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
A Giardini Naxos la costruzione di un porticciolo avrebbe dovuto ospitare i<br />
diportisti, attirati magari dalla prospettiva di prendere il sole sulla spiaggia con<br />
lo sfondo del teatro greco, ma anche qui la costruzione del molo ha cancellato<br />
la spiaggia ed ora chi attracca nel porto va a fare il bagno a Taormina, portando<br />
i quattrini altrove e lasciandosi alle spalle le case abusive di Giardini. Nelle<br />
intenzioni dell’amministrazione provinciale, però, il futuro continua ad essere<br />
pieno di approdi.<br />
Anche in Sicilia, dunque, la febbre dei Comuni per i porti è altissima:<br />
ognuno reclama il proprio approdo, ogni frazione confida nelle potenzialità di<br />
riscatto rappresentate dal cemento di una banchina. Eppure uno studio<br />
elaborato dal mensile Nautica qualche anno fa fra i 67 porti e approdi dell’isola<br />
ne aveva individuati 14 che avrebbero potuto essere attrezzati da subito con<br />
pontili galleggianti all’interno, creando così circa 3.500 posti barca a fronte di<br />
un investimento di circa 15 miliardi, meno del costo di realizzazione di un<br />
singolo porto. Si tratta dei cosiddetti “porti verdi”, ovvero dell’aumento di<br />
capacità dei porti esistenti realizzata attraverso strutture mobili o mediante la<br />
razionalizzazione ed il recupero delle vecchie strutture. Una soluzione<br />
abbondantemente praticata all’estero, ma ancora lontana da entrare nella<br />
mentalità dei nostri amministratori, forse perché il giro d’affari creato dalla<br />
costruzione di un porto è troppo ghiotto per essere ignorato.<br />
Toscana: sull’isola d’Elba progetti ad alto impatto ambientale<br />
Un progetto che desta grande preoccupazione dal punto di vista<br />
ambientale, paesaggistico e idrogeologico è quello che prevede la creazione di<br />
un porto turistico nel Comune di Marciana, vicino al confine con Campo<br />
dell’Elba e nelle immediate vicinanze del Parco Nazionale dell’Arcipelago<br />
Toscano. L’area portuale, in base a quanto previsto dal Piano Strutturale del<br />
Comune, dovrebbe essere ottenuta scavando il fondo granitico della foce del<br />
fosso di Pomonte, fino a spingersi nell’entroterra con un canale. Oltre a non<br />
rispondere ad alcuna necessità di carattere economico, questa infrastruttura<br />
rappresenterebbe un danno per l’ambiente e non è contenuta né nel Piano dei<br />
Porti e degli Approdi Turistici della Regione Toscana né nell’accordo di<br />
Programma Quadro per lo sviluppo locale delle Isole Minori, che sottolinea<br />
come l’obiettivo sia quello di potenziare le strutture esistenti, dotandole di tutti<br />
i servizi richiesti dall’utenza. I nuovi progetti per il diportismo nautico,<br />
secondo quanto previsto dal Programma Quadro, possono essere presi in<br />
considerazione solo se fattibili economicamente e di basso impatto ambientale.<br />
Il porto canale di Pomonte, al contrario, sarebbe devastante per l’ambiente e<br />
incomprensibile dal punto di vista economico: si tratterebbe, infatti, di<br />
investire diversi miliardi per realizzare una piccola struttura adatta solo ad<br />
imbarcazioni di dimensioni ridotte e per un esiguo numero di utenti, con una<br />
ricaduta occupazionale irrisoria. Del resto, i vicini porti di Campo nell’Elba e<br />
di Marciana Marina rappresentano già rifugi sicuri per le piccole imbarcazioni<br />
in difficoltà. Lo stesso Piano Strutturale di Marciana riconosce che “poiché<br />
l’intervento ricade in area definita a rischio idraulico molto elevato (v. misure<br />
77
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
di salvaguardia, ai sensi della L. 183/89) per la sua attuabilità ne deve essere<br />
riconosciuta l’importanza essenziale e la non delocalizzabilità, a seguito della<br />
quale l’intervento deve essere realizzato in condizioni di sicurezza idraulica e<br />
purché la sua realizzazione non precluda la possibilità di attenuare o eliminare<br />
le cause che determinano le condizioni di rischio, e risulti comunque coerente<br />
con la pianificazione di interventi di emergenza di protezione civile, previo<br />
parere favorevole del Comitato tecnico di Bacino competente”. Meglio,<br />
dunque, avere il coraggio di rinunciare ad un porto irrealizzabile e dannoso per<br />
l’ambiente, e puntare invece su strutture leggere (scalo d’alaggio per le piccole<br />
imbarcazioni locali, campi boe), che potrebbero più facilmente ottenere il<br />
consenso della Regione Toscana e dell’opinione pubblica.<br />
Quello di Pomonte non è, però, l’unico porto canale progettato<br />
all’interno del Comune di Marciana. Alla foce del Fosso del Gualdarone, nei<br />
pressi di un relitto di una nave romana del II secolo, è prevista infatti la<br />
costruzione di un porto turistico e dei servizi connessi, oltre a 47 nuove<br />
abitazioni. Il progetto prevede la realizzazione di un molo che, partendo dal<br />
territorio del promontorio della Guardiola, dovrebbe chiudere lo specchio<br />
d’acqua ad est dell’imboccatura del porto canale. Anche in questo caso, però, il<br />
nuovo porto, che in base ai dati del Documento Unico Programmatico Isole<br />
Minori dovrebbe ospitare una cinquantina di piccole imbarcazioni, non è<br />
contemplato dal Piano dei Porti e degli Approdi Turistici della Regione<br />
Toscana. Le previsioni non sembrano tenere conto né dell’altissimo pregio<br />
ambientale e paesaggistico dell’area del promontorio della Guardiola,<br />
interamente inserita nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, né della<br />
grande importanza dei reperti archeologici presenti nella zona, sottoposta a<br />
precisi vincoli da parte della Soprintendenza e della Capitaneria di Porto di<br />
Portoferraio. Il porto canale alla foce del Fosso del Gualdarone presenterebbe,<br />
dunque, costi altissimi se rapportati alla modesta funzione di ricovero di<br />
piccole imbarcazioni, anche perché nelle vicinanze sono presenti l’attrezzato<br />
porto rifugio di Marciana Marina, nel quale è prevista la prossima realizzazione<br />
di un approdo turistico per 350 barche, e un frequentato campo boe. Senza<br />
dimenticare che la presenza del porto canale e del molo della Guardiola<br />
comprometterebbero la balneazione, vietata nelle aree portuali e nelle<br />
immediate vicinanze, in tutta la zona orientale della spiaggia di Procchio.<br />
Anche in questo caso sarebbe dunque preferibile rinunciare al progetto e optare<br />
per soluzioni più leggere, individuando per esempio un’area per il rimessaggio<br />
delle imbarcazioni facilmente raggiungibile dalla spiaggia di Procchio.<br />
Come se non bastasse, ha ripreso insistentemente a circolare l’ipotesi,<br />
già bocciata in passato, di un porto turistico per oltre 600 barche a Marina di<br />
Campo, nel territorio del Comune di Campo nell’Elba. Di fatto il porto<br />
dovrebbe essere realizzato distruggendo l’intera costa di Galenzana, spese di<br />
una spiaggia selvaggia rimasta finora intatta, che non a caso <strong>Legambiente</strong> ha<br />
piazzato al terzo posto tra quelle più belle della nostra penisola. La Regione<br />
Toscana, in ogni caso, non ha incluso questa ipotesi nel Piano dei Porti e degli<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Approdi Turistici, e prevede solo un piccolo approdo turistico all’interno del<br />
porto già esistente.<br />
Il Dupim 2000-2006: un <strong>mare</strong> di porti nelle isole minori<br />
Si chiama Dupim, acronimo che sta per Documento Unico<br />
Programmatico Isole Minori, è stato redatto a cura dell’Ancim, l’Associazione<br />
Nazionale Comuni Isole Minori, ed è la lettura preferita di tutti coloro che<br />
sognano un <strong>mare</strong> pullulante di strutture portuali. Dalla lettura di questo<br />
documento si rileva, infatti, che quasi tutte le piccole isole del nostro paese<br />
dovrebbero essere dotate di almeno un approdo turistico.<br />
Nella prima prima parte di analisi del fenomeno, le considerazioni del<br />
Dupim sono del tutto condivisibili. E’ vero, cioè, che si assiste ad un<br />
progressivo spopolamento delle isole minori italiane e che per controbilanciare<br />
questa tendenza si devono opporre una serie di misure che puntino a<br />
valorizzare le risorse tipiche di queste aree, quali il turismo, l’agricoltura e la<br />
pesca. Le misure da intraprendere dovranno perciò favorire processi di<br />
“destagionalizzazione” dei flussi turistici, di qualificazione in questo senso<br />
degli operatori economici locali, di individuazione di interventi che aumentino<br />
la qualità dei servizi per i residenti, e di valorizzazione delle risorse locali.<br />
Le misure concrete individuate dal Dupim per mettere in atto questo<br />
progetto sembrano però contraddire clamorosamente le premesse iniziali. In<br />
primo luogo va sottolineato un deficit insito nel metodo che ha portato alla<br />
definizione del documento. L’Ancim, che pure è firmataria del documento in<br />
questione, si è limitata infatti a registrare le esigenze dei singoli Comuni, ma<br />
non ha provveduto a fare uno sforzo per inserire in un ambito più generale le<br />
richieste da essi avanzate. Le singole iniziative vanno approfondite una ad una<br />
e richiedono una valutazione più puntuale che il Ministero dell’Ambiente<br />
dovrebbe riservarsi di effettuare a cura di propri tecnici.<br />
In ogni caso balza agli occhi uno squilibrio evidente a favore degli<br />
approdi turistici. Uno squilibrio che suscita più di una perplessità perché se da<br />
un lato è opportuno mettere a punto misure di “destagionalizzazione”,<br />
dall’altro è evidente che infrastrutture come i porti turistici rappresentano un<br />
forte elemento di “stagionalizzazione” dei flussi del turismo, tanto più che non<br />
viene neppure presa in considerazione l’ipotesi di porti di transito. Nel<br />
complesso gli stanziamenti necessari per la realizzazione o l’ampliamento dei<br />
porti delle isole minori ammontano a più di mille miliardi, 600 per le strutture<br />
di tipo turistico e 400 per quelle commerciali e da pesca. Un vero e proprio<br />
inno alla cementificazione, che rappresenta il leit-motiv del documento curato<br />
dall’Ancim, condito da alcune stravaganze, come la realizzazione di un<br />
ippodromo a Sant’Antioco o il campo da gol da 27 buche a Campo nell’Elba.<br />
Brillano invece per l’esiguità dei fondi previsti a loro favore, l’attività di<br />
formazione (23 miliardi) e gli interventi sociali (56 miliardi, 40 dei quali per<br />
una struttura sanitaria alla Maddalena). Davvero un modo bizzarro di bloccare<br />
l’esodo dei residenti, tanto più che nel documento non è contenuto alcun<br />
riferimento a progetti per la realizzazione di marchi o per il varo di altri<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
strumenti di qualificazione dei prodotti e delle risorse delle isole minori<br />
italiane.<br />
Una politica volta a promuovere il turismo di qualità per avere successo<br />
deve creare prima di tutto gli strumenti per la qualificazione e la valorizzazione<br />
delle risorse locali, ma gli estensori del Dupim sembrano non essersene accorti.<br />
O forse si illudono che basterà qualche colata di cemento per trattenere gli<br />
abitanti sulle isole e attirare frotte di turisti.<br />
Dupim (Documento Unico Programmatico Isole Minori) 2000-2006<br />
Interventi per la portualita’ turistica<br />
Descrizione sintetica dei progetti<br />
Costo previsto<br />
ARCIPELAGO TOSCANO<br />
COMUNE DI CAMPO NELL’ELBA<br />
Porto di Marina di Campo: costruzione del molo di sottoflutto 3.500.000.000<br />
Realizzazione del Porto turistico (750 imbarcazioni ) 40.000.000.000<br />
COMUNE DI CAPRAIA<br />
Isola di Capraia: Sistemazione area portuale commerciale e realizzazione del porto turistico 8.500.000.000<br />
COMUNE DI ISOLA DEL GIGLIO<br />
Giglio Porto: ristrutturazioni porti e approdi turistici 10.500.000.000<br />
COMUNE DI MARCIANA<br />
Patresi: ripristino del molo e dello scalo di alaggio<br />
700.000.000<br />
S. Andrea, Chiessi: realizzazione dello scalo di alaggio<br />
Procchio: porto canale foce fosso Gualderone ( 50 barche )<br />
7.300.000.000<br />
Pomonte: porto canale alla foce del fosso di Pomonte<br />
COMUNE DI MARCIANA MARINA<br />
Approdo turistico di Marciana Marina ( 350 imbarcazioni ) 12.500.000.000<br />
COMUNE DI PORTO AZZURRO<br />
Approdo turistico di Porto Azzurro ( 400 imbarcazioni ) 8.000.000.000<br />
COMUNE DI PORTOFERRAIO<br />
Ristrutturazione della Rada di Portoferraio (600 imbarcazioni) 30.000.000.000<br />
Approdo turistico di Magazzini (150 imbarcazioni) 2.500.000.000<br />
Approdo turistico del Grigolo (150 imbarcazioni) 2.700.000.000<br />
COMUNE DI RIO MARINA<br />
Approdo turistico di Rio Marina (350 imbarcazioni) 4.500.000.000<br />
Approdo turistico di Cavo (350 imbarcazioni) 14.500.000.000<br />
ISOLE PARTENOPEE<br />
COMUNE DI ANACAPRI<br />
Strutture per la nautica da diporto 5.400.000.000<br />
COMUNE DI CAPRI<br />
Completamento del Porto turistico 13.500.000.000<br />
Porto turistico: Separazione funzioni commerciale e turistica 33.500.000.000<br />
COMUNE DI FORIO<br />
Completamento del porto turistico-peschereccio 11.900.000.000<br />
COMUNE DI ISCHIA<br />
Ischia Ponte: realizzazione del porto turistico 28.000.000.000<br />
80
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
COMUNE DI PROCIDA<br />
M. Chiaiolella: ampliamento del porto turistico 18.000.000.000<br />
M. Grande: completamento funzionale del porto turistico 7.000.000.000<br />
ISOLE SARDE<br />
COMUNE DI CALASETTA<br />
Completamento del porto turistico (500 imbarcazioni) 15.000.000.000<br />
COMUNE DI CARLOFORTE<br />
Sistemazione Darsena Nord e miglioramento Canale Saline 13.000.000.000<br />
COMUNE DI S.ANTIOCO<br />
Approdi turistici in località Calalunga e Maladroxia 60.000.000.000<br />
ISOLE SICILIANE<br />
COMUNE DI FAVIGNANA<br />
Marettimo e Levanzo: realizzazione porti turistico-commerciali 21.000.000.000<br />
COMUNE DI LENI<br />
Molo Lazzaro: Completamento struttura e infrastrutture nautico 5.000.000.000<br />
COMUNE DI LIPARI<br />
Marina Corta: ristrutturazione ampliamento struttura portuale 30.700.000.000<br />
Porto Pignattaro: ristrutt. e ampliamento struttura portuale 29.000.000.000<br />
Approdo di Ponticello: Opere di funzionalizzazione e arredo 1.500.000.000<br />
loc. Acquacalda: arredo strutture e realizzazione porto turistico 10.000.000.000<br />
Vulcano: arredo, funzionalizzazione e adeguamento approdi 12.000.000.000<br />
Scari, Ficogrande, Ginostra: arredo strutture; difesa della costa 15.000.000.000<br />
Filicudi –funzion. e arredo Filicudi Pecorini e di Filicudi Porto 10.000.000.000<br />
Alicudi –funzion. e arredo Alicudi Porto e difesa costiera 2.000.000.000<br />
Panarea – funzion. e arredo approdo S.Pietro e Iditella 12.000.000.000<br />
COMUNE DI MALFA<br />
Scalo Galera – Opere di miglioramento fruizione <strong>mare</strong> 4.530.000.000<br />
COMUNE DI PANTELLERIA<br />
Completamento porto turistico di Pantelleria 110.000.000.000<br />
COMUNE DI S. MARINA SALINA<br />
Lavori di completamento della Darsena 2.100.000.000<br />
COMUNE DI USTICA<br />
Realizzazione della diga foranea di Levante 9.827.000.000<br />
Realizzazione di uno scalo di alaggio 500.000.000<br />
TOTALE 625.657.000.000<br />
81
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
I 39 PORTI AI NASTRI DI PARTENZA<br />
Le strutture già approvate<br />
Località N. Posti barca<br />
Liguria<br />
Genova porto antico 280<br />
Toscana<br />
Scarlino 650<br />
Porto Azzurro 250<br />
Salivoli 450<br />
Porto Ercole 300<br />
Porto S. Stefano 330<br />
Talamone 600<br />
Castiglioncello 650<br />
Sardegna<br />
Castelsardo 300<br />
Santa Teresa di Gallura 400<br />
Porto Corallo 800<br />
Porto Scuso 387<br />
Palau (Ampliamento) 290<br />
S. Maria Navarrese 300<br />
Villa Simius 270<br />
Punta Aldia 385<br />
Portisco Raddoppio in costruzione 300<br />
Lazio<br />
S. Marinella 800<br />
Ostia 800<br />
Campania<br />
Castella<strong>mare</strong> di Stabia 1.300<br />
Ischia Porto 120<br />
Calabria<br />
Belvedere Marittimo 280<br />
Gizzera Lido 531<br />
Badolato 222<br />
Amantea 360<br />
Vibo Valentia Marina 450<br />
Puglia<br />
Melendugno 427<br />
Maruggio 300<br />
Polignano 440<br />
Vieste 600<br />
Bisceglie 420<br />
Molise<br />
82
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Campomarino<br />
Emilia-Romagna<br />
Misano Adriatico 280<br />
Rimini 800<br />
Ravenna<br />
Veneto-Friuli Venezia Giulia<br />
1.500<br />
Porto Levante 600<br />
Chioggia 250<br />
Monfalcone 370<br />
Trieste (Porto S. Rocco) 550<br />
Totale<br />
Fonte: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti<br />
18.342<br />
I 41 PORTI ANCORA SOTTO ESAME<br />
Le strutture che hanno le conferenze di servizio aperte<br />
Località Situazione N. Posti barca<br />
Bordighera<br />
Liguria<br />
Approvato progetto preliminare 400<br />
Ospitaletti Approvato progetto preliminare -<br />
Ventimiglia Approvato progetto preliminare 750<br />
Diano Marina Approvato progetto preliminare 500<br />
Varazze In discussione 843<br />
Spotorno e Noli La Regione ha convocato la conferenza<br />
Toscana<br />
-<br />
Monte Argentario Respinta<br />
Sardegna<br />
-<br />
Porto Rotindo Conclusa la prima conferenza servizi 40<br />
Sa Marinedda Conclusa la prima conferenza servizi -<br />
S. Teodoro In discussione<br />
Lazio<br />
-<br />
S. Marinella In discussione 132<br />
S. Severa In discussione -<br />
Anzio Respinta -<br />
Fiumicinio-Fiumara<br />
Grande<br />
Approvato progetto preliminare 1.500<br />
Passo Scuro In discussione -<br />
Fiumicino Porto Nord Respinta -<br />
Gaeta Darsena Conclusa con contenzioso con il<br />
320<br />
Montesecco<br />
Comune<br />
Ladispoli Contenzioso con il Comune 605<br />
S. Felice Circeo In discussione 218<br />
Civitavecchia Da stabilire 292<br />
83
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Tarquinia In discussione 600<br />
Ponza Respinta -<br />
Circeo Verbale<br />
Campania<br />
-<br />
Pozzuoli Contenzioso con il Comune 305<br />
Maiori Conferenza da svolgersi 70<br />
Casal Velino In discussione 250<br />
Casamicciola Ischia In discussione -<br />
Capri Respinta -<br />
Anacapri Respinta<br />
Calabria<br />
-<br />
Crotone In discussione -<br />
Paola In discussione<br />
Puglia<br />
650<br />
Pisticci In discussione 480<br />
Peschici In discussione 188<br />
Nardò Marina di Torre In discussione 737<br />
In.<br />
Policoro In discussione 180<br />
Taviano 4 anni per costruzione 98<br />
Barletta In discussione -<br />
Castrignano del Capo In discussione -<br />
San Nicandro Garganico In discussione<br />
Abruzzo<br />
-<br />
S. Vito Chientino Respinta -<br />
Vasto In attesa di variazione societaria<br />
Molise<br />
446<br />
Termoli In via di convocazione<br />
Emilia-Romagna<br />
280<br />
Cattolica Porto Canale In discussione 197<br />
Cattolica Squero In discussione<br />
Veneto-Friuli Venezia Giulia<br />
67<br />
Comune di Muggià lo. In discussione 210<br />
S. Bartolomeo<br />
Totale 10.790<br />
Fonte: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti<br />
84
8. L’erosione della costa<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Un metro di spiaggia in meno ogni anno. E’ questo il ritmo implacabile<br />
con cui procede l’erosione di gran parte dei circa 7.500 chilometri di coste<br />
della nostra penisola. Un fenomeno che assume ormai dimensioni<br />
drammatiche, determinato da un utilizzo delle aree costiere da parte dell’uomo<br />
spesso eccessivo e traumatico. La destabilizzazione dell’ambiente costiero è il<br />
frutto bacato di diversi fattori, a partire dall’intensa antropizzazione a fini<br />
turistici e industriali, e dall’impoverimento dell’apporto di materiale solido dei<br />
fiumi al <strong>mare</strong>, determinato dalla massiccia estrazione di materiale dagli alvei e<br />
dagli interventi di regimazione dei corsi d’acqua, che in molti casi si sono<br />
rivelati inutili o dannosi.<br />
Normalmente, infatti, l’azione continua delle onde sulla riva viene<br />
bilanciata dalla formazione di nuove spiagge e banchi di sabbia, a seguito dei<br />
sedimenti trasportati dai fiumi e quindi deposti dal <strong>mare</strong> sulla costa, oppure<br />
dall’interazione di onde e vento con gli ambienti dunali e rocciosi. Questo<br />
processo naturale di reintegrazione viene però notevolmente ostacolato dalle<br />
attività umane. Quando si costruisce una diga lungo un fiume, per esempio, i<br />
sedimenti un tempo trasportati fino al <strong>mare</strong> vengono trattenuti nel bacino<br />
artificiale. Sul banco degli imputati, dunque, la cementificazione dissennata del<br />
territorio che in molti tratti ha interrotto, o ridotto in misura drastica, il<br />
processo naturale di ripascimento delle spiagge. L’attacco alle coste procede<br />
simultaneamente dalla terra ferma e dal <strong>mare</strong>: all’effetto delle infrastrutture<br />
realizzate sui fiumi e delle escavazioni condotte nei loro letti, infatti, si somma<br />
l’impatto di porti e porticcioli protesi sull’acqua, che modificando il gioco delle<br />
correnti marine hanno privato delle loro spiagge zone tradizionalmente ricche<br />
di sabbia. Fanno eccezione alcuni tratti in ripascimento, il più delle volte a<br />
scapito di altri tratti di litorale, come conseguenza della realizzazione di opere<br />
artificiali che hanno modificato la dinamica dei sedimenti.<br />
Questa vera e propria aggressione ai danni dei litorali italiani si traduce<br />
in una costante riduzione delle aree umide della costa e delle dune sabbiose.<br />
Così dei circa 700mila ettari di paludi costiere esistenti in Italia all’inizio del<br />
XX secolo, nel 1972 ne restavano 192mila e nel 1994 meno di 100mila. Stesso<br />
discorso sul fronte dei sistemi dunari, la cui perdita è stata altissima in tutti gli<br />
Stati che si affacciano sul Mediterraneo, Italia in testa: quattro quinti delle dune<br />
della penisola, infatti, nel periodo compreso tra il 1900 e il 1990 sono state<br />
perdute. L’erosione delle coste interessa tutte le regioni bagnate dal <strong>mare</strong>, ma<br />
la situazione risulta essere particolarmente grave in Calabria e Campania, dove<br />
la maggioranza della fascia costiera è caratterizzata da un rischio molto<br />
elevato. Arenili che in passato godevano di notevoli spazi in profondità per<br />
stabilimenti balneari e file di ombrelloni, infatti, a distanza di pochi decenni<br />
sono ridotti a strette lingue di sabbia.<br />
Di fronte a questo quadro a tinte fosche, le istituzioni, come troppo<br />
spesso accade, invece di svolgere il ruolo di vigilanza di loro competenza, in<br />
85
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
molti casi hanno finito per avallare facili speculazioni, contribuendo alla<br />
distruzione di un patrimonio naturale di valore inestimabile. Nonostante la<br />
gravità della situazione, si continua così ad assistere alla realizzazione di<br />
interventi di regimazione idraulica in piena contraddizione con le indicazioni<br />
prodotte dalle stesse amministrazioni pubbliche.<br />
Oppure si è intervenuti in modi quantomeno proditori con ripascimenti<br />
dei litorali del tutto sbagliati , quando non gravemente dannosi per l’ambiente.<br />
Nell’ultimo anno sono da segnalare due casi davvero eclatanti: quello della<br />
spiaggia del Poetto a Cagliari e quello dell’Isola di Ischia.<br />
Nel caso del Poetto la situazione ha raggiunto vertici tragicomici, tanto<br />
che i cagliaritani hanno visto la loro spiaggia più famosa mutare colore nel giro<br />
di pochi giorni. La sabbia bianchissima, appare adesso agli occhi increduli dei<br />
visitatori nera, o grigio topo, secondo l’opinione dei più ottimisti. La causa del<br />
cambiamento, temporaneo secondo alcuni – l’amministrazione provinciale –<br />
definitivo secondo altri – gli ambientalisti e larga parte della popolazione – è il<br />
ripascimento commissionato dalla Provincia. La spiaggia del Poetto soffriva di<br />
progressiva riduzione della mole sabbiosa, fatto che ha saggiamente motivato<br />
l’intervento, meno saggio dice qualcuno, della Provincia: è stato messo in atto<br />
un piano di ripascimento della spiaggia servendosi di sabbia dragata a largo.<br />
Ma ecco la sorpresa: scaricata al Poetto, questa sabbia è risultata di un colore<br />
(grigio topo, appunto) e di una composizione notevolmente diversi da quelli ai<br />
quali i cagliaritani e i turisti erano affezionati.<br />
Quello che può sembrare un colorito fatto di cronaca locale è invece<br />
un’imbarazzante esempio di quell’improvvisazione che tanto male fa al nostro<br />
territorio. Lo sversamento sull’arenile delle sabbie (dragate con autorizzazione<br />
del Ministero dell’Ambiente nel Golfo degli Angeli ad una profondità di 45<br />
metri), per il quale non risulta presentato alcuno studio di valutazione di<br />
impatto ambientale, è cominciato l’8 marzo scorso ed è proseguito per tutto il<br />
mese depositando sull’arenile 370.000 mc di sabbia nera. Né l’evidenza che si<br />
tratta di trattava di sabbie più scure e più grossolane rispetto a quelle<br />
preesistenti, né le proteste e le preoccupazioni della cittadinanza sono servite a<br />
bloccare quest’opera che ha trasformato il litorale cagliaritano.<br />
Episodio analogo, se non addirittura più grave, quello accaduto alla<br />
Baia dei Maronti nell’isola di Ischia, dove intere praterie di posidonia oceanica<br />
sono stati distrutte da ripascimenti sbagliati del litorale.<br />
86
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Per dovere di cronaca, riportiamo di seguito due relazioni tecniche sui<br />
due episodi che illustrano chiaramente quanto accaduto.<br />
8.1 Relazione sullo stato ambientale della prateria di Posidonia<br />
oceanica della Baia dei Maronti Isola di Ischia a seguito degli<br />
interventi di ripascimento del litorale.<br />
a cura di Maria Cristina Gambi, Maria Cristina Buia (Stazione zoologica<br />
“Anton Dohrn” Laboratorio di ecologia del benthos, Ischia)<br />
Riportiamo una sintesi della relazione tecnico-scientifica che è stata di<br />
recente trasmessa al Ministero dell’Ambiente, alla Regione Campania, al<br />
Circo<strong>mare</strong> di Ischia e ai sindaci di tutti i comuni delle isole flegree, sullo stato<br />
ambientale di una prateria di Posidonia oceanica di fronte al litorale dei<br />
Maronti (isola d’Ischia), fortemente danneggiata a seguito degli interventi di<br />
ripascimento del litorale della spiaggia omonima. La Stazione Zoologica "A.<br />
Dohrn" di Napoli, ed in particolare lo staff del Laboratorio di Ecologia del<br />
Benthos di Ischia, è da anni impegnato in un monitoraggio continuo<br />
dell'ambiente costiero delle isole flegree (Ischia, Procida e Vivara), ed in<br />
particolare dei sistemi a fanerogame marine, tra le quali Posidonia oceanica che<br />
è ampiamente distribuita in quest'area.<br />
A seguito di opere di lavoro a <strong>mare</strong>, collegate con il prelievo di sabbia<br />
per il ripascimento della spiaggia dei Maronti, sono stati da noi registrati alcuni<br />
profondi cambiamenti nella distribuzione e struttura delle formazioni a<br />
Posidonia presenti lungo questo tratto di costa, e riteniamo doveroso<br />
denunciare l'accaduto al Ministero dell'Ambiente e ad altri soggetti istituzionali<br />
interessati, al fine anche di aggiornare la situazione rispetto al recente Rapporto<br />
di Attività da noi prodotto aùl Ministe dell’Ambiente stesso relativo allo studio<br />
pilota per l’istituzione dell’Area Marina Protetta del “Regno di Nettuno” (isole<br />
di Ischia, Procida e Vivara) (Data Report, 2001).<br />
Ricordiamo che l'ecosistema a Posidonia oceanica è soggetto a<br />
specifiche misure di salvaguardia, protezione e studio ai sensi della normativa<br />
sulle "Disposizioni in campo ambientale" della 426/98, più recentemente<br />
riprese dalla legge n.93/2001.<br />
Con la presente relazione vorremmo focalizzare l'attenzione sullo<br />
scempio ambientale verificatosi nella Baia dei Maronti a carico soprattutto di<br />
una formazione a Posidonia oceanica, rilevata da noi, nell'ambito dello studio<br />
pilota sopra menzionato e di recente mappata nell’ambito di uno studio del<br />
Geo<strong>mare</strong> Sud (Istituto di Gelogia marina del CNR, Napoli) finanziato dalla<br />
Regione Campania (Data Report, 2000; Marsella et al., 2001).<br />
Questa formazione a Posidonia non era infatti riportata in una<br />
mappatura precedente della zona (Colantoni et al., 1982). L’area di fronte ai<br />
Maronti è una zona molto esposta al moto ondoso e con una notevole<br />
dinamicità nel trasposto sedimentario litoraneo (De Pippo et al., 2000), queste<br />
87
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
caratteristiche dinamiche limitano la presenza di Posidonia oceanica ad una<br />
stretta cintura distribuita solo nel versante più orientale della Baia dei Maronti,<br />
grosso modo delimitato a terra tra Cava Olmitello e le Fumarole,<br />
probabilmente favorita dal ridosso offerto dal promontorio di S. Angelo e dalla<br />
geomorfologia del fondo, che presenta una ampia piattaforma a debole<br />
pendenza.<br />
Le osservazioni dirette in immersione effettuate durante lo studio pilota<br />
hanno mostrato una prateria ed un habitat particolarmente interessanti sia per<br />
quanto riguarda i popolamenti animali associati che in relazione alle<br />
caratteristiche geomorfologiche del fondale.<br />
La prateria di Posidonia oceanica si distribuiva tra 18 e 24-25 m circa di<br />
profondità, ed era insediata su matte avente limite inferiore eroso e netto posto<br />
a circa 24 m di profondità. In alcune zone era osservabile l’esposizione di una<br />
matte alta anche oltre 2 m, in altre la medesima è degradante verso la sabbia.<br />
Sulla sabbia erano presenti macchie limitate di Posidonia oceanica con i rizomi<br />
sepolti da evidenti ripple-marks dovuti all’elevato idrodinamismo della zona.<br />
Il limite superiore della prateria era posto a circa 18 m di profondità e<br />
pur rimanendo molto netto presentava uno spessore della matte inferiore<br />
(alcune decine di cm).<br />
Tra i popolamenti avevamo segnalato numerosi individui di Pinna<br />
nobilis (grosso bivalve protetto), anche di grandi dimensioni, presenti nelle<br />
numerose radure inframezzate alla prateria. La fauna sessile dei rizomi era<br />
particolarmente abbondante e varia (poriferi, briozoi e tunicati). Dalla<br />
mappatura disponibile in Marsella et al. (2001) si rilevava la presenzza di una<br />
discontinuità a circa metà dello sviluppo di questa formazione. Le misure di<br />
densità dei fasci, condotte tra 19 e 23 m di profondità hanno fornito un dato<br />
medio di 221 fasci/m 2 ed una copertura del fondale tra 60 e 80% (Dappiano et<br />
al., in stampa).<br />
Il 26 marzo <strong>2002</strong> iniziavano i lavori di ripascimento dell’arenile dei<br />
Maronti, condotti tramite il pompaggio sulla spiaggia di sedimento prelevato<br />
sui fondali prospicienti la costa dalla Nave-draga "Antogoon", specializzata per<br />
questo tipo di operazioni.<br />
Durante la tarda mattinata del 26 marzo la presenza di ingenti ammassi<br />
di foglie di Posidonia galleggianti nel tratto di <strong>mare</strong> a levante del porticciolo di<br />
Sant’Angelo, dove stava lavorando la Nave-draga, destava l’allarme di<br />
operatori locali della pesca e della subacquea sportiva. In seguito alle<br />
segnalazioni ricevute e all’interessamento della Capitaneria di Porto di Ischia,<br />
il personale del Laboratorio di Ecologia del Benthos effettuava nella mattinata<br />
del 27 c.m. ispezioni del materiale spiaggiato sia sulla spiaggetta interna al<br />
porto di Sant’Angelo che lungo il litorale dei Maronti.<br />
La situazione risultava essere la seguente:<br />
- lungo buona parte della spiaggetta di Sant’Angelo erano depositati<br />
ammassi di foglie singole e fasci fogliari di Posidonia evidentemente rimossi il<br />
giorno precedente, dato l’aspetto verde e vitale dei lembi foliari e l’assenza di<br />
segni di necrosi avanzata a carico delle basi delle foglie adulte;<br />
88
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
- verso l’estremità occidentale della stessa spiaggetta dominavano i<br />
residui di rizomi e radici di Posidonia, strappate evidentemente dallo strato<br />
superficiale del substrato;<br />
-nello specchio d’acqua interno al porticciolo galleggiava un numero<br />
notevole di foglie verdi di Posidonia;<br />
- lungo un buon tratto del litorale dei Maronti (perlomeno di quello<br />
accessibile all’atto dell’ispezione, visto che era in corso il pompaggio del<br />
sedimento) era rilevabile una fascia più o meno continua di rizomi di<br />
Posidonia, in prevalenza privi del ciuffo fogliare ma comunque ancora vitali.<br />
Dal quadro descritto, risultava evidente che:<br />
1) l’impatto sulle formazioni di Posidonia oceanica era stato cospicuo;<br />
2) il danno era da attribuirsi alle operazioni di dragaggio svoltesi il giorno<br />
precedente; ciò anche per successiva ammissione del direttore dei lavori<br />
all’atto dell’esame del materiale spiaggiato;<br />
3) l’azione della draga aveva provocato una frammentazione delle piante,<br />
per cui gli organi epigei (le foglie) erano stati in larga misura separati<br />
dai rizomi in un qualche momento delle operazioni di dragaggio;<br />
4) considerata l’estensione dell’area di intervento della nave-draga, il sito<br />
che aveva subito l’impatto era quello localizzato di fronte alla spiaggia<br />
dei Maronti.<br />
Da una riunione tenutasi nel primo pomeriggio presso il Circolare di<br />
Ischia con il Comandante Tomas e la direzione dei lavori (Ing. L.<br />
Carbucicchio) si veniva a conoscenza che le operazioni si svolgevano in alcuni<br />
poligoni predefiniti in base ad uno studio di progetto, indicati come “cave” e<br />
dislocati in alcune zone, tra cui la cava A sita in prossimità della formazione a<br />
Posidonia. Raggiunta la ragionevole certezza, da accordi con il Circo<strong>mare</strong> e la<br />
direzione dei lavori, che le operazioni sulla cava A, sospese già dalla mattinata<br />
del 27, non sarebbero state più riprese e si sarebbe attinta la sabbia dalle altre<br />
