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È
noto che lo scrittore francese Stendhal,
grande amico dell'Italia e assiduo
visitatore dei nostri musei
d'arte, per primo ha descritto in una sua
cronaca di viaggiatore innamorato della
bellezza, l'insorgere di un particolare
disturbo psicosomatico che, da allora, prese
il suo nome e che, pur se piuttosto raro,
colpisce in prevalenza persone sensibili e
facili a emozioni intense. “Uscendo da
Santa Croce (Firenze) - scrive -
ebbi un sussulto al cuore, la vita
era come inaridita, procedevo
barcollando…” Più genericamente,
oggi si parla anche di
sindrome del viaggiatore, legata
all'affanno della preparazione
dettagliata del viaggio e all'ansia
dei momenti esecutivi. Con una
leggera forzatura comparativa
mi sembra di poter scorgere i
sintomi di una sindrome analoga
in molti amici rotariani responsabili
e con impegni assunti
a suo tempo di guida e rappresentanza
di club a vario titolo
che, giunti a conclusione di una
programmazione studiata in
origine con cura meticolosa non
priva di entusiasmo, si ritrovano
un poco smarriti e disorientati,
non tanto per la fatica sostenuta,
quanto per l'apatia riscontrata
o presunta in quei soci del club
che più amerebbe sentire vicini
e concretamente collaborativi.
Si tratta di una particolare sindrome aggravata
da un sentimento di solitudine che
colpisce soprattutto i presidenti spesso
lasciati veramente soli a tirare la carretta.
La 'solitudine del presidente', un tema
suggestivo, da racconto, che potrebbe tentare
la fantasia di un narratore. Tra
gl'ingredienti della trama vedo situarsi in
bella rilevanza lo sconforto crescente del
protagonista nel constatare un calo di
presenze sensibile, percepito non più come
fisiologico, ma come sintomo di 'qualcosa
che non va'. Espressione tipica del socio
Urbano Urbinati
L’OPINIONE
LA SINDROME DI STENDHAL
amico che si mostra pensoso del problema,
ma che non fornisce suggerimenti per
alternative valide e tanto meno si offre di
aggiogarsi al carro per affrontare insieme
la salita. A questo punto subentra nel personaggio
in questione un sentimento di
amarezza, non disgiunto da un desiderio
sempre più pressante di concludere
l'esperienza e di riconquistare la sospirata
libertà da ogni impegno troppo vincolante.
Alzi la mano chi non ha mai sentito l'amico
presidente (e non solo, ci sono altri incarichi
impegnativi) esclamare in qualche
occasione “non vedo l'ora che arrivi
giugno…”: il passaggio delle consegne è
ormai l'approdo atteso e auspicato. Esito
comprensibile ma piuttosto malinconico,
se messo in relazione con gli entusiasmi e
le attese iniziali. Se poi riflettiamo che, a
volte, per ottenere l'incarico si formano
'cartelli' e gruppi, quasi ci trovassimo a
una competizione politica, la situazione
assume un aspetto a dir poco paradossale.
Purtroppo è anche vero il contrario: per
effetto delle crisi di fine mandato si diffonde
tra i soci la riluttanza ad assumersi responsabilità
precise. E questo non è un bene,
come tutti sanno, perché l'esperienza di
dirigente di club a vario titolo è la più
formativa in assoluto e a essa nessun socio
dovrebbe sottrarsi.
Tutto questo conferma la saggezza delle
regole rotariane che prevedono la rotazione
annuale degli incarichi, il che
consente da una parte
l'utilizzazione costante di energie
fresche e dall'altra un prevedibile
atteggiamento comprensivo di
chi conosce i problemi ed è in
grado di fornire all'occorrenza
suggerimenti validi. Struttura,
direi, perfetta, che a turno e a
tempo debito prevede per ogni
socio impegni di responsabilità
e di servizio. A patto di fornire
il giusto olio negli ingranaggi,
che consiste nel selezionare con
criterio le candidature che gradualmente
maturano, sulla base
di prove via via fornite in relazione
a effettive capacità e soprattutto
a manifesta disponibilità
a dare una mano.
Quest'ultima caratteristica è la
più importante, a mio avviso, e
purtroppo la meno frequente,
perché non la si fa sempre valere
al momento della cooptazione
dei soci. Si fa poi un gran parlare
intorno all'ideale del servire, ma si dimentica
che tra il dire e il fare il passo non
risulta né breve né facile per chi si è fatto
socio convinto da orpelli fuorvianti.
Il problema delle sindromi depressive di
fine mandato è complesso e ha più di una
causa. Non potrà mai essere eliminato del
tutto, perché insito nelle debolezze
dell'uomo, che s'intenerisce sulle sue personali
vicende ma non si piega, premuroso,
sulle vicende del 'prossimo'. Una maggiore
oculatezza sulla selezione iniziale, come
già detto, non guasterebbe.
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