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Imp. Di Guardo

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NINO DI GUARDO<br />

Sindaco<br />

per passione<br />

Misterbianco<br />

fra il vecchio e il nuovo secolo<br />

Prefazione di<br />

Pietro Barcellona<br />

Postfazioni di<br />

Giuseppe Giarrizzo<br />

Carmelo D’Urso<br />

3


Proprietà letteraria riservata<br />

© by Nino <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong><br />

Edizione fuori commercio<br />

4


A Salvo,<br />

la cui memoria vive presente;<br />

ad Angela, Antonio e Giovanni,<br />

per il tempo di pazienza e d’amore<br />

di cui mi fanno continuo dono.<br />

5


PREFAZIONE<br />

La mafia è un fenomeno complesso e articolato, ma in buona<br />

parte riconducibile ad alcuni dei più rilevanti tratti della<br />

cultura siciliana. Noi siciliani siamo i primi a dover imparare<br />

ad accettare questo fatto. Farlo non significa dare adito ad interpretazioni<br />

di stampo deterministico e razzista, già ampiamente<br />

diffuse tra le pieghe dei discorsi di tanti autorevoli commentatori<br />

e sedicenti opinionisti. Infatti, la nostra cultura è,<br />

contemporaneamente, matrice di efferate nefandezze come di<br />

meravigliosi e generosi atti di sacrificio. Come tutte le culture,<br />

anche la nostra, è ambivalente e complessa; e riconoscere che<br />

essa, nello stesso momento in cui partorisce eventi di inaudita<br />

grandezza, può generare anche terribili misfatti, è il modo migliore<br />

per tentare di porre rimedio a quest’ultimi e valorizzare<br />

i primi. L’operato di Nino <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, per molti versi, incarna<br />

ed esemplifica, dandogli corpo, questo principio. Cercherò di<br />

spiegare il significato di questa mia affermazione.<br />

Troppe volte gli studiosi dei fatti umani dimenticano che il<br />

modo migliore, forse l’unico, per conoscere una cultura consiste<br />

nell’analizzare le pratiche sociali e linguistiche (spesso coincidenti)<br />

vigenti in quella cultura. Leggendo attentamente il libro<br />

di Nino <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> si capisce perfettamente che l’autore ha<br />

appreso questa lezione, l’ha fatta sua. Non intendo dire che<br />

l’abbia appresa intellettualisticamente, come si fa sui banchi di<br />

scuola o nelle facoltà universitarie; queste cose si apprendono<br />

vivendole; rendendole parte del proprio corpo; esperendo un<br />

vissuto concreto e pratico, sebbene intriso di teoria (la Cultura<br />

e la riflessione su di essa). Nino <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> ha vissuto le pratiche<br />

sociali e linguistiche della società siciliana contadina e ne<br />

ha incarnato la dimensione positiva, scartando quella negativa<br />

e mortifera. Perché ciò avvenga (che una stessa madre generi<br />

7


figli così diversi) è fatto misterioso, frutto di un ineffabile mix<br />

alchemico tra volontà soggettiva, condizioni sociali, esperienze<br />

e casualità. Sta di fatto che ciò avviene. Ma la cosa eccezionale<br />

consiste nel fatto che, attraverso l’azione dei singoli, una<br />

cultura può combattere contro se stessa (esattamente come avviene<br />

con i conflitti psichici interni ai singoli); e di questo ci si<br />

accorge leggendo questo libro.<br />

<strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> non è un “piemontese” o un razionalista giacobino<br />

venuto dalla Francia ad insegnare ai siciliani come si possa sconfiggere<br />

la mafia. <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> è un siciliano che ha mostrato a tutti,<br />

siciliani e non, come sia possibile che una cultura possa lottare<br />

contro se stessa. A volte vincendo, a volte perdendo. Attraverso<br />

la sua azione di sindaco, la Sicilia ha combattuto contro se stessa,<br />

e lo ha fatto con le armi di sempre: il pragmatismo e il simbolismo;<br />

anche in questo caso, due opposti che convivono<br />

pirandellianamente, e si nutrono della medesima linfa.<br />

Cosa c’è, infatti, di più pragmatico degli interessi che animano<br />

la mafia o della cultura dell’omertà che l’alimenta? Eppure<br />

la mafia per poter esistere deve, da sempre, muoversi su<br />

un terreno simbolico, negli atti e nel linguaggio. Anche l’omicidio,<br />

atto di radicale concretezza, quando è mafioso, nel chi e<br />

nel come, diventa simbolo di qualcos’altro; va decifrato,<br />

decodificato, compreso.<br />

Anche il sindaco <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> ha agito con atti concreti, ma<br />

ammantati da una carica simbolica molto forte (che egli mostra<br />

di conoscere bene, come si evince dal modo sapiente in cui<br />

“abita” i media): la scelta di trasformare la caserma dei carabinieri<br />

nel palazzo del Municipio, l’utilizzazione dei fondi non<br />

spesi e da restituire alla Regione in progetti operativi, la “cacciata”<br />

dal palco delle autorità di personaggi discussi e poco<br />

“autorevoli”; sono solo alcuni significativi esempi.<br />

Questo ambivalente connubio lo si riscontra anche nella sua<br />

strategia comunicativa: ad ogni proverbio che “spiega” pragmaticamente<br />

e simbolicamente un atto mafioso, egli ne contrappone<br />

un altro che, altrettanto pragmaticamente e simbolicamente,<br />

“spiega” la sua azione; tutti questi motti, infatti, sono<br />

8


espressione contraddittoria della medesima antica saggezza contadina:<br />

“cu picca parrau, mai si pintìu” / “testa ca non parra si<br />

chiama cucuzza”, “u fuiri è virgogna ma è sarvamentu ì vita” /<br />

“vacci cuntentu e non t’abbarruari, ca cu s’abbarrua, prestu<br />

mori”, ecc.<br />

In conclusione, il libro di Nino <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> è un atto di passione,<br />

ma è anche molto di più. È un libro sull’ambivalenza<br />

della cultura siciliana; una testimonianza viva e forte di come<br />

sia possibile agire contro ogni avversità, se si evita l’errore di<br />

fronteggiarla dall’esterno; un monito, per coloro che vogliono<br />

cambiare il mondo senza toccare con le proprie mani l’argilla<br />

che gli dà forma; una spiegazione del perché ogni siciliano che<br />

si rispetti abbia con la propria terra un malinconico e, spesso,<br />

struggente rapporto d’amore e odio.<br />

PIETRO BARCELLONA<br />

9


INTRODUZIONE<br />

Se la pur lunga vita di un uomo sembra scorrere troppo in<br />

fretta, nove anni rischiano di rappresentare niente più che un<br />

battito d’ali nella sfrenata corsa del tempo. Ed i giorni, assieme<br />

alle passioni, le ansie e gli atti che li hanno colorati, spesso<br />

svaniscono inesorabilmente, inghiottiti dalla confusa nebbia del<br />

passato.<br />

È un destino al quale non mi voglio rassegnare.<br />

All’indomani del voto amministrativo del ’93, cominciava<br />

la mia esperienza di sindaco di “nuovo corso”. Venivo chiamato<br />

a guidare il mio Comune in un momento drammatico della<br />

sua storia, così gravido di speranze e disseminato di incognite<br />

da assomigliare alla partenza per un avventuroso viaggio.<br />

La vita, si sa, non conosce percorsi lineari; e neanche quello<br />

lo fu. Ma, alla fine di quella esperienza, conservo l’impressione<br />

di avere camminato in sintonia con le attese della “nuova<br />

Misterbianco”, interpretandone l’ansia di rinnovamento ed il<br />

bisogno di sviluppo, l’urgenza di aprire finalmente le finestre<br />

al vento della legalità e della civiltà e di sbarrare la porta alla<br />

barbarie primitiva della malavita ed alla piaga devastante della<br />

corruzione e del malgoverno.<br />

Credo di non sbagliare se affermo che Misterbianco, col concorso<br />

dei suoi figli migliori, riuscì in quegli anni ad imboccare la<br />

strada giusta per sottrarsi ad un declino che sembrava inarrestabile<br />

ed a porre le basi per un virtuoso processo di rinascita morale<br />

e civile i cui positivi effetti sono ancor oggi visibili.<br />

Per tutto questo, quei nove anni costituiscono un prezioso ed<br />

irrinunciabile patrimonio di esperienza per tutta la comunità.<br />

Tuttavia non sta a me scrivere la Storia di quegli anni.<br />

Incallito autodidatta, non ne ho la competenza e forse neppure<br />

la serenità ed il distacco necessari.<br />

11


Queste pagine vogliono essere semplicemente una testimonianza.<br />

Mi sono affrettato ad affastellare echi, suggestioni, persone<br />

e avvenimenti di quel periodo, senza fare graduatorie di importanza,<br />

con l’ansia di metterli in salvo nell’ovile dei ricordi,<br />

ormai sul far della sera, prima che il buio della notte li avvolga<br />

senza riparo.<br />

Con i pochi mezzi letterari che posseggo, ho cercato di riportare<br />

quindi, se non la storia di nove anni di vita amministrativa,<br />

almeno le sensazioni di un uomo spesso messo di fronte a<br />

cose più grandi di lui, alle prese con vicende imprevedibili e<br />

umanamente coinvolgenti.<br />

Ho cercato di far rivivere il profumo di speranza che quel<br />

periodo emanava e che riconoscevo nell’agire affannato dei<br />

miei valorosi Assessori, nel generoso impegno di tanti funzionari<br />

comunali, nel fiorire incessante dei cantieri di lavoro, nel<br />

decoro delle strade e, soprattutto, nel cenno di saluto di tanti<br />

bambini che incrociavo per la strada.<br />

La mia è in fondo la confessione di un uomo che ha vissuto<br />

intensamente il suo tempo.<br />

Da Sindaco, ho potuto incidere concretamente nella realtà<br />

del mio paese. Era quello il ruolo che sognavo, il solo per cui<br />

ero disposto a dare tutto di me e che ha dato un senso compiuto<br />

al mio impegno politico.<br />

Ho avuto la ventura di vivere, prima di questa, un’altra vita:<br />

da contadino, assieme a mio padre ed a tanti compagni di duro<br />

e spesso ingrato lavoro, forgiato dalla cultura di quel mondo<br />

oramai scomparso.<br />

Il senso del dovere, l’obbligo della serietà, l’esigenza della<br />

praticità dell’agire, appresi da ragazzo a quella scuola – l’unica<br />

che abbia frequentato davvero – hanno avuto un ruolo decisivo<br />

nel mio successivo agire da uomo e da amministratore<br />

pubblico.<br />

In questo percorso ho avuto sempre al mio fianco il caldo<br />

sostegno di una famiglia unita e cementata dall’affetto. Alla<br />

mia famiglia, ed in particolare a Santa, mia moglie, alla sua<br />

12


sconfinata comprensione ed al suo incondizionato aiuto, devo<br />

tutto. Anche questa mia modesta fatica letteraria.<br />

Non so se almeno una parte di quanto mi proponevo di comunicare<br />

verrà fuori da questo scritto.<br />

<strong>Di</strong> sicuro qualcuno, scorrendone le pagine, sentirà qui e là<br />

risuonare un rimbombo tumultuoso.<br />

È inevitabile che sia così: nessuna cosa davvero importante<br />

può essere fatta o raccontata senza che il cuore batta più forte.<br />

L’AUTORE<br />

13


Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.<br />

– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede<br />

Kublai Kan.<br />

– Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra,<br />

– risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che<br />

esse formano.<br />

Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi<br />

soggiunge: – perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco<br />

che m’importa.<br />

Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.<br />

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se<br />

ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo<br />

tutti i giorni, che formiamo stando insieme.<br />

Due modi ci sono per non soffrirne.<br />

Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e<br />

diventarne parte fino al punto di non vederlo più.<br />

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento<br />

continui: cercare e saper riconoscere chi<br />

e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo<br />

durare, e dargli spazio.<br />

da “Le città invisibili”<br />

di Italo Calvino<br />

15


NON SI LAUDA U IORNU, SU PRIMA NON SCURA<br />

Alle sei ero già sveglio. Chiamai al telefono Salvatore, il<br />

vigile che mi accompagnava in auto, perché volevo fare, di<br />

buon mattino, un giro per il paese. Era il 27 maggio del 2002, il<br />

giorno dello spoglio elettorale. Alla fine di quella giornata, la<br />

mia città avrebbe avuto, comunque, un altro sindaco ed io desideravo<br />

passare in rassegna i luoghi che mi avevano visto al<br />

lavoro per nove anni.<br />

Nel ’93, all’epoca del mio insediamento, avevo preso in<br />

mano un paese abbandonato e rassegnato alla propria condizione<br />

di degrado. Adesso, lo avrei riconsegnato ai miei concittadini,<br />

pulito e ordinato, ricco di servizi e di strutture, rinnovato<br />

nelle coscienze, orgoglioso della propria identità.<br />

Un turbinio di emozioni si impossessò di me. Pensai a mio<br />

figlio Salvo che avevo perso, nel ’92, all’età di diciassette anni.<br />

Dopo qualche minuto ero davanti alla sua tomba. Idealmente gli<br />

volevo fare dono di tutto il lavoro che, anche per lui, ero riuscito<br />

a portare a compimento, per dargli l’orgoglio di figlio che “di un<br />

padre codardo non avrebbe saputo che farsene.” Con queste parole<br />

mi aveva infuso coraggio nel momento in cui ero stato costretto<br />

a vivere sotto scorta a causa delle mie denunce sull’intreccio<br />

di politica e mafia che, all’inizio degli anni Novanta, aveva<br />

devastato Misterbianco 1 . Rimasi a lungo davanti a lui. Fissai<br />

intensamente quella sua espressione, serena e distaccata, che per<br />

caso era rimasta impressa nella foto posta accanto al suo nome.<br />

Mi sembrò di leggervi la consapevolezza che il suo legame con<br />

la vita non avrebbe tardato a dissolversi.<br />

1 <strong>Di</strong> queste vicende si occupa diffusamente il mio libro: Misterbianco, una<br />

storia di lotta alla mafia. Pellegrini, Cosenza 1994.<br />

17


Tornai in macchina e ripresi il mio giro. Bisognava predisporre,<br />

fra l’altro, tutti i preparativi per festeggiare, quella sera,<br />

la vittoria elettorale che consideravo scontata. Ero sicuro. La<br />

vittoria non poteva mancare. I cittadini avrebbero confermato,<br />

con il voto, la fiducia nella nostra coalizione e nel nuovo candidato<br />

sindaco, Stefano Santagati, che per nove anni, da vice<br />

sindaco, aveva lavorato con impegno al mio fianco. Adesso, io<br />

sarei stato il suo vice e avremmo continuato a governare insieme<br />

per altri cinque anni.<br />

Mi recai alla “Metro” per prenotare cento bottiglie di spumante<br />

e quanto occorreva per fare un bel brindisi con i cittadini.<br />

Chiamai una ditta di fuochi d’artificio perché volevo sottolineare,<br />

con una nota festosa, al venir fuori dei primi risultati<br />

dello spoglio, il profilarsi della vittoria.<br />

Ritornato a casa, trovai soltanto mia moglie perché già i<br />

miei figli erano corsi ai seggi elettorali, per assistere fin dall’inizio<br />

allo spoglio. Durante il pranzo mi soffermai a condividere<br />

con lei la commozione provata la mattina e il rimpianto di<br />

non poter avere con noi, a godere di quel meritato successo, il<br />

nostro Salvo.<br />

Accompagnai mia moglie al seggio, dov’era rappresentante<br />

di lista. Poi, per ingannare l’attesa, me ne andai ancora in<br />

giro per il paese, impaziente di conoscere il risultato elettorale.<br />

Verso le sedici, mi giunse in auto una telefonata. Era mio<br />

figlio Antonio. “Ci sono difficoltà,” mi disse, “la vittoria è incerta,<br />

sarà una battaglia all’ultimo voto.”<br />

Non volevo credere alle mie orecchie. Sentii il bisogno di<br />

recarmi subito al comune come chi, avvertendo un pericolo<br />

inimmaginabile fino a pochi istanti prima, cerca di esorcizzarlo<br />

aggrappandosi alle cose che teme di perdere.<br />

Vi rimasi barricato fin quando fui chiamato da una emittente<br />

locale che aveva allestito, nell’aula consiliare, una postazione<br />

per analizzare e commentare, a caldo, i risultati del voto.<br />

Volevano un mio primo commento sulla sconfitta che si stava<br />

profilando per noi.<br />

“Questo risultato è, sulla base della nostra condotta ammini-<br />

18


strativa, del tutto incomprensibile,” dissi. “Solo la virulenta e<br />

spregiudicata aggressione delle forze esterne alla città lo può<br />

giustificare. Misterbianco, oramai, con la mia amministrazione,<br />

è diventata, per le forze che oggi sfortunatamente detengono il<br />

potere alla Regione, alla Provincia e al Comune di Catania, un<br />

esempio intollerabile di buon governo e di trasparenza.”<br />

L’onorevole Fatuzzo di AN, collegato da Paternò, mi interruppe<br />

dicendo che io pagavo, invece, il prezzo per aver trascurato,<br />

nella mia azione amministrativa, i bisogni delle frazioni<br />

che ora, al momento del voto, mi negavano il loro consenso.<br />

“Ma cosa ne sa lei delle frazioni?” gli risposi stizzito. “<strong>Di</strong><br />

quello che esse sono diventate in questi anni, grazie al nostro<br />

impegno? Chissà da quanto tempo lei non ha contatti con quella<br />

realtà!”<br />

Effettivamente, come diceva l’onorevole Fatuzzo, il mio<br />

schieramento perdeva nelle frazioni. Tuttavia, anche al centro,<br />

dove tenevamo, registravamo una forte batosta. La comunità<br />

aveva pesantemente subito il condizionamento politico e clientelare<br />

dei centri di potere catanesi. Tutti i mezzi erano stati<br />

usati nel tentativo di far fuori quella che il senatore di Forza<br />

Italia, Firrarello, nel comizio di apertura della campagna elettorale,<br />

aveva definito l’anomalia “rossa” della provincia di<br />

Catania.<br />

“Che cosa è successo? È vero che stiamo perdendo?” Queste<br />

e mille altre domande mi investirono non appena messo<br />

piede nella sede del nostro comitato elettorale. Non sapevo cosa<br />

rispondere. Io stesso ero frastornato e confuso. Cercai di mantenere<br />

una virile compostezza di fronte a quella disfatta che<br />

vivevo come un affronto alla mia città e ai miei cittadini.<br />

A mia moglie, che al telefono mi comunicava che nella sua<br />

sezione il risultato era ancora incerto, sentii il dovere di dire la<br />

verità: non doveva farsi illusioni perché nelle frazioni la nostra<br />

sconfitta era netta.<br />

Ammutolì. Poi, con le parole di Tacito, mi disse: “Nella<br />

sventura si misura la virtù degli uomini. Questa per te non sarà<br />

19


l’ultima battaglia.” Desiderava consolarmi. Tuttavia il tono della<br />

sua voce tradiva una cocente delusione.<br />

Nella concitazione del momento avevo dimenticato del tutto<br />

l’appuntamento con il pirotecnico che aspettava una mia telefonata<br />

per accendere i fuochi e dare così il rumoroso e atteso<br />

annuncio della vittoria. Fu lui a chiamarmi per sapere quando<br />

iniziare. Apprese così che non c’era più ragione di festeggiare.<br />

Restò incredulo. “Ma come è possibile?” disse. “Ma, allora,<br />

davvero si vuole tornare indietro a Misterbianco?” Anche lui si<br />

rendeva partecipe di un sentimento generalizzato, provato a<br />

caldo da tanta parte della cittadinanza.<br />

<strong>Di</strong> nuovo mi recai alla postazione televisiva. Volevano un<br />

altro mio commento su quello che era ormai un risultato quasi<br />

definitivo. Mi trovai davanti sia il consigliere provinciale Orazio<br />

Pellegrino, transfuga impudico dal partito dei DS che, rinnegando<br />

gli oltre vent’anni di militanza, era alla ricerca di briciole<br />

di protagonismo personale all’ombra del centrodestra, sia<br />

il figlio dell’onorevole Antonino Drago, Filippo, che con Misterbianco<br />

non aveva nulla da spartire, se non in nome dei trascorsi<br />

di suo padre che, negli anni ’80, tramite i suoi referenti<br />

locali, comandava nel nostro comune.<br />

“È la sconfitta della nuova Misterbianco,” fu la mia dichiarazione,<br />

“su di essa si è concentrato un coacervo di forze politiche<br />

e di interessi inconfessabili per strangolare il processo di<br />

rinascita da noi avviato in questi anni.”<br />

“In che cosa ha sbagliato?” mi chiese il giornalista.<br />

“Non saprei,” risposi, “e comunque, se dovessi tornare indietro,<br />

ripercorrerei il cammino fin qui fatto in ogni sua tappa.<br />

Voglio dire a chi ci ha sostenuto di non scoraggiarsi. Una cosa<br />

è certa: io non abbandonerò il campo e continuerò a battermi<br />

per la mia città.”<br />

Ancora incredulo, mi recai nel mio ufficio per ritirare i pochi<br />

effetti personali. Turbato, salii le scale di quell’edificio che<br />

avevo strappato alla sua originaria destinazione di caserma dei<br />

carabinieri per dare, finalmente, al comune una sede dignitosa.<br />

Provavo uno strano senso di estraneità, una sorta di improvvi-<br />

20


so distacco da quei luoghi che, per nove anni, erano stati la mia<br />

seconda casa.<br />

Nel frattempo, nel comitato elettorale, si era raccolta una<br />

moltitudine di persone che al mio arrivo fece ala. I loro volti<br />

mostravano una profonda delusione. Gli sguardi e le parole<br />

esprimevano la vana volontà di non volersi rassegnare ai fatti,<br />

di tenersi aggrappati ad un’ultima speranza di vittoria. Ma la<br />

realtà era ben diversa: avevamo perso.<br />

Alcuni compagni avevano già provveduto a rimuovere la<br />

gigantografia preparata per la vittoria; altri piangevano senza<br />

ritegno. Tutti avvertivano il bisogno di dire qualcosa, ma non<br />

c’era spiegazione per quello che era accaduto. Solo nei giorni<br />

successivi, ci saremmo resi conto di quale combinazione straordinaria<br />

di fattori aveva giocato a nostro sfavore determinando<br />

quella sconfitta, seppur solo di misura.<br />

Lì avevo trovato anche la mia famiglia. Mio figlio Giovanni,<br />

il più piccolo, mi venne incontro deluso. “Questa volta abbiamo<br />

perso,” mi disse. Antonio, con i dati elettorali in mano,<br />

mi abbracciò sconsolato. Angela, con i suoi occhioni lucidi di<br />

pianto, mi guardava in silenzio. Alfio, il suo ragazzo, non si<br />

dava pace.<br />

Eravamo stanchi, e volevamo soltanto andare a casa.<br />

Mia madre mi chiamò al telefono. Attenta e piena d’interesse<br />

per le vicende politiche, malgrado i suoi novant’anni, prima<br />

di andare a letto voleva conoscere i risultati. “Abbiamo perso,”<br />

le dissi con rassegnazione. “Eri troppo sicuro!” mi rispose, “tuo<br />

padre lo diceva sempre che non si lauda u iornu, su prima non<br />

scura 2 ”.<br />

Ci ritrovammo seduti attorno al tavolo, in cucina, storditi e<br />

senza parole; solo poche frasi, spente testimonianze di sentimenti<br />

frantumati.<br />

Pian piano calò un freddo silenzio: eloquente commento alla<br />

strana disfatta conosciuta quel giorno.<br />

2 Non si loda la giornata prima del tramonto.<br />

21


UNA MASSERIA ABBANDONATA<br />

L’amarezza della sconfitta non mi faceva prendere sonno.<br />

Il risultato elettorale, ancor più doloroso perché inaspettato,<br />

mi rodeva dentro, non mi dava pace. Una strana frenesia mi<br />

assaliva. Come le carrozze di un treno in corsa, le vicende che<br />

avevano popolato gli anni del mio impegno politico scorrevano<br />

veloci nella mia mente. Nove anni erano volati d’un tratto e<br />

non c’era stato tempo per fermarsi a riflettere. Tutto era trascorso<br />

in un sospiro. Ora volevo capire, volevo tornare indietro,<br />

ricostruire la mia avventura.<br />

Lentamente si aprì, davanti a me, la porta dei ricordi.<br />

Mi ritrovai al 6 giugno 1993, data delle elezioni amministrative.<br />

Era la prima volta che in Sicilia, grazie alla nuova<br />

legge elettorale, il sindaco veniva eletto direttamente dai cittadini.<br />

Una grande novità destinata a modificare nel profondo la<br />

politica negli enti locali.<br />

A Misterbianco, le elezioni giungevano dopo anni fortemente<br />

segnati dal malgoverno e da tragici avvenimenti, culminati con<br />

il feroce assassinio del segretario locale della DC, Paolo Arena,<br />

consumato il 28 settembre del 1991, in pieno giorno, davanti<br />

al municipio.<br />

Un fatto drammatico che avrebbe sconvolto la storia del<br />

comune e inciso profondamente anche nella mia vita.<br />

Da quel momento, era stato un rapido susseguirsi di avvenimenti<br />

straordinari. Il mio viaggio a Milano per raggiungere<br />

Giorgio Bocca nel suo studio e raccontargli quello che sapevo<br />

degli intrecci fra politica e mafia a Misterbianco; l’inattesa<br />

pubblicazione di quell’intervista su un’intera pagina del quotidiano<br />

“la Repubblica”; la decisione del prefetto di Catania di<br />

sospendere, a cinque giorni da quella pubblicazione, il consiglio<br />

comunale per sospette infiltrazioni mafiose; il successivo<br />

23


decreto del Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga,<br />

che ne sanciva il definitivo scioglimento e confermava i tre<br />

commissari nominati dal prefetto che, per diciotto mesi, avrebbero<br />

gestito il comune fino alle nuove elezioni; la solitudine<br />

che mi aveva circondato in quei giorni; le mortali minacce<br />

mafiose subite; la presenza opprimente della scorta che mi seguiva<br />

ad ogni passo; i duri contrasti con i commissari per la<br />

loro gestione fredda e deludente del comune 1 .<br />

A seguito di quei drammatici avvenimenti, alcuni partiti della<br />

vecchia coalizione di governo (PSI, PRI, PSDI) erano del tutto<br />

scomparsi dalla scena politica. La DC si muoveva con felpata<br />

prudenza. Le forze progressiste (PDS, Rete e Rifondazione Comunista)<br />

non erano riuscite a raggiungere un accordo e a presentarsi<br />

unite alle elezioni. Il motivo della discordia era la proposta<br />

della mia candidatura. La Rete e Rifondazione Comunista vi si<br />

opponevano perché ero “di rottura”; le mie denunce mi avevano<br />

tagliato fuori, a loro dire, dalle simpatie della gente. Sostenevano<br />

che bisognava puntare su un uomo “nuovo” e di pace, mentre<br />

io, per loro, ero troppo “vecchio” e combattivo.<br />

Così, fummo in sei a presentarci agli elettori per ricoprire<br />

la carica di sindaco: Paolo Nicotra per Rifondazione Comunista;<br />

il preside Natale Motta per la Rete; Angelo Greco per<br />

la lista civica, all’epoca denominata anche lista Vallanzasca,<br />

perché raccoglieva personaggi esclusi dalle liste della DC, a<br />

seguito del tentativo di rinnovamento che l’on. Giovanni<br />

Burtone aveva avviato all’interno di quel partito; Pippo Longo<br />

per Alleanza Nazionale; Nuccio Guglielmino per la DC, ed<br />

io per il PDS.<br />

Decisi di affrontare la campagna elettorale in modo diretto<br />

e, per allora, inedito. Il mio slogan elettorale era semplice, ma<br />

impegnativo: “Insieme per costruire la nuova Misterbianco”.<br />

Tre volte la settimana, a partire dalla metà di marzo, su Telesiciliacolor,<br />

un’emittente di Catania, alle ore ventuno, andava in<br />

24<br />

1 Vedi Misterbianco, una storia di lotta alla mafia cit.


onda il mio “filo diretto”. Per un’ora, i cittadini potevano telefonare,<br />

per porre problemi e fare domande di ogni tipo, senza<br />

alcun filtro.<br />

La mia performance televisiva ebbe un grande successo.<br />

Quella trasmissione diede voce a tanta gente che, per la prima<br />

volta, poté “gridare” in televisione i propri disagi e le proprie<br />

difficoltà. Mi ritrovai, pian piano, ad essere interlocutore della<br />

comunità. I cittadini avevano trovato in me un politico che li<br />

ascoltava, che stava dalla loro parte, che assumeva impegni<br />

pubblicamente.<br />

Inconsapevolmente, sperimentavo l’uso determinante del<br />

mezzo televisivo in campagna elettorale, anticipando modalità<br />

poi divenute consuete nella vita politica.<br />

Al primo turno ottenni il 37% dei voti. Il 20 giugno, quindici<br />

giorni dopo, al ballottaggio, con 11.909 voti, e con la percentuale<br />

del 68,15%, fui eletto sindaco.<br />

Avevo vinto la mia battaglia. Ora, bisognava passare ai fatti.<br />

Da dove cominciare in un comune allo sbando e rassegnato<br />

al più umiliante malgoverno?<br />

La sede municipale e i vari uffici erano ubicati in una miriade<br />

di locali privati.<br />

I due immobili di proprietà comunale, il vecchio palazzo di<br />

città e l’ex ospizio, erano inagibili.<br />

In molte scuole vigeva il doppio turno e le aule erano in<br />

buona parte collocate in angusti locali privati, adattati alla meno<br />

peggio, senza la minima osservanza delle norme di sicurezza.<br />

L’acqua non sempre arrivava con regolarità. Spesso, per<br />

giorni, si rimaneva all’asciutto a causa della rete idrica abbandonata,<br />

logora e fatiscente.<br />

Le fognature non esistevano e quando pioveva a dirotto, in<br />

alcune strade, si rischiava di restare travolti dalla furia delle<br />

acque.<br />

Per le strade cittadine, cumuli di spazzatura regnavano in<br />

ogni dove.<br />

Il verde era quasi inesistente e quel poco che c’era sopravviveva<br />

a stento.<br />

25


Il traffico era caotico. Nelle vie del centro, anche in quelle<br />

più strette, vigeva il doppio senso di marcia.<br />

I mercatini settimanali, in mancanza di spazi adeguati, si<br />

tenevano lungo le strade, senza controlli, senza servizi igienici<br />

e all’insegna del più desolante disordine.<br />

Il trasporto pubblico, per collegare le varie parti del paese,<br />

le frazioni e la zona commerciale, restava un sogno.<br />

Per i ragazzi non vi erano spazi in cui giocare; l’unica “struttura”<br />

era la strada.<br />

Gli anziani erano abbandonati a loro stessi. Nulla si faceva<br />

per lenire la loro solitudine.<br />

Anche la vita sociale stagnava in un’apatia assoluta: la Pro<br />

loco da anni aveva chiuso i battenti; il Carnevale, grande occasione<br />

di svago e di aggregazione collettiva, restava un vecchio<br />

ricordo; la società di calcio A.C. Misterbianco era fuggita dal<br />

comune; il torneo podistico internazionale “Madonna degli<br />

ammalati” non si organizzava più da molto tempo.<br />

Perfino le celebrazioni religiose in onore del Patrono, S.<br />

Antonio Abate, avevano assunto un tono dimesso e svogliato.<br />

<strong>Di</strong> fronte al buio della politica, la comunità si era chiusa in<br />

se stessa perdendo il gusto e la voglia della vita collettiva. Il<br />

movimento “Liberi cittadini”, nato attorno al parroco Giovanni<br />

Condorelli, e le associazioni di volontariato, Misericordia,<br />

Umanità solidale e gruppo Fratres, erano i pochi esempi di vitalità<br />

di una società per il resto in coma profondo.<br />

L’economia appariva intimorita e paralizzata.<br />

La zona commerciale sembrava condannata ad un irreversibile<br />

declino. Le aree pubbliche attorno agli opifici commerciali<br />

erano degli immondi ricettacoli di rifiuti e, con le piogge, si<br />

trasformavano in acquitrini maleodoranti.<br />

Il Piano Regolatore Generale non era mai stato adottato.<br />

Vigeva uno striminzito “Programma di fabbricazione” approvato<br />

nel 1979, oramai del tutto superato e inadeguato alle reali<br />

esigenze del paese.<br />

Le frazioni, che ospitavano più della metà dell’intera popolazione,<br />

erano abbandonate e prive di tutto. Non è difficile im-<br />

26


maginare come, in tali condizioni, la malavita avesse potuto<br />

espandervi indisturbata le proprie malefiche radici.<br />

Gli ingressi del paese, sia ad Est che ad Ovest come a Sud,<br />

offrivano uno spettacolo indegno. Ovunque giacevano carcasse<br />

di auto, relitti di ogni genere, sacchi di immondizia abbandonati.<br />

Un triste spettacolo che prefigurava lo sfascio del paese.<br />

Era scoraggiante constatare lo stato pietoso in cui versava<br />

la mia città: sembrava davvero una masseria abbandonata.<br />

In questa realtà ero stato eletto sindaco. Tranne la simpatia<br />

di tanti cittadini, tutto mi era ostile.<br />

Come restituire credibilità all’ente locale?<br />

Come lanciare il segnale che questa volta le cose sarebbero<br />

cambiate, che si voleva fare sul serio?<br />

Come ridare alla politica il suo alto e nobile ruolo di strumento<br />

di governo della società?<br />

Questa era la sfida che mi stava dinanzi.<br />

Senza dubbio, mi trovavo di fronte all’impegno più grande<br />

della mia vita. E non volevo fallire.<br />

27


I COMPAGNI DI VIAGGIO<br />

La mia giunta si insediò immediatamente. Avevo indicato<br />

gli assessori già nel corso della campagna elettorale. Solo due<br />

erano vecchi compagni di partito: Stefano Santagati, apprezzato<br />

professionista, titolare di un avviato studio di ingegneria,<br />

che nominai vicesindaco e assessore ai lavori pubblici, e<br />

Nunzio Garozzo, dipendente dell’A.M.T. di Catania, al quale<br />

affidai i servizi tecnologici. Gli altri sei non vantavano alcuna<br />

militanza politica. Erano espressione diretta della società<br />

civile e, per la prima volta, venivano chiamati a gestire la<br />

cosa pubblica.<br />

Un evento rivoluzionario per il costume politico, reso possibile<br />

dalla nuova legge che assegnava al sindaco il potere di<br />

scegliere i propri collaboratori in piena autonomia, senza interferenze<br />

dei partiti.<br />

Il prof. Nicola Abbadessa si occupò dell’ecologia; il dott.<br />

Michelangelo Condorelli, imprenditore e appassionato regista<br />

teatrale, della cultura e del tempo libero; il prof. Mario Davino,<br />

docente universitario, del bilancio; il rag. Emilio Palmeri, noto<br />

imprenditore, dello sviluppo economico; il dott. Nino Paternò,<br />

stimato medico, della solidarietà sociale; infine, il prof. Filippo<br />

Scuderi, valido esponente del mondo del volontariato, della<br />

pubblica istruzione.<br />

Grazie alle loro qualità umane e culturali la vita pubblica si<br />

arricchì di nuova linfa.<br />

Ma il fuoco dell’impegno civile, se non alimentato da una<br />

più ampia passione politica, è destinato a consumarsi in breve<br />

tempo!<br />

Gli impegni personali presero ben presto il sopravvento su<br />

quelli pubblici, e così, molti di loro decisero di “scendere dal<br />

treno”, di “abbandonare il campo”. Perciò, nel corso della legi-<br />

29


slatura, più volte mi ritrovai di fronte alla necessità di rimpiazzare<br />

gli assessori. Lo feci, nominando, di volta in volta, esponenti<br />

di prim’ordine della città.<br />

Il primo che, a malincuore, lasciò l’incarico fu Nino Paternò,<br />

chiamato a lavorare fuori sede. Prese il suo posto il mio compagno<br />

di partito, prof. Santo Mancuso che, insieme a Stefano<br />

Santagati, sarebbe rimasto al mio fianco per tutta la durata della<br />

sindacatura.<br />

Negli anni, poi, alla guida dei vari assessorati, si alternarono<br />

il dott. Angelo Battiato, impegnato nel mondo del volontariato;<br />

il rag. Antonio Biuso, giovane imprenditore e animatore<br />

della parrocchia San Nicolò; Alberto Costanza, stimato infermiere<br />

professionale ed esponente del mondo sportivo; il dott.<br />

Carmelo Crisafulli, noto commercialista; la prof.ssa Vittoria<br />

Guzzardi, direttrice della scuola elementare di Montepalma; il<br />

dott. Aldo Orlando, giovane manager; il prof. Pietro Torrisi,<br />

lucido militante della sinistra.<br />

Per molti di loro quell’esperienza fu di breve durata; Antonio<br />

Biuso ed Emilio Palmeri, invece, mi accompagnarono per<br />

tutto il viaggio.<br />

Antonio fu la grande rivelazione. L’inventiva, la capacità<br />

organizzativa che gli sono connaturate lo resero protagonista<br />

della crescita culturale del paese. Il festival nazionale di musica<br />

rock “Sonica”, riservato ai giovani gruppi emergenti, e la<br />

rassegna teatrale e di spettacolo “Magie d’Estate”, furono sue<br />

creature. Con lui, la Galleria d’arte e la Biblioteca si qualificarono<br />

come importanti centri di cultura, mentre il Carnevale<br />

divenne una delle più rinomate manifestazioni della Sicilia.<br />

Emilio si occupò dello sviluppo economico. Malgrado i pressanti<br />

impegni che gli derivavano dalla sua attività imprenditoriale,<br />

non fece mai mancare il suo apporto e dedicò tempo e<br />

intelligenza per dare impulso alle realtà produttive del paese.<br />

La puntualità non era il suo forte, ma svolse sempre il suo incarico<br />

con serietà e competenza. Per me, è stata una magnifica<br />

scoperta. La garbata affettuosità, la riservatezza e la limpida<br />

dirittura morale di questa dolce persona mi avvolsero e mi con-<br />

30


quistarono il cuore. Nacque una fraterna amicizia che è diventata<br />

un punto fermo nella mia vita.<br />

Nella seconda legislatura, Nunzio Garozzo, Angelo Battiato<br />

e Alberto Costanza lasciarono la carica di assessore e continuarono<br />

a dare il loro prezioso contributo dai banchi del consiglio<br />

comunale.<br />

Chiamai a far parte della giunta il dott. Salvatore Battiati,<br />

presidente dell’associazione di volontariato “Umanità solidale”,<br />

che si occupò della solidarietà sociale, mettendo al servizio<br />

dei più deboli la sua straordinaria esperienza e sensibilità, e<br />

Peppino Spampinato, un anziano contadino e valido compagno<br />

di cui apprezzavo la coerenza e l’attaccamento al partito.<br />

Peppino, solo per pochi voti, non era stato rieletto in consiglio<br />

comunale e quella sconfitta gli bruciava. Capii che c’era<br />

rimasto male, ma il suo orgoglio contadino non fece mai trapelare<br />

nulla. Gli annunciai per telefono la mia decisione di nominarlo<br />

assessore. Gli sembrava uno scherzo. Ma quando venne<br />

al comune e il segretario lo invitò a formulare il giuramento<br />

di rito, si commosse. “Mi hai fatto un grande regalo,” mi<br />

disse con voce tremante. Mi commossi anch’io. La sorte mi<br />

aveva offerto la possibilità di dare il giusto riconoscimento ad<br />

un uomo fiero e combattivo, cui la vita aveva riservato solo<br />

lavoro e immensi sacrifici. Era nato in campagna, Peppino, e<br />

lì aveva vissuto gli anni della giovinezza. Da piccolo, aveva<br />

frequentato la scuola rurale fino alla terza elementare. Ma poi,<br />

grazie alla sua vivace intelligenza e alla tenacia, era riuscito a<br />

laurearsi nella grande università della vita. Ora, con la nomina<br />

ad assessore, aveva tagliato il più ambìto traguardo. La mia<br />

fu una scelta felice: Peppino si rivelò instancabile e onnipresente<br />

e, anche in questo ruolo così importante, non fu secondo<br />

a nessuno.<br />

In seguito chiamai a far parte della giunta il compagno Salvatore<br />

D’Alessandro, un avvocato di Montepalma, e Antonio<br />

Licciardello, esponente dell’antica famiglia misterbianchese dei<br />

“Pizzauppi”.<br />

Furono tutti splendidi compagni di viaggio, i miei assesso-<br />

31


i. Si lavorava in piena armonia, in assoluta lealtà. È stata una<br />

grande esperienza umana, oltre che politica. Ognuno ha sacrificato<br />

qualcosa di sé, per spingere in avanti il suo paese. E non<br />

sono tante le persone disposte a farlo!<br />

32


LA POLITICA DEI CENTO FUOCHI<br />

Accendere “cento fuochi” al giorno e alimentarli continuamente.<br />

Questa fu la mia regola. Misterbianco aveva accumulato<br />

troppi ritardi. Ora si doveva recuperare rapidamente il tempo<br />

perduto. Occuparsi di un solo problema per volta non sarebbe<br />

bastato a farci uscire dal pantano. Sì, ogni giorno bisognava<br />

accendere “cento fuochi”, senza mai farli spegnere.<br />

Seguivo personalmente ogni cosa. Le giornate volavano in<br />

un attimo. Alle otto ero in comune e, dopo il pranzo, riprendevo<br />

il lavoro, restando al mio tavolo fino a tarda sera. Spesso, di<br />

notte o al mattino presto, con la mia Panda bianca, facevo il<br />

giro del paese, in compagnia di mia moglie. Prendevamo appunti<br />

su tutto, dalle lampade fulminate, ai relitti di elettrodomestici<br />

abbandonati, alle buche delle strade…<br />

Quasi tutte le mattine, andavo a trovare gli operai comunali,<br />

segnalavo loro i disservizi riscontrati e, insieme, organizzavamo<br />

il lavoro della giornata. Fra noi si instaurò un rapporto<br />

diretto e cameratesco.<br />

Per le manutenzioni, decisi di eliminare il ricorso a ditte<br />

esterne, rivelatesi costose ed inefficienti. Acquistammo tutte le<br />

attrezzature necessarie per gestire direttamente il servizio: tre<br />

camion, di cui uno fornito di cestello, una gru, due escavatori e<br />

il materiale occorrente per l’acquedotto comunale. In breve, il<br />

servizio di manutenzione del comune divenne efficiente e tempestivo.<br />

Così, la lampada veniva subito sostituita, la buca coperta,<br />

il relitto rimosso, la perdita d’acqua riparata.<br />

<strong>Di</strong> fronte a tanta inedita efficienza, qualche scettico affermava:<br />

“Non dura! Chista è furia di capitanu novu 1 ”.<br />

1 Non può durare a lungo: è soltanto l’effimero entusiasmo di un capitano<br />

fresco di nomina.<br />

33


Per fortuna non fu così! Ormai avevamo impresso una nuova<br />

marcia alla macchina comunale. Tutto veniva fatto rapidamente.<br />

Gli impiegati, con i quali interloquivo ogni giorno, diventavano,<br />

anche loro, protagonisti della rinascita del comune.<br />

Attivammo il numero verde per consentire ai cittadini un contatto<br />

rapido con gli uffici e riprendemmo l’esperienza del filo diretto<br />

in televisione. L’intera giunta, ogni sei mesi, per tre serate, si<br />

offriva al confronto con i cittadini. Si rivelarono entrambi strumenti<br />

preziosi, più efficienti di una costosa indagine. In poco tempo,<br />

avemmo piena cognizione dei problemi, anche i più minuti,<br />

della città. L’amministrazione diventava davvero interlocutrice credibile<br />

dei cittadini, nei quali cominciò a diffondersi la sensazione<br />

che qualcosa di profondo stesse cambiando al comune.<br />

Il risveglio civile si manifestò ben presto.<br />

Avevamo fatto stampigliare su centinaia di berrettini la scritta:<br />

“Insieme puliamo Misterbianco”. Li distribuimmo nel paese.<br />

L’appuntamento era per la domenica successiva, alle ore<br />

otto, in piazza della Repubblica. Muniti di scope, palette e<br />

34<br />

Sindaco, assessori e cittadini durante la manifestazione<br />

“Insieme puliamo Mistebianco”


carrettini, tutti i componenti della giunta, con il berrettino in<br />

testa, cominciammo a spazzare il centro storico. In un baleno<br />

si unirono tanti volenterosi. In poche ore le strade e le piazze<br />

principali erano state ripulite. La pulizia del paese cominciava<br />

a diventare un valore, un traguardo da raggiungere tutti insieme.<br />

Il miracolo si era compiuto: i misterbianchesi iniziavano<br />

ad impossessarsi della loro città.<br />

Elevare l’immagine del paese fu un mio chiodo fisso. Eliminare<br />

il degrado, rendere gradevole e ordinato l’ambiente era<br />

per me il primo passo verso il riscatto civile.<br />

Emisi un’ordinanza con cui si vietava l’uso di altoparlanti<br />

che gli ambulanti, per reclamizzare le loro merci, utilizzavano<br />

in qualsiasi ora del giorno, senza alcun riguardo per la quiete<br />

pubblica.<br />

Feci ripulire tutti i muri della città, da sempre imbrattati da<br />

manifesti e avvisi di qualunque genere, e collocare appositi impianti<br />

pubblicitari. Emisi un’ordinanza di divieto di affissione<br />

fuori dagli spazi previsti. La città acquistò un nuovo volto.<br />

Con interventi straordinari, furono pulite tutte le aree pubbliche<br />

da cumuli e cumuli di rifiuti d’ogni genere. Fu attivato il<br />

servizio di raccolta a domicilio dei rifiuti ingombranti. Acquistammo<br />

centinaia di nuovi cassonetti e fissammo orari tassativi<br />

per depositarvi la spazzatura.<br />

Fu redatto un piano del traffico e quasi tutte le vie cittadine<br />

furono rese a senso unico.<br />

Fu assegnato un nome a più di duecento strade, da sempre<br />

anonime, e in tutto il paese furono collocate nuove targhe con<br />

l’indicazione delle vie e dei numeri civici.<br />

La gente accoglieva favorevolmente questi messaggi di ordine,<br />

anche quando comportavano una netta rottura con le vecchie<br />

abitudini.<br />

Non fu indolore, invece, l’istituzione dell’isola pedonale<br />

nelle vie G. Bruno e G. Matteotti. Gli esercenti si ribellarono.<br />

Temevano che con la chiusura del traffico le loro attività avrebbero<br />

subito danni. Ci furono lunghe riunioni e risentite proteste.<br />

Alla fine, l’isola venne realizzata e, dopo qualche settima-<br />

35


na, la novità fu accettata da tutti. Un altro piccolo passo avanti<br />

era stato compiuto.<br />

Più di centocinquanta progetti per civili abitazioni giacevano<br />

da tempo nei cassetti dell’ufficio tecnico, sotto uno spesso<br />

manto di polvere. Convocai subito la commissione ed espressi<br />

la volontà dell’amministrazione di dare immediate risposte agli<br />

interessati. In meno di un mese tutti i progetti vennero esaminati<br />

e più di cento approvati.<br />

Contemporaneamente, l’assessore Palmeri metteva in moto<br />

le varie commissioni, anche queste bloccate da anni: pubblici<br />

esercenti, barbieri e parrucchieri, commercio a posto fisso. In<br />

breve più di centoventi istanze vennero esaminate. Gli operatori<br />

cominciarono a respirare.<br />

L’emergenza acqua s’impose in tutta la sua gravità. La vecchia<br />

condotta idrica<br />

principale, di oltre 7<br />

km, che riforniva d’acqua<br />

le frazioni, era in<br />

eternìt. Oltre a costituire<br />

una pericolosa minaccia<br />

per la salute, era<br />

esposta a ripetuti attacchi<br />

vandalici. Spesso,<br />

per giorni, in quei quartieri,<br />

si rimaneva senza<br />

acqua. La sostituimmo<br />

con resistenti tubi d’acciaio.<br />

Rifacemmo anche<br />

ampi tratti di rete<br />

idrica, già logora e<br />

fatiscente, in varie parti<br />

del paese. L’acqua, finalmente,<br />

arrivava con<br />

regolarità.<br />

Le frazioni, ancor<br />

Vecchia condotta idrica in eternìt<br />

più del centro, erano<br />

36


state del tutto abbandonate. Non erano stati ancora consegnati<br />

i lavori per opere finanziate e appaltate durante la mia precedente<br />

sindacatura (febbraio ’88 - marzo ’89), che riguardavano<br />

la realizzazione di parecchie strade ancora a fondo naturale e<br />

prive d’illuminazione. Per incuria e disinteresse dei loro am-<br />

Via Turi Scordo. Una delle tante strade delle frazioni<br />

prive di illuminazione e di manto stradale<br />

ministratori, migliaia di cittadini erano stati costretti a vivere<br />

per anni al buio, come topi, in mezzo alla polvere d’estate e al<br />

fango d’inverno.<br />

Chiamai personalmente le ditte aggiudicatarie e, in poco<br />

tempo, iniziarono i lavori in via Firenze, via Livorno, via Rosina<br />

Anselmi, via Italo Svevo, via Ettore Majorana e via Amenano.<br />

Contestualmente, provvedemmo a progettare ed appaltare altre<br />

strade urbane a fondo naturale e senza luce: via Ferrara, 2°<br />

traversa di via Campo Sportivo, prolungamento di via Turi<br />

Scordo, via Vadalà Papale, via Cesare Pavese.<br />

“Ma, allora, le cose si possono fare; è possibile cambiare!”<br />

esclamavano i cittadini sbalorditi. Man mano, di fronte all’evidenza<br />

dei fatti, l’ente pubblico e la politica conquistavano cre-<br />

37


dibilità.<br />

Il metodo della velocità e dei “cento fuochi” funzionava. E<br />

noi prendevamo coraggio.<br />

Esplose la voglia di stare insieme, di divertirsi. La paura e<br />

la rassegnazione erano ormai un vecchio ricordo, appartenevano<br />

al passato.<br />

Uscita dal lungo letargo, la Pro loco raccolse più di duecento<br />

iscritti. La professoressa Mariantonia Buzzanca venne eletta<br />

presidente e avviò subito un’intensa e proficua collaborazione<br />

con l’amministrazione comunale.<br />

Gli assessori Condorelli e Biuso, cogliendo la dirompente<br />

voglia di aggregazione che investiva la città, organizzarono,<br />

per tutto il periodo delle festività natalizie, giochi, spettacoli<br />

musicali e teatrali e intrattenimenti vari.<br />

Non c’erano locali, né pubblici né privati, a Misterbianco,<br />

che potessero ospitare queste iniziative. Si prese, perciò, in affitto<br />

un ampio tendone da circo che fu innalzato in piazza Mercato.<br />

Lo si arredò di sedie e palco e iniziò lo spettacolo. Il “Na-<br />

38<br />

Tensostruttura, via San Rocco vecchio (Palatenda)


tale sotto la tenda” ebbe un successo straordinario, che rese il<br />

tendone un appuntamento annuale per la città e ci offrì l’idea<br />

di progettare una tensostruttura stabile che, una volta realizzata,<br />

insieme all’attiguo anfiteatro, sarebbe divenuta la sede naturale<br />

per le attività culturali e sportive del paese.<br />

Ma già si pensava al<br />

Carnevale. C’era tanta voglia<br />

di fare festa, di sfilare<br />

per le strade, come da tanto<br />

tempo non si faceva più.<br />

Si riunirono i vecchi gruppi,<br />

se ne costituirono di<br />

nuovi. Si stabilì il percorso.<br />

Si stanziarono i fondi<br />

per l’organizzazione. Il<br />

paese entrò in fermento.<br />

Quella che, in seguito, sarebbe<br />

diventata per Misterbianco<br />

la più importante<br />

manifestazione culturale<br />

di massa e attrattiva turistica,<br />

era rinata.<br />

L’incendio era scoppiato.<br />

La “nuova Misterbian-<br />

Preparativi per il Carnevale.<br />

Costumisti all’opera<br />

co” cominciava a muovere<br />

i primi passi.<br />

39


TESTA CA NON PARRA SI CHIAMA CUCUZZA<br />

Dopo qualche giorno dal mio insediamento, in un’afosa giornata<br />

di luglio, venne da me il dott. Battiati, direttore dell’ufficio<br />

ragioneria. Aveva l’aspetto di chi non porta buone notizie.<br />

La camicia, a quadri e a mezze maniche, a tratti era segnata dal<br />

sudore. Per prendere tempo e nascondere l’imbarazzo, prese a<br />

pulire gli occhiali con il fazzoletto.<br />

Battiati è un tipo serio e prudente. <strong>Di</strong>rigeva da lunghi anni<br />

