Leggi gratis un estratto - Cronache dei Campi Elisi
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Flavio Graser<br />
Sentieri di Luce,<br />
Sentieri d’Ombra<br />
Sole Nero sui <strong>Campi</strong> <strong>Elisi</strong><br />
volume I
Flavio Graser<br />
Sentieri di Luce,<br />
Sentieri d’Ombra<br />
Sole Nero sui <strong>Campi</strong> <strong>Elisi</strong>
Questa è <strong>un</strong>’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e<br />
accadimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o<br />
vengono usati in maniera fittizia; ogni somiglianza a persone<br />
reali, viventi o morte, eventi o luoghi è puramente casuale.<br />
Tutti i diritti sono riservati. Ness<strong>un</strong>a parte di questo romanzo<br />
può essere riprodotta, scansionata o distribuita in forma<br />
stampata o elettronica senza il consenso dell’autore.<br />
ISBN: 978-1-4709-8289-8<br />
www.cronache<strong>dei</strong>campielisi.org<br />
www.flaviograser.org
A Tatjana, se non fosse stato per te questo<br />
romanzo non sarebbe mai stato scritto.<br />
Grazie per i consigli, per i suggerimenti<br />
e per il supporto che mi hai dato, soprattutto<br />
quando avrei voluto lasciar perdere tutto.<br />
Per sempre!
Prologo<br />
Algeria, agosto 2002<br />
In principio Dio creò il cielo e la terra.<br />
(Genesi , 1:1)<br />
Un anno, è da <strong>un</strong> anno esatto che non esco.<br />
Sono stanco di queste grotte, stanco di nascondermi, stanco<br />
di essere braccato. E oggi, quando la mia sopportazione gi<strong>un</strong>ge<br />
al culmine, decido di rischiare. Ad accogliermi all’esterno c’è<br />
<strong>un</strong> sole in lenta discesa, simile a <strong>un</strong>a moneta arroventata che<br />
sparge calore liquido sulle lontane d<strong>un</strong>e dell’erg.<br />
Ricordo bene la prima volta che ho visto il deserto, ero<br />
arrivato ad Algeri alla ricerca di antichi testi di cui avevo<br />
saputo da <strong>un</strong> corrispondente europeo. Quella lettera è ancora<br />
scolpita nella mia mente: si vociferava di <strong>un</strong> vecchio saggio<br />
che viaggiava con i berberi, di oasi in oasi, nell’immensità del<br />
vasto deserto. Grande era la sua sapienza e profonda la sua<br />
saggezza, tanto che le altre tribù venivano dalle più remote<br />
estremità di quelle lande assolate per ricevere da lui consigli e<br />
preghiere. E così, da solo, mi ero addentrato in quella grande<br />
desolazione, cullato dai sibili del vento. Fu <strong>un</strong> viaggio<br />
durissimo anche per me, ma non mi arresi: dovevo trovarlo.<br />
Soltanto parecchi giorni dopo riuscii a scovarli, proprio in<br />
queste caverne: <strong>un</strong> rifugio dal calore massacrante del giorno e<br />
dal freddo implacabile della notte, <strong>un</strong>o tra i tanti luoghi di<br />
sosta dal loro eterno vagabondare. Mi accolsero in amicizia,<br />
ammirati per gli sforzi che avevo fatto per raggi<strong>un</strong>gerli.<br />
Furono i miei primi schiavi in questi luoghi.<br />
Un alito caldo mi aggredisce mentre lascio l’ombra della<br />
spaccatura nella pietra che nasconde l’ingresso delle caverne.<br />
Lo stesso vento che anno dopo anno divorerà anche queste<br />
5
occe, polverizzandole nella fine sabbia che forma l’oceano di<br />
d<strong>un</strong>e che mi circonda. Cerco di immaginarmi come fu questo<br />
luogo migliaia di anni fa, fertile e irrorato da <strong>un</strong>a miriade di<br />
rivoli d’acqua, ma di fronte alla brutale e arida realtà che mi<br />
circonda, anche la più fervida fantasia cede le armi e si arrende.<br />
Avanzo per qualche metro e osservo con attenzione il<br />
panorama: ness<strong>un</strong>o all’orizzonte.<br />
Indifferente al sole e al calore inspiro l’aria secca e mi sento<br />
<strong>un</strong> naufrago volontario che non può lasciare la sua isola in<br />
mezzo al nulla.<br />
Non durerei molto nel mondo esterno, d'altronde non ho più<br />
servitori, influenza o potere. Tutto perso, tutto ridotto in<br />
polvere fine come questa sabbia. Mi troverebbero e mi<br />
ucciderebbero.<br />
Il pietrame scricchiola sotto i miei piedi mentre mi avvio<br />
con passo lento verso le prime d<strong>un</strong>e.<br />
Quando il cielo si tinge di delicate sfumature rosse e<br />
arancione arrivo all’inizio del mare di sabbia che sembra<br />
scorrere a causa del vento.<br />
Mi fermo e mi guardo indietro, osservando il mio piccolo<br />
regno: le rocce frastagliate e irregolari, il pietrisco e massi<br />
sparsi tutto intorno. Un nascondiglio perfetto, la mia gabbia da<br />
molto, troppo tempo.<br />
Con mani fredde, nonostante il clima infernale, mi tocco il<br />
viso reso ispido da <strong>un</strong>a leggera barba.<br />
L’altra mia prigione. Non ne posso più! Rivoglio quanto era<br />
mio, il mio ruolo, il mio diritto di nascita, tutto quello che mi è<br />
stato strappato e che ora si trova al di là del Velo, oltre la mia<br />
portata.<br />
Sospirando abbasso la testa e chiudo gli occhi: è ora di<br />
rientrare. Quando li riapro noto qualcosa che luccica, a pochi<br />
metri da me.<br />
6
Incuriosito mi avvicino e raccolgo quel che rimane di <strong>un</strong><br />
vecchio orologio da tasca. Mi chiedo chi l’abbia perso... Chissà<br />
che storie potrebbe raccontare questo piccolo oggetto, oramai<br />
ridotto a <strong>un</strong>a muta carcassa vuota, con il vetro rotto e il delicato<br />
intrico di ingranaggi e bilancieri esposto ai morsi del vento e<br />
della sabbia.<br />
Il deserto non perdona.<br />
Ci soffio dentro, liberandolo dal grosso della sabbia: il dono<br />
di <strong>un</strong> trafficante di schiavi, forse, a <strong>un</strong> altro tipo di prigioniero.<br />
Che vorrebbe tornare alla civiltà. Sospiro, ripensando alla mia<br />
patria. Ancora vorrei passeggiare per le vie di Roma,<br />
respirando la nobile antichità <strong>dei</strong> Fori e discorrendo l<strong>un</strong>go il<br />
cammino con <strong>un</strong> vecchio amico. Magari con Claudio, mercante<br />
di libri, che solo toccando le pagine di <strong>un</strong> antico volume ti<br />
avrebbe raccontato tutto di quella carta. Sarà morto, ormai.<br />
Chissà che fine hanno fatto i suoi testi… Sparsi ai quattro venti<br />
da eredi ignoranti, temo.<br />
Scuoto la testa e osservo ancora l’orologio, per trovare<br />
sollievo dal passato.<br />
«Eri <strong>un</strong> meccanismo perfetto, <strong>un</strong> tempo», gli sussurro<br />
dolcemente. «Chissà, pulito e rimontato potresti ritornare al tuo<br />
compito: scandire il tempo per placare le menti degli uomini.»<br />
Tutte, tranne la mia.<br />
Un’idea tanto folle quando geniale emerge dagli abissi del<br />
mio intelletto.<br />
Lascio cadere per terra l’orologio, già dimenticato, mentre i<br />
miei pensieri scorrono senza posa. Devo prendere in<br />
considerazione i resoconti <strong>dei</strong> miei corrispondenti e le varie<br />
voci che le mie spie sono riuscite a raccogliere. Forse il mio<br />
ritorno è più vicino di quanto immaginassi.<br />
«Da chi potrei iniziare? Ah, certo, da lei», borbotto tra me e<br />
me mentre mi dirigo in fretta alle caverne.<br />
7
Cammino di nuovo verso la spaccatura nella roccia e<br />
velocemente entro nello stretto budello di pietra, tanto basso da<br />
obbligarmi a curvare la schiena. Dopo qualche metro raccolgo<br />
la torcia che ho lasciato infilata nel vecchio anello di ferro<br />
appeso alla parete, è ancora tiepida. La riaccendo e scendo<br />
ancora, sempre più in basso.<br />
Dopo quasi <strong>un</strong>’ora di cammino in quel dedalo raggi<strong>un</strong>go la<br />
grotta sotterranea, simile a <strong>un</strong>a grande bocca di pietra<br />
costellata da denti aguzzi. Ignoro le sentinelle e attraverso il<br />
piccolo gruppo di casupole abitate dai miei seguaci, che vedo<br />
immersi nei loro studi.<br />
La mia dimora è poche centinaia di metri, due semplici<br />
ambienti scavati nella parete della cavità.<br />
All’ingresso della prima stanza trovo il mio servitore in<br />
solerte attesa, come sempre. Gli consegno la torcia e accedo al<br />
locale successivo, il mio Santuario: nere le pareti, rosso<br />
porpora il pentacolo sul pavimento. I libri che studiavo fino a<br />
poche ore fa sono ancora sparsi tutto intorno.<br />
Mi siedo allo scrittoio e metto in moto gli eventi: <strong>un</strong>a banale<br />
lettera, poche righe per <strong>un</strong>o <strong>dei</strong> miei servi più devoti. La<br />
rileggo e poi la chiudo. Usando le cera di <strong>un</strong>a delle tante<br />
candele che illuminano la stanza appongo il mio sigillo: <strong>un</strong>a<br />
rosa a cui stanno cadendo tre petali.<br />
Questo simbolo tornerà grande, ripeto a me stesso.<br />
Consegno la missiva al mio schiavo e mi rilasso,<br />
soddisfatto. Adesso non mi resta che attendere.<br />
8
Parte I<br />
Tramonto Rosso Sangue
Capitolo I<br />
Melk, settembre 2004<br />
Ma la saggezza, dove trovarla?<br />
(Giobbe, 28:12)<br />
Alzo gli occhi dal grosso tomo miniato che sto leggendo, e<br />
mi rendo conto di aver perso la nozione del tempo. Rivolgo lo<br />
sguardo al mosaico variopinto della finestra, e socchiudo gli<br />
occhi. La luce del tramonto si frantuma in <strong>un</strong>a cascata simile a<br />
<strong>un</strong> arcobaleno che mi lascia senza fiato. Incapace di resistere<br />
ancora, serro le palpebre, beandomi per qualche istante del<br />
calore che sento sul viso.<br />
Una vocina interiore mi ricorda che non ho ancora molti<br />
minuti a disposizione.<br />
Sospirando riapro gli occhi e guardo l’ora indicata dal mio<br />
vecchio ma fedele orologio da polso. Le cinque: <strong>un</strong>’altra ora<br />