“cave” site in zone prive di formazioni a Posidonia, si rimandava a data da<br />
destinarsi l’ispezione in situ; ciò anche in previsione delle condizioni operative<br />
che sarebbero state verosimilmente difficili per i subacquei fin quando fossero<br />
proseguiti i lavori di ripascimento e le acque fortemente intorbidite non fossero<br />
tornate limpide, permettendo una ricognizione ed una documentazione ottimale<br />
dell'accaduto. Era difatti ovvio che il danno maggiore, di qualsiasi entità esso<br />
fosse, era già stato prodotto.<br />
In data 7 e 15 maggio <strong>2002</strong> il personale del Laboratorio di Ecologia del<br />
Benthos effettuava ispezioni in immersione in varie porzioni di prateria in<br />
vicinanza alla zona operativa della nave "Antigoon" del 267 marzo. Le<br />
ispezioni subacquee sono state effettuate da Lorenti Maurizio, Dappiano<br />
Marco, Gambi Maria Cristina, Iacono Bruno e Raffaele Di Martino, con il<br />
supporto di videocamera digitale e macchina fotografica subacquee. L'area<br />
ispezionata si estende lungo la costa per tutto lo sviluppo della prateria stessa e<br />
in una fascia batimetrica variabile tra 18 e 27 m. L'osservazione del fondale nel<br />
tratto in cui la formazione a Posidonia era più esteso, nella parte grosso modo<br />
di fronte a Olmitello, ha messo immediatamente in evidenza la sostanziale<br />
89
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
alterazione della morfologia del fondo sia per quanto riguarda batimetria e<br />
topografia, che per gli habitat bentonici presenti. Il dato più drammatico era la<br />
sostanziale scomparsa delle formazioni a Posidonia oceanica (e di tutte le<br />
comunità animali e vegetali ad esse associate) nelle ampie aree e nella zona a<br />
copertura continua prima colonizzate dalla pianta. Il fondale era invece<br />
caratterizzato da ampi solchi profondi da 2 a 5-6 m, a seconda del numero di<br />
passaggi dello strumento di aspirazione, tutti orientati in direzione est-ovest.<br />
Lungo i versanti di questi avvallamenti affiorava nella porzione superiore<br />
"matte" di Posidonia che in alcuni punti raggiungeva 3-4 m di spessore seguita<br />
da uno strato di sabbia ben classata ed infine, nella parte inferiore non<br />
interessata dalla ricaduta di sabbia e detrito di Posidonia, fango e pelite più o<br />
meno compattati su cui erano evidenti i segni dell'intervento meccanico degli<br />
attrezzi di prelievo della sabbia. Nel fondo degli avvallamenti era presente<br />
sabbia, verosimilmente da apporto limitrofo, e cospicua quantità di fasci<br />
eradicati e zolle di matte scalzata di Posidonia di varia grandezza. Intervallati a<br />
tali avvallamenti erano presenti elevazioni del fondale in forma di dune o<br />
costoni di sabbia alla sommità dei quali emergevano residui di matte morta o di<br />
limitate formazioni residuali vive di prateria. Verosimilmente tali formazioni<br />
rappresentano residui di prateria a volte ricoperti dai sedimenti risospesi<br />
durante lo scavo e rideposti nelle vicinanze. Alcune di queste formazioni<br />
assumevano l'aspetto di pinnacoli e lenti di matte erosa delimitate dalle<br />
alterazioni indotte dallo scavo. Molti dei fasci vivi residui, rimasti in posto,<br />
presentavano, inoltre, foglie eziolate (prive del pigmento naturale verde) e<br />
andamento prostrato che faceva supporre l'intervento di un qualche<br />
meccanismo di copertura e scopertura alternata della prateria da parte del<br />
sedimento mobilizzato. Risultava impossibile effettuare qualsiasi misura di<br />
densità dei fasci e copertura del fondale da parte della prateria, che fosse<br />
rapportabile ad una situazione a noi nota, anche in siti sottoposti a forte<br />
degrado, o alla situazione rilevata nelle osservazioni precedenti.<br />
Per quanto riguarda il popolamento associato alla prateria, si notava la<br />
totale assenza di qualsiasi facies riconoscibile, associata anche ai pochi fasci<br />
superstiti, la cospicua presenza sul fondo, frammista alla sabbia, di resti di<br />
organismi associati, quali ascidie (Halocynthia), gorgonacei (Eunicella<br />
cavolinii) e molluschi (Venus, Callista, Pecten). La fauna ittica risultava<br />
assente sia sul fondo che lungo la colonna d'acqua, e appariva incongrua ai fini<br />
della pesca la presenza di filari di nasse osservata lungo il transetto da noi<br />
effettuato.<br />
La porzione di prateria localizzata verso l’estremità occidentale della<br />
Baia, grosso modo all’altezza delle Fumarole appariva invece meno<br />
danneggiata rispetto a quella più orientale prima descritta. La prateria di<br />
Posidonia, quantomeno al di sopra della batimetrica dei 20 metri manteneva<br />
una sua fisionomia sia in termini di copertura che di densità dei fasci foliari.<br />
Tuttavia, i segni di un forte impatto meccanico erano molto evidenti,<br />
specialmente verso la parte più profonda osservata (21-22 m).<br />
90
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Infine, per completare la documentazione e a conferma di quanto<br />
osservato, abbiamo riportato sulla carta batimetrica 1:3000 prodotta dal<br />
Geo<strong>mare</strong>sud per lo studio della regione, il poligono di lavoro (definito come<br />
area di cava A) in cui la nave-draga "Antigoon" era autorizzata al prelievo di<br />
materiale, ed in cui ha operato nella giornata del 26 marzo, riportando le esatte<br />
coordinate che la direzione dei lavori aveva dato al Circo<strong>mare</strong> di Ischia. Come<br />
si evince dalla cartina, larga parte del poligono rientra al di sotto della<br />
batimetrica dei 25 m e coincide con la distribuzione delle formazioni a<br />
Posidonia oceanica e con il danno alle medesime da noi documentato e che<br />
possiamo sti<strong>mare</strong> nell'ordine di circa 3,6 ettari di prateria alterata o distrutta in<br />
varia misura. Riteniamo quindi che la definizione "a monte" del poligono di<br />
prelievo e la sua approvazione nell'ambito della valutazione del progetto, non<br />
abbiamo tenuto conto della possibile presenza di P. oceanica nella zona.<br />
Riteniamo che la non attenta conoscenza, integrazione e considerazione<br />
reciproca dei risultati ottenuti durante i diversi studi effettuati in questa zona<br />
(studio del Geo<strong>mare</strong>sud per la Regione Campania, studio della Stazione<br />
Zoologica per il Ministero Ambiente, studio del progetto per il ripascimento),<br />
unita allo sfalsamento temporale nella consegna e valutazione dei diversi studi,<br />
ed alla procedura "di emergenza" che ha seguito la pratica di ripascimento (la<br />
quale non ha previsto uno studio di impatto ambientale), abbiamo giocato un<br />
ruolo determinate nella dinamica di quanto si è verificato.<br />
I diversi soggetti che hanno valutato ed approvato lo studio relativo<br />
all'intervento di ripascimento, da quanto ci risulta presentato in Aprile 2000,<br />
ma approvato a Settembre 2001, tra i quali anche il Ministero dell'Ambiente<br />
stesso, avrebbero dovuto valutare che gli studi e le conoscenze su quest'area<br />
erano in alcuni casi ancora in corso (es. quello relativo al Parco Marino "Regno<br />
di Nettuno"), e avrebbero dovuto tenere in maggiore considerazione gli<br />
inevitabili aggiornamenti ed integrazioni, soprattutto quelli relativi alla<br />
componente biotica dei fondali, che da tali indagini sarebbero derivati.<br />
In conclusione, non ci resta che constatare l'alterazione morfobatimetrica<br />
del fondale e la sostanziale, rapida e drastica rimozione di questa<br />
formazione a Posidonia nella zona che corrispondeva alla porzione più<br />
cospicua di quella che era la prateria nella Baia dei Maronti; ed una sensibile<br />
riduzione della copertura nella zona più occidentale, dove il danno massivo ha<br />
riguardato solo la porzione al di sotto dei 20 m.<br />
Nella zona più impattata, non ci sembra realistico che i pochi residui di<br />
matte vitale rimasti (stimati al di sotto del 5% della formazione originale),<br />
siano in grado di innescare una ricolonizzazione, dati i lenti ritmi di crescita di<br />
questa pianta e la notevole dinamica dell'area, in cui la formazione prima<br />
presente aveva trovato un delicato equilibrio che ne permetteva la persistenza.<br />
Testimone di ciò è la notevole estensione verticale della matte (4-5 m) prima<br />
dell'impatto verificatosi.<br />
Non da ultimo, a parte il danno provocato alla pianta ed alle comunità<br />
associate, non va dimenticato il potenziale danno ambientale indotto dalla<br />
scomparsa di una struttura, prateria-matte (che in questa area raggiungevano<br />
91
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
sviluppo notevole), che notoriamente ha una funzione di attenuazione del moto<br />
ondoso, e stabilizzazione del fondale e della linea di riva. A tale proposito<br />
ricordiamo che alcuni studi (Boudouresque e Meinesz, 1982; Jeudy de Grissac,<br />
1984) hanno stimato che la perdita di un solo metro di matte di Posidonia<br />
provoca un arretramento di circa 10 m di arenile antistante, possiamo ipotizzare<br />
che quello che rimane della prateria davanti a buona parte della spiaggia dei<br />
Maronti, non sarà in grado di contrastare come prima l'erosione del litorale in<br />
modo naturale. Considerando che ai Maronti un solo m 2 di arenile produce un<br />
indotto di ca 400 Euro in una stagione, l'arretramento provocato dalla<br />
distruzione della prateria antistante, avrà sicuramente ripercussioni economiche<br />
evidenti.<br />
Ci auguriamo che la documentazione sopra riportata, oltre e denunciare<br />
e documentare un grave danno ambientale, possa essere utile ad evitare futuri<br />
errori di valutazione sui rischi ecologici che interventi di ripascimento, o<br />
comunque di pesante intervento sul litorale, e che possono avere comunque<br />
conseguenze a medio-lungo termine per gli habitat marini costieri. In tal senso<br />
auspichiamo per il futuro la necessità che vengano effettuati studi di impatto<br />
ambientale, come peraltro in genere prevede la legge anche nel caso dei<br />
ripascimenti.<br />
In tale contesto, il nostro Laboratorio, che da oltre 25 anni studia e<br />
effettua monitoraggi sui sistemi biotici costieri del nostro territorio, è a<br />
disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento e supporto tecnico-scientifico<br />
finalizzato ad una migliore conoscenza e gestione futura dei litorali e fondali<br />
delle isole flegree.<br />
8.2 Il ripascimento della Spiaggia del Poetto: un risultato<br />
“certo” e molti interrogativi<br />
A cura della Prof.ssa Ing. Teresa Crespellani - Università di Firenze<br />
Prescindendo dagli aspetti estetici, di impatto ambientale e di<br />
accettabilità sociale dell’intervento di ripascimento della Spiaggia del Poetto,<br />
può essere utile soffermarsi su alcuni risvolti ingegneristici del problema, che,<br />
benchè non servano a ripristinare l’incanto della magica spiaggia, dovrebbero<br />
renderci più avvertiti in futuro, in modo da evitare il ripetersi di altri episodi di<br />
violenza ambientale (peraltro già preannunciati) sulle spiagge della Sardegna.<br />
Premetto che da più di vent’anni non sono più residente a Cagliari e che<br />
le mie considerazioni e i tanti interrogativi scientifici che l’intervento mi pone<br />
nascono da due elementi: l’osservazione diretta in sito e la lettura di un<br />
opuscolo informativo, a cura della Provincia, dal titolo “Il Poetto, una spiaggia,<br />
una storia”, diffuso il giorno della processione di S. Efisio o per tal via<br />
pervenutomi.<br />
La progettazione degli interventi di difesa dei litorali è, in campo<br />
mondiale, un settore molto specialistico, che, anche se si avvale di conoscenze<br />
92
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
scientifiche che ricadono in altri settori disciplinari (sedimentologia,<br />
geomorfologia, difesa del suolo, ingegneria geotecnica, ecc.) è di esclusiva<br />
competenza dell’ingegneria idraulica marittima.<br />
Per il numero di fattori che governano l’equilibrio dei litorali, per la<br />
complessità dei fenomeni idrodinamici e per l’”ignoranza” associata ad una<br />
loro previsione, il principio “Cautela” è alla base della progettazione<br />
ingegneristica delle opere di difesa, che deve perciò basarsi sui risultati di<br />
modelli analitici e numerici, di modelli fisici in piccola e grande scala in<br />
laboratorio, di sperimentazioni in scala reale in “campi prova” opportunamente<br />
attrezzati con strumenti di monitoraggio idraulico e geotecnico. Oltre al<br />
confronto tecnico-economico e di efficienza di diverse soluzioni alternative,<br />
già in fase di progetto si deve prevedere una “gradualità” nella realizzazione,<br />
l’esecuzione di controlli di efficacia in corso d’opera, la disposizione di<br />
un’adeguata strumentazione per il controllo dell’intervento in opportune<br />
finestre temporali. Occorre perfino prevedere la possibilità di modifica e/o di<br />
interruzione dell’intervento nel caso in cui gli effetti osservati si discostino da<br />
quelli ipotizzati nella progettazione.<br />
Nei testi ingegneristici di idraulica marittima e di difesa dei litorali,<br />
sono spesso riportati e descritti in dettaglio, per l’alto valore didattico implicito<br />
in un modello negativo, numerosi casi in cui gli interventi di difesa hanno<br />
prodotto effetti contrari a quelli desiderati.<br />
Il ripascimento della spiaggia del Poetto potrebbe rientrare utilmente tra<br />
tali esempi negativi per almeno queste ragioni:<br />
- sproporzione dell’intervento<br />
- carenza di progettazione ingegneristica<br />
- mancanza di gradualità nell’esecuzione<br />
- assenza di misure di “sperimentazione” preventiva e di controllo<br />
ingegneristico.<br />
L’opuscolo citato porta molti argomenti “oggettivi” a sostegno di tale<br />
ipotesi.<br />
Il semplice buon senso che avrebbe suggerito un intervento più<br />
misurato se in 60 anni la linea di costa è arretrata di 25 metri (valore massimo)<br />
il tratto di riempimento dell’intervento avrebbe dovuto, al massimo,<br />
raggiungere questo valore. Perché è stato superato tale limite? Questa è la<br />
prima domanda, che, almeno nell’opuscolo, non trova risposta scientifica.<br />
Ammesso che ci siano delle ragioni per un intervento “smisurato” (ma<br />
quali? Un fenomeno di subsidenza accelerato? Un movimento eustatico<br />
anomalo? Urgenza di terreno edificabile come in Giappone?), che sarebbe stato<br />
bene esporre in un libretto informativo (dato che si tratta, oltretutto, di un<br />
intervento di protezione civile), c’è un’altra domanda. Perché l’alimentazione<br />
della spiaggia con il materiale di riempimento è stata effettuata in un’unica<br />
soluzione, in tempi ridottissimi (15 giorni) e non è stata distribuita nel tempo?<br />
La gradualità è strenuamente raccomandata da tutti i testi specialistici come<br />
elemento indispensabile per il controllo obiettivi – risultati.<br />
93
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Anche negli stessi esempi citati a modello da uno degli estensori<br />
dell’opuscolo, il prof. Leopoldo Franco, consulente alla progettazione e<br />
direzione lavori, il ripascimento è stato effettuato in modo graduale. Si dice ad<br />
esempio che la spiaggia di Miami “viene periodicamente ripasciuta”. Perché<br />
allora tanta urgenza?<br />
La soluzione adottata viene poi presentata come l’unico intervento<br />
“moderno” possibile. Non solo non è ingegneristicamente corretto dire, come<br />
dice il prof. Atzeni, che la sola alternativa siano le barriere rigide longitudinali<br />
e trasversali emerse, quali pennelli e frangiflutti (esiste oggi una grande<br />
quantità di soluzioni ingegneristiche non tradizionali, più rispettose e<br />
naturalistiche, che utilizzano elementi “soffolti”, sommersi e invisibili, capaci<br />
di mantenere in sito il materiale di erosione e di ridurre in misura apprezzabile<br />
il potere erosivo del flutto sottocosta), ma l’affermazione del prof. Franco (ma<br />
ribadita nel concetto anche dai proff. Orrù e Atzeni) che al Poetto è stata scelta<br />
una soluzione “senza alcun’opera di ingegneria, quindi un puro di versamento<br />
di materiale” è di una gravità senza precedenti. E’ comico invece che poco<br />
oltre il prof. Franco dica che questo riempimento è stato fatto con metodi<br />
moderni (“rifluimento idraulico con draga”, cioè non con secchielli e palette) e<br />
– visto che nessuna operazione di cantiere sarebbe più semplice – si affermi<br />
che è stato fatto con “professionalità nel rispetto delle indicazioni di progetto”<br />
(sic!).<br />
Quanto al progetto in che cosa possa consistere non è chiaro. Secondo<br />
la procedura di VIA avrebbe dovuto essere esposto per la raccolta delle<br />
osservazioni dai cittadini. Vivendo fuori dalla Sardegna non so se tale<br />
procedura sia stata eseguita e ci sia stato un controllo pubblico del progetto. Ma<br />
in ogni caso, l’osservazione diretta in situ conferma che si è realmente trattato<br />
di un “puro versamento di materiale”, alla rinfusa e senza selezione, e che la<br />
superficie è stata spianata orizzontalmente come per la realizzazione di una<br />
pista di atterraggio.<br />
Un progetto di ripascimento “ingegneristicamente corretto” avrebbe<br />
invece dovuto comprendere, oltre allo studio della distribuzione nel tempo del<br />
ripascimento, almeno altri due elementi:<br />
1) una disposizione per strati, con rinterri selezionati del materiale<br />
di riempimento;<br />
2) uno studio delle pendenze, sia della superficie di spiaggia sia<br />
degli altri strati.<br />
Si tratta di elementi che non possono essere lasciati al caso o alla natura<br />
(spesso matrigna) perché solo attraverso un’appropriata selezione e<br />
distribuzione spaziale dei materiali di ripascimento e l’assegnazione di idonee<br />
pendenze è possibile realizzare una libera circolazione di flutti, una riduzione<br />
dell’erosione negli strati superficiali, un’omogeneità dell’intervento nella sua<br />
estensione (evitando lo sfrangimento del profilo costiero per piccoli crolli<br />
locali da sifonamento) e soprattutto l’attivazione di processi naturali controllati.<br />
Per una disposizione stratigrafica selettiva dei materiali e<br />
l’assegnazione di pendenze idonee esistono oggi procedure di calcolo<br />
94
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
scientificamente sperimentate, che vengono generalmente associate (soprattutto<br />
laddove gli interventi hanno un’estensione elevata) a una sperimentazione<br />
diretta su modello (in laboratorio e/o in scala reale su piccoli tratti di costa),<br />
Nell’opuscolo si insiste invece sui controlli fatti sulla dimensione dei grani, ma<br />
il problema non è effettuare analisi granulometriche in quantità (come pare sia<br />
stato fatto), bensì l’uso “ingegneristico” che se ne fa.<br />
Quanto poi al monitoraggio del ripascimento gli interrogativi sono<br />
ancora maggiori. Come viene controllata l’efficacia del ripascimento? Quali<br />
sono gli strumenti? Il sospetto che sia lasciato al solo rilevamento aereo e<br />
topografico, e non siano stati installati strumenti idraulici e geotecnici è grande.<br />
Nell’opuscolo informativo non se ne parla; sul posto non si nota la presenza di<br />
strumenti (generalmente protetti da ripari visibili).<br />
Per concludere, la realizzazione di interventi di difesa dei litorali<br />
richiede, come tutti gli interventi ingegneristici sul territorio, conoscenza,<br />
sperimentazione, modellazione, calcoli, ricerca di soluzioni alternative, cautela.<br />
Nel caso specifico. Il libretto informativo, non solo non tranquillizza gli animi,<br />
ma suscita molti interrogativi, per non dire inquietudini<br />
8.3 L’erosione in Italia, regione per regione<br />
Abruzzo<br />
I tratti di costa abruzzese minacciati dal rischio di erosione più elevato<br />
sono quelli all’altezza del settore centrale e delle foci dei fiumi. Il litorale è<br />
costituito da brevi tratti di costa alta, ubicati nella parte più meridionale, e da<br />
un centinaio di chilometri di spiagge, in molti casi letteralmente assediate da<br />
insediamenti turistici, centri urbani, vie di comunicazione di interesse<br />
nazionale, e impianti industriali, realizzati a ridosso della battigia. Per questa<br />
ragione, il 25 per cento del litorale è a rischio molto elevato e un altro quarto a<br />
rischio elevato.<br />
Basilicata<br />
Gli insediamenti turistici, realizzati sfruttando tutto lo spazio<br />
disponibile, rappresentano il fattore più grave all’origine dell’erosione del<br />
tratto tirrenico del litorale della Basilicata. Il 92 per cento della costa situata su<br />
questo versante risulta così essere a rischio elevato. Si tratta, in ogni caso, di<br />
una piccola porzione di territorio. La costa tirrenica della regione, estesa per 17<br />
chilometri, si compone infatti soprattutto di coste alte, mentre le spiagge<br />
occupano solo due settori, a nord e a sud, per circa quattro chilometri.<br />
Radicalmente diversa la situazione del settore ionico, costituito quasi<br />
esclusivamente da spiagge (36 chilometri su 38), alimentate dai numerosi<br />
fiumi che scorrono lungo la “Fossa bradanica”. I tratti a rischio elevato e molto<br />
elevato sono pari a circa 24 chilometri, con un’erosione che provoca un<br />
arretramento della linea di riva di oltre cinque metri all’anno. Tale fenomeno è<br />
dovuto all’impoverimento degli apporti solidi per i pesanti interventi antropici<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
sui bacini fluviali e all’asporto di sedimenti che dalle spiagge, attraverso<br />
canyon sottomarini, raggiungono fondali molto profondi.<br />
Calabria<br />
Il litorale della Calabria che si affaccia sul <strong>mare</strong> Tirreno si estende per<br />
246 chilometri, 188 dei quali di costa bassa, ed è in condizioni piuttosto<br />
precarie. Il 64 per cento delle spiagge, infatti, è a rischio molto elevato di<br />
erosione per la realizzazione, a breve distanza dalla battigia, di strutture<br />
connesse ad insediamenti urbani. Lungo il versante ionico, costituito da 56<br />
chilometri di costa alta e da 384 di spiagge, il fenomeno erosivo risulta essere<br />
meno diffuso e più recente: i tratti a rischio molto elevato, pari al 44 per cento<br />
dei litorali sabbiosi, sono concentrati nella zona più meridionale, dove le<br />
spiagge sono fortemente irrigidite dagli insediamenti urbani e dalle vie di<br />
comunicazione, mentre nella zona settentrionale la situazione è più tranquilla.<br />
In questa area, caratterizzata da una scarsa diffusione di insediamenti urbani, il<br />
30 per cento delle spiagge è, infatti a rischio basso.<br />
Emilia Romagna<br />
La riduzione del trasporto solido fluviale e dei fenomeni di subsidenza<br />
si sono sommati lungo il litorale romagnolo agli effetti provocati da<br />
manomissioni profonde dell’assetto naturale della costa. Ben 77 chilometri dei<br />
130 di litorale sono difesi da opere di vario tipo, e la Regione ha stanziato di<br />
recente quasi 20 miliardi per finanziare il piano di interventi elaborato dalle<br />
province di Ferrara e Ravenna allo scopo di combattere l’arretramento delle<br />
spiagge, che in alcuni punti procede ad un ritmo preoccupante. Il 13 per cento<br />
dei litorali è considerato a rischio molto elevato e i tratti che suscitano più<br />
timori sono quelli in corrispondenza delle Valli di Comacchio, fra i fiumi Savio<br />
e Rubicone e a nord del fiume Conca. Nel complesso, sono 32 i chilometri di<br />
costa interessati dall’arretramento, ma d’altro canto altri 98 chilometri sono<br />
stabili o, addirittura, in accrescimento. All’erosione contribuisce anche<br />
l’estrazione del gas al largo dell’Adriatico, che interessa diversi punti davanti<br />
alle coste romagnole.<br />
Friuli Venezia Giulia<br />
Il rischio erosione in Friuli Venezia Giulia riguarda principalmente la<br />
fascia costiera che si estende dai litorali lagunari al lembo più occidentale della<br />
regione. Lungo tutto il litorale della regione, costituito da una quindicina di<br />
chilometri a costa alta, nel settore orientale, e da 90 chilometri di costa bassa e<br />
sabbiosa, non sono comunque presenti tratti a rischio molto elevato. La<br />
modesta intensità di rischio, che a est delle lagune di Marano e Grado è<br />
addirittura nullo o basso, è dovuta al fatto che i due maggiori centri urbanoportuali,<br />
vale a dire Trieste-Muggia e Monfalcone, sono protetti rispetto alle<br />
<strong>mare</strong>ggiate più violente, mentre i centri turistici possono contare sull’ampiezza<br />
della spiaggia, è il caso di Lignano, o su opere quali frangiflutti e dighe, come<br />
avviene a Grado. I lidi delle lagune, inoltre, sono pressoché disabitati e<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
comunque dissipativi nei confronti dell’energia del moto ondoso grazie alla<br />
presenza di estesi banchi sabbiosi sui fondali antistanti.<br />
Lazio<br />
Nel Lazio i fenomeni erosivi e l’arretramento degli arenili si presentano<br />
con caratteristiche generalizzate su tutto il litorale, anche se con forme e<br />
connotati diversificati. Si tratta di una situazione che, oltre a compromettere<br />
grandi valori ambientali, mette a rischio porzioni rilevanti dell’economia<br />
costiera, che nel turismo balneare ha uno dei suoi punti di forza, e talvolta pone<br />
dei problemi anche per la salvaguardia delle infrastrutture e degli abitati.<br />
L’estensione del litorale è di circa 290 chilometri, suddivisi in 70 chilometri di<br />
coste rocciose e in 220 di spiagge. Per quanto riguarda quest’ultime, il 18 per<br />
cento è minacciato da un rischio molto elevato e il 42 per cento da un rischio<br />
elevato. Tra i tratti più esposti, i settori costieri a cavallo della foce del Tevere:<br />
nel tratto Fregene-Fiumicino l’erosione interessa il 76 per cento della costa, e<br />
tra Fiumicino e Ostia questa percentuale sale all’87 per cento. Punte<br />
significative si registrano anche tra Nettuno e Sabaudia, e tra San Felice Circeo<br />
e Sperlonga. Il fenomeno erosivo e l’arretramento dell’ arenile si manifesta<br />
anche su tutta la costa del Comune di Ladispoli. Particolarmente critica è la<br />
situazione che riguarda il tratto antistante Torre Flavia, sottoposta alla<br />
salvaguardia dei Beni Culturali, dove i problemi derivanti dal fenomeno di<br />
erosione della costa hanno raggiunto un livello tale che richiede interventi<br />
urgenti per contenere il fenomeno. Le cause di questa situazione e del suo<br />
progressivo aggravamento in tutto il litorale laziale spaziano dalle opere che<br />
determinano erosioni localizzate, strutture e moli portuali prima di tutto, alla<br />
edificazione incontrollata di ampie zone costiere. La causa decisiva, tuttavia,<br />
va individuata nella drastica diminuzione degli apporti solidi fluviali, quelli del<br />
Tevere in testa, dovuta alle escavazioni in alveo, alle dighe, e agli stessi<br />
interventi di controllo dei fenomeni erosivi dell’entroterra. Il deficit di<br />
ripascimento, nel complesso dello sviluppo costiero laziale, oscilla così tra un<br />
minimo di 600mila metri cubi all’anno ed un massimo di oltre un milione di<br />
metri cubi.<br />
Liguria<br />
In Liguria su un totale di 211 chilometri di spiagge, sono 32 quelli a<br />
rischio molto elevato, concentrati in misura prevalente a sud-ovest di Capo<br />
Noli e lungo le spiagge del settore appenninico (Lavagna e Marinella).<br />
L’alternanza di scogliere e piccole spiagge comporta una grande ricchezza e<br />
varietà sia paesaggistica che naturalistica. Purtroppo, però, questo patrimonio è<br />
stato pesantemente influenzato e modificato dall’attività umana, tanto che oggi<br />
alcuni problemi risultano strettamente legati alla presenza di infrastrutture e<br />
alle modifiche ambientali del passato: molte delle spiagge liguri, infatti, sono<br />
soggette ad erosione a causa della modifica della linea di costa, della<br />
diminuzione degli apporti solidi causata dallo stravolgimento degli alvei<br />
fluviali, della artificialità delle spiagge stesse, talvolta costruite per scopi<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
turistici. L’instabilità delle falesie richiede continuamente nuovi interventi a<br />
causa delle opere, viarie e insediative, da cui sono state colonizzate. I fenomeni<br />
erosivi sono dunque direttamente legati ai processi di intensa urbanizzazione<br />
che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, tanto più che oggi oltre l’80 per<br />
cento della popolazione vive in permanenza in prossimità del litorale. Lungo le<br />
scogliere della regione sono stati rilevati numerosi fenomeni di instabilità, il<br />
più delle volte generati dall’azione erosiva del moto ondoso. Una delle vicende<br />
più note è quella del crollo quasi totale della Grotta di Byron, che costituisce il<br />
logico riferimento di tutti gli aspetti culturali e turistici del Comune di<br />
Portovenere.<br />
Marche<br />
Nonostante la presenza di opere di difesa di vario tipo, in particolare<br />
quelle realizzate per proteggere la Strada Statale 16 e la linea ferroviaria, la<br />
situazione lungo il litorale marchigiano continua a destare preoccupazione.Con<br />
la sola esclusione dei promontori di Gabicce e Ancona, la fascia litoranea,<br />
ampia 200 metri a ridosso delle spiagge, presenta infatti un tasso di<br />
urbanizzazione media pari a circa il 45 per cento. I 145 chilometri di spiagge<br />
della regione presentano dunque alcune situazioni dove il rischio di erosione è<br />
molto elevato. E’ il caso, per esempio, delle zone a nord delle foci dei fiumi<br />
Tronto, Potenza, Esino e Cesano e, nel complesso, l’intensità più grave del<br />
fenomeno interessa il 14 per cento delle coste basse.<br />
Sardegna<br />
L’assenza di insediamenti e di vie di comunicazione lungo la costa ha<br />
reso quasi immune al fenomeno erosivo il versante occidentale della Sardegna.<br />
Le spiagge nell’isola coprono solo 457 dei quasi duemila chilometri di costa, e<br />
quelli a rischio molto elevato sono solo sette sulla costa orientale e nove sulla<br />
costa meridionale, mentre le spiagge del versante occidentale, malgrado siano<br />
battute spesso dal maestrale, restano quasi immuni dai processi erosivi per<br />
l’assenza d’insediamenti e di vie di comunicazioni lungo la costa.<br />
Sicilia<br />
Il litorale siciliano si estende per un totale di 998 chilometri, isole<br />
escluse, ed è caratterizzato dall’alternanza di coste alte, pari a 375 chilometri, e<br />
di spiagge sia sabbiose che ciottolose, che raggiungono i 621 chilometri di<br />
lunghezza. Lungo la costa settentrionale i tratti a rischio molto elevato si<br />
estendono per 73 chilometri e sono localizzati soprattutto nel settore centrale e<br />
in quello orientale. Sul versante a est e a sud dell’isola, invece, i chilometri a<br />
rischio molto elevato sono rispettivamente 32 e 29.<br />
Toscana<br />
Dei 190 chilometri di spiagge della Toscana, circa la metà è soggetta a<br />
erosione. I tratti in cui il rischio è molto elevato sono pari al 17 per cento e si<br />
concentrano soprattutto sulle ali deltizie dei fiumi Arno e Ombrone, e in<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
corrispondenza delle foci dei fiumi minori. Un caso esemplare è quello<br />
rappresentato dalla spiaggia dell’Uccellina a Marina di Alberese, nel Parco<br />
Regionale della Maremma, dove il <strong>mare</strong> sta erodendo la costa penetrando nella<br />
pineta: in questo stesso punto, dove i gli alberi cadono sotto l’azione delle<br />
onde, fino a pochi decenni fa c’erano alcune centinaia di metri di terreno in più.<br />
Nel bacino superiore dell’Ombrone si continua infatti ad intervenire negli alvei<br />
e a sottrarre materiale inerte. Materiale che viene dunque sottratto a questa<br />
stessa spiaggia.<br />
Veneto<br />
Le spiagge del litorale veneto, caratterizzato dalla totale assenza di<br />
coste alte, si estendono per circa 160 chilometri, 12 dei quali a rischio di<br />
erosione molto elevato: due chilometri immediatamente a sud della foce del<br />
Tagliamento e 10 chilometri in prossimità del lido di Pellestrina, all’estremità<br />
meridionale della Laguna Veneta. Nel primo tratto le <strong>mare</strong>ggiate hanno<br />
destabilizzato l’area protetta del delta, che continua a subire l’aggressione<br />
marina. Il litorale di Pellestrina mostra invece segni di cedimento dei murazzi<br />
dal 1966. Il recente intervento di ripascimento artificiale della spiaggia<br />
potrebbe abbassare il livello del rischio, ma molto dipenderà dall’efficacia<br />
dell’opera successiva di manutenzione. Da alcuni anni si sta inoltre verificando<br />
e intensificando il processo di erosione di tutti gli scanni del Delta del Po.<br />
Prima era un fenomeno che si localizzava in qualche parte, in relazione alla<br />
mobilità delle terre nuove (gli scanni), che sono in continua evoluzione per il<br />
gioco di correnti e di carichi di materiali portati dal fiume. Ora il processo è<br />
visibile a occhio nudo e vede, da un anno all’altro, la sparizione di pezzi<br />
rilevanti di spiaggia. Lo scorso anno il faro di Goro era lontano dal <strong>mare</strong> 15-20<br />
metri. Alla fine dell’estate sono stati installati i tubi che Regione, Magistrato<br />
del Po e Consorzi di Bonifica (ente operativo) ritengono la tecnologia<br />
risolutiva da più di 20 anni. Risultato: dopo due mesi sabbia non se ne era<br />
accumulata, i tubi erano o sommersi o strappati, e il faro oggi ha il <strong>mare</strong> che gli<br />
batte sul muro di cinta. In 10 anni circa sono spariti 50-100 metri di spiaggia.<br />
Sempre a sud c’è il caso dello scanno di fronte alla sacca di Goro: in<br />
espansione in passato, perché la sabbia sottratta a nord si accumulava a sud, da<br />
due-tre anni subisce anch’esso una forte erosione. Risalendo a nord, è<br />
semidistrutto lo scanno di fronte alla Sacca di Scardovari, alla foce del Po delle<br />
Tolle. I tubi messi 20 anni fa sono stati un vero e proprio fallimento<br />
tecnologico e finanziario. Per di più, con una decisione assurda, lo scanno è<br />
stato tagliato per aumentare l’ossigenazione della sacca che pure gode di<br />
