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Imp. Di Guardo

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l’ultima battaglia.” Desiderava consolarmi. Tuttavia il tono della<br />

sua voce tradiva una cocente delusione.<br />

Nella concitazione del momento avevo dimenticato del tutto<br />

l’appuntamento con il pirotecnico che aspettava una mia telefonata<br />

per accendere i fuochi e dare così il rumoroso e atteso<br />

annuncio della vittoria. Fu lui a chiamarmi per sapere quando<br />

iniziare. Apprese così che non c’era più ragione di festeggiare.<br />

Restò incredulo. “Ma come è possibile?” disse. “Ma, allora,<br />

davvero si vuole tornare indietro a Misterbianco?” Anche lui si<br />

rendeva partecipe di un sentimento generalizzato, provato a<br />

caldo da tanta parte della cittadinanza.<br />

<strong>Di</strong> nuovo mi recai alla postazione televisiva. Volevano un<br />

altro mio commento su quello che era ormai un risultato quasi<br />

definitivo. Mi trovai davanti sia il consigliere provinciale Orazio<br />

Pellegrino, transfuga impudico dal partito dei DS che, rinnegando<br />

gli oltre vent’anni di militanza, era alla ricerca di briciole<br />

di protagonismo personale all’ombra del centrodestra, sia<br />

il figlio dell’onorevole Antonino Drago, Filippo, che con Misterbianco<br />

non aveva nulla da spartire, se non in nome dei trascorsi<br />

di suo padre che, negli anni ’80, tramite i suoi referenti<br />

locali, comandava nel nostro comune.<br />

“È la sconfitta della nuova Misterbianco,” fu la mia dichiarazione,<br />

“su di essa si è concentrato un coacervo di forze politiche<br />

e di interessi inconfessabili per strangolare il processo di<br />

rinascita da noi avviato in questi anni.”<br />

“In che cosa ha sbagliato?” mi chiese il giornalista.<br />

“Non saprei,” risposi, “e comunque, se dovessi tornare indietro,<br />

ripercorrerei il cammino fin qui fatto in ogni sua tappa.<br />

Voglio dire a chi ci ha sostenuto di non scoraggiarsi. Una cosa<br />

è certa: io non abbandonerò il campo e continuerò a battermi<br />

per la mia città.”<br />

Ancora incredulo, mi recai nel mio ufficio per ritirare i pochi<br />

effetti personali. Turbato, salii le scale di quell’edificio che<br />

avevo strappato alla sua originaria destinazione di caserma dei<br />

carabinieri per dare, finalmente, al comune una sede dignitosa.<br />

Provavo uno strano senso di estraneità, una sorta di improvvi-<br />

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