la ragioneria e, nei meandri del bilancio, si muoveva come un<br />

pesce nell’acqua. Con l’aria di chi fa qualcosa contro voglia,<br />

tirò fuori dalla tasca una lettera della regione e me la porse<br />

timidamente.<br />

Finito il tempo delle vacche grasse, la regione era alla ricerca<br />

disperata di risorse finanziarie e aveva deciso di raschiare<br />

perfino il barile dei finanziamenti ai comuni. La legge finanziaria<br />

del ’92 aveva introdotto, quasi di soppiatto, una norma<br />

che imponeva ai comuni di restituire alle casse regionali le somme<br />

trasferite, ogni anno, con la Legge 1/79 e non impegnate.<br />

La lettera parlava chiaro: i fondi dovevano essere impegnati<br />

entro due anni dalla loro assegnazione; i residui non impegnati<br />

dovevano essere restituiti alla regione. La norma riguardava<br />

anche gli anni pregressi, per cui i comuni dovevano, adesso,<br />

rendere tutte le somme, ricevute dal ’79 in poi, che non<br />

avevano utilizzato.<br />

Chiesi quanto avremmo dovuto restituire. Battiati fece una<br />

smorfia indecifrabile; si ripulì, ancora una volta, gli occhiali e,<br />

quasi balbettando, disse: “È una somma consistente.” Per prudenza<br />

non precisò l’importo. “Più volte avevo avvertito i commissari<br />

del pericolo e li avevo sollecitati ad investire in tempo<br />

le somme, ma loro non hanno fatto nulla. Più di questo, cosa<br />

potevo fare?” esclamò. Poi, inforcando gli occhiali, proseguì:<br />

41


“Faccio il mestiere di contabile, io. Non sono un amministratore.<br />

Non sono un politico.”<br />

In effetti, non gli si poteva dare torto. La responsabilità dell’inerzia<br />

della classe politica e della burocratica gestione<br />

commissariale, non poteva ricadere su di lui.<br />

Incuriosito e un po’ stizzito, chiesi nuovamente: “Ma allora,<br />

a quanto ammonta questa somma?” Tirò un profondo sospiro<br />

e, guardando fisso la riproduzione di un dipinto di Guttuso<br />

che rappresentava la storica battaglia dei Mille a Calatafimi,<br />

chiuse gli occhi come chi fosse stato costretto a tuffarsi in un<br />

mare tempestoso e disse quasi sottovoce: “Sette miliardi di lire.”<br />

Una cifra enorme! Balzai dalla sedia e cominciai a gridare:<br />

“No, non ci credo. Non è possibile. È una vergogna. Ce ne<br />

dovremmo andare tutti a casa...”<br />

L’incuria di amministratori scellerati costringeva, ora, il<br />

comune a restituire la bellezza di sette miliardi. Nessuno li aveva<br />

saputi spendere in un paese bisognoso di tutto. Era assurdo. Un<br />

paradosso inaccettabile.<br />

Battiati, molto contrariato, si asciugava la fronte bagnata di<br />

sudore. All’improvviso, un’idea folgorante gl’illuminò il volto<br />

e gli diede la forza per esclamare con ritrovato piglio: “Sindaco,<br />

proprio in questi giorni è in discussione alla regione la nuova<br />

legge finanziaria. Si potrebbe chiedere una proroga, anche<br />

piccola, per dare tempo ai comuni di investire le somme da<br />

restitui-re”. E proseguì con maggior vigore: “Questa è una battaglia<br />

che vale la pena d’intraprendere. Voi sindaci ce la potete<br />

fare!”<br />

Salutai il dott. Battiati. Adesso appariva un po’ rinfrancato.<br />

La sua proposta, per quanto temeraria, m’intrigò subito. Intravidi<br />

uno spiraglio. Testa ca non parra si chiama cucuzza 1 ,<br />

pensai. Si poteva condurre una battaglia a Palermo. Certo, non<br />

era facile. Ma si poteva tentare.<br />

Mi attaccai al telefono. Chiamai i sindaci che conoscevo. In<br />

42<br />

1 Ha la testa come una zucca, chi non fa valere le proprie ragioni.


eve, l’allarme scattò in tanti comuni. Concordammo un incontro<br />

con l’assessore regionale al bilancio. La riunione fu fissata<br />

per il martedì successivo, alle ore undici, presso la sede<br />

dell’Assemblea regionale.<br />

Eravamo in tanti quel giorno e quasi tutti eravamo stati eletti<br />

da meno di un mese. Eravamo determinati. L’elezione diretta<br />

ci aveva conferito una forza e un prestigio inediti.<br />

Il Palazzo dei Normanni, con la superba aquila in pietra bianca<br />

che ne sovrasta l’ingresso principale, si presentava in tutto<br />

il suo antico splendore. Il grande Federico dovette chiamare a<br />

sé i migliori architetti dell’epoca per realizzare una così magnifica<br />

reggia! Al suo interno, l’edificio appariva, ad un tempo,<br />

leggiadro e maestoso. Si respirava un’aria insolita. Da tanti<br />

particolari, s’intuiva che quella reggia era stata costruita per<br />

simboleggiare ed ospitare il potere.<br />

Fummo accolti nella splendida sala gialla. <strong>Di</strong>etro un massiccio<br />

tavolo, svettava imponente, sulla bandiera gialla e rossa<br />

della Sicilia, lo stemma con la Trinacria.<br />

L’assessore al bilancio, on. Mario Mazzaglia, ci porse il<br />

benvenuto.<br />

Fummo in tanti ad intervenire. Sostenemmo con forza che<br />

non potevamo essere noi, sindaci eletti da appena un mese, a<br />

rispondere del malgoverno perpetrato per decenni dal vecchio<br />

sistema politico. La regione aveva il dovere di aiutarci.<br />

Chiedemmo d’inserire nella nuova finanziaria un emendamento<br />

che desse ai comuni almeno sei mesi di tempo per poter<br />

impegnare le somme.<br />

L’assessore dimostrò disponibilità e comprensione. Tuttavia,<br />

si doveva sentire il Presidente del Governo che, in quel<br />

momento, era assente. Ci aggiornammo al venerdì successivo.<br />

Il giorno stabilito, il Presidente, on. Campione, ci accolse<br />

nella sontuosa sala rossa, tappezzata da un elegante tessuto color<br />

porpora. L’ambiente, solenne e austero, incuteva non poca soggezione.<br />

Ci ascoltò a lungo, senza parlare. Poi, ruotando una penna<br />

fra le mani, disse: “Vedo in voi tanta energia, tanta voglia di<br />

43


lavorare. Siete la nuova speranza della Sicilia. La regione ha il<br />

dovere di aiutarvi. La prossima settimana la finanziaria andrà<br />

in Aula. Il mio governo farà propria la vostra proposta.”<br />

Il giovedì successivo, verso le diciotto, squillò il telefono.<br />

Era l’on. Mazzaglia. “Il governo vi ha dato fiducia” mi disse,<br />

“avete ancora sei mesi di tempo per impegnare i vostri residui.<br />

Buon lavoro.”<br />

Al comune non c’erano progetti cantierabili. Li approntammo<br />

in un batter d’occhio e riuscimmo, così, ad impegnare tutta<br />

la somma. Neanche una lira andò perduta.<br />

Con quei sette miliardi finanziammo tante opere, tutte fondamentali:<br />

il completamento della nuova sede comunale; la<br />

realizzazione di una scuola materna nei locali dell’ex macello;<br />

numerosi interventi per il cimitero; la pavimentazione e illuminazione<br />

delle vie Pisa, Bari, Tomasi di Lampedusa, Piemonte,<br />

Giacomo Leopardi, Girolamo Rosano, S. Chiara; il prolungamento<br />

di via dei Vespri; la recinzione e la pavimentazione dei<br />

viali interni del parco di Poggio croce.<br />

44<br />

Nuovo palazzo municipale


Villa comunale (Poggio Croce)<br />

Un bel risultato. Una bella esperienza, quella di Palermo,<br />

che ci aiutò a crescere e ci diede coraggio.<br />

L’estemporanea idea del dottore Battiati si era rivelata vincente.<br />

45


CCU NN’ARRISICA NN’ARRUSICA<br />

Alle dieci in punto ero in prefettura. Avevo necessità di parlare<br />

con il prefetto. Avvertivo, sul fronte dell’ordine pubblico,<br />

un clima pesante.<br />

A pochi mesi dalla mia elezione, una serie di attentati alla<br />

condotta principale dell’acqua, un incendio doloso nella zona<br />

commerciale che aveva devastato l’intero capannone della ditta<br />

“De Luca tre”, frequenti atti vandalici nelle scuole, avevano<br />

creato un clima di paura nel paese. Bisognava reagire.<br />

Il dott. Romano mi accolse cordialmente. Aveva preso, da<br />

qualche giorno, il posto del prefetto Salazar, destinato a Roma.<br />

Con un fare asciutto e sbrigativo, andò subito al sodo. Mi parlò<br />

di Siracusa, la sua precedente sede e dell’ottimo lavoro che vi<br />

aveva svolto. Mi accennò alle due associazioni antiracket che,<br />

con il suo patrocinio e con l’aiuto determinante di Tano Grasso,<br />

erano sorte in quella provincia. Parlammo a lungo di Tano<br />

Grasso, il coraggioso commerciante di Capo d’Orlando che era<br />

riuscito a suscitare e a organizzare, in tante realtà italiane, un<br />

moto di resistenza e di lotta contro il devastante fenomeno del<br />

racket.<br />

Conoscevo da tempo Tano. Assieme avevamo condotto, con<br />

grande impegno, la campagna elettorale del 5 aprile 1992, sotto<br />

lo slogan: “La Sicilia che non si arrende.”<br />

Al prefetto parlai di Misterbianco e dei suoi problemi: la<br />

pericolosa delinquenza, lo spaccio di droga, la disoccupazione,<br />

l’abbandono scolastico, la carenza di forze dell’ordine.<br />

Accennai al mio disperato tentativo di invertire la rotta, in un<br />

paese per anni preda di politici inetti e spesso collusi col malaffare.<br />

Gli dissi che non potevo deludere una comunità che<br />

cominciava ad intravedere una possibilità di riscatto dai lunghi<br />

anni di malgoverno.<br />

47


Il prefetto mi ascoltava con interesse e attenzione. “Anch’io,<br />

da Siracusa, ho seguito le inquietanti vicende di Misterbianco,”<br />

mi disse. “È vero, il suo paese ha bisogno d’aiuto. Lo Stato<br />

deve intervenire.”<br />

Mi chiese se avvertissi pericolo per la mia persona. “Non<br />

mi sento particolarmente esposto; nei miei spostamenti, mi faccio<br />

sempre accompagnare da un vigile,” risposi.<br />

Concordammo una sua visita al comune e la data di una<br />

manifestazione pubblica, in presenza del comitato per l’ordine<br />

e la sicurezza, per incoraggiare i commercianti a costituire<br />

un’associazione antiracket. Mi assicurò il suo sostegno, mi raccomandò<br />

prudenza e mi disse: “La mafia si combatte da vivi,<br />

non da morti; non lo dimentichi.” Poi, mentre gustavamo un<br />

buon caffè, aggiunse: “La malavita e l’illegalità sono brutte<br />

bestie che vanno combattute con determinazione, ma, soprattutto,<br />

vanno prevenute con intelligenza. Bisogna creare occasioni<br />

di lavoro e investire nella scuola. È la scuola che forma le<br />

nuove generazioni. È a questo che lo Stato deve puntare.”<br />

Ci salutammo con un abbraccio. I suoi propositi e le sue<br />

assicurazioni mi misero di buon umore.<br />

La manifestazione si tenne nel pomeriggio del 1° ottobre<br />

nell’aula magna della scuola di via Garibaldi. L’iniziativa venne<br />

curata in ogni suo aspetto. Un manifesto dal titolo: “Uniti<br />

contro il racket, per una nuova legalità” venne affisso in città.<br />

Furono recapitati centinaia di inviti.<br />

Quella sera, la sala era gremita. Al tavolo della presidenza,<br />

accanto al prefetto, erano seduti il colonnello Razza, comandante<br />

provinciale dei carabinieri, il colonnello Peruzzo, comandante<br />

della guardia di finanza, e il questore di Catania, dott.<br />

Scavo.<br />

“Misterbianco non è più sola. Lo Stato ci è vicino. Una stagione<br />

di legalità e trasparenza si può aprire. Il comune si costituisce<br />

come avanguardia, punto di riferimento per quanti si<br />

vogliono battere per estirpare la mala pianta del pizzo,” dissi<br />

nel mio breve saluto.<br />

48


Manifestazione anti-racket. Tavolo della presidenza.<br />

Da sin.: il Questore, dr. Scavo; il Prefetto, dr. Romano; il Sindaco, dr. <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>;<br />

il Generale dei Carabinieri, com. Razza; l’on. Tano Grasso.<br />

“Ora non ci possono essere più alibi,” affermò Tano Grasso,<br />

che non mancò di portare il suo contributo. “È importante<br />

che gli imprenditori capiscano quanto sia necessaria la collaborazione<br />

di gruppo che riduce i rischi dei singoli, fino a ieri<br />

esposti a forti pericoli. Gli imprenditori non devono perdere<br />

questo treno.”<br />

Concludendo la manifestazione, il prefetto disse: “Oggi, a<br />

Misterbianco, è stata lanciata la sfida contro il racket e per lo<br />

sviluppo di una nuova legalità. Occorrono tempi di maturazione<br />

per cancellare un passato di connivenza fra commercianti<br />

ed estortori. Qui e adesso è nata una speranza. È stata lanciata<br />

l’esca, speriamo che abbocchino in tanti.” E poi aggiunse: “La<br />

ritrovata collaborazione fra comune e forze dell’ordine getta le<br />

basi per il riscatto di questa comunità.”<br />

L’esito dell’iniziativa, al momento, apparve incoraggiante.<br />

Tutti esprimevamo soddisfazione. I risultati, però, non furono<br />

esaltanti. I tempi di maturazione indicati dal prefetto si dimo-<br />

49


strarono più lunghi del previsto e l’associazione antiracket non<br />

riuscì a decollare. Ero deluso.<br />

Dopo qualche tempo, però, accadde un episodio che mi fece<br />

ricredere.<br />

Nella giornata di ricevimento si presentò nel mio studio un<br />

imprenditore edile. Aveva l’aria di chi ha un segreto da confidare.<br />

Lo misi a suo agio. Gli dissi che di me si poteva fidare.<br />

Mi guardò negli occhi e poi, sorridendo, disse: “Se non mi fossi<br />

fidato, non sarei qui. Ho assistito alla manifestazione con il<br />

prefetto contro il racket e il messaggio di quella sera non l’ho<br />

dimenticato.” E prese a raccontarmi un episodio di tentata estorsione<br />

nei suoi confronti. “O paghi cinque milioni una tantum e<br />

cinquecentomila lire al mese fino alla chiusura del cantiere,<br />

oppure qui ti bruciamo tutto,” gli avevano intimato due loschi<br />

tipi. “Io vorrei resistere, non vorrei pagare, non gliela vorrei<br />

dare vinta, ma ho paura per la mia famiglia e per l’impresa. Mi<br />

dica cosa devo fare,” concluse sottovoce.<br />

Lo rassicurai e lo esortai a resistere e ad avere fiducia nelle<br />

forze dell’ordine. Lo misi in contatto con il maresciallo Moro<br />

e avvisai il prefetto. Dopo qualche tempo, i giornali riportarono<br />

la notizia che a Misterbianco i carabinieri avevano arrestato<br />

due estortori, davanti ad un cantiere edile. Il processo si svolse<br />

per direttissima e i due furono condannati.<br />

Un pomeriggio, quell’imprenditore mi venne a trovare in comune.<br />

Portava un fiasco di vino rosso. Me lo porse dicendomi:<br />

“Questo vino è sincero e genuino. Lo beva alla mia salute.” E poi,<br />

salutandomi con aria soddisfatta, aggiunse: “Ccu nn’arrisica<br />

nn’arrusica 1 , signor sindaco. Ho corso qualche rischio, ma almeno,<br />

quei due malviventi sono stati assicurati alla giustizia.”<br />

La sera, a casa, assaggiai quel vino con mia moglie. Era<br />

eccellente. “Se non si parte, non si arriva” le dissi, ripensando<br />

a quel convegno nella scuola di via Garibaldi. Anche se era<br />

giovato a convincere un solo imprenditore, ne era valsa la pena.<br />

50<br />

1 Chi non risica non rosica.


IL DIRETTORE ILLUMINISTA<br />

L’attesa non durò a lungo. Dopo un po’, si aprì la porta e un<br />

omone dall’aspetto rassicurante, alto, panciuto e dalle enormi<br />

spalle, ci fece accomodare. Era il dott. Cappellani, direttore dell’assessorato<br />

alla pubblica istruzione della regione siciliana.<br />

Ero partito, di buon mattino, alla volta di Palermo. Con me<br />

c’era l’ing. Enzo Orlando, capo servizio dell’ufficio tecnico<br />

del comune, persona garbata e preparata. La “nuova<br />

Misterbianco” deve molto a questo giovane professionista.<br />

Lavorava senza risparmio. Non gli bastava l’orario dell’ufficio<br />

per concretizzare le pirotecniche richieste di progetti e interventi<br />

che, quotidianamente, gli scaricavo addosso. Era il mio<br />

principale punto di riferimento in comune.<br />

Appena entrato nell’ufficio del dott. Cappellani, mi presentai.<br />

Gli occhi neri e minuti del direttore mi fissarono a lungo.<br />

“Ma io la conosco,” esclamò. “Non so dove, ma devo averla<br />

vista da qualche parte.” Con lo schiocco delle dita segnalò d’essersi<br />

d’un tratto ricordato di avermi visto in televisione, nelle<br />

trasmissioni di Michele Santoro, “Samarcanda” e “Rosso e<br />

Nero”. Mi chiese se camminassi ancora scortato e se avessi<br />

ricevuto altre minacce. Conosceva la triste vicenda di Misterbianco<br />

con la sua lunga lista di violenza e di morte.<br />

Gli parlai diffusamente della mia città. Gli illustrai lo stato<br />

pietoso dell’edilizia scolastica. Con velata commozione gli<br />

parlai del dramma dei bambini dei quartieri abusivi e del degrado<br />

in cui erano condannati a vivere.<br />

Non avevo esagerato. Anzi, la realtà era, se possibile, ancora<br />

più grave. Centinaia di alunni venivano stipati, come polli in<br />

gabbia, in angusti appartamenti e garage sistemati alla meno<br />

peggio. <strong>Di</strong> norme di sicurezza, palestre, aule sperimentali, spazi<br />

per attività didattiche, neanche a parlarne. Anche i bambini più<br />

51


“fortunati” che frequentavano i pochi istituti scolastici esistenti,<br />

erano, tuttavia, costretti al doppio turno e, nelle frazioni,<br />

perfino al triplo. Nel quartiere di Serra, l’inverosimile: più di<br />

venti aule erano collocate al primo piano di un edificio abusivo<br />

che ospitava al piano terra una segheria. Sarebbe bastato un<br />

fiammifero per provocare una tragedia.<br />

Ero disperato. I bambini, che sentivo intimamente come<br />

miei, venivano derubati dello spazio vitale per crescere bene.<br />

Veniva compromesso il loro futuro. Forse quella disperazione<br />

tracimava dal mio volto.<br />

Cappellani rimase colpito. “Ma come mai non siete venuti<br />

prima? <strong>Di</strong> soldi per le scuole, in questi anni, ce ne sono stati a<br />

bizzeffe. Ora ne sono rimasti ben pochi,” esclamò.<br />

Gli ricordai che ero stato eletto da pochi mesi. Ed era toccato<br />

a me prendere in eredità quel disastro.<br />

“La vedo determinato e combattivo,” aggiunse, “farò tutto<br />

il possibile per i suoi ragazzi senza scuola.”<br />

Con l’ing. Orlando concordò tutte le procedure da seguire.<br />

Bisognava presentare le istanze e i progetti entro il 31 dicembre<br />

di quell’anno. Avremmo potuto ottenere svariati miliardi,<br />

attingendo alle risorse sia del vecchio sia del nuovo piano regionale,<br />

oltrechè della legge Falcucci. Con quelle somme<br />

avremmo potuto realizzare il completamento dell’edificio della<br />

zona Toscano, per il quale, paradossalmente, non era stata<br />

prevista nemmeno la strada di accesso; il completamento della<br />

scuola elementare di Serra; l’ampliamento della scuola elementare<br />

di Montepalma e quello della scuola media di Lineri; la<br />

costruzione di un edificio di ventiquattro aule nella zona Milicia.<br />

I bambini di Misterbianco, finalmente, avrebbero avuto le<br />

loro scuole.<br />

Ero in estasi. Non credevo ai miei occhi. Tirai fuori dalla<br />

borsa la bozza del mio libro non ancora pubblicato e gliela<br />

offersi. Lesse il titolo e la firma di Giorgio Bocca nella prefazione.<br />

Mi accompagnò fino alla porta e, stringendomi la mano,<br />

mi disse: “Auguri, auguri di vero cuore per il suo comune.”<br />

Poi, allargando le braccia, citò una pessimistica frase di<br />

52


Robespierre: “Non è giunto il tempo in cui gli uomini onesti<br />

possono servire impunemente lo Stato.” Lo guardai negli occhi<br />

ed esclamai: “Io ci provo, direttore. Mali non fari, paura<br />

nn’aviri 1 ”. Sorrise, e stringendomi di nuovo la mano con forza,<br />

mi salutò.<br />

Scendemmo di corsa i cinque piani dell’edificio di via<br />

Notarbartolo. Eravamo sbigottiti.<br />

“Abbiamo fatto un bel colpo!” gridò l’ing. Orlando, dirigendosi<br />

verso la macchina. Ed io, di rimando: “A iaddina ca<br />

camina, s’arricogghi ccâ vozza china 2 ”. “Però ci vuole tanta<br />

fortuna…” aggiunse lui.<br />

È vero. Senza fortuna non si frigge neppure un uovo. Ci<br />

eravamo affidati, anche in questo caso, solo alla Fortuna e alla<br />

forza delle nostre ragioni. Le ragioni di una comunità in ginocchio,<br />

ma ancora viva e dignitosa, che voleva costruire il proprio<br />

futuro a testa alta, senza ricorrere a improbabili padrini e<br />

protettori politici.<br />

In pochi giorni, preparammo i documenti da inviare all’assessorato.<br />

Ottenemmo finanziamenti per oltre dodici miliardi<br />

di lire. Fu una vera corsa contro il tempo, ma tutto quello che<br />

avevamo previsto fu pienamente realizzato.<br />

E non solo. Il nostro impegno per l’edilizia scolastica andò<br />

ben oltre quell’importante finanziamento regionale. Fu ristrutturata<br />

e messa in sicurezza la scuola elementare di via Gramsci.<br />

L’istituto di via Galimberti, adibito a scuola materna, venne<br />

rimodernato e, nell’ampio cortile esterno, pavimentato a<br />

nuovo e illuminato, fu installato un moderno parco giochi. Fu<br />

ampliato l’edificio della zona Toscano con la costruzione di un<br />

nuovo blocco di dieci aule. I vecchi locali dell’ex macello vennero<br />

ristrutturati e trasformati in una splendida scuola materna.<br />

Per i bambini della scuola materna delle frazioni, vennero<br />

1 Se non fai del male non hai nulla da temere.<br />

2 La gallina che razzola ritorna al pollaio con il gozzo pieno.<br />

53


investiti più di tre miliardi di lire per realizzare sette ampie<br />

aule a Lineri, nel piano interrato dell’istituto Don Milani e un<br />

nuovo edificio a Montepalma, su un terreno attiguo alla scuola<br />

elementare.<br />

La storica carenza di locali scolastici veniva finalmente superata.<br />

Nell’aprile del 2002, quando inaugurammo la moderna scuola<br />

della zona Milicia, il dott. Cappellani non c’era. Era rimasto<br />

a Palermo, costretto a letto dalla febbre.<br />

Nel breve discorso inaugurale lo citai con riconoscenza. Poi,<br />

alzando l’indice della mano destra, mi rivolsi all’ing. Orlando,<br />

esclamando con soddisfazione: “Per noi è giunto il tempo in cui<br />

gli uomini onesti possono servire impunemente lo Stato.” Ci<br />

guardammo negli occhi e ci abbracciammo come due bambini.<br />

Il pessimismo del dott. Cappellani non aveva funzionato:<br />

non si adattava alla “nuova Misterbianco”.<br />

54<br />

Scuola elementare “Leonardo Sciascia”


FAI QUEL CHE DEVI, AVVENGA QUEL CHE PUÒ<br />

<strong>Di</strong> buon mattino, davanti al comune, c’era ad aspettarmi<br />

l’assessore Santo Mancuso. Aveva un giornale in mano. “Se<br />

scendi dalla macchina, ti offro un caffè,” mi gridò venendomi<br />

incontro. Lo presi sottobraccio e andammo al bar. “C’è dell’incredibile,”<br />

mi disse, “fanno le leggi con i piedi.” Mi mise sotto<br />

il naso un articolo de “Il Sole 24 ore” riguardante un recente<br />

decreto legge che contemplava particolari agevolazioni a favore<br />

dei commissari straordinari chiamati a gestire i comuni i<br />

cui consigli erano stati sciolti per infiltrazioni mafiose. Il decreto<br />

prevedeva speciali finanziamenti per la realizzazione di<br />

acquedotti e fognature, linee di credito agevolate e la deroga al<br />

blocco delle assunzioni.<br />

“E noi? Noi che non siamo commissari, per gestire le nostre<br />

comunità, da dove le prendiamo le risorse?” esclamò Santo,<br />

ingoiando, in un sol sorso, un caffè Hag. “È un’ingiustizia, non<br />

possiamo restare con le mani in mano!” incalzò ancora.<br />

Incredibilmente, le agevolazioni erano previste solo per la<br />

durata della gestione commissariale e cessavano con l’elezione<br />

degli organi democratici. Santo aveva ragione: era inconcepibile<br />

che lo Stato usasse due pesi e due misure nei riguardi dei<br />

comuni aggrediti dalla mafia.<br />

Salii nel mio studio. “Oramai è troppo tardi,” pensai. “Cosa<br />

si può fare?” L’unica possibilità era quella di tentare di ottenere<br />

in Parlamento una modifica a nostro favore, in occasione<br />

della conversione in legge del decreto.<br />

Ne parlai con il compagno Nicola Bertolo, sindaco di<br />

Adrano, succeduto, come me, alla gestione commissariale.<br />

“Sono d’accordo. L’idea mi convince. Proviamo a sentire gli<br />

altri tre sindaci che si trovano nelle nostre stesse condizioni,”<br />

mi disse. Così anche i sindaci di Santa Flavia, Cerda e Trabia<br />

55


aderirono alla nostra idea. Il sabato della stessa settimana c’incontrammo<br />

nel mio studio e costituimmo un coordinamento di<br />

sindaci eletti nei comuni sciolti per mafia.<br />

“Se lo Stato vuole proseguire nella sua azione contro la<br />

mafia, sostenendo i comuni che hanno subito condizionamenti<br />

e infiltrazioni mafiose, deve fornire ai nuovi amministratori le<br />

risorse necessarie per avviare un processo di riscatto e di legalità<br />

democratica in quelle comunità. Le agevolazioni previste<br />

dal decreto legge n. 420/93, devono, in fase di conversione,<br />

essere estese alle amministrazioni succedute ai commissari straordinari.”<br />

Questo, in sintesi, il contenuto della lettera che inviammo<br />

al Ministro degli interni, sen. Mancino, e ai presidenti<br />

dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. Spedimmo anche<br />

una richiesta di audizione al presidente della commissione<br />

antimafia, on. Violante.<br />

La stampa diede ampio rilievo alla nostra iniziativa. “Ritengo<br />

importante la nascita di questo coordinamento degli<br />

amministratori locali per stimolare lo Stato a dare una mano a<br />

quelle comunità che, guidate dai nuovi sindaci, vogliono riscattare<br />

un passato fatto di collusione fra mafia, politica e affari,”<br />

dichiarava l’on. Tano Grasso in una nota. Dello stesso tono<br />

le dichiarazioni dei parlamentari Rapisarda, Crocetta e Folena.<br />

Il congresso annuale dell’associazione nazionale dei comuni<br />

d’Italia, che si teneva in quei giorni a Riva del Garda, fu<br />

l’occasione per sottoporre all’attenzione nazionale il nostro<br />

problema che, nel frattempo, con la tornata elettorale d’autunno,<br />

aveva coinvolto numerosi altri comuni. I sindaci interessati<br />

erano, ormai, oltre settanta; tutti espressione di realtà del<br />

Mezzogiorno. In quella sede presi la parola a nome del coordinamento<br />

e, in presenza del ministro Mancino, ribadii con forza<br />

gli argomenti contenuti nella lettera che gli avevamo a suo tempo<br />

inviato. Parlai del disastro economico e sociale che la mafia,<br />

ancor più di una catastrofe naturale, procura nei comuni<br />

dove trova la forza di attecchire. “È un preciso dovere dello<br />

Stato democratico,” dissi, “favorire con mezzi speciali la rinascita<br />

di quelle comunità che oggi vogliono riscattarsi.” Non<br />

56


chiedevamo elemosina, ma concreto aiuto per sradicare dalle<br />

nostre realtà la mala pianta della mafia.<br />

Oramai il coordinamento aveva richiamato l’interesse delle<br />

forze politiche e suscitato, su quel tema, un dibattito nazionale.<br />

Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ci invitò<br />

a portare il nostro contributo di esperienza e di proposte ad un<br />

convegno che aveva organizzato a Roma.<br />

Inoltre, fummo ricevuti in prefettura dal ministro Mancino,<br />

in occasione della sua visita a Catania. “Sono con voi,” dichiarò<br />

il ministro in quella sede, “spero che il decreto possa accogliere<br />

le vostre istanze. Ma, per la verità,” aggiunse, quasi a<br />

Coordinamento dei sindaci dei comuni siciliani sciolti per mafia.<br />

Incontro con il Ministro dell’Interno, sen. Mancino (Prefettura di Catania)<br />

prefigurare l’esito negativo della nostra battaglia, “devo dire<br />

che a Roma non tutti la pensano come me.”<br />

Anche la Commissione nazionale antimafia ci volle ascoltare.<br />

L’audizione non fu priva di emozioni. Faceva un certo<br />

effetto stare seduti davanti a quell’importante organismo che<br />

si era occupato delle vicende più drammatiche e dolorose della<br />

nostra vita repubblicana. Nel salone dei ricevimenti della pre-<br />

57


fettura, davanti a un microfono collegato ad un potente registratore,<br />

uno per volta, ognuno di noi raccontò gli sconvolgenti<br />

accadimenti che avevano portato allo scioglimento del consiglio<br />

nel proprio comune. Poi, a microfoni spenti, tutti insieme<br />

ribadimmo il nostro dramma di sindaci costretti ad operare,<br />

con poche risorse, in territori per lunghi anni devastati dall’intreccio<br />

mortale fra mafia e politica.<br />

Il presidente Violante fu cortese e comprensivo. Ma anche<br />

lui, come Mancino, avanzò dubbi sul successo della nostra iniziativa.<br />

Infine, salutandoci, aggiunse con tono rassegnato: “Il<br />

clima politico in Parlamento non è dei migliori. Speriamo bene.”<br />

Lo scetticismo dei nostri interlocutori era più che giustificato.<br />

<strong>Di</strong> lì a poco, il Parlamento sarebbe stato sciolto, travolto<br />

dagli scandali di Tangentopoli. Il vaso di Pandora, scoperchiato<br />

dalla magistratura, aveva messo a nudo l’alto livello di corruzione<br />

di buona parte del ceto politico e i rapporti perversi fra<br />

questo e il mondo imprenditoriale. Dopo meno di due anni dalla<br />

sua nascita, l’XI legislatura si chiudeva in modo vergognoso<br />

e umiliante.<br />

Nessuno poteva prevedere, in quel momento, lo straordinario<br />

exploit che il partito mediatico di Berlusconi, confezionato<br />

in pochi mesi, avrebbe conseguito di lì a poco, sfruttando l’onda<br />

emotiva di Tangentopoli e il vuoto politico che si era creato.<br />

Una lunga stagione politica si chiudeva e il futuro, avvolto nella<br />

nebbia, non si intravedeva ancora.<br />

Il decreto 420 non venne ratificato dal Parlamento e decadde.<br />

La Lega attaccò quel decreto, usando l’armamentario più<br />

becero e antimeridionalista. Lo Stato, secondo Bossi, non doveva<br />

premiare con aiuti e agevolazioni i comuni che si erano resi<br />

colpevoli di aver allevato nel proprio seno la mafia. La voglia di<br />

riscatto e di emancipazione, il moto di ribellione alla mafia, che<br />

quelle comunità esprimevano, non avevano per lui importanza,<br />

non erano degni di considerazione e d’incoraggiamento.<br />

Quant’era miserabile il livello di comprensione che la Lega<br />

dimostrava nei confronti del fenomeno mafioso e dei problemi<br />

del Mezzogiorno!<br />

58


Ma il paradosso più eclatante è che questa forza visceralmente<br />

antimeridionalista, separatista e sciovinista, siede oggi<br />

al governo accanto a chi, della difesa del Sud e dell’unità della<br />

Nazione, aveva fatto la propria bandiera.<br />

L’unico risultato positivo che il coordinamento, in quelle<br />

condizioni, riuscì a strappare per i nostri comuni, fu l’inserimento<br />

nella finanziaria della deroga al blocco delle assunzioni.<br />

A Misterbianco utilizzammo subito quella norma. Indicemmo<br />

parecchi concorsi. S’impinguò, così, il corpo dei vigili urbani,<br />

ridotto al lumicino, e vennero assunti alcuni funzionari. Fra<br />

questi, il dott. Mario Coco, al quale assegnammo il settore dei<br />

tributi. Alla sua serietà e abnegazione, il comune deve molto.<br />

<strong>Di</strong> più non ottenemmo, con quella mobilitazione.<br />

Il mio assessore Santo Mancuso, di fronte al rammarico che<br />

gli esprimevo per l’esito deludente della nostra battaglia, alzò<br />

le spalle e, scuotendo la testa com’è solito fare, mi disse: “Non<br />

ti lamentare, qualcosa di buono l’abbiamo ottenuto.” E poi,<br />

indossando la giacca, mi ricordò il motto stoico: “Fai quel che<br />

devi, avvenga quel che può.”<br />

A ben pensarci, aveva ragione. Anche se non avevamo raggiunto<br />

tutti gli obiettivi prefissatici, l’esperienza del coordinamento<br />

si era dimostrata positiva. La voglia di riscatto delle<br />

nostre comunità era stata gridata in tutta Italia. Tutti avevano<br />

dovuto prendere atto che la Sicilia non era solo mafia e rassegnazione.<br />

Il nostro impegno non era andato sprecato.<br />

59


CU È MINCHIUNI SI STA Â SO CASA<br />

Nella primavera del ’94, Berlusconi, appena insediato il suo<br />

governo, fece balenare l’ipotesi di una nuova sanatoria. Bastò<br />

questa notizia a scatenare un abusivismo selvaggio. Scattò “la<br />

febbre del condono”. Si costruiva ovunque, di giorno e di notte.<br />

Quando il permissivismo viene incoraggiato dall’alto, non<br />

ci sono più Santi! La situazione divenne, ben presto, insostenibile.<br />

I vigili, i carabinieri, le sanzioni, non facevano più paura.<br />

Il governo parlava di prossima sanatoria e tutti volevano sfruttare<br />

quella opportunità.<br />

Noi sindaci, di fronte al moto popolare di illegalità diffusa e<br />

di assalto al territorio, scatenato da quella aspettativa, misuravamo<br />

tutta la nostra impotenza. Paradossalmente, di fronte a quell’arrembaggio,<br />

invocare subito la legge di sanatoria, ci appariva<br />

l’unica soluzione per ripristinare un minimo di legalità.<br />

D’altra parte, la prima legge di condono dell’abusivismo<br />

edilizio, la n. 47 dell’85, aveva lasciato fuori dalla sanatoria<br />

una fascia consistente di abusi. Potevano accedervi soltanto gli<br />

immobili edificati entro il 1° ottobre del 1983, mentre ne restavano<br />

esclusi gli edifici realizzati dopo quella data. <strong>Imp</strong>edire la<br />

possibilità di sanare gli abusi edilizi commessi dall’83 all’85,<br />

non solo non aveva risolto il problema, ma lo aveva acuito<br />

ancor di più, incentivando nuovi abusi nel convincimento che,<br />

prima o poi, un nuovo condono sarebbe arrivato. Soltanto a<br />

Misterbianco, almeno tremila fabbricati, rimasti esclusi dalla<br />

sanatoria, permanevano nell’illegalità.<br />

Era ormai urgente una legge che chiudesse definitivamente<br />

con il passato e, dettando norme rigide e tassative per tutti, a<br />

partire dai sindaci, anch’essi corresponsabili del sacco del territorio,<br />

impedisse, in futuro, nuove ondate di abusivismo.<br />

Su questa base, nacque il coordinamento regionale dei sin-<br />

61


daci per la sanatoria. La prima riunione si svolse a Bivona, un<br />

piccolo paese dell’agrigentino. Aderirono al coordinamento,<br />

oltre ai sindaci di Misterbianco e di Bivona, quelli di Adrano,<br />

San Cataldo, Mazara del Vallo, Monreale, Gela, Bagheria,<br />

Paceco e Ficarazzi.<br />

La nostra piattaforma mirava ad ottenere, rapidamente, un<br />

provvedimento legislativo che consentisse il definitivo recupero<br />

alla legalità del patrimonio abitativo sorto abusivamente. Esso<br />

doveva prevedere, altresì, misure severe per scongiurare il ripetersi<br />

di fenomeni di abusivismo; fra queste, anche il conferimento<br />

ai prefetti del potere di avvalersi del genio militare per la tempestiva<br />

demolizione di ogni opera che sorgesse senza autorizzazione.<br />

Chiedevamo, poi, che il gettito derivante dalla sanatoria<br />

venisse incamerato direttamente dai comuni, affinché, con quelle<br />

risorse, provvedessero a bonificare i quartieri abusivi.<br />

Sorse un grande movimento. Si tennero convegni in tanti<br />

comuni. Si sviluppò una vasta iniziativa politica guidata da<br />

noi sindaci. Più volte ci recammo a Roma. Incontrammo l’on.<br />

Baccini, primo firmatario della proposta di legge sul condono<br />

edilizio, e gli esponemmo le nostre ragioni. “Sono d’accordo<br />

con voi,” ci disse, “condivido la vostra battaglia.”<br />

Fummo ricevuti da diversi gruppi parlamentari. I Verdi e la<br />

Rete non nascosero la loro contrarietà al condono. “C’è un’Italia<br />

abusiva. Non possiamo continuare ad incoraggiarne l’ulteriore<br />

sviluppo. Le costruzioni abusive vanno demolite senza<br />

indugio,” questa fu la loro risposta.<br />

A noi sembrò una posizione tutta ideologica che non teneva<br />

conto della realtà del Mezzogiorno e della grave responsabilità<br />

della politica che, negli anni, aveva permesso, per clientelismo<br />

e disinteresse, lo scempio del territorio. Si trattava, ora, di chiudere<br />

con il passato e di fissare nuove regole inoppugnabili, per<br />

impedire che lo scempio continuasse. Ma loro non sentivano<br />

ragioni.<br />

Il coordinamento siciliano fu invitato a Roma, in occasione<br />

della grande manifestazione organizzata dal coordinamento dei<br />

sindaci della regione Lazio. Andai insieme al sindaco di Bivona,<br />

62


Giovanni Panepinto, un uomo allegro e generoso. <strong>Di</strong> statura<br />

bassa e tarchiata, aveva occhi vivaci ed espressivi e una voce<br />

profonda e rauca tipica di chi non fuma meno di tre pacchetti<br />

di sigarette al giorno. Poche persone ho visto fumare con tanto<br />

accanimento. Non usava fiammiferi e accendeva la nuova sigaretta<br />

con i resti di quella appena consumata.<br />

La manifestazione consisteva in un corteo che, partendo da<br />

piazza Navona, sarebbe passato davanti al Senato della Repubblica<br />

per concludersi in piazza del Pantheon, dove era stato<br />

allestito un palco per il comizio. C’erano migliaia di persone.<br />

Tanti provenivano dalle borgate romane. Esitammo quando<br />

fummo chiamati sul palco insieme a Teodoro Buontempo, deputato<br />

di Alleanza Nazionale, denominato “Er Pecora” per i<br />

suoi focosi trascorsi nei movimenti missini. Ma, essendo la<br />

battaglia per la sanatoria trasversale alle forze politiche, portammo<br />

lo stesso il saluto dei sindaci siciliani.<br />

Finalmente, nel luglio del 1994, il governo emanò il decreto<br />

Radice che introdusse il secondo condono edilizio.<br />

Ma il contenuto del decreto era inaccettabile. Nei fatti, si<br />

trattava di una manovra fiscale, mirante a risanare le casse dello<br />

Stato, a spese del Mezzogiorno. L’oblazione era oltremodo<br />

esosa; forse giusta per gli speculatori, ma certamente fuori dalla<br />

portata della maggior parte degli abusivi. I tempi di pagamento,<br />

inoltre, erano troppo ristretti. Tutto questo rendeva la<br />

sanatoria impraticabile per gli abusivi “di necessità”, che avevano<br />

costruito, con enormi sacrifici e spesso con le proprie<br />

mani, la casa dove vivere.<br />

Scattò immediatamente la mobilitazione. Nacquero svariati<br />

comitati spontanei di abusivi. Quello di Misterbianco era fra i<br />

più agguerriti ed era diretto da Melo Messina, che, munito di<br />

saggezza ed equilibrio, seppe contenere la protesta entro i confini<br />

della dialettica democratica.<br />

Si tennero diversi convegni. Uno si svolse a Misterbianco<br />

alla presenza dei parlamentari Libertini, Neri e Campo, del segretario<br />

dell’ANCI Sicilia, Andrea Piraneo, e di un folto numero<br />

di sindaci.<br />

63


Fu approvato un documento che indicava le modifiche da<br />

apportare al decreto nella fase della sua conversione in legge.<br />

Si chiedeva una consistente riduzione dell’oblazione, il suo<br />

abbattimento di un terzo per la prima casa e una dilazione nei<br />

pagamenti non inferiore a trentasei mesi. Infine, elemento di<br />

gran lunga più importante per noi amministratori, si insisteva<br />

sulla necessità che le somme pagate per le opere di urbanizzazione<br />

dovessero restare negli stessi comuni, per consentire il<br />

risanamento dei quartieri abusivi.<br />

Il decreto Radice venne reiterato a fine settembre, perché il<br />

Parlamento non era riuscito a convertirlo in legge nei sessanta<br />

giorni previsti. Il nuovo decreto recepì alcune nostre istanze:<br />

riduzione dell’oblazione; abbattimento di un terzo per la prima<br />

casa; dilazione nei tempi di pagamento.<br />

Purtroppo, il carattere fiscale rimase pregnante. L’interesse<br />

del governo non era quello di chiudere la triste piaga dell’abusivismo,<br />

risanandone gli scempi, bensì quello di fare cassa. I<br />

soldi degli abusivi dovevano andare a Roma, anziché restare<br />

nei comuni di provenienza.<br />

Eravamo alle solite. A pagare dovevano essere sempre i più<br />

deboli, i territori più arretrati e disagiati. Bossi aveva vinto. Il<br />

suo disprezzo, la sua avversione contro le ragioni del Sud avevano<br />

avuto la meglio, malgrado una consistente presenza di<br />

parlamentari siciliani nella maggioranza di governo. La Sicilia<br />

pagava ancora una volta un pesante scotto a causa di una classe<br />

politica subalterna e incapace di far valere le profonde ragioni<br />

della propria terra.<br />

Con quel provvedimento, tuttavia, il fenomeno dell’abusivismo<br />

sembrò placarsi. Gli abusivi poterono chiedere la<br />

sanatoria e, quel che più conta, cominciò a diffondersi il convincimento<br />

che non era più possibile costruire illegalmente.<br />

Pian piano, entrò nella coscienza popolare la necessità di rispettare<br />

il territorio, sia per la severità delle norme poste a sua<br />

tutela, sia perché i sindaci non erano più disposti a tollerare<br />

ulteriori abusi.<br />

Purtroppo, nel 2001, con l’avvento del secondo governo<br />

64


Berlusconi, irresponsabilmente, si ricominciò a parlare di<br />

sanatoria. Gli appetiti si risvegliarono. Ripresero gli abusi. La<br />

credibilità delle norme poste a tutela del territorio si indebolì. I<br />

sindaci, che avevano avvalorato la tesi che non ci sarebbe stata<br />

più sanatoria, vennero clamorosamente smentiti.<br />

Nell’autunno del 2003 venne decretato il terzo condono<br />

edilizio.<br />

Quella breve stagione di rispetto della legalità e di tutela del<br />

territorio venne, ancora una volta, mortificata. Si affermò il vecchio<br />

concetto: “Cu è minchiuni, si sta â so casa 1 ,” che a fare i<br />

furbi conviene sempre e che è da “fessi” rispettare i divieti.<br />

Fu questo l’effetto più devastante della nuova sanatoria, di<br />

cui ben pochi si avvalsero e che servì solo ad infliggere un<br />

pesante colpo alla credibilità dello Stato e delle sue istituzioni<br />

democratiche.<br />

1 Per lo sciocco non ci sono opportunità.<br />

65


VACCI CUNTENTU E NON T’ABBARRUARI…<br />

Ricordo con piacere i volti sorridenti e pieni di speranza di<br />

tante coppie che ho unito in matrimonio. C’è qualcosa di solenne<br />

e di poetico nel sancire giuridicamente l’impegno di due<br />

persone che si promettono lungo e reciproco amore.<br />

Al mio insediamento, quando ancora la sede del comune<br />

era ubicata nei locali privati di via Madonna del Rosario, le<br />

cerimonie si svolgevano davanti ad una vecchia scrivania, in<br />

una stanza antistante quella del sindaco e adibita, secondo necessità,<br />

a sala d’attesa, sala riunioni, sala giunta, segreteria del<br />

sindaco e altro ancora. Avvertivo un profondo disagio nell’ospitare<br />

gli sposi in quei locali che, con la loro squallida freddezza,<br />

facevano a pugni con il clima solenne e gioioso del momento.<br />

Per questo, appena restaurato il vecchio palazzo di città, per<br />

Palazzo di città dopo il restauro<br />

67


tanti anni inagibile e abbandonato, ne destinai un’ampia sala<br />

del piano terra alle cerimonie matrimoniali. L’arredai con eleganza<br />

e sobrietà e feci arricchire la volta e le pareti con affreschi<br />

densi di colore e di vita, realizzati dal sapiente pennello<br />

del maestro Pino Finocchiaro. Mi sembrava doveroso offrire<br />

locali accoglienti e festosi alle coppie che sceglievano, per il<br />

loro matrimonio, il rito civile.<br />

Eravamo ancora nei vecchi locali, quando accadde una vicenda<br />

che mi avrebbe segnato per lungo tempo.<br />

Alle dieci di quella mattina, avrei dovuto celebrare un matrimonio.<br />

Tutto era pronto, quando sentii un insolito schiamazzo<br />

provenire dal corridoio. Lo sposo, costretto sulla sedia a<br />

rotelle da una perniciosa invalidità, inveiva scompostamente<br />

contro uscieri e impiegati. Era stata un’impresa, per lui, raggiungere<br />

la sala e un’immane fatica, per gli invitati, aiutarlo a<br />

superare la barriera di ben quindici ripidi gradini posti all’ingresso<br />

del municipio.<br />

“Sindaco,” mi gridò, mentre indossavo la fascia tricolore,<br />

68<br />

Sala dei matrimoni (Palazzo di città)