un’entrata dieci volte più larga. L’ossigenazione, invece, non è aumentata, le<br />
<strong>mare</strong>ggiate si sono mangiate più sabbia e lo scanno si è ridotto. D’altro canto,<br />
la Sacca non riesce ad alimentare le colture di mitili perché non riceve più<br />
sabbia dal fiume e il fondo si copre di strati sempre più spessi di materiale<br />
organico che aumenta l’anossia delle acque. Gli scanni intorno alle Bocche di<br />
Pila erano fino a poco tempo fa i più riforniti di sabbia, oggi non lo sono più.<br />
La velocizzazione del fiume, in seguito alle rettifiche del suo corso, spinge<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
infatti i materiali più a largo e li sottrae così alla costa. A nord la spiaggia di<br />
Boccasette è sparita per i due terzi in due anni, ovvero qualcosa come venti<br />
metri circa di sabbia. L’erosione alle bocche dell’Adige è in atto da molti anni<br />
e divora ormai la base delle dune, una volta retrostanti la spiaggia. Destino o<br />
sottrazione fraudolenta di milioni di metri cubi di ghiaia e sabbia dal bacino del<br />
Po? Un altro caso particolare e molto dibattuto è quello relativo alla laguna di<br />
Venezia, dove si registra un aumento progressivo delle acque alte, dovuto<br />
all’innalzamento del livello del <strong>mare</strong>, pari a 8,8-10,5 centimetri nel corso del<br />
XX secolo, e al fenomeno della subsidenza, nella misura di 9,5-13 centimetri,<br />
indotta soprattutto dalla grande estrazione di acqua dal sottosuolo per le<br />
industrie di Marghera, sospesa dopo l’alluvione del 1966. Ogni intervento in<br />
un’area vasta rischia di provocare un’ulteriore subsidenza che rischia di<br />
comportare l’allagamento permanente di piazza San Marco. Ulteriori<br />
conseguenze sarebbero rappresentate dall’indebolimento delle “difese a <strong>mare</strong>”<br />
e dall’innesco di processi di erosione della costa più consistenti, oltre al<br />
dissesto delle fondazioni degli edifici di Venezia e Chioggia, e allo<br />
sconvolgimento del sistema delle valli da pesca. Alla luce di queste<br />
considerazioni, risulta dunque necessario valutare l’impatto dell’estrazione di<br />
gas sull’assetto di questa area. Da quasi 50 anni, infatti, l’Eni ha acquisito<br />
l’esclusiva di ricerca ed estrazione di idrocarburi in Alto Adriatico, ed ha<br />
previsto l’installazione di 15 piattaforme di produzione insieme alla<br />
perforazione di 79 pozzi produttori di metano. Le preoccupazioni per il destino<br />
della costa comportarono nel 1995 l’obbligo dello studio di impatto<br />
ambientale, che l’Agip presentò l’anno seguente. Lo studio è stato però<br />
bocciato da un gruppo di lavoro nominato dal Comune di Venezia, perché i<br />
parametri scelti non tenevano nel debito conto gli effetti di subsidenza lungo le<br />
coste. Il lavoro di una commissione di esperti e l’esame della commissione Via<br />
hanno portato al decreto del 5 dicembre 1999, che vieta l’attività di<br />
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro 12 miglia nautiche dalla linea<br />
di costa, pari a circa 22 chilometri. Il provvedimento legislativo non prende<br />
però in considerazione la concatenazione di eventi che un inizio di estrazione<br />
metterebbe in moto: non solo quelli evidenti e misurabili di abbassamento del<br />
suolo, ma anche gli “effetti imbuto” che si ripercuoterebbero sugli equilibri<br />
costieri anche in tempi più lontani. D’altro canto, il modello ingeneristico<br />
adottato dall’Agip è troppo semplificato. Tace, perché non può certificarlo,<br />
sulle dimensioni del cono di subsidenza, ma soprattutto non tiene conto che gli<br />
effetti continuerebbero anche dopo la sospensione delle estrazioni. Questo<br />
perché la scelta compiuta dall’Agip è quella di estrarre acqua metanifera in<br />
strati di sabbia pliocenica non consolidata, che inevitabilmente finirà per<br />
comportare un effetto di compattazione, conseguente all’estrazione di acqua e<br />
non di metano secco. Infine, nessun cenno alla mappa del Cnr di Trieste del<br />
1987, che prova la presenza di discontinuità tettoniche che dalla pianura veneta<br />
si prolungano in laguna e nel golfo di Venezia. Queste faglie, tra l’altro,<br />
attraversano i giacimenti, dove si rilevano pure epicentri di sismi avvenuti nella<br />
zona dell’Alto Adriatico. Il “gioco” non sembra valere la candela. La posta<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
energetica in palio, infatti, ammonta secondo l’Agip a 30 miliardi di metri cubi<br />
da estrarre in 25 anni, con investimenti di 1.200 miliardi. L’apporto di questa<br />
attività, frazionata in un quarto di secolo, non sembra compensare il prezzo<br />
ambientale, economico e sociale che la comunità nazionale sarebbe costretta a<br />
pagare. E’ senza dubbio preferibile, dunque, dirottare le stesse risorse verso<br />
investimenti di risparmio energetico e di potenziamento delle fonti di energia<br />
rinnovabili.<br />
REGIONE TOTALE KM DI<br />
COSTA<br />
COSTA A RISCHIO<br />
MOLTO ELEVATO<br />
Abruzzo 125 25%<br />
Basilicata 53 57%<br />
Calabria 690 67%<br />
Campania 350* 58%<br />
Emilia Romagna 130 13%<br />
Friuli Venezia Giulia 100 4,2%<br />
Lazio 290 18%<br />
Liguria 355 15%<br />
Marche 145 16%<br />
Sardegna 1.900 1,5%<br />
Sicilia 996* 12%<br />
Toscana 470 17%<br />
Veneto 160 7,5%<br />
Totale 5764 -<br />
* isole escluse<br />
Fonte: dati tratti da uno studio di Leandro D’Alessandro, del dipartimento di<br />
Scienze della Terra dell’Università di Chieti, e di Giovanni Battista La Monica, del<br />
dipartimento di Scienze della Terra dell’Università “La Sapienza” di Roma.<br />
8.4 Un caso esemplare: la Campania<br />
Spiagge risucchiate dal <strong>mare</strong>, costruzioni di cemento armato piegate<br />
dalle onde, alberghi come palafitte. Sono 95 i chilometri di costa campana a<br />
rischio di erosione molto elevato. Dei 350 chilometri di litorale della regione<br />
(escluse le isole) 170 sono di costa alta e 162 di spiagge, cui vanno sommati<br />
altri 16 chilometri coperti da banchine e strutture portuali. Una accentuata<br />
spinta all’urbanizzazione, la costante tendenza alla violazione delle leggi e<br />
all’abusivismo edilizio, la preferenza per la infrastrutturazione trasportistica in<br />
aree costiere, se non addirittura sulla linea di costa, dai porti all’uso<br />
sconsiderato del territorio. Dalla fine degli anni ’50 ad oggi, la fascia costiera<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
campana è stata utilizzata come un bene inesauribile ed indistruttibile su cui<br />
fosse possibile gravare con un numero illimitato di opere, senza curarsi delle<br />
conseguenze, invece di amministrarlo come un bene prezioso che doveva<br />
durare nel tempo per permettere una migliore resa economica. Spesso i<br />
successivi interventi, con la costruzione delle più svariate opere di difesa, sono<br />
stati spesso del tipo “ tampone” sotto la spinta dell’urgenza. Opere realizzate in<br />
tempi diversi, in aree limitate, che hanno rimandato la soluzione del problema<br />
senza risolverlo. Le strutture portuali a difesa della costa (Pineta<strong>mare</strong>,<br />
Casalvelino, Policastro, Ischia, foce del Volturno, Monte di Procida) e gli<br />
interventi realizzati lungo le aste fluviali (Traversa di Ponte Annibale sul<br />
Volturno, Traversa di Persano sul Sele, diga del fiume Alento) hanno<br />
contribuito negli ultimi anni a modificare gli equilibri naturali creando locali<br />
vantaggi e diffusi scompensi ai litorali. L'emergenza riguarda in particolar<br />
modo la costa salernitana, il litorale domizio flegreo e l'isola di Ischia e<br />
Procida. Secondo uno studio della Provincia di Salerno, i salernitani ogni anno<br />
perdono circa un metro di spiaggia all'anno. A rischio il litorale sabbioso, che<br />
va da Salerno a sud, con maggiori problemi verso Eboli, dove in alcuni punti il<br />
<strong>mare</strong> lambisce la strada provinciale costiera mentre nel Cilento, dove i ritmi di<br />
erosione, superano sicuramente di gran lunga i valori di un metro all'anno. Nel<br />
tratto salernitano compreso tra piazza della Concordia fino alla foce del fiume<br />
Fuorni, negli ultimi 25 anni, si è assistito ad un arretramento generalizzato con<br />
punte massime di 15 metri. Qui sotto accusa il consistente prelievo di "inerti".<br />
Nella zona di Mercatello, sistemando una scogliera davanti all’omonimo lido<br />
nel ’90, si è determinato un tombolo sabbioso che ha accentuato l’erosione<br />
nelle zone adiacenti. Andando verso la litoranea, caso emblematico ai confini<br />
del comune di Pontecagnano dove il <strong>mare</strong> lambisce addirittura la strada<br />
provinciale che va verso Paestum. Meno grave il problema nella costiera<br />
amalfitana, dove nelle insenatura in cui sono presenti le spiagge, il fenomeno<br />
esiste ma in misura minore anche perché i torrenti a monte non riforniscono più<br />
come un tempo le spiagge stesse. Significativi arretramenti si registrano nel<br />
tratto Casalvelino - Ascea, alla foce del fiume Mingardo, a Palinuro, e da capo<br />
San Marco al promontorio del castello di Agropoli, dove in quest'ultimo tratto<br />
vi è pericolo di crolli di prismi rocciosi. Risultato di tutto ciò, danno<br />
all'ambiente, distruzione del territorio, perdite ingenti dal punto di vista<br />
occupazionale e di indotto economico. Secondo una proiezione della<br />
Confcommercio di Salerno si stima, che nel caso di interventi migliorativi solo<br />
sulle spiagge cittadine, si potrebbe avere un aumento occupazionale del 114%.<br />
Basti pensare che sono circa 600 le aziende balneari che operano lungo la costa<br />
salernitana. Oltre al danno ecologico, molte imprese rischiano di chiudere. In<br />
base ai dati dell'Università degli Studi di Napoli e dell'Autorità di Bacino del<br />
Liri-Garigliano e Volturno risulta che ogni anno dalle spiagge alla foce del<br />
fiume Volturno spariscono circa 200.000 mc di materiale. Negli ultimi 30 anni<br />
questa zona ha perso 6 milioni di mc di spiaggia, con arretramenti di varie<br />
centinaia di metri ed una sostanziale modifica morfologica della linea di costa.<br />
Ad alto impatto ambientale le opere di difesa messe in atto che riducono di<br />
102
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
molto l'appetibilità turistica della zona e i cui effetti sono visibilmente<br />
discutibili. Le radicali modificazioni di questa fascia costiera risalgono a<br />
partire dagli anni'70. In particolare alla destra della Foce del Volturno, in<br />
un'area pari a 3 milioni di mq, vengono realizzati circa 5.000 piccoli fabbricati.<br />
Le modificazioni sono dovute oltre all'intensa urbanizzazione anche alla<br />
realizzazione di opere portuali e di difesa costiera. Il litorale di Pineta<strong>mare</strong>, a<br />
sud della foce del Volturno, mostra una costante progradazione. Con la<br />
realizzazione nel 1974, del porto turistico di Pineta Mare, i materiali sabbiosi<br />
trasportati dalla zona di foce Volturno verso sud-est vengono intercettati dal<br />
molo foraneo del porticciolo causando nel volgere di tre anni un ripascimento<br />
di oltre 30 metri. Nello stesso periodo le spiagge sottoflutto entrano in erosione<br />
con una perdita di arenile nell’ordine di 20.000 mq. Allo scopo di difendere la<br />
linea di riva dall’azione erosiva innescata dalla costruzione del porto sono stati<br />
realizzati dei pennelli trasversali, i cui risultati di queste realizzazioni sono<br />
diventati visibili nel 1989 con un sostanziale arrestarsi del processo erosivo e<br />
con un incremento della superficie totale del litorale di circa 12.000 mq.<br />
Interessate dal fenomeno la piana del Sele e le foci dei fiumi Alento, Mingardo<br />
e Bussento. In queste aree la riduzione delle superfici a spiaggia è avvenuta a<br />
partire dalla fine degli anni '70 con un'accelerazione repentina del fenomeno<br />
negli anni '90. Gli arretramenti complessivi sono stati anche di 80 metri, come<br />
si è verificato alla foce del fiume Alento e, in particolare nel corso degli ultimi<br />
cinque anni, sono state registrate riduzioni dell'ordine dei sei metri per anno. Il<br />
disastro dell' erosione delle coste non è un processo naturale: è un danno<br />
provocato dalla cattiva gestione del territorio. Un primo attacco viene da terra<br />
con la cementificazione dei fiumi, il prelievo sfrenato ed illegale di sabbia e<br />
ghiaia che determina lo sconvolgimento di un percorso dell'acqua naturale. Ma,<br />
non basta. In <strong>mare</strong> è stato creato un secondo ordine di problemi. Il dilagare di<br />
porti e porticcioli, di colate di cemento, di costruzioni pretese sull'acqua ha<br />
modificato anche il gioco delle correnti marine facendo sì che zone ricche di<br />
sabbia si trovassero all'improvviso senza più spiaggia. Una delle aree più<br />
pregiate della nostra regione viene lentamente ma inesorabilmente limata. In<br />
questo modo si ha non solo una ovvia diminuzione dell'offerta turistica nella<br />
zona colpita, ma più in generale danno d'immagine per una Regione che si<br />
dimostra incapace di difendere uno dei suoi tesori più preziosi. Non secondario<br />
l'effetto dell'urbanizzazione selvaggia della fascia costiera con la realizzazione<br />
di mega- villaggi turistici, spesso costruiti in deroga a qualsiasi licenza edilizia,<br />
della subsidenza accelerata dei suoli, dell'errata progettazione di opere<br />
marittime e di porti, porticcioli, lingue di cemento che hanno modificato il<br />
gioco delle correnti marine facendo si che zone ricche di sabbia si trovassero<br />
all'improvviso senza più spiaggia. Di fronte ad una situazione di queste<br />
proporzioni, si avverte l’esigenza di provvedimenti drastici in grado di invertire<br />
la tendenza in atto. Servono misure capaci di intervenire sui vari fronti del<br />
problema, ovvero il dissesto idrogeologico, l’avanzata del <strong>mare</strong>, le frane e il<br />
danno paesaggistico. Un imponente piano di difesa del territorio da cui<br />
potrebbe derivare anche un consistente rilancio dal punto di vista<br />
103
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
occupazionale. Il danno per tutta la Campania oltre che ambientale è anche<br />
economico: nel caso delle località più rinomate, infatti, è stato calcolato che le<br />
perdite derivanti dall’abbruttimento del paesaggio possono raggiungere i due<br />
milioni di lire per metro quadrato. Moltiplicando questa cifra per le centinaia di<br />
migliaia di metri quadrati di superfici erose in tutta la regione, l’impatto del<br />
fenomeno emerge nella sua interezza, quantificabile nell’ordine di decine di<br />
miliardi. Critica anche la situazione dell'Isola di Ischia e di Procida dove i<br />
fenomeni di erosione stanno mettendo a dura prova l'economia turistica locale.<br />
In prossimità di queste aree si sono verificate riduzioni cospicue delle<br />
superficie a spiaggia. A Procida la conseguenza più evidente è stato lo<br />
smantellamento e la continua demolizione della scarpata costituita da depositi<br />
vulcanici degradabili. Pertanto l’isola è afflitta da continui crolli di roccia che<br />
mettono in pericolo sia la vita dei bagnanti che i manufatti attigui.<br />
Emblematica può essere considerata anche l’attuale situazione dell’Isola<br />
d’Ischia. Il fenomeno d’arretramento coinvolge tutto il litorale: a seguito della<br />
scomparsa di intere spiagge è aumentato il rischio legato alle frane di crollo nei<br />
versanti a falesia, che ora risultano essere assolutamente indifesi dall’azione<br />
erosiva del moto ondoso. Ad Ischia particolarmente a rischio è la località Punta<br />
Molino, ad est di Ischia Porto, dove una marcata erosione ha provocato<br />
l’asportazione della sabbia e l’affioramento di massi che hanno reso difficile la<br />
fruizione della spiaggia e l’ormai famoso caso della spiaggia dei Maronti (una<br />
lingua di sabbia lunga 2 km) al centro degli studi da circa 25 anni e dove il lido<br />
in questione è per metà scomparso. Il danno economico derivante dalla<br />
diminuzione della superficie delle spiagge va dai 3 € a mq per semplici<br />
concessioni demaniali a danni economici indiretti dovuti all'imbruttimento del<br />
paesaggio delle località più rinomate come quelle di Ischia, dove il valore della<br />
perdita economica può raggiungere i 1.000 € a mq. Dunque, perdite<br />
notevolissime, dell'ordine delle decine-centinaia di miliardi se si considera che<br />
per la sola costa cilentana sono circa 500.000 mq le superfici erose.<br />
104
9. La pesca “miracolosa”<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Vongole alla diossina, datteri illegali, specie catturate sottotaglia,<br />
metodi di pesca devastanti per l’ambiente costiero. Sono queste alcune delle<br />
tante facce che animano l’immenso e variegato panorama del mondo della<br />
pesca nel nostro Paese. Un panorama che vede agire fianco a fianco, piccoli<br />
operatori che lavorano ancora con metodi artigianali, a professionisti armati di<br />
sofisticatissimi attrezzi, a veri e propri malviventi che devastano e fanno man<br />
massa di ogni risorsa. Il tutto, in barba alla salute dei consumatori, del lavoro<br />
degli onesti e soprattutto del <strong>mare</strong>.<br />
Se si amplia poi il discorso alla gestione complessiva della risorsa <strong>mare</strong><br />
non resta che constatare che le misure del nostro Governo a proposito di pesca<br />
sono poche e contraddittorie. Le ultime trovate del Ministero delle Politiche<br />
Agricole poi sono tutte all’insegna del liberismo sfrenato e rischiano di<br />
scatenare una guerra fra marinerie. Qualche esempio può servire a chiarire la<br />
situazione. In Adriatico dopo anni di regolamentazione della pesca dei piccoli<br />
pelagici che costringeva le marinerie del sud a rispettare le regole che si erano<br />
date in quelle della zona, ora, grazie all’introduzione di nuove normative<br />
ognuno è più o meno libero di pescare dove, quando e quanto gli pare. Una<br />
norma che smantella quei timidi tentativi di gestione dell’attività di pesca da<br />
parte delle marinerie attuati negli anni passati, i soli strumenti in grado di<br />
legare le marinerie al proprio territorio di pesca obbligandole, di conseguenza,<br />
a definire politiche di gestione delle risorse. Oppure il caso della pesca con il<br />
cianciolo, una vera e propria strage “legalizzata” dal nostro Governo di cui si<br />
parla più diffusamente in un capitolo dedicato. O ancora, la nuova proposta di<br />
fermo biologico di pesca per il triennio <strong>2002</strong>-2004, che di “biologico” ha assai<br />
poco, dal momento che per la prima volta da quando esiste questo<br />
provvedimento, si lascia la facoltà alle singole imprese di effettuare il fermo<br />
come e quando si crede e non in relazione al ciclo riproduttivo delle specie<br />
pescate. Anche in questo si potrebbe tristemente titolare l’iniziativa in “come<br />
smantellare l’unica misura vigente di tutela delle risorse biologiche del <strong>mare</strong>”.<br />
9.1 La pesca di frodo<br />
Ancora una volta è la Sicilia la “prima della classe” nella pesca illegale<br />
in Italia con ben 1.707 infrazioni accertate (erano state 1.039 nel 2000). In<br />
seconda posizione si conferma la Puglia (1.127 reati), mentre Campania e<br />
Marche si scambiano la posizione dello scorso anno, piazzandosi nel 2001<br />
rispettivamente terza e quarta. Da evidenziare il numero dei sequestri operati in<br />
Sardegna, ben 1.656. Chiudono la classifica, come nel 2000, Molise, Friuli<br />
Venezia Giulia e Basilicata.<br />
105
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
LA CLASSIFICA DELLA PESCA DI FRODO NEL 2001<br />
Regione Infrazioni Persone denunciate Sequestri<br />
accertate o arrestate effettuati<br />
1 Sicilia ↔ 1.707 218 701<br />
2 Puglia ↔ 1.127 248 783<br />
3 Campania ↑ 643 189 309<br />
4 Marche ↓ 623 35 514<br />
5 Calabria ↑ 587 111 213<br />
6 Toscana ↑ 525 17 396<br />
7 Veneto ↓ 411 118 458<br />
8 Lazio ↓ 390 101 283<br />
9 Sardegna ↓ 317 8 1.656<br />
10 Emilia Romagna ↑ 274 91 107<br />
11 Liguria ↓ 235 14 78<br />
12 Abruzzo ↓ 166 4 123<br />
13 Molise ↔ 123 0 99<br />
14 Friuli Venezia Giulia ↔ 77 9 47<br />
15 Basilicata ↔ 2 1 2<br />
Totale 7.207 1.164 5.769<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Guardia di finanza, Corpo forestale<br />
dello Stato e regionale e Capitanerie di porto.<br />
9.2 La “miniera” datteri<br />
Il dattero di <strong>mare</strong> (Lithophaga lithophaga) è un mollusco bivalve<br />
perforatore che colonizza le rocce calcaree, fino a 35 metri di profondità. Ad<br />
eccezione di alcune zone in cui è divenuto una vera rarità, non è una specie in<br />
via di estinzione, ma la sua cattura provoca la distruzione delle scogliere in cui<br />
vive: i datteri vengono raccolti spaccando e sminuzzando la roccia con picconi,<br />
scalpelli e addirittura martelli pneumatici. Il risultato è la completa rimozione<br />
della copertura biologica dei substrati duri superficiali (da 0 a 15 metri di<br />
profondità), con conseguente desertificazione dei fondali. Si tratta di uno dei<br />
più gravi fenomeni di erosione della biodiversità in Mediterraneo. Il dattero<br />
vive nel suo cunicolo scavato nella roccia, in gallerie fusiformi che<br />
costituiscono dei veri e propri microhabitat popolati da un gran numero di<br />
organismi. Gli ambienti più minacciati dalla cattura del dattero sono quelli<br />
litoranei di falesia calcarea, particolarmente abbondanti proprio nelle aree<br />
prescelte per l’istituzione di riserve marine e risultato di processi evolutivi<br />
particolarmente lunghi e complessi. Le zone più battute dai datterai nel nostro<br />
paese sono le coste della penisola sorrentina, in particolare i fondali dell’area<br />
marina protetta di Punta Campanella, le coste pugliesi, quelle delle Cinque<br />
Terre e del litorale spezzino e le coste sud orientali della Sicilia.A causa della<br />
106
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
pesca del dattero, siti caratterizzati dalla presenza di comunità complesse e che<br />
svolgono un’attiva funzione filtratrice dell’acqua, si trasformano in deserti<br />
rocciosi. Un dattero raggiunge 5 cm di lunghezza dopo circa 20 anni: una<br />
crescita così lenta costringe i pescatori di datteri (datterai) a cambiare<br />
continuamente luogo di raccolta, distruggendo ettari di fondale e riducendo al<br />
tempo stesso la produzione di nuove larve. Le tecniche di immersione<br />
subacquea consentono oggi a chiunque di accedere ai banchi, senza difficoltà e<br />
senza limitazioni di tempo e profondità. Per prelevare i datteri vengono<br />
utilizzati piccozze, scalpelli, martelli pneumatici e persino piccole cariche<br />
esplosive, una vera catastrofe ambientale, uno dei più gravi fenomeni di<br />
erosione della biodiversità in Mediterraneo paragonabile solo ai disastri<br />
ecologici causati dal naufragio delle petroliere.<br />
Il divieto di raccolta, detenzione e commercio di dattero di <strong>mare</strong> vige<br />
nel nostro paese sin dal 1988. Più recentemente il decreto del 16 ottobre 1998<br />
ha prorogato questo divieto. Una circolare del Ministero delle Politiche<br />
Agricole ha chiarito infine che è perseguita allo stesso modo anche<br />
l’importazione dall’estero di datteri di <strong>mare</strong>. Dunque chi offre datteri, sia in<br />
pescheria che al ristorante, è di sicuro fuori legge.<br />
Nonostante tutto, ogni anno in Italia vengono raccolte tra le 80 e le 180<br />
tonnellate di datteri, equivalenti a 6-15 milioni di individui e a 4-10 ettari di<br />
fondali desertificati. Ogni consumatore di datteri contribuisce in maniera<br />
sostanziale a questo scempio: basti pensare che un piatto di linguine ai datteri<br />
ne contiene circa 200 grammi, pari a 16 individui: pochi rispetto ai milioni di<br />
cui si è detto, molti se si considera che per raccoglierli si è distrutto un<br />
quadrato di fondale di 33 centimetri di lato.<br />
Le cifre del disastro<br />
15-25 kg: il prelievo giornaliero da parte di un datteraio “professionista”<br />
500 kg: il prelievo giornaliero di datteri lungo la penisola sorrentina<br />
30.000 mq i fondali desertificati dai datterai ogni anno nel Salento<br />
70.000 mq di fondali desertificati ogni anno lungo la penisola sorrentina<br />
2 milioni di euro: il giro d’affari annuale dei datterai nella sola penisola<br />
sorrentina<br />
1000 cmq: le dimensioni dell’area distrutta per un piatto di linguine ai datteri<br />
9.3.1 Datteri: i casi esemplari<br />
La Penisola Sorrentina: Punta Campanella<br />
Un vero e proprio disastro ecologico è in atto sotto i nostri occhi nella<br />
Riserva Naturale di Punta Campanella che si estende tra i golfi di Napoli e<br />
Salerno, dal Capo di Sorrento a Punta San Germano a due passi da Positano. I<br />
datterai usano gli stratagemmi più inverosimili, affilano le armi in prossimità<br />
delle festività natalizie e si adeguano facilmente allo sviluppo tecnologico delle<br />
attrezzature subacquee. Il decreto che ne vieta la pesca e la<br />
107
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
commercializzazione si è dimostrato insufficiente a preservare i fondali dalla<br />
“catastrofe ecologica”, come viene definita dall’Enciclopedia Britannica. Un<br />
motivo, questo, che garantisce ai datterari una certa immunità e la motivazione<br />
a proseguire nella loro azione devastatrice senza che qualcuno intervenga ad<br />
interromperne gli interessi a nove zeri.<br />
Sia nella Penisola Sorrentina che nella Costiera Amalfitana la modalità<br />
di estrazione del dattero di <strong>mare</strong> ha subito, negli anni, cambiamenti determinati<br />
dagli avvicendamenti dei quadri preposti al controllo ed in dipendenza dello<br />
sviluppo tecnologico delle attrezzature subacquee. Ed è proprio con il<br />
miglioramento delle tecniche e la diffusione sempre maggiore dell'immersione<br />
subacquea, che un gran numero di persone si dedicano a questa lucrosa e<br />
distruttiva attività. Oggi nella sola area della Penisola Sorrentina e Costiera<br />
Amalfitana sono circa 50 quelli che, ogni giorno, armati dei loro arnesi da<br />
lavoro (scalpello e martello) distruggono le meraviglie e la vita dei nostri mari.<br />
Questa pesca indiscriminata oltre che distruggere gran parte della biodiversità,<br />
vanto del nostro <strong>mare</strong>, danneggia tra l'altro, l'intera economia del comparto<br />
della piccola pesca, in quanto il distacco di intere pareti di roccia desertifica<br />
l'area allontanando da essa alcune specie ittiche.<br />
La giornata dei "datterai" inizia alle prime luci dell'alba. Provvisti di<br />
piccoli scafi veloci, con tutte le dotazioni di sicurezza in perfetta regola,<br />
partono da Castellam<strong>mare</strong> di Stabia (Na) nell'area denominata "acqua della<br />
madonna" ed approdano lungo tutto la costa: da Castellam<strong>mare</strong> di Stabia a<br />
Salerno, isola di Capri compresa. Ma anche nei residenti non mancano quelli<br />
che si dedicano a questa criminosa attività, come nel caso di località rinomate<br />
della penisola sorrentina e costiera amalfitana: Seiano, Massa Lubrense<br />
(Recommone) e Praiano. Ogni scafista lascia uno o due subacquei sotto costa,<br />
quindi si allontana, anche per centinaia di metri ed aspetta l'ora concordata per<br />
il loro recupero che avviene di solito dopo 4/5 ore. Il datteraio, si inabissa nei<br />
fondali marini ed armato di un pesante martello bipenna, ma anche di picozze e<br />
martelli, frantuma indisturbato la parete rocciosa. E per non essere visti in<br />
superficie, lo stratagemma è semplice ed efficace: affondano il recipiente in cui<br />
sono conservati i datteri. Nella loro azione criminale, non poteva mancare il<br />
ruolo dei bambini. Infatti spesso, a bordo degli scafi, al fine di disorientare le<br />
forze dell'ordine, vi sono minorenni e signore. Un quadro perfetto per una bella<br />
gita in barca, ma con obiettivo non la tintarella o qualche tuffo in <strong>mare</strong> bensì i<br />
datteri. Il giro di affari è notevole, i rischi vicini allo zero. Ciascun datteraio<br />
preleva in media 10 kg al giorno (valore sottostimato) di prodotto che rivende<br />
al 40 mila al Kg per un guadagno di 400.000. Il periodo di attività, che un<br />
tempo era di sei mesi l’anno, ora non conosce sosta. Una colonia di datteri<br />
conta in media 150 individui per mq, ma può arrivare fino a 300 per mq. In<br />
termini ecologici questo significa la desertificazione di una fascia di costa dai 4<br />
ai 6 km per una profondità di 15 m. Un dato allarmante se si considera, per<br />
esempio, che le falesie della penisola sorrentina amalfitana si estendono per<br />
non più di 100 km di costa.<br />
108
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
E per ironia della sorte l'istituzione della Riserva Marina, se da un lato<br />
rappresenta un maggior controllo dell'area, dall'altro ha determinato un<br />
aumento vertiginoso del prezzo dei datteri sul mercato nero. Infatti nelle<br />
festività natalizie ed in quelle pasquali e durante il mese di agosto, il prezzo dei<br />
datteri oscilla dalle 70.000 alle 150.000 al chilo. Compiuto il saccheggio, i<br />
predoni del <strong>mare</strong> ritornano alla base scaricano la preziosa merce praticamente<br />
indisturbati. Tranne le limitate ma efficaci operazioni condotte dall'Arma dei<br />
Carabinieri con nuclei subacquei ed elicotteristi, i controlli effettuati dalla<br />
Capitaneria di Porto si limitano alla richiesta di accertamento dei documenti<br />
dell'imbarcazione e delle dotazioni di sicurezza. A questo clima di illegalità<br />
diffusa, va aggiunta, poi, la mancanza di controlli e repressione nei luoghi di<br />
vendita, basti pensare che nei pressi di Porta Nolana, a Napoli, i datteri di <strong>mare</strong><br />
vengono venduti alla luce del sole!! Molti datterai, annusato l’affare, si sono<br />
organizzati con veri e propri depositi, attrezzature e strutture di vendita. Ecco<br />
che nei periodi precedenti le festività indicate, comincia la conservazione dei<br />
datteri in apposite vasche (vere e propri impianti di stabulazione). I datteri sono<br />
poi venduti a prezzi vertiginosi sia al dettaglio che all'ingrosso ai ristoratori.<br />
Dietro questa organizzazione gli inquirenti sospettano la presenza<br />
dell'immancabile longa manus della camorra. E in questa grande operazione di<br />
distruzione dell'ecosistema marino, c'è anche la complicità e la responsabilità<br />
indiretta di ognuno di noi. Basti pensare che quando un ristorante ci offre nel<br />
menù il raffinato e prelibato piatto di linguine ai datteri, in quel momento<br />
dobbiamo ricordarci che quel piatto significa la distruzione di un quadrato di<br />
fondale di 33 cm di lato. Che questo meccanismo perverso e illegale stia<br />
diventando un affare interessante è noto alle Forze dell’ordine. Nel dicembre<br />
di due anni fa un'operazione condotta dalla Procura di Torre Annunziata<br />
insieme ai Carabinieri ed agli uomini della Capitaneria di Porto di<br />
Castellam<strong>mare</strong> di Stabia, ha portato a quattro arresti ed al sequestro di ben 20<br />
quintali di datteri di <strong>mare</strong>. Il reato ipotizzato, per la prima volta in Italia in un<br />
caso del genere è di associazione a delinquere finalizzata al danneggiamento<br />
aggravato ed continuato del patrimonio ecomarino dello Stato. Nel mirino della<br />
legge sono finiti, questa volta anche i ristoratori della zona: i veri committenti<br />
del prezioso frutto di <strong>mare</strong>, coloro che non vogliono far mancare sulla tavole<br />
imbandite di Natale un ingrediente tradizionale e molto richiesto dai clienti. Per<br />
procurasi le prove dei bottini proibiti gli investigatori hanno usato mezzi<br />
sofisticatissimi, seguendo per mesi gli equipaggi dei "predoni". Armati di<br />
microcamere hanno filmato i sub fuorilegge. I datterai arrestati sono stati<br />
quattro. Secondo gli inquirenti, questi bracconieri del <strong>mare</strong> avevano addirittura<br />
lottizzato la costa sorrentina, dividendola in quattro pezzi. Ognuno ne gestiva<br />
uno. Alle indagini è seguito un blitz della Guardia di Finanza di Napoli che ha<br />
sequestrato tonnellate di preziosi ricci, frutti fragili e delicati del nostro <strong>mare</strong>.<br />
Denunciati sei pescatori clandestini che rifornivano con regolarità i mercati<br />
pugliesi (qui i ricci rappresentano una specialità gastronomica irrinunciabile).<br />
Dopo appostamenti ed indagine durati mesi, non è stato difficile risalire<br />
ad una sorta di "ponte commerciale" fra le scogliere napoletane ed i mercati<br />
109
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
ittici di Bari, Barletta, Brindisi, dove ogni mattina finivano i costosissimi ricci<br />
di <strong>mare</strong>, prelibati come condimento per gli spaghetti, nonché come antipasto.<br />
Di qui la decisione di procedere ad un blitz combinato terra-<strong>mare</strong>: in azione<br />
due vedette, che hanno sorpreso sei subacquei intenti a scippare molluschi dalle<br />
scogliere, ed alcune pattuglie mobili che hanno bloccato un furgone dei<br />
commercianti pugliesi.<br />
Grazie agli sforzi profusi attualmente la pesca illegale dei datteri è<br />
diminuita del 20% circa, ma c’è ancora molto da fare.<br />
La costa di Siracusa<br />
Il fenomeno della pesca di frodo del dattero di <strong>mare</strong>, in Sicilia assume<br />
proporzioni devastanti soprattutto in provincia di Siracusa a causa della<br />
conformazione geologica della costa, costituita da roccia calcarea. Anche se<br />
sono aumentati i controlli da parte degli organi di sorveglianza preposti alla<br />
repressione del consumo del mollusco nei ristoranti, il prelievo doloso del<br />
dattero è ancora molto praticato.<br />
Si stimano fra i 15 e i 25 bracconieri che quotidianamente (dati non<br />
ufficiali scaturiti da notizie fornite dalle stazioni di ricarica), armati di mazza e<br />
pinzette, in un tratto di <strong>mare</strong> che va da Brucoli – Augusta a Capo Murro di<br />
Porco, in provincia di Siracusa, praticano la pesca distruttiva del bivalve,<br />
riuscendo a raccogliere dagli 8 ai 15 chili di molluschi al giorno, su una<br />
