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Quaderni <strong>della</strong> Scuola <strong>della</strong> Pace – n. 9<br />
to col desiderio <strong>della</strong> condivisione con lontani ed estranei, e quindi quello che i<br />
Padri chiamavano il desiderio <strong>della</strong> xenitia, cioè dell’essere straniero e ignorato<br />
e comunque sempre in una condizione di inferiorità, in definitiva dell’essere<br />
privo di ogni valenza di essere contato per nulla” 19<br />
.<br />
Questa immagine noi la ritroviamo poi in un testo “Eucaristia e città”<br />
Durante un incontro a casa di monsignor Tessier, Dossetti diceva che<br />
l’Eucaristia deve essere preparata, la vera fede è preparare l’Eucaristia così<br />
con la stessa intensità e intenzione di quando si prepara l’Eucaristia nella<br />
messa episcopale, perché appunto anche in una saletta, la più squallida, c’è la<br />
pienezza dell’Eucaristia, c’è la pienezza del Signore. Quindi questo non dipende<br />
da noi, non dipende dai nostri sforzi, dai nostri sentimenti, dipende da<br />
una azione unica e irrepetibile.<br />
Quali sono state le ultime preoccupazioni di don Giuseppe? Abbiamo ancora<br />
un suo testo sulla pace del 1995, pronunciato in una discussione, un dialogo<br />
con i giovani di Gianni Cova venuti a Monte Sole; lì in quelle parole si coglie la<br />
sua vera preoccupazione, quella per la tesi che era ritornata in quegli anni,<br />
che in fondo il vangelo vale per gli individui, ma non per le comunità, per le<br />
chiese, per le società, come dire è un vangelo a scartamento ridotto, è un<br />
vangelo che vale per i singoli ma non per le società, non ha un’influenza evangelica<br />
sulla società nel senso forte del termine. Su questo egli insiste moltissimo<br />
e risponde punto a punto, puntigliosamente, come era lui, ai brani che<br />
vengono citati nel Catechismo <strong>della</strong> Chiesa universale che era uscito nel ‘93.<br />
In quel testo c’è la ripresa <strong>della</strong> teologia <strong>della</strong> guerra giusta, insieme alla condanna<br />
per la pena di morte. Don Giuseppe reagisce, proprio perché quel testo<br />
giustapponeva il vangelo all’esigenze dell’etica e <strong>della</strong> politica e lui intende rispondere<br />
a questa divaricazione, che è un modo per indebolire radicalmente il<br />
vangelo, per renderlo solo un testo di riferimento generico, non capace di incidere<br />
nel profondo <strong>della</strong> società. Lo fa secondo il suo stile e vuole dimostrare<br />
che non è vero che il vangelo valga solo per i singoli, solo per qualcuno che<br />
voglia fare il martire, ma non si può pensare che tutti i cristiani decidano di fare<br />
altrettanto, non si può pensare che il non uccidere valga anche per la politica,<br />
il non uccidere vale soltanto quando non abbiamo voglia di uccidere, tutto può<br />
cambiare poi quando abbiamo voglia di uccidere! È veramente impressionante<br />
guardare il catechismo sulla pena di morte. Lui, su questo punto delicatissimo<br />
che tocca il mistero stesso di Dio e la nostra comprensione del vangelo, conclude<br />
riprendendo una meditazione che aveva fatto quando aveva 80 anni sul<br />
tema del discepolato. Cita un salmo e dice: ”abbiamo visto che tutte le proprie-<br />
19 ”Discorso in occasione del conferimento dell’Archiginnasio d’oro a Giuseppe Dossetti” Bologna<br />
Sala dello Stabat Mater 22 febbraio 1986. in G. DOSSETTI, Con Dio e con la storia. una vicenda di<br />
cristiano e di uomo, a cura di A. e G. Alberigo, Marietti, Genova 1986<br />
20 Per la vita <strong>della</strong> città, in Dossetti, La parola e il silenzio. Discorsi e scritti 1986-1995, a cura <strong>della</strong><br />
Piccola Famiglia dell’Annunziata, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 138-188<br />
34<br />
20<br />
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