“in questo comune non c’è vita per i disabili. Nessuno pensa ai<br />

nostri problemi! Malgrado le leggi, non c’è ufficio dove siano<br />

state abbattute le barriere. Non c’è un marciapiede dove potersi<br />

muovere in sicurezza. È una vergogna!”<br />

Quell’inaspettata filippica mi lasciò interdetto. Non sapevo<br />

cosa dire. Come spiegargli i mille problemi che ogni giorno mi<br />

cadevano addosso da tutte le parti? Ma come non accogliere<br />

quell’autentico grido di dolore?<br />

Gli promisi che avrei fatto tesoro delle sue lamentele e che<br />

quella protesta non sarebbe stata vana. Forse, la mia sincerità<br />

lo persuase. Si placò e celebrammo serenamente il rito.<br />

Lo accompagnai e lo aiutai faticosamente a scendere le scale<br />

e, salutandolo, gli dissi: “Non si scoraggi. <strong>Di</strong>fenda sempre<br />

con orgoglio i suoi diritti.”<br />

Si fece porgere dalla graziosa sposa una confezione di confetti<br />

bianchi e, con un sorriso, me ne fece omaggio.<br />

Quella sera, alla fine di una lunga riunione, il vicesindaco<br />

Stefano Santagati si fermò nel mio studio e, aperta la finestra,<br />

si accomodò sulla poltroncina in pelle nera e accese l’ennesima<br />

sigaretta della giornata.<br />

Era divenuta nostra consuetudine, a fine giornata, fare il<br />

punto della situazione e programmare gli obiettivi futuri.<br />

Erano rimasti sul tavolo quei confetti bianchi. Ne assaggiammo<br />

qualcuno, mentre gli raccontavo quanto mi era accaduto<br />

quella mattina. Anche lui restò colpito. Concordammo sulla<br />

necessità di porre, fra gli innumerevoli interventi prioritari,<br />

anche l’abbattimento delle barriere architettoniche nei luoghi<br />

pubblici della città.<br />

Dopo qualche giorno, Stefano mi presentò la bozza di un<br />

progetto che prevedeva l’abbattimento delle barriere in due vie<br />

principali del centro storico: via G. Matteotti e via G. Bruno.<br />

“L’ho schizzato questa notte,” mi disse, con aria soddisfatta,<br />

avvolto in un’invadente nube di fumo.<br />

I marciapiedi di quelle vie erano effettivamente impraticabili<br />

per i disabili. Erano stretti e sconnessi poiché, negli anni,<br />

si era inveterato il malvezzo di ricoprire gli scassi, che man<br />

69


mano venivano effettuati per le forniture di acqua, luce, gas e<br />

linee telefoniche, con il solo impasto di cemento, senza ripristinare<br />

l’originaria pavimentazione.<br />

Conferimmo l’incarico della progettazione dei lavori all’architetto<br />

Marcello Conti. Dopo un mese venne approvato e finanziato<br />

il progetto e fu indetta la gara d’appalto. Erano previsti<br />

l’allargamento dei marciapiedi, la realizzazione di scivoli<br />

d’ingresso, la pavimentazione con monostrato vulcanico e la<br />

messa a dimora di piante ornamentali.<br />

La notizia di quel progetto fece il giro del paese in poco<br />

tempo.<br />

Gli abitanti e i commercianti delle vie interessate, per paura<br />

di perdere qualche immaginario privilegio, lo avversarono con<br />

forza. Temevano che il previsto restringimento della sede stradale<br />

ne avrebbe compromesso la funzionalità. Inutile spiegare<br />

che le nuove dimensioni della strada avrebbero permesso non<br />

solo la circolazione delle autovetture nei due sensi di marcia,<br />

ma anche la sosta su un lato.<br />

Fu una lotta senza quartiere. Si raccolsero centinaia di firme.<br />

Fioccarono in consiglio interpellanze e interrogazioni di<br />

quasi tutti i consiglieri, compresi alcuni del mio stesso partito.<br />

Quelli del Movimento sociale e di Rifondazione comunista<br />

erano i più accaniti oppositori. “Questo progetto non va realizzato,<br />

perché impedirà alle macchine di parcheggiare su entrambi<br />

i lati delle strade. Prima fate i parcheggi e, dopo, allargate i<br />

marciapiedi,” sostenevano.<br />

È antico quanto il mondo, il vezzo di chiedere realizzazioni<br />

di cose impossibili per impedire di fare quelle possibili!<br />

In realtà, all’abbattimento delle barriere e all’introduzione<br />

del verde nel centro storico, pochi erano interessati.<br />

Si alimentarono sospetti di ogni tipo, per screditare la nostra<br />

azione: “Si saranno messi d’accordo con il progettista e si<br />

divideranno i soldi della parcella. Chissà chi sarà il costruttore?<br />

<strong>Di</strong> certo un loro amico fidato,” si mormorava nei bar.<br />

La protesta dei consiglieri comunali arrivò all’inverosimile.<br />

Il giorno fissato per la gara d’appalto, il segretario comuna-<br />

70


le mi raggiunse allarmato. “Non so che fare,” mi disse, “ci sono<br />

dei consiglieri che intendono bloccare la gara per i marciapiedi.<br />

Intervenga, per favore.”<br />

Trovai l’ufficio del segretario occupato da un folto gruppo<br />

di consiglieri che si opponevano all’apertura delle buste. “Questa<br />

gara non s’ha da fare!” Mi gridavano. Gli animi erano accesi<br />

e pronti ad esplodere. Erano tutti contro di me, ma i loro<br />

argomenti non riuscirono a farmi dubitare della bontà di quell’opera.<br />

Mi rivolsi a loro con determinazione: “Non mi costringete<br />

a ricorrere a mezzi forti. È un vostro diritto protestare, ma<br />

non potete bloccare l’attività dell’amministrazione.” E pregai<br />

il segretario di procedere ad espletare la gara.<br />

I lavori iniziarono presto. Quelle vie risorsero a nuova vita.<br />

I larghi marciapiedi, pavimentati a nuovo, invitavano al passeggio.<br />

La presenza del verde conferiva al quartiere un’imprevista<br />

eleganza. Gli alberi attiravano a sé lo sguardo dei passanti,<br />

distraendolo da alcune brutture architettoniche che, negli<br />

anni e nell’assoluta indifferenza di tutti, avevano invaso anche<br />

il centro storico.<br />

Le voci discordi tacquero. Tutti si complimentarono del risultato.<br />

Un sanguigno bracciante con cui, in gioventù, avevo lavorato<br />

in campagna, mi fermò in piazza e, congratulandosi per la<br />

mia cocciuta fermezza, mi ricordò il ritornello che, durante la<br />

trebbiatura, si soleva cantare sull’aia ai muli e ai cavalli per<br />

esortarli al lavoro: “Vacci cuntentu e non t’abbarruari, ca cu<br />

s’abbarrua, prestu mori… 1 ”.<br />

Da quella vicenda, però, un segnale mi era giunto, nitido e<br />

netto: la maggioranza del consiglio mi era ostile, mi aveva dichiarato<br />

guerra.<br />

D’altra parte, in quel periodo, conflitti e incomprensioni fra<br />

consigli e sindaci erano all’ordine del giorno in quasi tutti i<br />

1 Affronta la vita con determinazione, perché chi si scoraggia presto muore.<br />

71


comuni. La nuova legge regionale, la n.7 del ’92, che introduceva<br />

l’elezione diretta del sindaco, aveva attribuito ai consigli<br />

soltanto poteri di indirizzo e di controllo, escludendoli dall’amministrazione<br />

attiva.<br />

Prima, il sindaco veniva eletto dal consiglio al quale doveva<br />

rispondere e dal quale dipendeva la sua sopravvivenza politica.<br />

Adesso che quel potere era passato ai cittadini, i consiglieri<br />

si sentivano messi ai margini della vita politica e ciò provocava<br />

in loro una profonda frustrazione. Così, per ritagliarsi<br />

un improbabile spazio, spesso cercavano di ostacolare il sindaco<br />

nella realizzazione del suo programma, accusandolo di atteggiamenti<br />

antidemocratici e populisti.<br />

In verità, la legge dava ai consiglieri la possibilità di liberarsi<br />

del sindaco attraverso la richiesta del referendum popolare<br />

e, qualora lo avessero vinto, questi sarebbe andato a casa.<br />

Ma, se gli elettori gli avessero riconfermato la fiducia, il sindaco<br />

sarebbe rimasto al suo posto, mentre sarebbero decaduti i<br />

consiglieri. Questa era, perciò, un’arma a doppio taglio, specie<br />

nel caso in cui il primo cittadino godesse di buona popolarità.<br />

Forse per questa ragione, a Misterbianco, il referendum non fu<br />

mai invocato.<br />

In seguito, una nuova legge abolì il referendum attribuendo<br />

al consiglio il potere di sfiduciare il sindaco. Oggi il 65% dei<br />

consiglieri può rimuoverlo, malgrado questi sia stato eletto dai<br />

cittadini. Una forzatura giuridica che mortifica la volontà popolare.<br />

Con l’identico progetto, realizzammo i marciapiedi anche in<br />

via Lenin, strada principale di Lineri. Volevamo dimostrare, concretamente,<br />

che per l’amministrazione non esistevano differenze<br />

fra centro e frazioni e che non ci sarebbe stato vero rinnovamento<br />

se esso non avesse investito l’intera realtà comunale.<br />

Successivamente, i marciapiedi vennero realizzati anche in<br />

via Cairoli, via Etna, via S. Antonio Abate, via Kennedy, via<br />

De Felice, via Bruno Buozzi, via Gramsci, via Puglia e nella<br />

parte alta di via S. Nicolò.<br />

72


Cogliemmo l’occasione per abbattere, ovunque fosse possibile,<br />

le barriere architettoniche e immettere verde nella città<br />

che ne era del tutto priva.<br />

Ciò comportò per me un nuovo impegno.<br />

In estate era necessario irrigare, almeno una volta a settimana,<br />

le giovani piante e bisognava farlo di notte, per evitare<br />

problemi alla circolazione. Così, prima dell’alba, mi incontravo<br />

all’autoparco con Nuccio Pineri, instancabile e versatile<br />

operaio del comune. Insieme facevamo il giro del paese: io mi<br />

mettevo alla guida dell’autobotte mentre Nuccio, manovrando<br />

con abilità un grosso tubo di gomma, dava l’acqua alle piante.<br />

In tutte le opere successive, le esigenze dei disabili non furono<br />

mai trascurate. Ci sforzammo di rendere loro accessibili<br />

tutti gli spazi e gli edifici pubblici esistenti, realizzando adeguati<br />

scivoli. Laddove ciò non fu possibile, come nella scuola<br />

di via Gramsci e nella chiesa di San Nicolò, installammo due<br />

comodi ascensori.<br />

Così, nel giro di pochi anni, Misterbianco divenne più vivibile<br />

anche per i diversamente abili.<br />

L’impegno che avevo assunto con quel giovane sfortunato,<br />

nel giorno del suo matrimonio, era stato mantenuto.<br />

Neanche lui, forse, ci potrebbe credere. Ma il programma<br />

di abbattimento delle barriere architettoniche, a Misterbianco,<br />

partì proprio dalla sua forte e vibrante protesta.<br />

73


IN ALTO I CUORI<br />

Avevo conosciuto monsignor Bommarito nel dicembre<br />

dell’88, a pochi mesi dalla nomina ad arcivescovo di Catania.<br />

Era venuto a Misterbianco, in visita pastorale. Allora, nel corso<br />

della mia prima ed effimera esperienza di sindaco, lo avevo<br />

accolto nell’aula consiliare del vecchio palazzo municipale, che<br />

da lì a qualche anno, sarebbe stato chiuso perché inagibile. In<br />

piedi, da dietro lo scanno della giunta, di fronte ai consiglieri<br />

comunali, a tanti prelati e ad un folto pubblico, avevo letto un<br />

breve discorso.<br />

“Eccellenza, la Sua visita agli amministratori comunali, nel<br />

contesto di una presenza determinata essenzialmente da finalità<br />

di ordine spirituale, vuole essere la chiara manifestazione di<br />

un impegno destinato a produrre benefici effetti nell’ordine<br />

temporale, che è quello proprio dello Stato, in tutte le sue<br />

articolazioni.” E inoltre: “La circostanza che Chiesa e Stato<br />

sono indipendenti e sovrani, ciascuno nel suo ordine, non impedisce<br />

di certo che entrambi possano collaborare coordinando<br />

la loro azione per la promozione dell’uomo e del bene comune<br />

(…). Nella famosa enciclica Pacem in terris, un grande<br />

pontefice, Giovanni XXIII, ha affermato che in una convivenza<br />

ordinata e feconda va posto come fondamento il principio<br />

che ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di<br />

intelligenza e di volontà libera, e che ogni essere umano ha il<br />

diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili<br />

e sufficienti per un dignitoso tenore di vita (…). La corrispondenza<br />

tra le disposizioni fondamentali della nostra Carta costituzionale,<br />

sintesi di culture diverse, e le solenni enunciazioni<br />

pontificie induce ad affermare che esiste un terreno comune<br />

sul quale può convergere l’impegno di tutti, perché cessi la<br />

violenza mafiosa che insanguina le nostre città, perché siano<br />

75


eliminate le condizioni subumane di vita, le discriminazioni,<br />

le disuguaglianze economiche e sociali, e perché, soprattutto,<br />

si consolidi il movimento per la pace nel mondo, condizione<br />

indispensabile per lo sviluppo e il progresso dei popoli.”<br />

“Eccellenza,” avevo continuato, “l’attività politica che noi<br />

amministratori svolgiamo è certamente la più nobile fra le attività<br />

dell’uomo nell’ordine temporale, perché essa consente a<br />

coloro che la svolgono di operare per l’uomo, al fine di promuovere<br />

nei propri simili una condizione di maggiore benessere<br />

e di più ampia libertà. Tale attività, perché la suindicata<br />

finalità si realizzi, deve essere del tutto disinteressata; ad essa<br />

devono essere estranei ogni calcolo economico personale e di<br />

gruppo e la ricerca di vantaggi di qualsiasi genere. L’esperienza,<br />

purtroppo, ha ampiamente contraddetto queste affermazioni;<br />

la pubblica amministrazione è stata spesso un centro di affari<br />

con conseguenze gravissime per la comunità.<br />

Per una netta inversione di tendenza occorre un forte impegno<br />

di tutte le forze sane perché sia arrestata la dilagante corruzione<br />

e perché l’attività di tutte le Istituzioni pubbliche sia<br />

caratterizzata dalla massima trasparenza. Su questo terreno,<br />

sono certo, che un valido sostegno verrà dalla Chiesa ed in<br />

particolare da quella catanese. Se è vero, infatti, che la Chiesa<br />

opera nell’ordine spirituale, è altresì vero che la sua spiritualità<br />

non può non esprimersi nella temporalità, costituendo la realtà<br />

temporale l’ambito nel quale essa vive naturalmente la dimensione<br />

spirituale (…).”<br />

L’arcivescovo aveva seguito il mio intervento, annuendo<br />

frequentemente. Prima di accomiatarsi, con aria sorniona mi<br />

aveva sussurrato: “Sindaco, le cose che ha detto sono sacrosante,<br />

ma ho qualche dubbio che siano state gradite da tutti i<br />

suoi alleati politici. Quando parla, lei non allude, ma usa parole<br />

chiare e precise.” “Mi raccomando, si tenga forte in sella!”<br />

esclamò mentre saliva in macchina.<br />

L’arguzia del vescovo aveva colto nel segno. Da lì a qualche<br />

mese, sarei stato disarcionato.<br />

76


La mia amministrazione, nata nel febbraio di quell’anno,<br />

col sostegno di una larga maggioranza di programma (PCI, DC,<br />

PRI, PSDI), non aveva avuto vita facile fin dall’inizio. Ben<br />

presto, il vecchio ceto politico democristiano aveva cominciato<br />

a manifestare insofferenza per il mio modo diretto e determinato<br />

di amministrare. La politica da me praticata, in coerenza<br />

con le parole che avevo pronunciato davanti al vescovo,<br />

diventava incompatibile con il sistema di potere democristiano<br />

che, con l’assurda accusa che “lavoravo troppo”, nel marzo<br />

dell’89, aveva decretato la fine della mia sindacatura.<br />

Bocciando quella breve “primavera misterbianchese”, il<br />

gruppo dirigente della DC, però, tagliò fatalmente i ponti con<br />

un suo possibile rinnovamento e imboccò la rovinosa strada<br />

che lo avrebbe condotto, in breve tempo, al suo disfacimento.<br />

Rifece l’accordo con i tradizionali alleati socialisti; fu eletto<br />

sindaco il democristiano Francesco Pappalardo, la cui amministrazione<br />

durò pochi mesi e fu caratterizzata solo da continue<br />

lotte di potere e da paralisi amministrativa. La sua maggioranza<br />

non riuscì nemmeno ad approvare il bilancio di previsione<br />

entro i termini stabiliti, per cui sindaco e consiglio comunale<br />

decaddero.<br />

Fu chiamato a gestire il comune il commissario regionale,<br />

dott. Nicola Scialabba.<br />

Si votò nella primavera del 1990. La DC stravinse, ma, la<br />

sua, fu una tremenda vittoria di Pirro. Con essa si insediò al<br />

comune l’altro occulto vincitore che, ben presto, fece sentire la<br />

sua micidiale e implacabile voce, seminando morte e paura.<br />

Non passò molto che il locale segretario politico democristiano<br />

venne assassinato e il consiglio comunale sciolto per infiltrazioni<br />

mafiose. Seguirono diciotto mesi di deludente gestione<br />

commissariale.<br />

Furono gli anni più tristi e drammatici della storia di<br />

Misterbianco. Anni difficili che scossero la città ed indussero<br />

la società civile e la Chiesa a mobilitarsi e a scendere in piazza,<br />

per affermare i principi di legalità e di rispetto della persona<br />

umana.<br />

77


Nella primavera del ’94, nuovamente sindaco, mi recai all’arcivescovado<br />

per rendere visita a monsignor Bommarito.<br />

Nel catanese, si faceva un gran parlare della sua opera di rinnovamento<br />

ecclesiale. La sua calda umanità e la straordinaria forza<br />

di coinvolgimento ne avevano fatto una figura carismatica.<br />

L’arcivescovo mi accolse amorevolmente nel suo studio.<br />

L’ambiente, già poco luminoso, era appesantito dall’arredamento<br />

scuro e severo. L’unica macchia di colore proveniva dal<br />

manto, di un celeste sfolgorante, che avvolgeva la figura di<br />

una madonna rappresentata in un dipinto.<br />

Gli ricordai la sua visita a Misterbianco e la sua profetica<br />

previsione circa la durata della mia sindacatura. M’interruppe<br />

subito, esclamando: “Ma, da allora, ne è passata di acqua sotto<br />

i ponti! In questi anni, ho seguito passo passo le vicende drammatiche<br />

di Misterbianco.”<br />

Parlammo delle sconvolgenti stragi di Capaci e di via<br />

D’Amelio che avevano scosso nel profondo la coscienza dei<br />

siciliani. Accennammo alla primavera di Leoluca Orlando a<br />

Palermo e a quella di Enzo Bianco a Catania. “Dopo tanti anni<br />

di lutti e violenze, grazie a <strong>Di</strong>o, si sta aprendo davanti a noi<br />

una stagione di speranza,” mi disse, “ma la scommessa contro<br />

degrado civile e illegalità si gioca nelle periferie, nei quartieri<br />

poveri e diseredati.”<br />

Con quelle parole sembrava che mi leggesse nel pensiero.<br />

Mi ero recato da lui proprio per parlargli delle frazioni del mio<br />

comune, dei quartieri sorti abusivamente, dove la disgregazione<br />

civile era assoluta, dove mancavano edifici scolastici, verde,<br />

impianti sportivi, spazi per i bambini, mentre la delinquenza<br />

e la droga trovavano terreno fertile. Anche la Chiesa era<br />

poco presente in quella realtà.<br />

Certo, c’era, a Lineri, don Visalli che operava in condizioni<br />

difficili nel suo piccolo “bunker” in mezzo a un deserto di sciara.<br />

C’era, a Belsito, in un garage rabberciato alla meglio, un altro<br />

prete pioniere, padre Salvatore <strong>Di</strong> Geronimo, che si spendeva<br />

senza riserve per dare conforto a quella comunità. Ma era poco,<br />

troppo poco. A Montepalma e a Serra, frazioni che assieme<br />

78


contavano più di ottomila abitanti, di questa sorta di avamposti<br />

di aggregazione religiosa non ve ne era traccia.<br />

“La mia amministrazione,” dissi all’arcivescovo, “è impegnata<br />

al massimo per realizzare nelle frazioni le strutture e i<br />

servizi necessari ad aggregare i loro smarriti e solitari abitanti.<br />

Ma anche la Chiesa ci deve dare una mano. Eccellenza, senza<br />

campanile non c’è comunità.”<br />

L’arcivescovo mi guardava con aria sorpresa.<br />

“Non immaginavo di trovare in lei tanta sensibilità nei confronti<br />

della funzione sociale della Chiesa,” commentò quasi<br />

sottovoce e poi, simpaticamente, aggiunse: “Certamente, lei<br />

sarà un comunista sui generis!”<br />

A quella battuta risposi con un sorriso. La questione non era<br />

ideologica. L’obiettivo di riqualificare le frazioni, di dare futuro<br />

a quei quartieri, richiedeva l’impegno di tutti e quello della<br />

Chiesa non poteva di certo mancare.<br />

L’arcivescovo mi assicurò il suo impegno: “Teniamoci in<br />

contatto” concluse; “insieme faremo suonare le campane in tutte<br />

quelle realtà abbandonate.”<br />

Gli feci omaggio del bel libro di Mimmo Santonocito<br />

“Misterbianco ieri” e lo salutai con riverenza. Mi accompagnò<br />

fino alla porta dello studio e poi, con le braccia aperte e lo<br />

sguardo rivolto al cielo, esclamò: “In alto i cuori. Forza e coraggio.”<br />

Negli anni che seguirono, la nostra collaborazione fu concreta<br />

e proficua.<br />

Sorsero due nuove parrocchie: quella di Serra, dedicata a<br />

San Carlo Borromeo; quella di Montepalma, al Beato cardinale<br />

Dusmet. Alla prima fu destinato don Antonio Catalfo, un<br />

giovane prete, semplice, ricco di fervore e di disponibilità umana.<br />

Il quartiere di Montepalma fu affidato alle cure di un altro<br />

giovane, don Calogero <strong>Di</strong> Leo, sensibile e volenteroso. I due<br />

sacerdoti cominciarono a svolgere, umilmente, la loro missione<br />

religiosa in garage trasformati, con una croce, in luoghi di<br />

culto.<br />

79


Successivamente, si costruì la chiesa di Serra e, ristrutturando<br />

un’antica falegnameria, si realizzò anche quella di<br />

Montepalma.<br />

A Belsito fu eretta una splendida chiesa che premiò la tenace<br />

e caparbia determinazione del parroco <strong>Di</strong> Geronimo e pose<br />

fine al lungo peregrinare, di garage in garage, della parrocchia<br />

di San Massimiliano Kolbe e dei suoi fedeli.<br />

Dopo che padre Visalli, a causa di una antipatica vicenda<br />

personale, fu costretto a lasciare Lineri, toccò a don Gaetano<br />

D’Angelo, che nel frattempo gli era subentrato, il compito di<br />

realizzare l’ampliamento della chiesa di Santa Bernadette. Ciò<br />

fu possibile grazie alla provvidenziale approvazione dei piani<br />

di recupero che permise anche la bonifica dello spazio antistante<br />

la chiesa e la costruzione della splendida piazza intitolata<br />

ad Enrico Berlinguer.<br />

La Curia, nel realizzare le quattro parrocchie delle frazioni,<br />

ebbe in ogni momento al suo fianco l’amministrazione comunale<br />

che non le fece mai mancare collaborazione e concreto<br />

sostegno finanziario.<br />

Il rintocco delle campane, finalmente, risuonò nelle frazioni.<br />

Un giorno, appresi per caso che l’arcivescovo era in visita a<br />

Misterbianco. Sapevo che mons. Bommarito, giunto alla venerabile<br />

età di 75 anni, in base alle disposizioni ecclesiastiche,<br />

avrebbe dovuto lasciare il suo incarico.<br />

Ero al comune, quel tardo pomeriggio, quando mi giunse la<br />

notizia che in chiesa Madre c’era il vescovo per la cerimonia<br />

di commiato dalla comunità misterbianchese. Il fatto che non<br />

fossi stato invitato mi sorprese non poco. Mi recai lo stesso in<br />

chiesa, in compagnia del mio vicesindaco. Ci accomodammo<br />

in una panca delle ultime file. La cerimonia era già cominciata.<br />

Il vescovo, seduto sul sagrato dell’altare maggiore, ascoltava i<br />

saluti dei prelati e di alcuni fedeli. Espressi il desiderio di prendere<br />

la parola. Quasi subito mi fu concessa. La chiesa era gremita<br />

in ogni suo posto. È imbarazzante, per un laico, prendere<br />

la parola in un luogo di culto. Affermai che Misterbianco do-<br />

80


veva molto all’opera di quel vescovo e che il suo impegno per<br />

far risorgere i quartieri abusivi era stato mirabile. Espressi anche<br />

il mio rammarico per non essere stato informato della sua<br />

visita, perché sarebbe stato mio piacere salutarlo degnamente<br />

con un’adeguata manifestazione. Il vescovo concluse la cerimonia<br />

ringraziando tutti i presenti e poi, rivolto a me, disse:<br />

“Sindaco, era destino che le nostre strade dovessero incrociarsi.<br />

Nell’88, quattordici anni addietro, quando venni a Catania<br />

per guidarne la diocesi, lei era sindaco; oggi, che lascio quell’incarico,<br />

la ritrovo ancora a capo del suo comune. Abbiamo<br />

la coscienza a posto. Ognuno, nel proprio campo, ha dato il<br />

massimo per il bene del prossimo.” Mi volle ringraziare, infine,<br />

sia per il generoso sostegno finanziario che il comune aveva<br />

elargito nel tempo per le attività religiose sia per la felice<br />

scelta di restaurare, con fondi comunali, la facciata della chiesa<br />

Madre che, da poco ultimata, si mostrava nel suo candido<br />

splendore.<br />

Tornai a casa pensando a quel prelato e al modo migliore<br />

per esprimergli pubblicamente la gratitudine della comunità<br />

misterbianchese.<br />

La mattina dopo telefonai all’arcivescovo. Gli manifestai il<br />

mio desiderio di conferirgli la cittadinanza onoraria. “Non<br />

merito tanto, ma se la città insiste, sarò onorato di diventare<br />

cittadino misterbianchese,” mi rispose.<br />

Con monsignor Agatino Caruso, mio concittadino e vicario<br />

generale dell’arcidiocesi di Catania, concordammo tutti i preparativi.<br />

La data fu fissata per il 5 aprile, alle ore sedici. La cerimonia<br />

si svolse nell’antico palazzo di città, nel frattempo degnamente<br />

restaurato. La sala del teatro comunale, illuminata a giorno<br />

e ben arredata con comode poltroncine rosso vermiglio, era<br />

gremita di religiosi e di tanti cittadini. Dalle bianche pareti pendeva<br />

una serie di artistici dipinti, disposti simmetricamente,<br />

opera del maestro Antonio Brancato.<br />

Alle sedici in punto, tutto era pronto. L’arcivescovo, accompagnato<br />

da alti prelati, arrivò puntuale come sempre e prese<br />

81


posto alla mia destra, dietro l’imponente tavolo della presidenza,<br />

realizzato in pregiata radica di noce dal raffinato ebanista<br />

misterbianchese Mario Fiorito.<br />

In prima fila stavano sedute le maggiori autorità civili e<br />

militari della provincia.<br />

Non senza emozione, presi la parola. A nome della “nuova<br />

Misterbianco”, espressi riconoscenza per la preziosa opera che<br />

la Chiesa, magistralmente diretta, per quasi tre lustri, da Luigi<br />

Bommarito, aveva svolto nel territorio.<br />

Parlai del clero misterbianchese, delle lotte per la legalità<br />

condotte fianco a fianco con il parroco Giovanni Condorelli: la<br />

mobilitazione per Giuseppe Torre, giovane martire innocente<br />

della mafia, e quella contro la discarica di Tiritì che ammorbava<br />

il paese. Ricordai anche le battaglie che assieme avevamo intrapreso<br />

contro la triste e spesso provocatoria gestione dei commissari<br />

prefettizi.<br />

Accennai all’encomiabile opera, svolta in oltre cinquant’anni<br />

di apostolato, dal reverendo padre Vincenzo Cannone, il don<br />

82<br />

Il Vescovo, mons. Bommarito, a Misterbianco,<br />

in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria


Bosco misterbianchese: intere generazioni di ragazzi, fra i quali<br />

posso annoverare me stesso, sono cresciute sotto il suo sguardo<br />

amorevole e paterno. Per questa sua opera preziosa, l’amministrazione<br />

comunale era stata pronta ad aiutarlo a realizzare<br />

il suo sogno: costruire un grande oratorio, per accogliere<br />

quanti più ragazzi possibile sotto le sue capaci ali.<br />

Elogiai il meritorio lavoro del clero delle frazioni che era<br />

riuscito, sebbene avesse operato in condizioni disagiate, ad incidere<br />

efficacemente in quelle difficili realtà, portandovi una<br />

parola di carità e di speranza.<br />

Lessi la motivazione del conferimento della cittadinanza<br />

onoraria, stampigliata su una pergamena, e la consegnai all’arcivescovo.<br />

“Sono onorato di far parte della comunità misterbianchese<br />

e da cittadino sono orgoglioso degli enormi progressi che il<br />

mio nuovo comune ha conseguito in questi anni”, disse, visibilmente<br />

commosso. “A Misterbianco, la feconda collaborazione<br />

fra Comune e Chiesa ha fatto miracoli. Porterò con me,<br />

nel mio paese d’origine, il dolce ricordo di questa bella cerimonia.”<br />

A nessuno sfuggì, quel pomeriggio, la clamorosa assenza<br />

del parroco Giovanni Condorelli. In paese si fecero tante congetture.<br />

Mancava poco più di un mese alle elezioni amministrative<br />

del 26 maggio e furono in molti a pensare che il parroco<br />

considerava un atto strumentale ed elettoralistico la decisione<br />

di conferire, in quel momento, la cittadinanza onoraria al<br />

vescovo. Ci fu chi sostenne che si trattasse di una rottura nell’ambito<br />

del clero, chi parlò di un ripensamento rispetto alle<br />

sue precedenti gloriose battaglie, chi di astio verso l’amministrazione.<br />

E altrettanti indicarono nella possibile candidatura a<br />

sindaco di una sua parrocchiana, la ragione di quell’ostentata<br />

assenza.<br />

In verità, negli ultimi tempi, avevo più volte notato in Giovanni<br />

Condorelli una strana freddezza nei miei confronti. Ma<br />

non me ne ero dato ragione. Non c’era mai stato motivo di<br />

83


contrasto fra noi e la disponibilità mia e dell’amministrazione<br />

verso la parrocchia era stata sempre totale.<br />

Ora, quel gesto eclatante confermava la mia spiacevole sensazione.<br />

Dopo qualche giorno, incontrandolo davanti al comune, gli<br />

espressi il mio rammarico per non averlo visto partecipe a quella<br />

toccante cerimonia. Tradendo un certo imbarazzo, con aria indispettita,<br />

mi diede una risposta secca ed enigmatica: “Io gioco<br />

da solo.”<br />

Lì per lì non seppi interpretarla. Ma, in seguito, tutto mi fu<br />

chiaro. Durante la campagna elettorale, padre Condorelli appoggiò<br />

apertamente il candidato a sindaco del centrodestra,<br />

Ninella Caruso, sua attiva parrocchiana. E non si fece scrupolo<br />

di contraddire la sua storia affiancando quelle forze che avevano<br />

nostalgia del passato e volevano cancellare la bella esperienza<br />

della “nuova Misterbianco”.<br />

Chi l’avrebbe mai detto? Chi avrebbe potuto immaginare<br />

una scelta così incoerente da parte del parroco?<br />

84


CU VOLI ANNA E CU NON VOLI MANNA<br />

L’unico strumento edilizio vigente a Misterbianco era il Programma<br />

di Fabbricazione, approvato nel 1979. Ma esso, dopo<br />

tanti anni, non consentiva più alcuno sviluppo urbanistico.<br />

Solo nel centro storico, grazie ad una circolare dell’assessorato<br />

regionale al territorio, si poteva ancora rilasciare qualche<br />

concessione edilizia. Ma nelle frazioni la paralisi era assoluta.<br />

La regione, paradossalmente, all’atto dell’approvazione del<br />

Programma di Fabbricazione, aveva considerato verde agricolo<br />

le aree dove già sorgevano gli insediamenti abusivi, vietandovi<br />

ogni tipo di edificazione. Tale divieto valeva non solo per<br />

i privati ma anche per il comune. Non si potevano perciò realizzare<br />

le opere pubbliche di cui quei quartieri avevano estremo<br />

bisogno: piazze, scuole, parchi gioco, strade, strutture sportive.<br />

Una situazione apparentemente inestricabile.<br />

Per fortuna, con la legge n. 37 dell’85, la regione siciliana,<br />

per porre mano ad una regolamentazione degli insediamenti<br />

abusivi, dava ai comuni la possibilità di realizzare i cosiddetti<br />

piani di recupero.<br />

Si trattava di delimitare i confini entro i quali si era sviluppato<br />

l’abusivismo e individuare, al loro interno, le aree in cui<br />

si voleva che sorgessero opere pubbliche e servizi. L’adozione<br />

dei piani di recupero avrebbe così consentito ai comuni di realizzare<br />

le infrastrutture necessarie anche in mancanza del Piano<br />

Regolatore Generale. Era un’occasione unica per avviare il<br />

riordino e il risanamento di quelle aree degradate.<br />

A Misterbianco, l’incarico ai tecnici, per la redazione di detti<br />

piani, era stato dato nell’86.<br />

Dopo quattro lunghi anni, finalmente, nel ’90, lo studio ven-<br />

85


ne consegnato. Mancava solo l’approvazione da parte del consiglio<br />

comunale che, però, invischiato com’era nelle lotte di<br />

potere e paralizzato da veti contrapposti, non fece nulla.<br />

Nel 1991, i commissari prefettizi, subentrati al consiglio<br />

comunale dopo il suo scioglimento per mafia, li approvarono;<br />

ma, inspiegabilmente, poco dopo, con un atto irresponsabile e<br />

sciagurato, revocarono quella decisione, uccidendo così, con<br />

un tratto di penna, la speranza di rinascita delle frazioni.<br />

Proprio loro, che erano stati invocati dalla comunità per<br />

cancellare quel triste passato di malgoverno e immobilismo!<br />

Proprio loro, che avevano ricevuto dallo Stato pieni poteri<br />

per imprimere una svolta alla paralisi amministrativa e risvegliare<br />

la vita pubblica!<br />

Un’amara delusione l’esperienza dei commissari a Misterbianco!<br />

In diciotto mesi, non solo non risolsero alcun problema,<br />

ma, se possibile, con il loro atteggiamento ottusamente<br />

burocratico, aggravarono ancor di più la situazione.<br />

Nell’estate del ’93, uno dei primi atti della mia amministrazione<br />

fu quello di presentare in consiglio comunale i piani di<br />

recupero.<br />

Il consiglio, fresco di nomina, li approvò subito.<br />

Purtroppo, il Coreco, organo di controllo degli enti locali,<br />

per una mera questione formale, li bocciò.<br />

Successivamente, riproposi più volte l’approvazione di quello<br />

strumento urbanistico, ma il consiglio comunale accampò<br />

mille scuse e non diede mai più il suo assenso. Probabilmente,<br />

i consiglieri si erano resi conto dell’importanza di quell’atto<br />

che, una volta approvato, avrebbe offerto all’amministrazione<br />

la possibilità di realizzare concretamente il proprio programma<br />

elettorale e dare ai cittadini delle frazioni le risposte che<br />

invano attendevano da decenni.<br />

All’interno del consiglio comunale, mi trovai davanti un<br />

muro, un ostacolo insormontabile. Mi rivolsi, quindi, all’assessore<br />

regionale al territorio, denunciando l’atteggiamento<br />

dilatorio e ostruzionistico del consiglio. Lo tempestai di lettere<br />

per ottenere la nomina di un commissario straordinario che,<br />

86


sostituendosi al consiglio, approvasse i piani di recupero.<br />

Nel febbraio del ’95, finalmente, la regione inviò due ispettori<br />

per verificare lo stato degli atti. Ma anch’essi presero tempo.<br />

Si avvicinava, intanto, inesorabile, la data del 30 aprile ‘95,<br />

termine ultimo entro il quale i piani dovevano essere approvati.<br />

Dopo quella data, i piani di recupero avrebbero fatto parte<br />

del Piano Regolatore Generale e la loro approvazione sarebbe<br />

avvenuta contestualmente a quest’ultimo.<br />

Se si considera che il Piano Regolatore venne approvato<br />

solo nel novembre del 2001, si può ben comprendere quanto<br />

disastrosa sarebbe stata, per le frazioni, tale prospettiva. Fino a<br />

quella data, per sei lunghi anni, tutto sarebbe rimasto fermo.<br />

Non avremmo avuto alcuna possibilità di avviare opere pubbliche<br />

per il recupero e il risanamento dei quartieri abusivi.<br />

La sfiducia dei cittadini verso i politici sarebbe ulteriormente<br />

cresciuta, dando ragione al qualunquistico detto: “Non c’è cchi<br />

scartari, tutti i stissi sunu 1 ” e la mia amministrazione sarebbe<br />

andata incontro ad un inesorabile fallimento.<br />

Questa prospettiva non mi dava pace.<br />

Nei primi giorni di marzo mi recai a Palermo.<br />

L’assessore al territorio, on. Matteo Graziano, era assente.<br />

Parlai con il suo capo di Gabinetto della situazione insostenibile<br />

del mio comune. Gli dissi che, di fronte all’inerzia del consiglio,<br />

l’assessore non poteva far finta di nulla e doveva nominare,<br />

subito, un commissario ad acta. Mi assicurò che avrebbe<br />

rappresentato all’assessore quella mia pressante esigenza.<br />

Attesi invano qualche settimana. Il tempo passava e la data<br />

del 30 aprile si avvicinava minacciosa. Le mie quotidiane e<br />

incalzanti telefonate non ricevevano risposta. Nessuno sapeva<br />

nulla e l’assessore era sempre irreperibile. Rimanevano solo<br />

venti giorni di tempo alla scadenza.<br />

Ritornai a Palermo. A Saretto Scuderi, il vigile che mi accompagnava,<br />

anticipai i miei propositi: “Stasera, quasi sicura-<br />

1 C’è poco da scegliere. Sono tutti uguali.<br />

87


mente, tornerai da solo a Misterbianco perché ho intenzione di<br />

barricarmi dentro l’assessorato e di uscirne solo in compagnia<br />

del commissario ad acta.”<br />

Non ne potevo più. Era impensabile che, per una banale<br />

formalità, la metà del mio paese, quella più diseredata, dovesse<br />

restare abbandonata. Non potevo sopportare di essere condannato<br />

ad una forzata inoperosità.<br />

Salii al quarto piano dell’assessorato. Casualmente, nel corridoio,<br />

incontrai l’assessore che stava per allontanarsi. Lo bloccai<br />

e gli dissi: “Non puoi andare via, se prima non risolvi il mio<br />

problema.”<br />

Ci accomodammo nel suo studio.<br />

“È da mesi che chiedo un intervento sostitutivo della regione.<br />

Tu, ora, mi devi ascoltare. Rappresento una delle zone della<br />

Sicilia più devastate dall’abusivismo. È inammissibile che<br />

oltre ventimila cittadini siano costretti a vivere nell’assoluto<br />

degrado per la mancata approvazione dei piani di recupero. Tu<br />

stesso hai mandato al comune gli ispettori che hanno constatato<br />

la proterva inerzia del consiglio. La scadenza del 30 aprile è<br />

ormai prossima. Non si può più tergiversare. Hai il dovere di<br />

intervenire. Credimi, non me ne andrò da qui senza il decreto<br />

di nomina del commissario.” Con queste parole lo investii prima<br />

ancora di sedermi.<br />

Sarà stata la mia determinazione o la voglia di evitare grane,<br />

fatto è, che l’assessore mi fissò negli occhi e mi disse a mo’<br />

di sfida: “Io sono pronto. Scendi al piano di sotto. Se trovi un<br />

funzionario disposto a venire a Misterbianco, stamattina stessa<br />

ti firmo il decreto.”<br />

Mi precipitai al terzo piano.<br />

Avevo conosciuto l’architetto Marino nell’88; era venuto a<br />

Misterbianco per visionare i luoghi dove doveva sorgere il<br />

depuratore consortile. In quell’occasione era nata fra noi una<br />

spontanea simpatia. Scendendo le scale, pensavo di rivolgermi<br />

a lui. Lo trovai al lavoro nel suo ufficio. Mi accolse con un<br />

abbraccio. Gli esposi il problema e gli chiesi di aiutarmi. “Personalmente<br />

non posso. Sono troppo oberato di lavoro, ma tro-<br />

88


veremo qualche collega disponibile.” Andammo in fondo al<br />

corridoio e, aprendo una porta, disse: “Pippo, c’è qui un amico<br />

al quale non possiamo dire di no.” Mi presentò il geometra<br />

Giuseppe Traina che mi diede immediatamente la sua disponibilità.<br />

Risalii le scale in un baleno. L’assessore era in riunione, ma<br />

aveva dato disposizioni ad una sua collaboratrice di predisporre<br />

il decreto di nomina. Mi accomodai nel salotto. Dopo un<br />

po’, l’assessore si affacciò dalla porta e, con la mano, mi fece<br />

cenno di entrare. Prese il decreto, aggiunse il nome del funzionario<br />

e, prima di firmare, mi disse: “Abbiamo battuto ogni record.<br />

In meno di un’ora abbiamo fatto ciò che normalmente<br />

non si fa prima di due mesi.”<br />

Lo ringraziai e, con aria rilassata e soddisfatta, gli dissi:<br />

“Caro Matteo, è sempri veru ca cu voli anna e cu non voli<br />

manna 2 ”. E lui di rimando: “E cu la voli cchiù tunna, mi cci va<br />

iddu stissu ca nuddu lu nganna 3 ”.<br />

Tornai al comune trionfante. Questa volta, s’intravedeva il<br />

traguardo. Non mi sembrava vero e, per scaramanzia, tenni solo<br />

per me quella notizia.<br />

Dopo un paio di giorni, quando arrivò il commissario, la<br />

voce si sparse in un momento.<br />

I consiglieri vissero quella nomina con grande frustrazione,<br />

come una violenza, come un furto alle loro competenze. Quel<br />

commissariamento non andava loro giù. Gridarono allo scandalo.<br />

Protestarono vivamente e minacciarono denunce contro<br />

l’assessore regionale, per abuso di potere.<br />

Non si erano resi conto che la corda, tirata a lungo, si era<br />

rotta e che loro, oramai, erano fuori gioco.<br />

Accolsi il geometra Traina nel mio studio. Gli misi a disposizione<br />

i funzionari dell’Ufficio Tecnico. Il commissario esaminò<br />

la pratica, incontrò più volte i gruppi consiliari e fissò,<br />

2 Chi vuole va, chi non vuole manda.<br />

3 E chi la vuole più bella, ci vada lui stesso, così nessuno lo potrà ingannare.<br />

89


con il segretario comunale, la data per la stesura del provvedimento.<br />

Poi, prima di partire per Palermo, mi disse che aveva<br />

completato il suo lavoro preparatorio e mi assicurò che sabato<br />

mattina, il giorno prima della scadenza, sarebbe tornato per<br />

portare a termine il suo incarico.<br />

Il sabato, invece del commissario, arrivò la sua telefonata<br />

con la quale mi annunciava che una fastidiosa febbre lo costringeva<br />

a letto.<br />

“Come facciamo? Domani è l’ultimo giorno. Non possiamo<br />

rischiare! Se non la disturbo, vengo io a casa sua, insieme<br />

al segretario, con tutta la documentazione,” gli gridai. Mi diede<br />

il suo indirizzo.<br />

L’indomani, alle dieci e trenta, ero dietro la sua porta. Eravamo<br />

partiti da Misterbianco di buon mattino con la Croma del<br />

comune guidata dall’autista, Biagio Falà. Con me c’erano il<br />

segretario comunale, dott. Azzarelli, il responsabile dell’ufficio<br />

tecnico, ing. Enzo Orlando e l’inseparabile vicesindaco,<br />

Stefano Santagati.<br />

Il geometra Traina ci accolse infagottato in una vestaglia, si<br />

scusò dell’inconveniente e ci condusse nel salotto. Gustammo<br />

un buon caffè offertoci cortesemente dalla signora. Il segretario<br />

tirò fuori dal faldone la delibera già minutata e la sottopose<br />

alla firma del commissario. Questi firmò con un tratto rapido<br />

di penna e dopo, rivolgendosi al segretario e all’ing. Orlando,<br />

disse: “Il vostro sindaco le cose per il suo paese le chiede con il<br />

cuore, perciò non è facile dirgli di no. Vedo che anche voi,<br />

oggi, non avete saputo dire di no, se di domenica vi trovate<br />

qui, a Palermo, a lavorare.” Il dott. Azzarelli si schermì con un<br />

sorriso, mentre l’ingegnere gli rispose: “Oramai mi sono rassegnato<br />

a lavorare anche nei giorni festivi. Non è la prima domenica<br />

che gli dedico e non sarà certamente l’ultima.”<br />

La strada del ritorno ci sembrò brevissima. Eravamo troppo<br />

soddisfatti di quel risultato. Stefano era irrefrenabile. Non si<br />

stancava di elencare le opere che finalmente avremmo potuto<br />

realizzare nelle frazioni e quelle che avremmo progettato.<br />

90


Io, invece, sprofondato nel sedile, ero stranamente silenzioso.<br />

Pensavo al mio comune, all’inadeguatezza di gran parte<br />

della sua classe dirigente, alla superficialità di tanti consiglieri<br />

comunali che non avevano consapevolezza dell’importanza del<br />

loro ruolo. Ero stato costretto a chiedere aiuto a Palermo, per<br />

un atto che avremmo dovuto compiere noi misterbianchesi<br />

molto, molto tempo prima. E ora i consiglieri, sfiorando il ridicolo,<br />

parlavano di prevaricazione e di abusi, mentre per due<br />

anni avevano fatto di tutto per perdere tempo.<br />

Ero stanco. Scontavo gli effetti della tensione accumulata<br />

per la paura di non riuscire ad ottenere quell’atto che mi avrebbe<br />

permesso di realizzare tutto ciò che Stefano continuava ad<br />

elencare.<br />

Ma adesso avevamo in mano l’arma vincente. Il riscatto delle<br />

frazioni viaggiava con noi.<br />

Furono davvero rivoluzionari i cambiamenti che apportammo<br />

nelle zone abusive. Nel giro di qualche anno, esse<br />

diventarono irriconoscibili, trasformate in quartieri dignitosi<br />

e civili.<br />

A Lineri, in uno spazio dove prima c’erano solo sciara e<br />

rifiuti, realizzammo piazza Enrico Berlinguer che, illuminata e<br />

arredata con un lussureggiante verde, divenne un angolo fra i<br />

più belli di tutta Misterbianco, simbolo della rinascita delle frazioni.<br />

Sempre a Lineri, sorsero una grande piazza Mercato, un<br />

centro diurno per anziani, un grande parco giochi in via Brancati<br />

e uno in via Borsellino, una struttura sportiva in via Nobel,<br />

un’altra a verde con attrezzature sportive in via Fani e dieci<br />

aule scolastische nell’istituto “don Milani”.<br />

A Montepalma, appaltammo la scuola materna e realizzammo:<br />

l’ampliamento della scuola elementare, una piazza in via<br />

Firenze, un parco giochi in via Bologna, un campo di calcetto<br />

e uno di pallacanestro in via Genova.<br />

A Serra, videro la luce la piazza Motta, un parco giochi in<br />

via Emilia Romagna, una struttura sportiva in via Sardegna e<br />

un’altra in via Meazza.<br />

91


A Belsito, sorsero la piazza Mercato, in via Currulo; un grande<br />

parco attrezzato con strutture sportive, in via Della zagara;<br />

tre parco giochi in via Poggio lupo, via Degli anemoni, via<br />

Dell’alloro.<br />

Queste le opere principali che, grazie all’approvazione dei<br />

piani di recupero, realizzammo nelle frazioni. Un grande lavoro,<br />

uno straordinario impegno con il quale era stato inflitto un<br />

duro colpo alla rassegnazione e al qualunquismo. Ora, i cittadini<br />

potevano finalmente ammettere che i politici non sono tutti<br />

uguali.<br />

92<br />

Centro diurno per anziani (frazione di Lineri)


CU DI ROBBI D’AUTRI SI VESTI, PRESTU SI SPOGGHIA<br />

“<strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> rimosso. Dove non può la mafia, può la Regione!”<br />

Questo era il titolo del manifesto con il quale annunciai alla<br />

città l’assurdo e illegittimo provvedimento del governo regionale<br />

che mi rimuoveva dalla carica di sindaco per la mancata<br />

adozione del Piano Regolatore Generale.<br />

Il 18 ottobre del ’95, a poco più di due anni dalla mia elezione,<br />

era arrivato al comune, con in mano il decreto di nomina<br />

dell’assessore regionale agli enti locali, il commissario Salvatore<br />

<strong>Di</strong> Franco per prendere il mio posto.<br />

Per lo stesso motivo, erano stati destituiti il sindaco di<br />

Scordia, Salvatore Milluzzo, e altri sette sindaci di comuni appartenenti<br />

ad altre province siciliane.<br />

Tutto era cominciato con la strampalata legge n. 4 del 1994<br />

che, all’art. 2, prevedeva la rimozione del sindaco o lo scioglimento<br />

del consiglio comunale qualora, entro un anno dal loro<br />

insediamento, non fosse stato adottato il P.R.G..<br />

Secondo questa bizzarra norma, i nuovi amministratori, eletti<br />

nel 1993, per non essere cacciati via, avrebbero dovuto adottare<br />

il principale strumento urbanistico del comune in soli dodici<br />

mesi, laddove i loro predecessori, per decenni, erano stati incapaci<br />

di farlo.<br />

Una scadenza impossibile da rispettare, tenuto conto dei<br />

tempi necessari per la stesura degli elaborati tecnici, della relazione<br />

geologica e per l’acquisizione dei numerosi visti prescritti<br />

(genio civile, soprintendenza, forestale etc.)<br />

Del tutto illegittima appariva, poi, la sanzione della rimozione<br />

del sindaco prevista in caso di inadempienza. Questi, infatti,<br />

a seguito della legge n. 7 del 1992, era stato del tutto<br />

estromesso da ogni potere in ordine all’adozione del Piano<br />

93


Regolatore Generale. La stessa legge, separando nettamente le<br />

competenze dei sindaci da quelle del consiglio, aveva attribuito<br />

a quest’ultimo tutti i poteri in materia di Piano Regolatore<br />

Generale, compresa la sua adozione. Sul sindaco incombeva<br />

solo l’obbligo di presentare al consiglio, almeno quarantacinque<br />

giorni prima del termine di scadenza assegnato, gli elaborati<br />

del Piano, redatti dai tecnici sulla base degli indirizzi fissati<br />

dall’organo consiliare e muniti di tutti i visti.<br />

Come potevano, quindi, i sindaci rispondere di atti su cui<br />

non avevano alcuna competenza?<br />

La rimozione era chiaramente un provvedimento tutto politico,<br />

che mirava a destabilizzare e mettere in crisi i nuovi sindaci<br />

eletti dal popolo. Essi, con il loro modo di governare, si<br />

venivano sempre più affermando come nuova classe dirigente,<br />

suscitando diffidenza nel vecchio ceto politico che ancora reggeva<br />

le sorti della Sicilia. Erano gli anni in cui, a Palermo, i<br />

governi duravano il breve spazio di un mattino. In pochi mesi<br />

ne cambiarono ben tre: i governi Campione, Martino, e Graziano.<br />

Una lotta tutta interna a una classe politica, avulsa dalla<br />

realtà, che, asserragliata a Sala D’Ercole, difendeva a denti stretti<br />

il suo rancido potere.<br />

Per Misterbianco il termine per l’adozione del P.R.G. sarebbe<br />

scaduto il 3 luglio del 1994.<br />

Già da tempo avevo presentato lo schema di massima al<br />

consiglio, ma questi, accampando ogni tipo di pretesto, dalla<br />

mancanza di un foglio a quella di un visto, si era astenuto dall’esaminarlo.<br />

Ogni scusa era buona per bloccare l’iter del Piano<br />

Regolatore e additarmi come il responsabile dei ritardi.<br />

Quale ghiotta e insperata occasione si presentava ai molti<br />

consiglieri che non vedevano l’ora di disfarsi di un sindaco<br />

tanto ingombrante!<br />

I tempi incalzavano. Incaricai i progettisti di procedere lo<br />

stesso alla stesura del piano, seguendo le indicazioni dello schema<br />

di massima a suo tempo presentato.<br />

Questa soluzione mi fu suggerita dall’on. prof. Carmelo<br />

94


D’Urso, che avevo scelto come esperto fin dal primo giorno<br />

del mio insediamento. Raffinato giurista e profondo conoscitore<br />

dei problemi urbanistici, D’Urso mi indicò quella come<br />

l’unica strada possibile per aggirare l’ostruzionismo del consiglio<br />

e rispettare i tempi imposti dalla legge.<br />

In questo modo andavo oltre i miei poteri, facevo più di<br />

quanto fosse dovuto, ma solo così fui in grado di presentare il<br />

Piano entro i quarantacinque giorni dalla scadenza fissata.<br />

Ai consiglieri, però, non interessava approvare il P.R.G.; il<br />

loro obiettivo era quello di farmi rimuovere, per cui, restituirono<br />

ai progettisti la bozza del Piano, richiedendone una nuova stesura,<br />

senza dare loro alcuna indicazione sulle parti da modificare.<br />

Così, il termine perentorio del 3 luglio trascorse infruttuosamente.<br />

I consiglieri, con sfacciata malafede, cercarono subito di<br />

scaricare su di me le loro responsabilità e presero a sollecitare,<br />

in mille modi, il governo regionale affinché emanasse il decreto<br />

di rimozione.<br />

L’imbarazzo della regione ad emanare un provvedimento palesemente<br />

illegittimo era evidente. Contro l’assurdità di quella<br />

norma che puniva chi non aveva alcuna responsabilità, si era schierata,<br />

al fianco dei sindaci minacciati di rimozione, l’Associazione<br />

nazionale dei comuni siciliani.<br />

Ma i consiglieri non si placavano. Alcuni di loro presentarono<br />

un esposto alla Procura della Repubblica di Palermo, accusando<br />

il governo regionale di omissione e abuso in atti d’ufficio,<br />

perché tardava a comminare ai sindaci la sanzione prevista<br />

dalla legge.<br />

A marzo, il tanto “sospirato” provvedimento di rimozione<br />

fu approntato.<br />

Il presidente della regione on. Martino, però, si volle cautelare<br />

e, prima di sottoscriverlo, chiese il parere dell’ufficio legale<br />

della regione.<br />

“…Tutti i provvedimenti di rimozione non tengono conto<br />

delle argomentazioni fornite dai sindaci. La rimozione dei nove<br />

sindaci, riguardata alla luce delle considerazioni giuridiche<br />

95


esposte, si appalesa illegittima.” Fu questo il lapidario parere<br />

espresso dall’organo tecnico regionale.<br />

In un attimo, gli inebrianti sogni accarezzati con voluttà dai<br />

miei oppositori svanirono. Alcuni di loro avevano già bandito<br />

le scommesse per il dopo <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> e si erano perfino spinti a<br />

fantasticare su una mia futura ineleggibilità, come se mi fossi<br />

macchiato di chissà quale ignominioso reato.<br />

E ora, addio rimozione e con essa addio a nuove elezioni e<br />

ad un nuovo sindaco.<br />

Nella primavera del ’95, con l’insediamento alla regione<br />

del nuovo governo guidato dall’on. Matteo Graziano, si alimentarono<br />

nuovamente le speranze di coloro che volevano<br />

mandare a casa i sindaci. Si disse che la loro rimozione faceva<br />

parte, addirittura, dell’accordo di programma della maggioranza<br />

di governo di centrodestra.<br />

I consiglieri di Misterbianco ripresero coraggio e, insieme a<br />

quelli di altri comuni, costituirono un coordinamento, patrocinato<br />

dagli onorevoli Salvo Fleres, Nino Strano e Salvino<br />

Barbagallo e spinsero l’on. Graziano ad emanare i decreti di<br />

rimozione anche in presenza del parere contrario dell’ufficio<br />

legale.<br />

Dopo una nutrita corrispondenza e una serie di conferme,<br />

smentite e ripensamenti, si arrivò alla mattina del 18 ottobre in<br />

cui dovetti cedere il mio posto al commissario.<br />

Ero fuori di me dalla rabbia per quell’assurdo provvedimento<br />

apertamente dettato da meschine ragioni politiche.<br />

“Ho la coscienza a posto,” dichiarai alla stampa, “la mancata<br />

adozione del Piano Regolatore è da addebitare al consiglio.<br />

La regione avrebbe dovuto sciogliere quell’organo e non colpire<br />

il sindaco, che non ha alcuna responsabilità. La nomina<br />

del commissario non servirà, certo, a dare al paese lo strumento<br />

urbanistico, ma è valsa solo a cacciarmi via dal comune. Si<br />

tratta di un atto illegittimo e di un clamoroso abuso che neppure<br />

i governi di scelbiana memoria si sarebbero sognati di adottare.<br />

Ricorrerò al TAR per ottenere giustizia.”<br />

L’udienza fu fissata per il 7 novembre.<br />

96


A sostenere le mie ragioni di fronte al TAR, avevo incaricato<br />

l’illustre prof. Michele Alì. Oltre all’Avvocatura dello Stato,<br />

si erano costituiti in giudizio, contro il mio ricorso, i consiglieri<br />

comunali Adornetto e Pignataro e il commissario straordinario<br />

dott. <strong>Di</strong> Franco, spinto a ciò da una risoluzione votata a<br />

maggioranza dal consiglio comunale.<br />

Con me, ad attendere l’esito dell’udienza, c’era Salvatore<br />

Milluzzo, sindaco di Scordia. In tarda mattinata, verso le quattordici,<br />

ci accomodammo in un’ampia sala, dove il segretario<br />

lesse le decisioni del Collegio giudicante.<br />

Avevamo vinto. Il TAR aveva sospeso i decreti di rimozione.<br />

Potevamo tornare al nostro posto.<br />

I compagni organizzarono una festa nella piazza antistante la<br />

chiesa Madre. Tanti amici sindaci parteciparono. Brindammo fino<br />

a tarda ora. Migliaia di abbracci e di baci mi sommersero.<br />

Non c’è maggiore gratificazione, per chi si impegna in politica,<br />

dell’affetto popolare.<br />

Manifestazione per l’annullamento del decreto di rimozione. Da sinistra:<br />

il sindaco di Catania, E. Bianco; di Floridia, E. Ortisi; di Scordia, S. Milluzzo;<br />

l’ass. A. Biuso; il sindaco di Acicastello, P. Castorina e N. <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong><br />