batimetrica che va dai 3 ai 10 metri di profondità. Attraverso l’utilizzo di una<br />
bibombola di 20 litri, i datterai riescono a rimanere sott’acqua per oltre due ore,<br />
distruggendo un tratto di fondale procapite di oltre 50 metri. Da questo calcolo<br />
sono esclusi i “dilettanti”, datterai dell’ultima ora che pescano, seppur<br />
occasionalmente, con metodi molto più sbrigativi e distruttivi quali<br />
compressori e martelletti pneumatici. Gli organi di vigilanza, Capitaneria di<br />
Porto, Polizia, Guardia di Finanza ecc., sono in assoluta difficoltà nel<br />
fronteggiare tale fenomeno, anche perché, oltre al fatto che i bracconieri del<br />
<strong>mare</strong> svolgono la loro “attività” dalle sette alle dieci del mattino, mentre le<br />
motovedette cominciano la perlustrazione di turno routinaria dopo le ore 9, la<br />
pesca del dattero avviene su un fondale abbastanza basso dove le motovedette<br />
delle forze dell’ordine non possono giungere. Nel 1999 sono stati colti in<br />
fragranza di reato appena tre bracconieri e sequestrati solo 60 kg di datteri,<br />
oltre alle attrezzature subacque ( dati Questura di Siracusa). Ad oggi non ci<br />
sono novità di rilievo.<br />
Il quadro già di per sé sconfortante, si completa se si aggiunge alla<br />
pesca al mollusco la pesca di frodo con l’autorespiratore, praticata e a volte<br />
“tollerata”, e la pesca con gli esplosivi.<br />
Da Porto Cesareo a Gallipoli<br />
La pesca dei datteri è uno dei problemi più gravi che interessa la zona<br />
che va da Porto Cesareo a Gallipoli, in Puglia. L’area in questione è stata<br />
oggetto di una vera e propria spartizione, cosicchè ogni pescatore di dattero ha<br />
il suo perimetro dove operare. Sembra che i datterai utilizzino circa 20<br />
110
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
pescherecci che arrivano a raccogliere, più o meno, 25 kg di datteri a barca. La<br />
modalità di pesca è simile a molte altre zone d’Italia: due sub si immergono<br />
servendosi di una barca o di un gommone di appoggio che li recupera ad<br />
un’orario stabilito. Uno dei blitz effettuati dalla Capitaneria di Porto di<br />
Gallipoli, dietro segnalazione del circolo <strong>Legambiente</strong> di Porto Cesareo, ha<br />
portato al sequestro di 70 chili di datteri e 6 quintali di ricci. Durante la<br />
perquisizione delle barche i militari non riuscivano a trovare nulla: poi hanno<br />
scoperto che i recipienti con i datteri già pescati erano stati affondati e<br />
sarebbero stati trasferiti in seguito a bordo di un camion parcheggiato distante<br />
dalla riva. La manodopera era albanese. Numerose azioni si sono susseguite a<br />
questa. Nonostante la coscienza da parte delle Forze dell’ordine del problema e<br />
la volontà di contrastarne gli effetti devastanti all’ambiente marino, i mezzi a<br />
disposizione non sono ancora sufficienti per opporre una resistenza decisiva<br />
alla determinazione dei pescatori “fuori legge”.<br />
Datteri di <strong>mare</strong>? No grazie<br />
Sebbene la pesca illegale di datteri di <strong>mare</strong> rappresenti a tutt’oggi vero e<br />
proprio flagello per l’ecosistema marino, negli ultimi tempi sono state avviate<br />
alcune iniziative per limitare questo fenomeno.<br />
1. Non rompeteci gli scogli<br />
E’ una campagna promossa dalla provincia di Bari, dalla Riserva<br />
naturale marina di Punta Campanella, da <strong>Legambiente</strong> in collaborazione con il<br />
Parco Nazionale delle Cinqueterre, Lega Pesca e Ipercoop, che hanno messo<br />
insieme le loro forze per denunciare le gravi conseguenze prodotte dal plelievo<br />
dei datteri di <strong>mare</strong> nel nostro paese. La campagna si propone di fare una diffusa<br />
opera d’informazione sui danni causati dal plelievo di datteri di <strong>mare</strong> rivolta a<br />
tutti i cittadini ed in particolare ai clienti delle pescherie e ristoranti, quelli che<br />
più frequentemente entrano in contatto con il commercio abusivo di datteri di<br />
<strong>mare</strong>. L’iniziativa prevede anche il coinvolgimento attivo delle marinerie<br />
locali, dei ristoratori, delle pescherie, delle forze dell’ordine e dei mezzi di<br />
informazione per dare più forza e incisività al messaggio.<br />
2. L'Osservatorio Ambiente e Legalità della Riserva Naturale Marina di<br />
Punta Campanella<br />
Quello di Punta Campanella è il primo Osservatorio Ambiente e<br />
Legalità istituito presso una Riserva naturale marina. L’istituzione<br />
dell’Osservatorio è stata deliberata dal Consorzio di Gestione il 2 aprile 2001<br />
(delibera numero 7) e, con successiva convenzione firmata il 7 agosto 2001, ne<br />
è stata affidata la gestione a <strong>Legambiente</strong>. L’Osservatorio si caratterizza<br />
innanzitutto come uno strumento a servizio del territorio, attraverso il quale<br />
migliorare la diffusione della cultura della legalità e del rispetto dell’ambiente,<br />
contribuire all’attività di analisi, monitoraggio, prevenzione e contrasto dei<br />
fenomeni di illegalità ambientale in stretta collaborazione con le forze<br />
dell’ordine impegnate sul territorio, nel rispetto dei rispettivi ruoli istituzionali,<br />
111
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
promuovere e valorizzare lo straordinario patrimonio ambientale e naturale<br />
dell’area marina protetta.<br />
L’Osservatorio è stato dotato di un numero verde, per raccogliere<br />
segnalazioni dei cittadini su fenomeni di illegalità ambientale, per fornire<br />
informazioni sulla riserva naturale e consulenze sulle normative di riferimento.<br />
Accanto al numero verde è stato istituito il Consiglio direttivo, che vede la<br />
presenza di tutti i soggetti istituzionali e sociali interessati (forze dell’ordine,<br />
magistratura, rappresentanti degli enti locali, sindacati, associazioni, ecc.),<br />
come tavolo di lettura ed analisi dei dati e delle informazioni raccolte, sia a fini<br />
preventivi che a fini repressivi, creando una reale sinergia tra soggetti diversi<br />
nel rispetto dei ruoli specifici di ognuno. Inoltre l’Osservatorio, proprio per la<br />
sua unicità, svolgerà un ruolo nevralgico per la realizzazione di una serie di<br />
iniziative a carattere nazionale sul tema del “<strong>mare</strong> legale”.<br />
Gli obiettivi dell’Osservatorio possono essere così riassunti: elevare ed<br />
ottimizzare il sistema di controllo e prevenzione dei fenomeni delle illegalità<br />
ambientali nell’area protetta; diffondere una più attenta cultura della legalità e<br />
del rispetto dell’ambiente; rappresentare l’elemento di collegamento tra<br />
cittadini e istituzioni; realizzare momenti di incontro tra i vari soggetti<br />
istituzionali e non (prefetture, forze dell’ordine, enti locali, sindacati,<br />
associazioni, etc.) deputati alle attività di controllo e repressione dei fenomeni<br />
illegali e alla valorizzazione e promozione delle straordinarie bellezze che<br />
caratterizzano il territorio della Riserva marina e della penisola sorrentina più<br />
in generale; monitorare costantemente i settori a maggior rischio ambientale e i<br />
principali fattori di aggressione; delineare, in collaborazione con le istituzioni<br />
competenti, le migliori strategie d’intervento.<br />
9.4 Il caso Campania, ovvero… pesce all’acqua pazza atto II<br />
Sembra il titolo di un film di cui si prospetta una lunga serie. Noi ci<br />
auguriamo il contrario, ma dopo la denuncia nello scorso dossier il fenomeno<br />
della vendita abusiva ed illegale di frutti di <strong>mare</strong> in condizione igienico<br />
sanitarie assenti, a Napoli e provincia, non ha subito cambiamenti sostanziali.<br />
Alcuni numeri per rendere chiaro la gravità del fenomeno. Tra Napoli e<br />
provincia nel periodo che va da dicembre 2001 a maggio <strong>2002</strong> si stima,<br />
secondo le principali operazioni di Polizia, che siano stati sequestrati e distrutti<br />
oltre 45 quintali di frutti di <strong>mare</strong> (cozze, vongole, novellame, ostriche e datteri)<br />
coltivati abusivamente e venduti privi di qualsiasi elementare requisito igienico<br />
sanitario. Spigole ed orate scongelate con acqua torbida, mitili, cozze e<br />
calamari decorati con spicchi di limone sulle bancarelle di mezza città ma<br />
immersi in acqua di dubbia provenienza. E lo sfizio di regalarsi una spaghettata<br />
o magari la famosa impepata per i cittadini diviene un rischio. Infatti epatite A,<br />
quella alimentare, viene spesso associata al consumo di frutti di <strong>mare</strong>, che nella<br />
maggior parte dei punti di vendita cittadini, soprattutto quelli abusivi, che<br />
particolarmente in estate si moltiplicano e sorgono come funghi, vengono<br />
112
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
sistemati in bacinelle piene d’acqua marina. Con questo procedimento che i<br />
pescatori chiamano “rinfrescata”, il prodotto - anche dopo il trattamento di<br />
purificazione effettuato in uno stabulario - ridiventa infetto se cozze, vongole,<br />
tartufi, fasolari vengono immesse in bacinelle piene di acqua di <strong>mare</strong> raccolta<br />
in zone in cui è vietata la balneazione. La situazione è particolarmente grave<br />
soprattutto a Napoli, dove solo nel periodo tra marzo ed maggio <strong>2002</strong> sono<br />
state sequestrate dalla Nucleo di Polizia Giudiziaria della Guardia Costiera di<br />
Napoli, congiuntamente al personale dell’ Asl Na1 Distretto 51, ben 15 quintali<br />
di prodotti ittici ed effettuate verbali amministrativi per quasi 165mila euro.<br />
Sotto controllo non solo venditori abusivi ma anche ristoranti di zone<br />
rinomate come Posillipo e Mergellina. Secondo una nota della Guardia<br />
Costiera, i risultati del mese di maggio sono incoraggianti perché mostrano una<br />
tendenza alla riduzione delle violazioni della legge: a marzo infatti su 10<br />
controlli 9 erano non in regola, mentre a maggio la quota è scesa a circa 5 su<br />
dieci. A Napoli, quindi più che mucca pazza, sono i frutti di <strong>mare</strong> infetti a<br />
preoccupare. Del resto secondo gli ultimi dati registrati presso i principali<br />
ospedali specializzati in malattie infettive a Napoli e provincia si registrano<br />
numeri da record per contagi da epatite A, una malattia endemica la cui<br />
diffusione sarebbe tornata a livelli della metà degli anni ’80 dopo dieci anni di<br />
relativo calo.<br />
Ma a Napoli, dove la fantasia e gli affari non finiscono mai, nel<br />
febbraio <strong>2002</strong> un altro tassello si aggiunge ad un quadro, già di per se molto<br />
preoccupante. Se vai al ristorante e ordini cozze, gamberi e fasolari, sappi che<br />
li sceglie per te "mamma" camorra. Infatti, secondo una denuncia dei<br />
commercianti dei quartieri Chiaia, Mergellina e Santa Lucia presso la questura<br />
di Napoli, gli "scagnozzi" si presentano in alcuni ristoranti, anche tra i più<br />
rinomati della città, ed impongono la lista dei cosidetti “fornitori di fiducia”.<br />
Vendono frutti di <strong>mare</strong>. E anche spigole. Ed alla fine il cittadino, colui che<br />
paga non ha possibilità di scelta, si ritrova nel piatto quello che i clan hanno<br />
deciso di fargli trovare.<br />
Non diversa è la situazione in provincia di Napoli, soprattutto nel<br />
triangolo Torre del Greco, Torre Annunziata, Castellam<strong>mare</strong> di Stabia. Qui è<br />
un continuo stillicidio di notizie di sequestri. Non c’è bisogno di aspettare<br />
l’estate. Infatti il 14 febbraio <strong>2002</strong>, oltre 10 tonnellate di mitili fuorilegge, del<br />
valore commerciale di circa 40mila euro vengono sequestrati e distrutti nello<br />
specchio antistante il cantiere navale e la corderia di Castellam<strong>mare</strong> di Stabia.<br />
L’operazione è stata effettuata dalla locale Capitaneria di Porto in<br />
collaborazione con il secondo nucleo subacqueo della Guardia Costiera. Il blitz<br />
è scattato alle ore 9. Distrutti centinaia di filari di cozze. Uno sterminato<br />
allevamento di mitili, privo di autorizzazione e non controllato e<br />
potenzialmente infetto. Nel luglio del 2001, sull’asse Torre del Greco-<br />
Ercolano, un operazione dei Carabinieri del servizio navale di Torre del Greco<br />
con la collaborazione della Guardia di Finanza, porta al sequestro di una<br />
tonnellate di frutti di <strong>mare</strong>, tenuti in pessime condizioni igienico sanitarie e<br />
messi sul mercato dai commercianti senza scrupoli. Cozze, tartufi, vongole e<br />
113
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
mitili vari: sui banchetti improvvisati, gli uomini del gruppo speciale hanno<br />
ritrovato di tutto e tutto conservato male. L’organizzazione della task force si è<br />
resa necessaria in seguito all’esame dei dati in possesso della Procura di Torre<br />
Annunziata, secondo i quali la città del Corallo sarebbe il comune con il più<br />
alto numero di ammalati di epatite virale di quanti se ne possano contare in<br />
tutto Napoli e provincia. È il fiume più inquinato d'Europa, è la causa di tutti i<br />
mali del Golfo di Napoli, è la prima ragione per cui il turismo da Pozzuoli a<br />
Castellam<strong>mare</strong> fa tanta fatica a decollare. Eppure, proprio qui, alla foce del<br />
fiume Sarno, c'è chi ha pensato di allevare frutti di <strong>mare</strong> e filari di cozze (il<br />
sequestro ha riguardato circa 15 quintali). E se non fosse che all'alba del 26<br />
luglio 2001, il comando provinciale dei Carabinieri, in collaborazione con gli<br />
uomini del Nas, avesse provveduto a rompere quei filari e a sequestrare tutto<br />
quanto di abusivo vi era coltivato, con ogni probabilità quelle cozze sarebbero<br />
finite sulle nostre tavole. E magari anche sulle tavole di qualche<br />
insospettabilissimo ristorante. Non è una novità. È già accaduto in passato. Non<br />
è un caso, d'altra parte, nello stesso mese di luglio, la Procura di Torre<br />
Annunziata, per violazione alle norme igienico sanitarie in fatto di<br />
alimentazione, denunciava la provincia di Napoli come la più "sporca" d'Italia,<br />
con dodicimila procedimenti giudiziari avviati nei confronti di ristoratori,<br />
ambulanti e commercianti.<br />
I quindici quintali di mitili sequestrati nella foce del fiume Sarno, sono<br />
tanti, tantissimi, niente, tuttavia, se rapportati ai duemila messi sotto chiave in<br />
tutta la costa da Pozzuoli fino a Massalubrense, in seguito all'operazione «a<br />
tavola sicuri» è cominciata nel mese di giugno 2001. E si è avvalsa della<br />
collaborazione dei carabinieri subacquei e di tutte le motovedette dell'Arma.<br />
Dai risultati dello screening marino è emerso un dato che la dice lunga su come<br />
vengono rispettate le norme igienico sanitarie soprattutto nell'area stabiese e<br />
torrese e come da queste parti sia particolarmente facile restare vittime di<br />
malattie infettive. La costa di Torre Annunziata e Castellam<strong>mare</strong> vanta, infatti,<br />
il record dell'allevamento abusivo: su duemila quintali di cozze sequestrate,<br />
millecinquecento vengono, infatti, coltivate proprio dove sorge la foce del<br />
fiume Sarno. Appena settanta quintali a Pozzuoli, qualche decina in penisola<br />
Sorrentina e nel porto di Napoli, sparso qua e là qualche filare anche nella<br />
provincia di Caserta, tra Teverola e Casaluce. I mitili sono stati distrutti, portati<br />
in alto <strong>mare</strong> e gettati nei fondali. Nessuna denuncia.<br />
Restano i consigli da dare ai consumatori: i mitili vanno comprati in<br />
confezioni sigillate, garantiti dal cartellino ove sono indicate le norme Cee.<br />
Perchè per chi non lo sapesse ancora le cozze vanno coltivate esclusivamente<br />
in acque depurate. Altro, allora, che fiume Sarno, con tutto il suo carico di<br />
veleni. Guai, dunque, ad affidarsi ai venditori ambulanti. E se oltre a stare<br />
attenti alla salute qualcuno volesse anche rendersi utile alla società,<br />
denunciando qualsiasi violazione delle norme igienico sanitarie, l'Asl Napoli 5<br />
quest'anno ha istituito il numero verde 800/306042, al quale oltre alle denunce<br />
si possono anche chiedere consigli su come tutelarsi da alimenti a rischio<br />
infezioni. Lo scorso settembre è stata violata anche la Riserva di Punta<br />
114
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Campanella. Con un operazione ad ampio raggio, gli uomini della Capitaneria<br />
di porto di Castellam<strong>mare</strong> di Stabia hanno portato a termine una serie di colpi<br />
non solo contro i pescatori di frodo ma anche contro le pescherie dell’area<br />
stabiese e della penisola sorrentina.<br />
Oltre a mezza tonnellata di mitili, cozze, vongole e a dieci quintali di<br />
novellame sono stati sequestrati anche dieci chili di datteri marini che da soli<br />
sui mercati ittici valgono cifre da capogiro. I 500 kg di mitili, cozze e lupini<br />
erano messi in vendita senza il previsto bollino sanitario, mentre i 10 kg di<br />
datteri di <strong>mare</strong>, prelibati frutti di <strong>mare</strong>, erano stati prelevati da datterai, veri<br />
esperti subacquei che per l’estrazione hanno utilizzato martelli idropneumatici.<br />
Alla fine del blitz denunciati all’autorità giudiziaria i titolari di sei pescheria,<br />
elevato 10 verbali amministrativi per circa 40 milioni di vecchie lire.<br />
Oltre 20 kg di datteri di <strong>mare</strong> e 26 nasse sono state sequestrate dalla<br />
Sezione Operativa navale di Salerno della Guardia di Finanza nel febbraio<br />
scorso durante un operazione di pattugliamento nella riserva marina di Punta<br />
Campanella. I finanzieri hanno notato un gommone con a bordo due persone<br />
che alla vista dei militari sono fuggiti, lanciando a <strong>mare</strong> un sacchetto.<br />
Nell’involucro, 20 kg di datteri di <strong>mare</strong>. Nel corso della stessa operazione, nel<br />
tratto di acqua ricadente nel comune di Postano, i militari hanno notato dei<br />
palloncini galleggianti. Issati a bordo i singoli segnalatori di reti, i finanzieri<br />
hanno scoperto le 26 nasse, brulicanti di pesci di ogni tipo, compreso polpi e<br />
seppie, tutti vivi, per oltre 30 kg di peso. Sotto Natale, quando la richiesta dei<br />
datteri di <strong>mare</strong> aumenta, entrano in azione datterai senza scrupoli. Lo scorso 21<br />
dicembre, la Capitaneria di Porto di Castellam<strong>mare</strong> di Stabia sequestra 700 kg<br />
di prodotti ittici, tra cui 200 kg di datteri di <strong>mare</strong>. Al blitz, avvenuto dopo mesi<br />
di appostamenti e videoriprese hanno preso parte circa 50 uomini con mezzi<br />
navali e terrestri. Sono state denunciate 8 persone, sequestrati cinque<br />
autoveicoli e attrezzature utilizzate per la pesca (mute, bombole, erogatore,<br />
mazzole) per un valore pari a circa 800 milioni.<br />
Infranto anche il <strong>mare</strong> della costiera amalfitana. Lo scorso marzo, scatta<br />
l’operazione “Coast Guard Two” eseguita dalla Guardia costiera di Salerno.<br />
Oltre 100mila euro di multa, numerosi sequestri e 16 persone denunciate.<br />
Messi sotto controllo ristoranti e rivendite di prodotti ittici. Oltre 200 persone<br />
identificate, sessanta pescherie controllate, 25 ristoranti e diciotto ipermercati.<br />
Sotto controllo l’area costiera tra Positano e Sapri. Distrutti oltre 150 kg di<br />
specie ittica protetta e messa in vendita senza ottemperare alle norme sanitarie.<br />
L’acqua di <strong>mare</strong> veniva prelevata dalle banchine del porto turistico “Masuccio<br />
Salernitano”. E’ stata anche sequestrata una elettropompa che veniva utilizzata<br />
per il prelievo d’acqua che veniva successivamente utilizzata per il rinfresco e<br />
lo scongelamento della specie ittica.<br />
La strage dei piccoli<br />
Una battaglia portata avanti dal quotidiano “Il Mattino” in difesa del<br />
novellame nel golfo di Napoli. Spadini scheletrici di 1 kg., tonnetti appena<br />
abbozzati di 700-800 grammi, ricciole nate da poche settimane. Non c’è pace<br />
115
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
per il malcapitato novellame presente nei fondali del Golfo di Napoli. Sono<br />
tantissimi i cosiddetti “predoni” del <strong>mare</strong>, pescatori dilettanti o con “licenza”<br />
che tutto l'anno, approfittando dalla benevolenza del clima, delle condizioni di<br />
vento e di correnti, danno la caccia e distruggono quintali di minuscoli capi di<br />
pesce che nel giro di pochi mesi potrebbe diventare pesci di taglia e di prelibata<br />
specie. Nel mese di ottobre dello scorso anno, sono stati pescati quintali di<br />
spadini e connetti, venduti poi a prezzi stracciati nei mercati all’ingrosso e<br />
nelle pescherie e ristoranti. Centinaia di piccole imbarcazioni, soprattutto nei<br />
giorni del week-end si addensano sulle secche e nelle zone di passaggio armati<br />
di coffe, lenze a traino, sardine ed esche per fare incetta di novellame. Il<br />
bottino viene poi rivenduto a Pozzuoli, Portici, Procida, Ischia ma anche sui<br />
pontili di Mergellina, 10-15 € a capo, senza procedere al peso per far presto e<br />
non dare troppo nell’occhio. Ma il tutto è stato sequestrato in seguito ad un<br />
operazione disposta dall’ammiraglio Ubaldo Scarpati e affidata al<br />
coordinamento del comandante Francesco Cammarota, responsabile della<br />
sezione Unità Navali della Capitaneria di Porto di Napoli. Controlli a tappeto:<br />
motovedette in azione da un capo all’altro del golfo; contemporaneamente,<br />
blitz nei mercati e nelle cucine di molti ristoranti. Operazione che testimonia la<br />
crisi del settore. Per far quadrare bilanci sempre più magri, le piccole imprese<br />
sono costrette a raschiare il fondo del barile, ad impiegare strumenti sempre più<br />
pesanti di pesca e razziare quantità sempre più elevata di novellame, senza<br />
porsi minimamente il problema degli equilibri biologici e della salvaguardia<br />
della specie pregiata. Ed ecco che nei mesi ancora più caldi dell’autunno, inizia<br />
la strage di piccoli spadini, la distruzione di mini ricciole, proseguendo nel<br />
tempo con la pesca delle fravaglie e del bianchetto. Un giro questo del<br />
novellame, fiorito per il vezzo dei ristoranti e ristorantini marini sorti come<br />
funghi sul litorale flegreo. Per pescarli gli armatori non esitano ad impiegare<br />
attrezzature micidiali: reti con maglie strettissime o anche con il famoso<br />
“panno” finale, con un coppo che stringe e distrugge non soltanto pascetti<br />
piccolissimi ma anche larve appena abbozzate. Del resto il novellame viene a<br />
costare molto di più del pesce adulto. Un esempio? Gli spadini da un chilo e<br />
mezzo possono essere venduti anche a 12 euro l’uno. Un pesca illegale che<br />
incide anche sul pescato futuro. Gli stessi spadini nel giro di qualche mese<br />
riescono a crescere sino a 12 chili complessivi. L’unico novellame legale sono<br />
i rossetti (in napoletano i cosiddetti cicicielli). Ma nonostante il divieto, il<br />
novellame lo si può trovare facilmente. Pignasecca, Mergellina, piazza<br />
Mercelli fino alla Sanità. A venderlo soprattutto i pescivendoli abusivi, quelli<br />
che girano con il “tre ruote”. Contro venditori e pescatori si susseguono<br />
controlli e blitz. Oltre i sequestri, i titolari di esercizio trovati in possesso di<br />
novellame proibito rischiano forte multe. Ma poiché il fenomeno è diffuso, che<br />
riguarda la gran parte di ristoranti e pescherie napoletane, è difficile da<br />
combattere e da arginare. Ed alla fine il novellame rimane uno dei piatti tipici<br />
della cucina napoletana.<br />
116
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
9.5 La pesca abusiva di molluschi nella Laguna di Venezia<br />
di Luca Ramacci (Sostituto Procuratore della Repubblica di Venezia e Co-<br />
Presidente nazionale dei Centri di Azione Giuridica di <strong>Legambiente</strong>)<br />
(www.lexambiente.com)<br />
L’esercizio dell’attività di pesca dei molluschi nella laguna di Venezia<br />
rappresenta un serio problema non solo per l’integrità dell’ambiente, ma anche<br />
per la tutela della salute dei consumatori e non interessa soltanto i veneziani.<br />
Sono infatti di dominio pubblico le condizioni di gravissimo<br />
inquinamento in cui versa l’area lagunare a causa della compresenza di diversi<br />
fattori inquinanti rappresentati non solo dalle immissioni in atmosfera (che<br />
determinano la ricaduta di polveri) e dagli scarichi del vastissimo polo<br />
industriale di Marghera, ma anche dalle numerose vetrerie della zona di<br />
Murano – con il loro contributo di arsenico superiore anche decine di migliaia<br />
di volte rispetto ai limiti di legge - e dalla caotica circolazione di imbarcazioni<br />
a motore unita agli scarichi delle abitazioni e degli insediamenti artigianali,<br />
alberghieri, ospedalieri e di altro tipo esistenti nelle zone abitate della laguna.<br />
I dati dell’inquinamento lagunare, diffusi anni addietro e relativi<br />
all’inchiesta che portò alla chiusura dello scarico SM15 del Petrolchimico, se<br />
confrontati con i valori di inquinamento del <strong>mare</strong> Adriatico – che pure non<br />
gode di ottima salute – sono impressionanti e superano ogni immaginazione.<br />
E’ importante ricordarli per avere un’idea dell’habitat in cui nascono e<br />
crescono le vongole pescate.<br />
117
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Ecco i dati ripartiti secondo le “aree virtuali” individuate dai consulenti:<br />
VALORI MINIMI E MASSIMI DEI DIVERSI INQUINANTI NEI SEDIMENTI<br />
SUPERFICIALI (primi 20 cm) DELLE AREE VIRTUALI NEL CORSO DEL PRIMO<br />
AREE<br />
VIRTUALI<br />
LOCALITA’<br />
AREA 1<br />
(INDUSTRIAL<br />
E)<br />
PORTO<br />
MARGHERA<br />
STUDIO PERITALE (GIUGNO 1996)<br />
AREA 2<br />
(URBANA)<br />
VENEZIA,<br />
MURANO<br />
AREA 3<br />
(MISTA)<br />
S. ANGELO,<br />
CHIOGGIA,<br />
FOCE DESE<br />
E<br />
OSELLINO<br />
AREA 4 (BASSA<br />
ESPOSIZIONE,<br />
PESCA)<br />
ALBERONI,<br />
MALAMOCCO,<br />
PELLESTRINA,<br />
BURANO, S.<br />
CRISTINA<br />
ARE<br />
A 5<br />
VALL<br />
I DA<br />
PESC<br />
A<br />
VALORI DI<br />
RIFERIMENTO<br />
MARE<br />
ADRIATICO<br />
Min max min max min max min max min Max<br />
IPA (ng/g) 1600 54000 8000 4800<br />
0<br />
150 1300 62 660 n.d. 99 2500<br />
PCB (ng/g)<br />
PCDD+PCD<br />
220 720 71 610 3.1 77 0.47 8.3 n.d. 2.5 27<br />
F (pgTE/g) 23 570 4.8 23 0.48 8.5 0.8 1.8 n.d. 0.16 17<br />
DDE (ng/g) 3.4 10 1.3 27 0.78 19 0.55 1.3 n.d. 0.59 0.94<br />
DDT (ng/g) 0.3 5.2 0.51 24 < 0.3 10 0.059 1.3 n.d. 0.5 0.52<br />
HCB (ng/g) 35 470 0.33 5 0.097 6.2 0.059 0.29 n.d. 0.039 44<br />
Cd (µg/g) 2.56 22.9 0.723 5.69 0.184 1.87 0.099 1.73 n.d. 0.488 0.721<br />
Cu (µg/g) 97.1 247 36.2 297 10.7 42.3 9.99 33.2 n.d. 9.09 13.9<br />
Hg (µg/g) 1.52 14.2 0.531 2.08 0.023 1.94 0.194 3.33 n.d. 0.021 0.534<br />
Pb (µg/g) 58.1 282 47.8 109 7.22 37.4 9.44 20.3 n.d. 10.4 26.2<br />
Zn (µg/g) 248 1820 104 592 2.31 70.1 2.03 64.6 n.d. 10.1 90.2<br />
n.d. dati non disponibili<br />
N.B. Tutti i valori sono riferiti al sedimento secco<br />
118
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
VALORI MINIMI E MASSIMI DEI DIVERSI INQUINANTI NEI SEDIMENTI<br />
SUPERFICIALI (primi 20 cm) DELLE AREE VIRTUALI NEL CORSO DEL SECONDO<br />
AREE<br />
VIRTUALI<br />
LOCALITA’<br />
AREA 1<br />
(INDUSTRIAL<br />
E)<br />
PORTO<br />
MARGHERA<br />
STUDIO PERITALE (LUGLIO 1997)<br />
AREA 2<br />
(URBANA)<br />
VENEZIA,<br />
MURANO<br />
AREA 3<br />
(MISTA)<br />
S. ANGELO,<br />
CHIOGGIA,<br />
FOCE DESE E<br />
OSELLINO<br />
AREA 4 (BASSA<br />
ESPOSIZIONE,<br />
PESCA)<br />
ALBERONI,<br />
MALAMOCCO,<br />
PELLESTRINA,<br />
BURANO, S.<br />
CRISTINA<br />
ARE<br />
A 5<br />
VALL<br />
I DA<br />
PESC<br />
A<br />
VALORI DI<br />
RIFERIMENT<br />
O<br />
MARE<br />
ADRIATICO<br />
Min max min max min max<br />
IPA (ng/g) 1000 46000 14000 140 390 130 n.d. 6.4 2300<br />
PCB (ng/g)<br />
PCDD+PCD<br />
56 9800 790 15 23 9.8 n.d. 1.6 26<br />
F (pgTE/g)<br />
1<br />
230<br />
14<br />
25<br />
DDE (ng/g) 1.5 17 18 0.057 < 5 < 0.05 n.d. < 0.05 0.98<br />
DDT (ng/g) < 0.5 10 7.1 0.080 < 5 < 0.05 n.d. < 0.05 0.74<br />
HCB (ng/g) 33 2400 5.5 0.28 20 < 0.05 n.d. < 0.05 17<br />
Cd (µg/g) 0.18 6.6 4.2 2.2 2.2 0.61 n.d. 0.06 0.77<br />
Cu (µg/g) 41 1200 195 46 46 24 n.d. 2.4 17<br />
Hg (µg/g) 0.26 50 4.0 2.0 2.0 0.60 n.d. 0.053 2.6<br />
Pb (µg/g) 47 190 120 49 49 29 n.d. 5.4 55<br />
Zn (µg/g) 350 860 700 390 390 180 n.d. 10 100<br />
n.d. dati non disponibili<br />
N.B. Tutti i valori sono riferiti al sedimento secco<br />
NOTA: i risultati dei due studi peritali indicano che, allontanandosi dall’area<br />
industriale (AREA 1) verso il <strong>mare</strong>, i valori di contaminazione dei sedimenti<br />
diminuiscono. Va segnalata l’inattesa contaminazione di alcuni campioni di sedimento<br />
marino prelevati nella zona di <strong>mare</strong> antistante il litorale del Lido, presumibilmente<br />
dovuta allo scarico dei fanghi industriali avvenuto nel periodo 1950 - 1980.<br />
119<br />
25<br />
3.3<br />
n.d.<br />
0.6<br />
10
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Ecco, infine, quello che venne trovato all’interno del pescato, sempre nelle<br />
varie zone:<br />
VALORI MEDI DEI DIVERSI INQUINANTI RILEVATI NEI REPERTI DI BIOTA (MITILI,<br />
VONGOLE, OSTRICHE) PRELEVATI NELLE AREE VIRTUALI NEL CORSO DEL<br />
SECONDO STUDIO PERITALE (LUGLIO 1997)<br />
AREE<br />
VIRTUALI<br />
AREA 1<br />
(INDUSTRIALE)<br />
LOCALITA’ PORTO<br />
MARGHERA<br />
Zona Nuovo<br />
Petrolchimico<br />
IPA (ng/g) 134 (mitili)<br />
31(vongole)<br />
PCB (ng/g) 160 (mitili)<br />
AREA 2<br />
(URBANA)<br />
VENEZIA,<br />
MURANO<br />
AREA 3<br />
(MISTA)<br />
S. ANGELO,<br />
CHIOGGIA,<br />
FOCE DESE<br />
E OSELLINO<br />
AREA 4 (BASSA<br />
ESPOSIZIONE,<br />
PESCA)<br />
ALBERONI,<br />
MALAMOCCO,<br />
PELLESTRINA,<br />
BURANO, S.<br />
CRISTINA<br />
AREA<br />
5<br />
VALL<br />
I DA<br />
PESC<br />
A<br />
VALORI DI<br />
RIFERIMENTO<br />
MARE<br />
ADRIATICO<br />
n.d. 34 (mitili) 50 (mitili) n.d. 7 (mitili)<br />
17 (vongole)<br />
14 (ostriche)<br />
n.d. 245 (mitili) 40 (mitili) n.d. 35 (mitili)<br />
12 (vongole)<br />
13 (vongole)<br />
25 (ostriche)<br />
PCDD+PCD 3.2 (mitili) n.d. 2.3 (mitili) 0.68 (mitili) n.d. 0.27 (mitili)<br />
F (pgTE/g) 1.2 (vongole)<br />
0.56<br />
(vongole)<br />
0.66 (ostriche)<br />
DDE (ng/g) 21.2 (mitili) n.d. 17 (mitili) 2.1 (mitili) n.d. 2.9 (mitili)<br />
1.06 (vongole)<br />
0.47<br />
(vongole)<br />
2.2 (ostriche)<br />
DDT (ng/g) 0.32 (mitili) n.d. 0.59 (mitili) 0.25 (mitili) n.d. 0.89 (mitili)<br />
0.067 (vongole)<br />
0.097<br />
(vongole)<br />
0.44 (ostriche)<br />
HCB (ng/g) 13.7 (mitili) n.d. 10 (mitili) 4.4 (mitili) n.d. 5.3 (mitili)<br />
12 (vongole)<br />
3.95<br />
(vongole)<br />
16 (ostriche)<br />
Cd (µg/g) 1.05 (mitili) n.d. 0.80 (mitili) 0.56 (mitili) n.d. 0.31 (mitili)<br />
0.37 (vongole)<br />
0.39<br />
(vongole)<br />
0.9 (ostriche)<br />
Cu (µg/g) 3.15 (mitili) n.d. 2.45 (mitili) 2.7 (mitili) n.d. 2.5 (mitili)<br />
5.5 (vongole)<br />
5.68<br />
(vongole)<br />
38 (ostriche)<br />
Hg (µg/g) 0.1 (mitili) n.d. 0.053 (mitili) 0.042 (mitili) n.d. 0.030 (mitili)<br />
0.070 (vongole)<br />
0.040<br />
(vongole)<br />
0.039 (ostriche)<br />
Pb (µg/g) 0.9 (mitili) n.d. 0.46 (mitili) 0.23 (mitili) n.d. 0.25 (mitili)<br />
0.79 (vongole)<br />
0.45<br />
(vongole)<br />
0.22 (ostriche)<br />
Zn (µg/g) 30 (mitili) n.d. 34 (mitili) 33 (mitili) n.d. 29 (mitili)<br />
21 (vongole)<br />
21 (vongole)<br />
520 (ostriche)<br />
n.d. dati non disponibili<br />
N.B. Tutti i valori sono riferiti alla matrice fresca. Il prelievo dei mitili è avvenuto sulla colonna d’acqua, mentre<br />
vongole ed ostriche sono state raccolte nel sedimento.<br />
NOTA: i risultati di questa tabella indicano che i mitili e le vongole raccolti in prossimità della zona industriale (AREA 1)<br />
sono mediamente più contaminati rispetto a quelli raccolti in altre zone, secondo un fattore variabile da 2 a 10 volte. Va<br />
segnalata inoltre l’elevata contaminazione delle ostriche prelevate sul fondale marino antistante il litorale del Lido. In tali<br />
organismi sono stati registrati, per alcuni inquinanti, valori di contaminazione nettamente superiori a quelli presenti nelle<br />
vongole raccolte nel tratto lagunare antistante la zona industriale. Tale risultato, oltreché dalla contaminazione del fondale,<br />
potrebbe dipendere da una diversa capacità di accumulo dei due tipi di organismi.<br />
120
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Fornita dunque un’idea, peraltro incompleta, della situazione esistente<br />
va poi ricordato con quali modalità viene esercitata la pesca dei molluschi.<br />
L’attività avviene a bordo di imbarcazioni che utilizzano diverse tecniche. Le<br />
imbarcazioni di maggiori dimensioni utilizzavano dapprima il sistema del c.d.<br />
turbosoffiante, costituito da una sorta di grosso aspirapolvere che risucchia i<br />
molluschi devastando in modo irreparabile i fondali, come può osservarsi in<br />
alcune foto aeree che evidenziano la presenza di lunghi solchi sotto la<br />
superficie delle acque. A questo sistema, che elimina praticamente ogni forma<br />
di vita vegetale ed animale nel sedimento lagunare, si è poi sostituito quello<br />
analogo e asseritamente meno dannoso del “rastrello vibrante”, tuttora in uso.<br />
Altra tecnica di pesca, non meno pericolosa per i fondali, è quella della<br />
“rasca” o “giostra” effettuata con i c.d. barchini. Si tratta di imbarcazioni molto<br />
piccole (poco più di 4 – 5 metri) e leggere dotate di un potente motore<br />
fuoribordo (spesso anche di 200 Hp) e talvolta di radar, modificate mediante<br />
l’apposizione di un braccio trasversale con due supporti laterali ai quali<br />
vengono applicati altri due motori fuoribordo di minore potenza. Questi piccoli<br />
motori vengono montati in modo tale che le eliche possano girare toccando il<br />
fondo e smovendo così il sedimento lagunare. Una gabbia di ferro (la “rasca”)<br />
viene trascinata dall’imbarcazione in movimento e raccoglie le vongole.<br />
Anche in questo caso è facile intuire quali conseguenze subisca il fondo<br />
della laguna.<br />
Ma, come accennato in precedenza, l’attività di pesca non determina<br />