soltanto, devo sbrigarmi.<br />
Mi guardo intorno, gli altri visitatori se ne sono andati e la<br />
grande sala di consultazione è deserta. I restanti tavoli di<br />
quercia sono stati sgombrati, le porte verso l’esterno serrate.<br />
Percorro con lo sguardo la stanza: le vetrinette chiuse, i libri<br />
protetti - o imprigionati - da <strong>un</strong> sottile strato di vetro e da<br />
vecchie grate di metallo, le finestre irrorate dalla luce, la<br />
polvere che danza leggiadra nell’aria, e infine il pavimento di<br />
marmo, consumato da secoli di sedie smosse e di piedi che<br />
tornano frettolosi ai tavoli, ansiosi come i loro padroni di<br />
leggere e di sapere.<br />
Il silenzio mi cresce intorno, nutrito dalla consapevolezza<br />
dell’essere rimasto solo. I libri riposti sugli scaffali sembrano<br />
riposare. Pochi scricchiolii, immaginari fruscii di pagine che si<br />
assestano… Mi sento <strong>un</strong> intruso. Un disturbatore della quiete,<br />
11
del giusto sonno che attende quegli antichi dispensatori di<br />
sapienza.<br />
Scaccio dalla mente quelle fantasticherie e torno al mio<br />
tomo, sfogliando <strong>un</strong>’altra pagina e consultando i miei app<strong>un</strong>ti.<br />
È <strong>un</strong> capolavoro, opera di <strong>un</strong> ignoto autore trecentesco,<br />
italiano, le miniature a margine sono splendide, ma poco utili<br />
alla mia tesi.<br />
Quell’immagine che ho visto, però… Torno indietro di<br />
alc<strong>un</strong>e pagine e la ritrovo subito. Un intrico di linee sottili,<br />
rosse, nere, dorate e <strong>un</strong>’illustrazione attorno alla quale le<br />
parole sembrano fluttuare come onde che girano attorno a <strong>un</strong>o<br />
scoglio.<br />
Riproduco l’immagine sul mio blocco, cercando di rendere<br />
l’idea. Un uomo anziano viene scacciato da <strong>un</strong> gruppo di<br />
popolani: lui, il sapiente, è ben vestito e cerca di conservare <strong>un</strong><br />
po’ di dignità mentre viene esiliato. Porta con sé delle carte,<br />
probabilmente i suoi vaticini o i suoi studi.<br />
Dietro <strong>un</strong> branco di villici. Sporchi, laceri, dai visi ferini,<br />
che mostrano l’ignoranza di chi odia quello che non riesce a<br />
comprendere.<br />
Mentre finisco lo schizzo mi chiedo cosa ne sarà di quel<br />
vecchio saggio. Troverà rifugio da qualche ricco signore avido<br />
di conoscenza o alla ricerca di <strong>un</strong> consigliere? Vivrà di stenti<br />
per gli anni che gli rimangono? O sarà ucciso come eretico?<br />
Chiudo il tomo con delicatezza e guardo i tre volumi che mi<br />
rimangono da consultare: <strong>un</strong>a raccolta di profezie del Seicento<br />
e due manuali, come gli chiameremmo oggi, di veggenza. Con<br />
<strong>un</strong> lieve sorriso sul volto ripercorro ancora <strong>un</strong>a volta l’elenco<br />
delle fonti che ho consultato e compilato durante gli ultimi<br />
mesi: ho già esaminato due testi molto completi che<br />
spiegavano al profano le arti della profezia. Oramai quella<br />
parte del mio studio mi sembra completa.<br />
12
Avvicino la raccolta di oracoli ne ho già collezionati decine,<br />
ma aggi<strong>un</strong>gerne altre al corpus di vaticini che ho preso in<br />
considerazione non sarebbe male.<br />
È <strong>un</strong> volume semplice ed essenziale, in ottavo: la pelle<br />
rossiccia della copertina riluce cupa, tesa come quella di <strong>un</strong><br />
tamburo e rinforzata ai bordi da piccole borchie quadrate.<br />
Ness<strong>un</strong>a decorazione, né dorature né intarsi... strano. Solo il<br />
titolo troneggia sulla parte alta della copertina: De Inferorum<br />
Sussurris, i sussurri <strong>dei</strong> morti. Volto pagina sul mio blocco e<br />
annoto <strong>un</strong>a breve descrizione del libro. Morti… Negromanzia<br />
quindi, è inusuale: dal Rinascimento in poi l’arte di evocare i<br />
morti veniva assimilata alla magia nera, è tipico del mondo<br />
classico usarla per vaticinare.<br />
Il nome dell’autore è assente, curioso.<br />
Sollevo la copertina e prendo la scheda che il bibliotecario<br />
ha compilato per me. Il volume è stato donato ai monaci<br />
all’inizio di quest’anno, il benefattore ha chiesto l’anonimato e<br />
non ha fornito alc<strong>un</strong>a informazione sull’autore, l’origine e la<br />
datazione esatta del tomo. Ha soltanto specificato che il libro<br />
proviene da <strong>un</strong>a fondazione culturale che ha sede a New York.<br />
Deluso, sfoglio qualche pagina. Potrei usarlo come fonte,<br />
ma il mio relatore forse non gradirebbe.<br />
Mi immagino già la scena: il mio anziano insegnante, rigido<br />
e impettito, che mi spiega con voce ronzante e soporifera che<br />
<strong>un</strong> libro del genere è poco significativo. Come mi capita spesso<br />
quando mi parla, mi incanterei a osservare il lento dondolio <strong>dei</strong><br />
suoi baffi, curati ai limiti dell’ossessione, e sentirei soltanto<br />
poche parole del suo discorso: fonti... serietà... bibliografia...<br />
cose così.<br />
Inizio com<strong>un</strong>que a leggere.<br />
L’autore non si presenta, non ci sono né nomi né<br />
pseudonimi. Forse l’identità è nascosta nelle prime pagine che<br />
13
scorro velocemente: sono dedicate al metodo di divinazione.<br />
Mi fermo, torno indietro e leggo di nuovo, perplesso.<br />
La consacrazione di <strong>un</strong> santuario per il rituale rispetta i<br />
canoni dell’occultismo del Seicento. È <strong>un</strong> luogo staccato dal<br />
mondo, che va purificato mediante <strong>un</strong> l<strong>un</strong>go e faticoso rituale<br />
per creare <strong>un</strong>a sorta di estensione nel mondo fisico della mente<br />
del negromante.<br />
Invece sono strani i def<strong>un</strong>ti che vengono evocati: non<br />
uomini colti o saggi, ma anime dannate, a malapena consce<br />
della loro passata umanità, che raccontano della loro vita<br />
mortale, collocata nel futuro… Una sorta di reincarnazione al<br />
contrario!<br />
Ho sempre immaginato la metempsicosi come <strong>un</strong> fiume<br />
infinito: nasci, vivi la tua vita, muori, sempre nell’alveo di quel<br />
rivo, dove l’aldilà sono le sponde a cui il def<strong>un</strong>to approda,<br />
lande desolate per cui vaga fino a dimenticare il passato.<br />
Immemore torna al fiume, ci cade e tutto ricomincia.<br />
Per l’autore del libro, invece, vieni alla luce, muori e <strong>un</strong>a<br />
mano crudele, <strong>un</strong> dio malvagio, ti butta in <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to a caso del<br />
fiume.<br />
Mentre guardo la raccapricciante raffigurazione penso che<br />
visto che si tratta di materiale inusuale, il mio relatore mi farà<br />
utilizzare questa fonte.<br />
Prendo app<strong>un</strong>ti e continuo a sfogliare le pagine,<br />
raggi<strong>un</strong>gendo le profezie. Ce n’è <strong>un</strong>a per pagina, corredata a<br />
volte da semplici illustrazioni. Dopo circa mezz’ora ne ho<br />
raccolte e trascritte sette di interessanti.<br />
Continuo a sfogliare e noto i segni di <strong>un</strong>a pagina strappata e<br />
<strong>un</strong>a frase che continua sulla facciata successiva. La traduco<br />
velocemente dal latino:<br />
… la chiave che dischiude le porte della Conoscenza.<br />
Decifra i versi, se osi, e come loro la troverai.<br />
14
Sotto la frase degli altri versi, sbiaditi dal tempo, a prima<br />
vista privi di senso.<br />
Oltre i Confini che l'uomo non dovrebbe superare,<br />
Tra i sussurri di Coloro che attendono,<br />
Cerca il luogo delle cinque Pareti.<br />
Ricorda però, incauto cercatore di Sapienza:<br />
Mente, Anima e Corpo siano ben saldi.<br />
Solo in tal modo la tua Brama sarà soddisfatta.<br />
Sotto i versi, il disegno di <strong>un</strong> esagono regolare. Attorno a<br />
cinque <strong>dei</strong> sei lati sono stati tracciati alc<strong>un</strong>i simboli: <strong>un</strong>a<br />
farfalla, <strong>un</strong> serpente sinuoso, <strong>un</strong>a rosa, <strong>un</strong>a nave stilizzata e <strong>un</strong>a<br />
scacchiera.<br />
Non sembra neppure <strong>un</strong>a profezia. Incuriosito decido<br />
com<strong>un</strong>que di ricopiare quei versi sibillini e quel disegno, potrei<br />
mostrarli al mio relatore e chiedergli <strong>un</strong> parere. Non appena<br />
termino di apporre l’ultimo tratto sul mio blocco, la pesante<br />
porta della biblioteca si apre.<br />
Sento <strong>dei</strong> passi dietro di me, accompagnati dal vociare<br />
lontano <strong>dei</strong> ritardatari. Poi il passaggio viene chiuso, e torna il<br />
silenzio. Con calma inizio a riporre le mie cose, salutando<br />
l’uomo che nel frattempo mi è venuto vicino: «Sono in ritardo,<br />
fratello Wilhem? Mi sono perso nella contemplazione <strong>dei</strong> vostri<br />
splendidi volumi e non mi sono reso conto dell’ora.»<br />
«Tranquillo, Georg», risponde lui mentre <strong>un</strong> sorriso gli<br />
increspa il viso placido, segnato dalle rughe dell’età e<br />
incorniciato da candidi capelli bianchi. «Hai trovato qualcosa<br />
di interessante?»<br />
«Sì, spero di riuscire a mettere tutto nella tesi, il vostro<br />
corpus di profezie è veramente notevole.»<br />
L’occhio mi cade sui versi che ho appena ricopiato.<br />
15
«Fratello, ha qualche minuto da dedicarmi? Lei è <strong>un</strong>a<br />
persona colta, vorrei il suo parere su questi versi. Non è <strong>un</strong>a<br />
profezia ma mi ha talmente incuriosito da spingermi a<br />
trascriverla.»<br />
«Certo, fammi vedere», risponde lui annuendo. «Qualche<br />
minuto di ritardo non ci creerà alc<strong>un</strong> problema.»<br />