97


Intanto, la mia assenza dal comune aveva fatto sorgere nei<br />

consiglieri comunali, specie fra coloro che si erano spesi con<br />

tanto accanimento per la mia rimozione, l’illusione d’essere diventati<br />

i “padroni” del paese. Nel pavoneggiarsi, primeggiava,<br />

per boria e prosopopea, il presidente del consiglio comunale,<br />

Paolo Nicotra, che, indossando panni che non gli appartenevano,<br />

assumeva ridicoli atteggiamenti di comando di fronte ai cittadini<br />

e al corpo impiegatizio. Nicotra è un tipico esempio di<br />

politicante da bar, di facile parola e scarsa coerenza. Per ortodossia<br />

ideologica era passato a Rifondazione Comunista abbandonando<br />

il PCI quando questo, nell’89, aveva cambiato il simbolo<br />

e il nome dando vita al PDS. Sempre più “fedele” alle sue<br />

“ideologie comuniste”, si sarebbe ritrovato, alla fine, nelle file<br />

del partito di Nuova Sicilia, “ultimo avamposto bolscevico” siciliano!!!<br />

Com’è vero che ntâ longa cursa si vidi u cavaddu! 1 e â<br />

squagghiata dâ nivi affacciunu i purtusa! 2<br />

L’indomani, di buon mattino, mi recai al comune, portando<br />

con me un grande foglio di cartoncino arrotolato e fermato da<br />

un elastico. Mi venne incontro, piena d’emozione, Rosetta<br />

Vitanza, la mia solerte segretaria. Mi accomodai nella mia stanza,<br />

srotolai il cartoncino e l’attaccai dietro la porta con delle<br />

puntine da disegno. Con un pennarello rosso, la stessa mattina,<br />

mia moglie vi aveva scritto, a lettere cubitali, una vecchia massima:<br />

“Cu di robbi d’autri si vesti, prestu si spogghia 3 ”.<br />

98<br />

1 Il buon cavallo si giudica nella lunga corsa.<br />

2 Quando si scioglie la neve, affiorano le buche.<br />

3 Chi indossa gli abiti altrui, presto si dovrà spogliare.


IL SIGNORE DEGLI UOMINI<br />

Gli orologi della chiesa Madre e di San Nicolò da tempo<br />

non scandivano più, con il loro rintocco, lo scorrere delle ore.<br />

Anch’essi avevano conosciuto la lunga stagione del disinteresse<br />

e dell’abbandono.<br />

Per rimetterli in moto, mi rivolsi alla ditta Capanni, un’azienda<br />

specializzata nella vendita e nella manutenzione di orologi<br />

di grandi dimensioni.<br />

Fu così che conobbi il sig. Caruso, responsabile commerciale<br />

di quella ditta. Era un uomo allegro ed estroso, dalla simpatia<br />

contagiosa.<br />

Gli dissi che, oltre a sistemare gli orologi delle due chiese,<br />

avevo intenzione di acquistarne una decina di diametro non<br />

inferiore ad un metro.<br />

Si meravigliò per quell’insolita e consistente commessa e<br />

mi chiese dove volessi collocarli.<br />

“Uno per ogni scuola,” gli risposi. “Dobbiamo abituare i<br />

nostri ragazzi alla puntualità e all’ordine. Devono imparare sin<br />

da piccoli a dare il giusto valore al tempo, ad esserne gelosi e a<br />

non sprecarlo inutilmente. Purtroppo, dalle nostre parti, spesso,<br />

consideriamo il tempo una variabile indipendente della nostra<br />

vita, specie in politica, dove gli anni passano come il vento,<br />

senza lasciare segno.”<br />

Gli raccontai di un fatto accadutomi tanti anni prima.<br />

Nel ’79, ero stato ricoverato a Zurigo, presso l’Universitatsspital,<br />

per un delicato intervento chirurgico. Nel breve periodo<br />

di convalescenza trascorso in quella città, ero rimasto colpito<br />

dall’innumerevole presenza di orologi in cui m’imbattevo<br />

ad ogni passo. Ce n’erano di tutte le dimensioni e di ogni tipo e<br />

ciascuno faceva sentire il suo implacabile tic tac. Facevano bella<br />

mostra di sé non solo dai campanili e dai pubblici edifici, ma<br />

99


anche dalle pareti di palazzi privati. Ovunque mi trovassi, potevo<br />

conoscere l’ora e verificare la precisione di quegli affascinanti<br />

congegni.<br />

Chiesi le ragioni di una così insolita e invadente presenza al<br />

professore che mi aveva operato e che parlava correttamente<br />

l’italiano.<br />

“L’orologio è simbolo e valore dello scorrere della vita quotidiana.<br />

Il suo ticchettio richiama il dovere morale di puntualità<br />

e precisione e ricorda la nostra finitezza” mi spiegò; “e poi,<br />

non dimentichi che, se il tempo è infinito, la vita invece finisce<br />

e l’orologio è il signore degli uomini perché misura la loro<br />

breve esistenza.”<br />

Il sig. Caruso mi ascoltava con aria stupita e, sorridendo, esclamò:<br />

“Da decenni vendo orologi e finora ho creduto che giovassero<br />

solo a indicare l’ora. Non avevo mai pensato che avessero un<br />

così significativo valore simbolico. Lo sa che, se lei facesse il<br />

mio mestiere, sarebbe un pericoloso concorrente?”<br />

Dei dieci orologi commissionati, otto furono collocati sulle<br />

pareti d’ingresso degli edifici scolastici, uno nella grande piazza<br />

Mercato di Lineri e un altro nel nuovo municipio, accanto<br />

alla finestra del mio ufficio. L’avevo voluto lì per ricordare,<br />

anche a me stesso, le parole del medico di Zurigo: il tempo è<br />

infinito, ma la vita no.<br />

In quel periodo, mentre visitavo, con l’ing. Orlando, la fiera<br />

di prodotti per l’arredo urbano, “Urbania”, che viene allestita<br />

ogni due anni a Bologna, conobbi la ditta Neri, nota in Italia e<br />

all’estero, per i suoi pregevoli manufatti in ghisa. Da essa acquistammo,<br />

oltre a diversi lotti di lampioni artistici e lanterne<br />

con i quali arredammo il nuovo parco urbano di Poggio Croce,<br />

le piazze e le vie del centro storico, anche una dozzina di orologi<br />

bifacciali, montati su un piedistallo di circa tre metri, che<br />

dislocammo nei parchi giochi, nelle piazze e nelle principali<br />

vie cittadine.<br />

“Com’è cambiato il nostro paese! Non si riconosce più!” mi<br />

disse, incontrandomi, in un caldo pomeriggio di agosto, una cop-<br />

100


pia di emigrati che da anni viveva all’estero. “Misterbianco sta<br />

diventando una civile e accogliente cittadina. E poi, come sono<br />

belli tutti questi orologi per le strade. Sembriamo in Svizzera!”<br />

A quelle parole, un fremito di emozione mi pervase.<br />

Piazza via Firenze (frazione di Montepalma)<br />

A Natale, il sig. Caruso mi venne a trovare. Mi portava il<br />

calendario della sua azienda.<br />

“È stato un buon anno per me, le mie vendite sono cresciute.<br />

Si vede che la sua teoria sugli orologi funziona,” dichiarò<br />

con aria soddisfatta.<br />

“È un buon segno,” gli risposi, “prima o dopo questa benedetta<br />

Sicilia dovrà pure svegliarsi!”<br />

101


UNA DIFFICILE BATTAGLIA<br />

C’era aria di protesta in quel freddo mattino del gennaio<br />

’96 nell’ufficio del segretario comunale, dott. Azzarelli. Il clima<br />

era agitato: quel giorno, era prevista la firma del contratto<br />

con la società che avrebbe dovuto costruire il depuratore<br />

consortile e alcuni consiglieri, opponendosi energicamente,<br />

cercavano in tutti i modi di impedirla.<br />

La vicenda del depuratore, costellata da paure e diffidenze,<br />

aveva origini lontane.<br />

Il progetto esecutivo era stato consegnato al comune nell’88,<br />

durante la mia breve esperienza di sindaco. Esso doveva servire<br />

undici comuni e Misterbianco era stato scelto dalla Regione<br />

come comune capofila, con il compito di appaltare i lavori e di<br />

gestire, successivamente, l’impianto.<br />

L’importo dell’intero progetto superava, complessivamente,<br />

gli ottanta miliardi di lire. La progettazione dell’opera e la<br />

direzione dei lavori erano state affidate dalla precedente amministrazione<br />

DC-PSI, guidata dall’avv. Salvatore Saglimbene,<br />

all’ing. Giovanni Micale, studio di riferimento di quella maggioranza;<br />

allo stesso ingegnere era stato dato anche l’incarico<br />

della progettazione della discarica consortile.<br />

Il fatto che il depuratore consortile dovesse sorgere sul territorio<br />

di Misterbianco aveva suscitato una furibonda opposizione<br />

da parte di alcune forze politiche locali. Alleanza Nazionale<br />

e Rifondazione Comunista ne furono i capifila. Non volevano<br />

assolutamente che quell’opera si realizzasse nel nostro<br />

territorio. E, più di tutto, non potevano tollerare che vi confluissero<br />

i liquami di altri comuni. Si rifiutavano di comprendere<br />

che la scelta del sito era stata dettata, oltre che dalla composizione<br />

argillosa del terreno, anche dalla posizione geografica<br />

del nostro comune, situato più a valle degli altri dieci.<br />

103


Con il loro atteggiamento, alimentarono nei cittadini la paura<br />

di risvolti nefasti sull’ambiente, d’inquinamento dei terreni<br />

circostanti, di catastrofi ecologiche. Paradossalmente, essi consideravano<br />

fonte d’inquinamento il depuratore, mentre non si<br />

preoccupavano dei gravi danni causati dai liquami che, in assenza<br />

di rete fognaria, si disperdevano incontrollati nel<br />

sottosuolo.<br />

Ero convinto che il depuratore fosse un’opera indispensabile<br />

per la tutela dell’ambiente. Tuttavia, per fugare ogni dubbio<br />

e perplessità, prima di approvare il progetto, mi recai a Modena<br />

con un’ampia delegazione di consiglieri, fra i quali alcuni<br />

accaniti oppositori.<br />

Avremmo visitato l’impianto di depurazione di quella città e<br />

verificato di persona il funzionamento e l’impatto sul territorio.<br />

A Modena, i nostri timori facevano sorridere. Il responsabile,<br />

un ingegnere di origine siciliana, ci accolse con viva cordialità.<br />

“È possibile che perfino il depuratore faccia paura laggiù?” esclamò<br />

rammaricato. “Ma quando crescerà la Sicilia? Amo la mia<br />

terra, ma sento che di questo passo non avrà futuro.”<br />

Constatammo come quell’impianto, in tanti anni di attività,<br />

non avesse mai creato problemi e quanto fossero fuori luogo e<br />

del tutto infondate le preoccupazioni sollevate.<br />

Così, il progetto fu approvato e trasmesso a Palermo, per il<br />

relativo finanziamento.<br />

Il primo lotto di venticinque miliardi fu finanziato l’anno<br />

successivo, quando già la mia sindacatura era finita.<br />

Nell’autunno del ’92, finalmente, veniva indetta la gara d’appalto.<br />

Il comune, allora, era retto dai commissari prefettizi.<br />

Insieme alla consulta cittadina, nata spontaneamente attorno<br />

al parroco Giovanni Condorelli dopo lo scioglimento del consiglio<br />

comunale, chiedemmo loro di garantire la massima trasparenza<br />

nelle procedure per l’appalto dell’opera e di affidare all’ufficio<br />

tecnico comunale la direzione dei lavori.<br />

Intanto, non si placava l’opposizione di Alleanza Nazionale<br />

104


e di Rifondazione Comunista che raccolsero oltre quattromila<br />

firme di protesta e fecero giungere ai commissari una montagna<br />

di cartoline con cui i cittadini chiedevano di non appaltare<br />

i lavori.<br />

Ma i commissari, incalzati anche dalla Corte dei conti che li<br />

sollecitava ad utilizzare i venticinque miliardi assegnati, malgrado<br />

le proteste, mandarono in appalto il primo stralcio funzionale.<br />

Seguì un lungo iter burocratico.<br />

Nel frattempo, anche la gestione commissariale era finita<br />

senza che ancora fossero stati consegnati i lavori alla ditta<br />

aggiudicataria. Così, eletto sindaco, nel ’93, la questione del<br />

depuratore tornò nuovamente nelle mie mani. Ben presto mi<br />

trovai a dover fronteggiare una nuova ondata di proteste.<br />

Questa volta fu presa a pretesto la mancanza di fognature<br />

nel paese. Si sosteneva che prima occorreva realizzare l’intera<br />

rete fognaria comunale e, solo dopo, si poteva cominciare a<br />

parlare di depuratore.<br />

Ma dove reperire le ingenti risorse necessarie? Né la Regione<br />

né lo Stato avevano dato seguito alle nostre incessanti richieste<br />

di finanziamenti, tant’è vero che per realizzare le fognature<br />

nei punti di maggiore necessità, avevamo dovuto assumere<br />

mutui, a carico del bilancio comunale, per diversi miliardi<br />

di lire.<br />

Così erano stati finanziati i tratti più importanti di rete<br />

fognaria nelle vie Mulini, G. Matteotti, S. Antonio Abate, J. F.<br />

Kennedy, G. Bruno e G. Garibaldi. In essa erano state convogliate<br />

le acque piovane che prima si riversavano in quelle vie<br />

formando, in alcuni punti, dei veri e propri torrenti, così impetuosi<br />

da mettere a repentaglio l’incolumità pubblica.<br />

Era stata un’imponente opera di bonifica che aveva visto<br />

anche la ripavimentazione delle strade principali con basole di<br />

pietra lavica. E tuttavia, le fognature realizzate, in attesa del<br />

depuratore, sarebbero servite soltanto a raccogliere le acque<br />

piovane, mentre la rete dei liquami fognari sarebbe rimasta,<br />

per il momento, inutilizzata.<br />

105


Come non capire che realizzare le fognature non sarebbe<br />

servito a nulla se non si fosse costruito il depuratore al quale<br />

allacciare la rete fognaria? Eravamo al classico esempio dell’uovo<br />

e della gallina. Ma noi oggi avevamo già l’uovo. Sarebbe<br />

stata pura follia rinunciare al finanziamento già ottenuto per<br />

il depuratore, nell’improbabile attesa di conseguire quelli per<br />

le fognature.<br />

Il giorno fissato per la stipula del contratto e la consegna<br />

dei lavori, i consiglieri comunali Paolo Conti, Piero Pignataro,<br />

Paolo <strong>Di</strong> Caro e Francesco Caruso, pur appartenenti a forze<br />

politiche contrapposte, decisero insieme di giocare l’ultima<br />

carta. Occuparono la stanza del segretario generale del comune,<br />

s’impossessarono della pratica del depuratore e sollecitarono<br />

l’intervento dei carabinieri, denunciando presunte irregolarità<br />

sulle procedure della gara d’appalto e, soprattutto, l’esistenza<br />

di interessi mafiosi legati alla realizzazione dell’opera.<br />

Era, per me, assurdo e insopportabile che si guardasse alle<br />

presenti vicende amministrative con gli occhi rivolti al passato.<br />

Avevamo inaugurato, con la svolta del ’93, una stagione di<br />

legalità che aveva rotto definitivamente gli intrecci affaristicomafiosi.<br />

E ora, esponenti politici che, in quegli anni duri, erano<br />

rimasti in omertoso silenzio, accusavano la mia amministrazione<br />

di poca trasparenza e di vicinanza al mondo mafioso.<br />

Era davvero troppo! Quella provocazione mi appariva insopportabile.<br />

Tuttavia, decisi di rinviare la firma del contratto<br />

e di sottoporre gli atti ad una ulteriore verifica.<br />

Naturalmente, nessuno dei sospetti risultò fondato e il contratto,<br />

dopo qualche settimana, venne regolarmente sottoscritto.<br />

Finalmente, la realizzazione del depuratore poteva prendere<br />

il via.<br />

Che fatica, però. Quanta incomprensione e diffidenza avevamo<br />

dovuto contrastare!<br />

106


CU PECURA SI FA, LUPU SÂ MANGIA<br />

Nell’ottobre del ’95, fui rinviato a giudizio per abuso d’ufficio.<br />

Ero accusato di avere rilasciato illegittimamente, nell’88,<br />

durante la mia prima sindacatura, una concessione edilizia che<br />

autorizzava la trasformazione dell’opificio industriale di produzione<br />

di laterizi della ditta Same in un grande centro commerciale;<br />

in esso si sarebbe insediata Città Mercato e, dopo<br />

alcuni anni, l’ipermercato Auchan.<br />

L’esposto era partito dal dott. Gaetano Infantino, uno dei<br />

tre commissari prefettizi nominati dopo lo scioglimento del<br />

consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. Dei tre, Infantino,<br />

era quello che di fatto gestiva le questioni più importanti. Gli<br />

altri due funzionari, il dott. Pietro Lisi e il dott. Enrico La Pira,<br />

svolgevano un ruolo del tutto marginale.<br />

In seguito, il modo di amministrare di Infantino fece sorgere<br />

dubbi sulla sua integrità morale, specie dopo una compromettente<br />

intervista rilasciata all’inviato della trasmissione televisiva<br />

“Rosso e nero” di Michele Santoro. Al giornalista che gli chiedeva<br />

come mai, per la sistemazione del giardino della sua villa a<br />

Potenza, avesse incaricato la stessa ditta catanese che aveva fornito<br />

al comune piante e fioriere per diverse centinaia di milioni,<br />

aveva dato una risposta debole e imbarazzata. Tale tacita ammissione<br />

suscitò scalpore in tutta Italia e, dopo qualche giorno,<br />

il commissario venne sollecitamente trasferito.<br />

Avevo appreso, da fonte sicura, che il commissario aveva<br />

liquidato, in tutta fretta, oltre cinquecento milioni di parcella<br />

all’ing. Micale, progettista del depuratore consortile.<br />

Così, nel corso di un pubblico incontro, tenutosi nel ’92,<br />

nella sala del teatro comunale, gli chiesi se la notizia rispondesse<br />

al vero. “No. Nessuna liquidazione è stata disposta,” mi<br />

rispose con malcelato imbarazzo. Mi sentii preso in giro e, da-<br />

107


vanti ad un pubblico sgomento, gli gridai: “Lei è un bugiardo,<br />

si dovrebbe vergognare, non può amministrare ancora questo<br />

comune.”<br />

L’affronto era stato pesante. Il commissario annaspò parecchio<br />

e poi, verde come un limone, puntando l’indice contro di<br />

me, minacciò: “Badi a quello che dice, sono un alto funzionario<br />

del Ministero degli Interni. Lei passerà dei guai, con me.”<br />

Quel funzionario bugiardo mantenne la promessa.<br />

Preparò per benino la sua fredda vendetta e, imbeccato da<br />

qualche solerte cortigiano, presentò una velenosa denuncia alla<br />

Procura della Repubblica.<br />

A suo dire, avendo rilasciato la concessione senza richiedere<br />

il preventivo piano di lottizzazione di tutta l’area, la commissione<br />

edilizia da me presieduta avrebbe favorito l’impresa<br />

proprietaria.<br />

L’accusa era infondata. La giurisprudenza parlava chiaro:<br />

“Quando nel lotto di terreno oggetto di trasformazione esistono<br />

opere di urbanizzazione, per la sua edificazione non è necessario<br />

il piano di lottizzazione, ma è sufficiente la semplice concessione<br />

edilizia.” Nel lotto in questione aveva operato da decenni<br />

l’industria di laterizi SAME e le opere di urbanizzazione (strade,<br />

luce, telefono, acqua, fogne) esistevano da molto tempo.<br />

Il Pubblico Ministero, dott. Mignemi, nell’udienza preliminare,<br />

aveva chiesto la mia assoluzione perché “…non essendo<br />

il sindaco un tecnico, il parere legale di fattibilità lo solleva da<br />

ogni responsabilità.”<br />

Malgrado ciò, il giudice, dott. Gari, ritenne di rinviarmi a<br />

giudizio, insieme agli altri dieci membri della commissione<br />

edilizia, per abuso d’ufficio.<br />

Per me, quello fu l’inizio di un lungo e fastidioso percorso.<br />

I miei avversari politici avevano mal digerito il mio vittorioso<br />

ritorno alla guida del comune, dopo che il Tribunale<br />

Amministrativo Regionale aveva dichiarato illegittimo il decreto<br />

con cui la Regione mi aveva rimosso, per la vicenda del<br />

P.R.G.. Il mio ritorno in sella li aveva esasperati. Il rinvio a<br />

giudizio fu l’occasione per tornare alla carica.<br />

108


La maggioranza del Consiglio comunale, seguendo un preciso<br />

disegno, suggerito da qualche “raffinato” azzeccagarbugli,<br />

decise di far costituire il comune parte civile nel processo penale<br />

avviato contro di me. In tal modo, si sarebbe artatamente creata,<br />

fra me e il comune, una lite pendente che avrebbe determinato<br />

una mia presunta incompatibilità con la carica di sindaco.<br />

Subito dopo l’adozione della delibera, alcuni consiglieri si<br />

rivolsero al Coreco, organo deputato al controllo della legittimità<br />

degli atti degli enti locali, per far dichiarare la mia decadenza.<br />

Il 14 aprile del ‘96 fu fissata la riunione del Coreco per esaminare<br />

la mia posizione. Chiesi di essere ascoltato. Quel pomeriggio<br />

si decideva la sorte della mia sindacatura.<br />

“La costituzione di parte civile del comune nei miei confronti<br />

non può determinare alcuna mia incompatibilità con la<br />

carica di sindaco, perché il rilascio della concessione edilizia è<br />

un atto connesso all’esercizio del mandato e, quindi, ai sensi<br />

della L. 31/86, non fa sorgere alcuna lite pendente fra me e il<br />

comune. Pertanto, la richiesta dei consiglieri risulta assurda e<br />

illegittima.” Così esposi le mie ragioni.<br />

Il presidente del Coreco, avv. Gaetano Tafuri, aveva seguito<br />

la mia esposizione con un’aria stranamente distratta, dalla<br />

quale trapelava la convinzione che i miei argomenti, pur validi,<br />

non sarebbero giovati a modificare il giudizio di quell’organo.<br />

Avevo avuto modo di apprezzare la sagacia e l’equilibrio<br />

del presidente Tafuri. Fra noi era nata una spontanea simpatia e<br />

una sincera stima. Quel pomeriggio, però, il suo volto rotondo<br />

e colorito non mi appariva rassicurante come al solito. Nel salutarmi,<br />

quasi ad anticipare il verdetto negativo, mi disse: “Sindaco,<br />

nella vita una battaglia si può sempre perdere, l’essenziale<br />

è non perdere la guerra… e poi, come lei sa, il nostro<br />

ordinamento prevede diversi gradi di giudizio.”<br />

“Si dichiara la decadenza da sindaco di Misterbianco del<br />

dott. Antonino <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, salvo il potere di rimuoverne le cause<br />

entro dieci giorni dalla notifica del presente provvedimen-<br />

109


to.” Questa fu la decisione dell’organo di controllo, presa a<br />

strettissima maggioranza: dei dieci membri del Collegio, solo<br />

quattro avevano votato a favore; mentre il presidente, il relatore<br />

e un altro componente, docente universitario, avevano votato<br />

contro, e gli altri tre non avevano partecipato alla seduta. Un<br />

giudizio sorprendente che la diceva lunga sull’imparzialità di<br />

quell’organo.<br />

“Questa decisione è il frutto di un colpo di mano perpetrato<br />

dal vecchio ceto politico che fa sentire il suo influsso anche<br />

dentro il Coreco. Si tratta di un crimine politico che nulla ha a<br />

che fare con la giustizia,” dichiarai contrariato alla stampa.<br />

Mi appariva insopportabile che politici corrotti restassero al<br />

loro posto fino all’ultimo grado di giudizio, mentre io, per una<br />

soverchieria politica, venivo privato del mandato popolare.<br />

I miei oppositori mi avevano teso una micidiale trappola.<br />

Per rimanere in carica, entro dieci giorni avrei dovuto trovare<br />

una soluzione.<br />

Ero davvero alle strette.<br />

Ne parlai con il mio esperto giuridico, prof. Carmelo D’urso.<br />

Lo tempestai di domande, aspettando impaziente una sua risposta.<br />

Lui mi ascoltava con gli occhi socchiusi e un’aria distratta.<br />

Non fece commenti e, laconico, mi disse: “Va bene,<br />

domani ne parleremo.”<br />

Il prof. D’Urso è fatto così. Rifugge sempre dalle soluzioni<br />

estemporanee. Come tutti gli studiosi, vuole approfondire il<br />

caso, prima di pronunciarsi.<br />

Intorno alla mezzanotte mi chiamò al telefono. “Ci sarebbe<br />

una soluzione,” mi disse. “Se la giunta revoca la costituzione<br />

di parte civile viene a cadere la causa d’incompatibilità. Ma,<br />

per farlo, bisogna che gli interessi del comune siano ben salvaguardati.<br />

Se offriamo una garanzia consistente e sicura, tutto si<br />

potrebbe risolvere.”<br />

“Che genere di garanzia?” gli chiesi. “Una fideiussione bancaria,”<br />

mi rispose. “E di quale importo?” “Più alta è, meglio<br />

è,” disse perentoriamente; “almeno due, trecento milioni; se<br />

cinquecento, meglio ancora.”<br />

110


Rimasi di stucco. Era davvero paradossale che, per continuare<br />

a fare il sindaco, dovessi mettere a rischio il mio patrimonio.<br />

Sapevo che avrei trovato comprensione e sostegno in mia<br />

moglie. Chi fa politica, se non trova nella propria compagna la<br />

piena condivisione degli ideali in cui crede, ha un matrimonio<br />

senza futuro. Nel mio caso, per fortuna, questo rischio era lontano.<br />

Mia moglie ha sempre condiviso e sostenuto la mia passione<br />

politica. Questa volta, però, temevo di chiedere troppo<br />

alla mia famiglia.<br />

A dire il vero, per potermi dedicare a tempo pieno alla mia<br />

carica, ci avevo già rimesso parecchio denaro; infatti, appena<br />

eletto sindaco, avevo chiesto al mio ufficio di essere collocato<br />

in aspettativa, rinunciando allo stipendio di dirigente dell’ASL<br />

3 di Catania, che era molto più elevato dell’indennità di sindaco<br />

d’allora. È difficile da credere, ma questa scelta comportò<br />

per me una perdita di non meno di un milione e mezzo al mese<br />

e, ogni anno, dell’intera tredicesima.<br />

Fino alla legge reg. n. 30/2000, le indennità previste per gli<br />

amministratori erano ben diverse da quelle attuali!<br />

Con la nuova legge, si passò da un eccesso all’altro. L’indennità<br />

del sindaco di un comune come Misterbianco, da due<br />

milioni e mezzo passò a circa sette milioni di lire al mese, al<br />

netto delle imposte. E, con essa, vennero rivalutate, in proporzione,<br />

le indennità degli assessori e dei consiglieri comunali.<br />

Ciò provocò un notevole aggravio nel bilancio comunale. Per<br />

questa ragione, la mia giunta decise di ridurre le nuove indennità<br />

del 20%.<br />

Per mera cronaca, devo dire che uno dei primi atti della<br />

sindaca eletta dopo di me è stato quello di riportare la propria<br />

indennità fino al massimo consentito dalla legge. Proprio lei,<br />

che essendo casalinga, non rischiava certamente alcuna diminuzione<br />

del suo reddito personale. Ma forse, anche questo è un<br />

segno dei tempi.<br />

111


L’indomani mattina feci il giro delle banche cittadine. Trovai<br />

grande difficoltà ad ottenere la fideiussione per un importo<br />

così consistente. Gli Istituti di credito più rinomati non praticavano<br />

questo tipo di operazione. La banca popolare di Belpasso<br />

fu l’unica disposta a sottoscrivere una fideiussione di cinquecento<br />

milioni di lire. Mi richiedeva, però, oltre al pagamento<br />

annuo di undici milioni, una garanzia patrimoniale di molto<br />

superiore alle mie possibilità. Mi rivolsi ai miei fratelli, ai miei<br />

cognati e a due fraterni amici, Emilio Palmeri e Totino Pappalardo,<br />

e soltanto così fu possibile raggiungere la garanzia richiesta.<br />

La giunta, presieduta dal vicesindaco, forte di quella spropositata<br />

garanzia che tutelava oltre ogni dire gli eventuali interessi<br />

del comune, non ebbe difficoltà a revocare la costituzione<br />

di parte civile.<br />

Corsi al Coreco. Era l’ultimo giorno utile per consegnare la<br />

delibera e la conseguente dichiarazione di revoca della costituzione<br />

di parte civile. L’organo di controllo ne prese atto e dichiarò<br />

che l’incompatibilità era cessata. La mia attività di sindaco<br />

poteva proseguire.<br />

Il presidente Tafuri mi abbracciò. “Complimenti,” mi disse,<br />

“la sua mossa è stata vincente.”<br />

“Bisogna resistere, presidente, resistere un minuto in più<br />

del nemico!” gli risposi, stringendogli calorosamente la mano.<br />

Lo scampato pericolo mi risollevò. Ma le sorprese non erano<br />

finite.<br />

L’indomani, si presentò al comune il dott. Antonello<br />

Provenzano, funzionario regionale, nominato dall’assessorato<br />

agli enti locali per sostituirmi nella carica di sindaco.<br />

“Ho con me il decreto di nomina della Regione. Domani<br />

andrò a giurare davanti al prefetto,” mi disse; “dopodiché mi<br />

insedierò, fino a nuovo ordine, al suo posto”.<br />

Caddi dalle nuvole. Tutto ciò m’appariva pazzesco. Alla<br />

regione mi avevano dato per spacciato. L’assessore, spinto dalle<br />

sollecitazioni di politici locali, suoi amici, aveva nominato il<br />

commissario mentre ero ancora in carica, senza aspettare che<br />

112


decorressero i dieci giorni di tempo che il Coreco mi aveva<br />

assegnato. La mia mossa gli aveva fatto saltare i conti.<br />

Feci leggere al commissario la decisione con la quale il<br />

Coreco prendeva atto del venir meno della causa della mia incompatibilità<br />

e aggiunsi con tono scherzoso: “Caro dottore,<br />

come sa, due galli in un pollaio non possono convivere. Io ho<br />

le carte in regola, nessuno mi ha rimosso. Se ne torni a Palermo.<br />

Il suo decreto è privo di fondamento.”<br />

Ma lui non voleva sentire ragioni e, nell’attesa che dall’assessorato<br />

arrivassero disposizioni, si acconciò nella stanza del<br />

segretario comunale.<br />

Io continuai a fare il mio lavoro, ma quella prolungata presenza<br />

cominciava a darmi fastidio. Il comportamento illegittimo<br />

e provocatorio della Regione diventava ogni giorno più<br />

insopportabile.<br />

Decisi allora di passare all’attacco. Denunciai alla Procura<br />

della Repubblica di Palermo l’assessore regionale, on. Alfredo<br />

Gurrieri, per l’abuso commesso sia con la nomina di un commissario<br />

mentre ero ancora in carica, sia con la mancata revoca<br />

di quella nomina dopo che gli era stata notificata la decisione<br />

del Coreco.<br />

Mandai per fax una copia dell’esposto all’ufficio dell’assessore<br />

e l’indomani mattina il dott. Provenzano abbandonò il<br />

campo.<br />

“Sindaco, è vero che i corpa ansignunu a strada all’orbi 1 !<br />

Il commissario è andato via”. Così il segretario comunale, dott.<br />

Giordano, mi comunicò la notizia che era giunta da Palermo la<br />

revoca del decreto. “Cu pecura si fa, lupu sâ mangia 2 , caro<br />

segretario” gli risposi.<br />

Ma ancora i miei oppositori non si arrendevano.<br />

Tre consiglieri comunali, Abbadessa, Adornetto e Pignataro<br />

1 Le batoste fanno trovare la strada ai ciechi.<br />

2 Chi si mostra debole viene aggredito dai prepotenti, come la pecora dal<br />

lupo.<br />

113


si rivolsero anche al Tribunale Civile di Catania. Secondo la<br />

loro bizzarra tesi, la giunta comunale, al momento in cui aveva<br />

deliberato la revoca della costituzione di parte civile, non era<br />

più in carica. Quindi, a loro dire, quell’atto sarebbe stato nullo<br />

e, in conseguenza, il sindaco decaduto. Il Tribunale civile, presieduto<br />

dalla dott.ssa Castro, respingendo quel ricorso, pose<br />

fine per il momento, a quell’interminabile telenovela.<br />

Ormai non erano rimaste più frecce negli archi dei miei avversari.<br />

Eravamo giunti a fine settembre del ’96. La primavera<br />

successiva sarebbero stati gli elettori a dare l’inappellabile verdetto<br />

sul mio operato.<br />

Il processo penale di “Città mercato”, nel maggio ’99, si<br />

sarebbe concluso per sopraggiunta prescrizione e, tuttavia, i<br />

fastidi per quella concessione edilizia non finirono lì.<br />

Appena insediatasi, nel giugno 2002, la nuova amministrazione,<br />

anziché preoccuparsi di governare la città, pensò bene<br />

di aprire una ridicola caccia alle streghe, denunciando tutta la<br />

mia giunta per aver deliberato la revoca della costituzione di<br />

parte civile del comune nei miei confronti.<br />

La sindaca, senza arrossire, firmava, con solerzia, la denuncia<br />

per i reati di associazione per delinquere, truffa aggravata,<br />

abuso d’ufficio e quant’altro di più infamante e vergognoso si<br />

possa immaginare, nei confronti dei miei assessori. E poi, non<br />

ancora soddisfatta, mi citava davanti al Tribunale Civile di Catania<br />

chiedendomi un risarcimento danni di due milioni di euro.<br />

A tanto ammontava, a suo giudizio, il “danno” arrecato a Misterbianco<br />

dall’insediamento di Città Mercato nella zona commerciale!<br />

Quanta miseria! Quanta meschinità! Il tutto, ne sono certo,<br />

si risolverà in una clamorosa bolla di sapone. Un grande polverone<br />

con il quale si è cercato invano di offuscare l’immagine<br />

di una splendida stagione di buon governo.<br />

Spesso, mi sono chiesto quali fossero le ragioni di un così<br />

spietato e incessante accanimento nei nostri confronti, che si<br />

spingeva ben oltre la lotta politica.<br />

114


Forse, la risposta più convincente si cela nelle parole che il<br />

grande Tomasi di Lampedusa fa pronunciare al Principe di<br />

Salina nel dialogo con il suo interlocutore piemontese: “In Sicilia<br />

non importa far male o far bene: il peccato che noi Siciliani<br />

non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare… Il<br />

sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono,<br />

ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per<br />

portar loro i più bei regali.”<br />

115


U SIGNURI CCI-A-RRENNI<br />

Spesso mi reco al cimitero. Vado a trovare Salvo, il mio<br />

ragazzo. Avverto pressante il bisogno di accostarmi a quella<br />

tomba. La sua assenza mi ha lasciato un profondo vuoto di<br />

tenera freschezza. La perdita di un figlio cambia la vita. Non<br />

da pace quel procedere cieco e indifferente del destino.<br />

Non avevo mai badato al triste degrado che regnava al cimitero.<br />

Ma, da quando quel luogo sacro e austero accoglieva le<br />

spoglie di mio figlio, quell’abbandono mi appariva intollerabile<br />

e indegno.<br />

Ora, da sindaco,<br />

potevo rimediare.<br />

Avviai un’opera di<br />

bonifica che interessò<br />

anche l’area circostante.<br />

Realizzammo un<br />

viadotto per dare sbocco<br />

alla via Archimede<br />

e ricavammo, nell’area<br />

attigua, un ampio parco<br />

giochi e, nello spazio<br />

sottostante, un comodo<br />

parcheggio.<br />

La piazza del Carmine,<br />

da sempre negletta,<br />

venne livellata,<br />

pavimentata e illuminata<br />

con artistici lampioni.<br />

Fu arricchita di due<br />

ampie aiuole simmetri-<br />

Piazza del Carmine<br />

che, dove ponemmo a<br />

117


dimora due imponenti esemplari di palmizi adulti: una Phoenix<br />

e una Washintonia. Quest’ultima era alta più di dieci metri e<br />

dalla sua base si dipartivano tre tronchi di diversa altezza. Avevo<br />

visto questa rara pianta in un vivaio di Scicli e la sua particolare<br />

composizione mi sembrava richiamare il mistero della Trinità.<br />

Quando la piazza fu pronta pensai, quindi, di collocarla proprio<br />

lì davanti al cimitero in omaggio a quel dogma cattolico.<br />

Dedicammo particolare cura agli spazi antistanti al cimitero.<br />

Desideravo che, già dagli ingressi, giungesse ai visitatori il<br />

segno della sacralità del luogo. Ne affidai la progettazione all’ingegno<br />

dell’arch. Marcello Conti e alla sensibilità artistica<br />

del prof. Omar Giacummo, dell’Accademia di Brera.<br />

A sinistra dell’ingresso principale, abbellito con eleganti<br />

fioriere in ghisa, furono posti un pregevole lavoro in bronzo,<br />

raffigurante armoniosi simboli religiosi, e una lastra con l’incisione<br />

di un verso del Foscolo. Con lastre di pietra lavica,<br />

magistralmente lavorate dal mio amico scalpellino Filippo Falà,<br />

ricoprimmo le sfarinate pareti di tufo bianco delle aiuole circostanti<br />

la chiesa.<br />

Sostituimmo i due vecchi cancelli in ferro e lamiera. Essi,<br />

da tempo arrugginiti e malridotti, erano finanche privi di serratura<br />

e, per chiuderli, bisognava attorcigliare ai due battenti un<br />

tratto di catena e unirla con un pesante lucchetto. Scegliemmo<br />

un modello in vetro blindato tutto a giorno, a testimonianza del<br />

fatto che non c’è separazione fra la vita e la morte, perché l’una<br />

giustifica l’altra, perché l’una insegue l’altra nel perenne moto<br />

universale.<br />

Anche all’interno i cambiamenti furono radicali.<br />

La casa del custode, inagibile da anni, venne ristrutturata e<br />

fu realizzato un blocco di servizi igienici, prima inesistenti. Il<br />

muro di cinta, gonfio e pericolante, venne rifatto e, sul dorso,<br />

furono collocati dei lampioni artistici. I quattro campi comuni,<br />

devastati da un antico abbandono, furono riordinati e ricoperti<br />

da un lussureggiante prato inglese. Un nuovo obitorio andò a<br />

sostituire il casotto angusto e umido prima utilizzato. Il cortile<br />

d’ingresso fu pavimentato con piccole mattonelle di cotto sici-<br />

118


liano e i viali furono tutti asfaltati e illuminati.<br />

Per lenire la costante carenza d’acqua, furono collocati dei<br />

capaci serbatoi e venne realizzato un nuovo impianto idrico<br />

collegato a sobrie fontane in ghisa. Accanto ad esse sistemammo<br />

piccoli annaffiatoi in lamiera zincata, stampigliati con il<br />

marchio del comune. Eliminammo, quindi, i variopinti contenitori<br />

in plastica abbandonati in ogni dove. Era, infatti, inveterato<br />

l’uso di portare da casa i recipienti vuoti di detersivo per<br />

utilizzarli come annaffiatoi. Questi venivano poi abbandonati<br />

nei pressi delle tombe o accatastati all’ingresso, dentro un recinto<br />

realizzato alla meglio con vecchie tavole di carpenteria.<br />

Sembrava la fiera dei detersivi: tutte le marche erano presenti.<br />

Uno spettacolo davvero indecoroso.<br />

La sistemazione del cimitero si rivelò uno degli interventi<br />

più apprezzati dell’intera legislatura.<br />

Questa straordinaria bonifica, non prevista nel mio programma<br />

elettorale e dettata da un mio “interesse” personale, coglieva<br />

in realtà un’esigenza della comunità, poco espressa, ma profondamente<br />

sentita.<br />

Con la signora Concetta c’incontravamo spesso, al cimitero.<br />

La signora abitava a Serra, un quartiere abusivo delle frazioni,<br />

ma era nata ad Agira, paesino dell’entroterra ennese. Lì si era<br />

sposata con Carmelo, un giovane manovale ed insieme, agli inizi<br />

degli anni Sessanta, si erano trasferiti a Misterbianco, dove lui<br />

lavorava nella grande impresa edile dei fratelli Costanzo. Con<br />

poche lire avevano comprato dal Duca di Misterbianco un piccolo<br />

lotto di terreno sciaroso e lì, la sera dopo il lavoro e nei<br />

giorni festivi, avevano tirato su la loro casetta.<br />

Le frazioni sono piene di storie come quella di Concetta;<br />

storie di gente umile che, attratta dal boom che in quegli anni<br />

interessava l’economia catanese, lasciava il paese d’origine e<br />

trovava nelle sciare di Misterbianco, a due passi dal capoluogo,<br />

l’opportunità di acquistare, a basso prezzo, un terreno dove<br />

fissare la propria dimora. Gran parte dell’abusivismo a Misterbianco<br />

fu il frutto di questo fenomeno sociale ed economico.<br />

119


Ma un grave incidente sul lavoro aveva lasciato vedova<br />

Concetta che, da allora, si recava ogni giorno al cimitero, a far<br />

visita alla tomba del marito.<br />

L’avevo conosciuta in occasione dei lavori di pavimentazione<br />

e illuminazione che avevamo eseguito nella traversa dove lei<br />

abitava. Si avvicinava sempre per salutarmi e per ricordarmi il<br />

problema che l’affliggeva: la mancanza di un servizio di trasporto<br />

che collegasse le frazioni al centro del paese.<br />

“Lei lo sa che non so guidare. Per andare al cimitero, non<br />

sempre trovo un passaggio e, ora che sto diventando vecchia,<br />

non ce la faccio più ad arrivarci a piedi. Sono rimasta sola e ho<br />

bisogno di andare da mio marito ogni giorno. Perché non mette<br />

gli autobus? Sono anni che li promettono, ma nessuno ha<br />

mai fatto qualcosa!” si doleva tutte le volte che mi incontrava.<br />

La signora sollevava un problema vero, sentito da centinaia<br />

di famiglie. Ma non era di facile soluzione. Prima di tutto, perché<br />

richiedeva un notevole impegno finanziario, e poi, ogni<br />

volta che ponevo la questione ai funzionari del comune, venivo<br />

sommerso da un lungo elenco di adempimenti burocratici<br />

da superare. Bisognava acquisire il nulla osta dell’assessorato<br />

ai trasporti della regione, individuare un percorso sicuro, ottenerne<br />

l’approvazione da parte della motorizzazione, predisporre<br />

un’adeguata segnaletica ed altri svariati adempimenti. Confesso<br />

che quegli ostacoli mi avevano scoraggiato e, inconsciamente,<br />

avevo rimosso dalle mie priorità la realizzazione di<br />

quell’importante servizio.<br />

Un giorno, davanti al cancello del cimitero, mi raggiunse,<br />

correndo, la signora Concetta e, ansimando, mi disse: “Domenica<br />

sono stata ad Agira, da mia sorella, e ho visto gli autobus<br />

che giravano per tutto il paese. Non è vero che è difficile avere<br />

i trasporti. Là, il sindaco c’è riuscito. Lei ha fatto tante cose<br />

buone a Misterbianco, ma, se non realizza anche i trasporti,<br />

non ha fatto nulla.”<br />

Mi sentii in colpa. Lessi come un giusto rimprovero le parole<br />

della signora. Telefonai al mio collega di Agira il quale si<br />

rese subito disponibile e mi disse: “Io ci ho lavorato a lungo, se<br />

120


vuoi ti faccio avere la copia di tutti gli atti occorrenti.”<br />

Mandai il mio autista a ritirare il pacco con gli incartamenti.<br />

Il vicesindaco Stefano Santagati si assunse il compito di<br />

seguire tutto l’iter. Furono previste due linee urbane: una di<br />

collegamento fra il centro storico e le frazioni di Belsito, Serra<br />

e Lineri e l’altra fra il centro e la zona commerciale.<br />

Il geom. Laudani, funzionario della motorizzazione di Catania,<br />

prese a cuore il problema, suggerendoci il percorso<br />

ottimale. Ottenemmo così tutti i nulla osta necessari. Dopo<br />

qualche mese, si tenne la conferenza di servizio fra regione,<br />

comune e ditte operanti nel settore dei trasporti pubblici. Presentammo<br />

al consiglio la delibera per l’istituzione del servizio<br />

e stanziammo i trecento milioni annui necessari per finanziarlo.<br />

Indicemmo la gara. Si aggiudicò il servizio la ditta ISEA, di<br />

Misterbianco.<br />

Nei primi mesi del 1997 cominciarono a circolare gli autobus.<br />

Fu un fatto storico.<br />

Dopo qualche giorno, di buon mattino, trovai sotto casa la<br />

signora Concetta. Aspettava che scendessi. Aveva in mano un<br />

sacchetto di carta. Dentro c’erano sei uova ben avvolte in fogli<br />

di giornale. Mi disse, porgendomi il pacco: “Sono uova delle<br />

mie galline, le ho appena raccolte per lei, dal pollaio. Sono<br />

venuta qua con il nuovo autobus. È bellissimo. Non sa che grande<br />

regalo mi ha fatto.” Poi, abbracciandomi, visibilmente commossa,<br />

esclamò: “U Signuri cci-a-rrenni! 1 ”<br />

Andai al comune di buon umore, telefonai al mio vicesindaco<br />

e gli dissi: “Stefano, non ti puoi più lamentare. Non è vero che<br />

facendo il vicesindaco stai dimezzando i tuoi guadagni. Conviene<br />

fare gli amministratori. In un anno di lavoro, attivando il<br />

trasporto pubblico, sei uova fresche ce le siamo guadagnate!”<br />

1 Che il Signore La ricompensi!<br />

121


CCU BONA AZZAPPA A VIGNA …<br />

Le elezioni, previste per la primavera del ’97, slittarono al 30<br />

novembre. Quattro anni e mezzo erano scivolati via in un batter<br />

d’occhio. Malgrado le tante mareggiate e i tentativi d’affondamento,<br />

la barca della mia prima sindacatura era giunta in porto.<br />

Ora sarebbero stati gli elettori a giudicare il mio operato.<br />

La battaglia si annunciava difficile e incerta. Sulla carta, il<br />

centrodestra era favorito. Alle elezioni politiche del ’96 aveva<br />

superato il 70% dei voti. La speranza di poter conquistare il<br />

comune era concreta.<br />

S’avviò, fra le forze di quello schieramento, una lunga<br />

diatriba per la scelta del candidato a sindaco.<br />

Forza Italia, con il suo 40% di consensi, aspirava a guidare<br />

la coalizione, ma non trovava esponenti credibili.<br />

Nel partito di Alleanza Nazionale si aprì una lotta intestina:<br />

da un lato, il vecchio ceppo guidato dal consigliere provinciale,<br />

Pippo Longo, che vantava un’ampia popolarità nel paese e,<br />

alle ultime elezioni regionali, aveva conseguito un lusinghiero<br />

successo personale; dall’altro, un gruppo di giovani emergenti,<br />

capeggiati dal consigliere comunale Paolo <strong>Di</strong> Caro, che<br />

scalpitavano per conquistare nuovi spazi politici.<br />

I cattolici di destra, CCD e CDU, da parte loro, avanzavano<br />

la candidatura di Angelo Greco, vecchio democristiano, già<br />

assessore comunale negli anni ’80.<br />

Dopo lunghe trattative, i quattro partiti raggiunsero l’accordo<br />

su un candidato non misterbianchese, il prof. Vito Barbagallo.<br />

Questi, all’ultimo momento, si ritirò dalla competizione<br />

e rimise in corsa il giovane Paolo <strong>Di</strong> Caro che alla fine fu il<br />

candidato del centrodestra.<br />

Anche i partiti dell’Ulivo erano divisi. Il pomo della discordia<br />

era la mia ricandidatura.<br />

123


Il mio partito aveva provato ad unificare tutte le forze<br />

progressiste dell’Ulivo, ma non poteva, certo, accettare di mettere<br />

in discussione la mia candidatura che si riproponeva naturalmente<br />

dopo i lusinghieri risultati conseguiti. C’era, per la<br />

verità, all’interno del partito, un gruppetto di compagni che<br />

auspicava una mia bocciatura ma, trovandosi in netta minoranza,<br />

non si espose, in attesa di tempi migliori. Volendo chiudere<br />

con le polemiche e le incomprensioni del passato, non partecipai<br />

neanche alle trattative e chiesi al segretario provinciale,<br />

Manlio <strong>Di</strong> Mauro, di occuparsene personalmente.<br />

Rifondazione Comunista e Popolari, in coerenza con la cieca<br />

e feroce opposizione condotta in quegli anni contro la mia<br />

amministrazione, dichiaravano che l’accordo fra le forze dell’Ulivo<br />

era possibile, purché l’esperienza <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> si dichiarasse<br />

superata. Non avendo concrete obiezioni da muovere al<br />

mio operato, farneticavano fino all’inverosimile, accusandomi<br />

perfino di avere stretto legami con i “poteri forti”. Ma quali<br />

poteri forti c’erano a Misterbianco? La Mediobanca di Cuccia,<br />

la Fiat di Agnelli? Eravamo davvero alla follia!<br />

<strong>Di</strong> fronte a tanta preclusione, ogni tentativo di accordo fu<br />

