L'IMPRESA ITALIANA NELL'ECONOMIA GLOBALE - Cerved

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L’ IMPRESA ITALIANA NELL’ ECONOMIA GLOBALE Bimestrale di politica economica n. 8 - Febbraio 2007 Comitato scientifico Paolo Gnes PRESIDENTE Boris Biancheri Patrizio Bianchi Innocenzo Cipolletta Mario Deaglio Sergio Luciano Alberto Majocchi Giorgio Mulè Marco Onado Guido M. Rey Salvatore Rossi Franco Varetto Direttore Responsabile Alberto Mucci Segreteria di redazione Priscilla Bigioni Redazione Global Competition L’impresa italiana nell’economia globale Via G. B. Morgagni, 30/h - 00161 Roma tel. 06-44110735 - fax 06-44110775 email: globalcompetition@cerved.com sito: www.cerved.com Proprietario ed Editore Cerved Business Information SpA Via G. B. Morgagni, 30/h - 00161 Roma Stampa Mondadori Printing SpA - Stabilimento grafico Verona Via Mondadori,15 - Verona Distribuzione Mondadori in abbinamento a Panorama Economy il 1° giovedì dei mesi pari Progetto grafico e impaginazione G&Z - Comunicazione integrata - Roma Le opinioni e i giudizi espressi negli articoli non impegnano la responsabilità di Cerved B.I. SpA Copyright 2005 Cerved B.I. SpA. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati Testata registrata al Tribunale di Roma al n. 409 del 19 ottobre 2005
‹ editoriale › Chiarezza e coraggio, Signora Merkel Il 25 marzo 1957 la sottoscrizione del Trattato di Roma istituiva la Comunità Economica Europea (CEE) e iniziava formalmente, pur ridimensionandolo rispetto al disegno in cui si era inserito il Trattato istitutivo della CED poi non ratificato dal Parlamento francese, il processo di integrazione europea avviato sei anni prima con la costituzione della CECA. Nei cinquant’anni trascorsi da allora l’integrazione economica ha compiuto importanti progressi, grazie alla realizzazione della politica comune agricola, regionale, commerciale e della concorrenza, all’attuazione del mercato unico, all’adozione dell’euro, all’allargamento dei confini dell’Unione dai sei paesi fondatori agli attuali 27 membri. Molto tuttavia resta ancora da fare: il completamento del mercato unico dei servizi, la realizzazione di una effettiva capacità di governo dell’economia, l’attuazione del proposito – più volte enunciato ma mai organicamente intrapreso – di realizzare una politica comune della sicurezza (difesa, esteri, energia). Negli ultimi dieci anni la lunga fase di crescita che aveva accompagnato, in un contesto di crescente stabilità e di riduzione degli squilibri regionali, il processo di integrazione economica si è esaurita traducendosi – soprattutto nel nucleo originario dell’Unione – in una situazione di crescita rallentata, incapace di creare sufficiente occupazione. Ne è derivata una diffusa situazione di malessere e di preoccupazione che si è riflessa anche sulla fiducia nelle istituzioni comunitarie. Dobbiamo dunque celebrare il cinquantenario di quello storico evento con soddisfazione per gli importanti progressi realizzati, ma anche con piena consapevolezza delle difficoltà da superare e del forte impegno necessario per portare a compimento il progetto intrapreso. Il primo, fondamentale problema consiste nel raggiungere il consenso sulla meta da conseguire, riguardo alla quale due opposte concezioni dell’Europa si confrontano da sempre. Da un lato vi sono coloro che vedono nell’Europa ‹ editoriale › di Paolo Gnes sostanzialmente una zona di libero scambio, che riduce solo marginalmente la sovranità degli Stati nazionali e che può considerarsi ormai realizzata salvo il completamento della liberalizzazione dei mercati, in particolare dei servizi. In questa visione rientrano normalmente un orientamento favorevole alla prosecuzione fin d’ora dell’allargamento, un’ampia condivisione delle tesi neoliberiste in merito alla capacità del mercato di garantire la crescita e al limitato ruolo che conseguentemente deve svolgere la politica economica, la sostanziale accettazione dell’attuale assetto geopolitico imperniato sulla leadership USA e la fiducia nella NATO quale più efficiente sistema di difesa europea. All’estremo opposto si collocano quanti ritengono che per il benessere e la sicurezza degli europei il progetto di integrazione debba estendersi dall’ambito economico a quello politico e concludersi con la realizzazione di un governo federale in grado di gestire efficientemente e democraticamente l’economia e la sicurezza nel contesto del mercato globale e del confronto tra potenze continentali. Rientra normalmente in tale visione la convinzione che l’allargamento vada ripreso dopo il rafforzamento istituzionale, che l’efficienza dei mercati richieda l’azione regolatrice e all’occorrenza correttiva della politica economica, che la sicurezza vada perseguita rafforzando gli apparati di difesa mediante la loro integrazione e accrescendo l’autorevolezza dell’Europa nello scacchiere mondiale consentendole di parlare con una voce sola, pur nella continuità della solidarietà atlantica e della collaborazione nella NATO. Lo svolgimento del processo di integrazione è stato costantemente condizionato dalla ricerca di faticosi compromessi tra queste opposte concezioni dell’Europa. L’ultimo esempio è il Trattato costituzionale, che – nonostante i suoi limiti – rappresenta probabilmente il massimo di Europa politica oggi accettabile dai fautori dell’Europa libero mercato. La sua bocciatura da parte di due paesi fondatori va intesa come il rifiuto non tanto del progetto europeo di per sé, quanto della fisionomia che sta assumendo per le contraddizioni e i limiti derivanti dai predetti condizionamenti. Gli Stati membri hanno accettato le limitazioni alla propria sovranità derivanti dall’imponente corpo normativo comunitario via via approvato, ma non hanno delegato all’Unione le funzioni e i poteri necessari per una gestio-
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