Sorrido e gli mostro le frasi scritte nell'originale che è<br />
ancora con me.<br />
«Li hai anche tradotti?», chiede lui dopo averli esaminati.<br />
Spingo nella sua direzione i miei app<strong>un</strong>ti.<br />
«Non saprei dirti» riprende dopo aver chiuso il tomo e<br />
riposto le mie note. «Di certo non è <strong>un</strong> vaticinio. Vorrei sapere<br />
a quali porte della Conoscenza si riferisca l’autore… È proprio<br />
<strong>un</strong> peccato che non abbiamo informazioni sul testo. Hai visto<br />
anche tu che ci è stato donato soltanto pochi mesi fa, e non c’è<br />
stato il tempo di effettuare delle indagini. Chissà cosa<br />
potremmo scoprire sapendone di più su chi l’ha scritto!»<br />
«Già, magari me ne occuperò a tesi conclusa con l’aiuto di<br />
qualche altro studente di Filologia o Storia.»<br />
Finisco di riporre i miei app<strong>un</strong>ti nell’inseparabile borsa che<br />
mi accompagna dall’inizio della mia avventura <strong>un</strong>iversitaria, e<br />
mi offro di aiutare l’anziano monaco a mettere via i libri che ho<br />
consultato.<br />
«Non preoccuparti, li sistemerò poi con calma, tu vai pure»,<br />
risponde bloccandomi gentilmente mentre sto già prendendo il<br />
primo tomo.<br />
«Allora vado», ribatto, «grazie ancora per l’aiuto che mi ha<br />
dato negli ultimi due giorni, fratello Wilhelm!»<br />
«Auguri per la tua tesi Georg, a presto!», mi saluta con <strong>un</strong><br />
sorriso gentile.<br />
Lascio la stanza: attraverso le sale dell’immensa biblioteca,<br />
<strong>un</strong> piccolo intrico di corridoi e infine mi ritrovo all’aperto.<br />
16
La quiete pacata delle sale che conservano la sapienza <strong>dei</strong><br />
secoli viene rimpiazzata dal cicaleccio <strong>dei</strong> turisti rimasti, ma<br />
per pochi istanti soltanto: inizio a scendere la scalinata che<br />
porta ai giardini e passo dopo passo tutto torna tranquillo<br />
mentre me li lascio alle spalle.<br />
I fiori sembrano sonnecchiare in questo tiepido pomeriggio<br />
di settembre, ignari del destino che li aspetta. Disposti in<br />
l<strong>un</strong>ghe file tutte uguali fanno vedere ben poco del verde<br />
sottostante, quel prato che solo ai confini del giardino sembra<br />
vincere la sua battaglia contro i petali multicolori.<br />
Una vittoria di Pirro, perché soltanto pochi metri più avanti<br />
le grandi querce si dimostrano le vere trionfatrici di quella<br />
guerra, forti delle loro ombre possenti.<br />
Questo prato mi mette <strong>un</strong> po’ di tristezza: vive di <strong>un</strong>a<br />
bellezza caduca, che sarà presto rubata dall’aut<strong>un</strong>no. Ancora<br />
pochi mesi e sarò laureato. Se tutto andrà come previsto, entro<br />
la fine dell’anno discuterò la tesi!<br />
La malinconia viene scacciata via dalla gioia: in primavera<br />
tutto ricomincerà, per me e per questo splendido giardino.<br />
Sorridendo lascio lo Stift con i suoi edifici barocchi, i suoi<br />
fiori e la sua immota tranquillità; raggi<strong>un</strong>go il parcheggio,<br />
recupero la mia utilitaria e riparto alla volta di Vienna.<br />
Il sole sta lentamente tramontando alle mie spalle e in pochi<br />
minuti esco da Melk. Quasi non bado alla strada, la mente è in<br />
fermento per il lavoro che dovrò fare nei prossimi mesi. Certo,<br />
ho già scritto gran parte della tesi, ma quanto ho trovato oggi<br />
mi obbligherà a riscriverne la parte centrale e le conclusioni.<br />
Supero <strong>un</strong> autobus di turisti: cosa porteranno con sé dopo<br />
<strong>un</strong>a giornata di visite all’abbazia? Si saranno limitati alle foto o<br />
per <strong>un</strong> istante si saranno chiesti cosa si prova a sfogliare quei<br />
testi che loro vedono soltanto dietro a teche di vetro? Da <strong>un</strong><br />
lato capisco che solo a pochi sia concesso studiare su quei<br />
volumi antichi e delicati, di contro mi rendo conto di quale<br />
17
conoscenza sia protetta tra quelle mura. Conoscenza che<br />
dovrebbe essere a disposizione di tutti, e non di pochi eletti. Mi<br />
chiedo distrattamente come abbia potuto il mio relatore<br />
procurarmi quel permesso di consultazione… È vero, la mia<br />
media è alta e l’argomento della tesi molto interessante, ma<br />
l’aver ottenuto l’accesso ai testi contenuti nel monastero è<br />
incredibile.<br />
Scuoto la testa, tornando a concentrarmi sulla strada. Non<br />
c’è molto traffico, in meno di <strong>un</strong>’ora sarò nel mio vecchio<br />
appartamento abitato da quattro studenti. Scommetto che non<br />
mi aspetteranno per cena e che troverò il frigorifero vuoto. Di<br />
certo a casa <strong>dei</strong> miei genitori non sarebbe così: la dispensa<br />
sarebbe sempre piena di leccornie visto che entrambi sono<br />
appassionati di cucina. Sorrido al ricordo delle incursioni<br />
effettuate con mio fratello maggiore, esperti commando che si<br />
infiltravano nel territorio ostile della cucina, tentando di non<br />
farsi notare dalle guardie nemiche... Quante volte siamo stati<br />
beccati, da piccoli!<br />
Il sorriso si allarga ancora. È da qualche giorno che non<br />
sento i miei, è meglio che domani li chiami. Me li immagino,<br />
tranquilli nella loro casetta sulle rive del lago di Strobl, il paese<br />
dove sono nato. Mi segno com<strong>un</strong>que l’app<strong>un</strong>to mentale di<br />
andarli a trovare. Conoscendoli, mi faranno tornare a casa<br />
carico di prelibatezze, che dovrò difendere con le <strong>un</strong>ghie e con<br />
i denti dagli altri coinquilini!<br />
Il mio stomaco brontola <strong>un</strong> po’ e per distrarmi penso ad<br />
altro. Osservo il panorama, approfittando anche della strada<br />
poco trafficata che stona col paesaggio, devo dire: <strong>un</strong> serpente<br />
d’asfalto che striscia insidioso tra i monti irregolari che<br />
delimitano la valle. Le case oltre il bordo della carreggiata si<br />
diradano <strong>un</strong> po’ per volta, man mano che il declivio sale,<br />
lasciando il posto a boschi fitti e antichi.<br />
18
Chissà se ancora qualc<strong>un</strong>o si perde tra quei tronchi... Di<br />
nuovo mi tornano in mente tutti i vaticini che ho studiato:<br />
barlumi di speranza o avvertimenti contro disastri futuri lasciati<br />
a chi vagava nelle tenebre dell’ignoranza, a quel popolino che<br />
spesso non capiva. Non sono solo le parole a crearmi curiosità,<br />
ma anche capire perché sono inserite in quel testo, non si tratta<br />
di <strong>un</strong>a profezia, ma molto probabilmente di <strong>un</strong> enigma. Forse la<br />
chiave della Conoscenza di cui si parla è <strong>un</strong>o strumento per<br />
profetizzare, <strong>un</strong> insieme di rituali volti a chiamare e vincolare i<br />
morti di cui quell’ignoto autore scrive nelle prime pagine. Mi<br />
riprometto di cercare altre informazioni a tesi finita.<br />
Mi accorgo di essere arrivato alle porte di Vienna, non mi<br />
sono reso conto dello scorrere del tempo. Il traffico più intenso<br />
della città mi accoglie coi colori sgargianti e metallici delle<br />
auto e suono <strong>dei</strong> clacson di chi guida come se combattesse per<br />
la vita.<br />
Mi inoltro con calma verso il centro della città per poi<br />
immettermi in <strong>un</strong> dedalo di viuzze: i confini dello Stillberg.<br />
Vecchi palazzoni di trent’anni fa mi sorvegliano alteri mentre<br />
passo ai loro piedi, infilo la mia piccola utilitaria tra due auto<br />
che hanno <strong>un</strong> disperato bisogno di essere lavate e scendo,<br />
portando con me la mia preziosa cartella. L'appartamento che<br />
condivido con altri tre è poco più avanti, percorro i metri che<br />
mi separano dal portone e osservo attorno a me i primi cenni di<br />
vita serale: studenti che escono per andare a bere qualcosa,<br />
lavoratori che rientrano stanchi a casa. Il tutto è pervaso da <strong>un</strong><br />
vago senso di torpore. Questo è <strong>un</strong> quartiere vecchio, <strong>un</strong> intrico<br />
di edifici solidi ma mal tenuti, molti abitati da anziani che<br />
escono poco e altri da persone come me, a cui basta soltanto <strong>un</strong><br />
tetto.<br />
Fingo di essere <strong>un</strong> ragazzo di buona famiglia, che rientra a<br />
casa dal doposcuola. L’immaginazione abbellisce l’atrio<br />
spoglio che mi accoglie, facendolo diventare lindo e illuminato<br />
19
a giorno dal pesante lampadario che scende dal soffitto, tanto<br />
bianco da far male agli occhi.<br />
Un solo battito di palpebre e torno al vero androne:<br />
dignitoso, con qualche traccia di umidità, illuminato da <strong>un</strong><br />
neon freddo e asettico. Tanto per cambiare l’ascensore non<br />
f<strong>un</strong>ziona, si potrebbe direttamente inchiodare sopra le sue ante<br />
metalliche il cartello «Fuori servizio.»<br />
Con <strong>un</strong> sospiro rassegnato salgo le scale, maledicendo<br />
ancora <strong>un</strong>a volta gli scalini troppi bassi. Mentre le rampe si<br />
susseguono <strong>un</strong>a dopo l’altra, intervallate da pianerottoli piccoli<br />
e angusti, faccio <strong>un</strong> inventario mentale di quello che c’era<br />
stamattina nel frigorifero: domani è il giorno dedicato alla<br />
spesa, spero che sia rimasto qualcosa di commestibile.<br />
Ridivento cosciente dell’ambiente che mi circonda quando<br />
le gambe mi depositano davanti all’ultima porta del<br />
pianerottolo più alto: il piano degli studenti. Il proprietario vive<br />
al primo piano, in <strong>un</strong> piccolo appartamento tanto ingombro di<br />
mobili tarlati e tappeti polverosi da rendere pressoché<br />
impossibili gli spostamenti al suo interno. Ricordo ancora<br />