destinato a fallire. Così, quelle forze diedero vita ad una singolare<br />

alleanza elettorale che comprendeva, oltre al partito di<br />

Rifondazione Comunista e al PPI, una lista che raggruppava<br />

qualche reduce socialista e i soliti professionisti del trasformismo,<br />

approdati, in quel momento, nel partito di Rinnovamento<br />

Italiano. Designarono, quale loro candidato alla carica di sindaco,<br />

Paolo Conti, consigliere comunale e segretario politico<br />

di Rifondazione Comunista che, prendendo a calci ogni coerenza,<br />

accettò una così anomala e contraddittoria compagnia.<br />

Per la verità, gli esponenti di Rinnovamento Italiano, prima<br />

di unirsi a quella coalizione, avevano chiesto l’apparentamento<br />

con le nostre liste, ma noi, per chiarezza e coerenza, lo avevamo<br />

rifiutato.<br />

Pensammo di mettere in campo anche una lista civica, per<br />

dare la possibilità alla società civile di impegnarsi senza necessariamente<br />

doversi schierare col PDS. Si tennero alcune riunio-<br />

124


ni nella villa di campagna dell’assessore Emilio Palmeri. C’era<br />

un grande fervore attorno a questa ipotesi. Tanti cittadini, che<br />

avevano visto all’opera la mia amministrazione, si dichiararono<br />

entusiasti di partecipare alla competizione elettorale.<br />

Fu così che nacque la lista “Movimento Volontari per<br />

Misterbianco con <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>”. In essa si candidarono, oltre ai miei<br />

assessori Angelo Battiato, Antonio Biuso, Nunzio Garozzo, Aldo<br />

Orlando ed Emilio Palmeri, un rappresentante del partito dei Verdi<br />

e numerose personalità della società civile misterbianchese.<br />

Un semicerchio che racchiudeva sei vigorose spighe di grano,<br />

a significare lavoro e prosperità, fu il simbolo che l’amico<br />

grafico Ferdinando Coco creò per la nuova lista. Essa costituì<br />

l’unica novità di quella campagna elettorale.<br />

La mia candidatura poggiava, quindi, soltanto sul sostegno<br />

del mio partito e del neonato Movimento. L’unico dato certo<br />

da cui partivamo era la forza elettorale del PDS che, alle ultime<br />

elezioni politiche, aveva ottenuto il 15,1% dei consensi.<br />

Tuttavia, eravamo ottimisti. Confidavamo sul nostro lavoro e<br />

sulla simpatia che tanti cittadini ci manifestavano in ogni dove.<br />

Avevo colto tale sentimento favorevole anche dal tenore delle<br />

risposte ad una serie di telefonate che andavo effettuando, a mo’<br />

di sondaggio, prendendo a caso i numeri dall’elenco telefonico.<br />

La campagna elettorale non mi coinvolse particolarmente. Ero<br />

preso dal mio lavoro al comune e l’affrontai quasi distrattamente.<br />

Ai compagni che mi sollecitavano ad un maggiore impegno<br />

nella ricerca di voti, serenamente rispondevo: “In questi anni<br />

ho pensato solo ad amministrare e non a fare favori e clientele.<br />

Voglio essere giudicato per quello che ho fatto per la città. E<br />

poi, da quasi trent’anni faccio politica. La gente mi conosce.<br />

Per me parlano i fatti.”<br />

Feci affiggere un manifesto in cui campeggiava una mia<br />

fotografia.<br />

Alfio, il ragazzo di mia figlia, aveva saputo cogliere, con un<br />

suo abile scatto, una significativa espressione del mio volto,<br />

dalla quale traspariva serenità e fermezza. L’immagine risultò<br />

così eloquente che ritenemmo superfluo aggiungere le consue-<br />

125


te indicazioni di voto e ci limitammo a inserire soltanto i simboli<br />

delle due liste che mi sostenevano e la breve scritta: “Andremo<br />

ancora avanti.”<br />

Tenni un paio di comizi e partecipai ai dibattiti che si organizzarono<br />

in paese con gli altri due candidati a sindaco.<br />

I loro programmi elettorali, stranamente simili, avevano come<br />

punto forte l’istituzione dei consigli di quartiere. Confutai quella<br />

proposta che, per un comune con 45.000 abitanti come<br />

Misterbianco, mi appariva demagogica e fuori luogo. L’istituzione<br />

di quegli organismi, non comportando il trasferimento di effettivi<br />

poteri decisionali, si sarebbe risolta in uno stanco e inoffensivo<br />

passaggio burocratico e null’altro. L’allargamento della partecipazione,<br />

se dissociata dalla possibilità di incidere nel concreto,<br />

porta alla stanchezza, alla frustrazione e alla disaffezione verso la<br />

vita politica. Il fallimento degli organismi democratici della scuola<br />

ne era l’esempio illuminante.<br />

Anche nella critica alla mia amministrazione, i due candidati<br />

utilizzavano, sia pur con qualche lieve sfumatura, i medesimi<br />

argomenti: entrambi mi accusavano di aver favorito lo<br />

sviluppo della zona commerciale, impoverendo i piccoli esercenti<br />

locali, di aver voluto il depuratore consortile, di aver fatto<br />

una politica di mera facciata. Accuse davvero risibili, un<br />

vero boomerang per coloro che le pronunciavano.<br />

Fu una campagna elettorale serena e civile. <strong>Di</strong> essa mi è<br />

rimasta una frase che, casualmente, avevo pronunciato negli<br />

studi palermitani di Rai Tre in occasione di un faccia a faccia<br />

con gli altri due candidati: “Avrò i miei limiti, avrò i miei difetti,<br />

ma certamente non sono un uomo di paglia.” A farmela tornare<br />

in mente provvede, simpaticamente, l’ex comandante dei<br />

vigili urbani di Milo, deliziosa cittadina alle pendici dell’Etna,<br />

dove mi reco spesso ad assaporare la quiete della mia casetta<br />

in mezzo ai tigli. Quell’espressione, non so per quale misteriosa<br />

ragione, aveva colpito tanto l’immaginazione dello spiritoso<br />

comandante che, da allora, ovunque mi incontri, scatta sull’attenti<br />

e mi saluta, declamando con la sua voce squillante:<br />

“Sindaco! Io non sono un uomo di paglia!”<br />

126


Il responso elettorale fu per noi straordinario. Capovolse i<br />

risultati delle precedenti elezioni politiche e i rapporti di forza<br />

nel territorio.<br />

I miei avversari ebbero un amaro risveglio: Paolo Conti racimolò<br />

l’11,4% dei voti, la sua coalizione il 14,7% e, con soli<br />

centoventinove voti di preferenza, riuscì a malapena a conquistare<br />

un seggio in Consiglio; Paolo <strong>Di</strong> Caro conseguì il 26,7%<br />

di consensi, i partiti del Polo che lo sostenevano il 30,4%, ma<br />

non ce la fece ad essere eletto nemmeno come consigliere.<br />

Per me fu un plebiscito. Ottenni il 61,9% dei voti. Le liste a<br />

me collegate raggiunsero il 54,9% conquistando ben diciotto<br />

seggi. Il PDS, con il 26,7%, giunse quasi a raddoppiare i consensi<br />

delle ultime elezioni politiche. La lista civica, che portava il<br />

mio nome, fu la più votata con il 28,2%. Avevamo vinto da soli.<br />

La politica dei fatti aveva trionfato. Il lavoro, i sacrifici, i rischi,<br />

il tempo sottratto alla famiglia: tutto mi veniva restituito<br />

in un momento.<br />

Fin dallo spoglio<br />

delle prime schede, la<br />

vittoria era apparsa<br />

schiacciante. Subito,<br />

tirammo fuori i manifesti<br />

che in gran segreto<br />

avevamo preparato<br />

nei giorni precedenti.<br />

Contenevano la gigantografia<br />

di una sorridente<br />

foto di Giovanni,<br />

il mio bambino di<br />

sei anni che, in braccio<br />

a me, faceva con le dita<br />

il segno di vittoria.<br />

Quel volto fresco e<br />

gioioso annunciava la<br />

vittoria della “nuova<br />

Manifesto per la vittoria elettorale<br />

Misterbianco”.<br />

127


Presi ad attaccarne alcuni con lo scotch nei bar del centro.<br />

Uno lo appesi davanti aI vicino centro anziani frequentato da<br />

vecchi braccianti e mezzadri.<br />

Conosco tutti i frequentatori di quel centro. Con tanti di loro<br />

ho lavorato in gioventù nei vigneti e negli agrumeti delle fertili<br />

terre misterbianchesi. La nostra intesa è antica perché figlia<br />

della medesima cultura contadina di cui siamo impastati.<br />

In un baleno mi ritrovai circondato da facce allegre e soddisfatte.<br />

Esplose un fragoroso applauso.<br />

Poi uno di loro, allontanando la pipa dalle labbra violacee,<br />

mi abbracciò, esclamando a voce alta: “C’è picca cchi fari. A<br />

liggi dâ vita non si po’ canciari. Ccu bona azzappa a vigna,<br />

bona a vinniggnia! 1 ”<br />

Con l’accensione dei fuochi d’artificio il messaggio giunse<br />

in tutto il paese. In un attimo piazza Mazzini si riempì. Fu un<br />

turbinio di abbracci, baci e strette di mano. L’entusiasmo popolare<br />

ci travolse.<br />

Ora, avevamo altri quattro anni davanti a noi. Il nostro impegno<br />

poteva proseguire.<br />

1 C’è poco da fare. La legge della vita non si può cambiare. Chi coltiva<br />

bene la vigna, avrà un’abbondante vendemmia.<br />

128


QUELL’AMARO AMMONIMENTO<br />

La sala “Ripetta” dell’omonimo residence, situato a due passi<br />

da piazza Del Popolo, ospitava, nella primavera del ’98, un<br />

interessante convegno su “Finanza pubblica e privata: nuove<br />

forme di collaborazione per lo sviluppo locale.”<br />

Andai a Roma insieme al mio assessore Antonio Biuso, per<br />

seguirne i lavori. Eravamo interessati ad ogni iniziativa che<br />

offrisse nuovi spunti per promuovere la crescita economica del<br />

nostro territorio.<br />

La presenza di emeriti economisti e importanti politici rendeva<br />

quell’appuntamento di grande interesse. Ascoltammo gli<br />

interventi dell’allora ministro Visco, di Sylos Labini, Giuliano<br />

Amato, Mario Centorrino e tanti altri.<br />

A metà dei lavori, prese la parola il dott. Palmeri, presidente<br />

di Italinvest, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo d’impresa e<br />

l’attuazione di investimenti; un siciliano che si era affermato nel<br />

difficile mondo dell’alta finanza. Mise in evidenza il ruolo positivo<br />

che alcuni sindaci del Mezzogiorno andavano assumendo<br />

nel favorire lo sviluppo nelle loro realtà e sottolineò come la<br />

sinergia fra enti locali e imprese costituisse uno degli elementi<br />

fondamentali nelle scelte strategiche di queste ultime.<br />

Citò alcune esperienze positive che stavano trovando attuazione<br />

nel Mezzogiorno, fra queste, l’insediamento a Catania<br />

della Metro, una delle più importanti multinazionali nel<br />

settore della distribuzione. Un investimento di oltre quaranta<br />

miliardi di lire che avrebbe comportato l’occupazione di un<br />

centinaio di persone e incrementato lo sviluppo nella zona.<br />

Si soffermò poi sulla positiva collaborazione dell’amministrazione<br />

catanese guidata da Enzo Bianco che si era adoperata,<br />

diceva, con tempi non usuali per un ente pubblico, per favorire<br />

tale insediamento.<br />

129


Sobbalzai sulla sedia. Il direttore aveva fatto confusione:<br />

era vero che la Metro si stava insediando in Sicilia, ma a Misterbianco,<br />

non a Catania, e l’amministrazione, di cui parlava<br />

così bene, era la mia e non quella di Enzo Bianco.<br />

Dopo il suo intervento, mi presentai e, davanti a una tazza<br />

di caffè, chiarimmo quell’equivoco. Lo invitai a Misterbianco<br />

e mi promise che sarebbe venuto in occasione dell’inaugurazione<br />

di quell’importante centro commerciale.<br />

Che la Metro avesse scelto Misterbianco, lo avevo appreso<br />

in una calda giornata di luglio.<br />

Ero intento con Turi Signorelli a recuperare una pianta di<br />

palma adulta, cresciuta nel terreno dove sarebbero sorti il nuovo<br />

campo di calcio e la pista di atletica leggera. Da lì a qualche<br />

giorno, avrebbero avuto inizio i lavori e la pianta sarebbe stata<br />

certamente abbattuta. Per salvarla, avevo chiamato in aiuto il<br />

mio amico Turi, titolare di una ditta di movimento terra e ora,<br />

con l’ausilio del suo escavatore, la stavamo sradicando dolcemente<br />

per poi trapiantarla altrove.<br />

Una vecchia amicizia mi lega a Turi Signorelli, detto “Boccia”.<br />

Questo è lo strano nomignolo che la società del tempo<br />

aveva appiccicato alla sua numerosa famiglia. Siamo coetanei<br />

e ci accomuna un’infanzia tenuta precocemente a battesimo<br />

dal lavoro. Negli anni Cinquanta, si cresceva in fretta e, a undici<br />

anni, finite le elementari, si diventava uomini maturi e responsabili.<br />

Quasi ogni mattina, mentre andavo in campagna a<br />

lavorare, in groppa alla mia infaticabile mula, lo incontravo al<br />

pozzo di Mezzocampo. Con grande fatica, Turi attingeva l’acqua<br />

da quel pozzo, sollevando, con le sue ancor fragili braccia,<br />

un enorme secchio con cui riempiva la capiente botte posta<br />

sopra il suo carro. Poi, alla guida di un possente baio, andava<br />

su e giù per il paese per fornirla ai piccoli cantieri edili. Per<br />

tutta la giornata, con il suo carretto, faceva avanti e indietro,<br />

senza sosta, dal pozzo ai cantieri.<br />

In mezzo ad una nuvola di polvere nera e sottile, che il rumoroso<br />

escavatore sollevava, comparve il mio vicesindaco,<br />

130


accompagnato da due sconosciuti.<br />

Uno di questi, un signore alto, biondo e con un largo faccione<br />

rosso, era un francese che dirigeva la sezione europea della<br />

Metro; l’altro, un milanese distinto ed elegante, era il dott. Serrati,<br />

amministratore delegato della Metro italiana.<br />

Erano venuti al comune per incontrarmi e Stefano me li<br />

aveva portati fin lì, senza neanche avvisarmi.<br />

Ero sudato e pieno di polvere. Li accolsi con disagio.<br />

“Abbiamo scelto Misterbianco per il nostro primo insediamento<br />

in Sicilia. Sappiamo che la sua amministrazione è interessata<br />

allo sviluppo della zona commerciale e per noi è fondamentale<br />

avere rapporti positivi con le realtà che ci ospitano.<br />

Siamo qui per chiedere la sua collaborazione,” mi dissero.<br />

“Misterbianco è interessato ad ospitare una grande azienda<br />

come la vostra. Faremo di tutto per favorire la vostra<br />

presenza nel nostro territorio,” risposi loro. “Per ogni necessità<br />

fate riferimento al vicesindaco. È la mia stessa persona.<br />

È un uomo taciturno, ma di grande concretezza,” così li salutai.<br />

Proseguii il mio lavoro con Boccia, ma i miei pensieri,<br />

scossi da quella inattesa visita, ormai vagavano lontano.<br />

Caricammo la palma con l’ausilio di una gru e la piantammo<br />

in un’aiuola che di recente avevamo realizzato all’uscita<br />

del parcheggio del cimitero.<br />

La Metro acquistò dalla Sicep il terreno sul quale realizzò<br />

poi la struttura commerciale. Il vicesindaco si adoperò, in ogni<br />

modo, per favorire quell’insediamento. Collaborò alla ricerca<br />

del terreno e seguì personalmente tutte le pratiche burocratiche<br />

e, in meno di un anno, la Metro poté aprire la sua filiale a<br />

Misterbianco.<br />

L’inaugurazione si svolse alla presenza del presidente della<br />

Regione, on. Giuseppe Drago, e dei maggiori vertici dell’azienda.<br />

Fu un momento di grande soddisfazione.<br />

Dopo la cerimonia, il dott. Serrati mi ringraziò per la soler-<br />

131


zia e la disponibilità dimostrate e aggiunse: “Ha un ottimo collaboratore.<br />

Il suo vicesindaco è persona affidabile e di grande<br />

correttezza.”<br />

Anche il dott. Palmeri, come aveva promesso, fu presente al<br />

taglio del nastro. “Sindaco, continui a puntare sull’espansione<br />

della zona commerciale. Senza dubbio, questa è la più grande<br />

risorsa per il suo comune,” mi disse compiaciuto.<br />

Lo sapevamo bene, noi. In quegli anni avevamo fatto di<br />

tutto per rendere appetibile e accogliente l’area commerciale.<br />

L’avevamo liberata dalla perenne sporcizia e arricchita di lussureggianti<br />

spazi a verde; vi avevamo costruito spartitraffico,<br />

rotatorie e svincoli, per agevolare la viabilità, e imponenti torri-faro<br />

per illuminarne gli accessi; avevamo sostituito i vecchi<br />

cartelloni pubblicitari, abusivi e fatiscenti, con una nuova e<br />

ordinata segnaletica.<br />

Pochi mesi prima, un’altra grande azienda aveva scelto la<br />

nostra zona commerciale per il suo primo insediamento in Sicilia:<br />

la Mercatone Uno. Un’importante società emiliana, molto<br />

nota in quel momento perché sponsor dell’omonima squadra<br />

ciclistica capeggiata da Marco Pantani.<br />

In occasione dell’inaugurazione del punto vendita di<br />

Misterbianco, conobbi il presidente di quell’azienda, il signor<br />

Romano Cenni, una persona aperta e cordiale, che non nascondeva<br />

le sue umili origini.<br />

Fra noi nacque una reciproca simpatia. Prese a raccontarmi<br />

della sua travagliata ascesa al successo.<br />

Aveva iniziato da piccolo a darsi da fare, riparando cucine a<br />

gas. Con i primi soldi guadagnati, aveva preso in affitto un garage<br />

e lì aveva cominciato a vendere, a prezzi competitivi, elettrodomestici<br />

che egli stesso fabbricava, assemblandone i vari pezzi.<br />

Poi, la svolta. Conobbe Luigi Valentini, un valido imprenditore<br />

titolare di un importante mobilificio e decisero di aprire insieme<br />

il loro primo negozio. La fortuna li prese per i capelli e, nel giro<br />

di qualche decennio, la Mercatone Uno era diventata una delle<br />

maggiori aziende nel settore della distribuzione, con una catena<br />

di oltre settanta punti vendita, dislocati in tutta Italia.<br />

132


Il suo racconto era davvero coinvolgente. Anch’io mi spinsi<br />

ad accennare al mio passato e gli feci omaggio del mio libro,<br />

contenente molte note autobiografiche.<br />

Dopo qualche tempo, mi invitò a Dozza, la sua città d’origine,<br />

in provincia di Bologna.<br />

Aveva organizzato, nella tenuta di “Monte del Re”, una festa<br />

in onore di Marco Pantani, fresco trionfatore nel Giro d’Italia<br />

e in quello di Francia. Era l’anno in cui il “Pirata”, volando<br />

sulle Alpi e sui Pirenei, ci teneva incollati al televisore ad ammirare<br />

le sue straordinarie prodezze.<br />

Mi recai a quella festa con mia moglie e con il piccolo Giovanni.<br />

Fu una serata indimenticabile. Giovanni era felice: aveva<br />

ottenuto la bandana del pirata e un suo prezioso autografo. A<br />

fine serata il sig. Cenni mi volle presentare a Pantani. Lo chiamò<br />

e gli disse: “Marco, ti presento il sindaco di Misterbianco.<br />

Vale la pena leggere il suo libro. È un uomo che conosce la<br />

gavetta. Come noi, si è fatto da solo.”<br />

Festa in onore di Marco Pantani (Dozza-BO).<br />

Da sin.: L. Valentini, R. Cenni, N. <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, M. Pantani.<br />

133


Rimasi colpito dalla timidezza di quel grande campione dal<br />

sorriso riservato. Il suo corpo era ancor più esile e minuto di<br />

quanto apparisse in televisione ed era inspiegabile da dove venisse<br />

fuori quella travolgente e impetuosa potenza.<br />

Chi poteva immaginare, in quel momento di gioia e di trionfi,<br />

il tragico destino che stava in agguato contro quel ragazzo e la<br />

fredda solitudine che lo avrebbe accompagnato qualche anno<br />

dopo, quando le glorie del campione avrebbero ceduto il posto<br />

alle sofferenze mute e abissali dell’uomo.<br />

Altre importanti ditte, in quegli anni, aprirono i battenti a<br />

Misterbianco: Conbipel, Moda Italia, Oviesse, Team sport, Elco<br />

Trony, Bruno Euronics ed altre ancora.<br />

Giorno dopo giorno, la nostra zona commerciale, divenuta<br />

una grande realtà dell’economia siciliana, irradiava i suoi benefici<br />

effetti sull’occupazione e sulla crescita economica del<br />

comune. Anche le casse comunali s’avvantaggiarono di questa<br />

espansione. L’ICI sui capannoni commerciali, elevata al sette<br />

per mille, portò un incremento consistente di risorse finanziarie<br />

fresche che consentirono di migliorare la vivibilità della<br />

città.<br />

Questo sviluppo, però, cominciò a insidiare seriamente gli<br />

interessi dei commercianti catanesi per i quali diventavamo<br />

sempre più minacciosi concorrenti. Il contrasto esplose<br />

allorquando fu approvata la nuova legge regionale di riforma<br />

del commercio, la n. 28 del ’99. Gli artt. 12 e 13 della legge<br />

consentivano la deroga all’obbligo di chiusura domenicale e<br />

festiva, in presenza di due requisiti: l’esistenza di una grande<br />

zona commerciale e di un’area ricadente nelle immediate vicinanze<br />

di grandi arterie viarie con refluenze sovracomunali. Noi<br />

possedevamo entrambi quei requisiti e approfittammo subito<br />

della possibilità offerta da quella norma, avanzando tempestivamente<br />

istanza all’assessorato regionale.<br />

Il 29 maggio del 2000, con il decreto n. 633, Misterbianco<br />

otteneva, primo comune in Sicilia, l’autorizzazione a tenere aperte<br />

le attività commerciali nei giorni festivi. Quel provvedimento<br />

134


sollevò le proteste del comune capoluogo e della provincia, che<br />

però caddero nel nulla perché prive di fondamento giuridico.<br />

La domenica è la giornata dei grandi affari in cui si realizza<br />

il 40% circa del fatturato settimanale. Mentre, prima del decreto,<br />

l’apertura domenicale era saltuaria e incerta, ora, finalmente,<br />

le aziende potevano programmare per tempo la loro attività.<br />

I lavoratori del settore, di fronte alla prospettiva di dover<br />

lavorare anche nelle festività, fecero giungere le loro proteste.<br />

Essi, sebbene si rendessero conto che quel provvedimento, offrendo<br />

alla zona commerciale una marcia in più, avrebbe garantito<br />

la loro stessa occupazione, non volevano sopportare turni<br />

e orari di lavoro pesanti e sfiancanti. Comprendendo le loro<br />

ragioni, il comune pretese la sottoscrizione, da parte delle imprese,<br />

di un protocollo d’intesa con il quale si sanciva che l’incremento<br />

di produttività e il fabbisogno di nuove forze di lavoro,<br />

derivanti dall’apertura domenicale e festiva, non dovessero<br />

incidere sui diritti del personale occupato, ma rappresentare,<br />

piuttosto, un’occasione per favorire la crescita dell’occupazione<br />

nel territorio.<br />

Con i nuovi insediamenti, l’area commerciale, già asfittica,<br />

ben presto si saturò. Ogni possibilità di ulteriore sviluppo era<br />

preclusa, anche perché il consiglio comunale, nel formulare il<br />

Piano Regolatore Generale, non aveva previsto alcuna area<br />

d’espansione.<br />

Per sopperire a tale grave carenza, in sede di osservazioni al<br />

Piano, sollecitai la presentazione di una proposta che prevedesse<br />

un nuovo sito per accogliere future attività produttive.<br />

Tale sito fu individuato in un’ampia area di circa quattrocento<br />

ettari, posta a sud del paese, a ridosso della tangenziale ovest,<br />

in una posizione geograficamente strategica per nuovi<br />

insediamenti commerciali.<br />

La proposta, sebbene osteggiata fortemente dall’opposizione,<br />

passò in consiglio e fu inviata, assieme al P.R.G., all’assessorato<br />

al territorio di Palermo per il normale iter burocratico.<br />

La scelta di quella zona si rivelò azzeccata e attirò imme-<br />

135


diatamente l’interesse di grossi imprenditori. Da lì a poco, la<br />

ditta Ferrari di La Spezia, che aveva nel frattempo incamerato<br />

l’Ira Costruzioni del cav. Gaetano Graci, presentò un progetto,<br />

denominato “La Tenutella”, per realizzarvi un’area commerciale<br />

integrata. Sarebbe nata una moderna città del commercio,<br />

estesa su un’area di trent’otto ettari, con ipermercati,<br />

multisale cinematografiche, punti di ristoro e sale di bellezza,<br />

parcheggi e zona divertimenti, con un investimento di oltre<br />

duecento miliardi di lire.<br />

Anche questo progetto, che avrebbe prodotto centinaia di<br />

posti di lavoro e aperto per Misterbianco una grande prospettiva<br />

di sviluppo, fu approvato in consiglio con i soli voti della<br />

maggioranza.<br />

Purtroppo, con le elezioni del 26 maggio 2002, la continuità<br />

amministrativa s’interruppe e il governo della città andò nelle<br />

mani di quelle stesse forze che in consiglio si erano opposte a<br />

quel progetto. Politici inadeguati, che non seppero proseguire<br />

sulla strada già tracciata di progresso civile e crescita economica<br />

del nostro paese.<br />

Venendo a mancare il decisivo stimolo dell’amministrazione<br />

comunale, il progetto della “Tenutella” si arenò miseramente.<br />

E, mentre a Misterbianco si perdeva del tempo prezioso, a<br />

Belpasso, a due passi da noi, prendeva corpo un altro grande<br />

progetto di area commerciale integrata, Etnapolis, i cui nuovi<br />

capannoni spuntano ogni giorno come funghi.<br />

Così, il primato della nostra zona commerciale, costruito in<br />

tanti anni d’impegno, rischia fatalmente di annegare nelle acque<br />

stagnanti di un inconcludente immobilismo.<br />

Nulla è scontato, nessuna conquista è definitiva.<br />

“I popoli, come gli individui, se non vanno innanzi o non si<br />

sforzano di andare innanzi, vanno indietro, e fermi e tranquilli<br />

non possono restare senza corrompersi.”<br />

Come suona amaro, per Misterbianco, il severo ammonimento<br />

di Benedetto Croce!<br />

136


A CUNTRASTARI PRINCIPI E PUTENTI…<br />

Si chiama Tiritì, ma non è innocua come il saltellante nome<br />

potrebbe far pensare. È la gigantesca discarica posta a soli cinquecento<br />

metri dall’abitato di Misterbianco, di proprietà della<br />

famiglia Proto. Sequestrata nel ‘98 dall’Autorità Giudiziaria,<br />

perché i titolari erano finiti sotto inchiesta per associazione<br />

mafiosa, fu gestita, fino alla primavera del 2005, da un amministratore<br />

nominato dal Tribunale. Successivamente, l’impianto<br />

ritornò nelle mani dei proprietari, nel frattempo scagionati<br />

dalla pesante accusa.<br />

La discarica, alla fine degli anni Settanta, cominciò a ricevere<br />

i primi rifiuti e, in pochi anni, decine e decine di comuni<br />

finirono per scaricarvi la propria immondizia.<br />

Nel ’92 era stata chiusa a causa dei suoi fetidi miasmi. Per<br />

ottenere quel provvedimento avevamo protestato in tanti: la<br />

società civile, alcuni esponenti politici e anche il parroco<br />

Condorelli.<br />

Nel ’97, con un provvedimento provvisorio, l’assessorato<br />

regionale al territorio le consentì di riaprire. Ma le cose provvisorie,<br />

come si sa, tendono a diventare definitive e così, ancora<br />

oggi, quell’impianto è in piena attività e continua, specie in<br />

estate, ad ammorbare il paese.<br />

Nel ’99, il decreto sull’emergenza rifiuti assegnò ai prefetti<br />

le competenze in materia ambientale.<br />

Il prefetto di Catania, dott. Tommaso Blonda, appena nominato<br />

commissario, diede segnali di entusiastico dinamismo, dichiarando<br />

che la discarica privata di Tiritì, poiché priva dei<br />

requisiti previsti dalla legge, sarebbe stata chiusa a breve e che<br />

avrebbe funzionato ancora per pochi mesi, solo per fronteggiare<br />

l’emergenza. Nel frattempo si sarebbe realizzata una nuova<br />

137


discarica, la cui gestione sarebbe stata affidata a soggetti pubblici,<br />

come prescritto dallo stesso decreto.<br />

Si tenne in prefettura una serie d’incontri con altri sindaci<br />

della provincia. Si coglieva nell’aria la sensazione di una svolta<br />

finalmente radicale e positiva.<br />

I tempi, per la discarica del comprensorio Nord-Ovest, di<br />

cui faceva parte Misterbianco, erano tassativi: sessanta giorni<br />

per la stesura del progetto; alcuni mesi per la sua realizzazione.<br />

Lo stesso prefetto incitava gli uffici interessati a “galoppare”,<br />

per aprire una nuova pagina di legalità e di efficienza nella<br />

gestione dei rifiuti.<br />

Nell’autunno di quell’anno, fui convocato, insieme al sindaco<br />

di Motta Sant’Anastasia, Angelo Giuffrida, in prefettura.<br />

Il prefetto c’illustrò il suo progetto.<br />

“Come prevede la legge, dopo il 31 dicembre non concederò<br />

più la gestione delle discariche ai privati. C’è bisogno di un<br />

soggetto pubblico, di una società a capitale pubblico. Se i vostri<br />

comuni,” ci disse, “insieme ad altri del circondario, dessero<br />

vita a un soggetto giuridico di tal fatta, ad esso affiderei la<br />

gestione della nuova discarica, e provvisoriamente, fino a quando<br />

questa non verrà realizzata, quella di Tiritì. Ma bisogna fare<br />

in fretta. Tutto dipende da voi.”<br />

Ci salutammo dichiarando i nostri buoni propositi.<br />

Chiamai la mia esperta, avv. Angela Vecchio, e le assegnai<br />

il compito di lavorare per mettere su, in breve tempo, una società<br />

pubblica.<br />

Angela, con il suo solito impegno, si buttò a capofitto. Indisse<br />

incontri e riunioni con i sindaci dei comuni vicini. Ben<br />

otto comuni aderirono all’iniziativa e, a metà dicembre, fu costituita<br />

la società denominata “Etnambiente”. Misterbianco divenne<br />

il comune capofila con il 70% del capitale sociale. Il<br />

resto fu sottoscritto dai comuni di Biancavilla, Camporotondo,<br />

San Pietro Clarenza, Riposto, S. Maria di Licodia, Valverde,<br />

Zafferana. Motta Sant’Anastasia, all’ultimo momento, decise<br />

stranamente di non aderire.<br />

Consegnammo subito l’atto costitutivo della nuova società<br />

138


al prefetto. Questi si mostrò sorpreso della nostra tempestività<br />

e, stranamente, ci apparve meno entusiasta rispetto ai precedenti<br />

incontri. Incominciò a chiedere tempo. <strong>Di</strong>sse che bisognava<br />

consultare i tecnici e i giuristi, prima di negare la gestione<br />

della discarica al privato e affidarla alla nuova società<br />

Etnambiente. Accampò altri mille pretesti e, alla fine, chissà<br />

per quali misteriose ragioni, non se ne fece più nulla.<br />

Intervennero minacce? Pressioni politiche? Altro ancora? Chi<br />

può dirlo? Nuddu sapi i vai dâ pignata su non sulu a cucchiara<br />

ca i rrimina! 1 Fatto è che tutto si arenò placidamente.<br />

Non solo, ma avendo lo stesso prefetto disposto la chiusura<br />

delle discariche provvisorie che i vari comuni avevano nel tempo<br />

realizzato, quello di Tiritì rimase, di fatto, l’unico impianto<br />

funzionante al servizio di buona parte dei comuni delle province<br />

di Catania e di Messina. Più di mille tonnellate di rifiuti,<br />

ogni giorno, convogliavano indisturbati a Tiritì che divenne<br />

meta di colonne interminabili di camion stracolmi di spazzatura<br />

e di miliardi per le tasche dei gestori.<br />

<strong>Di</strong> realizzare la nuova discarica non si parlò più, quasi che<br />

fosse bastata l’individuazione del sito per risolvere il problema.<br />

Le belle dichiarazioni d’intenti del prefetto svanirono nel<br />

nulla. Cessarono gli incontri organizzativi in prefettura. Il “galoppo”<br />

si trasformò ben presto in una risoluta e sorda immobilità.<br />

Tutto tornò nel molle ventre del dimenticatoio e il provvisorio<br />

divenne, come al solito, definitivo.<br />

Con il sopraggiungere dell’estate, l’acre e pungente fetore<br />

della discarica tornò a fare capolino. Inviai numerose lettere al<br />

prefetto e al commissario regionale per i rifiuti, per allertarli<br />

sulla grave situazione ambientale. Ma nulla accadde. Proposi<br />

al consiglio comunale di approvare un ordine del giorno di protesta,<br />

ma esso, inopinatamente, rinviò la discussione. Continuai<br />

la battaglia, tappezzando l’intera città di manifesti con i<br />

1 Nessuno conosce i guai della pentola, tranne il cucchiaio che li mescola.<br />

139


quali chiedevo la chiusura immediata di Tiritì e denunciando<br />

alla stampa gli ingiustificati ritardi del prefetto.<br />

Il 5 novembre del 2000 la discarica “scoppiò”. Venne giù<br />

un pezzo di montagna, fatta non di terra e rocce, ma di rifiuti e<br />

fetore, un pezzo di quell’immondezzaio che, da anni, custodiva<br />

i segreti scarti di una bella fetta di Sicilia orientale. L’accumulo<br />

di biogas aveva provocato una sorda esplosione e quella<br />

gigantesca frana.<br />

Misterbianco e Motta Sant’Anastasia vennero investiti, per<br />

una settimana, da miasmi insopportabili che costrinsero i cittadini<br />

a rimanere chiusi in casa.<br />

Immediatamente, telegrafai al ministro dell’Ambiente,<br />

Bordon, a quello dell’Interno, Bianco, e al presidente della<br />

Regione, Leanza, invocando la dichiarazione dello stato d’emergenza<br />

ambientale.<br />

Seguì una serie di riunioni a Palermo con il sub commissario<br />

all’emergenza rifiuti, dott. Nicola Scialabba, e con i prefetti<br />

di Catania e di Messina. Mi battei affinché almeno i rifiuti del<br />

140<br />

Particolare della frana nella discarica di Tiritì


messinese non venissero più conferiti a Tiritì. Alla fine, quella<br />

richiesta venne accolta. Ma la vecchia discarica, in attesa della<br />

nuova, doveva continuare a rimanere aperta per i comuni del<br />

catanese.<br />

Sotto la spinta di quella grave emergenza e dietro la mia<br />

insistenza, il 17 febbraio del 2001, il prefetto di Catania, dott.<br />

<strong>Di</strong> Pace, nel frattempo subentrato a Blonda, firmava finalmente<br />

l’autorizzazione alla realizzazione della nuova discarica, sempre<br />

in territorio di Motta Sant’Anastasia, ma più a sud e più<br />

lontana dai centri abitati.<br />

I mesi, però, passavano invano e nulla si muoveva. Il previsto<br />

finanziamento, da parte della regione, inspiegabilmente<br />

non veniva decretato. Era evidente che forti interessi e importanti<br />

pressioni politiche erano intervenuti per impedire che<br />

la nuova discarica venisse realizzata. Solo così, quella vecchia<br />

poteva continuare, sempre “provvisoriamente” s’intende,<br />

a lavorare.<br />

Il 13 maggio del 2001 si erano tenute le elezioni politiche e,<br />

proprio nel collegio senatoriale che comprendeva anche<br />

Misterbianco, veniva eletto Domenico Sudano, a favore del<br />

quale i gestori della discarica si erano fortemente impegnati,<br />

nel corso della campagna elettorale. E, nelle sue sempre più<br />

frequenti apparizioni in paese, il senatore soleva farsi accompagnare<br />

da un certo Vincenzo Coppola, direttore della discarica<br />

di Tiritì, dal pedigree penale intenso e colorito.<br />

In occasione dei festeggiamenti in onore di S. Antonio Abate,<br />

accadde un fatto imprevisto di cui fui involontario protagonista.<br />

La festa del Patrono si svolge ogni tre anni in piena estate e<br />

si protrae per diversi giorni. Il lunedì, giornata conclusiva, si<br />

celebra, in Cattedrale, la messa Pontificale alla presenza delle<br />

autorità civili e militari; è quello uno dei momenti più significativi<br />

dei festeggiamenti.<br />

Alle dieci e trenta tutto era pronto per la cerimonia solenne.<br />

La chiesa era gremita. Entrai accompagnato dalla giunta al gran<br />

completo, dal presidente del consiglio, dai consiglieri provin-<br />

141


ciali e da alcuni consiglieri comunali.<br />

Come da protocollo, indossando la vistosa fascia tricolore,<br />

offrivo in dono al Santo Patrono un cesto di turgide rose rosse,<br />

retto da due vigili urbani in alta uniforme che mi precedevano<br />

con incedere solenne. Accompagnai il cesto fino ai piedi dell’altare.<br />

Mi girai e mi avviai verso il settore riservato alle autorità.<br />

Ma, con stupore, notai che, in prima fila, accanto al senatore<br />

Sudano, si erano seduti il direttore della discarica, Vincenzo<br />

Coppola e Domenico Proto, figlio del titolare della stessa.<br />

Mi sentii trasecolare. Quei due personaggi occupavano quei<br />

posti sfacciatamente, come se fossero autorità. Un brivido di<br />

indignazione mi assalì. Che messaggio si dava alla città? I titolari<br />

della discarica erano divenuti, d’un colpo, i rappresentanti<br />

di Misterbianco? Il senatore aveva esagerato. Misterbianco non<br />

era casa sua!<br />

Non esitai un momento. “Questi posti sono riservati alle<br />

autorità,” dissi risoluto agli organizzatori dei festeggiamenti,<br />

“invitate coloro che non ne fanno parte ad accomodarsi altrove,<br />

altrimenti sarò io ad abbandonare la cerimonia.”<br />

Seguì un momento di panico. Il senatore rimase immobile<br />

come una pietra. Qualcuno si avvicinò ai due che, imbarazzati,<br />

si allontanarono.<br />

Il fatto non passò inosservato. In un baleno, fra un bisbiglio<br />

e l’altro, la notizia di quell’episodio raggiunse le ultime file in<br />

fondo alla chiesa e, ancor prima che si concludesse la funzione<br />

religiosa, aveva già fatto il giro del paese.<br />

La sera partecipai con mia moglie alle tradizionali “cantate”<br />

in piazza della Repubblica, l’antico “salotto” del paese.<br />

La piazza, interamente restaurata a partire dalla pavimentazione<br />

in pietra lavica e dall’illuminazione artistica fino al rifacimento<br />

delle facciate dei quattro storici palazzi che la racchiudono,<br />

era stracolma di cittadini che, rinnovando la secolare<br />

tradizione, intonavano, in onore del Patrono, gli inni dei<br />

quattro quartieri.<br />

142


Esecuzione degli inni in onore di Sant’Antonio Abate (piazza della Repubblica)<br />

Dopo la mezzanotte, conclusisi i festeggiamenti, ci avviammo<br />

verso casa. Prima di arrivare, avvertimmo un forte odore di<br />

benzina. Ci avvicinammo all’uscio con circospezione. Accostata<br />

al portone, mia moglie notò una grossa bottiglia di plastica<br />

piena di benzina, malamente avvolta in un giornale. “Volevano<br />

incendiare la casa,” esclamò tremante. Istintivamente, ci<br />

allontanammo di qualche metro. Presi il telefonino e chiamai i<br />

carabinieri. In pochi secondi, giunse una volante.<br />

Il maresciallo Todaro, trafelato in volto, prese in consegna<br />

quell’involucro e, nell’intento di rassicurare mia moglie, ci disse:<br />

“Andate a letto, non è successo nulla di grave. Penseremo<br />

noi a presidiare il quartiere per tutta la notte.” M’invitò ad aprire<br />

la porta e ci accompagnò per le scale. Poi mi sussurrò, sottovoce:<br />

“Quest’atto ha tutta l’aria di un avvertimento, di un messaggio<br />

mafioso. Rassereni sua moglie. Domani, con calma,<br />

approfondiremo ogni cosa.”<br />

Attendemmo con ansia che rincasassero i nostri ragazzi.<br />

È nostra abitudine farli partecipi di ciò che accade intorno a<br />

noi.<br />

143


Da anni, ormai, dai tempi della scorta, non avevo più subito<br />

minacce o intimidazioni. Non mi fu facile prendere sonno. Il<br />

pensiero di esporre nuovamente la mia famiglia a così gravi<br />

rischi mi turbava profondamente e mi faceva sentire in colpa.<br />

L’indomani, sia i giornali sia le emittenti televisive, riportarono<br />

la notizia.<br />

Mi giunse immediata la solidarietà di tanti esponenti politici<br />

e sindacali. Si tenne una calda manifestazione alla quale parteciparono<br />

centinaia di cittadini e molti sindaci. Furono davvero<br />

tanti gli attestati di affettuoso incoraggiamento che ricevetti<br />

in quei giorni.<br />

Ai giornalisti che mi chiedevano da dove potesse provenire<br />

quell’intimidazione, risposi: “Prove non ne ho, ma certamente<br />

la lotta che la mia amministrazione ha portato e porta avanti<br />

contro la piaga del racket e quella, altrettanto decisa, per la<br />

chiusura della discarica di Tiritì, sono le direzioni in cui guardare.”<br />

Il prefetto mi invitò ad una riunione del Comitato per l’ordine<br />

e la sicurezza. Si discusse a lungo di malavita, di racket e<br />

anche di quanto era accaduto in Cattedrale, quel lunedì della<br />

festa.<br />

Il questore espresse il suo punto di vista: “È questione di<br />

carattere. Io, in quella Chiesa, se fossi stato in lei, avrei evitato<br />

di compiere un gesto così eclatante e mi sarei accomodato qualche<br />

fila più indietro.”<br />

“No! Ero lì in veste ufficiale e non potevo far finta di nulla.<br />

Certi comportamenti non si possono tollerare, pena la perdita<br />

della propria credibilità. E se un sindaco perde la faccia, non<br />

può rappresentare degnamente la comunità e deve andare subito<br />

a casa!” gli risposi seccamente.<br />

Uscii deluso da quella riunione. Mi aspettavo una parola di<br />

sostegno e di incoraggiamento dai massimi esponenti delle forze<br />

dell’ordine provinciali e, invece, mi giungeva un deprimente<br />

messaggio di fatalismo e di rassegnazione, un velato invito a<br />

smorzare i toni, a lasciar correre. Un messaggio che anticipava,<br />

di qualche mese, il pensiero del ministro Lunardi secondo<br />

144


cui bisogna abituarsi a convivere con la prepotenza e la mafia.<br />

Ma più di tutto mi sbalordirono le parole del questore. Questi,<br />

pur provenendo da un’altra parte d’Italia, aveva ben assimilato,<br />

nella sua breve permanenza in Sicilia, l’antico omertoso<br />

insegnamento: “Cu picca parràu, mai si pintìu 2 e u fuiri è<br />

virgogna ma è sarvamentu î vita.” 3<br />

Nella battaglia per sollecitare la realizzazione della nuova<br />

discarica mi ritrovai sempre più solo. Lo stesso consiglio comunale<br />

avanzava perplessità sul nuovo sito. Sembrava non capire<br />

che contrastare la realizzazione della nuova discarica, di fatto,<br />

significava tenere in vita quella vecchia, fuorilegge e pericolosa,<br />

perpetuando la minaccia ecologica per il nostro territorio.<br />

Fu una battaglia disperata. Ogni mia richiesta s’infrangeva<br />

contro il muro di gomma della prefettura. Esasperato, a fine<br />

anno, mi rivolsi, con una pungente lettera, al ministro dell’Interno<br />

e al presidente della Regione.<br />

Finalmente, nel mese di aprile del 2002, giunse la notizia<br />

del finanziamento di dodici miliardi e mezzo di lire per la realizzazione<br />

della nuova discarica. Il prefetto, ora, poteva bandire<br />

la gara d’appalto. Non avrebbe avuto più alibi.<br />

Ma, nel frattempo, la mia sindacatura era giunta al termine.<br />

Si insediò al comune la nuova amministrazione che aveva<br />

vinto le elezioni grazie anche all’aperto sostegno elettorale dei<br />

titolari della discarica e dei loro referenti politici. Nessuno più<br />

parlò di realizzare la nuova discarica né di chiudere la vecchia.<br />

Giunse l’estate e con essa, puntualmente, l’intenso fetore<br />

del biogas tornò ad invadere il paese. Questa volta, però, nessuna<br />

protesta si levò. Le narici della sindaca erano rimaste otturate<br />

dagli interessi dei titolari della discarica, suoi grandi elettori.<br />

2 Chi parla poco, mai ha da pentirsi.<br />

3 Darsi alla fuga è vergognoso, ma salva la vita.<br />

145


Sembra incredibile, ma ancora oggi, in questa fredda e piovosa<br />

primavera del 2005, mentre riassumo questi frammentari<br />

ricordi, Tiritì continua “provvisoriamente” a divorare immondizia,<br />

nell’infinita attesa che la nuova discarica veda la luce.<br />

È amaro constatare che a cuntrastari principi e putenti, ti<br />

tagghi i çianchi e non cunchiudi nenti 4 .<br />

Proprio in questi giorni mi è stata notificata una querela, a<br />

firma del senatore Sudano e dei suoi amici della discarica, con<br />

la quale chiedono conto delle dichiarazioni che ho reso alla<br />

stampa a seguito dell’episodio della benzina cosparsa davanti<br />

alla mia abitazione.<br />

Che Iddio me la mandi buona! Con i tempi che corrono può<br />

succedere di tutto, perfino che un feroce lupo si trasformi in un<br />

candido agnello.<br />

146<br />

Post Scriptum. Appena in tempo per essere inserita a piè<br />

di questo capitolo, è apparsa sul giornale “La Sicilia”<br />

del 27/7/2005, a pag. 35, una notizia che da conto dell’esito<br />

finale della vicenda sopra raccontata, illuminandola<br />

di nuova luce.<br />

“… Il Commissaro delegato per l’emergenza rifiuti in<br />

Sicilia, su proposta del Prefetto di Catania, con propria<br />

ordinanza, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Regione<br />

Sicilia del 24/6/2005, fissa la tariffa per il conferimento<br />

dei rifiuti solidi urbani nella discarica privata di Tiritì,<br />

in e 57,26 a tonnellata.”<br />

L’articolo riferisce poi che la discarica, per i prossimi<br />

dieci anni, può continuare ad accogliere i rifiuti provenienti<br />

dai ventidue comuni autorizzati che ne conferiranno,<br />

ogni giorno, circa quattrocento tonnellate (un fatturato<br />

annuo di circa otto milioni di euro!) e che “… la<br />

nuova discarica pubblica prefettizia e comprensoriale è<br />

stata definitivamente accantonata stante ad una comu-<br />

4 A contrastare principi e potenti, ti logori la vita e non concludi niente.


nicazione del Prefetto ai comuni interessati, in quanto<br />

sarebbe venuto meno il motivo della somma urgenza per<br />

la sua realizzazione in sostituzione di quella di Tiritì,<br />

risultata idonea alla bisogna.”<br />

Dunque, il grande miracolo si è compiuto! La nuova discarica<br />

finanziata, dopo tante battaglie, nell’aprile 2002<br />

per dodici miliardi e mezzo di lire, non è più necessaria.<br />

Quella privata di Tiritì, più volte dichiarata illegittima e<br />

pericolosa da vari prefetti ed esperti del settore, oggi<br />

miracolosamente non è più tale e, quindi, può continuare<br />

a lavorare indisturbata malgrado la sua attività abbia<br />

minacciato e continui a minacciare concretamente<br />

la salubrità della città di Misterbianco.<br />

Chi ringraziare per questo straordinario prologo?<br />

L’attuale amministrazione comunale, per la sconcertante<br />

indifferenza e l’assordante silenzio (per non dire altro)<br />

dimostrati?<br />

Il commissario delegato per l’emergenza rifiuti in Sicilia,<br />

on. Totò Cuffaro, presidente della Regione, e di recente<br />

eletto vicesegretario nazionale dell’UDC?<br />

Il Sen. Domenico Sudano, antico amico dei gestori della<br />

discarica di Tiritì, segretario politico dell’UDC in Sicilia?<br />

Il Prefetto di Catania, dott.ssa Anna Maria Cancellieri,<br />

succeduta al suo collega, dott. <strong>Di</strong> Pace?<br />

Chi può dirlo?<br />

È certo comunque che “prodigi” di tal fatta accadono<br />

ancora in Sicilia.<br />

147


LA PROMESSA NON MANTENUTA<br />

In paese fervevano gli ultimi preparativi per il grande spettacolo<br />

di Carnevale. Da lì a qualche ora, i “costumi più belli di<br />

Sicilia” avrebbero sfilato per le principali vie cittadine.<br />

Era l’ultimo Carnevale del secolo e l’impegno degli organizzatori,<br />

per quella ricorrenza, era stato eccezionale. Venti<br />

imponenti carri allegorici e più di mille maschere componevano<br />

i cinque gruppi partecipanti: “Ange”, “Campanazza”, “La<br />

Burla”, “La Smorfia”, “Misterbianco 2000”. Per tempo, ogni<br />

gruppo aveva scelto un proprio tema conduttore al quale s’ispiravano<br />

sia i costumi sia i carri.<br />

Oramai, per Misterbianco, quella manifestazione era divenuta<br />

un grande evento; sicuramente la più coinvolgente festa<br />

popolare.<br />

Caduta nel dimenticatoio alla fine degli anni Ottanta, era<br />

riemersa prepotentemente nel ’94 e da allora, ogni anno, si era<br />

arricchita sempre più, fino a diventare una delle più importanti<br />

manifestazioni carnascialesche della Sicilia.<br />

Per il Carnevale si mobilita l’intera città. Si apre la gara, di<br />

casa in casa, per confezionare la maschera più originale, per<br />

ricamare il costume più sfarzoso. Nei cantieri improvvisati si<br />

gareggia, per tutto l’autunno, per realizzare i carri allegorici<br />

più spettacolari. Si lavora anche di notte, senza sosta e senza<br />

alcuno scopo di lucro. Solo la passione e il gusto di essere protagonisti<br />

spingono tante persone a tali enormi sacrifici.<br />

È questo, in fondo, il vero segreto del successo del Carnevale<br />

misterbianchese.<br />

Mi trovavo sul palco di via A. Gramsci, allestito per la giuria,<br />

quando fui raggiunto da una telefonata della questura. Mi<br />

chiedevano notizie di una condotta sotterranea che attraversava<br />

il quartiere di Lineri.<br />

149


“Ieri pomeriggio, a Lineri, è scomparso un ragazzo, lo stiamo<br />

cercando in ogni dove,” mi annunciava il vicequestore.<br />

Cadevo dalle nuvole. Nessuno mi aveva avvisato di un fatto<br />

così grave.<br />

“Ma come,” pensai arrabbiato, “sparisce un ragazzo dalla<br />

città e non si avverte il sindaco?”<br />

Sconcertato, mi precipitai sul posto.<br />

Trovai un’indescrivibile confusione: vigili del fuoco, carabinieri,<br />

reparti cinofili della polizia e una moltitudine di persone<br />

che, come succede in questi casi, sentenziava fantasiose ipotesi<br />

ed elargiva “ponderati” e gratuiti consigli.<br />

Mi venne incontro il capitano Andrea Chittero, comandante<br />

dei carabinieri della compagnia di Fontanarossa, che conoscevo<br />

da alcuni anni. Mi chiedeva informazioni sulla lunghezza e<br />

lo sbocco della condotta del canale di gronda, realizzata alla<br />

fine degli anni Ottanta. Si era sparsa la voce che si fossero<br />

udite provenire da quel cunicolo grida e invocazioni d’aiuto.<br />

Gli fornii tutti i ragguagli e gli indicai la botola principale<br />

dalla quale si poteva accedere al canale con facilità. Lestamente,<br />

due carabinieri si calarono giù, con una potente torcia in<br />

mano, per ispezionarla. Dopo un po’, risalirono delusi, esclamando:<br />

“Non c’è nulla. Qui dentro è pieno solo di ragnatele e<br />

fuliggine. Nessuno vi è passato di recente.”<br />

Chiesi chi fosse il ragazzo scomparso.<br />

“Giuseppe Sammiceli,” mi risposero. “Si è allontanato da<br />

casa sabato pomeriggio, intorno alle quindici e trenta, e non è<br />

più rincasato”.<br />

Rimasi impietrito. Conoscevo bene quel ragazzo. Frequentava<br />

la terza media della Don Milani. Giuseppe era un tipo<br />

vispo e allegro. Quante volte, con il suo ciuffetto biondo, l’avevo<br />

incrociato in piazza Berlinguer!<br />

Ero solito soffermarmi in quella piazza con i ragazzi tosti e<br />

spigliati come lui. Mi accoglievano con simpatia ed io ci tenevo<br />

a conquistare la loro amicizia. Mi divertivo a stuzzicarli e<br />

spesso, a mo’ di scherzo, davo loro affettuosi scappellotti. Peppe,<br />

così lo chiamavano gli amici, offriva spontaneamente e con<br />

150


aria di sfida la sua faccia, come a dire: “Io non ho paura.” Aveva,<br />

senza dubbio, una forte personalità che lo rendeva leader<br />

indiscusso del suo gruppo.<br />

“Dove hanno potuto portare quel ragazzo,” mi chiedevo<br />

angosciato. “Cosa ha mai potuto fare di così grave da scomparire<br />

dalla faccia della terra?”<br />

Corsi a casa dei suoi genitori. Il padre era ancora in giro per<br />

le campagne, in cerca del suo figliolo. La mamma mi accolse<br />

senza parlare. Era circondata da amici e parenti in lacrime.<br />

Aveva il volto smunto e pallido come la luna. Sembrava una<br />

ragazzina sperduta. Quella scena desolante mi lasciò senza respiro.<br />

Scesi le scale con aria sconfitta. Mi sentivo ferito due volte.<br />

Non solo per quel povero ragazzo, vittima di chissà quale atrocità,<br />

e per quella famiglia piombata nella più nera disperazione,<br />

ma anche per l’amarezza di vedere vanificato lo sforzo profuso,<br />

in tanti anni, per riscattare le frazioni dalla violenza e<br />

dalla barbarie.<br />

Vivevo quella scomparsa come una solenne batosta.<br />

In un attimo, mi sentii scaraventato ai drammatici inizi degli<br />

anni ’90. Pensai a Giuseppe Torre, lo sventurato giovane<br />

che il 16 febbraio del ’92 era stato sequestrato in piazza Dante<br />

da un commando di delinquenti travestiti da carabinieri. Un<br />

pentito, più tardi, avrebbe raccontato ai magistrati la tragica<br />

fine di quel giovane incolpevole. Perché figlio di un boss mafioso,<br />

era stato barbaramente picchiato a morte e poi bruciato<br />

vivo dentro una catasta di copertoni.<br />

Ora, la sparizione di Peppe riapriva quella vecchia ferita.<br />

Le ricerche proseguirono senza sosta, per diversi giorni, fra<br />

le sciare e le grotte di lava circostanti, ma di Peppe nessuna<br />

traccia.<br />

Non potevamo più aspettare in silenzio. Volevamo far sentire<br />

la nostra voce. Decidemmo, con la preside della scuola di<br />

Peppe, Agata Grasso, di organizzare una manifestazione pubblica.<br />

Più di mille ragazzi, dopo avere sfilato insieme ai loro pro-<br />

151


Manifestazione per la scomparsa di Giuseppe Sammiceli (piazza E. Berlinguer)<br />

fessori per le strade di Lineri, si raccolsero in piazza Berlinguer.<br />

In tanti prendemmo la parola. “Giuseppe torna in classe, non<br />

importa se sei in ritardo… giustificherai dopo,” disse fra le<br />

lacrime la sua professoressa.<br />

I compagni di classe sollevavano piangendo un grande cartellone<br />

con la scritta: “Ridateci Peppe.”<br />

In quel clima di doloroso smarrimento solo don Antonio, il<br />

parroco di Serra, riuscì ad esprimere parole di conforto.<br />

La commozione ci avvolse. Tornammo a casa desolati.<br />

Quella scomparsa mi affliggeva il cuore.<br />

In quei giorni si vociferava che Giuseppe, ragazzo difficile,<br />

fosse entrato in un giro pericoloso, in un gioco molto più grande<br />

di lui.<br />

“Ma se è vero,” mi chiedevo, “dove siamo stati noi grandi?<br />

Quale sonno ci ha impedito di scorgere la rovinosa strada che<br />

aveva imboccato quel ragazzo?”<br />

La tragica disavventura di Peppe rappresentava per tutta la<br />

società una pesante e cocente sconfitta. La scuola non aveva<br />

saputo trovare la chiave per aprire il suo animo e legarlo a sé;<br />

152


chi gli era vicino non era riuscito a cogliere in tempo quell’invocazione<br />

d’aiuto che, forse, si nascondeva dietro la sua spavalda<br />

e ostentata sicurezza; neppure le forze dell’ordine avevano<br />

esercitato quell’efficace controllo sul territorio per preservare<br />

Peppe dai terribili pericoli cui l’ingenuità dei suoi tredici<br />

anni lo esponeva. In tanti avevamo fallito con Giuseppe,<br />

ed io, come sindaco, non meno degli altri.<br />

Con animo sconsolato, promisi, in cuor mio, a quello sfortunato<br />

ragazzo che non l’avrei dimenticato e che, se l’attesa<br />

del suo ritorno si fosse rivelata vana, una piazza di Lineri avrebbe<br />

portato il suo nome.<br />

La piazzetta e il parco giochi di via Borsellino, nella primavera<br />

del 2002, erano pronti per essere inaugurati.<br />

<strong>Di</strong> Giuseppe nessuna notizia. Erano trascorsi ormai più di<br />

due anni dalla sua scomparsa.<br />

Chiesi ai suoi genitori il permesso di intitolargli quella struttura.<br />

Me lo negarono. Non si erano ancora rassegnati e volevano<br />

continuare a sperare.<br />

<strong>Di</strong> fronte a quell’invalicabile diniego, non potei insistere.<br />

