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TRIMESTRALE DEL CIRCOLO RICREATIVO AZIENDALE ...

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14<br />

Abbiamo preso in prestito il bel logo della mostra (6 marzo-5 aprile 2010)<br />

dedicata dal Comune di Trieste alla grande cantante Renata Tebaldi per<br />

introdurre l’articolo con i ricordi di un’affezionata ammiratrice che l’ha<br />

conosciuta a Trieste agli esordi della sua carriera. La lettura del brano che<br />

segue sarà un piacere per tutti i soci, anche quelli che non hanno interesse<br />

per la musica lirica, perché l’autrice, che ringraziamo, ci fa conoscere un’<br />

inedita Renata Tebaldi e, nel contempo, ci offre uno spaccato di vita triestina,<br />

nel periodo del dopoguerra.<br />

La Redazione<br />

j j j j j j<br />

Renata Tebaldi, nonna Pina<br />

e i mutandoni lunghi di lana<br />

L’articolo di Gherbiz su Renata<br />

Tebaldi (“Il Piccolo”, 3 marzo 2010)<br />

ha fatto sorgere in me un’ondata di<br />

ricordi, dolcissimi e nostalgici, sia<br />

su “voce d’angelo”, sia su quel particolare<br />

periodo della mia giovinezza.<br />

Non ricordo di aver assistito al<br />

suo debutto a Trieste nel ’45, ma sono<br />

certa di essere stata presente a<br />

tutte, e dico tutte, le sue esibizioni<br />

al Teatro Verdi di Trieste, dal ’47 al<br />

’52.<br />

In quel periodo, per quadrare il<br />

bilancio tendente spesso al rosso, la<br />

mia indefettibile nonna Pina, detta<br />

anche Pepi Spada, approfittando<br />

del fatto che i migliori alberghi<br />

cittadini erano impraticabili perché<br />

danneggiati dagli eventi bellici, era<br />

riuscita ad intrecciare un rapporto<br />

amichevole con il Teatro cittadino,<br />

o, più prosaicamente, con il trovarobe,<br />

detto “Ciave”, e aveva messo<br />

a disposizione dei cantanti e degli<br />

attori di prosa impegnati a Trieste,<br />

due magnifiche stanze.<br />

Abitavamo allora in un grande<br />

appartamento al II piano di un palazzo<br />

sito in Piazza Venezia, proprio<br />

di fronte al Museo Revoltella, dalla<br />

parte del balcone. Era dotato di diverse<br />

comodità non comuni, né tantomeno<br />

diffuse, in quei tempi grami:<br />

un bagno attrezzato, la toilette<br />

separata, il telefono e, nelle grandi<br />

stanze luminose, delle stupende<br />

stufe di Vienna, rivestite di maiolica.<br />

Era difficile accenderle ma,<br />

quando finalmente partivano, emanavano<br />

un calore delizioso, profumato<br />

di legna ben stagionata e bucce<br />

d’arancia messe a seccare.<br />

Ospitammo, in quel periodo,<br />

molte personalità del mondo<br />

del teatro – e di questo approfittai<br />

per recarmi “gratis” agli spettacoli,<br />

qualche volta anche fra le quinte,<br />

entrando, assai emozionata, dalla<br />

porta d’ingresso degli artisti. Tra<br />

gli ospiti già famosi ed acclamati, ci<br />

capitò in casa l’esordiente – o quasi<br />

– Renata Tebaldi, chiamata ad interpretare<br />

il ruolo di Elsa nel Lohengrin.<br />

Era il gennaio del ’47, un gennaio<br />

freddissimo, e Renata era freddolosa.<br />

Evitava al massimo di uscire<br />

e, quando proprio doveva, si infilava<br />

i mutandoni lunghi di lana che<br />

erano stati del padre granatiere, e<br />

si avvolgeva la preziosa gola nelle<br />

sciarpone di lana fatte a mano dalla<br />

madre, una signora molto riservata.<br />

Temeva per la figlia il mondo<br />

corrotto dello spettacolo, non voleva<br />

che i soldi le dessero alla testa.<br />

La rimproverò severamente quando<br />

volle comperare un cappello da<br />

una modista molto chiacchierata<br />

perché frequentava un uomo sposato,<br />

che aveva il negozio quasi sotto<br />

casa nostra, dove ora c’è un bar-buffet.<br />

Di sera, madre e figlia si rifugiavano<br />

entrambe nella nostra grande<br />

cucina, dove scoppiettava uno<br />

“spacher”, per fare quattro chiacchiere<br />

“in famiglia”, ascoltando magari<br />

il concerto Martini e Rossi del<br />

lunedì, oppure La Bisarca, che allora<br />

spopolava. Da notare che, siccome<br />

nonna Pina non tollerava di vederci<br />

con le mani in mano, ci davamo tutti<br />

da fare, comprese le ospiti, a sgusciare<br />

frutta secca per il presnitz, a<br />

rammendare calzini, ad agucchiare<br />

maglioni, e a simili faccende.<br />

Del Lohengrin del gennaio ’47<br />

ricordo il terror panico della cantante,<br />

la timidezza, la paura di non<br />

riuscire a rialzarsi dopo essersi inginocchiata<br />

davanti a Lohengrin-<br />

Voyer (anche lui nostro ospite).<br />

Aveva, infatti, sofferto di poliomielite<br />

da bambina, ed un ginocchio<br />

era rimasto offeso. Per fortuna il<br />

tenore, avvertito, le porse la mano<br />

e nessuno si accorse del problema –<br />

forse solo io che sapevo. Poi, quella<br />

splendida voce soave mi affascinò.<br />

Fu un’estasi di piacere per me e un<br />

tripudio di applausi per la cantante<br />

e per il fortunato pubblico presente<br />

in sala.<br />

Ricordo le moltissime telefonate<br />

di ammiratori, o corteggiatori<br />

che fossero. Il telefono, ovviamente<br />

a muro, si trovava nel corridoio<br />

ed era difficile in quella situazione<br />

sostenere conversazioni intime. Mi<br />

pare che alcune di quelle telefonate<br />

fossero del basso Rossi Lemeni.<br />

Forse ci fu della tenerezza tra lui<br />

e Renata. Ma anche lui aveva una<br />

madre intransigente, e poi le carriere<br />

li divisero.<br />

Su Renata non ci furono mai -<br />

che io sappia - chiacchiere e pettegolezzi,<br />

soltanto lodi per la voce<br />

meravigliosa, e la polemica mediatica<br />

Callas -Tebaldi, che infiammò<br />

il mondo dei melomani.<br />

Neanche a dirlo, le mie preferenze<br />

furono sempre, e lo sono ancora,<br />

per la “mia” Renata.<br />

Edoarda Grego Pozza

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