quando, due anni fa, mi ha spiegato la sua teoria sugli studenti<br />
<strong>un</strong>iversitari: «Voi siete giovani e pieni d’energia», diceva<br />
gesticolando con ardore, «trascorrete il giorno all’<strong>un</strong>iversità o<br />
in biblioteca, cenate in fretta e quando capita passate le serate<br />
o a studiare o a bere e divertirvi nei locali dello Stillberg. Alla<br />
fine, quindi, non vi serve molto: appartamenti dignitosi,<br />
illuminati bene, con pochi mobili. Come quello che offro a lei e<br />
ai suoi tre amici, giovanotto. All’ultimo piano, naturalmente...<br />
Così male che vada darete fastidio soltanto a chi abita sotto di<br />
voi con il vostro baccano, mi capisce?», concludeva<br />
ammiccando con quella testa rugosa che tanto mi ricordava <strong>un</strong>a<br />
testuggine.<br />
20
E io, che non credevo ancora al prezzo estremamente<br />
conveniente che mi aveva proposto, annuivo incredulo. Le<br />
avrei firmate anche con il sangue, le sue teorie!<br />
Sorridendo metto a fuoco la mia meta: <strong>un</strong>a porta<br />
esattamente uguale a tutte le altre di quel vecchio condominio,<br />
l’<strong>un</strong>ica da cui stia però uscendo la voce malinconica di Jim<br />
Morrison. Hans è riuscito a mettere le mani sullo stereo, e<br />
dovremo passare sul suo cadavere per mettere su qualcosa di<br />
diverso dai Doors.<br />
Cullato da quelle dolci melodie entro e poso le chiavi sul<br />
tavolino subito a sinistra dell’ingresso, appendo alla bell’e<br />
meglio la giacca all’attaccapanni che corre l<strong>un</strong>go il corridoio e<br />
poi sbircio nel soggiorno alla mia destra: <strong>un</strong> ragazzone biondo<br />
e muscoloso, Hans app<strong>un</strong>to, mi degna di <strong>un</strong> lieve cenno prima<br />
di tornare alla rapita contemplazione sonora del Re Lucertola,<br />
che sta praticando comodamente steso su <strong>un</strong>o <strong>dei</strong> due divani<br />
che costituiscono la quasi totalità dell’arredamento della<br />
stanza.<br />
Rin<strong>un</strong>cio a chiedergli notizie degli altri due condomini e<br />
dello stato del frigorifero. Busso alla porta della camera di<br />
Greta e di Pieter e la apro leggermente: il buio contraccambia<br />
lo sguardo.<br />
Serata divertimento, per loro. Entro in camera mia per<br />
posare la cartella e poi mi dirigo in cucina ma prima di<br />
togliermi le scarpe controllo cosa c’è da mangiare. La luce<br />
interna del mostro metallico illumina impietosa l’amara verità:<br />
qualche bottiglia di birra, latte e nient’altro.<br />
Direi che questa sera si cena fuori. Calcolo l’ammontare <strong>dei</strong><br />
miei capitali e sospiro di sollievo: le ripetizioni che ho dato la<br />
settimana scorsa mi lasciano <strong>un</strong> po’ di margine per arrivare<br />
tranquillamente all’inizio del prossimo mese e all’iniezione di<br />
euro da parte <strong>dei</strong> miei genitori.<br />
21
Riprendo la giacca, saluto Hans ed esco di nuovo, senza<br />
aspettare il grugnito di risposta. Di nuovo all’aperto, mi dirigo<br />
a piedi verso il Donau Bar. Mi piace tutto di quel locale: i ritmi<br />
ossessivi e quasi cardiaci della techno che fa da perenne<br />
sottofondo sonoro, i baristi antipatici, la folla di gente che lo<br />
frequenta. A volte passo intere serate a osservare il microcosmo<br />
di vita viennese che passa lì dentro, come sangue che sosta per<br />
<strong>un</strong> po’ nel cuore prima di essere pompato nella notte<br />
metropolitana.<br />
Entrato nel locale mi piazzo in disparte e scelgo <strong>un</strong> piccolo<br />
tavolino che accoglierebbe a fatica due persone. Riesco ad<br />
attirare l’attenzione di <strong>un</strong> cameriere distratto e gli ordino <strong>un</strong>a<br />
birra e due panini. Il budget non permette di più, il locale è <strong>un</strong><br />
po’ caro.<br />
Mentre aspetto la cena mi guardo in giro. I tavolini che<br />
costellano il bar sono pieni a metà, più che altro di turisti in<br />
visita. Il bancone invece straripa di gente che beve e socializza.<br />
Un po’ li invidio, non sono mai stato bravo in questo.<br />
Troppo timido per attaccar bottone con qualc<strong>un</strong>o, o magari <strong>un</strong><br />
po’ asociale, chissà. Nel frattempo arriva il mio ordine e<br />
attacco il primo panino, sorseggiando di tanto in tanto la birra.<br />
Altro che socializzare, ora la priorità è la tesi! Terminata la<br />
cena tornerò a casa per riordinare gli app<strong>un</strong>ti di oggi, in modo<br />
da farli vedere già tra <strong>un</strong> paio di giorni al mio relatore.<br />
Annuisco tra me e me, mentre la struttura della tesi si<br />
completa con le odierne informazioni raccolte, ultimi pezzi del<br />
puzzle che suggellerà la mia formazione <strong>un</strong>iversitaria. E poi? Il<br />
pensiero mi attraversa repentino la mente, terrorizzante. Mi<br />
piacerebbe continuare la carriera al dipartimento di Storia, ma<br />
non voglio farmi ancora mantenere dai miei... Devo<br />
informarmi al più presto sulle borse di studio e sui dottorati.<br />
Un’ombra copre il tavolo, distraendomi. Alzo lo sguardo,<br />
incuriosito.<br />
22
La prima cosa che vedo sono degli occhi viola, caldi e<br />
profondi, tanto rari da farmi pensare all’<strong>un</strong>ica persona che io<br />
conosca con iridi simili: Christine.<br />
La figura si sposta <strong>un</strong> po', permettendo alla luce di delineare<br />
il resto di quel viso perfetto, pallido e dai lineamenti così ben<br />
cesellati da sembrare irreale.<br />
«Scusami, Georg, non volevo spaventarti. Ultimamente non<br />
ti ho mai visto in Facoltà, volevo accertarmi che tu non fossi<br />
<strong>un</strong>’allucinazione creata da questa musica ipnotica», si scusa lei.<br />
Sorridendo si siede di fronte a me e si sistema distrattamente<br />
i l<strong>un</strong>ghi capelli corvini.<br />
Mentre si accomoda sulla sedia noto <strong>un</strong>o scintillio metallico<br />
all’attaccatura <strong>dei</strong> seni, evidenziati da <strong>un</strong>a semplice maglietta<br />
bianca. È il suo medaglione, non se ne separa mai: due ovali<br />
sovrapposti, il bianco più grande che sembra divorare il nero,<br />
molto più piccolo. Intorno, strisce sempre ovali che diventano<br />
più spesse man mano che si allontanano dal centro, fino a<br />
diventare fasce ricurve che p<strong>un</strong>tano verso l’alto e verso il<br />
basso. Una volta sono riuscito a vederlo da vicino, e sono<br />
rimasto ammirato dall’eccezionale bravura di chi l’ha creato,<br />
<strong>un</strong> artista di cui Christine non ha voluto parlarmi. Mi ha detto<br />
che quel pendente è il dono di vecchi amici, tanto cari quanto<br />
lontani. Gli occhi le si sono velati mentre lo diceva. Ho cercato<br />
di farmi raccontare di loro, ma inutilmente.<br />
«Non mi hai spaventato! Soltanto, ero perso nei miei<br />
pensieri sul dopo tesi», rispondo.<br />
«Dottorato? Borse di studio?»<br />
Annuisco, staccando <strong>un</strong> altro morso di panino. «Senti, ti<br />
<strong>un</strong>isci a me? Il locale non è troppo pieno, ti serviranno in<br />
fretta.»<br />
«Certo! Ho già cenato, però: prendo soltanto qualcosa da<br />
bere.»<br />
23
Voltandosi, alza <strong>un</strong> braccio per fare <strong>un</strong> cenno con la mano<br />
affusolata a <strong>un</strong> cameriere. Gli ordina <strong>un</strong> Tequila S<strong>un</strong>rise e poi<br />
lo congeda con grazia.<br />
«Allora, sei già andato a consultare la mitica biblioteca di<br />
Melk? Sai, ogni tanto sento studenti in Dipartimento che<br />
parlano di te... invidiosi e ammirati.»<br />
«Sono andato proprio oggi! Ho trovato molto materiale per<br />
la tesi, ma sono <strong>un</strong> po’ perplesso.»<br />
«Perché?»<br />
«Questo permesso per consultare i tomi di Melk... Sono<br />
soltanto <strong>un</strong>o studente! Mi chiedo come abbia fatto il mio<br />
relatore a farmelo ottenere. Certo, è utilissimo ma crea voci e<br />
chiacchiere che non mi piacciono...», concludo aggrottando le<br />
sopracciglia.<br />
«Tranquillo, sappiamo tutti che sei il migliore!», ribatte lei<br />
facendomi l’occhiolino.<br />
Una ragazza così bella che studia all’Università di Vienna,<br />
nel mio stesso dipartimento! L’ho conosciuta tre anni fa,<br />
quando ero <strong>un</strong>o studente assegnato malvolentieri come tutor<br />
alle matricole del Dipartimento di Storia. La vivida immagine<br />
di quel primo incontro è ancora incisa a fondo nella mia mente,<br />
lei mi aspettava alla base della scalinata nell’androne<br />
dell’Università, tranquilla e composta. Era vestita di delicati<br />
incroci di bianco e di nero. Due cose mi colpirono subito di lei:<br />
quello sguardo incredibile e la pelle, pallidissima e imm<strong>un</strong>e al<br />
sole estivo, anche se quello viennese è molto debole. Dopo le<br />
presentazioni di rito ho iniziato a mostrarle il Dipartimento,<br />
capendo subito dal tono delle sue domande che possedeva <strong>un</strong>a<br />
mente di tutto rispetto.<br />
Nelle settimane successive ebbe ben poco bisogno di me<br />
come tutor, in compenso diventammo amici. Non che questa<br />
amicizia fosse esclusiva: Christine sta simpatica a tutti!<br />
Un debole sorriso mi si forma agli angoli delle labbra.<br />
24
Una carrellata di discussioni alla biblioteca del Dipartimento<br />
si alternano alle serate fuori, solo noi due o con i tanti amici<br />
che ha raccolto attorno a sé da quando studia qui. Anni che<br />
sono letteralmente volati: lei che sta per concludere, addirittura<br />
in anticipo, la laurea di primo livello e io che, delicato mix di<br />