Ero obbligato a rispettare quella vana e disperata attesa e, con<br />

rammarico, dovetti rinunciare a mantenere la mia segreta promessa.<br />

Inaugurammo la piazza, ma non volli darle un nome. Per<br />

me, rimaneva idealmente intitolata a Giuseppe Sammiceli, piccola<br />

vittima di un mondo violento e senza scrupoli.<br />

153


LA LOTTERIA DELLA CAPARBIETÀ<br />

Ero nel mio ufficio a ricevere i cittadini, quel freddo pomeriggio<br />

di novembre del 2000.<br />

Una giovane donna, abbandonata dal marito, mi chiedeva<br />

angustiata di poter lavorare. “Non riesco più a vivere,” mi diceva,<br />

tenendo sulle gambe la sua tenera bambina dai capelli<br />

nerissimi; “mio marito è scappato in Germania con un’altra<br />

donna ed io, per vivere e mantenere la mia Giusy, non so come<br />

fare. Qualsiasi lavoro per me va bene, purché sia onorato. Voglio<br />

che mia figlia, da grande, cammini a testa alta.”<br />

La dignità e l’orgoglio di quella donna non mi davano<br />

scampo.<br />

Mentre cercavo una risposta a quella drammatica esigenza,<br />

squillò il telefono. “Nino, sei fortunato. Ti sei aggiudicato<br />

Urban 2. Misterbianco è stato l’unico comune siciliano ad<br />

entrare nel programma europeo,” mi gridò una voce dall’altro<br />

capo del telefono.<br />

Era il mio amico Turi Zinna che, da Palermo, mi dava quella<br />

strepitosa notizia.<br />

Non credevo alle mie orecchie. Urban 2 era un concorso<br />

indetto dall’Unione Europea e rivolto ai comuni, con popolazione<br />

non inferiore a ventimila abitanti, che avessero presentato<br />

progetti mirati al recupero urbano, sociale ed economico di<br />

territori disagiati. Per ogni comune, era previsto un finanziamento<br />

complessivo di ottanta miliardi di lire da investire in sei<br />

anni, dal 2000 al 2006. Sarebbero stati ammessi solo cinquanta<br />

comuni per tutta la Comunità Europea, di cui dieci per l’Italia.<br />

La notizia che Misterbianco fosse fra i dieci comuni prescelti<br />

mi appariva inverosimile.<br />

Con Turi ci conoscevamo da parecchi anni. Vecchio sindacalista<br />

della CGIL, era stato eletto, nel ’93, sindaco di Catenanuo-<br />

155


va. Nel ’97 non era stato rieletto e ora prestava la sua opera di<br />

consulente per le politiche europee, a Catania, per la giunta<br />

Scapagnini. Aveva appreso quella notizia la mattina stessa, a<br />

Palermo. Gliela aveva confidata, in via riservata, il suo amico<br />

on. Mangiacavallo, sottosegretario ai Lavori Pubblici. E ora, con<br />

quella telefonata, aveva avuto l’amabilità di anticiparmela.<br />

Non stavo più nella pelle. Scesi a prendere un caffè al bar<br />

vicino al comune. Risalii in ufficio.<br />

Angela Privitera, la mia affettuosa collaboratrice, violando<br />

la sua abituale discrezione, mi chiese: “Cos’è successo, sindaco?<br />

Dopo quella telefonata da Palermo mi sembra un altro.”<br />

La rassicurai con un sorriso e le dissi: “A volte, anche le buone<br />

notizie, quando giungono improvvise, possono sconvolgere.”<br />

La sala d’attesa era stracolma di cittadini che pazientemente<br />

aspettavano di essere ricevuti. Ma la mia mente era oramai<br />

fuori controllo. Non ero più in condizione di continuare il ricevimento.<br />

Inventai una scusa e andai a casa.<br />

Mia moglie, con uno sguardo, espresse la sua meraviglia nel<br />

vedermi rientrare a quell’ora inconsueta. Tutti i mercoledì rincasavo<br />

tardi e così esausto che spesso andavo a letto senza cenare.<br />

Quello era il pomeriggio dedicato al ricevimento dei cittadini.<br />

In quel giorno, la parte dolente della comunità si rivolgeva<br />

a me come ad un santo guaritore. Molti chiedevano un posto<br />

di lavoro, altri mostrava una bolletta scaduta o l’avviso di<br />

sfratto, qualcuno, addirittura, minacciava il suicidio. Tutti si<br />

aspettavano una risposta. Ma io potevo aiutarli soltanto raramente<br />

e, con indicibile frustrazione, misuravo la mia impotenza<br />

di fronte ai loro drammi. Quel disagio, confidato senza veli,<br />

mi contagiava e mi faceva stare male. Il mio umore, man mano,<br />

s’inabissava nel più nero sconforto, da cui solo il sonno riusciva<br />

a sollevarmi. Il mercoledì era per me, senza dubbio, la giornata<br />

più difficile della settimana.<br />

Comunicai a mia moglie la bella notizia. Con una birra ghiacciata<br />

brindammo alla nuova Misterbianco che si faceva strada<br />

in Europa.<br />

Ritornato al comune, telefonai alla mia amica Angela Vec-<br />

156


chio, l’artefice principale del progetto vincitore del concorso<br />

Urban 2.<br />

L’avevo conosciuta a Palermo, in occasione del congresso<br />

regionale dei comuni siciliani. Nel ’93, era stata eletta sindaco<br />

di Randazzo. Caparbia e volitiva, si era immersa in quel ruolo<br />

con passione e con la competenza giuridica che le derivava<br />

dalla sua professione di avvocato. Nel ’97, per soli diciassette<br />

voti, non era stata rieletta. Così, Randazzo si era privata dell’apporto<br />

e della guida di una sua preziosa figlia, che si sarebbe<br />

rivelata poi, per Misterbianco, una vera e propria fortuna.<br />

La incontrai, dopo qualche tempo, a Belpasso, ad un convegno<br />

organizzato dal sindaco Saro Spina. Si dibatteva delle<br />

immense risorse finanziarie che la Comunità europea avrebbe<br />

messo a disposizione della regione Sicilia, con “Agenda<br />

2000”. Angela intervenne in quel dibattito con argute argomentazioni,<br />

destando la mia attenzione. Le prospettai l’idea<br />

di lavorare a Misterbianco, in qualità di consulente per le<br />

politiche europee.<br />

“Randazzo non ti ha saputo apprezzare, vieni a Misterbianco<br />

e dimostrerai il tuo valore,” le dissi davanti a quel giovanottone<br />

di suo marito che fumava in continuazione sbuffando come<br />

una ciminiera. E aggiunsi: “Potrai organizzare il tuo lavoro in<br />

piena autonomia. Vedrai che qualcosa di buono, insieme, riusciremo<br />

a fare.”<br />

Quella proposta la colse di sorpresa. Mi chiese qualche giorno<br />

di tempo.<br />

Il lunedì successivo venne a trovarmi in municipio. “Ci ho<br />

pensato,” mi disse, “mi butto. Per me è un’esperienza nuova.<br />

Comincerò da Misterbianco.”<br />

Le assegnai una stanza vicino al mio ufficio. Si accomodò,<br />

posò la sua borsa sul tavolo e cominciò a lavorare.<br />

Angela entrò subito in partita e divenne un prezioso jolly<br />

dell’amministrazione. Seguì numerose iniziative. La sua versatile<br />

e vulcanica personalità contagiò più di un assessore. Con<br />

il vicesindaco instaurarono un’ottima intesa e insieme lavora-<br />

157


ono per istituire la raccolta differenziata dei rifiuti. Organizzarono<br />

una grande campagna d’informazione, distribuendo a<br />

tutta la popolazione scolastica un opuscoletto illustrativo sull’utilità<br />

e sulle modalità per differenziare i rifiuti e un attrezzo<br />

per comprimere le bottiglie di plastica vuote e ridurne il volume.<br />

Fecero dislocare i contenitori per raccogliere la plastica, il<br />

vetro, la carta, le lattine e gli indumenti usati. Avviarono la<br />

raccolta a domicilio degli imballaggi di cartone, presso tutte le<br />

aziende della zona commerciale. In pochi mesi, il servizio decollò<br />

e, a fine anno, la percentuale di rifiuti differenziati raggiunse<br />

l’ambita soglia del 20%.<br />

Sull’onda di quel successo, Angela riuscì ad ottenere dalla<br />

regione un finanziamento di settecento milioni di lire per realizzare<br />

una piattaforma ecologica per la raccolta differenziata<br />

che, in seguito, venne costruita in un’area attigua all’ingresso<br />

principale del paese.<br />

Ma il suo impegno principale rimase quello di seguire le<br />

procedure per acquisire fondi europei.<br />

Due miliardi e mezzo di lire si ottennero con il POR Sicilia,<br />

per la sistemazione di via Ferrara e la realizzazione delle strutture<br />

sportive di via Salerno. E ancora, con il PIT 35 di Catania,<br />

dieci miliardi di lire per l’ampliamento di corso Carlo Marx e<br />

il restauro dello stabilimento di Monaco, e cinquecento milioni<br />

per la realizzazione del museo contadino della “Milicia”.<br />

Con Agenda 21, infine, fu finanziato uno studio di sviluppo<br />

sostenibile nel territorio.<br />

A fine luglio – eravamo nell’estate del 2000 – Angela tornò<br />

dalle vacanze con una novità.<br />

Aveva letto sulla Gazzetta Ufficiale il bando di concorso<br />

europeo denominato Urban 2 e m’incitò a che Misterbianco<br />

partecipasse. Bisognava redigere, rispettando determinati parametri,<br />

un programma d’interventi, rivolti a migliorare la qualità<br />

della vita sul territorio, da realizzarsi in sinergia e con la<br />

partecipazione finanziaria del comune, della provincia, della<br />

regione e dei privati.<br />

158


Le espressi le mie perplessità sull’opportunità di partecipare<br />

a quel bando. Mi sembrava velleitario pensare di aggiudicarsi<br />

un concorso aperto a tutti i comuni europei.<br />

Angela disarmò il mio pessimismo: “Lo so che è una lotteria;<br />

ma la lotteria non la vinci se non compri almeno un biglietto.<br />

E poi, i criteri per l’aggiudicazione sono oggettivi. Con l’Europa<br />

non ci sono raccomandazioni e ognuno sarà valutato in<br />

base al proprio valore. Vale la pena di tentare.”<br />

Così, pur senza farci illusioni, partecipammo a quel concorso.<br />

Angela si occupò di tutto, anche degli esperti che dovevano<br />

lavorare a quel progetto. Chiamò l’ing. Roberto De Benedictis,<br />

un sobrio e raffinato siracusano che si era occupato del recupero<br />

urbanistico di Ortigia, il prof. Paolo La Greca, ordinario di urbanistica<br />

all’Università di Catania, e il dottor Sergio Campanella,<br />

sociologo ed esperto conoscitore delle procedure dei bandi<br />

europei.<br />

Si lavorò un’intera estate. Il parco di progetti esecutivi, che,<br />

negli anni, avevamo redatto per bonificare i quartieri abusivi, fu<br />

alla base del programma che prevedeva anche la realizzazione<br />

di quattro importanti strutture, definite “Laboratori”. Un “Laboratorio<br />

di città,” nella zona Toscano, per le attività culturali, comprendente<br />

un teatro da seicento posti e un grande auditorium.<br />

Un “Laboratorio per l’occupazione”, a Belsito, per favorire l’acquisizione<br />

di conoscenze di base per l’inserimento nel mondo<br />

del lavoro. Un “Laboratorio artistico”, a Serra – Poggio del Lupo,<br />

per iniziative nel campo delle arti figurative: pittura, scultura,<br />

musica e fotografia. Un “Laboratorio sociale”, a Lineri –<br />

Montepalma, con una ludoteca e strutture per la riabilitazione<br />

sociale di giovani, di minori a rischio e di soggetti svantaggiati.<br />

Notevoli investimenti erano previsti anche nel campo dell’ecologia,<br />

dei trasporti e della rete idrica.<br />

Completavano il programma varie iniziative a favore di soggetti<br />

diversamente abili, un articolato piano di formazione professionale<br />

e incentivi all’imprenditoria giovanile per la creazione<br />

e lo sviluppo di attività economiche. A questi ultimi era<br />

159


destinato un contributo a fondo perduto, fino ad un massimo di<br />

cento milioni di lire.<br />

La compartecipazione di più soggetti, requisito essenziale<br />

del bando, venne conseguita grazie alla felice coincidenza dei<br />

finanziamenti della regione per la scuola Milicia, della provincia<br />

per l’ampliamento della strada Misterbianco - San Giovanni<br />

Galermo, e del privato che s’impegnava a costruire una piscina<br />

al servizio della comunità.<br />

Il programma fu condiviso, anche attraverso la sottoscrizione<br />

di protocolli d’intesa, dalle istituzioni scolastiche e religiose<br />

e dalle associazioni sindacali. Fu denominato “Le città<br />

possibili” e, a fine settembre, dopo l’approvazione del consiglio<br />

comunale, fu presentato al Ministero dei Lavori Pubblici.<br />

Andai io stesso, con l’ing. Roberto De Benedictis, a Roma,<br />

anche perché volevo assumere informazioni sulla possibilità<br />

di ottenere finanziamenti dal ministero per completare la rete<br />

fognante comunale.<br />

Consegnammo il progetto Urban nelle mani dell’architetto<br />

Loredana Campagna, responsabile dell’ufficio. Gli armadi di<br />

quella stanza erano pieni di decine di progetti già presentati da<br />

altrettanti comuni. Vi si leggevano i nomi di importanti città:<br />

Milano, Torino, Genova, Venezia, Napoli, Bari e quelli di tanti<br />

altri comuni meno noti; e poi, fra quelli siciliani: Catania, Gela,<br />

Messina, Caltagirone, Palermo, Paternò, Mazara Del Vallo.<br />

Alla vista di tutti quei progetti e del peso dei comuni che li<br />

presentavano, pensai che non ci sarebbe stata per noi alcuna<br />

speranza e che avevamo perso il nostro tempo.<br />

Scesi al primo piano del ministero e appresi, con disappunto,<br />

che per le fognature non c’erano risorse.<br />

In compagnia di Roberto, quella giornata romana passò in<br />

un batter d’occhio. Pranzammo a Campo dei fiori, in un tipico<br />

ristorante di fronte al cupo monumento a Giordano Bruno, il<br />

monaco eretico che finì sul rogo pur di non ritrattare i suoi<br />

convincimenti religiosi e culturali.<br />

Roberto è un uomo schivo e cortese. I lineamenti del suo<br />

volto minuto, i pungenti occhi scuri, la capigliatura folta e ar-<br />

160


icciata, l’eleganza del portamento, sembrano ricalcare i tratti<br />

di una scultura virile ellenica. Devo a Urban la conoscenza di<br />

questa cara persona con cui nacque subito un rapporto di intensa<br />

amicizia.<br />

A fine dicembre fu resa nota la graduatoria. Ci eravamo classificati<br />

terzi, insieme alla città di Genova, con 88 punti. Milano,<br />

giunta al secondo posto, ne aveva ottenuti 88,8 e Crotone,<br />

prima in graduatoria, 90.<br />

Il nuovo millennio si apriva, per Misterbianco, sotto i migliori<br />

auspici.<br />

In primavera, il comitato di sorveglianza si riunì a Misterbianco<br />

nell’aula consiliare, di recente restaurata, per un incontro<br />

con tutti i sottoscrittori del progetto.<br />

Aula consiliare (Palazzo di città)<br />

Era previsto, fra l’altro, un sopralluogo nel territorio. La<br />

delegazione era guidata dal dottor Marcello Roma, alto funzionario<br />

della Comunità europea.<br />

Mentre gli mostravo piazza Pietro Bruno, da poco tempo<br />

ultimata, con le sue splendide chorisie in fiore e il piccolo an-<br />

161


fiteatro in pietra lavica, un cartello turistico, indicante le terme<br />

romane, attrasse la sua attenzione.<br />

Volle visitare il cantiere. I lavori di scavo e di recupero,<br />

iniziati da più di un anno, erano quasi alla fine. Si attardò a<br />

lungo a conversare con la dottoressa Gioconda La Magna, dirigente<br />

della sezione dei Beni Archeologici di Catania, che seguiva<br />

gli scavi. “Dai nostri rilevamenti,” spiegava l’esperta,<br />

“emerge la presenza, in quest’area, di un importante insediamento<br />

romano. Queste terme facevano parte, sicuramente, di<br />

una villa patrizia. I sistemi di riscaldamento e l’edilizia risalgono<br />

all’epoca pompeiana.”<br />

L’archeologa mostrò al dottor Roma alcuni reperti dell’epoca,<br />

rinvenuti durante gli scavi, tra cui un anello, una spilla,<br />

diverse monetine in bronzo e una vasca in arenaria. E concluse,<br />

soddisfatta: “Grazie alla sensibilità dell’amministrazione<br />

comunale, che ha investito cospicue risorse per questo recupero,<br />

finalmente una così rara testimonianza del passato, dopo anni<br />

di oblio, può tornare alla luce.”<br />

162<br />

Terme romane


“È vero,” rispose il dottor Roma, “qui in Sicilia vi ritrovate<br />

immani ricchezze archeologiche che non sempre, purtroppo,<br />

sono opportunamente valorizzate.”<br />

Quindi, ci recammo nelle frazioni.<br />

Il dott. Roma rimase colpito da quella caotica realtà urbana,<br />

nata abusivamente, ma non mancò di apprezzare l’opera di<br />

recupero che in quegli anni avevamo avviato.<br />

Espresse la sua sorpresa per la nostra scelta di collocare,<br />

negli spazi a verde, esemplari già adulti di palmizi, ulivi e<br />

carrubi, anziché piantine giovani.<br />

Giustificai quella decisione, dicendo: “Fino a qualche anno<br />

fa, qui era tutto sciara e non c’era verde. Avevamo fretta di<br />

uscire dal degrado. Scegliendo alberi già adulti, abbiamo voluto<br />

recuperare, in qualche modo, il tempo perduto.”<br />

Si fermò di scatto e, con l’aria di chi aveva scoperto qualcosa,<br />

esclamò: “Ora mi spiego perché avete vinto Urban 2. Questa<br />

voglia di bruciare i tempi, quest’ansia di riscatto da un deprimente<br />

passato, hanno spalancato a Misterbianco le porte<br />

dell’Europa.”<br />

Certo, il dottor Roma aveva colto nel segno, ma, per la verità,<br />

senza il biglietto della lotteria, acquistato grazie alla caparbietà<br />

di Angela Vecchio, Misterbianco non sarebbe andata<br />

da nessuna parte.<br />

163


UNA FETTA DI IMMORTALITÀ<br />

Carmelo Motta aveva una strana somiglianza con l’attore<br />

Raimondo Vianello. Alto e magro come un grissino, teneva i<br />

pochi capelli bianchi coperti da un cappello, a falde larghe.<br />

Malgrado la veneranda età di novantacinque anni suonati, manteneva<br />

un portamento altero ed elegante. Aveva trascorso la<br />

sua giovinezza in Africa, nelle colonie fasciste, dove aveva<br />

accumulato un discreto patrimonio.<br />

Tornato in Sicilia, aveva acquistato alcuni ettari di sciara a<br />

Misterbianco, in contrada Serra, dove, alla fine degli anni Sessanta,<br />

aveva realizzato abusivamente diversi palazzotti. Nella<br />

stessa zona, possedeva anche un pozzo, dal quale emungeva<br />

acqua potabile che forniva a quasi tutte le abitazioni abusive<br />

dell’aria circostante.<br />

Un giorno, venne a trovarmi al comune per sollecitare alcune<br />

pratiche. Era un gradevole conversatore. Si lasciò andare a<br />

riflessioni filosofiche sul destino dell’uomo e sul senso ultimo<br />

dell’esistenza. Si dichiarava soddisfatto di ciò che aveva realizzato<br />

nella sua lunga vita.<br />

“Sono partito dal nulla e ora, grazie a <strong>Di</strong>o, ho una buona posizione,<br />

non mi posso lamentare. Il vescovo lo sa che ho voluto<br />

ringraziare il Signore, donando il terreno e cento milioni per far<br />

costruire la chiesa di Piano del Lupo,” mi raccontava inorgoglito,<br />

“spero che in Paradiso ci sia un posto anche per me.”<br />

Il signor Motta possedeva, fra l’altro, un lotto di terreno<br />

sciaroso, di circa tremila metri quadrati, situato proprio all’incrocio<br />

fra la via Lombardia e la strada per San Giovanni<br />

Galermo.<br />

Da tempo, sognavo di trasformare quell’area in una piazza<br />

piena di verde e di giochi per i bambini. Ma ciò avrebbe comportato,<br />

per il comune, un impegno finanziario consistente,<br />

165


perché, oltre alle spese per la realizzazione dell’opera, bisognava<br />

sostenere anche quelle per espropriare il terreno.<br />

Non so come, forse incoraggiato da quella inusuale conversazione,<br />

mi venne in mente di provare a convincerlo a donare<br />

quel terreno alla collettività.<br />

“Signor Motta”, lo tentai con tono ammiccante, “lei opera a<br />

Misterbianco da oltre trent’anni e qui ha fatto fortuna. Lei, che<br />

è stato tanto generoso nei confronti della Chiesa, perché non fa<br />

altrettanto con la comunità? Se donasse al comune quel terreno<br />

abbandonato, potremmo costruirvi una bella piazza e rendere<br />

felici i bambini del quartiere che non hanno un posto per<br />

giocare. Sarebbe un bel gesto e tutti gliene saremmo grati”.<br />

Il signor Motta mi guardò stupefatto e, poi, poggiando l’immancabile<br />

cappello sul tavolo, mi rispose: “Caro sindaco, non<br />

scherziamo con le cose serie! Io ho una famiglia. Lei non mi<br />

può chiedere tanto. Quel terreno vale centinaia di milioni. Ho<br />

donato alla Chiesa, perché sono cattolico e perché spero di salvare<br />

la mia anima. Non creda, qualche peccatuccio ce l’ho anch’io.<br />

E poi, il popolo non merita nulla. La gratitudine non è di<br />

questo mondo, se lo faccia dire da me che ho un secolo di vita!<br />

Gesù Cristo, per fare del bene, è finito sulla croce. Non dimentichi<br />

mai l’antico proverbio: A populu ngratu e cavulu çiurutu,<br />

zoccu cci fâ-ffai, tuttu è pirdutu. 1 ”<br />

Lo incalzai subito: “La sua anima avrà pure un posto in Paradiso,<br />

ma dopo la sua morte, di lei non si ricorderà più nessuno.<br />

Lei è un uomo ricco e, alla sua età, a cosa le potrà servire il<br />

denaro che ricaverebbe dalla vendita di questo terreno? Per<br />

l’aldilà non si parte con le valigie… Compri una fetta d’immortalità<br />

su questa terra, gliene verrà tanta gloria! Se decide di<br />

donare il terreno al comune, le prometto che la piazza che vi<br />

realizzeremo porterà il suo nome, così lei rimarrà immortale<br />

nella storia di Misterbianco”.<br />

A quelle parole rimase interdetto.<br />

166<br />

1 Al popolo ingrato, come ai cavoli sfioriti, tutto quello che fai è perduto.


“Non avevo mai pensato a questa possibilità,” mi disse; “certo,<br />

morire senza sparire del tutto, non è una brutta prospettiva.<br />

Mi lasci pensare, sindaco, anche se il prezzo che dovrei pagare<br />

mi sembra eccessivo”.<br />

“Ci pensi, signor Motta,” insistetti mentre andava via, “le<br />

offro un’occasione unica. Non la sciupi.”<br />

Non passò una settimana che mi chiamò al telefono. “Ci ho<br />

pensato su,” mi disse, “la sua proposta m’interessa. Ma l’impegno<br />

del comune deve essere garantito davanti ad un notaio.”<br />

La donazione avvenne di lì a poco e fu sottoposta a condizione<br />

risolutiva: qualora il comune non avesse intitolato la piazza<br />

a Carmelo Motta, la proprietà del terreno sarebbe ritornata<br />

agli eredi.<br />

L’architetto Luisa Coco fu incaricata della progettazione. I<br />

lavori cominciarono presto, ma il signor Motta, purtroppo, non<br />

fece in tempo a vederne l’ultimazione.<br />

I parenti fecero realizzare un mezzobusto in bronzo che lo<br />

riproduceva con l’immancabile cappello. La sua posa avvenne<br />

nel 2003, quando il mio mandato era già finito.<br />

Confuso fra la gente, partecipai alla cerimonia, durante la<br />

quale tutti elogiarono la grande generosità di quell’uomo. Non<br />

obiettai nulla, anche se conoscevo la vera ragione di quell’atto<br />

di liberalità: soddisfare l’umano desiderio di lasciare ai posteri<br />

un perenne ricordo di sé.<br />

Non so se le offerte alla Chiesa abbiano procurato all’anima<br />

del signor Motta un posto in Paradiso, ma la donazione di<br />

quel terreno è stata sicuramente per lui un buon affare e per il<br />

comune una vera manna.<br />

167


UNO STORICO PER AMICO<br />

“Che bel tesoro teneva nascosto Misterbianco! È proprio<br />

armonioso questo piccolo chiostro!” esclamò, col suo dolce e<br />

malinconico sorriso, la prof.ssa Maria Musumeci, appena varcata<br />

la soglia dell’ex Ospizio. Visitò i locali, chiese notizie sulla<br />

dotazione libraria, sfogliò gli inventari delle principali collane.<br />

Da ogni gesto, traspariva la sua raffinata cultura e l’amore<br />

per i libri.<br />

L’avevo invitata, insieme al marito, il prof. Giuseppe<br />

Giarrizzo, preside della facoltà di lettere di Catania, alla cerimonia<br />

di inaugurazione dei nuovi locali della biblioteca civica.<br />

Antonio Biuso, il mio giovane assessore alla cultura, e la<br />

direttrice, dott.ssa Anna Galatà, avevano lavorato sodo per lunghi<br />

mesi e ora, nell’autunno del 2000, la biblioteca, ponendo<br />

fine ad un lungo peregrinare, aveva trovato una sede stabile.<br />

L’Ospizio è uno dei più antichi edifici di Misterbianco. Costruito<br />

alla fine del Settecento, fu utilizzato, in origine, dai frati<br />

cappuccini di Catania, che ne erano proprietari, per offrire ospitalità<br />

a bisognosi e pellegrini. Intorno al 1860 passò al comune<br />

e fu destinato ad accogliere la scuola elementare. Dopo la seconda<br />

guerra vi furono trasferiti gli uffici comunali e, successivamente,<br />

la scuola materna. Ora, dopo essere stati ristrutturati<br />

e messi a norma, arredati con moderne scaffalature e sobri<br />

tavoli per la consultazione, quei locali accoglievano i 37.000<br />

volumi della biblioteca civica, numerose riviste e un’avveniristica<br />

mediateca con dieci postazioni di computer per navigare<br />

in internet.<br />

Per l’occasione, il chiostro era gremito di cittadini. Gli imponenti<br />

portici facevano da magica cornice a quell’evento.<br />

Santa, mia moglie, con la solita riluttanza, si accinse a tagliare<br />

il nastro.<br />

169


Il preside, con il suo eloquio rapido e saltellante, tenne la<br />

prevista conferenza su “La rivoluzione culturale contemporanea”.<br />

Non era la prima volta che invitavo a Misterbianco il professore<br />

Giarrizzo. Della sua amicizia e disponibilità abusai spesso,<br />

durante la mia sindacatura, per cercare di alimentare, con la<br />

sua stimolante presenza, il dibattito politico e culturale nel mio<br />

paese.<br />

Aveva destato grande interesse la sua lucida relazione durante<br />

un convegno, tenutosi nel teatro comunale, sul ruolo dei<br />

sindaci eletti dal popolo, da lui definiti “sindaci di nuovo modello”.<br />

Citando l’esperienza francese e l’esempio di Jacques<br />

Chirac che, per lunghi anni, era stato sindaco di Parigi, prima<br />

di ricoprire la carica di Presidente della Repubblica, Giarrizzo<br />

indicava nei “nuovi” sindaci, forgiatisi nella gravosa esperienza<br />

dell’amministrazione locale, la potenziale nuova classe dirigente<br />

nazionale. Si era schierato, senza indugi, contro la norma<br />

che impediva ai sindaci di ricandidarsi dopo due mandati<br />

consecutivi, dichiarandosi contrario ad ogni limitazione di<br />

mandati elettorali. Sosteneva che non consentire ai cittadini di<br />

poter votare ancora per un sindaco che aveva dimostrato, nei<br />

due mandati precedenti, di saper amministrare la sua città, oltre<br />

a rappresentare un limite alla libertà, significava sprecare<br />

esperienze e competenze amministrative preziose.<br />

Al professore Giarrizzo mi lega un antico e affettuoso rapporto.<br />

Lo conobbi agli inizi degli anni Settanta. Mi ero iscritto al<br />

PSI nel ‘72, subito dopo la laurea. Giarrizzo, in quegli anni,<br />

era il segretario della Federazione di Catania di quel partito.<br />

Francesco De Martino, il segretario nazionale, per dare un segnale<br />

di rinnovamento e di prestigio, lo aveva voluto in quel<br />

ruolo. La sua personalità mi colpì subito. Quando prendeva la<br />

parola, non si fermava mai, era un fiume in piena. Trattava,<br />

con uguale maestria, di storia o di politica, di geografia o di<br />

filosofia. Ascoltarlo era un vero ristoro per l’intelletto. La sua<br />

170


scintillante intelligenza, alimentata da una enciclopedica cultura,<br />

rendeva prezioso ogni suo intervento.<br />

La politica mi aveva sempre appassionato, ma, prima di allora,<br />

non avevo avuto modo di praticarla. Il lavoro nei campi,<br />

prima, e la fretta di recuperare gli anni perduti, dopo, non mi<br />

avevano dato scampo, assorbendo tutto il mio tempo.<br />

A soli undici anni avevo cominciato a lavorare in campagna<br />

dove avrei trascorso tutta la mia giovinezza, fino a ventidue<br />

anni.<br />

Mio padre era nato<br />

e vissuto in una grande<br />

fattoria agricola a<br />

sud di Misterbianco,<br />

denominata “Cardinale”,<br />

un tempo appartenuta<br />

al conte Testasecca<br />

di Caltanissetta, e<br />

acquistata, negli anni<br />

Settanta, dall’editore<br />

Mario Ciancio. Dei<br />

nove figli, mio padre<br />

era l’unico maschio rimasto<br />

dopo l’assurda<br />

disgrazia in cui aveva<br />

perso la vita Alfio, suo<br />

fratello maggiore. Aveva<br />

ereditato dal padre<br />

il mestiere di “massaru”,<br />

colui che organiz-<br />

za il lavoro nei campi,<br />

che manda avanti<br />

Salvatore <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, padre dell’autore<br />

l’azienda e ne risponde al proprietario. Inoltre, coltivava a<br />

mezzadria grossi appezzamenti di vigneti e agrumeti e possedeva<br />

qualche ettaro di mandorleti e oliveti.<br />

Mia madre, tipica espressione del matriarcato contadino, si<br />

171


occupava della famiglia. Mi voleva arruolato nell’esercito e,<br />

spesso, tenendomi sulle ginocchia, mi parlava di tenenti e capitani<br />

che, diceva, vivevano bene, comandavano e venivano<br />

rispettati.<br />

Io, invece, sognavo di possedere un grande ranch, con tante<br />

mucche come quelle che avevo visto qualche volta al cinema.<br />

Mi immaginavo su uno scattante cavallo nero ad accudire le<br />

mandrie al pascolo o, con un fucile da caccia e una muta di<br />

cani, ad inseguire conigli e lepri.<br />

Questo era il mio orizzonte di sogni e di progetti, da bambino.<br />

Mi fu facile, dunque, cogliere la scusa di una banale macchia<br />

d’inchiostro gocciolata da una biro sui pantaloni nuovi,<br />

per annunciare ai miei genitori che non volevo più andare a<br />

scuola.<br />

Mio padre che, in cuor suo, sperava che almeno uno dei<br />

quattro figli maschi proseguisse la sua attività, colse al volo<br />

l’occasione che la mia improvvida scelta gli offriva per portarmi<br />

con sé in campagna. Dall’indomani imbracciai il fucile da<br />

caccia, la cui lunghezza ancor mi sovrastava, e corsi sulla mula<br />

verso il mio sogno da cowboy.<br />

Insieme ai libri e ai quaderni, quel giorno, però, chiusi anche<br />

la mia infanzia. Ben presto, l’illusione del cowboy svanì e<br />

rimasero solo la fatica e l’abbrutimento del duro lavoro nei<br />

campi.<br />

Per undici anni feci l’agricoltore. Insieme a mio padre, con<br />

l’aiuto di alcuni braccianti, coltivavo le vigne e zappavo gli<br />

agrumeti, aravo la terra e seminavo il grano.<br />

A quei tempi, lavorare in campagna era davvero duro. L’agricoltura<br />

versava in condizioni di assoluta arretratezza. Si adoperavano<br />

attrezzi primitivi, mossi solo dalla forza manuale: la<br />

zappa, la falce, l’aratro, la roncola, strumenti di lavoro che richiedevano<br />

un’immane fatica che avviliva il corpo e ottundeva<br />

la mente.<br />

Si partiva da casa con il buio, in groppa alla mula o sul<br />

carretto. Prima dell’alba, si era già al lavoro e si ritornava a<br />

172


casa solo dopo il tramonto. Intorno alle otto, si faceva una pausa<br />

per la colazione. In autunno, raccattata della legna secca,<br />

qualcuno provvedeva ad accendere il fuoco. Consumavamo il<br />

nostro pasto accovacciati intorno alla fiamma, sfidando l’acre<br />

fumo che ci arrossava gli occhi, fino a farli lacrimare. C’era<br />

chi arrostiva del pane raffermo, per consumarlo inzuppato nel<br />

vino. Altri tirava fuori da un sacchettino di stoffa delle olive<br />

che buttava sulla brace e, dopo, strofinandole sui pantaloni per<br />

eliminarne la cenere, le mangiava avidamente. Due acciughe e<br />

un pezzo di pecorino, accompagnato da qualche cipolla cruda,<br />

costituivano il companatico più ricorrente. Sapori forti, inconfondibili,<br />

si sprigionavano da quegli alimenti semplici e antichi<br />

che per secoli hanno saziato l’appetito di generazioni di<br />

braccianti.<br />

A pranzo, l’insalata era il piatto forte. Si tagliuzzavano dentro<br />

una scodella di latta, a seconda della stagione, pomodori,<br />

arance, limoni, lattughe, finocchi, si condivano con il sale e<br />

l’olio che ognuno si portava dietro in un piccolo recipiente e<br />

dopo vi si inzuppava il pane, nostro unico e vero nutrimento.<br />

Il pane si preparava in casa. Mia madre era un’ottima fornaia.<br />

<strong>Di</strong> buon mattino impastava la farina con il lievito che aveva<br />

conservato con cura, per tutta la settimana, in un piatto ricoperto<br />

da larghe foglie di fico. Poi accendeva il tradizionale forno<br />

a pietra, dal quale tirava fuori dorate e profumate vastedde<br />

destinate a durare l’intera settimana.<br />

Il vino rosso non mancava mai. Per l’acqua c’era un unico<br />

contenitore di terracotta, u bummulu, a cui tutti attingevamo<br />

grazie ad un forellino praticato sulla parte alta del recipiente.<br />

Le conversazioni erano condite da aneddoti e battute che<br />

avevano quasi sempre per oggetto il sesso e che risentivano dei<br />

tabù e del clima di peccaminoso mistero che, allora, circondava<br />

l’argomento.<br />

Nei giorni di pioggia si accudiva ai lavori interni alla fattoria:<br />

si pulivano le stalle, si andava dal maniscalco a mettere i<br />

ferri nuovi alle cavalcature e, nella giusta stagione, si travasavano<br />

il vino e l’olio; dalla feccia dell’uno si ricavava del buon<br />

173


vinello e dai residui dell’altro, dopo un accorto procedimento,<br />

si otteneva un ottimo sapone.<br />

Scene di un mondo contadino, ormai scomparso, che ho voluto<br />

far rivivere in un piccolo museo di circa settecento pezzi,<br />

raccolti, ordinati e catalogati da una cooperativa di giovani<br />

articolisti. Ne affidai la realizzazione all’estro di Mimmo<br />

Santonocito che, utilizzando quel materiale, riuscì a ricreare fedelmente<br />

l’ambiente e la magica atmosfera di quei tempi andati.<br />

174<br />

Una sala del museo contadino<br />

A ventidue anni decisi di voltare pagina e abbandonai la<br />

campagna.<br />

Avevo in tasca la licenza elementare e, nel cuore, tanta voglia<br />

di ricominciare.<br />

Ripresi gli studi e, sfidando l’incomprensione di mio padre<br />

e la derisione di tanti coetanei che mi vedevano intraprendere<br />

una gara fuori tempo massimo, iniziai una nuova vita.<br />

Studiavo non meno di dieci ore al giorno. In due anni conseguii<br />

il diploma di ragioniere presso l’istituto parificato “Ugo<br />

Foscolo” e, nei successivi quattro, la laurea in Economia e


Commercio all’Università di Catania. L’anno dopo partecipai<br />

ad un concorso pubblico, per direttore di ragioneria, indetto<br />

dall’ENPDEP. Le prove scritte si tennero a Roma presso palazzo<br />

Induno, l’enorme edificio di Trastevere destinato ad ospitare<br />

gli esami per i concorsi pubblici.<br />

Vinsi il concorso e, nel maggio del ’73, iniziai a lavorare<br />

presso la sede di Catania di piazza Trento.<br />

Nel ’75 il preside Giarrizzo ebbe l’amabilità di invitarmi ad<br />

Agrigento ad un importante convegno di studi che aveva organizzato,<br />

insieme al professore Manacorda, in occasione dell’ottantesimo<br />

anniversario dei Fasci siciliani. Eminenti studiosi,<br />

da Galasso a Renda, da Arfè a Villari ad Alatri, vennero<br />

chiamati a riflettere su quei tumultuosi eventi, scoppiati nella<br />

Sicilia post risorgimentale e soffocati, dopo tre anni di lotte,<br />

dal reazionario governo Crispi.<br />

Quel convegno, per me e mia moglie, fu un’esperienza<br />

unica.<br />

Conoscemmo in quell’occasione lo scrittore Leonardo<br />

Sciascia. L’avevamo notato aggirarsi nel salone con addosso<br />

una casacca bianco latte, la sua impeccabile riga nei capelli e<br />

l’immancabile sigaretta in mano. Fra gli applausi, prese la parola.<br />

Parlò della sua Racalmuto, della fame e delle precarie<br />

condizioni in cui versavano, dopo l’Unità d’Italia, i braccianti<br />

e i mezzadri, i pastori e i picconieri che avevano dato luogo a<br />

quei grandiosi moti insurrezionali. Descrisse, da par suo, la<br />

desolante vita nelle miniere di zolfo, dove i “carusi” in tenera<br />

età, infreddolititi e a piedi nudi, consumavano la loro infanzia<br />

per un pezzo di pane raffermo.<br />

Feci amicizia con il prof. Gaetano Arfè, studioso di storia<br />

contemporanea, che dirigeva in quegli anni “L’Avanti”, il quotidiano<br />

socialista di cui, ogni domenica, con un gruppo di compagni,<br />

diffondevamo in paese centinaia di copie. Scoprii la sua<br />

non comune cordialità. Un socialista di vecchio stampo, di quelli<br />

che, già allora, erano entrati nella fase di progressiva ed ineluttabile<br />

estinzione. Ricordo ancora, il concetto che pronunciò<br />

175


sorseggiando un amaro Averna: “La politica, senza cultura, tende<br />

a scadere nel politicantismo; la cultura, lontana dalla politica,<br />

può scivolare in mera accademia.”<br />

Con l’avvento di Craxi, il Partito Socialista imboccò la rovinosa<br />

strada del rampantismo e dell’indifferenza alla questione<br />

morale, che l’avrebbe portato, in seguito, al disfacimento.<br />

Nel ’77 mi dimisi da quel partito e, un anno dopo, mi iscrissi<br />

al Partito Comunista Italiano, allora guidato dalla carismatica<br />

figura di Enrico Berlinguer.<br />

Anche il prof. Giarrizzo, man mano, prese le distanze dalla<br />

militanza attiva nel PSI. Ma io non lo persi mai di vista, anzi,<br />

con il tempo, la nostra amicizia si andò consolidando. Non<br />

mancavo mai d’invitarlo, insieme alla sua consorte, a Misterbianco<br />

in occasione del programma culturale “Magie d’estate”<br />

che ogni anno, a settembre, l’assessore Antonio Biuso realizzava<br />

nello scenario suggestivo del Piano della Madonna degli<br />

Ammalati, e alle pregevoli mostre, ospitate nella Galleria d’arte,<br />

curate da Carmela Zuccarello.<br />

Nella primavera del 2002, volli che fosse lui a scoprire il<br />

bronzo di Leonardo Sciascia, posto nell’atrio della scuola elementare<br />

di Serra che, qualche anno prima, inaugurandola, avevamo<br />

intitolato al grande scrittore di Racalmuto.<br />

Fu una mattinata indimenticabile. Assieme alla direttrice,<br />

dott.ssa Caruso Midolo, agli insegnanti e a centinaia di ragazzi,<br />

lo accogliemmo con gioia. Giarrizzo si congratulò per quella<br />

moderna struttura e, in particolare, per l’aula mediatica che<br />

di recente avevamo realizzato. Parlò dell’importanza che l’istruzione<br />

riveste per preparare alla vita le nuove generazioni e del<br />

ruolo decisivo e insostituibile della scuola pubblica.<br />

Nel pomeriggio, nella sala del teatro comunale, si tenne un<br />

convegno dedicato a Leonardo Sciascia. Parteciparono eminenti<br />

studiosi fra cui, oltre a Giarrizzo, che coordinava i lavori,<br />

anche il direttore della fondazione intitolata allo scrittore, prof.<br />

Antonio <strong>Di</strong> Grado, il prof. Salvatore Lupo, dell’Università di<br />

Palermo e i proff. Maria Maddalena Modica e Vittorio Sciuti<br />

Russi, dell’Università di Catania.<br />

176


Seguii quell’interessante simposio con qualche irrequietezza.<br />

Il mio pensiero correva al dopo. L’idea che al termine di<br />

quel convegno, avrei conferito la cittadinanza onoraria a<br />

Peppino Giarrizzo, mi rendeva inquieto e impaziente. Era davvero<br />

un evento unico, per il mio comune, poter annoverare, fra<br />

i suoi cittadini, un uomo di così grande prestigio.<br />

La cerimonia fu breve, ma particolarmente intensa.<br />

Cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria al prof. G. Giarrizzo<br />

Lessi, con voce carica di emozione, la motivazione di quel<br />

conferimento. Espressi la mia personale gioia di poter iscrivere,<br />

fra i misterbianchesi, uno dei figli più insigni della Sicilia.<br />

Quella sera, tutti i relatori del convegno furono ospiti del<br />

comune.<br />

La conversazione, com’è facile immaginare, si rivelò più<br />

saporita dell’ottima cena. Mia moglie, che le era seduta accanto,<br />

rimase colpita dalla simpatica e gustosa ironia della signora<br />

Giarrizzo.<br />

Giunti a casa, commentammo quella magnifica giornata che<br />

ci aveva riempito il cuore.<br />

177


“Avere Giarrizzo come cittadino è stato un bel colpo per<br />

Misterbianco,” dissi a mia moglie con aria soddisfatta.<br />

“Ma anche la sua signora non è da meno,” mi rispose; “è<br />

proprio vero che, dietro un grande uomo, c’è sempre una donna<br />

straordinaria.”<br />

178


UN SOGNO SVANITO IN FRETTA<br />

“Sono a casa. Non posso uscire. Sono agli arresti domiciliari.<br />

Stamattina, alle sei, due poliziotti mi hanno buttato giù dal letto<br />

per notificarmi il provvedimento.” Era Stefano Santagati, il<br />

mio vicesindaco, che mi svegliava con una telefonata.<br />

“E a me, questa notte, mi hanno nominato generale” gli risposi,<br />

ridendo. “Non scherzare, purtroppo è tutto vero,” mi disse<br />

con un filo di voce. “Mi hanno proibito perfino di telefonare,<br />

ma io ti ho voluto chiamare lo stesso per avvisarti.”<br />

Rimasi a bocca aperta.<br />

Mi lesse il provvedimento. Il Gip del Tribunale di Siracusa,<br />

dott. Vincenzo <strong>Di</strong> Domenico, su richiesta del Pubblico Ministero<br />