soltanto la progressiva distruzione dei fondali poiché costituisce quasi sempre<br />
un vero e proprio attentato alla salute dei consumatori. Vediamo perché.<br />
Quasi mai le imbarcazioni che esercitano la pesca abusiva svolgono la<br />
loro attività nelle aree destinate a tale scopo. Le zone preferite sono infatti<br />
quelle in cui la pesca è vietata perché interessate da vasti fenomeni di<br />
inquinamento. Non è raro vedere, passando sul ponte che collega Mestre a<br />
Venezia, numerosi barchini “al lavoro” in prossimità degli scarichi industriali<br />
di Marghera.<br />
Le vongole così pescate non sono, ovviamente, sottoposte ad alcun<br />
controllo di carattere sanitario e, seppure lo fossero, il controllo riguarderebbe<br />
solo parametri presi in esame dalle indagini di routine (ad esempio quelli<br />
relativi ai coliformi) e non anche quelli tesi ad individuare le sostanze presenti<br />
nelle acque dell’area industriale che, per fortuna, non si trovano normalmente<br />
nei prodotti destinati all’alimentazione umana.<br />
Il pescato viene quasi sempre immesso sul mercato nazionale attraverso<br />
canali paralleli a quelli della normale distribuzione dei prodotti utilizzando,<br />
molto spesso, documentazione sanitaria di accompagnamento contraffatta.<br />
E’ un grossissimo guadagno “in nero” per i pescatori abusivi che<br />
traggono così notevoli vantaggi da questa attività incuranti del danno che<br />
arrecano agli ignari consumatori. Secondo una stima approssimativa della<br />
Guardia di Finanza, ogni camion di vongole pescate abusivamente frutta un<br />
121
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
guadagno conseguente all’evasione della sola I.V.A. pari a circa 150 - 200<br />
milioni di lire.<br />
Le cifre ricavate dalla vendita al dettaglio sono ancora più elevate e<br />
parlano da sole. Possono essere citati, a titolo di esempio, i dati relativi ad<br />
un’operazione del Nucleo Antisofisticazione dei Carabinieri di Treviso.<br />
In un procedimento che vede coinvolte poco più di dieci persone per<br />
una serie di reati connessi alla pesca abusiva delle vongole, poi distribuite per il<br />
consumo con documentazione sanitaria falsa costituita da bollettari recanti un<br />
timbro oggetto di furto in danno di una USL o, in altri casi, recanti l’impronta<br />
di altro timbro ULS falsificato, si è calcolato che in un periodo di pochissimi<br />
mesi sono stati commercializzati - lo si ripete, soltanto da una decina di<br />
persone - oltre 600.000 Kg di vongole per un corrispettivo di circa due miliardi<br />
e cinquecento milioni di lire proveniente dalla vendita al dettaglio!<br />
L’operazione condotta dai NAS, per quanto importante, rappresenta<br />
solo una parte quasi insignificante nel giro complessivo di affari dei c.d.<br />
caparozzolanti.<br />
Il ricavato di queste attività illecite è talmente elevato che, nonostante il<br />
sistema delle bolle contraffatte sia stato scoperto, i pescatori abusivi<br />
continuano imperterriti ad utilizzarlo come dimostrano le decine di denunce<br />
provenienti anche da province limitrofe ed i recenti arresti per associazione a<br />
delinquere ai quali la stampa nazionale ha dato ampio risalto.<br />
Questa attività illecita, che rappresenta un danno evidente non solo<br />
economico ma anche di immagine per i pescatori “regolari”, non viene<br />
esercitata soltanto la notte quando i controlli sono resi più difficoltosi dalla<br />
scarsa visibilità, ma anche senza particolari problemi anche durante il giorno.<br />
Spesso gruppi organizzati di pescatori dispongono di “vedette” munite<br />
di apparecchi radio o cellulari per dare l’allarme in caso di intervento delle<br />
forze dell’ordine ed i barchini, in particolare, grazie ai potentissimi motori<br />
utilizzati ed alla conoscenza della laguna di chi li conduce possono sfuggire<br />
agli inseguimenti rifugiandosi sulle numerose secche dove le imbarcazioni<br />
delle forze di polizia non possono raggiungerli.<br />
Forse l’indifferenza al problema o, peggio, la tacita comprensione delle<br />
autorità preposte ai controlli ha per lungo tempo consentito lo sviluppo<br />
incontrollato di questo fenomeno che solo da pochi anni riceve la dovuta<br />
attenzione con interventi decisi da parte delle forse di polizia e della<br />
magistratura.<br />
Va poi precisato che gli interventi delle forze dell’ordine non<br />
presentano facilità di esecuzione non solo per le ragioni in precedenza<br />
illustrate, ma anche perché l’area da controllare è particolarmente vasta e,<br />
molto spesso, l’intervento non può essere portato a termine con successo se<br />
non con l’appoggio determinante degli elicotteri.<br />
A rendere ancor più difficoltosi i controlli contribuisce anche la<br />
assoluta mancanza di rispetto delle regole da parte degli equipaggi delle<br />
imbarcazioni e dei loro familiari i quali assumono atteggiamenti non solo di<br />
sfida alle autorità, ma anche estremamente violenti.<br />
122
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Per dare un’idea di cosa può succedere quando l’intervento delle forze<br />
dell’ordine – come spesso avviene – comporta non solo il sequestro del pescato<br />
e degli attrezzi (di valore contenuto) utilizzati per la pesca, ma anche<br />
dell’intera imbarcazione, è sufficiente ricordare alcuni episodi di cronaca.<br />
Uno dei più significativi avvenne qualche anno fa a seguito del<br />
sequestro di un “turbosoffiante” che pescava in zona di divieto in ore notturne.<br />
L’imbarcazione, sequestrata dal personale intervenuto, venne collocata presso<br />
la Capitaneria di Porto, dunque in zona militare. Immediatamente, in piena<br />
notte, si radunarono sul posto altri pescatori unitamente a loro familiari<br />
nonostante la distanza tra le isole ove gli stessi risiedono ed il luogo dove si<br />
trovava l’imbarcazione in sequestro. La Capitaneria venne assaltata da un<br />
numero considerevole di persone ed i locali vennero letteralmente devastati<br />
(furono distrutte le suppellettili, divelti i termosifoni, e compiuti altri atti di<br />
vandalismo).<br />
Il fatto fu talmente grave che il Procuratore Generale di Venezia ritenne<br />
di doverlo ricordare nella relazione sull’amministrazione della giustizia<br />
presentata il 15 gennaio 2000 in occasione della inaugurazione dell’anno<br />
giudiziario (pag. 13).<br />
Sempre in quell’occasione vennero ricordati altri episodi più recenti,<br />
pure verificatisi sempre in occasione di interventi delle forze dell’ordine.<br />
Si fece così riferimento agli innumerevoli atti di resistenza e tentativi di<br />
speronamento da parte dei pescatori abusivi ed, ancora, ad un altro<br />
significativo episodio avvenuto nell’isola di Pellestrina, una delle roccaforti dei<br />
pescatori abusivi.<br />
Si doveva, infatti, procedere al sequestro di 84 imbarcazioni<br />
“turbosoffianti” disposto dal G.I.P. per violazione dell’articolo 1231 del codice<br />
della navigazione, trattandosi di imbarcazioni che – per la presenza di<br />
caratteristiche costruttive particolari non erano in possesso dei requisiti in tema<br />
di sicurezza della navigazione.<br />
L’operazione, pianificata da tempo dalla Prefettura e dalla Questura,<br />
vide impegnati oltre 300 uomini appartenenti alla Polizia di Stato, la Guardia di<br />
Finanza e l’Arma dei Carabinieri provenienti anche da altre parti d’Italia.<br />
Nonostante l’imponente spiegamento di forze, i pescatori ed i loro familiari<br />
scatenarono una vera e propria azione di guerriglia urbana consentendo ai<br />
pescherecci di mollare gli ormeggi e prendere il largo.<br />
Vennero sequestrate solo 4 imbarcazioni su 84, mentre gli altri<br />
pescherecci dell’isola formarono un blocco navale che impedì alle<br />
imbarcazioni delle forze dell’ordine di rientrare nelle sedi di appartenenza<br />
(dovettero farlo uscendo in <strong>mare</strong> aperto ed aggirando, con un lungo percorso, il<br />
blocco che interessava l’area lagunare).<br />
I sequestri vennero effettuati solo nei giorni successivi.<br />
Spesso i “barchini” – forti del loro numero – occupano<br />
minacciosamente lo specchio d’acqua antistante la Stazione Navale della GdF<br />
nell’isola della Giudecca, praticamente di fronte a San Marco, quale reazione al<br />
123
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
sequestro di un natante dopo aver praticamente inseguito fino alla base<br />
l’imbarcazione militare che li aveva precedentemente sorpresi.<br />
Il Procuratore Generale di Venezia, nella relazione di cui si è detto, così<br />
commentava questi avvenimenti: “Tali episodi, che richiamano altri<br />
particolarmente violenti che hanno visto protagonisti in Puglia gruppi di<br />
contrabbandieri, sono emblematici di una certa cultura dell’illegalità e delle<br />
conseguenze cui porta. Sottrarsi ripetutamente con tali modalità all’Autorità<br />
delle decisioni giudiziarie è indicativo dei rilevanti guasti prodotti nel sistema<br />
da tale “cultura”.<br />
Non sorprenderà certo il lettore apprendere che tali affermazioni non<br />
sono state affatto gradite dai pescatori e dai loro familiari tanto che gli stessi si<br />
sono sentiti in dovere di rilasciare dichiarazioni fortemente critiche alla stampa<br />
locale.<br />
Costoro non perdono inoltre occasione per concedere interviste o<br />
lanciare appelli attraverso i mezzi di informazione rivendicando un proprio<br />
diritto ad esercitare la pesca con le modalità descritte e trovando talvolta,<br />
purtroppo, anche chi ne giustifica l’operato.<br />
Il fenomeno è stato oggetto di attenzione, anche recentemente, da parte<br />
dei mass media in generale e, in particolare, di un noto programma televisivo<br />
ed è assolutamente necessario che sia costantemente presente a tutti coloro che<br />
si occupano di tutela dell’ambiente e della salute non solo perché chi svolge<br />
l’attività illecita di pesca possa comprendere che non esistono “aree di<br />
extraterritorialità” dove la presenza dello Stato viene avvertita come una<br />
fastidiosa intrusione, ma anche per le gravi conseguenze che potrebbe<br />
determinare il diffondersi di un commercio clandestino di molluschi destinati al<br />
consumo umano senza i dovuti controlli sanitari.<br />
Fortunatamente, l’attività di repressione esercitata (seppure con i limiti<br />
in precedenza evidenziati) dalle forze di polizia comincia a fornire i primi<br />
risultati. Pesanti sanzioni sono state inflitte all’equipaggio di un “barchino” che<br />
aveva opposto resistenza ad una imbarcazione della Guardia di Finanza in<br />
occasione di un controllo effettuando evoluzioni pericolose e diversi<br />
speronamenti.<br />
Oltre al reato di resistenza a pubblico ufficiale, sanzionato dall’articolo<br />
337 C.P., in casi del genere risultano perfezionati anche gravi reati previsti dal<br />
codice della navigazione che si aggiungono a quelli contemplati dallo stesso<br />
codice e conseguenti alle modifiche effettuate sulle imbarcazioni per esercitare<br />
la pesca abusiva.<br />
Le imbarcazioni utilizzate dalle forze di polizia sono infatti qualificate<br />
come “navi da guerra” essendo dotate dei requisiti richiesti per tale categoria di<br />
natanti. Le attività finalizzate all’elusione dei controlli possono dunque<br />
configurare anche l’ipotesi di resistenza o violenza a nave da guerra punita<br />
dall’articolo 1100 con una pena da tre a dieci anni di reclusione per il<br />
comandante della nave, ovvero il meno grave reato previsto dall’articolo 1099<br />
(rifiuto di obbedienza a nave da guerra). Inoltre, quando i tentativi di<br />
speronamento sono tali da impedire il galleggiamento o la regolare navigazione<br />
124
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
del natante delle forze di polizia, può anche configurarsi il reato di naufragio,<br />
anch’esso pesantemente sanzionato.<br />
Nell’anno in corso, per meglio contrastare il fenomeno e verificarne in<br />
modo più incisivo la portata, la Procura della Repubblica ha organizzato il<br />
lavoro dei magistrati in modo tale da concentrare tutti i procedimenti in capo<br />
ad alcuni magistrati tanto per gli aspetti relativi alla pesca abusiva quanto per<br />
quelli riguardanti l’immissione in commercio di molluschi pesantemente<br />
inquinati. La soluzione consente, inoltre, una più meditata valutazione delle<br />
richieste di patteggiamento e dissequestro che puntualmente pervengono dopo<br />
l’azione delle forze dell’ordine al solo scopo di rientrare in possesso delle<br />
costose attrezzature sequestrate per riprendere l’attività ed evitare l’onere di<br />
gravose spese di custodia delle imbarcazioni.<br />
Va detto, infine, che reati sopra menzionati consentono anche l’arresto<br />
in flagranza dei responsabili ed a tale misura si è più volte fatto ricorso per<br />
reprimere un fenomeno ormai eccessivamente diffuso e che merita, da parte di<br />
tutti, una continua attenzione in quanto terreno fertile per possibili infiltrazioni,<br />
sinora fortunatamente solo paventate dagli organi di stampa, da parte della<br />
criminalità organizzata.<br />
9.6 Tonno, un patrimonio da depredare<br />
Davanti alle coste di Siracusa, da qualche tempo si può assistere ad una<br />
strana processione sull’acqua. Sei rimorchiatori vanno su e giù poche miglia al<br />
largo trascinando notte e giorno enormi gabbie piene di tonni. Non possono<br />
fermarsi perché non hanno ancora ottenuto una concessione demaniale per<br />
l’installazione delle gabbie e così sono costretti a navigare con il loro strano<br />
carico, a bassissima velocità. Il sabato e la domenica l’area attorno alle gabbie<br />
si affolla di barche di pescatori sportivi che buttano le lenze in acque dove la<br />
presenza dei tonni richiama un gran numero di pesci. Qualche furbo è riuscito<br />
addirittura, nottetempo, a gettare l’amo con successo anche dentro le gabbie. I<br />
tonni all’ingrasso nelle gabbie sono l’ultima trovata della pesca al tonno, forse<br />
la pesca più redditizia del Mediterraneo. E’ stato calcolato che ognuna delle sei<br />
gabbie che navigano nelle acque siracusane frutta ai proprietari, una società<br />
siculo-giapponese, circa 50 miliardi di vecchie lire. In Spagna ci sono già 40<br />
gabbie per l’ingrasso dei tonni (m.50x70) mentre altre ne sono state realizzate<br />
in Marocco, Croazia e Malta. Il nostro Paese sta provvedendo. Il tonno, una<br />
volta ingrassato, arriva sul mercato di Tokio spuntando prezzi superiori al<br />
milione di lire al chilo. Chi non si è attrezzato con le gabbie vende il pescato<br />
alle navi giapponesi, taiwanesi o coreane che stazionano nel Mediterraneo, lo<br />
acquistano in acque internazionali pagandolo da 12$ ad oltre 26$ al chilo, per<br />
gli esemplari meno traumatizzati. La preparazione sapiente dei macellatori<br />
giapponesi e il viaggio in aereo fino a Tokio riesce insomma a moltiplicare il<br />
valore del tonno anche per cinquanta volte.<br />
125
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Nelle vecchie tonnare costiere, quelle di Favignana o di Carloforte, la<br />
cattura dei tonni e la relativa mattanza è ormai solo una messa in scena per<br />
turisti annoiati e dallo stomaco forte. In realtà sono pochissimi i tonni che<br />
dall’Atlantico, attraverso lo stretto di Gibilterra, riescono ad arrivare fino alle<br />
coste di Sicilia e Sardegna. La prima pesca la fanno gli aerei che intercettano i<br />
branchi di tonni al largo, ne segnalano la posizione alle tonnare volanti che<br />
stendono le grandi reti a circuizione. Cattura e vendita avvengono al largo, in<br />
acque internazionali, con buona pace dei tentativi di regolamentazione di<br />
questo tipo di pesca.<br />
Qualche anno fa la Commissione Europea (obbligata dall’ICCAT,<br />
l’organismo della Fao per la conservazione dei tunnidi) adottò per il tonno la<br />
politica delle quote, nel tentativo di salvaguardare lo stock del tonno rosso.<br />
Sulla base dei dati prodotti dagli stessi pescatori l’UE assegnò alle<br />
imbarcazioni italiane un tetto massimo di 5000 tonnellate ritenendo che quella<br />
fosse la capacità di pesca della nostra flotta, salvo poi scoprire, secondo stime<br />
più verosimili, che i pescatori tiravano su in realtà oltre 12.000 tonnellate di<br />
tonno. E lo sforzo di pesca sul tonno del Mediterraneo continua ad aumentare e<br />
del resto non potrebbe essere altrimenti, dal momento che i Paesi tenuti a<br />
rispettare le norme comunitarie sono solo 4 dei 22 che si affacciano sul bacino<br />
del Mediterraneo: la flotta tunisina nel giro di qualche anno è passata da 10 a<br />
80 tonnare, la Turchia ha riconvertito alla pesca del tonno i ciancioli utilizzati<br />
per le acciughe, in Marocco proliferano le società miste che utilizzano le reti<br />
derivanti per la cattura dei tonni. Fuori dalle norme ICCAT anche la pesca<br />
praticata dai Paesi terzi, Corea, Taiwan, Belize, Panama, ecc., che seguono i<br />
branchi di tonni con le grandi navi palangriere o da trasporto. I giapponesi<br />
stendono normalmente due palangari in parallelo lunghi oltre 100 chilometri,<br />
spesso oggetto di furti del pescato da parte di imbarcazioni italiane e maltesi<br />
che, in classico stile levantino, recuperano i tonni e provvedono a rivenderli ai<br />
derubati. Nella pesca del tonno ci sta anche questo.<br />
La vicenda del tonno è emblematica: lo stock del tonno è una risorsa<br />
comune per tutti i Paesi del Mediterraneo, ma i tentativi di gestione della<br />
risorsa vengono praticati solo da pochi Paesi. La politica delle quote ha<br />
difficoltà reali d’applicazione. I controlli cartacei vengono elusi facilmente, è<br />
difficile controllare quello che avviene al largo, senza considerare l’impatto<br />
ambientale che le gabbie pare stiano generando. Se c’era bisogno poi di una<br />
conferma sui problemi della politica delle quote, basterebbe andare a vedere<br />
cosa è successo nei Mari del Nord con merluzzo e baccalà per i quali,<br />
nonostante i drastici tagli dello sforzo di pesca, si parla di almeno dieci anni<br />
prima di poter recuperare i danni subiti dagli stocks. Come è già accaduto per il<br />
pesce spada, l’estrema specializzazione verso un tipo di pesca porta alla<br />
progressiva diminuzione della risorsa.<br />
La confusione sopra il <strong>mare</strong> insomma è grande, ma la situazione non è<br />
affatto eccellente. La politica di quote e demolizione per ridurre lo sforzo di<br />
pesca praticata dall’UE diminuisce le flotte, ma non intacca la capacità di<br />
pesca. E del resto non poteva essere altrimenti per strumenti di gestione che<br />
126
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
sono stati trasferiti tal quali dai Mari del Nord al Mediterraneo senza tararli<br />
sulle specificità e le caratteristiche delle flotte mediterranee.<br />
9.7 Il cianciolo, una strage a norma di legge<br />
Nei primi mesi dell’anno è stato fatto passare in sordina un<br />
provvedimento vergognoso che rischia di danneggiare in modo gravissimo<br />
l’ecosistema marino, soprattutto le praterie di posidonia, nonché<br />
compromettere seriamente l’economia di molte zone costiere d’Italia, in cui si<br />
vive di piccola pesca praticata con attrezzi artigianali. Si tratta di un<br />
provvedimento del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali che<br />
consentirà di pescare con un tipo specifico di rete a circuizione anche<br />
sottocosta, fino ai 30metri di profondità, provocando gravi danni ai fondali<br />
marini. In breve, nel nostro paese esiste una legge che dal 1965 vieta la pesca<br />
con le reti a strascico, le sciabiche o reti analoghe fino ai 50 metri di<br />
profondità. In questa norma rientra anche un tipo di pesca a circuizione detta<br />
con il cianciolo, una grande rete che può arrivare a misurare 800 metri<br />
lunghezza e 300 metri di altezza, usata per la pesca dei banchi di pesce<br />
pelagico in <strong>mare</strong> aperto. In Italia, e in particolare nel napoletano, questo tipo di<br />
pesca viene effettuata anche sottocosta, adagiata sul fondo con l’ausilio di pesi<br />
e catene, e quando il sacco viene chiuso imprigiona tutta la colonna d’acqua<br />
dalla superficie al fondale e ara il fondo come una rete a strascico. Questa<br />
pratica è altamente distruttiva per i fondali, - le praterie di Posidonia oceanica<br />
vengono danneggiate in modo gravissimo - affatto selettiva per il tipo di specie<br />
pescata e grazie al provvedimento voluto dal Ministero delle Politiche<br />
Agricole, diventerà legale. La “trovata” del Ministero è stata quella di applicare<br />
una normativa europea che consente questo tipo di pesca fino ai 30 metri, con<br />
la motivazione che la normativa comunitaria prevale sempre su quella<br />
nazionale. Motivazione priva di ogni senso, perché essendo la legge nazionale<br />
più restrittiva e migliorativa per la tutela dell’ambiente di quella europea, in<br />
realtà il Ministero non aveva nessun obbligo ad emanare questa nuova norma.<br />
Nasce forte il sospetto che si tratti di un “favore” per compiacere l’interesse di<br />
pochi, con scarso interesse alle gravi conseguenze dei danni all’ambiente e<br />
delle persone.<br />
9.8 L’allarme diossina<br />
La valutazione qualitativa e quantitativa della presenza di sostanze<br />
chimiche contaminanti e di altri materiali di origine antropica nei prodotti ittici<br />
rappresenta uno degli aspetti emergenti da tenere sotto osservazione in<br />
un’ottica di controllo e certificazione della qualità dei prodotti del <strong>mare</strong> e<br />
dell’acquacultura. Studi recenti evidenziano come differenti tecniche di<br />
allevamento ed ambienti marini caratterizzati da livelli diversi di inquinamento<br />
127
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
determinano condizioni di bioaccumulo di sostanze inquinanti nei tessuti. In<br />
particolare è proprio l’alimentazione attraverso mangimi artificiali e trattamenti<br />
con ormoni e farmaci a rappresentare uno dei fattori in gradi di condizionare la<br />
qualità del pesce. Secondo uno studio dell’Università di Siena, le analisi sui<br />
pesci italiani dicono che i valori di tossici equivalenti alla diossina nel<br />
Mediterraneo sono bassi, mentre è evidente che l’emergenza riguarda<br />
prevalentemente i prodotti provenienti dai Mari del Nord, dove i dati mostrano<br />
presenza di sostanze inquinanti molto superiori a quelle della nostra penisola.<br />
Il discorso cambia se si prendono in analisi le grandi specie pelegiche<br />
(tonni e pesce spada) che per le grandi dimensioni che raggiungono e per le<br />
loro caratteristiche alimentari predatorie sono le specie più a rischio diossina e<br />
PCB. Recenti studi sulle specie ittiche del Mediterraneo dimostrano infatti che<br />
in queste due specie sono state trovate notevoli quantità di queste sostanze<br />
inquinanti, (da 990 a 2070 pg/kg p.f nei tonni e da 1470 a 1660 pg/kg p.f. nei<br />
pesce spada) tanto che si consiglia di non superare un assunzione settimanale<br />
superiore ai 500g di prodotto fresco (la quantità di assunzione tollerata per<br />
settimana secondo l’Organizzazione mondiale della sanità è di 700pg per donne<br />
di 50Kg e di 1120pg per uomini di 80 Kg di peso).<br />
9.9 Allevamento ittico, una fotografia a chiaro scuri<br />
La stragrande maggioranza di pesce consumato sulle nostre tavole<br />
proviene dagli allevamenti. Ma si può davvero essere sicuri del pesce che<br />
finisce nei nostri piatti? Quali sono le garanzie per i consumatori di non<br />
trovarsi a mangiare una bella spigola, allevata ad antibiotici, nutrita con<br />
mangimi di dubbia provenienza e cresciuta in vasche pulite con sostanze<br />
tossiche, se non addirittura cancerogene? Se è vero, infatti, che la produzione<br />
italiana per la maggior parte è garantita, altrettanto non si può dire per quella<br />
che arriva dall’estero - più del 60% del pesce che finisce sulle nostre tavole -<br />
dove regna, soprattutto negli allevamenti dei paesi extra-europei una totale<br />
deregulation. Per scongiurare il rischio di una nuova emergenza alimentare, è<br />
necessario che il nostro Paese si doti perciò urgentemente di una normativa più<br />
rigorosa e precisa per garantire la sicurezza dei consumatori. Da una legge che<br />
non ammetta frodi e sofisticazioni, ad una sorta di “vademecum del buon<br />
allevamento” per certificare ogni passaggio della filiera produttiva, dalla<br />
preparazione del mangime all’arrivo del prodotto sui banchi di vendita..<br />
L’import di prodotti ittici<br />
Si stima che una quota superiore al 60% dei prodotti ittici arrivi da oltre<br />
frontiera. In cifre questo vuol dire che nel primo semestre del 2001 sono state<br />
importate più di 400mila tonnellate di pesce, provenienti per più del 56% dai<br />
paesi dell’UE (Spagna, Danimarca, Olanda, Francia, Grecia, Regno Unito e<br />
Germania) e per il restante 44% (più di 177mila tonnellate) da altri paesi fra cui<br />
Argentina, Marocco, Thailandia e Colombia.<br />
128
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
E’ nell’importazione, soprattutto quella dai paesi extra-europei, che<br />
risiede il rischio maggiore per il pesce che consumiamo sulle nostre tavole. La<br />
garanzia di un prodotto “di qualità” in questi casi è assolutamente aleatoria e il<br />
rischio per il consumatore italiano, risiede proprio nel fatto che al momento<br />
dell’acquisto, nella maggioranza dei casi, non è assolutamente possibile<br />
distinguere il prodotto nostrano da quello proveniente da altri paesi.<br />
Ma quali sono i maggiori rischi evidenziati? In primo luogo, in molti<br />
dei paesi extra-europei importatori vige un regime da far-west, in cui è<br />
consentita qualunque frode, purché venga garantito il profitto economico.<br />
Alcuni esempi:<br />
- si utilizzano antibiotici nella fase larvale del pesce che conseguentemente<br />
finiscono nel piatto del consumatore;<br />
- per la disinfestazione delle vasche vengono adoperate sostanze tossiche o<br />
addirittura cancerogene come il furaltadone, il furazolidone (sostanze<br />
potenzialmente tossici), il verde malachite (nocivo per esposizione acuta,<br />
presenta gravi rischi per la salute se ingerito, inalato o portato a contatto<br />
con la pelle), la formalina. Anche in questo caso la catena alimentare porta<br />
queste sostanze direttamente dalle carni del pesce al piatto di chi mangia;<br />
- negli impianti di maricoltura per la protezione delle reti vengono utilizzate<br />
vernici antifouling, che contengono stagno, altri metalli pesanti e PCB,<br />
Policlorobifenile (cancerogeno)<br />
- si utilizzano mangimi scadenti, in alcuni casi vere e proprie concentrazioni<br />
di veleni.<br />
Provenienza delle principali specie di importazione dell’acquacoltura<br />
Spigole ed orate dalla Grecia, Turchia, Malta e Tunisia<br />
Salmone dalla Norvegia, Scozia e Cile<br />
Mitili dalla Spagna e dalla Grecia<br />
Ostriche dalla Francia<br />
Cozze dalla Grecia e dell’Albania<br />
La situazione italiana<br />
La garanzia dei prodotti ittici allevati nel nostro paese arriva<br />
principalmente dall’autocontrollo da parte delle cooperative di pescatori. Non<br />
solo, grazie all’introduzione della normativa Haccp destinata a tutti i produttori<br />
(Analisi del Rischio e Controllo dei Punti Critici) periodicamente gli impianti<br />
di maricoltura e pescicoltura vengono sottoposti alle ispezioni da parte delle<br />
Asl locali, dei Nas che una volta l’anno controllano i mangimi, dei Laboratori<br />
di Igiene e profilassi che due volte l’anno controllano le acque reflue.<br />
Ma la buona volontà e lo spontaneismo dei produttori non bastano. Nel<br />
nostro paese, infatti, ancora non esiste una reale garanzia per fer<strong>mare</strong> la frode e<br />
le incertezze e il potenziale di rischio legati all’emergenza alimentare,<br />
dimostrano che non è possibile abbassare la guardia. Attualmente in Italia non<br />
esiste una legge in materia. E’ perciò urgentissimo che si istituisca un quadro<br />
normativo preciso e rigoroso che fissi, senza possibilità di deroga, quelle<br />
129
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
norme di sicurezza e garanzia irrinunciabili. Attraverso il rafforzamento dei<br />
sistemi di prevenzione ed un controllo esteso a tutta la catena produttiva,<br />
attraverso procedure di tracciabilità del prodotto, attraverso l’etichettatura di<br />
origine e adeguate clausole di cautela.<br />
Allo stato attuale l’unico provvedimento in tal senso riguarda l’utilizzo<br />
di farine animali ed è previsto nell’emendamento alla Legge Finanziaria a<br />
favore dell’agricoltura biologica, approvato alla camera lo scorso novembre.<br />
Nell’emendamento si stabilisce che gli animali da allevamento devono essere<br />
nutriti compatibilmente con l’alimentazione naturale ed etologica della singola<br />
specie, e pertanto ai pesci vanno somministrate solo farine di pesce.<br />
Le regole del buon allevamento<br />
E’ necessario istituire una piattaforma su cui impostare una normativa<br />
rigorosa in materia di allevamento ittico e che garantisca al consumatore<br />
l’acquisto di un prodotto sano e garantito e, soprattutto, scongiuri il rischio di<br />
un’emergenza alimentare. Le linee guida dovrebbero ricalcare quelle del codice<br />
FAO dell’acquacoltura responsabile. In particolare:<br />
- certificare e controllare ogni passaggio della filiera produttiva, dalla<br />
preparazione del mangime all’arrivo del prodotto sui banchi di vendita;<br />
- vietare l’utilizzo di qualunque sostanza o procedura nell’allevamento<br />
pericolosa per la salute del consumatore (antibiotici, sostanze tossiche,<br />
vernici antifouling, etc);<br />
- utilizzo di mangimi selezionati e di cui si conosca la provenienza e la<br />
produzione;<br />
- imporre la riconoscibilità del prodotto nazionale, attraverso l’etichettatura<br />
del pescato;<br />
- garantire la catena del freddo (+4° costanti) dal momento della pesca, al<br />
trasporto, fino a quello della vendita;<br />
- per la tutela dell’ambiente impedire l’introduzione di specie alloctone, che<br />
rischiano di compromettere l’ecosistema marino ed imporre la VIA<br />
(Valutazione di Impatto Ambientale) per la realizzazione degli impianti di<br />
maricoltura.<br />
Prodotti ittici a rischio: come difendersi<br />
La repressione del fenomeno della vendita abusiva di prodotti ittici<br />
resta la strategia principale ma deve essere necessariamente accompagnata<br />
dall’informazione e la profilassi per combattere la diffusione del virus<br />
dell’epatite e di malattie gastroenteriti ed intossicazione alimentari. L’invito ai<br />
consumatori resta sempre quello di diffidare dalle rivendite abusive e di<br />
affidarsi solo a commercianti di fiducia. Recentemente si è molto parlato di<br />
etichettatura del pesce per certificare la provenienza del prodotto e garantire la<br />
salute dei consumatori. La lodevole iniziativa del Ministero delle Politiche<br />
Agricole, a parte il merito di aver riempito le pagine dei giornali, desta qualche<br />
perplessità sulla reale efficacia per la garanzia dei consumatori. Sull’etichetta,<br />
infatti, vengono indicate soltanto il nome della specie, se il prodotto è di<br />
130
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
allevamento o pescato in <strong>mare</strong> libero, la zona di provenienza in modo<br />
assolutamente generico: Italia se si tratta di allevamento, Mediterraneo se si<br />
tratta di pescato. Come, da queste specifiche si possano evincere delle garanzie<br />
di qualità e di freschezza del pesce rimane un mistero, affiancato però alla<br />
speranza che questa iniziativa sia solo un primo passo e non un’occasione<br />
mancata.<br />
Il fenomeno della vendita abusiva si intensifica con l’arrivo dell’estate e nelle<br />
prossimità delle festività natalizie. <strong>Legambiente</strong> propone un piccolo<br />
vademecum per i consumatori per un acquisto all'insegna della sicurezza<br />
alimentare:<br />
1) in prossimità dell’estate, venditori di cozze ed altri mitili sorgono come<br />
funghi, si moltiplicano e ne trovi uno ad ogni angolo La prima regola è non<br />
comprare mai frutti di <strong>mare</strong> da rivenditori che non conoscete. Rivolgetevi solo<br />
alle vostre pescherie di fiducia e diffidate dell’aspetto sano( per farle diventare<br />
lucide basta un po’ d’acqua).<br />
2) i mitili devono essere acquistati nelle reti con etichettatura e devono essere<br />
muniti di bollo sanitario che va conservato per 60 giorni;<br />
3) i mitili vanno sempre consumati cotti, con una cottura di almeno 15 minuti;<br />
evitare di mangiare cozze che rimangono chiuse dopo la cottura; odorare il<br />
frutto di <strong>mare</strong> prima di acquistarlo. Ricordatevi che il limone non disinfetta i<br />
frutti di <strong>mare</strong> crudi e non salva da infezioni pericolose;<br />
4) spigole, orate devono avere branchie rosso vivo, devono avere aspetto<br />
lucente, l'occhio vivo;<br />
5) non comprare e ordinare al ristorante piatti con datteri di <strong>mare</strong>: è fuori legge<br />
e per pescare la quantità di datteri di <strong>mare</strong> necessaria per preparare tre piatti di<br />
linguine un metro quadrato di fondale marino viene ridotto a deserto roccioso<br />
privo di qualsiasi forma di vita.<br />
131
10. Il <strong>mare</strong> inquinato<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Un dato in contro tendenza quello sui reati per inquinamento del <strong>mare</strong><br />
(erano stati 2.616 nel 2000 e sono diminuiti a 602 nel 2001) rispetto al quadro<br />
generale delle illegalità in Italia. Questo risulta dalle elaborazioni di<br />
<strong>Legambiente</strong> sui dati delle forze dell’ordine e delle Capitanerie di porto.<br />
La Sicilia sale al primo posto anche in questa classifica, con 165 reati,<br />
spodestando la Calabria che “vanta” 110 infrazioni accertate. Grande balzo in<br />
avanti della Liguria (dall’ottavo posto del 2000 sale sul podio nel 2001) e del<br />
Lazio in quarta posizione che nella classifica precedente era invece decimo.<br />
Scendono invece di diverse posizioni la Puglia, l’Abruzzo e le Marche.<br />
LA CLASSIFICA DEL MARE INQUINATO NEL 2001<br />