stupidità e timidezza, non mi sono mai fatto avanti. Ho paura di<br />
perderla come amica, confesso per la milionesima volta a me<br />
stesso. E poi... la sua ricchezza. Certo non se ne vanta e non ne<br />
fa sfoggio, ma vive in <strong>un</strong> palazzo della sua famiglia da<br />
generazioni... a Herrengasse!<br />
Il sorriso si blocca per <strong>un</strong> istante, quasi indeciso se nascere o<br />
morire, e poi mi sboccia sul viso.<br />
«Perché sorridi? Non stavo scherzando!»<br />
«No, tranquilla», replico io imbarazzato. «Stavo pensando<br />
ad altro!»<br />
«Ah, ecco», ribatte lei con occhi ridenti. «Oh, il mio<br />
cocktail», continua poi.<br />
Brinda con me al nostro futuro <strong>un</strong>iversitario e sorseggia il<br />
suo drink, mentre io finisco di divorare il secondo panino.<br />
«Ora che ci penso, stai preparando anche tu la tesi, o mi<br />
sbaglio?»<br />
«Bravo, ottimo memoria. Visto che mi rimane <strong>un</strong> solo<br />
esame l’ho già iniziata! Un argomento semplice, ma dopotutto<br />
non è per la laurea specialistica», mi risponde lei sorridendo.<br />
«Qualcosa sul Norico, vero?»<br />
«Esatto. Rapporti commerciali tra il Norico e l’Italia<br />
settentrionale durante l’età imperiale.»<br />
«E dimmi, cosa pensi di fare dopo la laurea di secondo<br />
livello? La Magister Tyler continuerà il dottorato qui o tornerà<br />
nella natia New York City? Se ci hai già pensato, si intende...»<br />
«A New York abitavo soltanto. Com<strong>un</strong>que non ho ancora<br />
deciso... Vienna mi piace molto, ma Manhattan mi manca, a<br />
25
volte. Spesso penso che stare lontana dagli Stati Uniti mi aiuti<br />
anche a non pensare alla mia amnesia.»<br />
«Già, me ne avevi parlato... Quattro anni circa, vero?»<br />
«Esatto. I medici che ho consultato, americani ma anche<br />
europei, non sono riusciti a giustificarla. Ness<strong>un</strong> incidente,<br />
ness<strong>un</strong> trauma. Soltanto il vuoto, dall’inizio del 1998 alla fine<br />
del 2001: il mio trasferimento a Manhattan, la mia vita lì, gli<br />
amici... Nulla. Il bello è che avevo anche iniziato l’Università a<br />
New York, ma ho ricominciato dall’inizio quando mi sono<br />
spostata in Europa. Avrei potuto farmi riconoscere qualche<br />
esame qui ma... non sarebbe stato corretto, visto che non<br />
ricordo più niente.»<br />
«Tu sei troppo onesta, te l’ho già detto! - ribatto io. - Senti,<br />
ora devo scappare. Prima di andare a dormire vorrei riordinare<br />
<strong>un</strong> po’ gli app<strong>un</strong>ti presi oggi», mi scuso.<br />
«Ness<strong>un</strong> problema, devo andare anch’io», conclude lei<br />
bevendo l’ultimo sorso del suo cocktail, «sono <strong>un</strong> po’ stanca<br />
oggi, voglio andare a dormire.»<br />
«Domani che impegni hai? Università?»<br />
«No, niente di simile... Il prossimo esame è già pronto,<br />
penso che andrò a farmi <strong>un</strong> giretto fuori città. A Sankt Polten,<br />
hai presente?»<br />
«Sì, anche se non ci sono mai stato. Spero che tu ti diverta»,<br />
le sorrido considerando se chiederle di accompagnarla; poi la<br />
maledetta timidezza vince ancora. «È <strong>un</strong> peccato che domani<br />
abbia da fare con la tesi... Ti accompagnerei, altrimenti!»<br />
Mi sorride con dolcezza di rimando, mentre si alza.<br />
Riesco a offrirle da bere derubando fino alla stoffa le mie<br />
tasche. Lei si allontana e mi saluta con la mano. Noto che la<br />
maggior parte <strong>dei</strong> presenti, di entrambi i sessi, la fissa mentre<br />
passa in mezzo a loro. Di certo non si veste in modo<br />
provocante o bizzarro, eppure attira l’attenzione. Forse è il suo<br />
26
modo di fare, quasi inconsapevole del mondo che la circonda.<br />
Una fata moderna che volteggia tra noi miseri mortali?<br />
Scuotendo la testa mi alzo anch’io e lascio il locale: in pochi<br />
minuti sono già nella mia stanza, seduto alla scrivania.<br />
L’intensa luce della lampada taglia fuori il resto della camera e<br />
fa risplendere gli app<strong>un</strong>ti di oggi. L’appartamento è silenzioso,<br />
Hans è fuori da qualche parte e lo stereo, esausto, tace.<br />
Dedico <strong>un</strong> ultimo pensiero a Christine Tyler e poi mi metto<br />
al lavoro.<br />
27
Capitolo II<br />
Il serpente era la più astuta<br />
di tutte le bestie<br />
selvatiche fatte dal Signore Dio.<br />
Egli disse alla donna:<br />
“È vero che Dio ha detto:<br />
non dovete mangiare<br />
di ness<strong>un</strong> albero del giardino?"<br />
(Genesi, 3:1)<br />
Il grosso cero si accende all’improvviso, facendomi<br />
riemergere di soprassalto dalle tenebre.<br />
Provo a guardarmi intorno, ansimante, ma la luce greve di<br />
quella colonna bianco giallastra sembra non riuscire a<br />
illuminare nulla al di fuori di sé stessa, di me e del tavolo a cui<br />
sono seduto.<br />
Sono a Melk, riconosco gli intagli su quel legno antico ma...<br />
il resto della sala? Con lo sguardo scavo ancora oltre la luce,<br />
c’è solo il buio assoluto.<br />
Sul tavolo sono sparsi decine di fogli, petali rettangolari di<br />
<strong>un</strong> grande fiore bianco, completamente innervati con la stessa<br />
frase, scritta con la mia calligrafia:<br />
La chiave che dischiude le porte della Conoscenza...<br />
Perplesso, afferro in maniera frenetica <strong>un</strong> foglio dopo<br />
l’altro: sempre la stessa frase, ossessiva, martellante. La<br />
Conoscenza... di che Conoscenza si parla? Il Libro, devo<br />
prenderlo, devo studiarlo, devo trovare la pagina mancante!<br />
Conoscenza...<br />
Scuoto la testa, tentando di scacciare dalla mente quel<br />
pensiero fisso. Perché sono qui? Sono andato via dalla<br />
biblioteca all’ora di chiusura...<br />
Mi alzo, e ancora <strong>un</strong>a volta provo a penetrare quel velo di<br />
tenebre, ma inutilmente.<br />
29
Non capisco... Perché il cero non illumina di più? Lo<br />
osservo meglio: è <strong>un</strong>a colonna bitorzoluta, forse realizzata a<br />
mano, e la fiamma è di <strong>un</strong> rosso chiaro con guizzi di bianco.<br />
Uno strano odore la circonda, dolce e nauseabondo al tempo<br />
stesso.<br />
Muovo qualche passo in avanti. Appena superata la fonte di<br />
luce mi trovo nel buio più completo.<br />
Spaventato, mi volto indietro: la grossa candela è ancora lì,<br />
che illumina la zona del tavolo... E i fogli si sono sparpagliati<br />
di nuovo.<br />
Com’è possibile? Il mio corpo si muove quasi di riflesso,<br />
portandomi lontano di qualche altro passo da quello strano<br />
fenomeno. Il buio è assoluto, totale, come lo spazio più<br />
profondo e lontano da stelle e galassie, tanto scuro che mi<br />
sembra quasi che non ci sia più aria.<br />
I miei piedi incontrano <strong>un</strong> ostacolo, morbido ma massiccio.<br />
Inciampo e rovino malamente a terra, portando le mani in<br />
avanti con <strong>un</strong> gesto istintivo.<br />
Per terra è bagnato da qualcosa di caldo. Mi annuso le mani,<br />
e sento <strong>un</strong> odore p<strong>un</strong>gente e metallico.<br />
Sangue.<br />
Dal centro del corpo mi sale <strong>un</strong> urlo raccapricciante. È <strong>un</strong>a<br />
bolla di terrore gelido, <strong>un</strong> rigurgito di acque nere e morte. Il<br />
buio attorno a me sembra vibrare di silente attesa... Poi sono<br />
svegliato dal campanello della porta.<br />
Con la mente annebbiata dal sonno mi guardo intorno,<br />
confuso. Solita scrivania, solita lampada da tavolo, armadio<br />
economico, <strong>un</strong>a sedia e letto scassato: questa è la mia camera.<br />
Un sogno. Respiro profondamente per calmare l’agitazione<br />
interiore e per far rallentare il battito frenetico del cuore.<br />
Soltanto <strong>un</strong> sogno!<br />
Il campanello suona ancora <strong>un</strong>a volta, con insistenza.<br />
Guardo l’ora: le nove e tre quarti. Mi alzo stiracchiando i<br />
30
muscoli, intorpiditi dal sonno in quella posizione innaturale.<br />
Chissà a che ora mi sono addormentato... Getto <strong>un</strong>o sguardo<br />
agli app<strong>un</strong>ti sulla scrivania: ricopiati e ordinati per bene, ultima<br />
pagina esclusa.<br />
Iniziano a bussare.<br />
Mi affretto verso la porta, gettando <strong>un</strong> veloce sguardo nelle<br />
stanze degli altri: vuote, sono sicuramente già usciti. Invece di<br />
aprire come farei di solito, osservò dallo spioncino: non<br />
riceviamo mai visite, è... inusuale. Ma non è la sola stranezza<br />
che fa vibrare i miei sensi, ho ancora il sogno fatto attaccato<br />
alle miei fibre e ben presente nella mia memoria.<br />
Due persone, il proprietario e <strong>un</strong> tizio che non conosco.<br />
Grande e grosso, dal viso anonimo e squadrato.<br />
Apro, perplesso.<br />
«Sì?», chiedo.<br />
«Alla buon’ora!»<br />
«Mi scusi, signor Carioni. Stavo dormendo e gli altri sono<br />
fuori. Cosa posso fare per voi?»<br />
«L’ispettore Kleimm», e indica l’altro che, noto<br />
preoccupato, mi sta guardando con <strong>un</strong>’intensità che mi ricorda i<br />
frati domenicani e il Santo Uffizio, «appartiene all’Ufficio di<br />
Investigazione Federale. Sta cercando proprio lei, le deve<br />
parlare. Cosa ha combinato, eh?»<br />
Poi, senza aspettare <strong>un</strong>a mia risposta, sbuffando irritato e<br />
borbottando qualcosa di incomprensibile che, mi pare, verta sui<br />
giovani d’oggi, ci lascia soli e si accinge alla discesa l<strong>un</strong>go le<br />
rampe di scale che tanto odio.<br />
Guardo di nuovo questo Kleimm e gli porgo la mano. Lui<br />
me la stringe con forza: scommetto che è <strong>un</strong>o di quelli che<br />
considera questo gesto rituale come <strong>un</strong> preciso e infallibile<br />