Maurizio Musco, aveva disposto gli arresti domiciliari<br />

per Stefano e anche per Pippo Crisafulli, fidanzato di sua figlia<br />

Viviana. L’accusa era di resistenza aggravata e lesioni personali<br />

dolose ai danni di un pubblico ufficiale, l’ispettore di P.S.<br />

Antonello Coledi, in occasione della partita di calcio tra Siracusa<br />

e Misterbianco, del 21 gennaio 2001.<br />

Era davvero inaudito!<br />

Quel giorno, ero stato anch’io allo stadio “De Simone”. Eravamo<br />

in tanti al seguito della nostra ritrovata squadra. Avevamo<br />

preparato con entusiasmo la trasferta. Era una partita difficile,<br />

decisiva per le sorti del campionato di eccellenza, e volevamo<br />

sostenere da vicino i nostri ragazzi.<br />

Verso mezzogiorno tre pullman stracolmi erano partiti alla<br />

volta di Siracusa. Giovani e intere famiglie, con bambini e anziani<br />

al seguito, avevano colto l’occasione della partita per trascorrere<br />

un’allegra giornata in compagnia. C’era un clima di<br />

festa e di allegria. Nessuno poteva immaginare l’ottusa violenza<br />

che avremmo trovato in quello stadio.<br />

A Siracusa, ci aspettava la polizia per scortarci fin dentro il<br />

179


campo sportivo. Ci fecero prendere posto in un settore riservato<br />

agli ospiti, ma non sufficientemente idoneo a proteggerci<br />

dagli sputi e dagli insulti dell’aggressiva tifoseria aretusea.<br />

Il Siracusa, nel primo tempo, si assicurò il risultato con due<br />

gol.<br />

Ad un quarto d’ora dalla fine, fummo precipitosamente invitati<br />

dalle forze dell’ordine ad abbandonare gli spalti per evitare<br />

il contatto con la tifoseria avversa. Eravamo rassegnati alla<br />

sconfitta, ma volevamo lo stesso continuare a sostenere la nostra<br />

combattiva squadra, sino al fischio finale. Quel perentorio<br />

invito ci apparve incomprensibile e, con riluttanza, ci avviammo<br />

protestando verso l’uscita.<br />

C’erano molti poliziotti in borghese. Uno di loro spinse alle<br />

spalle il vicesindaco, per sollecitarlo ad andare via. Stefano,<br />

istintivamente, oppose resistenza ed in suo aiuto intervenne<br />

suo genero. Scoppiò un concitato tafferuglio che, tuttavia, si<br />

placò subito.<br />

Raggiungemmo gli autobus e, profondamente amareggiati,<br />

tornammo a casa. Nessuno poteva supporre che quel piccolo<br />

incidente avrebbe avuto poi conseguenze così gravi.<br />

La notizia dell’arresto si diffuse nel paese in un baleno. Tutti<br />

pensarono ad un atroce equivoco. Era impossibile, conoscendone<br />

la mitezza, immaginare il vicesindaco nella veste di ultrà<br />

violento e aggressore di poliziotti. Tuttavia, il povero Stefano<br />

dovette restare segregato a casa per undici lunghi giorni, prima<br />

che arrivasse il decreto di scarcerazione.<br />

L’A. C. Misterbianco era nata alla fine degli anni Sessanta e,<br />

per lungo tempo, era stata seguita, appassionatamente, dagli sportivi<br />

misterbianchesi. Aveva ottenuto buoni risultati, giungendo a<br />

disputare un torneo in Eccellenza. Poi, alla fine degli anni Ottanta,<br />

il malessere e il collasso della vita amministrativa, inevitabilmente,<br />

la contagiarono e la squadra dovette emigrare dalla<br />

sua città, vivendo altrove una lunga stagione di desolante grigiore.<br />

Nella primavera del ‘99, si presentò nel mio ufficio il dottor<br />

Gustavo Cardaci, presidente della Corte d’Assise d’Appello di<br />

180


Catania. L’accompagnavano il dott. Giuseppe Cocuzza, un giovane<br />

ricercatore dell’Università di Agraria del capoluogo etneo,<br />

e l’avv. Martino Patitucci, appassionato manager del mondo<br />

calcistico.<br />

“Sono il presidente dell’A. C. Misterbianco. In questi anni<br />

ho assistito con interesse al rinnovamento del suo comune e alla<br />

sua affermazione quale importante centro economico nella provincia.<br />

Vorrei far ritornare la squadra nel suo paese d’origine.<br />

Sono convinto che, con la collaborazione dell’amministrazione<br />

comunale e il sostegno degli imprenditori della fiorente zona<br />

commerciale, la squadra riuscirà a tagliare ambiziosi traguardi e<br />

gli sportivi misterbianchesi potranno ritornare a tifare per i loro<br />

colori,” così il giudice Cardaci mi espose i suoi intenti.<br />

L’ascoltavo con riguardo. Il basso tono della voce, l’eloquio<br />

forbito e rigoroso lasciavano trasparire una personalità colta e<br />

riservata. Non era usuale imbattersi in un alto magistrato che si<br />

occupasse, con tanto impegno, di calcio. Questa sua passione<br />

me lo rese subito simpatico.<br />

Il recupero della vecchia squadra, a dire il vero, non era nei<br />

miei propositi, ma, di fronte alla proposta di una persona così<br />

affidabile, la prospettiva di rilanciare il calcio nella città mi<br />

sembrò un’ottima idea.<br />

Decidemmo di tentare l’esperimento.<br />

La squadra, quell’anno, giocò in prima Categoria. Dopo<br />

qualche tempo, si presentò l’occasione di rilevare il titolo di<br />

Eccellenza dalla squadra del Gravina, entrata in crisi irreversibile.<br />

L’idea ci galvanizzò. Sostenere una squadra in Eccellenza<br />

era certamente un’impresa impegnativa, ma Misterbianco, con<br />

i suoi quarantacinquemila abitanti e la sua ricca zona commerciale,<br />

poteva accettare e vincere quella scommessa.<br />

Nell’ottobre del 2000, rifondammo la vecchia società, modificandone<br />

lo Statuto. Fu prevista la partecipazione dell’Amministrazione<br />

comunale alla gestione societaria e una concreta<br />

sponsorizzazione da parte dell’imprenditoria locale.<br />

La nuova direzione dell’A.C. Misterbianco risultava così<br />

composta: il dott. Gustavo Cardaci, presidente; Alberto Co-<br />

181


stanza, vicepresidente; Pippo Marchese, segretario e team manager;<br />

Giuseppe Cocuzza, direttore generale; io, nella qualità<br />

di sindaco, presidente onorario.<br />

Da lì, ebbe inizio la strepitosa avventura calcistica della<br />

nuova A. C. Misterbianco, nel torneo di Eccellenza.<br />

Non avevo mai messo piede in uno stadio. Da ragazzo, seguivo<br />

il campionato di serie A e le partite della Nazionale soltanto<br />

attraverso le palpitanti radiocronache dell’indimenticabile<br />

Nicolò Carosio. Il mitico cronista, con il suo linguaggio<br />

rapido e colorito, faceva vivere le fasi del gioco come se si<br />

fosse seduti a bordo campo.<br />

Ad alimentare la mia fantasia contribuiva anche la rivista<br />

“Il calcio illustrato”, che mio fratello Giovanni comprava settimanalmente.<br />

Nelle sue pagine ritrovavo le foto dei formidabili<br />

giocatori del tempo, che accendevano la mia adolescente<br />

passione. Boniperti, Muccinelli, Annovazzi, Parola, Ferrario,<br />

Lorenzi denominato “veleno”, Amadei, Carapellesi: questi erano<br />

i miei idoli. Da quella rivista, ritagliavo le loro foto per<br />

attaccarle al capezzale del mio letto accanto a quella della grande<br />

squadra del Torino scomparsa tragicamente sul colle di Superga<br />

mentre, in aereo, rientrava vittoriosa da Lisbona.<br />

Ora, a distanza di quasi mezzo secolo, ero diventato un frequentatore<br />

assiduo dei campi di calcio e un appassionato sostenitore<br />

della mia squadra. Il presidente Cardaci mi aveva<br />

coinvolto in quella splendida avventura.<br />

Le domeniche, quando si giocava in casa, la squadra pranzava<br />

all’hotel “Il gelso bianco” e, quasi abitualmente, a quell’ora,<br />

andavo a trovare i ragazzi per incoraggiarli. Spesso mi<br />

fermavo a conversare con Giovanni Pulvirenti, il bravo mister.<br />

Per scaramanzia, prima di andar via, battevo il cinque con il<br />

possente Alfio Scalia, implacabile centravanti e con Beppe<br />

Grasso, attento stopper e grande spazzatore dell’area piccola.<br />

Il tifo, man mano, si allargava a macchia d’olio in città.<br />

Sempre più numerosi erano i cittadini che gremivano lo stadio<br />

con fasce e striscioni e che seguivano festosamente la squadra<br />

anche nelle partite fuori casa.<br />

182


Tifosi sugli spalti del campo sportivo “Toruccio La Piana”<br />

Anche mia moglie divenne una grande tifosa. Un quarto<br />

d’ora prima di ogni incontro, eravamo già sugli spalti del<br />

“Toruccio La Piana”, inneggiando alla squadra. Quando si giocava<br />

in trasferta, la mia domenica era del tutto compromessa.<br />

Il pranzo saltava quasi sempre. All’una bisognava mettersi in<br />

viaggio. Agrigento, Licata, Comiso, Modica, Siracusa,<br />

Taormina, Caltanissetta, Messina, San Giovanni Gemini: ogni<br />

incontro era una grande e nuova avventura.<br />

La prima stagione in Eccellenza fu incoraggiante. Ci classificammo<br />

nel gruppo di testa e, per un solo punto, non riuscimmo<br />

ad entrare nei play off.<br />

I finanziamenti per la squadra erano soddisfacenti. L’amministrazione<br />

comunale, ma soprattutto le grosse imprese commerciali<br />

come Auchan, Mercatone uno, Moda Italia e Team<br />

sport, sponsorizzavano con regolarità la società.<br />

Per affrontare la nuova stagione, fu rafforzato l’organico<br />

acquistando il centrocampista Scaletta, il fantasista Gianluca<br />

<strong>Imp</strong>ellizzeri e il difensore di fascia, Luca Cristaldi. La squadra,<br />

ora, poteva mirare in alto.<br />

183


La nuova stagione ebbe, per noi, un brutto esordio, con la<br />

sconfitta in casa ad opera del Trecastagni. Ma subito dopo, ci<br />

riscattammo alla grande.<br />

Si aprì una fase miracolosa. Vincemmo per ben tredici settimane<br />

di fila, battendo ogni record. Il girone di andata ci vide<br />

primi in classifica, con un punto di distacco dal nostro avversario<br />

principale, il Siracusa.<br />

Per festeggiare l’evento e propiziare la sospirata promozione<br />

in D, la sera del primo dell’anno 2002 organizzammo una<br />

festosa cerimonia al palatenda. Con l’occasione, volli conferire<br />

al presidente Cardaci la cittadinanza onoraria.<br />

A nome della comunità, lo ringraziai per avere riportato la<br />

squadra di calcio a casa e risvegliato il tifo per i colori della città.<br />

Fu una cerimonia toccante. Oltre ad un folto pubblico, parteciparono<br />

tutti i giocatori con le loro famiglie. Furono presenti<br />

inoltre la sorella del presidente e i suoi due fratelli anche loro<br />

alti magistrati: Vittorio, presidente del Tribunale di Milano, e<br />

Antonio, che da lì a qualche mese sarebbe stato nominato presidente<br />

del Tribunale di Catania.<br />

Il 7 aprile, con la vittoria in casa sull’Akragas e la contemporanea<br />

sconfitta del Siracusa a Giarre, con tre settimane di<br />

anticipo sulla fine del campionato e con sette punti di distacco<br />

dalla seconda, l’A. C. Misterbianco tagliò il traguardo storico<br />

della serie D.<br />

Era stata davvero una stagione memorabile.<br />

La città entrò in festa. Ci radunammo tutti in piazza mercato,<br />

per brindare alla grande vittoria. Variopinti fuochi d’artificio<br />

illuminarono i volti radiosi di tutti noi. Stefano, il<br />

vicesindaco, era il più commosso. La splendida vittoria aveva<br />

riscattato quel suo calvario lungo undici giorni.<br />

Ci abbracciammo con il presidente Cardaci. “Sapevo,” mi<br />

disse felice, “che, venendo a Misterbianco, avremmo raggiunto<br />

il successo. La città meritava questo prezioso premio.<br />

Questa vittoria sportiva rappresenta, per la sua nuova Misterbianco,<br />

la ciliegina sulla torta.”<br />

“L’anno prossimo avremo il campo sportivo nuovo, tutto<br />

184


Tripudio per la promozione dell’A.C. Misterbianco in serie D.<br />

Al centro il Presidente, dr. G. Cardaci<br />

in erba, completeremo le tribune e la squadra sarà ancora una<br />

volta rafforzata per competere, a testa alta, in serie D,” gli risposi<br />

entusiasticamente.<br />

Ma il sogno della serie D era destinato a durare solo qualche<br />

settimana. L’amministrazione di centrodestra, che il mese dopo<br />

avrebbe vinto le elezioni, guardò con sospetto e diffidenza alla<br />

società. Non offrì alla dirigenza alcuna garanzia per il futuro e,<br />

alla fine, il presidente Cardaci, per salvare le sorti della squadra,<br />

fu costretto a malincuore a portarla via da Misterbianco.<br />

Amministratori improvvisati e inetti mandavano così in<br />

fumo, irresponsabilmente, quel prezioso patrimonio che, con<br />

impegno e passione, avevamo costruito e che tanto lustro e<br />

prestigio aveva dato alla città.<br />

Il sogno degli sportivi misterbianchesi di veder sventolare,<br />

al di là dello stretto, la propria bandiera bianco celeste, svaniva<br />

miseramente.<br />

185


NICISSITÀ OBBLIGA LIGGI<br />

“Ma cos’ha combinato, in queste piazze? Mi dice che sono<br />

state finanziate dalla regione per ospitare i mercatini settimanali<br />

e lei, invece, vi ha realizzato delle strutture sportive!” Con<br />

queste parole m’investì, simpaticamente, l’ing. Giacalone, dirigente<br />

dell’assessorato regionale al territorio, venuto a<br />

Misterbianco, nell’estate del 2001, per effettuare un sopralluogo<br />

nel territorio, in vista dell’approvazione del Piano Regolatore<br />

Generale.<br />

“Cosa vuole, ingegnere,” gli dissi, “nicissità obbliga liggi 1 .<br />

A Misterbianco non abbiamo impianti sportivi e per i ragazzi<br />

non c’è neanche un posto per giocare. I mercati si svolgono<br />

solo un giorno alla settimana: il sabato in centro, il lunedì nelle<br />

frazioni. Sarebbe stato un vero peccato lasciare questo spazio<br />

inutilizzato per il resto della settimana!”<br />

Il dirigente regionale, in effetti, non aveva torto.<br />

In ciascuna delle due enormi piazze, destinate al mercato,<br />

avevo fatto tracciare le linee di delimitazione di tre campetti di<br />

calcetto e di uno di basket e avevo fatto realizzare, appositamente,<br />

i canestri e le porte con un sistema che consentiva di<br />

rimuoverli facilmente all’occorrenza.<br />

Nei giorni del mercato, la mattina, prima dell’apertura, gli<br />

operai del comune andavano a smontarle e, nel pomeriggio,<br />

appena gli ambulanti ritiravano le proprie bancarelle, le rimettevano<br />

subito al loro posto. Non era loro consentito indugiare<br />

perché i bambini erano già lì, con il pallone in mano, pronti a<br />

riprendersi i loro campi da gioco.<br />

Invitai l’ingegnere a trattenersi con me, a colazione.<br />

1 La necessità impone la legge.<br />

187


Dopo aver pranzato, andammo a prendere il caffè al bar del<br />

mio amico Mario Doriani, posto di fronte alla piazza Mercato.<br />

“È stata una vera e propria fortuna, per il comune, l’acquisto<br />

di questi ottomila metri quadri di terreno,” dissi a Giacalone,<br />

indicandogli la piazza, “li ho acquistati quando sono stato sindaco,<br />

nell’88. Era l’unico lotto di terreno, di così notevole estensione,<br />

rimasto inedificato, nel centro urbano. Proprietarie ne erano<br />

le sorelle Longo. Ricordo che andai a trovarle a casa, a Catania,<br />

in via Caronda. Mi ricevettero in un antico salotto liberty e lì<br />

trattai l’acquisto, convincendole ad accettare il prezzo di cinquecento<br />

milioni di lire. Il consiglio comunale adottò la delibera<br />

e quello è stato il primo bene immobile che il comune abbia<br />

comprato nella sua storia.”<br />

L’ingegnere aveva ascoltato in silenzio il mio racconto.<br />

“Forse il mio modo di fare il sindaco non è proprio ortodosso”<br />

gli dissi, vedendolo perplesso, “ma, solo così, oggi ci ritroviamo<br />

davanti questa splendida piazza e non, invece, un mostruoso<br />

palazzo.”<br />

Successivamente, grazie a trattative condotte personalmente<br />

da me, il comune avrebbe acquistato tanti altri beni immobili,<br />

che si sarebbero rivelati dei grandi “affari” per l’ente: il complesso<br />

immobiliare dell’ex Movicar ai Sieli, nei cui capannoni<br />

venne trasferito l’autoparco comunale e sul cui terreno sarebbero<br />

stati edificati i capannoni da assegnare ai gruppi di Carnevale;<br />

il terreno di via Duccio Galimberti e quello di via Libertà,<br />

trasformati in aree a verde e parcheggio, con il nome, rispettivamente,<br />

di piazza Antico Misterbianco e piazza Urban 2; il<br />

terreno di contrada Milicia e quelli di via Genova, via Meazza,<br />

e via Poggio del Lupo, dove sarebbero state costruite delle magnifiche<br />

strutture sportive; il terreno di via Currulo, dove è stata<br />

realizzata la grande piazza Mercato di Belsito; un terreno in<br />

via delle Rose, dove sarebbe sorta una piazza; il terreno situato<br />

in via Garibaldi, all’ingresso principale del paese, sul quale si<br />

realizzarono un ampio parcheggio illuminato e arredato con il<br />

verde e un gigantesco arco in acciaio, con il nome Misterbian-<br />

188


co impresso a caratteri cubitali sulla sommità, a rappresentare<br />

la porta della città e a sancirne il ritrovato orgoglio.<br />

Il pomeriggio era luminoso e l’Etna svettava superba dietro<br />

le verdi collinette di Madonna degli Ammalati.<br />

Ci avvicinammo alla piazza che nel frattempo si era riempita<br />

di piccoli “campioni”. L’aria era invasa dal loro frenetico e<br />

festoso vociare. La vita danzava allegra al ritmo di quella musica.<br />

Era uno spettacolo stare a guardarli.<br />

Alla mia vista, si levò un saluto collettivo. “Ciao, sindaco,<br />

questi campi sono formidabili,” gridavano in tanti, pur senza<br />

abbandonare il gioco, mentre i più piccoli mi venivano incontro<br />

per darmi un bacio.<br />

Piazzetta dei ragazzi (via Emilia Romagna)<br />

In macchina, raggiungemmo la piazza Mercato di Lineri.<br />

Anche qui, i ragazzi erano all’opera e, appena mi videro, sospesero<br />

le partite. In un attimo, fui circondato: chi batteva il<br />

cinque; chi mi abbracciava; chi mi chiedeva di organizzare serate<br />

di discoteca all’aperto.<br />

189


Non era una novità, per me, ricevere quell’accoglienza, ma<br />

il mio ospite ne rimase colpito.<br />

“Ma come ha fatto a conquistare l’affetto e l’amicizia di<br />

questi ragazzi? Non è usuale che s’instauri un rapporto così<br />

confidenziale con un politico,” mi disse. “Venga con me e le<br />

sarà facile capire.”<br />

Gli mostrai i nuovi edifici scolastici, i numerosi parco giochi,<br />

gli spazi a verde, le piazze e le strutture sportive ancora in<br />

cantiere. “Questa è la nuova Misterbianco che sta nascendo,”<br />

gli dissi, “quei bambini che lei ha visto, fino a qualche anno fa,<br />

erano abbandonati al loro destino. Facevano lezione nei garage,<br />

non avevano uno spazio dove incontrarsi e potevano giocare<br />

solo per le strade. Oggi, vedono che il sindaco è attento alle<br />

loro esigenze, li ascolta e li asseconda il più possibile. Ecco,<br />

caro ingegnere, come sono diventato un loro amico.”<br />

Giunti al comune, presi dal cassetto della mia scrivania un<br />

fascio di lettere che i bambini, nel tempo, mi avevano inviato.<br />

Le custodivo gelosamente. Erano la mia forza, nei momenti di<br />

difficoltà. Mi bastava leggerne qualcuna, per ritrovare la carica<br />

e l’entusiasmo.<br />

Ne presi una, a caso, e la porsi all’ingegnere che la lesse in<br />

silenzio.<br />

Era di Jessica e Valentina. Cominciava con queste parole:<br />

“Come diciamo noi ragazzi, lei è un mostro di Sindaco…” e si<br />

chiudeva con un P.S. “Le dobbiamo confessare che lei ha conquistato<br />

una parte speciale del nostro cuore e questo posto non<br />

lo perderà mai.”<br />

L’ing. Giacalone rimase turbato. “La sua è una vera missione!”<br />

esclamò.<br />

“Ma la politica è la più alta delle missioni,” gli risposi. “È<br />

l’arte di costruire la città dell’uomo. Ed io ce la metto tutta per<br />

migliorare il mio paese.”<br />

L’accompagnai in macchina e, salutandomi, mi disse “Lei,<br />

il sindaco lo fa con amore. Ma è anche fortunato, perché i suoi<br />

ragazzi l’hanno capito.”<br />

190


ESSIRI NON SI PO CCHIÙ DI NA VOTA<br />

Nel 2002, la scuola elementare di via Gramsci compiva cinquant’anni.<br />

La direttrice, dott.ssa Giuseppina Barresi, mi prospettò<br />

l’idea di ricordare quella ricorrenza con una mostra documentaria<br />

e fotografica. Tutto il materiale raccolto sarebbe<br />

stato, poi, pubblicato in un volume.<br />

L’idea mi convinse subito. Migliaia di bambini avevano frequentato<br />

la scuola di via Gramsci e ora, quella mostra,<br />

riesumando le immagini del passato, avrebbe testimoniato<br />

mezzo secolo di storia della società misterbianchese. Le assicurai,<br />

perciò, il massimo sostegno da parte dell’amministrazione<br />

comunale.<br />

Nel ’52, l’anno in cui quella scuola era stata inaugurata,<br />

frequentavo la terza elementare presso i locali privati di piazza<br />

Tripoli, di proprietà Marino. Quell’anno, al rientro dalle vacanze<br />

di Natale, con nostra grande gioia, fummo trasferiti nel<br />

nuovo e fiammante edificio di via Gramsci. Ricordo ancora le<br />

immense aule e l’odore di vernice fresca che si sprigionava<br />

dalle porte color verde acqua. Nei lunghi corridoi, ogni mattina,<br />

disposti in fila per due, marciavamo con incedere marziale<br />

fino all’ingresso della classe.<br />

Dei primi due anni di scuola, non c’è traccia nella mia<br />

memoria. Volti e luoghi sono svaniti nell’oblio del tempo. <strong>Di</strong><br />

quelli successivi, invece, conservo ogni ricordo.<br />

La maestra Vincenza Valenti, quella della terza elementare,<br />

mi è rimasta in mente perfino nei particolari. Indossava di<br />

frequente abiti scuri che portava con grazia e sobrietà. Il suo<br />

volto era ben truccato. Un rossetto color porpora le ravvivava<br />

le sottili labbra e le affilate guance erano sempre ricoperte da<br />

un impalpabile velo di cipria profumata. I neri capelli ricci,<br />

191


en pettinati, le conferivano un aspetto elegante e austero.<br />

Ogni mattina correvo a darle un bacio e, per tutto il tempo<br />

delle lezioni, mi rimaneva in volto il suo inebriante profumo.<br />

Il maestro Continella, insegnante della quarta elementare, si<br />

presentava in classe con un minaccioso martello di legno che<br />

batteva vigorosamente sulla cattedra per invocare silenzio ed<br />

attenzione. A dispetto dell’apparenza, era buono e alla mano.<br />

Portava, in bilico sul naso, un paio di occhiali spessissimi che<br />

rischiavano continuamente di cadere a causa di un irrefrenabile<br />

tic nervoso che gli provocava strane contorsioni in tutto il volto.<br />

A quei tempi, l’esigenza di assicurare agli alunni la continuità<br />

didattica, non doveva essere molto avvertita. Così, in quinta<br />

classe, cambiai ancora insegnante.<br />

Il nuovo maestro si chiamava Armando D’Urso. Era un uomo<br />

vigoroso e di alta statura. Lo ricordo solo per una dolorosa<br />

vicenda. Un giorno, allontanandosi dall’aula, aveva incaricato<br />

il capoclasse di segnare sulla lavagna l’elenco dei cattivi. Al<br />

suo rientro, il maestro vi lesse il mio nome. Mi chiamò alla<br />

cattedra. “Non ho fatto nulla, signor maestro,” l’anticipai impaurito.<br />

Con un sorriso beffardo, prese ad accarezzarmi le guance.<br />

Poi, all’improvviso, senza proferire parola, mi assestò un<br />

micidiale schiaffo in pieno volto, facendomi traballare. Per orgoglio,<br />

mi trattenni a stento dal piangere e, ancora stordito,<br />

poggiando la mano sulla guancia sinistra calda e dolente, guadagnai<br />

lentamente il mio banco.<br />

Mi consideravo incolpevole e, oltre al dolore, avvertivo la<br />

profonda umiliazione e la rabbia di essere stato punito senza<br />

ragione.<br />

Tornai a casa con il volto ancora segnato da quel colpo tremendo.<br />

Mia madre mi chiese conto di quanto accaduto. “È stato<br />

il maestro…” le dissi. “Peggio per te,” mi interruppe, “te le<br />

sarai meritate.” Neanche lei era disposta ad ascoltare le mie<br />

ragioni. Andai a letto triste e sconfortato.<br />

Quell’atto di gratuita violenza mi segnò per sempre, fermandomi<br />

istintivamente la mano ogni qualvolta i miei figli<br />

avrebbero meritato davvero un sonoro schiaffo.<br />

192


Con la quinta elementare, si chiuse la mia esperienza scolastica.<br />

Ero felice quando, l’anno successivo, dopo pochi mesi di<br />

frequenza in prima media, abbandonai la scuola per andare a<br />

lavorare con mio padre in campagna.<br />

A quell’età, si è troppo piccoli per apprezzare il valore della<br />

scuola. Senza lo studio, si cresce rozzi e vuoti come zucche;<br />

l’animo di un bambino resta rachitico e monco, privo di strumenti<br />

essenziali per affrontare la vita.<br />

Lo so che oggi rischio di dire delle banalità, ma se i miei<br />

genitori avessero avuto questa consapevolezza, certamente non<br />

mi avrebbero permesso, a soli undici anni, di “decidere” di<br />

abbandonare gli studi.<br />

Il rimpianto per non aver seguito un regolare corso scolastico<br />

mi brucia ancora come una ferita.<br />

La mostra del cinquantenario venne ospitata negli ampi corridoi<br />

dell’Istituto.<br />

<strong>Di</strong> recente avevamo investito più di due miliardi di lire per<br />

ristrutturare e mettere a norma quell’immobile. Si era provveduto<br />

a sostituire tutto il pavimento, le porte interne e i portoni<br />

degli ingressi principali. Erano stati realizzati nuovi servizi igienici,<br />

un impianto centralizzato d’aria condizionata e, in una<br />

parte del cortile interno, ampi locali per la direzione e la segreteria.<br />

<strong>Imp</strong>onenti scale in acciaio garantivano le uscite di sicurezza<br />

dal primo piano.<br />

Ma, con mio grande rammarico, quel lavoro di restauro fu<br />

fermato a metà. Per ben due volte, il consiglio comunale, con<br />

una maggioranza trasversale, si rifiutò di approvare il mutuo<br />

di circa un miliardo di lire, necessario per il rifacimento della<br />

facciata e la sostituzione degli infissi esterni. Così, ancora oggi,<br />

mentre al suo interno l’edificio si presenta completamente rinnovato,<br />

esternamente porta ancora i segni dell’usura e del degrado<br />

di mezzo secolo di vita.<br />

La mostra ebbe un grande successo. Le centinaia di foto e<br />

gli antichi documenti esposti suscitarono vivo interesse ed intense<br />

emozioni nei numerosi visitatori.<br />

193


Avendola riconosciuta in una foto, chiesi notizie della mia<br />

indimenticabile maestra Valenti che, dai tempi della scuola,<br />

non avevo più rivisto.<br />

La dott.ssa Barresi mi fornì l’indirizzo di una pensione per<br />

anziani di Catania, dove le risultava fosse alloggiata la mia<br />

maestra.<br />

Per telefono annunciai la mia visita. Mi recai a quell’appuntamento<br />

con un bouquet di rose e il cuore palpitante di<br />

emozione. L’anziana signora mi aspettava nel salotto della casa<br />

di riposo. Mi abbracciò. Restammo a lungo a conversare. Mi<br />

congedai, con la promessa che sarei ritornato ancora.<br />

A lei non dissi nulla, ma, dai tratti somatici e dalla conversazione,<br />

avevo capito che si era trattato di una spiacevole<br />

omonimia. Avrei saputo dopo che la mia amata maestra, già da<br />

alcuni anni, era passata ad altra vita. La gioia di abbracciarla e<br />

di sentire, ancora una volta, l’inebriante odore della sua cipria,<br />

era svanita per sempre.<br />

194<br />

Foto ricordo della terza classe elementare. Insegnante, Vincenza Valenti.<br />

L’autore è il quarto da sinistra, seconda fila


L’inaugurazione della mostra venne preceduta da un dibattito<br />

e da brevi rappresentazioni eseguite da gruppetti di alunni<br />

su un grande palco, allestito nell’ampio cortile della scuola.<br />

In una di queste scenette, venni coinvolto. Era stata<br />

rispolverata una vecchia e deliziosa rappresentazione musicale<br />

dal titolo “U siggiaru”, nella quale il popolare artigiano rivendicava<br />

con forza il valore della sua arte di fronte ad alcune<br />

massaie che si rivolgevano a lui con il riduttivo appellativo di<br />

“Mastru Puddu”, anziché con quello più riguardoso e ambito<br />

di “Don Puddu”.<br />

Cinquant’anni prima, in quinta elementare, a chiusura dell’anno<br />

scolastico, ero stato io ad interpretare il ruolo del protagonista<br />

e ora, a distanza di tutto quel tempo, venivo di nuovo<br />

invitato a recitare, assieme ad alcuni bambini, quella vecchia<br />

scenetta.<br />

Mi preparai per bene e per alcuni pomeriggi, insieme alla<br />

giovane insegnante di musica, signora Rasà, e ad un gruppetto<br />

di bambini, provai e riprovai il copione. Ci tenevo a fare bella<br />

figura. Volevo dimostrare, in primo luogo a me stesso, che,<br />

malgrado fossi giunto alla soglia dei sessant’anni, ero ancora<br />

in palla, come quando di anni ne avevo solo dieci.<br />

Ma non fu così. La mia performance, anche se applaudita,<br />

non mi appagò. La giudicai goffa e stonata. Mi venne in mente<br />

mio padre che, in tarda età, di fronte ad un suo insuccesso,<br />

amava ripetere, rimpiangendo i tempi della gioventù: “Non c’è<br />

cchi fari, essiri non si po cchiù di na vota. 1 ”<br />

Da allora, non ho più dimenticato l’allegro motivetto d’U<br />

siggiaru, e mi ritrovo spesso a canticchiarlo, con un velo di<br />

nostalgia, ripensando alla mia infanzia perduta.<br />

1 La vita si vive solo una volta: non si può tornare indietro<br />

195


LA FORZA E LA RAGIONE<br />

Il 2001 era l’anno delle elezioni. Si sarebbe votato, a maggio,<br />

per il Parlamento nazionale e, a giugno, per quello regionale. A<br />

novembre, sarebbe scaduto anche il mio secondo mandato.<br />

E, poiché la legge impedisce ai sindaci la possibilità di un<br />

terzo mandato consecutivo, furono in tanti a sollecitare una<br />

mia candidatura a parlamentare. Si sosteneva che la mia esperienza<br />

di amministratore e la popolarità conseguita dovessero<br />

essere utilizzate per un impegno più ampio. In fondo, si diceva,<br />

si trattava solo di pochi mesi ancora di sindacatura e poi,<br />

comunque, avrei dovuto abbandonare quella carica.<br />

Ma io avevo altre idee. La prospettiva d’interrompere<br />

anticipatamente il mio mandato, sia pure per un impegno di<br />

prestigio, non mi esaltava.<br />

Per potermi candidare, avrei dovuto dimettermi almeno<br />

centottanta giorni prima della data delle elezioni e abbandonare<br />

la mia carica già alla fine del 2000, rinunciando ad un anno<br />

di sindacatura, indispensabile per portare a compimento una<br />

serie di opere e iniziative programmate. E poi, non volevo consegnare<br />

il comune ad un commissario che avrebbe preso il mio<br />

posto fino alle nuove elezioni.<br />

Ma soprattutto, c’era in me il desiderio di preparare la mia<br />

successione e predisporre il terreno al futuro sindaco. Non volevo<br />

regalare nulla all’opposizione, com’era accaduto, nel ’99,<br />

a Catania, per la malaccorta decisione di Enzo Bianco di dimettersi,<br />

improvvisamente, da sindaco, per andare a ricoprire<br />

la carica di ministro degli Interni, nel secondo governo<br />

D’Alema.<br />

Così, anche per troncare sul nascere ogni discussione, insieme<br />

al tradizionale calendario curato dall’amministrazione<br />

comunale e agli auguri per il nuovo anno, a fine dicembre del<br />

197


2000, inviai una lettera ai miei concittadini nella quale annunciavo<br />

la mia decisione: “A novembre del prossimo anno scadrà<br />

il mio mandato. Un’assurda e ingiusta legge m’impedisce di<br />

candidarmi per la terza volta. Tuttavia, nessuna legge potrà mai<br />

vietarmi di restare ancora, anche se non più da sindaco, al servizio<br />

della mia città. Perciò, ho deciso di non candidarmi alle<br />

ormai prossime elezioni per il Parlamento nazionale e regionale.<br />

Le cose che insieme abbiamo fatto e quelle che, con ansia,<br />

attendono di essere compiute, sono troppo importanti, perché<br />

possa allontanarmi dall’impegno quotidiano per Misterbianco.”<br />

“Non vuole lasciare il comune…chissà quali interessi<br />

avrà…chissà cosa ci sarà sotto.” Questi i commenti di qualche<br />

benpensante.<br />

Fra i pochi che condivisero la mia scelta, si levò la voce del<br />

dott. Antonio Belfiore, apprezzato cultore di storia locale. “Il<br />

nostro attuale sindaco ha rinunciato ad essere deputato regionale…<br />

Io lo ringrazio per non essere diventato un inutile onorevole<br />

e per aver continuato a portare avanti il paese. Gli sono<br />

davvero grato.” Queste le sue lusinghiere parole pronunciate<br />

nel corso di un’intervista rilasciata al giornale “Misterbianco<br />

in comune”, il notiziario che avevamo messo su, nel ’99, sotto<br />

la direzione della giornalista Rosamaria <strong>Di</strong> Natale.<br />

Le elezioni comunali slittarono di sei mesi, per cui si andò a<br />

votare nel maggio del 2002. Nella mia maggioranza si raggiunse<br />

subito l’intesa su come affrontare al meglio le scadenze<br />

elettorali che si avvicinavano. L’assessore Antonio Biuso sarebbe<br />

stato il candidato dell’Ulivo alla Camera dei Deputati<br />

nel XIV collegio, che comprendeva Misterbianco; Orazio Pellegrino,<br />

allora consigliere provinciale dei DS, alle regionali;<br />

Stefano Santagati a sindaco. Io l’avrei sostenuto facendogli da<br />

vicesindaco.<br />

Quella tornata elettorale non fu positiva, per l’Ulivo. Fu<br />

quella del 61 a 0. Alle politiche il Polo conquistò tutti i collegi,<br />

in Sicilia. Anche alle regionali andò male per il partito dei DS<br />

che, nella provincia di Catania, vide dimezzata la propria rap-<br />

198


presentanza all’ARS, ottenendo un solo deputato. Così né Biuso,<br />

né Pellegrino riuscirono ad essere eletti.<br />

Quest’ultimo, dopo qualche mese, avrebbe deciso di abbandonare<br />

il partito, dopo decenni di militanza. Il suo non sarà un<br />

salto nel buio, ma una scelta ben calcolata. Aveva stabilito un’intesa<br />

con il cugino, Lino Lenza, neo eletto all’Assemblea regionale<br />

nella lista dell’UDC dopo aver lasciato Forza Italia: in<br />

cambio della rottura con i DS e dell’esplicito appoggio elettorale<br />

al candidato del Polo alle comunali, Pellegrino avrebbe<br />

ottenuto un assessorato nella futura giunta provinciale di<br />

centrodestra. Cosa che puntualmente si verificò nel dicembre<br />

2003.<br />

Oramai, la scadenza elettorale si avvicinava. Il 26 maggio<br />

era alle porte.<br />

Sollecitammo, in mille modi, i dirigenti della “Margherita”<br />

a presentare alle elezioni la propria lista. Io stesso mi rivolsi a<br />

Enzo Bianco e a Giovanni Burtone, auspicando la presenza del<br />

loro simbolo. Ma non ci fu nulla da fare. A fronte di una generica<br />

disponibilità, mancò il loro impegno concreto nella competizione<br />

elettorale.<br />

Sarà stato perché non avevano esponenti di rilievo nella realtà<br />

comunale, dato che i due consiglieri ex popolari, Ninella Caruso e<br />

Turi Saglimbene, erano trasmigrati all’UDC; o forse perché temevano<br />

di venire schiacciati dalla forza preponderante dei DS di<br />

Misterbianco, fatto è che la “Margherita” decise di non scendere<br />

in campo. E, col cinismo della spietata suocera che pi vidiri a nora<br />

a-lluttu, non c’interessa ca mori so figghiu 1 , ci lasciò soli in quella<br />

decisiva battaglia.<br />

Malgrado ciò, il nostro schieramento indicò come assessore<br />

della futura giunta il dott. Giovanni Privitera, un giovane<br />

commercialista che era stato candidato nelle liste del partito<br />

Popolare Italiano, nelle elezioni Provinciali del ’98.<br />

1 Il piacere di vedere la nuora vestita a lutto supera il dolore per la morte<br />

del figlio.<br />

199


Anche con Rifondazione Comunista provammo a costruire<br />

un’alleanza, ma ci trovammo di fronte lo stesso muro<br />

invalicabile di pregiudizi e di preclusioni, di natura anche personale,<br />

che avevamo sperimentato già durante i nove anni della<br />

mia sindacatura.<br />

Così, oltre ai DS, l’unica forza del centrosinistra che si schierò<br />

con noi fu il partito dei Comunisti italiani che candidò un<br />

gruppo di giovani di buona volontà, ma di scarsa aderenza nella<br />

realtà cittadina.<br />

La forza elettorale di entrambi i partiti, alle elezioni regionali<br />

del 2001, non aveva superato il 12,50%, avendo conseguito<br />

i DS l’11,75% e i Comunisti italiani lo 0,49%.<br />

Accanto a quella, già collaudata, del “Movimento volontari<br />

per Misterbianco con <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>”, riuscimmo a mettere su un’altra<br />

lista civica denominata: “Comitato civico misterbianchese”.<br />

Con queste quattro liste, affrontammo la campagna elettorale.<br />

Anche questa volta, come nel ’97, avremmo dovuto fronteggiare<br />

da soli la schiacciante forza del centrodestra che alle<br />

regionali era andata ben oltre il 60% dei consensi.<br />

Ma non eravamo preoccupati. Il 26 maggio si andava a votare<br />

per il sindaco e noi ci presentavamo agli elettori forti del nostro<br />

buongoverno e dell’impegno profuso per rinnovare la città.<br />

Il centrodestra, invece, non appariva credibile né per uomini<br />

né per programma. Nei nove anni di opposizione non era<br />

emersa, nei partiti di quello schieramento, alcuna figura capace<br />

di assumere un ruolo di rilievo.<br />

All’ultimo momento, venne fuori, come candidato a sindaco,<br />

il nome di Ninella Caruso, consigliere comunale uscente,<br />

cattolica vicina alla parrocchia della chiesa Madre. Quella candidatura,<br />

priva com’era di statura politica e amministrativa,<br />

certamente non ci impensieriva più di tanto.<br />

Ma, la partita a Risiko, con la messa a punto della strategia<br />

di accerchiamento e strangolamento di Misterbianco, si giocava<br />

da tempo nelle segreterie politiche provinciali del<br />

centrodestra.<br />

200


Quei partiti, forti delle riconquistate posizioni di potere sia<br />

nel governo regionale, con la recente elezione di Totò Cuffaro,<br />

sia nell’amministrazione catanese, con a capo il sindaco<br />

Umberto Scapagnini e il vicesindaco Raffaele Lombardo,<br />

oltrechè nella direzione dell’Università e delle A.S.L., utilizzarono<br />

la vecchia, ma ben collaudata macchina clientelare, per<br />

influenzare e coartare il consenso.<br />

La circostanza, poi, che quella tornata elettorale non riguardasse<br />

la città di Catania, dove si era votato nel marzo del 2000,<br />

fece sì che quelle forze riversassero su Misterbianco, specialmente<br />

nelle frazioni, tutta la loro organizzazione di mezzi, uomini<br />

e risorse finanziarie.<br />

Per espugnare la città, si mobilitò tutto l’apparato provinciale<br />

del centrodestra scatenando la sua micidiale offensiva su<br />

diversi fronti.<br />

Furono presentate nove liste con duecentocinquanta candidati,<br />

di cui ben ottantatre non residenti nel nostro comune ma<br />

che avevano, in qualche modo, relazioni di parentela o di lavoro<br />

con la realtà misterbianchese. Era chiaro come questi ultimi<br />

avessero scelto di candidarsi non perché interessati realmente<br />

al futuro destino di Misterbianco, ma perché sollecitati da chi,<br />

per pregressi o attuali rapporti politici e di favore, richiedeva<br />

loro questo tipo di prestazione.<br />

Questa strategia si rivelerà vincente: gli ottantatre candidati<br />

avrebbero ottenuto ben duemila preferenze, oltre il 10% dei<br />

consensi. Una percentuale più che sufficiente a decidere l’esito<br />

della competizione elettorale.<br />

Fu posta in essere una spregiudicata campagna acquisti.<br />

Molti professionisti, impiegati, imprenditori che, inizialmente,<br />

erano intenzionati a sostenere la nostra battaglia, furono<br />

“convinti” a rinunciare a candidarsi con noi o, addirittura, a<br />

passare alle liste avversarie. Perfino la presidente della Pro loco,<br />

con la quale avevamo collaborato in assoluta armonia per tutti<br />

i nove anni, all’ultimo momento, con una scelta inspiegabile,<br />

si candidò con il centrodestra.<br />

Si registrarono, inoltre, inquietanti episodi di intimidazio-<br />

201


ne. Alcuni nostri sostenitori furono “sollecitati” a togliere il<br />

nostro manifesto elettorale dalle pareti delle loro attività commerciali<br />

da oscuri individui che, perentoriamente, annunciavano:<br />

“È inutile insistere. Vi dovete convincere: ormai, il tempo<br />

di <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> a Misterbianco è finito.”<br />

Ma, né le intimidazioni, né i repentini voltafaccia ci preoccupavano<br />

più di tanto. Il clima in città ci sembrava del tutto<br />

favorevole. Il nostro candidato, Stefano Santagati, vicesindaco<br />

da nove anni, era noto e apprezzato. Tutti lo davano vincente.<br />

Preparammo un manifesto elettorale che raffigurava me e<br />

Stefano, mentre ci scambiavamo una calorosa stretta di mano,<br />

a significare il nostro cambio di ruolo alla guida del comune,<br />

nella continuità. “Nove anni di fatti parlano per noi” era il nostro<br />

slogan e, con questa parola d’ordine, affrontammo la campagna<br />

elettorale.<br />

I comizi si tenevano in piazza Mazzini.<br />

Con il recente restauro, quella piazza aveva ritrovato un<br />

nuovo e dignitoso decoro. Su di essa si specchiavano, entrambe<br />

rimesse a nuovo, a sud la splendida facciata dell’antico palazzo<br />

ducale e, ad ovest, quella liberty dell’ex casa dell’acqua,<br />

ristrutturata e adibita a galleria d’arte.<br />

Anche le attigue vie Gramsci e Garibaldi erano state investite<br />

da una profonda opera di recupero e di rinnovamento, con<br />

la realizzazione di marciapiedi e illuminazione artistica.<br />

Nella vicina e centralissima piazza Dante, un tempo consueto<br />

ritrovo per spacciatori di droga, era stato impiantato un<br />

magnifico parco giochi e, al centro di una grande aiuola, sotto<br />

un secolare albero di carrubo, avevamo eretto una lapide in<br />

memoria di Giuseppe Torre, giovane vittima della mafia.<br />

In via Cairoli era stato demolito il vecchio fabbricato che,<br />

da sempre, ostruiva la facciata della chiesetta di San Rocco e,<br />

al suo posto, era stata realizzata una caratteristica scalinata in<br />

pietra lavica che conferiva a quell’area un aspetto davvero gradevole.<br />

202


Chiesa di San Rocco, prima e dopo la demolizione dell’edificio<br />

che ne ostruiva la facciata<br />

Perfino i gabinetti pubblici, che prima si affacciavano sulla<br />

piazza facendo sentire la loro presenza con l’acre e inconfondibile<br />

fetore, erano stati rimodernati, ampliati e muniti di apparecchiature<br />

automatiche per assicurare ai frequentatori pulizia<br />

e igiene. Tutto, nella piazza e nei suoi dintorni, parlava di<br />

buongoverno.<br />

Il centrodestra aprì, per primo, la campagna elettorale.<br />

Per l’occasione fu montato un ampio e robusto palco. Vennero<br />

tanti “pezzi da novanta”: da Pino Firrarello a Raffaele<br />

Lombardo, da Bartolo Pellegrino a Francesco Parisi, da Giuseppe<br />

Castiglione a Filippo Drago, a Vincenzo Sudano, neo<br />

eletto Senatore nel collegio di Misterbianco. Il presidente del<br />

governo regionale, Cuffaro, non fu presente in quell’occasione<br />

ma, successivamente, anch’egli si sarebbe fatto vedere a<br />

Misterbianco, annunciando che aveva raccomandato la Sicilia<br />

alla Madonna delle lacrime e che le porte della regione sarebbero<br />

rimaste sempre aperte per il futuro sindaco, Ninella Caruso.<br />

203


Dei partiti della coalizione mancava solo Alleanza Nazionale.<br />

Pippo Longo, consigliere provinciale e appassionato militante<br />

di quel partito, teneva ancora duro. Era stato il primo a<br />

scendere in campo, tappezzando i muri del paese con un manifesto<br />

in cui annunciava la sua candidatura a sindaco, e non<br />

voleva mollare. Rimasto solo, avrebbe poi dovuto cedere, dopo<br />

qualche settimana, quando il suo partito gli impose perentoriamente<br />

di ritirare la candidatura.<br />

Sul palco c’era, pateticamente in vista, anche l’ex compagno<br />

Orazio Pellegrino che, in cambio della promessa di una<br />

poltrona, si ritrovava, senza arrossire, in compagnia di quei<br />

politici che, fino a qualche mese prima, aveva ferocemente criticato.<br />

Pellegrino, insieme all’ex presidente del consiglio e ad un<br />

altro consigliere comunale, usciti anch’essi dal partito, aveva<br />

formato una lista civica e, facendo leva sui delicati rapporti di<br />

lavoro con artigiani, manovali, carpentieri, geometri, assicuratori,<br />

derivanti dalla sua posizione d’imprenditore edile, raccattò<br />

il maggior numero di candidati e di voti possibili. La sua<br />

lista, racimolando 1612 voti, il 6% dei consensi, si rivelerà<br />

determinante per la vittoria del centrodestra.<br />

I compagni non gli perdoneranno mai quel voltafaccia, quella<br />

scelta opportunistica di abbandonare il partito in cui, per decenni,<br />

aveva militato e gli incolleranno l’appropriato appellativo<br />

di Gano di Maganza.<br />

Nel comizio, il ruolo di presentatore e padrone di casa veniva<br />

svolto dall’on. Lino Leanza, da noi simpaticamente chiamato<br />

u marittisi per la sua provenienza dal paese di Maletto.<br />

Durante la sua esibizione, a corto di argomenti, impugnò il microfono<br />

e prese ad intonare, dal palco, l’inno di Mameli. Era<br />

davvero divertente guardarlo, mentre cantava l’inno nazionale,<br />

come se assistesse all’alzabandiera in una terra straniera da<br />

poco conquistata.<br />

Il senatore Firrarello intervenne per primo, con un brevissimo<br />

discorso, asciutto e chiaro: “Bisogna cancellare l’anomalia<br />

rossa di Misterbianco che, per nove anni, ha imperversato nel-<br />

204


Comizio del Centrodestra. La candidata a sindaco attorniata dai parlamentari:<br />

M. Rotella, S. Cuffaro, L. Leanza, R. Lombardo, G. Pistorio, D. Sudano, F. Mancuso<br />

la provincia di Catania. Nel marzo del 2000 abbiamo conquistato<br />

Catania, il prossimo 26 maggio conquisteremo Misterbianco.”<br />

L’assessore regionale al territorio, Bartolo Pellegrino, ammiccava:<br />

“Per ogni problema urbanistico, Misterbianco troverà<br />

sempre a disposizione il mio assessorato” ignorando che il<br />

nostro comune, da ben sei mesi, aveva operante il Piano<br />

Regolatore.<br />

La platea era formata da alcune centinaia di cittadini fra cui<br />

si facevano notare, per la loro entusiastica partecipazione, i<br />

titolari della discarica di Tiritì. Confusi fra la folla, si aggiravano<br />

anche numerosi ex democristiani e socialisti che, in passato,<br />

avevano “diretto” il comune e che ora si riciclavano in Forza<br />

Italia, UDC e Nuova Sicilia.<br />

Tutto il vecchio mondo politico, rimasto sopito per un decennio,<br />

sospinto dal vento della restaurazione, si riaffacciava<br />

timidamente sulla scena con animo vendicativo.<br />

Un brivido di paura mi assalì nell’immaginare il mio comu-<br />

205


ne stretto nelle grinfie di quei personaggi. Ma quel timore sparì<br />

appena prese la parola la candidata a sindaco, Ninella Caruso.<br />

Ascoltandola, tutto tornò alla sua naturale luce. Non era<br />

possibile che quel personaggio incolore, tirato fuori dal cilindro<br />

da politici del tutto estranei alla vita del comune, privo di<br />

credibilità e senza uno straccio di programma, potesse battere<br />

quella roccia granitica di esperienza e competenza del nostro<br />

candidato sindaco, Stefano Santagati.<br />

Sottovalutavamo, in quel momento, l’importanza decisiva<br />

che, nella competizione elettorale, aveva assunto l’introduzione<br />

della scheda unica, per eleggere sia il sindaco sia i consiglieri.<br />

Mentre prima, con le due schede elettorali, l’elezione del<br />

sindaco risultava del tutto separata da quella del Consiglio, ora,<br />

con la scheda unica, al candidato sindaco sarebbero andati,<br />

automaticamente, tutti i voti delle liste a lui collegate, eccetto i<br />

casi di voto disgiunto.<br />

Tale novità, introdotta dalla legge n. 35/77, motivata dall’esigenza<br />

di assicurare al sindaco una stabile maggioranza in Consiglio<br />

comunale, man mano, si sarebbe tradotta in una perdita di<br />

peso della personalità e delle qualità politiche del candidato a<br />

sindaco, diventando sempre più determinanti, per la sua elezione,<br />

il numero di liste e di candidati schierati al suo fianco.<br />

Così, si sarebbe assistito ad una sconcertante proliferazione<br />

di liste “fai da te”, con la chiamata in lizza di centinaia o, addirittura,<br />

di migliaia di candidati.<br />

Ed è esattamente ciò che sarebbe accaduto a Misterbianco<br />

e, nel maggio del 2005, a Catania, ove la scheda elettorale, per<br />

poter accogliere i ventinove simboli in competizione, avrebbe<br />

raggiunto la sbalorditiva dimensione di oltre novanta centimetri<br />

di lunghezza.<br />

In tal modo, lo spirito dell’elezione diretta del sindaco si<br />

sarebbe incrinato progressivamente, aprendo un varco verso<br />

forme degenerative della vita politica.<br />

206


Comizio a sostegno del candidato sindaco S. Santagati.<br />

Da sin.: A. Licciardello, N. <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, M. La Piana, A. Biuso, S. Bonanno,<br />