Regione Infrazioni Persone denunciate Sequestri<br />
accertate o arrestate effettuati<br />
1 Sicilia ↑ 165 110 5<br />
2 Calabria ↓ 110 113 20<br />
3 Liguria ↑ 68 42 0<br />
4 Lazio ↑ 52 44 9<br />
5 Sardegna ↔ 46 48 4<br />
6 Campania ↓ 40 35 6<br />
7 Toscana ↑ 36 36 0<br />
8 Puglia ↓ 17 17 0<br />
9 Friuli Venezia Giulia ↑ 16 11 4<br />
10 Emilia Romagna ↑ 14 14 0<br />
11 Veneto ↔ 13 10 2<br />
12 Abruzzo ↓ 11 10 0<br />
13 Marche ↓ 9 9 0<br />
14 Molise ↔ 5 5 0<br />
15 Basilicata ↔ 0 0 0<br />
Totale 602 504 50<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Comando Carabinieri tutela ambiente,<br />
Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e Capitanerie di<br />
porto.<br />
132
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
10.1 I dati del Ministero della Salute sulle acque di balneazione<br />
All’inizio del mese di maggio, come ogni anno, il Ministero della<br />
Salute ha presentato il Rapporto annuale sulla qualità delle acque di<br />
balneazione, valido per la stagione balneare di quest’anno. Dei 7.375 km totali<br />
ne risultano balneabili 5017,1, pari al 68%. Analizzando i singoli dati<br />
l’aumento della costa balneabile di quest’anno rispetto all’anno precedente<br />
(5017 contro i 4842,6 del 2001) non è dovuto ad un miglioramento della<br />
qualità delle acque, ma semplicemente ad un aumento dei controlli: la<br />
percentuale della costa balneabile rispetto al totale della costa controllata si<br />
attesta intorno al 97,5% (97,3% nell’anno scorso). Sono invece 400,5 i km di<br />
costa che risultano inquinati, rappresentando un rischio per la salute dei<br />
bagnanti. 269,7 di questi lo sono in maniera permanente tanto che su di essi<br />
non viene più fatto alcun tipo di monitoraggio.<br />
Esaminando i dati a livello regionale, ancora una volta la “maglia nera”<br />
spetta alla Campania, come regione con la maggiore percentuale di chilometri<br />
costieri non idonei alla balneazione per inquinamento (84,1km, pari al 17,9%),<br />
seguita dal Lazio (36,15km, pari al 10%). Tra le province, la più inquinata è<br />
Caserta con il 47,5% di costa non balneabile, seguita da Napoli (22,9%) e<br />
Roma con il 16,2%.<br />
Nel 2001 circa 129 km di costa sono risultati balneabili facendo ricorso<br />
alla deroga per quanto riguarda i limiti della percentuale di saturazione<br />
dell’ossigeno disciolto (regioni Sardegna, Veneto, Emilia-Romagna, Marche,<br />
Toscana e Lazio), registrando una diminuzione rispetto ai circa 250 km<br />
dell’anno scorso, determinata soprattutto dai 140km in meno della costa sarda.<br />
Come punti negativi riguardo al ricorso alla deroga di questo parametro, è da<br />
registrare che l’anno passato la Toscana non aveva richiesto tale deroga, che<br />
invece quest’anno ritorna per 2,2 km della costa lucchese, e che il Lazio<br />
aumenta i km di costa complessivi che fanno ricorso a tale deroga, pari a 23,2<br />
nella sola provincia di Roma (nella stessa l’anno scorso erano 4,4), la costa<br />
soggetta a deroga aumenta anche nelle Marche e nel Veneto (di circa 1 km in<br />
entrambi i casi).<br />
E’ da chiedersi ancora una volta il senso delle continue deroghe che ad<br />
inizio di ogni stagione balneare vengono date ad alcune regioni. Sembra<br />
mancare del tutto la consapevolezza che per dare un futuro alla vocazione<br />
balneare dell’Italia, bisognerebbe concedere meno deroghe e impegnarsi di più<br />
per migliorare davvero la qualità ambientale delle coste, delle spiagge, del<br />
<strong>mare</strong>. Sarebbe inoltre molto utile capire quali sono le principali cause<br />
dell’inquinamento delle coste, e quindi oltre a fare i campionamenti delle acque<br />
di <strong>mare</strong>, è necessario avere il quadro di cosa succede nell’entroterra. Questo è<br />
stato l’approccio utilizzato dalla scorsa Commissione sulle acque di<br />
balneazione (decaduta a settembre 2000) che ha portato alla redazione e<br />
all’inserimento nel rapporto annuale sulle acque di balneazione anche di un<br />
resoconto delle acque interne, della depurazione ecc. , di cui non c’è più traccia<br />
nel rapporto del Ministero.<br />
133
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Tali rapporti ambientali, di relazione tra i dati sulla qualità delle acque<br />
di balneazione e le pressioni antropiche presenti sul territorio, sono peraltro<br />
necessari per le azioni di risanamento già previsti dal testo unico sulle acque<br />
152/99, e rientrano nelle indicazioni della commissione europea di revisione<br />
della direttiva comunitaria sulla qualità delle acque di balneazione, in quanto<br />
strumenti utili anche ai fini della tutela delle acque a scopo ricreativo.<br />
A partire da quest’anno è in vigore l’art.17 della legge 422 del<br />
dicembre 2000, che prevede alcune modifiche al Dpr.470/82, rese necessarie<br />
per rendere il nostro ordinamento omogeneo alla direttiva comunitaria<br />
d’origine. Le principali modifiche riguardano la definizione della qualità delle<br />
acque di balneazione e il numero di prelievi minimi da effettuare nell’arco di<br />
tempo dei sei mesi previsti come periodo di riferimento, in pratica i 12 prelievi<br />
divengono il minimo possibile, per cui attualmente non è possibile rivedere il<br />
giudizio di balneabilità del Rapporto del Ministero durante la stagione balneare<br />
in corso.<br />
In base a questa legge di modifica le competenze dei controlli della<br />
qualità delle acque di balneazione passano alle Agenzie regionali di protezione<br />
ambientale (che non esistevano al momento della stesura del Dpr.470/82).<br />
Inoltre, tale legge risulta maggiormente restrittiva, in particolare:<br />
l’art. 7 è completamente sostituito e non esiste più la possibilità<br />
di definire un punto “temporaneamente non balneabile” e durante la stagione<br />
balneare in corso in caso di risultati sfavorevoli, non esiste più la chance dei 5<br />
prelievi consecutivi favorevoli, infatti nel caso in cui : “i risultati dei campioni<br />
routinari prelevati in uno stesso punto dimostrino la non idoneità alla<br />
balneazione con un numero di campioni non conformi superiori ad un terzo di<br />
quelli effettuati, la zona interessata dovrà essere vietata alla balneazione”.<br />
La zona sarà nuovamente aperta alla balneazione qualora, rimosse la<br />
cause di inquinamento, i campioni effettuati negli ultimi sei mesi (anche a<br />
cavallo di due stagioni balneari ) diano esito favorevole.<br />
qualora i parametri coliformi totali e coliformi fecali superino i<br />
valori di 10.000/100ml e 2000/100 ml, la percentuale dei campioni conformi<br />
per detti parametri è aumentata al 95 per cento (anziché all’80 %);<br />
se nella stagione balneare precedente sono stati effettuati<br />
campionamenti in numero inferiore a quelli minimi previsti, la zona dovrà<br />
essere vietata alla balneazione e il divieto potrà essere rimosso solo a seguito<br />
dell’esito favorevole di analisi eseguite per un intero periodo di<br />
campionamento.<br />
Particolarmente importante è l’inserimento degli obblighi per le<br />
Regioni di adottare misure di miglioramento, nel rispetto delle disposizioni del<br />
decreto legislativo 152/99 (con obbligo di comunicazione al Ministero<br />
dell’Ambiente ogni anno), quindi non è più possibile vietare in maniera<br />
permanente alla balneazione tratti di costa per inquinamento, ma è necessario<br />
rimuovere i fattori d’impatto che ne hanno determinato la non balneabilità.<br />
134
REGIONE<br />
PROVINCIA<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
RAPPORTO QUALITA’ DELLE ACQUE DI BALNEAZIONE<br />
COSTA TEMP.<br />
VIETATA PER<br />
INQUIN.<br />
(KM)<br />
COSTA<br />
PERMAN.<br />
VIETATA PER<br />
INQUIN. (KM)<br />
COSTA NON<br />
CONTROLLA-<br />
TA O INSUFF.<br />
CAMPIO-<br />
NATA<br />
(KM)<br />
COSTA<br />
CON<br />
DEROGHE<br />
(KM)<br />
COSTA<br />
BALNEA-<br />
BILE (KM)<br />
Imperia 3,1 0.0 0.0 0.0 54.0<br />
Savona 2,2 0.0 0.0 0.0 69,0<br />
Genova 5,0 0.8 0.0 0.0 77,3<br />
La Spezia 0.4 0.3 0.0 0.0 76.2<br />
LIGURIA 10,7 1.1 0.0 0.0 276,5<br />
Forlì 0.0 0.2 0.0 1,5 8,8<br />
Ravenna 0.0 2.0 0.0 6,5 36,3<br />
Ferrara 0.0 0.0 0.0 16.3 21,8<br />
Rimini 0.3 0.5 0.0 0.0 32,1<br />
EMILIA<br />
ROMAGNA<br />
0.3 2.7 0.0 24,3 99,0<br />
Rovigo 0,0 0.0 0.0 13.6 13,6<br />
Venezia 3,4 0.0 0.0 0.0 89,5<br />
VENETO 3,4 0.0 0.0 13.6 103,1<br />
Udine 0.0 0.0 0.0 0.0 12.5<br />
Gorizia 0.0 0.0 0.0 0.0 25.3<br />
Trieste 0.0 0.0 0.0 0.0 24.6<br />
FRIULI<br />
VENEZIA<br />
GIULIA<br />
0.0 0.0 0.0 0.0 62.4<br />
Massa<br />
Carrara<br />
0,1 0.5 0.0 0.0 10.1<br />
Lucca 0,1 0.0 0.0 2,2 19.7<br />
Pisa 0,0 4.4 0.0 0.0 25,1<br />
Livorno 0,4 1,0 72.6 0.0 195,9<br />
Grosseto 0.0 4.8 55.2 0.0 136,2<br />
TOSCANA 0,6 10,7 127.8 2,2 387.0<br />
Viterbo 0,0 2.2 0.0 0.0 25.5<br />
Roma 3,9 19.1 0.0 23,2 89,5<br />
Latina 5,0 6.1 0.0 0,0 162,8<br />
LAZIO 8,9 27.4 0.0 23,2 277,8<br />
Chieti 0.2 3.9 0.0 0.0 60.9<br />
Pescara 1.4 0.6 0.0 0.0 10,5<br />
Teramo 0.0 1.2 0.0 0.0 43,4<br />
ABRUZZO 1,6 5.7 0.0 0.0 114,8<br />
Campobasso 0.0 0.7 0.0 0.0 34,4<br />
135
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
MOLISE 0.0 0.7 0.0 0.0 34,4<br />
Ascoli Piceno 0.6 3,2 0.0 2,2 42.5<br />
Macerata 1,6 1.5 0.0 0.0 18.1<br />
Ancona 0,0 2,6 0.0 0.0 47.5<br />
Pesaro 0.1 1,0 0.0 17.1 42.8<br />
MARCHE 2,3 8,3 0.0 19.3 150.9<br />
Caserta 21.4 0.0 0.0 0.0 22,3<br />
Napoli 35.7 15,1 2.2 0.0 149,8<br />
Salerno 11.8 0.0 0.0 0.0 181,3<br />
CAMPANIA 68,9 15,1 2.2 0.0 354,0<br />
Potenza 0.0 0.0 1.3 0.0 22,3<br />
Matera 0.0 1.6 0.0 0.0 36.3<br />
BASILICATA 0.0 1.6 1.3 0.0 58,6<br />
Catanzaro 1,9 5.8 0,0 0.0 94,5<br />
Cosenza 1,1 14.4 2.2 0.0 205.3<br />
Crotone 0.0 2,0 2.5 0.0 100,0<br />
Reggio<br />
Calabria<br />
3,0 4.9 2.1 0.0 174,6<br />
Vibo<br />
0,0 2.7 0.9 0.0 63,5<br />
Valentia<br />
CALABRIA 6,0 29.8 7.7 0.0 637,9<br />
Foggia 12,9 6.7 8,7 0.0 192,8<br />
Bari 6,7 16,3 8.5 0.0 108,5<br />
Taranto 0.0 0.8 23.5 0.0 85.5<br />
Brindisi 0.0 4.3 1.8 0.0 83,0<br />
Lecce 0.0 13.4 29,8 0.0 212,8<br />
PUGLIA 19,6 41,5 72,3 0.0 682,6<br />
Trapani 0.0 7.2 168.0 0.0 145.4<br />
Palermo 2,5 22.9 23,9 0.0 98,0<br />
Messina 0.6 19.1 22,5 0.0 320,8<br />
Agrigento 0.0 3,8 76,1 0.0 108.5<br />
Caltanissetta 2.4 0.9 0.0 0.0 24.9<br />
Catania 0.8 3.8 3,1 0.0 43.0<br />
Ragusa 0.4 0.6 8.4 0.0 83.5<br />
Siracusa 0.6 5.6 2.9 0.0 105.9<br />
SICILIA 7,3 63.9 304,9 0.0 930,0<br />
Sassari 0,1 38,0 330,0 20,2 352,6<br />
Nuoro 1,1 4.6 70.0 5,6 151,1<br />
Cagliari 0.0 12.9 140.5 3,8 271,8<br />
Oristano 0.0 5.7 15.7 16,7 72,6<br />
SARDEGNA 1,2 61.2 557.0 46,3 848.1<br />
Totale Nazionale 130,8 269.7 1.073,2 128,9 5017,1<br />
Fonte: Ministero della Sanità, <strong>2002</strong><br />
136
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
10.2 Le analisi di Goletta Verde 2001<br />
Da un paio di anni è in discussione in sede europea la revisione della<br />
direttiva 76/160/CEE, sulla qualità delle acque di balneazione, da cui discende<br />
il Dpr.470/82, che dovrà tener conto della direttiva quadro sulle acque, che<br />
l’Italia ha recepito con il Dlgs. 152/99.<br />
Nell’ultima comunicazione della Commissione europea al Parlamento e<br />
al Consiglio (dicembre 2000), si fanno presente i limiti della normativa attuale,<br />
rilevando che, seppure vi sia stato un miglioramento rispetto ad una decina di<br />
anni fa, negli ultimi anni la qualità delle acque di balneazione costiere è<br />
migliorata in maniera meno consistente, risultando così la direttiva attuale non<br />
più capace di contribuire a migliorare ulteriormente le condizioni delle acque<br />
di balneazione. La prossima direttiva dovrà dunque contenere strumenti più<br />
sofisticati e attribuire maggiore importanza all’utilizzo delle informazioni e alla<br />
partecipazione dei cittadini. Alcuni limiti dell’attuale direttiva evidenziati dalla<br />
Commissione sono:<br />
alcuni parametri sono obsoleti e non significativi;<br />
il monitoraggio serve solo a verificare la conformità delle acque e<br />
non a comprendere la situazione e quindi le cause;<br />
le sole analisi microbiologiche non prevengono i rischi sanitari che<br />
possono esserci durante il tempo di analisi<br />
mancano indicazioni di gestione e garanzia della qualità delle<br />
acque.<br />
Limiti che ormai da anni <strong>Legambiente</strong> sottolinea e che ha cercato di<br />
mettere in evidenza con l’azione svolta da Goletta Verde, che già da qualche<br />
edizione sta effettuando sperimentazioni su nuovi parametri da usare quali<br />
indicatori microbiologici.<br />
In particolare dal 2001, da quando cioè è in corso a livello europeo la<br />
discussione sulla nuova direttiva, <strong>Legambiente</strong> oltre ad aver dato il proprio<br />
contributo presentando osservazioni e partecipando alle riunioni tecniche,<br />
svolge la campagna di monitoraggio di Goletta Verde seguendo le indicazioni<br />
della Commissione, sui nuovi parametri microbiologici che nel 2001 per la<br />
prima volta (quest’anno verrà ripetuto) sono stati sperimentati su oltre 400<br />
campioni di acqua marina costiera.<br />
Sono stati quindi inseriti tra i parametri microbiologici analizzati come<br />
indicatori della qualità delle acque di balneazione, gli Enterococchi, indicati<br />
dalla Commissione come migliori indicatori di inquinamento fecale e quindi di<br />
rischio sanitario per i bagnanti, così come riportato anche nelle linee guida<br />
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2001. Nel documento dell’Oms<br />
vengono indicate classi di qualità delle acque di balneazione per le diverse<br />
concentrazioni di Enterococchi, sulla base di dati e di indicazioni<br />
epidemiologiche riguardo al rischio di contrarre gastroenteriti.<br />
La Commissione europea propone gli Enterococchi come unico<br />
parametro da utilizzare quale indicatore microbiologico di contaminazione<br />
137
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
fecale, ma Goletta Verde ha affiancato a questo parametro anche l’analisi dei<br />
batteri fecali “classici”, i coliformi fecali e gli streptococchi fecali, previsti<br />
dalla normativa vigente (Dpr 470/82) anche per una valutazione della<br />
significatività e della correlazione tra i tre parametri di origine fecale.<br />
Rispetto, dunque, ai parametri microbiologici previsti dall’attuale<br />
normativa non sono stati analizzati i coliformi totali, vista l’ormai accertata<br />
loro poco significatività come indicatori di possibile rischio sanitario delle<br />
acque di balneazione, così come affermato anche nella proposta della<br />
Commissione europea.<br />
In base, dunque alle classi di qualità delle acque di balneazione presenti<br />
nelle linee guida dell’Oms, definite in base alle concentrazioni di Enterococchi<br />
(Ufc/100ml) e ai limiti del Dpr 470/82 dei coliformi fecali e degli streptococchi<br />
fecali, <strong>Legambiente</strong> ha elaborato la seguente tabella, che è stata utilizzata per la<br />
definizione del grado di qualità delle acque di balneazione durante l’edizione<br />
2001 di Goletta Verde, e che verrà riproposta anche per l’attuale edizione:<br />
* Non inquinato (Coliformi fecali e streptococchi fecali entro i limiti del Dpr<br />
470/82 e Enterococchi < 50ufc/100ml)<br />
* * Leggermente inquinato (almeno uno dei due parametri CF e SF oltre i<br />
limiti del Dpr470/82 e/o Enterococchi tra 50 e 200 ufc/100 ml)<br />
* * * Inquinato (uno o entrambi i due parametri CF e SF almeno 5 volte oltre i<br />
limiti del Dpr 470/82 e/o Enterococchi tra 200 e 1000 ufc/100ml)<br />
* * * * Gravemente Inquinato (uno o entrambi i due parametri CF e SF<br />
almeno 10 volte oltre i limiti del Dpr470/82 e/o Enterococchi > 1000<br />
ufc/100 ml)<br />
Limiti Dpr 470/82:<br />
Coliformi fecali: 100 Unità Formanti Colonia in 100 millilitri (100 Ufc/100 ml)<br />
Streptococchi fecali: 100 Unità Formanti Colonia in 100 millilitri (100 Ufc/100<br />
ml)<br />
10.3 Lo stato della depurazione in Italia<br />
La connessione alle reti fognarie interessa circa l’80% del carico<br />
inquinante, mentre solo il 65% risulta collegato a impianti di depurazione.<br />
Nell’ultimo decennio è proseguita, sia pure con ritmi più lenti rispetto ai primi<br />
anni ‘90, l’attuazione dei Piani Regionali di Risanamento, attuati in<br />
ottemperanza alla L. 319/76, ormai superata dalla L.152/99.<br />
138
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Il numero complessivo di impianti e di popolazione equivalente servita<br />
è quasi raddoppiato dall’inizio degli anni ‘90 a oggi 1 . Oltre alla progressiva<br />
estensione della rete di depurazione ad aree via via più marginali del territorio,<br />
spesso gli interventi di questo periodo hanno anche comportato l’adozione di<br />
fasi di trattamento terziarie negli impianti già esistenti (in particolare nei bacini<br />
dell’Alto Adriatico).<br />
Nonostante questi sforzi, tuttavia, l’Italia ha tutt’altro che risolto i<br />
problemi di degrado qualitativo dei corpi idrici superficiali (Ministero<br />
dell’Ambiente 1998; Irsa-Cnr 1999), in parte per il mancato completamento dei<br />
sistemi di depurazione (questo deficit interessa alcuni capoluoghi di provincia e<br />
perfino di regione, come Firenze 2 , Milano 3 , Palermo e Catania, alcune aree a<br />
sviluppo industriale intensivo, e in modo diffuso i centri minori) e in parte per<br />
la cattiva gestione dei depuratori: in particolare, molti impianti medio-piccoli<br />
funzionano male o non funzionano affatto.<br />
La speranza di col<strong>mare</strong> queste carenze è affidata sia ad un’effettiva e<br />
corretta attuazione della legge Galli, con il passaggio delle gestioni inefficienti<br />
a nuovi enti gestori, sia ad un cambio di orientamento quanto alle scelte<br />
tecnologiche. Oggi quasi tutte le reti fognarie italiane sono di tipo “misto”<br />
(227.230 km su 310.000), il che comporta inevitabili malfunzionamenti dei<br />
depuratori 4 ; inoltre gran parte degli impianti è del tipo “a fanghi attivi”,<br />
sebbene in molti casi sarebbero molto più efficaci ed economiche soluzioni<br />
depurative di tipo naturale (fitodepurazione o lagunaggi) 5 .<br />
Un altro problema deriva dall’aumento delle reti fognarie che<br />
recapitano gli scarichi nei corpi idrici senza passare per alcun sistema<br />
depurativo (circa il 20% degli abitanti equivalenti allacciati alle reti non è<br />
servito da depuratore): in tal modo, liquami che in precedenza venivano<br />
almeno in parte depurati “naturalmente” (nel suolo o nella rete idrografica<br />
minore), adesso si concentrano nei corpi idrici che così devono sopportare<br />
carichi superiori alla propria capacità autodepurativa.<br />
Infine, un terzo fattore che incide negativamente sulla qualità delle<br />
acque superficiali è la scarsità d’acqua. Molti fiumi e torrenti italiani hanno,<br />
soprattutto nei mesi estivi, portate minime, per cui sono alimentati quasi del<br />
1 La dotazione di impianti di depurazione ha raggiunto nel 1996 il numero di circa 10.000<br />
unità, per una capacità di trattamento totale di 70 milioni di abitanti equivalenti. All’inizio<br />
degli anni 90, gli impianti erano circa 5.000 e la capacità di 35 milioni di ab.eq.<br />
2 Il primo lotto depuratore di S.Colombano, che tratterà circa un terzo del carico previsto a<br />
completamento dell’impianto, è entrato in funzione nell’ottobre 2000.<br />
3 Finalmente la situazione dovrebbe migliorare con la approvata realizzazione di 3 impianti.<br />
4 Le ampie oscillazioni di carico organico caratteristiche delle reti miste provocano stress nelle<br />
popolazioni batteriche che sono il «motore» dei depuratori: da qui la perdita di efficienza degli<br />
impianti.<br />
5 Si tratta dei centri di piccole dimensioni (inferiori ai 5000 abitanti equivalenti) e di quelli che<br />
presentano ampie oscillazioni del carico idraulico e organico in ingresso (tipicamente i centri<br />
turistici). Per questo motivo il D.L. 152/99 suggerisce, in queste situazioni, il ricorso a<br />
tecnologie naturali.<br />
139
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
tutto da scarichi che, sebbene depurati, non possono certo garantire al corso<br />
d’acqua una qualità accettabile.<br />
Si deve poi sottolineare che molte forme di inquinamento hanno un<br />
carattere diffuso, e richiederebbero perciò, più che interventi di tipo<br />
infrastrutturale o soluzioni tecnologiche puntuali, azioni a monte capaci di<br />
ridurre i carichi inquinanti e di recuperare la capacità depurativa dei corsi<br />
d’acqua attraverso interventi di rinaturalizzazione o mediante altre tecniche di<br />
prevenzione quali l’utilizzo delle cosiddette fasce tampone o il recupero del<br />
terreno agricolo lungo gli argini per l’allagamento in caso di piene.<br />
Il testo unico sulle acque (il decreto legislativo 152/99), che recepisce la<br />
direttiva europea 91/271, definisce anche gli obblighi per l’adeguamento delle<br />
infrastrutture idrauliche di raccolta e smaltimento delle acque reflue urbane.<br />
Per il nostro Paese, l’adeguamento agli standard imposti dall’Unione europea è<br />
anche l’occasione per completare e rendere finalmente efficiente la rete di<br />
depurazione delle acque reflue. Fino ad oggi il problema della depurazione è<br />
stato affrontato con la realizzazione di impianti di depurazione sempre più<br />
grandi e costosi, senza tenere conto delle necessità e delle peculiarità del<br />
territorio italiano: le carenze delle reti fognarie, le esigenze di manutenzione e<br />
di separazione tra acque bianche e nere, un approccio basato su un modello<br />
“diffuso”, che comprenda anche impianti di minori dimensioni soluzioni di<br />
fitodepurazione.<br />
In questo settore così delicato, la prima lacuna da col<strong>mare</strong> è<br />
l’insufficienza di dati su estensione, stato di conservazione e funzionalità sia<br />
delle reti fognarie che degli impianti di depurazione. L’ultimo censimento<br />
nazionale disponibile è quello effettuato nel 1993 dall’Istat, pubblicato nel<br />
1996, da cui risultavano 9806 impianti di depurazione, comprese le fosse<br />
Imhoff e gli impianti privati al servizio di insediamenti turistici e residenziali.<br />
Di questi ben 1236, pari al 12,6% degli impianti e al 6,1% della popolazione<br />
servita totale, al momento del censimento non erano in esercizio. Alla data del<br />
censimento, risultavano in via di realizzazione 1412 nuovi impianti, che una<br />
volta completati avrebbero servito una popolazione equivalente complessiva di<br />
14 milioni di abitanti equivalenti.<br />
Le uniche indagini più recenti sono quella effettuata da Proaqua,<br />
l’istituto di ricerche sui servizi idrici che fa capo a Federgasacqua, riferita a<br />
solo 14 regioni (mancano i dati su Basilicata, Calabria e Val d’Aosta, Liguria,<br />
Sardegna e Sicilia, regioni per le quali si dispone solo di una stima, e il<br />
censimento commissionato dal Ministero dell’Ambiente al Nucleo operativo<br />
ecologico dei Carabinieri che ha interessato il 60% dei Comuni italiani (4899),<br />
corrispondenti però a circa il 93% della popolazione totale residente.<br />
Malgrado la disomogeneità dei dati più aggiornati, tutti gli studi<br />
concordano su una stessa conclusione: l’Italia è caratterizzata da un grave<br />
deficit depurativo, che oscilla dai 29 milioni di abitanti equivalenti stimati dal<br />
censimento Istat, ai 41 milioni dell’indagine di Proaqua. In particolare, secondo<br />
Proaqua 16 milioni di abitanti equivalenti sono allacciati alla rete fognaria ma<br />
non depurati, e i restanti 25 milioni non sono neanche allacciati alla rete. Ciò<br />
140
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
significa, in termini generali, che solo il 77% della popolazione equivalente è<br />
allacciata alle fognature, e che la popolazione trattata da impianti in esercizio è<br />
il 63% della popolazione equivalente totale.<br />
Tabella 1. Impianti di depurazione delle acque reflue urbane per regione<br />
(dati aggiornati al dicembre 1993)<br />
Regione Totale presenti In esercizio Totale non in<br />
esercizio<br />
In corso di<br />
esecuzione,<br />
appalto e in<br />
progetto<br />
n % n. %<br />
Piemonte 1807 1677 92,3% 130 7.2% 237<br />
Val d’Aosta 146 142 97.3% 4 2.7% 9<br />
Lombardia 887 815 91.9% 72 8.1% 68<br />
Liguria 436 392 89.9% 44 10.1% 70<br />
Trentino A.Adige 283 267 94.3% 16 5.7% 56<br />
Veneto 797 725 91% 72 9% 50<br />
Friuli V.Giulia 520 474 91.2% 46 8.8% 49<br />
E.Romagna 1193 1148 96.2% 45 3.8% 73<br />
Toscana 574 530 92.3% 44 7.7% 115<br />
Umbria 313 238 76% 75 24% 35<br />
Marche 433 386 89.1% 47 10.9% 61<br />
Lazio 417 341 81.8% 76 18.2% 114<br />
Abruzzo 378 310 82% 68 18% 96<br />
Molise 96 77 80.2% 19 19.8% 63<br />
Campania 304 204 67.1% 100 32.9% 86<br />
Puglia 181 170 94% 11 6% 11<br />
Basilicata 129 67 52% 62 48% 24<br />
Calabria 335 168 50.1% 167 49.9% 77<br />
Sicilia 246 150 61% 96 39% 80<br />
Sardegna 331 289 87.3% 42 12.7% 38<br />
Italia 9806 8570 87.4% 1236 12.6% 1412<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Istat (1996)<br />
Un altro aspetto da considerare riguarda il tipo di trattamento dei<br />
liquami effettuato da ogni singolo impianto. Il Dlgs. 152/99 prevedeva<br />
scadenze scaglionate per la progressiva diffusione dei trattamenti secondari o<br />
equivalenti entro il 2000 per gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre<br />
15000 abitanti equivalenti, entro il 2005 per gli scarichi provenienti da<br />
agglomerati tra 10000 e 15000 (o da agglomerati tra 2000 e 10000 abitanti che<br />
recapitano le acque reflue in acque dolci e di transizione). Inoltre, venivano<br />
fissati precisi criteri di qualità per le zone sensibili: abbattimento dell’80% del<br />
fosforo totale e del 70-80% dell’azoto totale (standard che richiedono un<br />
trattamento terziario).<br />
141
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
In effetti, in base alle tipologie di trattamento adottate le acque reflue<br />
vengono depurate totalmente o parzialmente. Nell’indagine Istat, gli impianti<br />
sono raggruppati in tre differenti categorie, corrispondenti a tre differenti<br />
tipologie di trattamento:<br />
- Trattamento primario: rimozione di buona parte dei solidi<br />
sospesi sedimentabili per decantazione meccanica in bacini di sedimentazione,<br />
con o senza uso di sostanze chimiche (Flocculanti);<br />
- Trattamento secondario: processi di ossidazione biologica della<br />
sostanza organica biodegradabile sospesa e disciolta nelle acque di scarico<br />
utilizzando batteri aerobi;<br />
- Trattamento terziario: processi adottati a valle dei trattamenti<br />
primari e secondari quando, in considerazione del corpo idrico recettore, in<br />
base alla Legge Merli (319/76) si deve procedere alla rimozione dei nutrienti,<br />
nitrati e fosfati.<br />
Dai dati del censimento del ’93, risulta che il 43,1% degli impianti<br />
allora in esercizio utilizzava il trattamento più semplice, consistente in una<br />
griglia manuale o meccanica per la sola rimozione dei solidi e da un<br />
sedimentatore; si tratta generalmente di piccoli impianti, che soddisfano solo il<br />
4,1% della popolazione servita. In particolare, nell’Italia settentrionale quasi la<br />
metà degli impianti in esercizio era di tipo primario, anche se la popolazione<br />
servita da tali impianti si attestava sul 4%.<br />
Gli impianti di trattamento secondario erano invece 4325, il 44% del<br />
totale, distribuiti più o meno equamente su tutto il territorio nazionale.<br />
Infine, gli impianti del tipo più moderno e tecnologicamente più<br />
avanzato (terziario) erano solo 242, concentrati nelle regioni settentrionali e<br />
centrali dove servivano quasi il 50% degli abitanti equivalenti.<br />
142
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Tabella 2. Impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio<br />
secondo la tipologia di trattamento, per regione (dati aggiornati al dicembre<br />
1993)<br />
Regione Primario Secondario Terziario Non indicata Totale<br />
n. A.E.S. n. A.E.S. n. A.E.S. n. A.E.S. n. A.E.S.<br />
Piemonte 1.012 289.767 626 3.120.471 13 3.489.842 26 19.840 1.677 6.919.920<br />
Val d’Aosta 126 38.351 14 185.920 1 3.060 1 15 142 227.346<br />
Lombardia 130 93.864 585 4.770.115 82 3.754.319 18 35.690 815 8.653.988<br />
Liguria 243 232.678 139 1.309.612 8 909.107 2 1.700 392 2.453.097<br />
Trentino A.A. 130 102.831 114 840.509 23 559.996 267 1.503.336<br />
Veneto 316 126.607 372 2.267.367 36 3.719.760 1 725 6.113.734<br />
Friuli V.G. 269 409.619 197 932.229 7 448.710 1 400 474 1.790.958<br />
E.Romagna 651 143.272 414 2.993.671 72 3.984.574 11 4.800 1.148 7.126.317<br />
Toscana 140 99.511 337 2.667.153 36 4.324.808 17 4.700 530 7.096.172<br />
Umbria 134 36.770 86 325.394 17 201.311 1 60 238 563.535<br />
Marche 159 36.207 210 729.249 17 610.100 386 1.375.556<br />
Lazio 55 36.824 146 2.449.580 38 2.128.650 2 37.500 341 4.702.554<br />
Abruzzo 149 35.452 148 743.158 6 288.100 7 356 310 1.067.066<br />
Molise 26 4.765 47 169.763 4 26.800 77 201.328<br />
Campania 26 642.322 167 6.239.244 9 10.185 2 204 6.891.761<br />
Puglia 28 297.913 111 3.631.541 30 729.634 1 300 170 4.659.388<br />
Basilicata 8 26.434 38 342.412 20 164.587 1 2.000 67 535.433<br />
Calabria 41 61.293 113 1.412.972 5 80.387 9 24.276 168 1.587.928<br />
Sicilia 17 86375 125 2.606.359 6 206.230 2 9.275 150 2.908.239<br />
Sardegna 32 36.710 236 1.148.051 20 1.137.659 1 289 2.322.420<br />
Italia Nord<br />
Occidentale<br />
1.511 654.660 1.364 9.386.118 104 8.156.328 47 57.245 3.026 18.254.351<br />
Italia Nord<br />
Orientale<br />
1.366 782.329 1.097 7.033.776 138 8.713.040 13 5.200 2.614 16.534.345<br />
Italia<br />
Centrale<br />
488 209.312 879 6.221.376 108 7.264.869 20 42.260 1.495 13.737.817<br />
Italia<br />
Meridionale<br />
278 1.068.189 624 12.548.090 74 1.299.693 20 26.932 996 14.942.904<br />
Italia 49 123.085 361 3.754.410 26 1.343.889 3 9.275 439 5.230.659<br />
Insulare<br />
Italia 3.692 2.837.565 4.325 38.934.770 450 26.777.819 103 140.912 8.570 68.700.076<br />
Fonte: elaborazione <strong>Legambiente</strong> su dati Istat (1996)<br />
Come già detto, dati più aggiornati si ricavano dallo studio di Proaqua<br />
del 1996. In base a questo studio, che per alcune regioni si affida a stime, la<br />
domanda complessiva di depurazione supera i 111 milioni di abitanti<br />
equivalenti, con una capacità di trattamento degli impianti di depurazione di<br />
69,9 milioni di abitanti equivalenti e un conseguente deficit depurativo di circa<br />
41 milioni di abitanti equivalenti, di cui 16 milioni risultano allacciati alle reti<br />
fognarie e non depurati e 25 milioni non sono neanche allacciati alle reti.<br />
143
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Tabella 3. Popolazione allacciata e trattata in abitanti equivalenti (AE), per<br />
Regione (dati aggiornati al dicembre 1996)<br />
Regione Popolazione AE totali AE allacciati AE trattati<br />
residente milioni<br />
milioni % tot milioni % tot<br />
Piemonte 4.302.565 10,8 10,3 95% 6,8 63%<br />
Val d’Aosta (1) 115.938 0,1 0,1 77??? 0,1 73??<br />
Lombardia 8.856.074 16,2 14,6 90% 9,5 59%<br />
Liguria (1) 1.676.282 5,3 2,7 51% 2,4 46%<br />
Trentino A.A. 890.360 1,9 1,8 95% 1,5 79%<br />
Veneto 4.380.797 13,1 11,3 86% 11,3 86%<br />
Friuli V.G. 1.197.666 2,9 2,4 83% 2,4 83%<br />
E.Romagna 3.909.512 6,1 5,4 89% 3,8 62%<br />
Toscana 3.529.945 8 7,3 91% 6,8 85%<br />
Umbria 811.831 1 0,7 70% 0,7 65%<br />
Marche 1.429.205 1,7 1,3 76% 1,2 71%<br />
Lazio 5.140.371 6,6 5,7 86% 5,1 77%<br />
Abruzzo 1.249.054 2,9 1,9 66% 1,9 66%<br />
Molise 330.900 0,4 0,4 100 0,3 57%<br />
Campania 5.630.280 10,7 6,5 61% 3,5 33%<br />
Puglia 4.031.885 5 4,7 94% 4,7 92%<br />
Basilicata (1) 610.528 0,7 0,6 77% 0,5 73%<br />
Calabria (1) 2.070.203 2,5 2 80% 1,9 76%<br />
Sicilia (1) 4.966.386 8,5 2,9 34% 2,6 30%<br />
Sardegna (1) 1.648.248 6,8 3,3 48% 3 44%<br />
Italia 56.778.030 111,2 85,9 77% 69,9 63%<br />
(1) Valori stimati<br />
Fonte: Proaqua (1996)<br />
144
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Il deficit depurativo di oltre 41 milioni di abitanti equivalenti viene<br />
confermato anche dalle stime riportate nell’ultima “Relazione sullo stato<br />
dell’ambiente” del Ministero dell’Ambiente (2001).<br />
Tabella 4. Stima del deficit depurativo<br />
Regione Popolazione equivalente AE (migliaia)<br />
Totale (*) Allacciata rete<br />
civile<br />
Trattata rete<br />
civile (**)<br />
Deficit<br />
depurativo<br />
Piemonte 12.866 10.800 6.800 4.000<br />
Valle d’Aosta 258 100 100 0<br />
Lombardia 31.054 16.200 9.500 6.700<br />
Trentino Alto Adige 2.450 1.900 1.500 400<br />
Veneto 14.027 13.100 11.300 1.800<br />
Friuli Venezia Giulia 3.202 2.900 2.400 500<br />
Liguria 3.484 5.300 2.400 2.900<br />
Emilia Romagna 14.224 6.100 3.800 2.300<br />
Toscana 10.598 8.000 6.800 1.200<br />
Umbria 2.498 1.000 700 300<br />
Marche 4.527 1.700 1.200 500<br />
Lazio 10.597 6.600 5.100 1.500<br />
Abruzzo 3.369 2.900 1.900 1.000<br />
Molise 787 400 300 100<br />
Campania 10.280 10.700 3.500 7.200<br />
Puglia 8.099 5.000 4.700 300<br />
Basilicata 1.253 700 500 200<br />
Calabria 3.376 2.500 1.900 600<br />
Sicilia 8.784 8.500 2.600 5.900<br />
Sardegna 3.555 6.800 3.000 3.800<br />
Italia 149.288 111.200 70.000 41.200<br />
(*) La popolazione equivalente totale è ottenuta dalla somma della popolazione<br />
residente e della popolazione equivalente industriale al 1991<br />
(**) Dati Federgasaqua (1995) e Istat (1998)<br />
Fonte: Relazione sullo stato dell’ambiente, Ministero dell’Ambiente (2001)<br />
Le politiche per la depurazione<br />
Nel settore della fognatura e della depurazione, occorre da un lato far<br />
fronte alle esigenze di completamento della rete, anche alla luce degli<br />
impegnativi traguardi imposti dal Dlgs152/99. Più in generale occorre, tra<br />
l’altro, abbandonare la logica dello “scarico puntuale”, fin qui dominante, per<br />
intercettare fonti di inquinamento più “diffuse”; introdurre tecnologie<br />
appropriate per i piccoli centri; promuovere il riuso delle acque reflue per<br />
145
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
l’irrigazione e il riuso e il ricircolo dell’acqua nei cicli di lavorazione<br />
industriale.<br />