metodo per giudicare il carattere altrui...<br />
«Vuole entrare? Le offro <strong>un</strong> caffè.»<br />
31
«Grazie», risponde lui con <strong>un</strong> tono profondo e pacato, «a<br />
patto che non lo prepari soltanto per me.»<br />
«Scherza? Ora come ora <strong>un</strong> caffè è l’<strong>un</strong>ica cosa di cui ho<br />
bisogno!»<br />
Lo faccio accomodare in salotto e vado in cucina a mettere<br />
la caffettiera sul fuoco. Quando torno indietro, lo trovo seduto<br />
sul divano. Ha <strong>estratto</strong> <strong>un</strong> taccuino e <strong>un</strong>a matita perfettamente<br />
app<strong>un</strong>tita.<br />
«Ci vorrà qualche minuto. Ispettore, cosa sta succedendo?»,<br />
chiedo.<br />
«Una cosa alla volta. Innanzitutto vorrei vedere <strong>un</strong> suo<br />
documento d’identità. Il proprietario dello stabile l’ha<br />
certamente riconosciuta, ma ho delle formalità a cui<br />
ottemperare.»<br />
Senza replicare vado in camera mia a cercare quanto mi ha<br />
chiesto, il passaporto è il primo documento a cadermi tra le<br />
mani. Tornando ne sfoglio distrattamente le pagine timbrate,<br />
segni evidenti del mio passaggio in qualche aeroporto. Ecco<br />
qui l’ultimo ghirigoro d’inchiostro, lo splendido viaggio in<br />
Turchia della scorsa estate. Sorridendo tra me e me rivedo<br />
l’ammaliante Istanbul, il suo delicato intreccio di chiese,<br />
moschee e meravigliosi musei, ma poi penso alla persona che<br />
mi aspetta in salotto e torno alla realtà.<br />
Gli porto il documento che mi ha chiesto. Gentilmente mi<br />
ringrazia, lo controlla e scrive qualche app<strong>un</strong>to sul suo<br />
taccuino.<br />
«Ispettore, vorrei vedere anch’io <strong>un</strong> documento d’identità.<br />
Che so, il suo tesserino da poliziotto...»<br />
Alza la testa di scatto e mi guarda con occhi glaciali. La<br />
cordialità di poco fa sembra essere scomparsa sotto <strong>un</strong>a<br />
montagna coperta da <strong>un</strong> ghiacciaio.<br />
«Non si fida di me, signor Georg Bohm?», chiede con tono<br />
piatto.<br />
32
«Dovrei?»<br />
Mi fissa per qualche altro secondo, per scrollare poi le<br />
spalle.<br />
«Ha ragione, in <strong>un</strong>a città grande come questa girano sempre<br />
persone poco raccomandabili. Ecco, tenga, verifichi pure.»<br />
Mi porge <strong>un</strong> tesserino che lo identifica come Aloyisius<br />
Kleimm, Ispettore della Polizia Federale.<br />
«Perfetto. La ringrazio», rispondo restituendogli il<br />
documento.<br />
Un intenso aroma di caffè inizia a spandersi per<br />
l’appartamento, quasi a ricordarmi che non sono passato da <strong>un</strong><br />
brutto sogno a <strong>un</strong> altro: questa è la dura realtà e sono sveglio.<br />
Torno in fretta in cucina e riempio due tazze di quel sacro<br />
liquido che accompagna la vita di ogni studente che si rispetti.<br />
Con passi calmi, per non far cadere gocce sul pavimento, vado<br />
in salotto. Porgo <strong>un</strong>a tazza all’Ispettore e poi mi siedo sulla<br />
poltrona, di fronte a lui.<br />
«Mi dica, allora.»<br />
Kleimm osserva i suoi app<strong>un</strong>ti, valutando da dove iniziare.<br />
«Dove si trovava ieri?»<br />
«Ieri?»<br />
La domanda mi lascia <strong>un</strong> po’ perplesso.<br />
«Sì, ieri. Mi descriva la sua giornata.»<br />
«Beh... sono stato per il secondo giorno consecutivo a<br />
Melk. All’Abbazia di Melk, per essere precisi, presso il<br />
famoso Stift. Ho ottenuto mediante il mio relatore <strong>un</strong> permesso<br />
di consultazione.»<br />
«Quindi è stato nella biblioteca.»<br />
«In <strong>un</strong>a delle sale dedicate alla consultazione <strong>dei</strong> volumi. La<br />
biblioteca di Melk è enorme e i testi che contiene delicati.»<br />
«È stato per tutto il giorno in quella sala di consultazione?»<br />
«Tutto il giorno? No, no... Sono uscito per pranzare e per<br />
sgranchirmi le gambe <strong>un</strong> paio di volte.»<br />
33
«E lei ha trascorso quindi la gran parte della giornata in<br />
quella sala... A fare cosa, per essere precisi?»<br />
«Studio al Dipartimento di Storia e sto preparando la tesi<br />
per la laurea specialistica.»<br />
«L’argomento?»<br />
«Profezie e vaticini dal Tardo Antico al Seicento, con<br />
particolare attenzione ai testi che insegnavano tecniche per<br />
prevedere il futuro. Il mio relatore trova interessante il lavoro<br />
che ho svolto finora e per arricchirlo di ulteriori documenti mi<br />
ha procurato, come le dicevo prima, il permesso di consultare<br />
alc<strong>un</strong>i volumi presenti soltanto a Melk.»<br />
Kleimm, senza smettere di prendere app<strong>un</strong>ti, mi chiede<br />
alc<strong>un</strong>i dettagli sul mio relatore.<br />
Sperando di non metterlo nei guai glieli fornisco,<br />
augurandomi ogni bene per la mia carriera <strong>un</strong>iversitaria a<br />
Vienna.<br />
«Chi ha incontrato a Melk?», chiede poi.<br />
«A parte i turisti che sembrano permeare ogni centimetro<br />
libero? Uno <strong>dei</strong> bibliotecari, fratello Wilhelm. È stato molto<br />
disponibile e cortese, mi ha contattato <strong>un</strong>a settimana fa al<br />
telefono per chiedermi di che tipo di testi avrei avuto bisogno e<br />
me ne ha fatti trovare <strong>un</strong>a parte in sala di consultazione già<br />
l’altro ieri, quando l’ho conosciuto di persona.»<br />
«Mi parli di questo monaco.»<br />
«Di fratello Wilhelm? Anziano, simpatico, gentile, molto<br />
colto. A quanto mi ha raccontato lavora nella biblioteca di<br />
Melk da sempre. Perché, gli é successo qualcosa?»<br />
Kleimn ignora la mia domanda e continua a mitragliarmi di<br />
bordate inquisitorie. Se ho visto qualcosa di strano, a che ora<br />
sono uscito, chi ho incrociato andando via... Alla fine non ne<br />
posso più.<br />
«Basta!», esplodo. «Mi vuole dire cos’è successo a Melk?»<br />
34
«Fratello Wilhelm è stato ucciso, massacrato con inaudita<br />
ferocia.»<br />
«... Ucciso? Ma... Come...?»<br />
«Non lo sappiamo. Lei è l’ultima persona ad averlo visto<br />
vivo, a quante pare», risponde lui. «Poco fa», e torna indietro<br />
di qualche pagina <strong>dei</strong> suoi app<strong>un</strong>ti, «lei mi ha detto di essere<br />
uscito all’orario di chiusura. Visto che si attardava spesso nella<br />
biblioteca, ness<strong>un</strong>o <strong>dei</strong> monaci si è preoccupato... Fino a questa<br />
mattina, quando l’hanno trovato proprio nella sala in cui è stato<br />
lei tutto il giorno.»<br />
«Io... Ispettore, spero che non... Cioè, lei non penserà che...»<br />
«... Sia stato lei? Lei non è sospettato, al momento. È stato<br />
visto da <strong>un</strong>o <strong>dei</strong> monaci mentre usciva dallo Stift e si dirigeva<br />
al parcheggio: pulito, tranquillo, niente sangue né armi in vista.<br />
Se vuole essere scagionato da ogni sospetto le consiglio<br />
com<strong>un</strong>que di darci <strong>un</strong> campione del suo DNA.»<br />
«Anche subito, se vuole! Non ho nulla da nascondere!»<br />
«Potrà fornire quanto serve ai poliziotti che in questo<br />
momento stanno ancora lavorando a Melk.»<br />
«Melk? Vuole che ci torni?»<br />
«Non posso obbligarla, sia chiaro... Però ci sarebbe di aiuto<br />
per capire subito se sono stati trafugati <strong>dei</strong> testi. Dobbiamo<br />
sondare tutte le possibilità, sa com’è.»<br />
«E quando dovrei andarci?», chiedo stupito.<br />
«Anche in mattinata, subito.»<br />
«Mi accompagna lei, Ispettore?»<br />
«Purtroppo non posso, mi spiace. Devo confrontare le altre<br />
dichiarazioni con la sua, vogliamo capire se qualc<strong>un</strong>o ha visto<br />
persone sospette poco prima della chiusura. Temo quindi che<br />
dovrà tornare a Melk per conto suo. Una volta arrivato chieda<br />
ai miei colleghi, <strong>un</strong>o di loro la scorterà sul luogo del delitto.»<br />
Sospiro, contrariato. Se ne andrà l’intera giornata! È vero<br />
che i lavori per la tesi sono a buon p<strong>un</strong>to, ma... Poi però penso<br />
35
a fratello Wilhelm: certo, lo conoscevo da due giorni soltanto,<br />
ma mi è sembrato <strong>un</strong>a brava persona. Magari con il mio aiuto<br />
potrebbero rintracciare chi l’ha ucciso, forse <strong>un</strong> ladro di testi<br />
antichi, o <strong>un</strong> qualche invasato. Glielo devo, so che è la cosa<br />
giusta da fare.<br />
«Molto bene. Se questo vi potrà agevolare nelle vostre<br />
indagini e se contribuirà, ne sono certo, a scagionarmi, andrò<br />
volentieri» , rispondo guardando Kleimm negli occhi.<br />
Un sorriso sp<strong>un</strong>ta su quel viso rude, ora rassicurante e<br />
amichevole.<br />
«Fa bene ad aiutarci, glielo assicuro. Le lascio <strong>un</strong> biglietto<br />
da visita, per qualsiasi problema o se le venisse altro in mente,<br />
mi chiami, per favore.»<br />
Si alza con lenta decisione e si passa la mano tra i folti<br />
capelli castano chiaro.<br />
«Grazie per il caffè, ora devo proprio andare», mi dice poi.<br />
Lo accompagno alla porta rivolgendogli parole di<br />
circostanza. Ci salutiamo con <strong>un</strong>’altra stretta di mano e poi,<br />
quando si è avviato verso le scale, chiudo la porta<br />
dell’appartamento al mondo.<br />
Silenzio.<br />
Chiudo gli occhi, rifletto per qualche istante. Cerco di<br />
convincermi che tutto questo è solo <strong>un</strong> imprevisto, ma<br />
inutilmente.<br />
Una vocina nel fondo della mente sussurra malevola... Mi<br />
parla delle piccole pietre che diventano valanghe, del fato che<br />
ti trascina come fa il vento di tempesta con le foglie. Per <strong>un</strong><br />
istante infinito mi sento perso, e spaventato.<br />
Riapro gli occhi di scatto.<br />