S. Santagati, P. Spampinato<br />

Ai nostri comizi non invitavamo dirigenti politici di rilievo.<br />

Conducevamo, da soli, la nostra battaglia. Non ci facevamo<br />

intimorire dai grossi personaggi venuti per espugnare la nostra<br />

città. Verso di loro, usavamo l’arma dell’ironia e dell’orgoglio<br />

paesano.<br />

Fra i nostri oratori, c’erano giovani che avevano visto crescere,<br />

in quegli anni, la propria città ed esprimevano l’entusiasmo<br />

e l’orgoglio di essere misterbianchesi. Così Ester, una dolce<br />

e raffinata ventenne del quartiere di Montepalma, commessa<br />

alla “Rinascente”, che, con parole semplici e velate di emozione,<br />

testimoniava come il suo quartiere, in pochi anni, era rinato<br />

a nuova vita; così Federico, neo studente in Economia, che ricordava<br />

gli anni di scuola media trascorsi in un garage, a Lineri.<br />

Entrambi davano voce ad una giovane generazione che aveva<br />

assaporato il gusto di vivere in quartieri ordinati e civili.<br />

Occorrevano ore ed ore per elencare i traguardi raggiunti<br />

dalla nostra amministrazione in quegli anni.<br />

207


Urban 2 fu il nostro cavallo di battaglia. Quel finanziamento<br />

europeo conferiva a Misterbianco una prestigiosa aureola, ponendolo<br />

come uno dei comuni meglio amministrati in Sicilia.<br />

Le nuove scuole, la fiorente zona commerciale, la squadra<br />

di calcio promossa in D, la raccolta differenziata che aveva<br />

raggiunto il 20% dei rifiuti urbani, il verde, le fognature, i trasporti<br />

urbani, la migliore qualità della vita… Era davvero agevole<br />

trasformare il comizio in una vera apoteosi del nostro<br />

buongoverno.<br />

La chiusura della campagna elettorale rimase memorabile.<br />

La piazza era gremita in ogni dove. L’assessore Antonio Biuso,<br />

nel suo breve intervento, lesse, con la sua voce calda e coinvolgente,<br />

i bei versi del poeta Salvo Basso, giovane assessore<br />

alla cultura del comune di Scordia, da poco stroncato da un<br />

inesorabile male.<br />

A ddi tempi A quei tempi<br />

quannu u cori quando il cuore<br />

bbatteva cchiù batteva più<br />

llentu scrivevu piano scrivevo<br />

cchiossai. Era di più. Era<br />

quistioni di questione di<br />

tempu, ccioè di tempo, cioè di<br />

spiranza e speranza e<br />

carusanza. giovinezza.<br />

Chista è Questa è<br />

na cosa ca nun cancia: una cosa che non cambia:<br />

quannu quando<br />

pensi ca nveci… pensi che invece…<br />

finisci. finisce.<br />

Semu Siamo<br />

albiri ncucchiati, alberi legati,<br />

ama ghiri dobbiamo andare<br />

o funnu. al fondo.<br />

208


Quelle parole incarnavano, nel profondo, lo spirito autentico<br />

della nostra straordinaria stagione amministrativa, impregnata<br />

di spiranza e carusanza.<br />

La Spiranza di cambiare la condizione di vita della nostra<br />

comunità, riscattandola dal degrado e dall’abbandono in cui<br />

versava quando ne avevamo preso in mano la guida. E la<br />

Carusanza, quella sorta d’incoscienza giovanile, fatta di coraggio<br />

e di gusto della sfida, grazie alla quale eravamo riusciti<br />

ad intraprendere, senza paura, quel difficile cammino.<br />

Parlai a lungo, in quel comizio. M’inebriava quel clima di<br />

festa collettiva. Ero commosso. Sarebbe stata l’ultima volta in<br />

cui mi sarei rivolto ai miei concittadini, da sindaco. Avvertivo<br />

l’orgoglio e la gioia di essere stato un protagonista del riscatto<br />

del mio paese.<br />

Stefano Santagati parlò solo pochi minuti. Trovò parole affettuose<br />

nei miei confronti e promise solennemente tutto il suo<br />

impegno per la “nuova Misterbianco”.<br />

Nessuno, quella sera, avrebbe potuto mettere in dubbio il<br />

nostro successo. Nulla faceva presagire la sconfitta che, in agguato,<br />

i nostri avversari stavano preparando.<br />

La nostra carusanza ci illuse. Ci fece credere che la passione,<br />

la trasparenza, il buongoverno, che avevano contraddistinto<br />

la nostra amministrazione, avrebbero travolto la micidiale trappola<br />

che il vecchio e consumato ceto politico ci aveva teso.<br />

Ma, quannu a forza cu a ragiuni cuntrasta, vinci a forza<br />

pirchì a raggiuni nn’abbasta. 2 E così, il 27 maggio, la forza<br />

dei ricatti e delle intimidazioni, accanto alle antiche sirene del<br />

clientelismo e delle false promesse, avrebbero maldestramente<br />

prevalso sulla ragione della nostra ingenua e candida carusanza.<br />

2 Quando la forza contrasta con la ragione, vince la forza perché la ragione<br />

non basta.<br />

209


IL GIORNO DOPO<br />

Dalla finestra socchiusa, uno spiraglio di luce annunciava il<br />

mattino. Accesi l’abat-jour. Erano già le cinque. Mia moglie<br />

dormiva placidamente. Mi alzai e preparai il caffè. Mi sedetti<br />

in cucina. Tanti anni d’intensi ricordi, rivissuti in una notte, mi<br />

avevano stordito. Ma la mente, come lingua che batte dove il<br />

dente duole, tornava sempre al giorno prima, a quell’amara e<br />

inattesa sconfitta. Avrei voluto svegliarmi e scoprire che era<br />

stato soltanto un incubo, ma non era così.<br />

Mi attardai in casa. Non avevo voglia di uscire. Aprii il libro<br />

“Lettere a Lucilio” e m’immersi in un’avida lettura. Come<br />

una dose di morfina, la penetrante saggezza di Seneca si scioglieva<br />

nel mio animo, distendendolo e rendendolo sereno e ben<br />

disposto.<br />

Verso le dieci, mi chiamarono dal comune. Nella sala giunta,<br />

era riunito il comitato scientifico che doveva valutare gli<br />

elaborati del concorso nazionale di idee: “Misterbianco, città<br />

possibile” che, qualche mese prima, avevamo indetto.<br />

Il concorso costituiva il frutto più significativo della collaborazione<br />

fra la Scuola Superiore di Catania per la formazione<br />

di eccellenza e il comune di Misterbianco. Il Comitato scientifico<br />

era composto da eminenti studiosi: Giuseppe Giarrizzo,<br />

Giancarlo De Carlo, Maurice Aimard ed Enrico Iachello, oltre<br />

ai due ricercatori, Sebastiano Lisi e Luca Barbarossa.<br />

Appena messo piede in strada, il paese mi sembrò immerso<br />

in un’atmosfera irreale, come se qualcosa di grave ed<br />

inspiegabile fosse accaduto.<br />

“Ma come abbiamo potuto perdere? Non ci posso credere!<br />

Chissà cosa è successo!” mi domandavano i cittadini, incontrandomi.<br />

M’accorsi, ben presto, che non ero il solo a provare<br />

la sensazione di aver subito un tremendo scippo. Quei volti<br />

211


smarriti e increduli di tanta gente mi confermavano che la certezza<br />

della vittoria, che avevamo nutrito alla vigilia del voto,<br />

non era stata frutto di una superficiale e infondata euforia. Certo,<br />

c’erano state le elezioni e noi avevamo perso. Apparentemente<br />

tutto si era svolto secondo le regole formali della democrazia.<br />

Ma, man mano, cresceva in me il convincimento che<br />

qualcosa di sinistramente anomalo fosse avvenuto nel corso<br />

della consultazione elettorale.<br />

Entrai nella sala giunta. “La stagione dei sindaci di nuovo<br />

modello si è conclusa, mio caro Nino. Purtroppo, il populismo<br />

demagogico e clientelare è tornato!” Con queste parole, il prof.<br />

Giarrizzo commentò la nostra sconfitta elettorale. Mi presentò<br />

il prof. De Carlo, illustre urbanista di livello mondiale, cui era<br />

stato affidato il restauro dei Benedettini, il più antico e monumentale<br />

complesso edilizio di Catania.<br />

Rimasi pochi minuti a conversare con loro. Oramai, in quei<br />

locali che per tanti anni mi avevano visto al lavoro, mi sentivo<br />

un estraneo e avvertivo un’insopprimibile voglia di allontanarmi.<br />

Tornai a casa avvilito e senz’animo.<br />

Nel pomeriggio, candidati, compagni e sostenitori ci ritrovammo<br />

nella sede del comitato elettorale.<br />

L’atmosfera era intrisa di rabbia e di sconforto. Ognuno raccontava,<br />

con desolazione, ciò cui aveva assistito in quei due<br />

giorni: le sezioni elettorali presidiate da personaggi equivoci<br />

che, con aria intimidatoria, accompagnavano gli elettori fin<br />

dentro al seggio; la presenza minacciosa di numerosi galoppini<br />

venuti da Catania; le operazioni di spoglio effettuate sotto la<br />

massiccia e agguerrita pressione dei rappresentanti delle nove<br />

liste del centrodestra, pronti ad arraffare voti con qualsiasi<br />

mezzo.<br />

Quelle testimonianze restituivano il clima d’intimidazione<br />

in cui si erano svolte, specie nelle frazioni, le elezioni e il successivo<br />

spoglio delle schede. Ogni compagno esprimeva la propria<br />

rabbia, qualcuno anche piangendo, per l’ingenuità in cui<br />

eravamo caduti, per non aver neanche immaginato un simile<br />

attacco e per non esserci attrezzati adeguatamente per fronteg-<br />

212


giarlo. <strong>Di</strong>versi candidati, poi, lamentavano di non aver ritrovato,<br />

nelle sezioni in cui essi stessi o parenti e amici avevano<br />

votato, le proprie preferenze.<br />

Il dubbio che, nelle operazioni di spoglio, molti voti erano<br />

stati fatti mancare alle nostre liste, prendeva man mano il sopravvento.<br />

Ci soffermammo, fino a tarda sera, ad esaminare i risultati.<br />

Nel centro, anche se di stretta misura, il nostro candidato aveva<br />

prevalso. Paradossalmente, la sconfitta era giunta dalle frazioni,<br />

dove maggiore era stato il nostro impegno, in termini di<br />

opere e di risorse investite.<br />

Complessivamente, la candidata del centrodestra aveva ottenuto<br />

il 51,4%; il nostro Stefano Santagati il 47,2% e il candidato<br />

di Rifondazione Comunista si era fermato all’1,4%, risultato<br />

che avrebbe comportato, per quel partito, perfino la perdita<br />

della rappresentanza in consiglio comunale.<br />

Non ci davamo pace. Per poche centinaia di voti, non eravamo<br />

andati al ballottaggio, dove in corsa, questa volta, sarebbero<br />

stati soltanto i due candidati a sindaco. In questo caso, il<br />

nostro avrebbe conseguito una facile vittoria sull’avversario<br />

che non avrebbe più potuto contare sull’enorme sostegno e<br />

mobilitazione dei duecentocinquanta candidati per il consiglio.<br />

La domenica, una grande folla si riunì in piazza per il nostro<br />

comizio. Erano accorsi in tanti, non solo per ascoltare, ma per<br />

esprimere la volontà di partecipare a quel momento politico così<br />

importante per la vita della città.<br />

Dal palco, dichiarammo che quell’esito elettorale rappresentava<br />

una sconfitta per tutta la città, perché non aveva vinto un’altra<br />

parte politica, ma un blocco di interessi estraneo a Misterbianco,<br />

che avrebbe ricacciato indietro il nostro comune. Denunciammo,<br />

poi, i numerosi episodi di brogli riscontrati in tante sezioni elettorali<br />

e il sospetto che alcuni candidati, eletti nelle liste del<br />

centrodestra, avessero ricevuto sostegno dalla malavita. Annunciammo<br />

che non avremmo accettato passivamente il risultato e<br />

che avremmo presentato ricorso.<br />

La piazza rimase affollata anche dopo il comizio. Restam-<br />

213


mo lì, a discutere con i cittadini di quello che era accaduto e di<br />

come fosse stato possibile. Ci colpì la spontanea partecipazione<br />

con cui molti di loro vollero contribuire alle spese dell’annunciato<br />

ricorso.<br />

In un batter d’occhio, più di duemila euro furono raccolti.<br />

Ognuno voleva fare la propria parte per riprendersi la propria<br />

città e il proprio futuro, fattosi improvvisamente oscuro e incerto,<br />

a causa di quella strana sconfitta.<br />

Che la nostra fosse stata, appunto, una strana sconfitta, ne<br />

avevamo avuto la prova sabato, il giorno prima del nostro comizio,<br />

durante la manifestazione di ringraziamento dei vincitori.<br />

Quella sera c’erano tanti cittadini, ma la loro partecipazione<br />

appariva fredda e distaccata. Non si levò nemmeno un applauso<br />

veramente partecipato. I più erano andati solo per curiosare.<br />

Tant’è vero che la cerimonia che seguì, con pasticcini,<br />

torte e spumante, disposti in una lunga tavolata, vide il coinvolgimento<br />

di pochi seguaci, mentre la gran parte dei presenti<br />

se ne tenne ben distante.<br />

Il palco era affollato, ma l’aria era greve.<br />

Sarà stato perché la vittoria li aveva colti di sorpresa o per<br />

l’inattesa ribellione di qualche coscienza inquieta, fatto è che<br />

quella sera, sui volti dei vincitori, il sorriso appariva freddo e<br />

forzato.<br />

La neo sindaca non credeva ai suoi occhi. Neanche lei avrebbe<br />

scommesso un soldo sulla sua elezione. E, del resto, come<br />

candidata al consiglio comunale, con duecentoventicinque voti<br />

di preferenza, era risultata l’ultima degli eletti nella lista<br />

dell’UDC e, nelle frazioni, dove la sua coalizione aveva<br />

stravinto, lei era riuscita a racimolare, a malapena, diciotto preferenze.<br />

“Gano di Maganza” ostentava, da lassù, la sua soddisfazione<br />

per aver onorato lo scellerato accordo consumato sulla pelle<br />

dei suoi vecchi compagni di partito.<br />

“U marittisi”, incontenibile, restava incollato al microfono<br />

a cantare a squarciagola l’inno di Mameli. Era lui il vero vincitore.<br />

Aveva lavorato bene, l’on. Leanza. Non solo era riuscito<br />

214


ad unificare il polo sotto un unico candidato, costringendo Pippo<br />

Longo ad una clamorosa marcia indietro, ma, soprattutto, aveva<br />

“convinto” suo cugino Orazio Pellegrino e i suoi seguaci,<br />

ex diessini come lui, a “saltare il fosso”.<br />

Facevano ressa sul palco anche numerosi esponenti del vecchio<br />

mondo politico, che durante la campagna elettorale erano<br />

rimasti confusi fra la folla, e che ora, dopo la vittoria, trovavano<br />

la sfrontatezza di mettersi in mostra. Perfino un ex assessore<br />

democristiano, divenuto coordinatore locale di Forza Italia,<br />

era riemerso, malgrado di recente fosse stato condannato, definitivamente,<br />

a quattro anni e sei mesi per tentata concussione.<br />

Che spettacolo desolante! Che tristezza, vedere il mio paese<br />

di nuovo in mano a quei personaggi!<br />

In un attimo, Misterbianco precipitava rovinosamente indietro<br />

di dieci anni.<br />

Il convincimento di gravi brogli elettorali alimentò la nostra<br />

speranza di sovvertire con un ricorso quell’infausto verdetto.<br />

Certo, sarebbe passato un po’ di tempo, forse un anno o<br />

anche più, ma, alla fine, la verità sarebbe emersa e quel risultato<br />

cancellato.<br />

Qualche giorno prima di presentare il ricorso, scoprimmo<br />

altre gravi illegittimità. Ci accorgemmo che le firme, necessarie<br />

per la presentazione di due liste civiche, erano state apposte,<br />

in gran parte, da persone diverse da quelle che risultavano<br />

firmatarie. Immediatamente, facemmo eseguire una perizia<br />

calligrafica che confermò i nostri sospetti: qualcuno aveva apposto,<br />

falsamente, le firme di tanti ignari cittadini e Orazio<br />

Pellegrino e Benedetto L’Acqua, nella qualità di pubblici ufficiali,<br />

dichiarando il falso, ne avevano attestato l’autenticità.<br />

Notammo inoltre che, per la lista Udeur, mancava, addirittura,<br />

la dichiarazione di autenticità.<br />

Era chiaro che le tre liste, collegate al candidato di<br />

centrodestra, erano state ammesse indebitamente e ciò, se provato,<br />

avrebbe reso invalide le elezioni, anche perché, avendo<br />

ottenuto, nell’insieme, più dell’8% dei suffragi, esse erano sta-<br />

215


te determinanti per l’esito elettorale.<br />

A tal proposito, la sentenza n. 535/99 della V sez. del Consiglio<br />

di Stato ci dava speranza: “L’illegittima ammissione di<br />

una lista di candidati ad una competizione elettorale implica<br />

necessariamente l’annullamento delle operazioni di voto nella<br />

loro interezza e la loro integrale rinnovazione…”.<br />

Perciò, nel ricorso che presentammo, contestammo soltanto<br />

l’illegittima ammissione delle tre liste elettorali. Il falso commesso<br />

era evidente. Bastava solo che il Tribunale l’accertasse<br />

per annullare le operazioni di voto e, quindi, la parola sarebbe<br />

di nuovo tornata agli elettori.<br />

Ma non fu così. Il 29 luglio, il TAR di Catania, sezione 1°,<br />

colse tutti di sorpresa e, ricorrendo ad un cavillo che mai avremmo<br />

potuto prevedere, dichiarò irricevibile il ricorso per tardività,<br />

cioè perché presentato oltre il termine.<br />

Avevamo depositato il nostro ricorso il 1° luglio, entro trenta<br />

giorni dalla data di proclamazione degli eletti, come previsto<br />

dall’art. 83 del T.U. n.570/1960. Secondo il TAR di Catania,<br />

invece, i trenta giorni avrebbero dovuto decorrere non da quella<br />

data ma da quella di conoscenza degli atti lesivi o, al più<br />

tardi, dal giorno delle elezioni, sicché il termine ultimo per presentare<br />

il ricorso sarebbe scaduto il 25 giugno.<br />

Fu una vera e propria doccia fredda.<br />

Ero andato ad assistere all’udienza con Stefano Santagati.<br />

Eravamo entrati nell’edificio di via Milano carichi di ottimismo<br />

e di speranza ed ora, dopo quella sconcertante ordinanza,<br />

ne uscivamo mogi mogi, come due cani bastonati.<br />

Il vigile urbano, in servizio davanti alla sede del TAR, che<br />

conoscevo da tanto tempo, mi chiese del verdetto.<br />

“Sono allibito: se non conta nemmeno la legge, non so che<br />

dire,” esclamai sconsolato.<br />

“Che ci vuole fare,” mi rispose, “a giustizia è accussì: unni<br />

vidi e unni svidi. 1 ”<br />

216<br />

1 La giustizia è così: a volte indovina, altre volte no.


Presentammo appello a Palermo, davanti al CGA (Consiglio<br />

di Giustizia amministrativa). Sapevamo di aver ragione e<br />

non volevamo rassegnarci.<br />

Ma, a volte, l’incedere casuale del destino segna il corso<br />

degli eventi. <strong>Di</strong>versi e fortuiti accadimenti determinarono lungaggini<br />

e ritardi, impedendo che il nostro appello venisse discusso<br />

nei tempi ordinari.<br />

La prima udienza slittò a causa del decreto sulle emissioni<br />

di ceneri dell’Etna che sospese per tre mesi tutti i termini, compresi<br />

quelli relativi all’attività giudiziaria. Successivamente, per<br />

questioni inerenti alla legittimità della composizione del Collegio<br />

giudicante, l’attività del CGA si bloccò.<br />

In conseguenza, il nostro appello, che avrebbe dovuto essere<br />

discusso nell’autunno del 2002, rimase malinconicamente<br />

chiuso in un cassetto, per più di due anni.<br />

Nel frattempo, la Procura della Repubblica di Catania aveva<br />

aperto un’inchiesta sui brogli elettorali e, il 23 ottobre del<br />

2003, Orazio Pellegrino e Benedetto L’Acqua venivano rinviati<br />

a giudizio, per rispondere del reato di “falso in liste elettorali.”<br />

Ma, nel marzo 2004, era entrata in vigore la legge n.61<br />

che trasformava, inopinatamente, quel reato da delitto in contravvenzione,<br />

con la sola pena dell’ammenda. Così, nell’udienza<br />

del 28 aprile successivo, i due imputati, pagando l’oblazione,<br />

estinsero il reato.<br />

Grazie alla nuova legge, erano riusciti ad evitare la condanna,<br />

ma, implicitamente, ammettendo di aver compiuto i brogli,<br />

avevano confermato, inequivocabilmente, l’illegittimità del<br />

voto amministrativo del 26 e 27 maggio a Misterbianco.<br />

Finalmente, il 2 febbraio 2005, venne fissata l’udienza del<br />

nostro appello.<br />

Insieme al nostro, pendevano, davanti al CGA, altri due<br />

appelli per controversie elettorali insorte nei comuni di<br />

Caltagirone e Paternò. Anche quei ricorsi erano stati dichiarati<br />

irricevibili per tardività dal TAR di Catania.<br />

217


L’8 marzo venne pubblicata la sentenza che riguardava<br />

Caltagirone e il 4 aprile quella relativa a Paternò.<br />

Il CGA, in entrambi i casi, contestando la declaratoria di<br />

irricevibilità pronunciata dal TAR di Catania, giudicava fondati<br />

gli appelli e statuiva che: “…i 30 giorni per proporre ricorso<br />

elettorale decorrono dall’atto di proclamazione degli eletti.”<br />

Quelle sentenze ci facevano ben sperare sull’esito del nostro<br />

appello.<br />

Ma, sorprendentemente, il CGA, nel caso di Misterbianco,<br />

contraddicendo il suo precedente orientamento, decideva di non<br />

decidere e rimetteva il giudizio sul nostro appello a Roma.<br />

Così, al posto della tanto attesa sentenza, l’11 aprile veniva<br />

pubblicata una lunga e sibillina ordinanza che così concludeva:<br />

“…Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione<br />

Sicilia in sede giurisdizionale non definitivamente pronunciando<br />

sull’appello indicato in epigrafe (elezioni di Misterbianco) ne<br />

rimette l’esame all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato”.<br />

Restammo increduli e sbalorditi. Tre lunghi anni non erano<br />

bastati per ottenere giustizia! Occorreva ancora altro tempo!<br />

Oramai la nostra controversia elettorale si era trasformata in<br />

una telenovela senza fine.<br />

È noto che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si<br />

tiene non più di due o tre volte l’anno.<br />

“Chissà quando sarà discusso il nostro appello? Avanti ca u<br />

medicu a studia, u malatu sinni va, 2 ” pensai sfiduciato.<br />

Ci riunimmo nella sede del partito. Quell’ordinanza ci appariva<br />

una tremenda beffa. Eravamo fortemente contrariati.<br />

Tuttavia, decidemmo di astenerci dal criticare pubblicamente<br />

la magistratura, per non assecondare la feroce e interessata campagna,<br />

scatenata dalla destra, contro i giudici.<br />

Peppino Spampinato, il vecchio compagno contadino, già<br />

assessore nella mia giunta, non si dava pace. Andava, avanti e<br />

indietro, nella stanza, come un ossesso. Ad un tratto, sbatté con<br />

218<br />

2 Mentre il medico si attarda a formulare la diagnosi, il malato muore.


forza la mano sul tavolo, facendo schizzare in aria il posacenere<br />

di plastica, e sbottò con rabbia: “A me non lo toglie nessuno<br />

dalla testa: la giustizia sta sempre con i più forti! Giustizia c’è<br />

scrittu ndô purtuni. Ammucca lu minchiuni, trasi ndô palazzu,<br />

cerca giustizia, e trova n’cazzu. 3 ” Poi, appagato di quell’antica<br />

reminiscenza, testimone dell’atavica diffidenza dei contadini<br />

verso il mondo della giustizia, si lasciò andare sul divanetto<br />

rosso e rimase in silenzio.<br />

“Dopo questo sconcertante esito, la battaglia giudiziaria è<br />

diventata, per noi, un’arma spuntata. Temo che quando Roma<br />

deciderà sul nostro appello, anche se ci darà ragione, sarà troppo<br />

tardi, perché, nel frattempo, la legislatura sarà finita,” sostenne<br />

sconsolato il segretario della sezione, Massimo La Piana.<br />

“Cianciri u mortu su lacrimi persi, 4 ” disse Stefano Santagati<br />

con aria compassata; “oramai, questa vicenda è andata com’è<br />

andata. Non dobbiamo drammatizzare. Fra meno di due anni<br />

torneremo a votare. E poi, di ogni cosa occorre prendere il lato<br />

positivo. Certo, la sconfitta elettorale mi ha profondamente<br />

addolorato, ma, in compenso, mi ha restituito tanto tempo prezioso<br />

che avrei altrimenti sottratto alla famiglia e al lavoro.<br />

Nella vita, ogni ’mpidimentu è giuvamentu 5 e non tutti i mali<br />

vengono per nuocere.”<br />

Quelle parole di velato fatalismo e rassegnata acquiescenza,<br />

mi fecero riflettere. “Sarà vero?” pensai. “Ho più di un dubbio,<br />

ma forse conviene crederci.”<br />

3 Giustizia c’è scritto sul portone. L’ingenuo ci crede, entra nel palazzo,<br />

cerca giustizia, e trova…<br />

4 Piangere il morto sono lacrime perse.<br />

5 Ogni ostacolo può tramutarsi in vantaggio.<br />

219


220


POSTFAZIONI<br />

221


222


Auguro a questo “racconto” di Nino <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> molti lettori.<br />

E l’augurio interpreta un desiderio che è del cittadino e dello<br />

storico: del cittadino chiamato a guardar dentro quella minuscola<br />

stanza dei bottoni, che è il municipio di un piccolo<br />

centro della Sicilia orientale, ma anche dello storico deluso per<br />

la distrazione con cui si è lasciata consumare l’estate indiana<br />

della stagione dei sindaci, senza aver neppure tentato di ricostruirne<br />

le origini, la breve eccitante parabola, il rapido tramonto.<br />

Questo racconto di Nino <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> può esser l’occasione<br />

per proporne una “lettura”, e soprattutto per usare quella<br />

breve storia a “rivelazione” delle difficoltà non solo della politica<br />

ma dell’intera società nazionale: può contribuire a chiarir<br />

l’ambiguità che consenta tuttora alla Destra italiana di usar come<br />

clava il cosidetto giustizialismo – senza spiegare perché la questione<br />

morale abbia toccato solo i “corrotti” assolvendo i<br />

corruttori iscritti sommariamente e confusamente nell’elenco<br />

delle vittime.<br />

Quella “stagione dei sindaci” fu soprattutto un momento di<br />

speranza, lo sbocco positivo della vicenda di Mani Pulite: il<br />

sistema politico italiano vide il nodo gordiano che si era stretto<br />

negli anni ’80 farsi allora inestricabile, e delegò il potere giudiziario<br />

a tagliarlo visto che scioglierlo non era possibile; la<br />

riserva mentale era che, finita l’istruttoria, la politica liberata<br />

da ingombri tradizionali potesse tornare a tessere l’usata tela.<br />

Andò altrimenti, non solo per l’imprevista disaffezione dell’elettorato,<br />

ma soprattutto per la “paura” dei politici vecchi e<br />

nuovi – una paura, che è stata il carattere dominante della vita<br />

collettiva degli anni ’90, che dura tuttora in un clima di<br />

precarietà di cui la meteora berlusconiana, nata e logorata attorno<br />

ad una promessa di rassicurazione, ha per l’impotenza e<br />

223


l’incapacità dei soggetti coinvolti solo illuminato il paesaggio<br />

lunare dell’Italia nuovissima. Nella fase di più acuta incertezza<br />

e confusione, i “sindaci di nuovo modello” interpretarono<br />

comunque l’urgenza di buon governo che la denuncia della<br />

corruzione, e in tutto il Mezzogiorno l’intesa tra politica e criminalità<br />

associata sospingevano in primo piano.<br />

<strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> stesso ha narrato le fasi d’avvio del suo ritorno<br />

in politica, che – al pari dei casi Bianco a Catania, Orlando a<br />

Palermo e Bassolino a Napoli – trovò d’impeto la scena nazionale:<br />

l’assassinio del boss locale, di cui erano note peraltro les<br />

liaisons dangereuses, lo portò ad esser protagonista di una coraggiosa<br />

campagna di denuncia e moralizzazione che lo promosse<br />

“naturalmente” a candidato. Lo storico chiede però da<br />

tempo che si esca dalla cronaca “eroica”, e si misuri appieno lo<br />

sconcerto della sinistra nazionale e meridionale alle prese con<br />

un Mezzogiorno che la sinistra non sapeva più leggere, e inoltre<br />

diffidente – sia nel versante cattolico che in quello comunista<br />

– verso questo imprevisto e imprevedibile protagonismo. E<br />

la recente scomparsa di Pintacuda è stata l’occasione della ennesima<br />

rimozione. Maturò allora entro quella generosa invenzione,<br />

nel tempo stesso del maggior rigoglio che fonda la “promozione<br />

politica” di Enzo Bianco, ed in Orlando il sogno del<br />

“partito nuovo” in funzione di un meridionalismo velleitario,<br />

il fattore di crisi che avrebbe portato alla diaspora dei protagonisti,<br />

e all’esaurirsi fin troppo rapido di quella estate.<br />

Il racconto di <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> consente altresì di cogliere, dopo<br />

l’eccitazione per la dimensione del primo successo, la “solitudine”<br />

del primo cittadino: chi confidava nel buon governo, come<br />

nella cellula del nuovo organismo da tempo aggredito dal cancro<br />

degenerativo, era costretto a registrare difficoltà che nascevano<br />

dall’impotenza a riformare il contesto, e nella dimensione<br />

istituzionale e in quella morale. Non ci fu una vera e propria<br />

riforma del potere locale: l’elezione diretta del sindaco generò il<br />

contrappasso di una farraginosa distribuzione dei poteri tra sindaco<br />

e Consiglio comunale, tra sindaco e consigli decentrati –<br />

mentre la burocrazia, peraltro defedata da esodi agevolati, si ri-<br />

224


conosceva nel vecchio modello del servizio complice per il “padrone<br />

di turno”, cinica portatrice di un’idea del potere identificato<br />

col favore e col ricatto, e pronta ad assediare il primo cittadino<br />

per soffocarlo in una ridda di denunce aperte o chiuse a<br />

seconda delle opportunità di guadagno o di favore. La stagione<br />

dei sindaci sommò così al groviglio della politica il nido di vipere<br />

della burocrazia locale: mentre la spinta dal basso sospingeva<br />

gli “eroi” ad atti di imperio la cui efficacia stessa produceva –<br />

nella diffidenza dei politici – terra bruciata. Come ignorare l’illuminismo<br />

impotente dei city manager?<br />

Gli aneddoti che <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> rappresenta come episodi meritano<br />

di essere ricontestualizzati dal lettore e …dallo storico.<br />

Emerge con nettezza il ruolo dei politici “tradizionali”, il<br />

costante ricorso a trappole giuridiche e giudiziarie, e soprattutto<br />

ai modi in cui la Regione Sicilia – non solo ma soprattutto<br />

in Sicilia, per effetto dello Statuto speciale – ha gestito<br />

il potere di controllo e vigilanza sul potere locale, “trattando”<br />

in modo disinvolto e pur sistematico del suo potere di sostituzione<br />

attraverso i commissari – per lo più poveri travet al<br />

servizio dell’assessore di turno che “giudica e manda”, con<br />

l’aperta complicità di Comitati e Consigli regionali costruiti<br />

attraverso l’intrico inestricabile dei conflitti di interessi. Da<br />

qui il paradosso, come vien percepito dalla periferia: piuttosto<br />

che orientare il potere locale a fare fronte a crescenti urgenze<br />

di spesa e di corretta procedura, si rallentano tutti i<br />

processi e si caricano i locali titolari dei ritardi di cui principale<br />

responsabilità, e politica e tecnica, è degli organi regionali<br />

e dei loro terminali provinciali: l’obiettivo è ben presente<br />

e perseguito anche dai governi di centrosinistra con irresponsabile<br />

brutalità – da un lato, ostacolare il superamento<br />

(previsto dallo Statuto “storico” del 1946) della provincia attraverso<br />

la costituzione dei consorzi liberi di municipi, e rafforzare<br />

dall’altro in termini centralistici il potere di autorizzazione<br />

o di veto degli organi regionali. Appare importante<br />

documentare il conflitto tra l’iniziativa locale del city manager<br />

e l’apparato politico-burocratico della regione: e trarne la<br />

225


misura di contraddizioni e conflitti che segnano l’azione amministrativa<br />

del “sindaco di nuovo modello”.<br />

Al culmine del processo, la invenzione di riforme della procedura<br />

amministrativa (senza alcun riscontro nella formazione<br />

di una “nuova” burocrazia) e soprattutto del federalismo “all’italiana”<br />

che sceglie pour cause la regione, e non il comune<br />

come vitale molecola del nuovo organismo. Sicchè la fine della<br />

stagione dei sindaci non coincide con l’avvio di una fase<br />

politica che si distingue per una radicale terapia del “male oscuro”<br />

della politica di casa nostra – l’intreccio fra politica e criminalità,<br />

il nesso tra affarismo e carrierismo politico, la cancellazione<br />

radicale di ogni moralità nell’agire politico. Il “consenso”<br />

elettorale, finita la stagione delle speranze, si degrada<br />

al tradizionale clientelismo: e lo spoil system si fa regola della<br />

pratica politica.<br />

Sta qui il vero nodo della crisi finale – quella che segna la<br />

(inattesa) sconfitta elettorale di <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>. Confesso di non<br />

trovare persuasivi molti degli argomenti cui egli fa ricorso per<br />

motivarla, ma ciò pone allo storico come al lettore nuove responsabilità.<br />

Poco si è fatto per interpretare questo drammatico<br />

decennio, partendo dal basso. Ancora meno sul versante del<br />

contributo alla ricerca locale di un’identità cittadina: abbiamo<br />

molta storia urbana, ma poca, troppo poca storia di città. E del<br />

luogo di <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, della sua Misterbianco aspettiamo ancora<br />

una storia. Potrebbe essere ancor questo un effetto virtuoso del<br />

libro.<br />

226<br />

GIUSEPPE GIARRIZZO


Sindaco per passione è il lungo racconto di Nino <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong><br />

sull’esperienza vissuta alla guida del comune di Misterbianco<br />

dal 1993 al 2002. Esperienza singolare e, sotto molti<br />

aspetti, irripetibile perché fortemente connotata dalla personalità<br />

di <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, dal suo modo di aggredire i problemi<br />

della comunità, dalle sue rapide diagnosi, dalla sua capacità<br />

di individuare le soluzioni e di perseguire in modo efficace<br />

gli obiettivi.<br />

Misterbianco ha registrato a partire dagli anni 70 un’impetuosa<br />

crescita demografica passando in venti anni da 18.836<br />

a 40.785 abitanti (dati dei censimenti del ’71 e del ’91). Crescita<br />

disordinata, che ha prevalentemente interessato le periferie,<br />

dove l’attività costruttiva si è svolta al di fuori di ogni<br />

regola e nella più assoluta indifferenza del potere locale.<br />

Alla crescita demografica predetta si è accompagnato, al<br />

confine con il territorio del comune capoluogo, uno sviluppo,<br />

anch’esso disordinato, della zona industriale-commerciale, che<br />

ben presto ha raggiunto dimensioni notevolissime ponendo<br />

all’amministrazione locale problemi di non facile soluzione.<br />

<strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, eletto sindaco dal popolo nel 1993, non nuovo<br />

ad esperienze amministrative (era stato più volte consigliere<br />

comunale e per un breve periodo sindaco eletto dal consiglio),<br />

si è trovato dinanzi a questioni di notevole complessità:<br />

riordinare il territorio, realizzare nella zona industriale-commerciale<br />

e nelle periferie elementari opere di urbanizzazione<br />

primaria, dotare le frazioni sorte spontaneamente senza alcun<br />

disegno pianificatorio di opere di urbanizzazione secondaria<br />

per sostenere le stesse nel difficile cammino della costruzione<br />

di una vita comunitaria, rendere i servizi pubblici efficienti.<br />

Lavoro difficile che ha richiesto dedizione totale, impegno<br />

227


costante, forte determinazione, ma soprattutto precisi valori<br />

di riferimento.<br />

Cogliendo tutte le opportunità e utilizzando l’avanzo di<br />

amministrazione che in passato si era accumulato per l’incapacità<br />

di spendere dei suoi predecessori, <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> ha inaugurato<br />

per il comune di Misterbianco una fase nuova, della<br />

quale nel suo racconto egli illustra le tappe segnate da difficoltà<br />

di vario genere.<br />

I risultati dell’attività svolta sono sotto gli occhi di tutti.<br />

Un bilancio straordinariamente positivo che ha trasformato<br />

Misterbianco ed ha gettato le basi per un’ulteriore crescita<br />

della comunità.<br />

E, tuttavia, nonostante i risultati conseguiti, le elezioni del<br />

2002 si sono concluse con la vittoria delle forze che, senza un<br />

disegno alternativo, si erano opposte negli anni a <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>.<br />

La sconfitta è venuta soprattutto dalle periferie, alle quali<br />

<strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> aveva rivolto in modo particolare l’attenzione. Nove<br />

anni non erano bastati per dare identità culturale ad agglomerati<br />

urbani della cui origine ho detto sopra e sui quali nella<br />

fase elettorale si esercitata la forte pressione del centrodestra.<br />

Le pagine di <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> inducono il lettore alla riflessione<br />

sul modo di essere della società misterbianchese con le sue<br />

contrapposizioni e le sue contraddizioni, sui rapporti del sindaco<br />

con le forze che lo hanno espresso e sostenuto e con<br />

quelle che lo hanno avversato, sulla legislazione relativa agli<br />

enti locali, sui rapporti di tali enti con la regione, sulla distribuzione<br />

delle competenze tra sindaco e consiglio comunale,<br />

sull’unicità della scheda elettorale che finisce con il far passare<br />

in secondo piano l’elezione del sindaco, sulla sostanziale<br />

dipendenza del sindaco dall’ultimo dei consiglieri disposti a<br />

votargli la sfiducia, sull’inesistenza di poteri decisionali in<br />

capo al sindaco con riferimento agli atti più importanti della<br />

vita del Comune come il bilancio e il piano regolatore generale.<br />

Mi auguro vivamente che il lavoro di <strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong> possa<br />

contribuire ad aprire un dibattito che non riguardi soltanto la<br />

228


storia di Misterbianco, ma il senso di un’intera stagione segnata<br />

da interessanti, anche se non sempre lineari, novità sul<br />

piano istituzionale. Un dibattito che serva a ripensare l’intera<br />

disciplina legislativa rendendola coerente con gli obiettivi che<br />

si vogliano perseguire.<br />

CARMELO D’URSO<br />

229


230


INDICE DEI NOMI<br />

231


232


Abbadessa, Nicola, 29<br />

Abbadessa, Nicola, 113<br />

Adornetto, Mario, 97, 113<br />

Aimard, Maurice, 211<br />

Alatri, Paolo, 175<br />

Alì, Michele, 97<br />

Amadei, Amedeo, 182<br />

Amato, Giuliano, 129<br />

Annovazzi, Carlo, 182<br />

Arcidiacono, Salvatore, 17<br />

Arena, Paolo, 23<br />

Arfè, Gaetano, 175<br />

Azzarelli, Francesco, 90, 103<br />

Baccini, Mario, 62<br />

Barbagallo, Salvino, 96<br />

Barbagallo, Vito, 123<br />

Barbarossa, Luca, 211<br />

Barresi, Giuseppina, 191, 194<br />

Basso, Salvo, 208<br />

Battiati, Salvatore, 31, 41-42, 45<br />

Battiato, Angelo, 30-31, 125<br />

Belfiore, Antonino, 198<br />

Berlinguer, Enrico, 176<br />

Berlusconi, Silvio, 58, 61, 65<br />

Bertolo, Nicola, 55<br />

Bianco, Enzo, 78, 129-130, 140,<br />

197, 199<br />

Biuso, Antonio, 30, 38, 125, 129,<br />

169, 176, 198-199, 208<br />

Blonda, Tommaso, 137, 141<br />

Bocca, Giorgio, 23, 52<br />

Bommarito, Luigi, 75, 78, 80, 82<br />

Boniperti, Giampiero, 182<br />

Bordon, Willer, 140<br />

Bossi, Umberto, 58, 64<br />

Brancato, Antonio, 81<br />

Bruno, Giordano, 160<br />

Buontempo, Teodoro, 63<br />

Burtone, Giovanni, 24, 199<br />

Buzzanca, Mariantonia, 38<br />

Campagna, Loredana, 160<br />

Campanella, Sergio, 159<br />

Campione, Giuseppe, 43, 94<br />

Campo, Giovanni, 63<br />

Cancellieri, Anna Maria, 147<br />

Cannone, Vincenzo, 82<br />

Cappellani, Giuseppe, 51-52, 54<br />

Carapellesi, Riccardo, 182<br />

Cardaci, Antonio, 184<br />

Cardaci, Gustavo, 180-182, 184-<br />

185<br />

Cardaci, Vittorio, 184<br />

Carosio, Nicolò, 182<br />

Caruso, Agatino, 81<br />

Caruso, Francesco, 106<br />

Caruso, Giovanni, 99-101<br />

Caruso Midolo, Corrada, 176<br />

Caruso, Ninella, 84, 199-200, 203,<br />

206<br />

Castiglione, Giuseppe, 203<br />

Castro, Clelia, 114<br />

Catalfo, Antonio, 79, 152<br />

Cenni, Romano, 132<br />

Centorrino, Mario, 129<br />

Chirac, Jacques, 170<br />

Chittero, Andrea, 150<br />

233


Ciancio, Mario, 171<br />

Coco, Ferdinando, 125<br />

Coco, Luisa, 167<br />

Coco, Mario, 59<br />

Cocuzza, Giuseppe, 181-182<br />

Coledi, Antonello, 179<br />

Condorelli, Giovanni, 26, 82-84,<br />

104, 137<br />

Condorelli, Michelangelo, 29, 38<br />

Conti, Marcello, 70, 118<br />

Conti, Paolo, 106, 124, 127<br />

Continella, Vito, 192<br />

Coppola, Vincenzo, 141-142<br />

Cossiga, Francesco, 24<br />

Costanza, Alberto, 30-31, 181<br />

Craxi, Bettino, 176<br />

Crisafulli, Carmelo, 30<br />

Crisafulli, Giuseppe, 179<br />

Cristaldi, Luca, 183<br />

Croce, Benedetto, 136<br />

Crocetta, Giuseppe, 56<br />

Cuffaro, Salvatore, 147, 201, 203<br />

D’Alema, Massimo, 197<br />

D’Alessandro, Salvatore, 31<br />

D’Angelo, Gaetano, 80<br />

D’Urso, Armando, 192<br />

D’Urso, Carmelo, 95, 110<br />

Davino, Mario, 29<br />

De Benedictis, Roberto, 159-160<br />

De Carlo, Giancarlo, 211-212<br />

De Martino, Francesco, 170<br />

<strong>Di</strong> Caro, Paolo, 106, 123, 127<br />

<strong>Di</strong> Domenico, Vincenzo, 179<br />

<strong>Di</strong> Franco, Salvatore, 93, 97<br />

<strong>Di</strong> Geronimo, Salvatore, 78, 80<br />

<strong>Di</strong> Grado, Antonio, 176<br />

<strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, Angela, 21<br />

<strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, Antonio, 18, 21<br />

234<br />

<strong>Di</strong> <strong>Guardo</strong>, Giovanni, 21, 127, 133<br />

<strong>Di</strong> Leo, Calogero, 79<br />

<strong>Di</strong> Mauro, Manlio, 124<br />

<strong>Di</strong> Natale, Rosamaria, 198<br />

<strong>Di</strong> Pace, Alberto, 141, 147<br />

Doriani, Mario, 188<br />

Drago, Antonino, 20<br />

Drago, Filippo, 20, 203<br />

Drago, Giuseppe, 131<br />

Falà, Biagio, 90<br />

Falà, Filippo, 118<br />

Fatuzzo, Fabio, 19<br />

Ferrario, Renzo, 182<br />

Finocchiaro, Pino, 68<br />

Fiorito, Mario, 82<br />

Firrarello, Pino, 19, 203-204<br />

Fleres, Salvo, 96<br />

Folena, Pietro, 56<br />

Galasso, Giuseppe, 175<br />

Galatà, Anna Maria, 169<br />

Gari, Edoardo, 108<br />

Garozzo, Nunzio, 29, 31, 125<br />

Giacalone, Giuseppe, 187-188,<br />

190<br />

Giacummo, Omar, 118<br />

Giarrizzo, Giuseppe, 169-170,<br />

175-178, 211-212<br />

Giordano, Vincenzo, 113<br />

Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe<br />

Roncalli), papa, 75<br />

Giuffrida, Angelo, 138<br />

Giustolisi, Maria Ester, 207<br />

Graci, Gaetano, 136<br />

Grasso, Agata, 151<br />

Grasso, Beppe, 182<br />

Grasso, Tano, 47, 49, 56<br />

Graziano, Matteo, 87, 94, 96


Greco, Angelo, 24, 123<br />

Guglielmino, Nuccio, 24<br />

Gurrieri, Alfredo, 113<br />

Guttuso, Renato, 42<br />

Guzzardi, Vittoria, 30<br />

Iachello, Enrico, 211<br />

<strong>Imp</strong>ellizzeri, Gianluca, 183<br />

Infantino, Gaetano, 107<br />

L’acqua, Benedetto, 215, 217<br />

La Greca, Paolo, 159<br />

La Magna, Gioconda, 162<br />

La Piana, Massimo, 219<br />

La Pira, Enrico, 107<br />

Laudani, Carmelo, 121<br />

Leanza, Lino, 204, 214<br />

Leanza, Vincenzo, 140<br />

Libertini, Mario, 63<br />

Licciardello, Antonio, 31<br />

Lisi, Pietro, 107<br />

Lisi, Sebastiano, 211<br />

Lombardo, Raffaele, 201, 203<br />

Longo, Giuseppe, 24, 123, 204,<br />

215<br />

Lorenzi, Benito, 182<br />

Lunardi, Pietro, 144<br />

Lupo, Federico, 207<br />

Lupo, Salvatore, 176<br />

Manacorda, Gastone, 175<br />

Mancino, Nicola, 56-58<br />

Mancuso, Santo, 30, 55, 59<br />

Mangiacavallo, Antonino, 156<br />

Marchese, Giuseppe, 182<br />

Marino, Sergio, 88<br />

Martino, Franco, 94-95<br />

Mazzaglia, Mario, 43-44<br />

Messina, Melo, 63<br />

Micale, Giovanni, 103, 107<br />

Mignemi, Sebastiano, 108<br />

Milluzzo, Salvatore, 93, 97<br />

Modica, Maria Maddalena, 176<br />

Moro, Michele, 50<br />

Motta, Carmelo, 165-167<br />

Motta, Natale, 24<br />

Muccinelli, Hermes, 182<br />

Musco, Maurizio, 179<br />

Musumeci, Maria, 169<br />

Neri, Sebastiano, 63<br />

Nicotra, Paolo, 24, 98<br />

Orlando, Aldo, 30, 125<br />

Orlando, Enzo, 51-54, 90, 100<br />

Orlando, Leoluca, 78<br />

Palmeri, Aldo, 129, 132<br />

Palmeri, Emilio, 29-30, 36, 112,<br />

125<br />

Panepinto, Giovanni, 63<br />

Pantani, Marco, 132-133<br />

Pappalardo, Francesco, 77<br />

Pappalardo, Totino, 112<br />

Parisi, Francesco, 203<br />

Parola, Carlo, 182<br />

Paternò, Antonino, 29-30<br />

Patitucci, Martino, 181<br />

Pellegrino, Bartolo, 203-205<br />

Pellegrino, Orazio, 20, 198-199,<br />

204, 215, 217<br />

Peruzzo, Walter, 48<br />

Pignataro, Piero, 97, 106, 113<br />

Pineri, Nuccio, 73<br />

Piraneo, Andrea, 63<br />

Privitera, Angela, 156<br />

Privitera, Giovanni, 199<br />

Proto, Domenico, 142<br />

235


Provenzano, Antonello, 112-113<br />

Pulvirenti, Giovanni, 182<br />

Rapisarda, Santi, 56<br />

Rasà, Elisa Clelia, 195<br />

Razza, Antonino, 48<br />

Renda, Francesco, 175<br />

Robespierre, Maximilien Marie,<br />

53<br />

Roma, Marcello, 161-163<br />

Romano, Giuseppe, 47<br />

Saglimbene, Salvatore, 103, 199<br />

Salazar, Domenico, 47<br />

Sammiceli, Giuseppe, 150-153<br />

Santagati, Stefano, 18, 29-30, 69,<br />

90-91, 121, 131, 179-180, 184,<br />

198, 202, 206, 209, 213, 216,<br />

219<br />

Santonocito, Mimmo, 174<br />

Santoro, Michele, 51, 107<br />

Scaletta, Massimo, 183<br />

Scalia, Alfio, 182<br />

Scapagnini, Umberto, 201<br />

Scavo, Giuseppe, 48<br />

Scialabba, Nicola, 77, 140<br />

Sciascia, Leonardo, 175-176<br />

Scigliano, Alfio, 21, 125<br />

Sciuti Russi, Vittorio, 176<br />

Scuderi, Filippo, 29<br />

Scuderi, Rosario, 87<br />

236<br />

Seneca, Lucio Anneo, 211<br />

Serrati, Enrico, 131<br />

Signorelli, Salvatore, 130<br />

Spampinato, Giuseppe, 31, 218<br />

Spina, Rosario, 157<br />

Strano, Nino, 96<br />

Sudano, Domenico, 141-142, 146-<br />

147, 203<br />

Sylos Labini, Paolo, 129<br />

Tacito, Publio Cornelio, 19<br />

Tafuri, Gaetano, 109, 112<br />

Todaro, Francesco, 143<br />

Tomasi di Lampedusa, Giuseppe,<br />

115<br />

Torre, Giuseppe, 82, 151, 202<br />

Torrisi, Pietro, 30<br />

Traina, Giuseppe, 89-90<br />

Valenti, Vincenza, 191, 194<br />

Valentini, Luigi, 132<br />

Vecchio, Angela, 138, 156-159,<br />

163<br />

Villari, Rosario, 175<br />

Violante, Luciano, 56<br />

Visalli, Antonio, 78, 80<br />

Visco, Vincenzo, 129<br />

Vitanza, Rosa, 98<br />

Zinna, Salvatore, 155<br />

Zuccarello, Carmela, 176


INDICE<br />

Prefazione .................................................................. pag. 7<br />

Introduzione ............................................................... » 11<br />

Non si lauda u iornu, su prima non scura .................. » 17<br />

Una masseria abbandonata ........................................ » 23<br />

I compagni di viaggio ................................................ » 29<br />

La politica dei cento fuochi ....................................... » 33<br />

Testa ca non parra si chiama cucuzza ........................ » 41<br />

Ccu nn’arrisica nn’arrusica ........................................ » 47<br />

Il direttore illuminista ................................................ » 51<br />

Fai quel che devi, avvenga quel che può ................... » 55<br />

Cu è minchiuni si sta â so casa .................................. » 61<br />

Vacci cuntentu e non t’abbarruari… .......................... » 67<br />

In alto i cuori ............................................................. » 75<br />

Cu voli anna e cu non voli manna ............................. » 85<br />

Cu di robbi d’autri si vesti, prestu si spogghia .......... » 93<br />

Il signore degli uomini............................................... » 99<br />

Una difficile battaglia ................................................ » 103<br />

Cu pecura si fa, lupu sâ mangia ................................. » 107<br />

U signuri cci-a-rrenni ................................................ » 117<br />

Ccu bona azzappa a vigna … .................................... » 123<br />

Quell’amaro ammonimento ....................................... » 129<br />

A cuntrastari principi e putenti… .............................. » 137<br />

La promessa non mantenuta ...................................... » 149<br />

La lotteria della caparbietà ........................................ » 155<br />

Una fetta di immortalità............................................. » 165<br />

237


Uno storico per amico ............................................... pag. 169<br />

Un sogno svanito in fretta.......................................... » 179<br />

Nicissità obbliga liggi ................................................ » 187<br />

Essiri non si po cchiù di na vota ................................ » 191<br />

La forza e la ragione .................................................. » 197<br />

Il giorno dopo ............................................................ » 211<br />

Postfazioni ................................................................. » 221<br />

Indice dei nomi .......................................................... » 231<br />

238


239


240

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