Infatti, con l’approvazione del D.Lgs 152/99 che recepisce la Direttiva<br />
Comunitaria 91/271, tutti gli scarichi degli insediamenti urbani (inclusi quelli<br />
turistici) dovranno essere provvisti di reti fognarie e di sistemi di trattamento<br />
entro i seguenti termini:<br />
- entro il 31 dicembre 2000 quelli con un numero di abitanti<br />
equivalenti (a.e.) superiore a 15.000;<br />
- entro il 31 dicembre 2005, quelli con un numero di abitanti<br />
equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000 che scarichino in acque interne e<br />
quelli con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 10.000 e 15.000 che<br />
scarichino in acque costiere.<br />
L’attuazione del D.Lgs potrebbe essere un'ottima occasione per<br />
affrontare seriamente il problema dell'inquinamento delle nostre acque, ma<br />
potrebbe trasformarsi in una ennesima corsa alla realizzazione di nuove opere<br />
che spesso restano inutilizzate. Infatti il problema della depurazione è stato<br />
affrontato fino ad oggi in Italia con la realizzazione di reti di collettamento e<br />
impianti di depurazione sempre più grandi e costosi, trasferendo al nostro<br />
territorio approcci e tecnologie importate dall’estero. A tale proposito<br />
un’importante documento del Ministero dei Lavori Pubblici uscito nel 1998<br />
sostiene: “Se sicuramente necessari sono gli interventi per il completamento<br />
del trattamento nelle aree urbane e nelle concentrazioni industriali, numerose<br />
perplessità sorgono circa l’opportunità di estendere il medesimo modello di<br />
ragionamento anche ai piccoli centri. In altri Paesi, come la Francia, si cerca di<br />
ridiscutere certi aspetti della direttiva 91/271 - e in particolare il suo<br />
appiattimento su una situazione insediativa e climatica di tipo «nordeuropeo»<br />
mettendone in discussione il «cuore», rappresentato dall’accoppiata fognaturaimpianto<br />
di depurazione, e sostenendo invece l’equiparabilità in termini di<br />
risultati e la superiorità schiacciante in termini di costi di un approccio basato<br />
su un modello «diffuso», basato sull’ingegneria naturalistica e la<br />
fitodepurazione su piccola scala.”<br />
L’applicazione del D.Lgs 152/99, che consentirà l'adeguamento del<br />
sistema di depurazione italiano alla Direttiva Comunitaria, rappresenta dunque<br />
un importante banco di prova per verificare la politica di tutela delle acque nel<br />
nostro Paese.<br />
La Stoppani di Cogoleto<br />
Un tuffo in un <strong>mare</strong> di cromo. Questo è quello che si rischia facendo un<br />
bagno nel <strong>mare</strong> antistante le spiagge di Arenzano e Cogoleto, a causa delle<br />
lavorazioni della Luigi Stoppani S.p.A.. Un’azienda chimica che produce<br />
bicromati e che è presente da oltre 100 anni nella Val Lerone.<br />
Durante il suo lungo periodo di attività, e soprattutto negli ultimi<br />
decenni, sono stati accertati gravi situazioni di inquinamento di aria, suolo,<br />
sottosuolo, sabbie delle spiagge delle due località ed oltre, a ponente sino a<br />
146
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Varazze nonché nei sedimenti e nella catena alimentare (pesci, molluschi,<br />
crostacei) dovuti a Cromo esavalente (cancerogeno), Zinco nella discarica dei<br />
fanghi di risulta in località Molinette), polveri, SO2, ecc. in atmosfera.<br />
Recentemente (Febbraio 2001) la Stoppani, attraverso un emendamento<br />
alla finanziaria del Governo Amato, è stata inserita nei siti da bonificare<br />
indicati dalla legge 426/98.<br />
Questo obbiettivo era stato richiesto a gran voce da <strong>Legambiente</strong><br />
Liguria, e raccolto dalla Regione, dalla Provincia di Genova, e da alcuni<br />
consiglieri regionale e deputati liguri.<br />
Infatti, numerosi sono le indicazioni che indicano uno stato ambientale<br />
a dir poco allarmante della Val Lerone.<br />
Dati della Regione Liguria parlano di 92000 m 3 di fanghi tossici<br />
stoccati nella discarica di Pian di Masino contenenti elevatissime quantità di<br />
metalli pesanti, mentre l’agenzia regionale protezione ambiente (Arpal) ha<br />
trovato concentrazioni di cromo esavalente nelle acque di falda 64000 volte<br />
superiore ai valori consentiti nelle acque sotterranee in siti da bonificare (Dati<br />
ARPAL).<br />
Per quanto riguarda l'area dello stabilimento la concentrazione media<br />
nei suoli ritrovata nel'99 è stata di 28 milligrammi per chilo, quantità 140 volte<br />
più alta del limite previsto per gli scarichi industriali e 5 mila volte superiore ai<br />
limiti per le acque sotterranee. La concentrazione minore è stata rilevata sotto il<br />
silos soda; mentre i livelli più preoccupanti sono stati registrati sotto le vasche<br />
e il reparto acido cromico (rispettivamente 3l2 e 322 milligrammi per chilo).<br />
All'esterno della fabbrica le quantità di cromo diminuiscono, anche se<br />
restano molto preoccupanti. Sotto il viadotto dell'Aurelia i milligrammi di<br />
cromo esavalente presenti nel suolo risultano 2,03 per chilo. Vale a dire 10<br />
volte in più che in uno scarico industriale e 400 volte in più del limite per le<br />
acque sotterranee.<br />
Per quanto riguarda le acque di battigia in 16 casi negli ultimi tre anni<br />
sono state rilevate concentrazioni di cromo superiori a 0,30 milligrammi per<br />
chilo.<br />
Preoccupante anche l’inquinamento della discarica di Molinetto per la<br />
presenza di metalli pesanti, soprattutto zinco, presente in quantità fino a 24<br />
volte i limiti consentiti nelle acque che filtrano dalla discarica. La sostanza<br />
nociva non rientra nel processo produttivo della Stoppani ma non era presente a<br />
Molinetto prima dell'arrivo dei camion dell'azienda di Cogoleto (fonte:<br />
Provincia di Genova). Il cromo, pur in concentrazioni altissime, non supera i<br />
limiti consentiti per la discarica, 100 milligrammi su chilogrammo.<br />
I limiti di legge sono stati invece superati più volte per quanto riguarda i<br />
valori di cromo esavalente nell'aria della zona abitata prospiciente lo<br />
stabilimento. Tali esuberi, di cui si è venuto a sapere solo di recente, sono stati<br />
registrati tra il settembre del 1998 e I'aprile del 1999 con punte massime<br />
risalenti alla primavera dell'anno passato.<br />
147
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Recentemente sono stati diffusi dati sui campionamenti delle spiagge<br />
del ponente ligure, dai quali si deduce che il litorale, sino al comune di Varazze<br />
è interessato a inquinamento da cromati.<br />
Un accordo, mai trasformato in vero e proprio accordo di programma,<br />
tra Regione, Comuni di Cogoleto e Arenzano, Sindacati e Azienda, prevedeva<br />
la chiusura della fabbrica e la bonifica del sito entro il 2001, ma dopo un breve<br />
periodo di ristrutturazione (da agosto a dicembre 1999), vi è stata una<br />
consistente ripresa delle attività a partire dal 1 gennaio 2000.<br />
Nel 1997 è stato approvato un progetto di bonifica (Envireg) con<br />
finanziamento europeo di 7 miliardi a Stoppani con scadenza entro il 2000, per<br />
il trattamento dei fanghi tossici e conseguente inertizzazione; bonifica del<br />
torrente e dei canali di gronda per acque piovane, nonché la bonifica<br />
dell’arenile. Di tali attività nessuna è stata portata al termine e tranne l’ultima<br />
nemmeno iniziata.<br />
Recentemente, nel 2001, l’azienda ha aperto l’esercizio di un forno<br />
sperimentale, cosa che ha provocato reazioni negative da parte delle<br />
associazioni ambientaliste, delle amministrazioni locali e dei cittadini<br />
E’ altresì notizia di questi giorni l’accordo raggiunto tra Regione<br />
Liguria, Provincia di Genova, Comuni di Arenzano e Cogoleto per arrivare al<br />
più presto ad un accordo di programma con la società Stoppani per la chiusura,<br />
entro il 1/1 2003 e la successiva messa in sicurezza, e bonifica del sito<br />
produttivo.<br />
L’azienda contesta questa data proponendo scenari più prolungati (2005<br />
o addirittura 2006).<br />
<strong>Legambiente</strong> chiede la chiusura nei tempi più rapidi possibili dello<br />
stabilimento Stoppani, ormai palesemente incompatibile con la zona e con le<br />
vocazioni economiche specifiche che non sono certo quelle della produzione<br />
chimica, ma semmai turismo e tutela dell’ambiente e valorizzazione del<br />
territorio.<br />
Bisognerà arrivare ad un accordo di programma che contempli la<br />
chiusura totale entro il 1/1/2003 e l’avvio di un progetto di messa in sicurezza e<br />
bonifica, ai sensi del Dm 471/99.<br />
Comunque bisognerà da subito sospendere l’attività del forno<br />
sperimentale e chiudere il forno 70, per la produzione di cromati, il più<br />
inquinante secondo i dati di Provincia e Arpal.<br />
La depurazione e l’inquinamento del <strong>mare</strong> in Campania<br />
L'intero golfo di Napoli, da Via Caracciolo a Castellam<strong>mare</strong> di Stabia,<br />
continua a rimanere un sogno per i bagnanti. Uno specchio di <strong>mare</strong> chiuso tra<br />
due fonti di inquinamento a cinque stelle, da un lato il Sarno e dall'altro<br />
Volturno e Garigliano. Scarichi fognari, più o meni abusivi, più o meni<br />
"avvelenati", foci dei fiumi da livelli di inquinamento da record, interi comuni<br />
privi di allacciamento alle fogne. Sono tante le cause da mettere sul banco degli<br />
imputati per la mancata balneazione di interi tratti di costa della Campania. In<br />
148
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Campania siamo in presenza da anni ad un danno ambientale diretto, cagionato<br />
dallo scarso grado di concentrazione dei reflui agli impianti di trattamento.<br />
Secondo il I Rapporto Ambientale dell' Arpac (Agenzia Regionale per la<br />
Protezione Ambientale della Campania) su un campione rappresentativo, che<br />
include quasi l'intero comune di Napoli, e che rappresenta il 48% del totale<br />
della popolazione regionale ed il 52% dell'acqua erogata, si riscontra un<br />
coefficiente di ritorno globale in fognatura, con collettamento sino all'ingresso<br />
negli impianti di trattamento, pari ad appena al 44% dell' immesso in rete con<br />
un valore aerale minimo del 31% per il comprensorio Acerra- Pomigliano.<br />
All'interno del dato complessivo, inoltre, esistono comuni per i quali non è<br />
ancora realizzato il collegamento alla rete dei collettori intercomunali di<br />
collegamento agli impianti, cioè comuni per i quali il coefficiente di ritorno<br />
alla rete di depurazione è nullo. Basti pensare che i cittadini di Portici, San<br />
Giorgio a Cremano, Ercolano in provincia di Napoli e circa 300 mila<br />
napoletani sversano nei propri wc quotidianamente nel giro di pochi minuti<br />
giunge tal quale in <strong>mare</strong>. A tal proposito bisogna terminare al più presto il<br />
collegamento di queste aree con il depuratore di Napoli est. Basti pensare che<br />
circa 8000 mc/h che tratta tale depuratore vengono attualmente sversati<br />
attraverso un alveo sul litorale di S. Giovanni. Il depuratore di Napoli Est,<br />
secondo stime dell’assessore alla difesa del suolo del Comune di Napoli,<br />
Ferdinando Di Mezza, sarà in grado di filtrare cinquecento litri di liquami al<br />
secondo. Il depuratore sarà ingrandito anche qui con un operazione di project<br />
financing (quasi 75milioni di euro) il cui promotore sarà presto individuato<br />
ufficialmente. A Napoli, l’ultimo impianto di sollevamento (che pompa i<br />
liquami nei collettori fino ai depuratori) è stato inaugurato poco tempo fa nel<br />
rione Pazzigno. Ma non basta, oggi almeno 300mila abitanti del capoluogo fra<br />
il Ponte dei Francesi e Via Duomo, sversano quotidianamente reflui che<br />
arrivano in <strong>mare</strong> tal quale attraverso le vecchie fogne. La regione Campania,<br />
attraverso il Commissariato per l'emergenza rifiuti, bonifiche e tutela delle<br />
acque si è impegnato ad intervenire con un piano articolato che prevede il<br />
completamento del depuratore Napoli Est (entro il 2003), di un vero e proprio<br />
lifting alle fognature ed al sistema di depurazione del litorale fino alla foce<br />
Sarno ed il riordino dei collettori principali nella zona oprientale di Napoli.Non<br />
diversa la situazione del Golfo di Napoli. Non diversa la situazione nell’intera<br />
provincia di Napoli, Infatti, dopo due anni di pazienza ricerca, la Provincia di<br />
Napoli ha presentato uno studio completo della situazione, un vero e proprio<br />
catasto degli scarichi inquinanti che vanno dalla Campanella a Capo Misero.<br />
Un dossier allucinante: con 500 sbocchi inquinanti rilevati da Cuma a Foce del<br />
Sarno. Ben 96 sono risultati i casi che sono stati definiti “significativi” ossia ad<br />
alto rischio inquinante. Napoli è in testa con il censimento di ben90 scarichi a<br />
<strong>mare</strong>e, seguito da Pozzuoli e Castellam<strong>mare</strong> con 41 scarichi, segue Forio<br />
d’Ischia con 35 e Torre del Greco con 32. Di ogni scarico la Provincia di<br />
Napoli ha dati precisi di rilevamento, caratteristiche inquinanti, tipologia e<br />
volume annuo di refluo. Nel complesso della regione, dunque, dei circa 714<br />
milioni mc/anno prelevati a scopo civili ed industriali, ben 385 milioni<br />
149
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
raggiungono il ricettore finale privi di trattamento, o comunque risultano<br />
dispersi sul territorio. Per ciò che attiene la consistenza di impianti di<br />
trattamento esistenti si ricorda che dei 549 Comuni della regione ben 192 fanno<br />
capo a 9 impianti comprensoriali più 4 in corso di realizzazione. Per la<br />
rimanente parte risultano esistenti ed operanti altre 202 unità di trattamento per<br />
totale complessivo di 394 municipalità servite su 549 (72%). Sempre secondo<br />
lo studio dell'Arpac, sul campione degli impinati di trattamento, riferibile al<br />
48% della popolazione regionale, si rileva che le tecnologie utilizzate sono<br />
ancora aggiornate anche se sono affetti da problemi di obsolescenza dei<br />
componenti elettromeccaniche e strumentali, nonchè del mancato<br />
aggiornamento alle recenti normative sulla sicurezza dei lavoratori. Nessun<br />
impianto in servizio, tranne piccoli casi particolari, è in grado di provvedere<br />
all'abbattimento dei nutrienti. Con l'entrata in vigore del d.lgs. 152/99 che fissa<br />
nuovi parametri qualitativi per lo scarico delle acque provenienti da impianti di<br />
trattamento, la situazione diventa peggiore con quasi la totale assenza di<br />
impianti che si sono adeguati ai nuovi riferimenti legislativi. Se ci trasferiamo<br />
al salernitano, uno studio dell'Ato4 che comprende ben 144 comuni di cui 141<br />
della provincia di Salerno la copertura della rete di depurazione è pari al 76%<br />
della popolazione, ma appena il 59% è servita da impianti funzionanti mentre il<br />
24% non è allacciata ad alcun impianto. Senza contare che dei 208 impianti di<br />
depurazioni solo 161 sono in esercizio. Nello scorso febbraio il Commissariato<br />
di governo per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque della Regione<br />
Campania ha presentato il più grande ed importante project financing fino ad<br />
oggi attuato in Italia. Protagonisti dell’impegnativa esperienza un “tris d’assi”<br />
composto da Arin, Acea e Acquedotto Pugliese. Questo pool d’imprese si è<br />
aggiudicato la gara per il potenziamento e la gestione della fognatura, del<br />
collettore e della depurazione di tutta l’area napoletana. Il raggruppamento<br />
d’imprese gestirà il servizio per 15 anni: l’attività interesserà ben 72 comuni<br />
campani, compresa Napoli per un totale di oltre 2 milioni di abitanti. L’appalto<br />
è finalizzato all’adeguamento ed alla realizzazione di collettori ed impianti di<br />
depurazione in alcuni degli “snodi” fondamentali dell’inquinamento della<br />
Regione: Acerra, Cuma, foce Regi Lagni, Marcianise e Napoli Nord. Oggi la<br />
gestione di un impianto di depurazione di medie dimensioni, destinato a servire<br />
circa 50mila persone , costa oltre 1 milione di euro l’anno.<br />
Cuma: inchiesta sul depuratore che non funziona<br />
Una macchina infernale di miasmi e veleni. Un mostro d’acciaio e<br />
ingranaggi di macchine e vasche in esercizio da oltre vent’anni. Stiamo<br />
parlando del depuratore di Cuma, costato circa 300 miliardi di vecchia lire.<br />
Dagli inizi degli anni ’80 ad oggi serve tutti i comuni della provincia a nord e<br />
sud di Napoli, compreso il capoluogo. L’impianto sorge a Licola di fronte al<br />
<strong>mare</strong>. Lo scorso 8 gennaio il procuratore della Repubblica Agostino Cordova,<br />
firma il dispositivo di sequestro dell’impianto, strappandolo dalle mani della<br />
società che da anni, si occupa della manutenzione e della gestione<br />
dell’impianto e affidandolo al Presidente della Regione Campania.Il sistema di<br />
150
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
purificazione delle acque reflue, nel contempo continueranno a funzionare,<br />
anche se a singhiozzo, in attesa di opere di ristrutturazione.In questo modo il<br />
provvedimento se da un lato cerca le responsabilità del mancato<br />
funzionamento, dall’ altra tenta di evitare disagi a tutti i comuni dell’hinterland<br />
a Napoli che qui scarica i liquami di un milione di abitanti. Sotto accusa le<br />
anomalie tecniche, il mancato funzionamentodi una parte dell’impianto,<br />
l’inquinamento dell’aria e del <strong>mare</strong> della costa di Licola. La procura , insieme<br />
con la Polizia ambientale della Provincia di Napoli, ha accertato che a non<br />
funzionare sono le macchine che servono alla grigliatura e alla “di sabbiatura “<br />
dei rifiuti. In pratica i liquami una volta arrivati al depuratore, finiscno in<br />
vasche, che per la scarsa manuetenzione non permette il primo processo di<br />
purificazione, attraverso semplici paratie e griglie. Si stima che il 30% degli<br />
scarichi fognari sfocia a <strong>mare</strong>, senza nessuno tipo di trattamento. Questa<br />
macchina, perfetta sulla carta, è oggi superata da ingegni molto più complessi,<br />
che la rendono antiquata ed inefficace. Per questro motivo la Regione<br />
Campania ha indetto il project financing che prevede la ristrutturazione di<br />
cinque depuratori compreso Cuma. Il mostro che ingoia liquami per<br />
trasformarli in fango non ha mai funzionato a dovere. Sarà anche una casualità,<br />
ma secondo dati scientifici,il tasso di mortalità per cancro, nella zona del<br />
depuratore sono sopra la media. Nel provvedimento della magistratura si<br />
impone di copmpiee una serie di interventi urgenti, ben 13, entro e non oltre l’8<br />
luglio <strong>2002</strong>. Ora i tecnici della Regione Campania stanno facendo la corsa<br />
contro il tempo per adempiere al compito. Si va dal”ripristino di funzionalità<br />
del sistema di sollevamento esterno dell’alveo dei Camaldoli” a quello “del<br />
sistema di sollevamento esterno della stazione di Licola Mare” dal “ripristino<br />
della fase di “grigliatura a quello dei “sistemi di sollevamento interno ,<br />
primario e secondario”; ancora si chiede il ripristino “ della funzionalità della<br />
stabilizzazione dei fanghi, i cui silos di stoccaggio sono risultati fuori<br />
esercizio”.<br />
Sarno: un fiume di veleni<br />
Anche quest'anno il <strong>mare</strong> non bagna Napoli e provincia. Infatti quasi<br />
del tutto off limits alla balneazione il tratto di <strong>mare</strong> che va da Via Caracciolo a<br />
Pozzano, vicino Castella<strong>mare</strong> di Statbia. Sul banco degli imputati l'ecomostro<br />
per eccellenza. Si scrive Sarno, si legge sversatoio per ogni genere di rifiuti:<br />
sulle sue acque navigano le scorie prodotte dalle industrie conserviere e dalle<br />
concerie dell'entroterra. Il fiume scorre lungo 24 km. Il bacino idrografico ha<br />
un estensione di circa 500 kmq, pari a circa il 4% della superficie regionale.<br />
Interessa tre province: Napoli, Avellino e Salerno e comprende 39 comuni.<br />
Interessa una popolazione di circa 750mila residenti, pari al 13% di quella<br />
intera regione Campania, con una densità urbana media pari a circa 1300<br />
ab/kmq con punte di oltre 2000ab/kmq nelle zone costiere. Un fiume ormai<br />
tristemente famoso per essere diventato l'emblema del degrado in cui dono<br />
ridotti numerosi corsi d'acqua. I prelievi effettuati a più riprese dai vari Enti,<br />
dalla stessa <strong>Legambiente</strong> delineano un quadro a dir poco allarmante: le acque<br />
151
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
del fiume e quelle dei suoi affluenti sono un concentrato di acqua di fogna e<br />
reflui industriali. Dichiarato "area ad elevato rischio ambientale" nell'agosto<br />
1992, il bacino del Sarno secondo un ultimo censimento Istat, ospita<br />
complessivamente oltre 5000 imprese. Di particolare interesse per l'impatto<br />
ambientale, sono il settore conciario, che si concentra nel polo Solofrano in<br />
provincia di Avellino, che comprende circa 120 concerie, e quello conserviero,<br />
di trasformazione del pomodoro, con altre 100 imprese (oltre la metà dei quali<br />
ha i propri stabilimenti nei Comuni di Scafati ed Angri e Sant'Antonio Abate).<br />
Attualmente la incompletezza della rete fognaria, la dotazione episodica di<br />
impianti di depurazione a livello comunale e la loro scarsa efficienza, i lavori a<br />
rilento del sistema depurativo predisposto dal Ministero dell'Ambiente ed<br />
infine, la esiguità delle industrie che applicano il pretattamento delle acque<br />
reflue, hanno trasformato il reticolo idrografico in una fogna a cielo aperto con<br />
basse capacità dell'ecosistema fluviale di autodepurarsi vista la scarsa portata<br />
del fiume, il suo breve corso e la esiguità dei tratti di vegetazione naturale e<br />
perifluviale presenti lungo il percorso. Secondo dati del Noe, negli ultimi anni<br />
sono stati effettuati nell'area circa 1500 ispezioni, accertate circa 1000<br />
violazioni e posti sigilli a quasi 100 piccole imprese. Secondo un' analisi della<br />
Prefettura sulla copertura della rete fognaria dei 39 comuni del Bacino del<br />
Sarno, ben 19 comuni rientrano in una fascia di copertura di fognature tra l’0<br />
ed il 33%, 7 comuni tra il 34 ed il 66% e solo 13 presentano una copertura di<br />
rete fognaria pari ad una fascia tra il 67 ed 100%. Del resto la maggior fonte di<br />
inquinamento delle acque marine-costiere viene da terra, attraverso le acque<br />
dei fiumi. In Campania, dai dati della Goletta Verde su sei foci dei fiumi, 5<br />
risultano gravemente inquinato (uno o più parametri almeno 10 volte oltre i<br />
limiti di legge) e il rimanente considerato inquinato. Un eccesso significativo di<br />
mortalità, per le cause non tumorali per malattie cerebrovascolari (+11%<br />
rispetto alla media regionale pari a 997 casi), un aumento di mortalità anche<br />
per malattie dell’apparato respiratorio totali e croniche pari +27% (745 casi)<br />
+36% (582 casi). Tra le donne preoccupanti gli eccessi di mortalità nelle<br />
malattie dell’apparato respiratorio con +15% rispetto alla media regionale (369<br />
casi). Per quanto riguarda l’intera area a rischio, in cui è presente un’intensa<br />
attività agricola legata alle industrie conserviere del pomodoro, si segnalano,<br />
tra le cause tumorali, nelle femmine, rischi molto elevati per i linfomi non –<br />
Hodgkin (+53% pari a 51 casi), malattia associata in “letteratura” alle<br />
esposizioni di pesticidi. Questi i dati di uno studio dell’OMS (Organizzazione<br />
Mondiale della Sanità) per conto del Ministero dell’Ambiente sulle 15 aree a<br />
rischio ambientale, tra le quali rientar l’area del fiume Sarno. “La zona<br />
maggiormente a rischio, secondo lo studio dell’Oms sono i quattro comuni<br />
(Mercato san Severino- Monitoro Inf-Montoro Sup e Solfora) del polo<br />
conciario, dove negli uomini i valori delle stime di rischio, collegati a malattie<br />
totali e croniche dell’apparato respiratorio sono superiori all’intera area con un<br />
aumento del 47% pari a 112 casi”. Infatti nel commento finale dello studio<br />
dell’OMS viene scritto: “che la concentrazioni dei rischi più alti è situata nei<br />
pressi del polo conciario di Solfora, dove si registrano rischi in crescita<br />
152
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
statisticamente significativa tra i maschi ed i rischi cumulativi per le<br />
generazioni più giovani tendenzialmente elevati in contrasto con i trend della<br />
mortalità regionale.<br />
In sette mesi, dal luglio del 2001 fino al 31 gennaio del <strong>2002</strong> sono state<br />
scoperte e denunciate ben 61 aziende che indisturbate inquinavano il fiume<br />
Sarno. Su 284 sopralluoghi presso le aziende della Provincia di Napoli, Salerno<br />
ed Avellino, ben il 21,4% delle visite ha portato a riscontri di violazione di<br />
legge. Questi alcuni dati anticipati da <strong>Legambiente</strong> sull’attività di controllo<br />
della task-force dell’Arpac della Regione Campania. I dati sono emblematici:<br />
in totale sono stati effettuati 255 sopralluoghi lungo l’intero tratto di fiume<br />
mentre 284 sono state quelle mirate presso le industrie dove sono state<br />
comminate 29 sanzioni amministrative, 22 denunce presso la Procura della<br />
Repubblica e 10 segnalazioni fatte dal Corpo Forestale. Visitate 99 aziende in<br />
provincia di Napoli, 54 ad Avellino e 131 a Salerno, Secondo il monitoraggio<br />
dell’Arpac soprattutto nel periodo estivo sono state le industrie conserviere e<br />
quelle conciarie i principali rei dell’attività inquinante del fiume. Gli<br />
inquinatori farla da padrone, ad inquinare indisturbati. E’ necessario<br />
intensificare i controlli da parte di tutti gli enti preposti, colpirli nelle tasche<br />
infliggendo loro forti sanzioni pecuniarie e parallelamente completare la<br />
realizzazione dei collettori e reti fognarie, senza la quale ogni partita è persa.<br />
Lo schema depurativo del Sarno e lo stato di realizzazione dell'opera<br />
Ad oggi sono stati realizzati i progetti do solo 9 comuni, sono in fase di<br />
gara l’affidamento dei progetti per altri 9, 3 dovrebbero essere nella fase di<br />
progettazione diretta da parte dei comuni, mentre allo stato attuale, per i<br />
collettori del medio Sarno esistono solo i progetti. La storia della depurazione<br />
del fiume, è una leggenda lunga 20 anni. La storia inizia con il progetto<br />
speciale per il disinquinamento del Golfo di Napoli(PS3) elaborato negli anni<br />
'70 dalla Cassa del Mezzogiorno. Sin dall'inizio avversato dagli ambientalisti e<br />
cittadini. Dopo varie vicissitudini, azioni giudiziarie, nel 1996 viene affidato<br />
all'ISMES lo studio di fattibilità delle proposte di rimodulazione del vecchio<br />
progetto- che accoglieva anche le istanze territoriali degli ambientalisti. Nel<br />
gennaio '97 il Ministro dell'Ambiente Edo Ronchi approva il progetto<br />
annunciando lo stanziamento di 800 miliardi per il risanamento dell'intero<br />
bacino del Sarno<br />
Ai fini della depurazione, il bacino del Sarno viene suddiviso in tre<br />
comprensori Alto, Medio e Foce Sarno.<br />
1) Comprensorio Alto Sarno: previsto un impianto di depurazione<br />
centralizzato a Mercato San Severino destinato al trattamento di tutti i<br />
reflui urbani ed industriali prodotti nel comprensorio. L'impianto è in<br />
funzione dall'aprile 1999, ma attualmente è in corso la realizzazione delle<br />
opere di adeguamento alla normativa comunitaria che prevede un<br />
affinamento degli affluenti.; un impianto di pretrattamento degli scarichi<br />
del polo conciario nel Comune di Solofra, in funzione dall 'agosto del 1997;<br />
153
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
una rete di collettori comprensoriali costituita dalle canalizzazione fognarie<br />
principali, in cui è previsto il recapito degli emissari delle reti fognarie<br />
interne di ciascun comune. I collettori recentemente sono stati oggetto di<br />
lavori di manutenzione straordinari al fine di ripristinare l'efficienza. Le reti<br />
fognarie dei singolo comuni già ultimati<br />
2) Comprensorio Medio Sarno: l'intero comprensorio è allo stato attuale privo<br />
di impianti di depurazione. Si prevedono la realizzazione di 4 impianti di<br />
piccole e medie dimensioni così ubicati:<br />
a)Impianto di depurazione localizzato nei Comuni di Scafati- Sant'Antonio<br />
Abate a servizio di circa 367.000 abitanti;<br />
b)Impianto localizzato a Poggiomarino- Striano a servizio di 145.000<br />
abitanti<br />
c)Impianto localizzato ad Angri a servizio di 355.000 abitanti<br />
d) Impianto localizzato a Nocera Inferiore a servizio di 311.000 abitanti<br />
Nell'aprile 1999 si è svolta la consegna dei lavori alle imprese<br />
aggiudicatarie delle gare d'appalto. Per il completamento dei lavori sono<br />
stati concessi 35 mesi ed i lavori dovrebbero essere ultimati sulla carta<br />
entro marzo <strong>2002</strong>. Per quanto attiene alla rete dei collettori, ad oggi<br />
anch'essi mancanti, si prevede il completamento delle opere entro la metà<br />
di aprile <strong>2002</strong>. Le reti fognarie dei singoli comuni risultano affette da gravi<br />
carenze, dovute sia a deficienza funzionali che alla completa inesistenza.<br />
Per la fine di quest'anno previsto il completamento dei progetti esecutivi<br />
per passare, poi, alla fase realizzativa.<br />
3) Comprensorio Foce Sarno: prevede un impianto di depurazione<br />
centralizzato, ubicato nel comune di Castellam<strong>mare</strong>. In esercizio dalla metà<br />
del 1999, attualmente oggetto dei lavori di adeguamento alla normativa<br />
comunitaria il cui termine è previsto per il terzo trimestre del <strong>2002</strong>; una rete<br />
di collettori comprensoriali suddivisa in sistema sinistra Sarno, dove<br />
saranno realizzati un collettore che raccoglie gli scarichi di Castellam<strong>mare</strong>,<br />
ad oggi ultimato, ma che richiede lavori di manutenzione straordinaria per<br />
la messa in esercizio, ed uno a Gragnano a servizio dei comuni interni a<br />
sinistra idraulica del Sarno, in corso di realizzazione e sistema a destra<br />
Sarno costituito da un unico collettore il cui tratto iniziale si sviluppa in<br />
galleria sotto il centro storico di Torre Annunziata. Realizzato interamente,<br />
la messa in esercizio è tuttora condizionata da interferenze con la rete<br />
idrografica secondaria locale. Per quanto riguarda la rete fognaria urbana è<br />
in corso di completamento in alcuni comuni ed in fase di progettazione<br />
esecutiva per altri.<br />
154
11. L’onda nera<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Era stato salutato appena un anno fa dalle stesse associazioni<br />
ambientaliste come l’accordo più avanzato in materia di trasporto di petrolio e<br />
sostanze pericolose che fosse stato mai sottoscritto. Stiamo parlando<br />
dell’accordo volontario siglato in extremis dall’ex Ministro dell’Ambiente<br />
Willer Bordon con il suo omologo ai Trasporti, Confindustria, Sindacati,<br />
associazioni ambientaliste, Assoporti ed altri soggetti, che prevedeva una serie<br />
di misure volontarie che l’industria italiana si era impegnata a rispettare ed un<br />
calendario di phasing out per l’eliminazione delle “carrette dei mari” che<br />
avrebbe anticipato di alcuni anni quanto previsto a livello internazionale. Per<br />
parte sua l’Amministrazione Centrale avrebbe provveduto a predisporre una<br />
serie di provvedimenti ed iniziative per facilitare le iniziative dell’industria. Il<br />
tutto con la benedizione di sindacati e associazioni ambientaliste.<br />
In particolare l’accordo prevedeva l’anticipo di ben 4 anni delle<br />
scadenze fissate dall’Unione Europea e dall’IMO (International Maritime<br />
Organization), per quanto riguarda l’eliminazione delle carrette dei mari . Tra i<br />
vari punti cruciali stabiliti nell’accordo, l’impegno da parte di armatori e<br />
utilizzatori di bandire entro il 31 Dicembre 2003, le navi preMarpol per il<br />
trasporto di greggio e entro il 31 Dicembre 2005 di preMarpol adibite al<br />
trasporto di sostanze pericolose. L’accordo prevedeva inoltre che l’industria<br />
italiana inserisse nei contratti di noleggio la clausola che vieta il transito delle<br />
petroliere, qualunque sia la bandiera di appartenenza, nelle Bocche di<br />
Bonifacio, area di notevolissimo pregio naturalistico.<br />
A un anno di distanza nessuna delle iniziative previste dall’accordo<br />
volontario è stata avviata. Le firme dei soggetti che hanno sottoscritto<br />
l’impegno sono rimaste chiuse nei cassetti del Ministero dell’Ambiente, cui<br />
spettava il compito di dare seguito agli impegni presi istituendo in primo luogo<br />
un comitato di monitoraggio dell’accordo.<br />
E così si è persa un’occasione per allontanare le carrette dai nostri mari<br />
e per modernizzare l’industria nazionale. Un anno passato inutilmente.<br />
Ne sono passati 11, invece, di anni dall’incidente che ha portato<br />
all’affondamento della Haven e allo sversamento di decine di migliaia di<br />
tonnellate di idrocarburi nel <strong>mare</strong> Ligure. La carcassa della Haven giace tuttora<br />
sul fondo marino e tonnellate di catrame e petrolio ricoprono i fondali. Dieci<br />
anni dopo quello che è considerato il più grave disastro ambientale del<br />
Mediterraneo si sta cominciando a rimettere mano alle regole che governano il<br />
traffico marittimo petrolifero. Ci sono voluti altri incidenti, dalla Erika alla<br />
Ievoli Sun, perché l’Unione Europea cominciasse a prendere in considerazione<br />
la possibilità di dotarsi di una normativa più avanzata in questo settore ed è<br />
tuttora all’esame il cosiddetto pacchetto “Erika 1”, che prevede una serie di<br />
misure per rendere più sicuro il trasporto di prodotti petroliferi lungo le coste<br />
europee. Anche l’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale) sta<br />
lavorando in questa direzione per estendere al naviglio internazionale una<br />
155
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
regolamentazione più severa, ma i tempi degli accordi internazionali rischiano<br />
di non tener conto delle tante emergenze che quotidianamente si consumano<br />