«Non andrà così», bisbiglio a me stesso, «domani tornerà<br />
tutto come prima!»<br />
Mi preparo per uscire. Farò colazione dopo, per strada,<br />
faccio <strong>un</strong>a doccia e poi mi tuffo nel traffico viennese.<br />
36
Dedico pochi secondi a valutare la mia immagine allo<br />
specchio: <strong>un</strong>o spil<strong>un</strong>gone dai capelli biondo cenere, magro ma<br />
incredibilmente goffo. Sorrido di me, e finisco di vestirmi.<br />
Dopo neanche dieci minuti sono pronto: ho lasciato <strong>un</strong><br />
messaggio ai miei coinquilini e ho preso tutto quello che mi<br />
serve, inclusi i miei preziosi app<strong>un</strong>ti. Tutti i volumi che ho<br />
consultato sono citati all'interno, anche quell’ultimo strano<br />
tomo: <strong>un</strong> piccolo inventario che potrebbe magari aiutare chi sta<br />
indagando.<br />
Esco dall’appartamento, chiudo a chiave a scendo le scale di<br />
corsa. Incrocio il padrone di casa, lo saluto ma evito<br />
accuratamente di fermarmi, mi farebbe <strong>un</strong> sacco di domande a<br />
cui ora proprio non voglio rispondere. Che pensi quello che<br />
vuole.<br />
L’aria di Vienna mi accoglie quando esco, accompagnata dal<br />
lontano respiro della città e <strong>dei</strong> suoi abitanti.<br />
Mi incammino l<strong>un</strong>go il marciapiede, ma dopo qualche<br />
decina di passi mi fermo: l’auto non è dove l’ho parcheggiata.<br />
Affretto il passo e raggi<strong>un</strong>go il posto vuoto. Mi rendo conto<br />
che non ho preso le chiavi, uscendo. Un momento... C’erano, le<br />
chiavi, sul tavolino accanto all’ingresso?<br />
Torno indietro di corsa, rientro, risalgo le scale e rientro<br />
nell’appartamento: niente chiavi. Al loro posto <strong>un</strong> biglietto:<br />
Faccio <strong>un</strong> salto dai miei, ho preso l’auto. Greta.<br />
Ottimo, proprio oggi. Sconsolato, torno lentamente in<br />
strada, pensando a come raggi<strong>un</strong>gere Melk. La maggior parte<br />
<strong>dei</strong> miei amici usa mezzi pubblici per spostarsi! Melk non è<br />
proprio vicinissima poi, e chiedere a qualc<strong>un</strong>o di perdere tutto<br />
questo tempo per me... Considero l’idea di <strong>un</strong> taxi, ma il solo<br />
pensiero di quanto mi costerebbe mi provoca fitte gelide l<strong>un</strong>go<br />
la schiena.<br />
Kleimm? Magari potrebbe aiutarmi lui...<br />
37
Mi torna in mente, vivido, il ricordo della conversazione di<br />
ieri sera con Christine, oggi doveva andare a Sankt Polten.<br />
Non è lontano da Melk e potrei chiedere a lei!<br />
La chiamo al cellulare ma mentre compongo il numero il<br />
coraggio inizia a venirmi meno. E se la disturbassi? Siamo<br />
amici, è vero, ma...<br />
«Georg!», mi risponde lei allegra. «Cosa fai già in piedi?<br />
Ieri sera dicevi che avresti lavorato fino a tardi, ti immaginavo<br />
ancora tra le braccia di Morfeo!»<br />
«Ciao, Christine! Ecco, senti... Ho <strong>un</strong> problema, mi serve<br />
<strong>un</strong>a mano. Mi spiace disturbarti, ma...»<br />
«Non provarci neppure a scusarti», mi interrompe lei. «Se<br />
riterrò la cosa troppo onerosa sarai in grave debito verso di<br />
me.»<br />
Poi la sento parlare con qualc<strong>un</strong>o in sottofondo.<br />
«Scusami, Georg, ho tranquillizzato Albert. Allora... Cosa ti<br />
è successo?»<br />
Le racconto i fatti della mattinata: cerco di farlo con calma,<br />
ma le parole mi sgorgano dalla gola come <strong>un</strong>a neonata sorgente<br />
che si fa spazio tra le crepe della roccia. Alla fine arrivo al<br />
p<strong>un</strong>to:<br />
«Mi hanno chiesto di andare a Melk ma sono appiedato.<br />
Greta ha preso l’auto e non sapevo a chi chiedere <strong>un</strong>a mano.<br />
Poi mi è venuto in mente quello che mi hai detto ieri sera, della<br />
tua gita fuori porta. Senti», mi interrompo imbarazzato, «potrei<br />
venire con te? Mi spiace rovinarti la giornata, ma...»<br />
Rimango in attesa. E se mi dicesse di no? E se si offendesse<br />
per la mia sfacciataggine? E se...<br />
«Certo che ti accompagno! Sankt Polten non scappa di<br />
certo! Soltanto <strong>un</strong>a cosa però...»<br />
«Tutto quello che vuoi! E... Grazie!»<br />
38
«Figurati», risponde lei. «Dicevo, io devo ancora finire di<br />
prepararmi, visto che hai fretta è meglio che tu venga da me.<br />
Dovrei essere pronta per il tuo arrivo qui, che ne dici?»<br />
«Mi avvio subito, a tra poco!», ribatto felice.<br />
Chiudo la com<strong>un</strong>icazione e mi avvio verso il centro della<br />
città. Scarto subito l’idea <strong>dei</strong> mezzi pubblici, non sono neanche<br />
due chilometri, e ho il passo spedito.<br />
Mentre macino la strada che mi separa da casa sua e schivo<br />
in modo quasi automatico gli altri pedoni, penso che forse<br />
questa gita obbligata a Melk ha anche risvolti positivi: passerò<br />
del tempo con lei.<br />
Poi mi torna in mente il povero fratello Wilhelm, e mi<br />
vergogno di me stesso.<br />
Lentamente mi avvicino alla meta, la grande via che al<br />
tempo degli Asburgo ospitava i palazzi <strong>dei</strong> nobili. Ora è <strong>un</strong>a<br />
strada di negozi di lusso, banche, musei. Soltanto pochi palazzi<br />
rimangono privati, e tra questi la casa di Christine.<br />
È passato molto tempo da quella prima conversazione<br />
durante la quale ne abbiamo parlato: ci conoscevamo da poco e<br />
quasi per caso le avevo chiesto dove abitasse. Una domanda<br />
retorica, mi aspettavo che vivesse come me in affitto con altri<br />
studenti. La risposta invece mi lasciò stupito, la sua famiglia<br />
possedeva <strong>un</strong> palazzo in Herrengasse da due secoli. Era il dono<br />
di <strong>un</strong> nobile austriaco a <strong>un</strong> Tyler che per molti anni aveva<br />
vissuto e studiato in Europa. Mi aveva poi detto che quando<br />
aveva deciso di studiare Storia Antica in Europa la scelta era<br />
caduta su Vienna, oltre che per il prestigio della sua Università,<br />
anche per il fatto di possedervi già <strong>un</strong>a casa. Da altre<br />
conversazioni avevo inteso che circa trent’anni prima i suoi<br />
genitori avevano sistemato l’interno dell'edificio affittando poi<br />
i primi due piani.<br />
Il passato si <strong>un</strong>isce al presente, e il ricordo di quelle<br />
chiacchierate mi porta proprio davanti al grande portone che<br />
39
separa dal mondo quel fastoso dono. Accarezzo con lo sguardo<br />
quella solida barriera di legno massiccio, istoriata di grossi<br />
quadrati di legno in rilievo. Se potesse parlare forse mi<br />
racconterebbe <strong>dei</strong> mille intrighi, della ambizioni e delle<br />
passioni di chi lo ha varcato in passato.<br />
Scuoto la testa. Fantastico <strong>un</strong> po’ troppo, a volte! Guardo a<br />
malapena le targhe della banca e del medico che hanno qui<br />
sede e studio <strong>un</strong>a targhetta semplice e austera, “Tyler”, posta<br />
sopra le altre. Discretamente nascosti sopra le attività<br />
commerciali, gli ultimi due piani del palazzo sono la dimora<br />
della mia amica.<br />
Suono il campanello. Una voce maschile, pacata e<br />
imperturbabile, emerge dal citofono.<br />
«Sì?»<br />
«Signor Albert, sono Georg. Credo che Christine le abbia<br />
detto che sarei venuto.»<br />
«Certamente. Sali pure, Georg.»<br />
Il portoncino inserito nel grande portale di legno si apre,<br />
creando <strong>un</strong>o spiraglio di penombra. Lo spingo ed entro<br />
nell’androne buio. Oggi è sabato, la banca è chiusa: quanto<br />
vedo alla mia destra, oltre gli spessi vetri e la porta blindata è<br />
desolante nella sua tristezza. Prendo il grande scalone sulla<br />
sinistra e inizio la mia ascesa.<br />
Salgo in fretta, in silenzio. Le pareti sono molto spesse...<br />
sembra quasi che il mondo esterno abbia smesso di esistere!<br />
Una svolta a destra, altri gradini e arrivo al primo piano. La<br />
luce entra con lenta granulosità dalle finestre, quasi per rendere<br />
omaggio agli uffici vuoti del medico e della banca ubicati a<br />
questo piano. Proseguo e salgo per il secondo scalone che dal<br />
fondo del grande atrio si inerpica ancora.<br />
Anche qui, <strong>un</strong>a svolta destra e <strong>un</strong> androne che mi accoglie.<br />
Una sola porta. Quando sono a pochi passi dal raggi<strong>un</strong>gerla<br />
Albert la apre, con <strong>un</strong> tempismo incredibile. È l’immagine<br />
40
stessa del maggiordomo, il suo archetipo più puro. Anziano, ma<br />
lucido e senza acciacchi evidenti. Alto, magro, dall’aspetto<br />
discreto, lo potresti pensare parte della casa.<br />
«Albert, è <strong>un</strong> piacere rivederla», lo saluto entrando.<br />
«Grazie, Georg. Entra, la signorina Tyler ne avrà ancora per<br />
qualche minuto.»<br />
Ubbidiente, entro nell’appartamento. Occupa due piani,<br />
questo e la mansarda qui sopra. Il soggiorno è come lo ricordo,<br />
caldo e accogliente. Un grande divano che mescola colori<br />
brillanti a intrecci damascati e mobili di legno scuro. Un<br />
tappeto completa quell’angolo di quiete con i suoi toni rossicci.<br />
«Siediti pure. Ti porto qualcosa?», chiede lui compito.<br />
Il maggiordomo perfetto, sempre.<br />
«No, grazie, Albert... Credo che partiremo subito. Christine<br />
le ha accennato...?»<br />
«Sì, e sono molto dispiaciuto per quanto ti è successo. Non<br />
preoccuparti, com<strong>un</strong>que, credo che ti escluderanno entro pochi<br />
giorni dai sospettati», replica sorridendo.<br />
«Vorrei essere ottimista come lei, Albert...»<br />
«Io non sono ottimista, caro ragazzo... Sono troppo<br />
vecchio!», risponde. «In realtà, già il fatto che ti abbiano<br />
