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«Grazie», risponde lui con un tono profondo e pacato, «a
patto che non lo prepari soltanto per me.»
«Scherza? Ora come ora un caffè è l’unica cosa di cui ho
bisogno!»
Lo faccio accomodare in salotto e vado in cucina a mettere
la caffettiera sul fuoco. Quando torno indietro, lo trovo seduto
sul divano. Ha estratto un taccuino e una matita perfettamente
appuntita.
«Ci vorrà qualche minuto. Ispettore, cosa sta succedendo?»,
chiedo.
«Una cosa alla volta. Innanzitutto vorrei vedere un suo
documento d’identità. Il proprietario dello stabile l’ha
certamente riconosciuta, ma ho delle formalità a cui
ottemperare.»
Senza replicare vado in camera mia a cercare quanto mi ha
chiesto, il passaporto è il primo documento a cadermi tra le
mani. Tornando ne sfoglio distrattamente le pagine timbrate,
segni evidenti del mio passaggio in qualche aeroporto. Ecco
qui l’ultimo ghirigoro d’inchiostro, lo splendido viaggio in
Turchia della scorsa estate. Sorridendo tra me e me rivedo
l’ammaliante Istanbul, il suo delicato intreccio di chiese,
moschee e meravigliosi musei, ma poi penso alla persona che
mi aspetta in salotto e torno alla realtà.
Gli porto il documento che mi ha chiesto. Gentilmente mi
ringrazia, lo controlla e scrive qualche appunto sul suo
taccuino.
«Ispettore, vorrei vedere anch’io un documento d’identità.
Che so, il suo tesserino da poliziotto...»
Alza la testa di scatto e mi guarda con occhi glaciali. La
cordialità di poco fa sembra essere scomparsa sotto una
montagna coperta da un ghiacciaio.
«Non si fida di me, signor Georg Bohm?», chiede con tono
piatto.
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