nei mari del pianeta.<br />
11.1 Alcuni dati sul bacino del Mediterraneo<br />
Il <strong>mare</strong> Mediterraneo è un <strong>mare</strong> semi chiuso circondato da tre<br />
continenti, Europa, Asia ed Africa. Su di esso si affacciano oltre venti stati, di<br />
condizione politica, economica e sociale molto diversa per un totale di 360<br />
milioni di abitanti, di cui un terzo abita nelle aree costiere. All’interno del<br />
bacino interagiscono numerosissime attività, sia i Paesi rivieraschi sviluppati<br />
sia quelli in via di sviluppo dipendono in gran parte dalle sue risorse. L’area<br />
totale è di 2.5 milioni di km 2 , che costituisce lo 0,8% della superficie totale<br />
degli oceano. La lunghezza totale tra Gibilterra e la costa della Siria è di 3,800<br />
chilometri, e la larghezza massima tra Francia ed Algeria è di 900 km. La<br />
massima distanza di un punto dalla costa è di 370 km, ma oltre il 50% della<br />
superficie del Mediterraneo è a meno di 100 km dalla costa più prossima. La<br />
profondità media è di 1500 m, con punte di oltre 4000 m.<br />
Negli ultimi decenni si è assistito ad un continuo flusso di nuovi<br />
abitanti lungo le coste. Questo trend è particolarmente evidente sulla riva nord,<br />
dove in certe aree il livello di urbanizzazione ha quasi raggiunto il 100%, come<br />
nell’area tra Mentone e Marsiglia in Francia, la riviera Ligure e la zona intorno<br />
a Napoli in Italia. Alla pressione abitativa, si deve poi aggiungere lo sviluppo<br />
del settore turistico. Il Mediterraneo è sempre stato una delle destinazioni<br />
preferite a livello mondiale. Un terzo dei turisti mondiali, quasi 150 milioni di<br />
persone, sceglie annualmente il Mediterraneo come destinazione per le loro<br />
vacanze, attratto da <strong>mare</strong>, spiagge e sole.<br />
La pesca nel Mediterraneo è ancora in gran parte portata avanti con<br />
metodi “artigianali”, utilizzando imbarcazioni di piccole e medie dimensioni, e<br />
da pescatori individuali o in cooperative, con una produzione in gran parte<br />
indirizzata al mercato interno. Il settore della pesca è molto importante a livello<br />
sociale oltre che economico, in quanto da esso dipendono non solo i pescatori,<br />
ma anche gli occupati dei settori collegati della trasformazione, distribuzione e<br />
cosi via, con un rapporto tra gli addetti di quasi 1:2,5. Solo in Italia, il settore<br />
della pesca marittima in quanto tale occupa 43,757 addetti (dati dal IV Piano<br />
Triennale della pesca e acquacultura 2000-<strong>2002</strong>), cui si devono aggiungere<br />
17,000 addetti nei settori dell’acquacultura, trasformazione e cantieristica, e<br />
circa 46,000 addetti nelle attività correlate (come ad esempio distribuzione,<br />
commercializzazione e servizi portuali), per un totale di occupati di circa<br />
107,000 unità. In caso di incidenti con sversamento di idrocarburi, i danni<br />
subiti da queste attività pregiudicherebbero in maniera determinante la<br />
situazione economica di un altissimo numero di famiglie.<br />
156
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Operazioni Offshore<br />
Nel Mediterraneo esistono una serie di aree di piattaforma continentale<br />
piuttosto vaste, come l’Adriatico, che nella parte settentrionale non è mai più<br />
profondo di 200 metri, il Golfo del Leone, l’Egeo settentrionale e lo stretto di<br />
Sicilia. In queste aree sono già partite attività di esplorazione e sfruttamento<br />
delle risorse dei fondali, soprattutto gas, ma anche petrolio. Anche se queste<br />
attività sono limitate a poche aree, il rischio di impatti negativi sull’ambiente<br />
marino e sulle altre risorse ed attività economiche che vi si basano è comunque<br />
molto alto, ed aumenta con lo sviluppo di tali attività.<br />
Trasporto Marittimo<br />
Fin dall’apertura del Canale di Suez, il Mediterraneo è tornato alla<br />
ribalta come canale preferenziale per il trasporto di merci di ogni genere. Ogni<br />
anno il bacino è attraversato da centinaia di navi che trasportano merci di ogni<br />
genere, dal petrolio greggio alle merci manufatte. Ma è il trasporto di petrolio<br />
greggio e dei prodotti della raffinazione che rappresenta la voce principale del<br />
trasporto marittimo nel Mediterraneo.<br />
11.2 Il traffico marittimo di idrocarburi<br />
A livello mondiale il petrolio è la merce maggiormente trasportata via<br />
<strong>mare</strong>. Secondo fonti EUROSTAT e OECD/IEA, nel 1998 sono stati trasportati<br />
via <strong>mare</strong> petrolio greggio e prodotti della raffinazione per un totale di 2.000<br />
milioni di tonnellate che in termini di peso rappresentavano il 40% dell’intero<br />
trasporto via <strong>mare</strong>. Il trasporto di greggio rappresenta tre quarti del trasporto<br />
mondiale di prodotti petroliferi (1.590 milioni di tonnellate), mentre i prodotti<br />
raffinati sono il restante quarto (430 milioni di tonnellate).<br />
Traffico marittimo mondiale di materie prime (1995)<br />
Materia prima Totale trasportato (milioni di tonnellate)<br />
Petrolio greggio 1.415<br />
Carbone 423<br />
Minerali di ferro 402<br />
Granaglie 196<br />
Fonte: Confitarma<br />
Le vie di traffico principali sono quelle che vanno dai paesi produttori,<br />
dal Medio Oriente e Golfo Persico, verso Asia, Europa e Stati Uniti, dal Nord<br />
Africa verso l’Europa, e dai Carabi verso gli Stati Uniti. Lungo queste direttrici<br />
il petrolio prodotto in Africa occidentale e nel <strong>mare</strong> del Nord viene trasportato<br />
in navi di 130-150000 tonnellate (cosiddette Suezmax), quello prodotto dai<br />
Paesi Arabi è trasportato in VLCC di dimensioni superiori alle 250.000 t,<br />
mentre dai Caraibi, dal Mediterraneo e dal Mar Nero il greggio è trasportato in<br />
navi di 80-100,000 tonnellate (cosiddette Aframax). Nel caso di trasporto<br />
157
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
intraregionale, come quello che si svolge all’interno del Mediterraneo, le navi<br />
utilizzate superano raramente le 50,000 tonnellate.<br />
La flotta mondiale di petroliere e chimichiere è composta da 8.720 navi<br />
per un totale di 324,340,718 tonnellate di stazza lorda (dati OMI). Di queste<br />
1.780 sono petroliere e 6.940 trasportano invece prodotti raffinati. Da notare<br />
comunque che al maggior numero di chimichiere non corrisponde una stazza<br />
complessiva più elevata, in quanto le petroliere sono generalmente di maggiori<br />
dimensioni.<br />
Secondo stime recenti, più del 60% della flotta circolante ha più di<br />
17/18 anni di età, mentre sarebbe addirittura del 90% la percentuale delle<br />
grandi petroliere (con stazza superiore alle 200.000 tonnellate) che hanno<br />
superato i 16 anni di età. Unasituazione oltremodo allarmante, se si considera<br />
che una petroliera dovrebbe essere avviata al disarmo tra i 15 e i 20 anni di età.<br />
Il traffico di petrolio all’interno dell’Unione Europea rappresenta il<br />
27% del traffico mondiale ed il 90% del trasporto di petrolio viene effettuato<br />
via <strong>mare</strong>, mentre gli Stati Uniti da soli importano il 25% del totale.<br />
Il traffico petrolifero nel Mediterraneo, che costituisce lo 0,8% della<br />
superficie delle acque mondiali, rappresenta più del 20% del traffico mondiale<br />
marittimo del petrolio, ed ammonta a 360 milioni di tonnellate annue (fonte<br />
Rempec), di cui:<br />
300 milioni entrano nel Mediterraneo diretti verso Paesi del bacino stesso<br />
180 milioni di tonnellate di petrolio greggio e condensato partono dal<br />
Medio Oriente (125 milioni di tonnellate attraverso il Canale di Suez e la<br />
condotta di Sumed, 50 milioni attraverso il Bosforo, e 5 milioni dalla<br />
Turchia) principalmente verso l’Italia;<br />
100 milioni di tonnellate di petrolio greggio e condensato partono dal Nord<br />
Africa (60 milioni dalla Libia, 40 milioni dall’Algeria) principalmente<br />
verso la Francia;<br />
20 milioni di tonnellate partono da Paesi mediterranei verso altri Paesi del<br />
bacino (8 milioni di prodotti della raffinazione dalla Francia all’Algeria).<br />
20 milioni di tonnellate lasciano il Mediterraneo,<br />
10 milioni attraverso lo stretto di Gibilterra (prodotti raffinati, soprattutto<br />
in partenza dalla Francia);<br />
10 milioni attraverso il canale di Suez (prodotti raffinati).<br />
40 milioni di tonnellate attraversano il Mediterraneo<br />
20 milioni di petrolio greggio e condensato partono dal Mar Nero<br />
attraverso il Bosforo e lo stretto di Gibilterra<br />
20 milioni dall’Egitto (canale di Suez e condotta di Sumed) e attraverso lo<br />
stretto di Gibilterra.<br />
In media, 250/300 petroliere sono in circolazione nel Mediterraneo ogni<br />
giorno.<br />
158
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Dal 1996 per effetto della MARPOL, le navi cisterna devono essere<br />
costruite con scafo doppio o con tecnologia equivalente, mentre quelle<br />
monoscafo andranno gradualmente dismesse.<br />
La MARPOL però non fissa una tempistica rigorosa e celere per<br />
l’eliminazione delle petroliere monoscafo. Dati INTERTANKO danno al 1<br />
gennaio 2000 una percentuale di cisterne a doppio scafo in servizio nel mondo<br />
del 20,8%, che sale al 42,8% per i tankers tra le 80.000 e le 200.000 tonnellate<br />
ed al 33.3% per quelli superiori alle 200.000 tonnellate, percentuale che in<br />
Mediterraneo sembra essere molto più bassa.<br />
L’Oil Polluction Act americano del 1990, approvato in seguito al<br />
disastro dell’Exxon Valdez, e che stabilisce un calendario per vietare<br />
totalmente l’accesso nelle acque territoriali americane alle petroliere<br />
monoscafo, ha iniziato a concentrare la parte più vecchia della flotta cisterne,<br />
che non potrebbe più accedere ai porti americani, verso le destinazioni<br />
asiatiche o mediterranee. Solo poche petroliere a doppio scafo agiscono<br />
abitualmente nel Mediterraneo, su 250-300 con stazza lorda oltre le 100 GRT.<br />
Nel 1998 (fonte UPI) sono transitate nei porti Italiani 123.800.000 di<br />
tonnellate di petrolio greggio, in gran parte movimentate nei porti<br />
dell’Adriatico. Nel 1999 (fonte U.P.I.) sono state importate nel nostro paese<br />
80.369.000 tonnellate di greggio, con una movimentazione di circa 2.000.000<br />
di barili al giorno, di cui il 65% nei porti maggiori.<br />
11.3 Gli incidenti<br />
Secondo una definizione del GESAMP, l’inquinamento marino è<br />
l’“Introduzione diretta o indiretta da parte umana, di sostanze o energia<br />
nell’ambiente marino... che provochi effetti deleteri quali danno alle risorse<br />
viventi, rischio per la salute umana, ostacolo alle attività marittime compresa la<br />
pesca, deterioramento della qualità dell’acqua per gli usi dell’acqua marina e<br />
riduzione delle attrattive”<br />
Si possono quindi inquadrare tre differenti tipi di inquinamento:<br />
- Inquinamento sistematico: causato dall’immissione continua nel<br />
tempo di inquinanti (scarichi fognari, reflui industriali, dilavamento<br />
terreni, e così via).<br />
- Inquinamento operativo: causato dall’esercizio di natanti<br />
(lavaggio cisterne, scarico delle acque di zavorra e di sentina,<br />
ricaduta fumi, vernici antivegetative, e così via).<br />
- Inquinamento accidentale: causato da incidenti: naufragi,<br />
operazioni ai terminali, blow-out da piattaforme, rottura condotte).<br />
Secondo fonti OMI tra le fonti di inquinamento delle acque marine solo<br />
il 23% sono costituite da sorgenti marine e tra queste la percentuale del 12% è<br />
quella legata all’inquinamento dovuto al trasporto marittimo, il resto è dovuto a<br />
cause di origine terrestre, ad attività di dumping e off-shore ed al trasporto<br />
aereo.<br />
159
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Principali sversamenti di petrolio in <strong>mare</strong><br />
DATA LOCALITA' NAVE SVERSAM.(tonn.)<br />
Luglio 1979 Trinidad Atlantic Express 276.000<br />
Novembre 1987 Iran Fortuneship 260.000<br />
Maggio 1991 Angola Abt Summer 260.000<br />
Marzo 1978 Francia Amoco Cadiz 228.000<br />
Settembre 1985 Iran Son Bong 200.000<br />
Agosto 1983 Sud Africa Castillo de Belver 190.000<br />
Aprile 1991 Italia Haven 144.000<br />
Maggio 1988 Iran Barcelona 140.000<br />
Novembre 1991 Terranova Odissey 140.000<br />
Marzo 1967 Gran Bretagna Torrey Canion 121.000<br />
Dicembre 1972 Golfo di Oman Sea Star 115.000<br />
Febbraio 1980 Grecia Irenes Serenade 102.000<br />
Maggio 1976 Spagna Urquiola 101.000<br />
Luglio 1985 Iran M.Vatan 100.000<br />
Febbraio 1977 Pacifico del Nord Hawaian Patriot 95.000<br />
Novembre 1979 Bosforo Independenta 95.000<br />
Gennaio 1993 Gran Bretagna Braer 85.000<br />
Dicembre 1987 Oman Norman Atlantic 85.000<br />
Gennaio 1975 Portogallo Jacob Maersk 84.000<br />
Dicembre 1992 Spagna Aegeum Sea 80.000<br />
Agosto 1979 India World Protector 70.000<br />
Dicembre 1985 Iran Nova 70.000<br />
Dicembre 1989 Marocco Khark V 70.000<br />
Febbraio 1971 Sud Africa Wafra 63.000<br />
Febbraio 1996 Gran Bretagna Sea Empress 60.000<br />
Maggio 1983 Iran Panoceanic Fama 60.000<br />
Febbraio 1985 Iran Neptunia 60.000<br />
Maggio 1975 Porto Rico Epic Colocotroni 57.000<br />
Dicembre 1960 Brasile Sinclail Petrolone 56.000<br />
Gennaio 1983 Oman Assimi 54.000<br />
Agosto 1974 Stretto di Magellano Metula 53.000<br />
Novembre 1974 Giappone Yuyo Marn 50.000<br />
Ottobre 1987 Iran Shinig Star 50.000<br />
Maggio 1988 Iran Seawise Geant 50.000<br />
Dicembre 1978 Spagna Andros Patria 47.000<br />
Dicembre 1983 Qatar Pericles G C 46.000<br />
Giugno 1968 Sud Africa World Glory 45.000<br />
Gennaio 1975 Nord Pacifico British Ambassade 45.000<br />
Aprile 1979 Francia Gino 42.000<br />
Febbraio 1968 Oregon Mandoil 2 40.000<br />
Gennaio 1975 Delaware Corinthos 40.000<br />
Dicembre 1978 Stretto di Hormuz Todotzu 40.000<br />
Novembre 1979 Texas Burmah Agate 40.000<br />
Giugno 1973 Cile Napier 38.000<br />
Dicembre 1982 Iran Scapmount 37.000<br />
Marzo 1989 Alaska Exxon Valdez 35.000<br />
Dicembre 1999 Francia Erika 31.000<br />
Fonte: Bilardo e Mureddu 1992, Intertanko<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Nel Mediterraneo, secondo le statistiche OMI, la percentuale degli<br />
inquinamenti da idrocarburi dovuti a sversamenti da navi è del 10%. Si tratta<br />
ovviamente di statistiche relative agli sversamenti accidentali che non tengono<br />
conto delle operazioni illegali, quali il lavaggio delle cisterne. Secondo una<br />
stima dell’Unione Petrolifera il Mediterraneo riceverebbe ogni anno circa 1<br />
milione di tonnellate di idrocarburi provenienti da varie fonti (sversamenti<br />
intenzionali e accidentali, fonti endogene, apporto dai fiumi, ecc.).<br />
Analizzando le cause di questi incidenti, è possibile riscontrare che per<br />
il 64% dei casi esse sono imputabili ad errore umano, il 16% a guasti<br />
meccanici ed il 10% a problemi strutturali della nave, mentre il restante 10%<br />
non è attribuibile a cause certe.<br />
Per avere un quadro più vicino alla realtà bisogna tenere presente come<br />
la gran parte delle percentuali attribuibili agli errori umani e alle cause non<br />
determinate possono senz’altro essere ascritte ai problemi connessi alla<br />
presenza di vecchie imbarcazioni con equipaggi improvvisati e impreparati che<br />
percorrono in gran numero il Mediterraneo.<br />
Secondo statistiche elaborate dall’ITOPF, l’associazione di categoria<br />
dei trasportatori di idrocarburi, le cause degli sversamenti si manifestano<br />
secondo le seguenti proporzioni:<br />
- durante le operazioni di carico e scarico circa il 35%,<br />
- durante il bunkeraggio circa il 7%,<br />
- per collisioni circa il 2%,<br />
- per arenamento circa il 3%<br />
- per falle nello scafo circa il 7%,<br />
- in seguito a incendi o esplosioni (come nel caso della Haven) per il<br />
2%,<br />
- per altre cause non meglio determinate il 29%,<br />
- per altre operazioni di routine il 15%.<br />
Nel 1999 sono stati compiuti oltre 100 interventi per oil spill superiori<br />
alle 500 tonnellate, un record per gli ultimi anni. Di questi, una consistente<br />
parte è avvenuta in Mediterraneo. La media annuale di spill superiori a 500<br />
tonnellate si aggira per il nostro bacino sulle 21.000 tonnellate annue.<br />
Negli ultimi 20 anni, 550.000 tonnellate di idrocarburi sono state<br />
sversate in <strong>mare</strong> in seguito a tre soli incidenti, per un totale del 75% della<br />
quantità totale (Cavo Cambanos nel 1981, Sea Spirit ed Hesperus nel 1990,<br />
Haven nel 1991). Dati REMPEC.<br />
Per quanto rilevanti tuttavia, gli sversamenti accidentali dovuti ad<br />
idrocarburi, rappresentano solo una piccola quota del totale degli scarichi<br />
dovuti al traffico marittimo, la maggior parte di essi infatti, dall’80 al 95% a<br />
seconda dei criteri di stima è infatti determinata da operazioni di routine, in<br />
particolare dallo zavorramento e dal lavaggio delle cisterne, con uno spill<br />
medio a livello mondiale, valutabile da 8 a 20 milioni di barili, con 1 milione di<br />
barili nel solo Mediterraneo.<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
Densità del catrame pelagico negli oceani mondiali<br />
Catrame trovato in media (mg/m 3 )<br />
Mediterraneo 38<br />
Mar dei Sargassi 10<br />
Sistema giapponese 3,8<br />
Corrente del Golfo 2,8<br />
Atlantico nord-occidentale 1<br />
Golfo del Messico 0,8<br />
Caraibi 0,6<br />
Pacifico nord orientale 0,4<br />
Pacifico sud occidentale < 0,01<br />
Fonte: Bilardo e Mureddu<br />
11.4 Inquinamento da petrolio, cause ed effetti sull’ambiente<br />
La maggioranza degli sversamenti accidentali di idrocarburi si ha in<br />
seguito all’arenamento (grounding) della nave. È proprio in seguito a questa<br />
constatazione che negli anni ottanta e novanta fu sviluppato il sistema del<br />
doppio scafo come mezzo più sicuro per evitare lo sversamento degli<br />
idrocarburi direttamente in <strong>mare</strong> in caso di arenamento o collisione. Il doppio<br />
scafo infatti, pur non aumentando in assoluto la sicurezza della navigazione,<br />
minimizza gli effetti negativi in caso di incidente, garantendo la presenza di<br />
uno strato intermedio tra le cisterne e l’esterno, per evitare che l’eventuale<br />
scontro causi la dispersione in <strong>mare</strong> di tutto il carico.<br />
Nella grande maggioranza dei casi, gli incidenti sono generalmente<br />
imputabili ad errore umano, come evidenziato nel grafico seguente.<br />
Il Mediterraneo: cause di sversamenti accidentali<br />
di idrocarburi da navi cisterna<br />
64%<br />
10%<br />
10%<br />
16 %<br />
Problem i strutturali della nave<br />
G u a s t i m e c c a n ic i<br />
Errori imputabili all'elemento umano<br />
Cause non identificate<br />
162<br />
Dott. E. Amato
Fonte: Ezio Amato - Icram<br />
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
L'impatto degli sversamenti di petrolio nell'ecosistema marino<br />
dipendono da molti fattori concomitanti: quantità di petrolio sversato, modalità<br />
dell'incidente (l'incendio del petrolio può trasferire parte degli idrocarburi in<br />
atmosfera), distanza e morfologia della costa, condizioni meteorologiche.<br />
In generale, uno sversamento consistente produce effetti acuti nel breve<br />
termine e cronici nel lungo periodo sugli organismi marini (in particolare sulle<br />
uova o sui piccoli pesci), sui crostacei (ad esempio lo zooplancton, che<br />
rappresenta la principale fonte di cibo per i pesci), sugli invertebrati filtratori<br />
(coralli, spugne, anemoni di <strong>mare</strong>, bivalvi, etc.) e sull'avifauna che viene a<br />
contatto con gli strati oleosi galleggianti. Quando le chiazze raggiungono il<br />
litorale, i danni colpiscono anche gli organismi stanziali, siano essi alghe,<br />
piante o animali.<br />
In particolare, per quanto riguarda gli effetti acuti, il petrolio forma una<br />
sottile pellicola che:<br />
- impedisce gli scambi gassosi provocando condizioni di anossia;<br />
- limita la penetrazione della luce con ripercussioni sull’attività<br />
fotosintetica di alghe, fanerogame marine, fitoplancton e quindi<br />
provoca una diminuzione della produzione primaria;<br />
- aderisce agli organismi che vivono o interagiscono all’interfaccia<br />
aria/acqua (mammiferi marini, uccelli, organismi bentonici<br />
intertidali, alghe, stadi larvali, gameti, ecc.) impedendone le normali<br />
funzioni vitali.<br />
Gli effetti cronici, si verificano per gli organismi quando la tossicità<br />
rimane ad un livello sub-letale ma, la presenza delle sostanze inquinanti<br />
provoca alterazioni sostanziali delle condizioni chimico-fisiche che, con tempi<br />
più o meno lunghi si ripercuotono sulla comunità, presentandosi come:<br />
- alterazioni fisiologiche, fisiche e comportamentali;<br />
- modificazioni della composizione in specie;<br />
- modificazioni delle interazioni ecologiche (es. preda-predatore).<br />
Il petrolio nell’ambiente marino subisce una serie di trasformazioni<br />
chimico-fisiche e biologiche, in percentuale variabile a seconda del tipo di<br />
greggio. Il petrolio evaporato viene fotossidato in alcune ore o in alcuni giorni<br />
producendo emissioni di anidride carbonica, ossido di carbonio, composti<br />
organici ossigenati ed aerosol secondari. La fotossidazione interessa anche il<br />
petrolio galleggiante.<br />
Il petrolio che sedimenta sul fondo è quello più dannoso per<br />
l'ecosistema marino: analisi condotte sui sedimenti di una spiaggia inquinata<br />
hanno evidenziato che alcune componenti idrocarburiche rimanevano<br />
assolutamente inalterate per molti anni. Il petrolio sedimentato nei fondali può<br />
interferire con la vita sia degli organismi superiori che dei microrganismi.<br />
Goletta Verde ha effettuato una ricerca sulla presenza di idrocarburi nei<br />
sedimenti dei fondali marini. L’indagine ha riguardato principalmente i fondali<br />
del Tirreno e dell’alto Adriatico, e ha sostanzialmente confermato la situazione<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
già rilevata in precedenti occasioni: un inquinamento da idrocarburi forte e<br />
diffuso, con valori molto superiori a quelli registrati dall'Unep in altre aree del<br />
Mediterraneo. Particolarmente significativi i picchi rilevati lungo la costa del<br />
Friuli Venezia Giulia, in prossimità del porto di Trieste e della centrale Enel di<br />
Monfalcone, e davanti al litorale di Reggio Calabria.<br />
Oltre agli sversamenti, ci sono altri danni che una petroliera può causare<br />
all'ambiente. Particolarmente rilevante è il problema dell'introduzione di specie<br />
esotiche nell'ecosistema marino attraverso le acque di zavorra. Infine, un<br />
rischio collegato all'attività delle petroliere è quello dell'inquinamento<br />
atmosferico: a differenza di tutti gli altri mezzi di trasporto, infatti, le navi<br />
usano carburanti in cui il contenuto in zolfo non è sottoposto ad alcuna<br />
limitazione.<br />
11.5 Le proposte: le dieci regole per cambiare il mondo del<br />
trasporto marittimo delle sostanze pericolose<br />
1) Via le vecchie carrette dai nostri mari. Eliminazione entro il 2005 delle<br />
cosiddette “petroliere Premarpol” (costruite prima del 1982) e prive di doppio<br />
scafo e accorgimenti protettivi da tutti i porti italiani. Fissazione della durata<br />
massima di attività per una nave addetta al trasporto di idrocarburi o sostanze<br />
pericolose in 23 anni dal varo.<br />
2) Stop al lavaggio delle cisterne in <strong>mare</strong>. Chiediamo che vengano intraprese<br />
iniziative a livello di bacino del Mediterraneo per la piena applicazione dello status<br />
di area speciale ai sensi dell’annesso I della MARPOL e per l’efficace repressione<br />
degli inquinamenti volontari. Chiediamo un impegno per l’adozione delle<br />
reception facilities e di misure che consentano di rendere economicamente<br />
conveniente lo scarico delle acque delle cisterne presso i depositi costieri e<br />
rischioso e svantaggioso il lavaggio a <strong>mare</strong> e misure serie per l’armonizzazione e<br />
l’applicazione delle sanzioni.<br />
3) Basta con gli “equipaggi babele” e privi di capacità professionale. E’<br />
necessario intervenire sempre più sulla formazione degli equipaggi e dei<br />
comandanti, chiediamo un controllo continuo sulla composizione e sulla<br />
professionalità degli equipaggi delle navi che trasportano merci pericolose.<br />
4) Basta con le navi insicure. Chiediamo controlli severi e stringenti sulla<br />
adeguatezza delle navi e il blocco di quelle che non offrono garanzie adeguate di<br />
sicurezza.<br />
5) Stop al rischio tempesta. Chiediamo venga imposto il divieto di navigazione<br />
alle navi che trasportano sostanze pericolose e inquinanti in condizioni<br />
meteomarine particolarmente avverse.<br />
164
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
6) Anche il bunker uccide il <strong>mare</strong>. Chiediamo l’introduzione di misure relative al<br />
bunker (combustibile di bordo) trasportato dalle navi sia a livello assicurativo che<br />
costruttivo.<br />
7) Chi inquina deve pagare. Chiediamo l’allargamento della responsabilità in<br />
solido per tutti i soggetti coinvolti nel trasporto delle sostanze pericolose e nel<br />
viaggio della nave, dall’armatore, al noleggiatore, al trasportatore e così via.<br />
Chiediamo la piena applicazione del principio “chi inquina paga”, perché il <strong>mare</strong><br />
non sia più l’unico soggetto costretto a pagare.<br />
8) Anche l’ambiente ha un costo. Chiediamo il pieno riconoscimento e<br />
risarcimento del danno ambientale in ambito IOPCF, superando la definizione<br />
escludente contenuta nel Fondo 1992, e un conseguente adeguato innalzamento del<br />
massimale. Ci rivolgiamo all’Unione Europea perché contribuisca in tutte le sedi<br />
internazionali a individuare una definizione precisa di “danno ambientale” e<br />
promuova strumenti e forme anche integrative di risarcimento.<br />
9) Stop al traffico nelle Bocche di Bonifacio. Chiediamo un impegno italiano ed<br />
europeo, anche in sede IMO, per giungere all’eliminazione del traffico dalle<br />
Bocche di Bonifacio, cominciando con l’adesione volontaria degli Stati U.E. e di<br />
quelli che hanno richiesto di entrare nella Comunità alle iniziative italo-francesi di<br />
limitazione dei traffici del naviglio di bandiera.<br />
10) Il petrolio non è solo un problema di trasporto, ma soprattutto ambientale<br />
Chiediamo che il trattamento delle questioni relative alle problematiche del<br />
trasporto marittimo di sostanze pericolose venga svolto a livello UE<br />
congiuntamente dalle Commissioni Ambiente e Trasporti e che si faccia chiarezza<br />
sui ruoli e sulle competenze dei ministeri nei rapporti internazionali e<br />
sovranazionali prevedendo anche la tempestiva comunicazione alle autorità<br />
ambientali di situazioni di crisi o di pericolo. È necessario che gli obiettivi<br />
ambientali vengano sempre più integrati all’interno delle disposizioni sulla<br />
sicurezza in <strong>mare</strong> proposte dall’Unione Europea che, pur condivisibili, finora<br />
hanno mantenuto un’accezione prettamente trasportistica.<br />
165
<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
12. 20.000 bombe in fondo al mar<br />
Bombe a grappolo, bombe a mano, da aereo, da mortaio, mine, un<br />
arsenale quasi interamente caricato con agenti chimici altamente tossici,<br />
proiettili all’uranio impoverito: la guerra continua in fondo al <strong>mare</strong>.<br />
Tutto è cominciato durante la prima guerra mondiale quando alcuni<br />
paesi belligeranti iniziarono una grande produzione di armi chimiche.<br />
Nonostante il trattato di Versailles del 1922 e la convenzione di Ginevra del<br />
’25 misero al bando il loro uso, molte nazioni, tra cui l’Italia, continuarono a<br />
produrne. I centri di stoccaggio e costruzione degli armamenti furono allestiti<br />
tra Bari e Lecce. Dopo la guerra tutto il materiale bellico inutilizzato finì<br />
nell’Adriatico. Molti residuati del secondo conflitto mondiale seguirono la<br />
stessa sorte e comunque fino a una trentina di anni fa, come riferisce l’Istituto<br />
per la ricerca scientifica e tecnologia applicata al <strong>mare</strong> (ICRAM), la pratica<br />
corrente di smaltimento per il munizionamento militare obsoleto era<br />
l’affondamento in <strong>mare</strong>. Nel 1999 sono arrivate le famigerate “bombe a<br />
grappolo” sganciate in Adriatico dalla NATO dopo la guerra in Kossovo e<br />
l’urgenza di bonificare le zone interessate a fatto riemergere un arsenale<br />
sommerso: l’Icram ha individuato per il momento, in quattro aree al largo<br />
delle coste di Molfetta, 20 mila ordigni a “caricamento speciale”. Un’enorme<br />
discarica sommersa che rilascia sostanze letali come l’iprite e composti di<br />
arsenico. Quante altre ce ne sono nel resto dell’Adriatico? Impossibile saperlo:<br />
le autorità militari non forniscono informazioni che sono “riservate”. Si<br />
sospetta inoltre la presenza di proiettili all’uranio impoverito utilizzati sempre<br />
dalle forze NATO. “Non sono pericolosi” avevano assicurato i militari, ma un<br />
manuale Nato dice l’esatto contrario. Il dato certo è che il caricamento dei<br />
20.000 ordigni stimati dall’Icram è composto da 24 diverse sostanze, 18 di<br />
queste sono persistenti e in grado di esercitare effetti nocivi sull’ambiente e<br />
sull’uomo. Costituiscono un pericolo per i pescatori e per tutti coloro che a<br />
vario titolo esercitano le loro attività in <strong>mare</strong>. Solo nel basso Adriatico sono più<br />
di 200 i casi documentati di pescatori intossicati e ustionati dalle esalazioni<br />
sprigionatesi da ordigni a carica chimica salpati con le reti. Le sostanze<br />
rilasciate provocano la distruzione delle cellule umane, attaccano gli occhi,<br />
pelle e apparato respiratorio, alterano la trasmissione degli stimoli nervosi. Ne<br />
conseguono congiuntiviti, bruciori, edemi, danni polmonari cronici e asfissia.<br />
“Esposizioni gravi producono la morte per insufficienza respiratoria e<br />
polmonite. E soprattutto, tumori.” Queste le notizie drammatiche che ci<br />
giungono da studi approfonditi condotti dal Professor Assennato<br />
dell’Università di Bari su 232 pescatori pugliesi vittime di incidenti tra il 1946<br />
e il ’94. Anche l’ecosistema marino non se la passa bene. Dalle prime indagini<br />
compiute dall’Icram, nonostante la letteratura sull’argomento sia ancora scarsa,<br />
non c’è da stare allegri: i pesci dell’Adriatico sembrano essere particolarmente<br />
soggetti all’insorgenza di tumori, subiscono danni all’apparato riproduttivo e<br />
sono esposti a mutazioni genetiche che portano a generare esemplari mostruosi.<br />
Quali saranno le conseguenze per la salute dei consumatori? Lo sapremo<br />
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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />
quando avranno fatto studi specifici. L’Icram, su richiesta del Ministero<br />
dell’Ambiente, ha presentato un “piano per la valutazione dei rischi ambientali<br />
e delle opzioni per minimizzarli”, dove sottolinea la complessità e l’urgenza di<br />
affrontare il problema: “l’individuazione ed esplorazione delle aree<br />
d’affondamento, l’identificazione delle sorgenti di rischio ambientale e del loro<br />
potenziale nocivo e l’esperimento di attività di bonifica, richiede la<br />
collaborazione di enti civili e militari, di società specializzate, di ecologi<br />
marini, ecotossicologi, oceanografi, sedimentologi, chimici, biochimici,<br />
modellisti, storici ed esperti di armamenti. La tutela della sicurezza degli<br />
operatori, minacciata dalla pericolosità delle sostanze studiate, è priorità<br />
imprescindibile e richiede anch’essa la collaborazione di specialisti.”<br />
I dati sulla bonifica rimangono lacunosi. Lo sganciamento di bombe a<br />
grappolo, ognuna delle quali conteneva 202 bombe lunghe qualche decina di<br />
centimetri, fa supporre che una bonifica completa dell’Adriatico dagli ordigni<br />
sarà difficile da conseguire con le tecnologie oggi a disposizione.<br />
E l’emergenza, purtroppo, potrebbe estendersi anche oltre l’Adriatico:<br />
si sospetta la presenza di armi chimiche nel Mar Ligure. Finora solo ipotesi ma<br />
la nascita del Parco nazionale delle Cinque Terre ha riacceso la memoria, sino<br />
a farla giungere agli anni cinquanta. Proprio in quel periodo, alla fine della<br />
guerra, alcuni pescatori recuperarono degli strani contenitori di metallo rivestiti<br />
in piombo, erano in gran parte stati già intaccati dalla corrosione e l’acqua era<br />
penetrata all’interno. Il piombo era un ottimo materiale da commercializzare e<br />
quindi alcuni pescatori pensarono di fare a pezzi uno di questi contenitori e<br />
rivenderlo come ferro vecchio. Uno di questi contenitori venne tagliato in un<br />
cantiere navale del golfo spezzino: conteneva iprite. Vi furono diversi feriti,<br />
fortunatamente l’acqua infiltrata nell’ordigno aveva diluito la terribile sostanza.<br />
Racconti di incidenti simili si tramandano di generazione in generazione e sono<br />
stati raccolti anche dall’Icram. All’epoca però non c’erano verbali quindi si<br />
deve fare affidamento solo sulle testimonianze orali dei vecchi pescatori. Si<br />
parla di un vero e proprio deposito di ordigni situato sul fondo del <strong>mare</strong>: si<br />
tratta in gran parte di rifiuti o smaltimenti d’emergenza fatti durante le ultime<br />
due guerre mondiali, in particolare negli anni quaranta. Nella zona ci sono<br />
anche quantitativi di munizioni tedesche gettate in <strong>mare</strong> dopo l’8 settembre.<br />
Fino agli anni ’70 poi anche nelle relazioni della Marina Militare erano<br />
segnalati i depositi ufficiali di questi ordigni, in seguito ogni riferimento è<br />
misteriosamente scomparso.<br />
Per anni questa “storia” è stata trascurata perché in quelle aree non ci si<br />
pescava nemmeno. Ma ora con l’arrivo del parco ed il possibile incremento<br />
dell’attività subacquea questo segreto è inevitabilmente “venuto a galla”.<br />
Bombe di ieri e di oggi. Tutte egualmente pericolosissime per l’uomo e<br />
dannosissime per l’ambiente. Oggi e domani.<br />
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