chiesto di andare a Melk per aiutarli è <strong>un</strong>a prova che non<br />
sospettano di te.»<br />
«Lei dice? e perché?»<br />
«Perché potresti approfittare della tua presenza sul luogo del<br />
delitto per inquinare eventuali prove contro di te», interviene<br />
Christine entrando nella stanza.<br />
Mi alzo, ammirato. La gonna bianca le oscilla leggera<br />
attorno alle gambe, come mossa da <strong>un</strong>a lieve brezza. Si ferma<br />
per <strong>un</strong> istante davanti al grande specchio posto accanto alla<br />
porta, osservandosi con attenzione. Poi gli occhi viola si<br />
posano su di me, attenti.<br />
41
«Forza, Georg, andiamo. Albert, tornerò nel tardo<br />
pomeriggio, penso.»<br />
«Bene, signorina. Georg, è stato <strong>un</strong> piacere rivederti.»<br />
Mi alzo e stringo la mano all’anziano maggiordomo, che<br />
dopo pochi istanti ci lascia per occuparsi delle sue faccende.<br />
Usciamo dall’appartamento e torniamo nel cortile interno.<br />
Christine si dirige verso quella che <strong>un</strong> tempo erano le scuderie;<br />
ora, rimesse per la sua auto e per quelle degli altri residenti. Il<br />
portone br<strong>un</strong>ito che protegge la sua è già aperto e il veicolo si<br />
attende.<br />
Saliamo su quella Mercedes sportiva di cui non ricordo il<br />
modello. Il motore si avvia con <strong>un</strong> rombo sordo, simile a <strong>un</strong><br />
grosso felino che fa le fusa. Per <strong>un</strong> istante penso a <strong>un</strong>a pantera,<br />
nera e sinuosa, che cerca le sue prede nella notte.<br />
Usciamo nel cortile e Christine apre il portone principale,<br />
radiocomandato anch’esso, e si immette in strada: il traffico è<br />
limitato qui, ci sono poche auto. In pochi minuti abbiamo<br />
lasciato il centro e iniziamo a navigare nel traffico, ma<br />
Christine guida l’auto con scioltezza.<br />
«Vedo che non hai perso la mano, vero?», chiedo per fare <strong>un</strong><br />
po’ di conversazione.<br />
«No, Georg. Certo, se mi ricordassi come ho imparato a<br />
farlo così bene...»<br />
«Perché, non è così?»<br />
«No, è successo negli anni cancellati dall’amnesia.<br />
Qualcosa, però, mi è rimasto, come la capacità di guidare.<br />
Forse perché molte delle attività legate alla guida diventano<br />
automatiche, dopo qualche anno al volante. È com<strong>un</strong>que,<br />
snervante, sai? La consapevolezza che c’è <strong>un</strong>a parte della tua<br />
vita che proprio non riesci a ricordare.»<br />
«Ma Albert ti avrà raccontato qualcosa, no?»<br />
42
«Sì, certo, ma non è la stessa cosa! Albert non era sempre<br />
con me, non sa tutto quello che ho fatto, detto o pensato in<br />
quegli anni!»<br />
Gli occhi le si velano di tristezza, e mi pento di aver tirato<br />
fuori l’argomento.<br />
«Senti, Christine, scusami...», esordisco.<br />
«Lascia stare, non è certo colpa tua. Piuttosto, cosa devi<br />
fare, esattamente, a Melk? Trovo strano che ti abbiano chiesto<br />
di tornare... Sapranno anche loro se è stato rubato qualcosa,<br />
no?»<br />
«In effetti mi sono stupito anch’io, ma a quanto ho capito<br />
sono in difficoltà nel capire se e cosa sia stato trafugato.<br />
Vedremo quando arriveremo a destinazione.»<br />
Lei annuisce, e per qualche minuto si concentra sulla strada.<br />
Siamo quasi fuori da Vienna, ormai. Poi, <strong>un</strong> impulso<br />
improvviso: raccontarle dello strano libro che ho trovato ieri.<br />
Ho l’impressione che parlargliene sia la cosa giusta.<br />
«Senti, mi daresti <strong>un</strong> parere?»<br />
«Certo!»<br />
«Vedi, ieri ho trovato <strong>un</strong>o strano libro. Autore e origine sono<br />
ignoti; è del Seicento, ritengo, in base ai rituali e alle profezie<br />
che vi ho letto.»<br />
«Un volume di profezie?»<br />
«Vaticini ottenuti dai morti. Def<strong>un</strong>ti che sono nati e morti<br />
nel futuro, non è strano? Non avevo mai letto prima di questo<br />
modo di divinare.»<br />
«In effetti è strano... Ricorda <strong>un</strong> po’ la negromanzia dell’Età<br />
Classica!»<br />
«Già, e non è finita: nel testo ho anche letto di <strong>un</strong>a sorta di<br />
invito a cercare la Conoscenza.»<br />
Le ripeto i versi che mi turbano, lo sento, più del normale.<br />
43
Lei reagisce in modo strano. Aggrotta la fronte e rallenta<br />
l’andatura dell’auto. Poi si porta <strong>un</strong>a mano alla fronte, quasi a<br />
scacciare <strong>un</strong> pensiero molesto.<br />
«Io...»<br />
«Christine, ti senti bene?»<br />
«Non capisco... Quei versi mi sembrano familiari, ma... Non<br />
ricordo, scusami», conclude frustrata scuotendo la testa.<br />
«Familiari? Strano... Beh, sui pochi dati relativi al tomo ho<br />
letto che è stato donato all’inizio di quest’anno da <strong>un</strong>a<br />
fondazione stat<strong>un</strong>itense. Sarebbe <strong>un</strong>a coincidenza incredibile,<br />
ma magari l’hai letto quando vivevi a New York!»<br />
«O, più probabilmente, la mente mi sta giocando <strong>un</strong> brutto<br />
scherzo. Lasciamo perdere, dai.»<br />
«Certo. Allora... Cosa ne pensi di quei versi? Che cos’è<br />
secondo te la chiave di cui si parla?»<br />
«Non so: forse <strong>un</strong> altro libro, da cui l’autore ha imparato le<br />
tecniche di divinazione o a convocare le anime <strong>dei</strong> def<strong>un</strong>ti. È<br />
interessante la negromanzia, non trovi?»<br />
Un tremito mi corre l<strong>un</strong>go la schiena: tutte stupidaggini,<br />
certo, ma l’idea stessa di evocare i morti mi terrorizza. Anime<br />
ormai dimentiche del mondo, della vita. Freddi gusci di<br />
ghiaccio dell’oltretomba, disposti a pagare con la conoscenza<br />
l’ebbrezza di vedere solo per pochi istanti quello che hanno<br />
perso: la vita.<br />
«No, non trovo. A te piace troppo la morte, sai?», sbotto.<br />
Ride di gusto, regalandomi <strong>un</strong>o scorcio di denti<br />
bianchissimi.<br />
«Figurati. Soltanto, la trovo intrigante come forma di arte<br />
divinatoria. Evocare i def<strong>un</strong>ti, propri o altrui. Il rivolgersi<br />
indietro, alla sapienza di chi è venuto prima di noi... », mi<br />
sorride maliziosa. «E poi, ne converrai, è più rischioso evocare<br />
<strong>un</strong> demone, no?»<br />
44
Nel frattempo siamo usciti da Vienna, e filiamo veloci verso<br />
Melk. Stessa strada di ieri, ma molto meno affascinante.<br />
«C’è dell’altro», continuo, «ho fatto <strong>un</strong>o strano sogno<br />
questa notte. Oserei dire profetico.»<br />
«Profetico? Racconta, dai!»<br />
La accontento con poche parole, soffermandomi<br />
sull’oggetto che mi ha fatto cadere, e sul sangue.<br />
«Dopo aver parlato con l’ispettore ho immaginato di aver<br />
vissuto <strong>un</strong>a sorta di presagio, come se <strong>un</strong> dio del sonno mi<br />
avesse mostrato il delitto prima che lo scoprissero», concludo.<br />
Christine mi sorride e per <strong>un</strong> attimo mi guarda, allontanando<br />
gli occhi dalla strada.<br />
«Georg, non hai pensato che forse sei stato semplicemente<br />
impressionato da quei due giorni a Melk? L’ambiente, i libri,<br />
l’eccezionalità della tua presenza lì... Tutti fattori che hanno<br />
lasciato traccia nel tuo subconscio! Certo, che tu abbia sognato<br />
<strong>un</strong> delitto proprio quando questo avveniva è strano, ma tu non<br />
hai visto alc<strong>un</strong> cadavere! Sei inciampato su qualcosa e hai<br />
toccato del sangue per terra: magari nel tuo sogno era <strong>un</strong><br />
sacrificio, <strong>un</strong> animale ucciso per leggere il futuro nelle sue<br />
interiora. Hai passato gli ultimi mesi ad analizzare le tecniche<br />
utilizzate da profeti o pres<strong>un</strong>ti tali... Pensavi che tutto questo<br />
non lasciasse tracce dentro di te?»<br />
Considero la sua ipotesi con attenzione e mi rendo conto che<br />
forse ha ragione. Cerco di distrarmi ascoltando la musica che<br />
esce dall’autoradio, tanto bassa da non averci fatto molto caso<br />
fino a quel momento: <strong>un</strong>a melodia di Bach che non riconosco<br />
con precisione. Quelle dolci note si aggi<strong>un</strong>gono alle parole di<br />
Christine, e tranquillizzano il mio animo.<br />
«Hai ragione, grazie per avermi riportato sui binari della<br />
razionalità!»<br />
«Al massimo del buon senso. Però <strong>un</strong> po’ invidio te e tutti<br />
quelli che mi raccontano le loro visioni oniriche.»<br />
45
«Perché, tu non ne hai?», chiedo stupito.<br />
«Credo che questo sia impossibile», risponde lei, «più<br />
probabilmente, non riesco a ricordarlo, anche se ho sempre<br />
l’impressione che mi manchi qualcosa: quelle scorribande<br />
interiori che allietano o turbano i nostri sonni e che la mattina<br />
scompaiono.»<br />
«Un po’ come la brina che viene lentamente sciolta dal poco<br />
calore del sole invernale», aggi<strong>un</strong>go io.<br />
Tra noi torna il silenzio. Non è <strong>un</strong> momento imbarazzante,<br />
anzi. Osserviamo la strada che ci si dipana innanzi: non manca<br />
molto a Melk. La osservo girando di poco la testa, perché non<br />
veda che la fisso. Rilassata come sempre, sembra quasi<br />
emanare <strong>un</strong>a sorta di positività, <strong>un</strong> barlume tranquillizzante.<br />
Sotto, però, capisco che è triste e non sta pensando ai suoi<br />
sogni... Ma a eventi perduti e a emozioni dimenticate.<br />
46
Oltre i Confini che l'uomo non<br />
dovrebbe superare,<br />
Tra i sussurri di Coloro che attendono,<br />
Cerca il luogo delle cinque Pareti.<br />
Ricorda però, incauto cercatore di<br />
Sapienza:<br />
Mente, Anima e Corpo siano ben saldi.<br />
Solo in tal modo la tua Brama sarà<br />
soddisfatta.