Natura Nascosta n° 31 - Il museo paleontologico
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<strong>Natura</strong> <strong>Nascosta</strong> Numero <strong>31</strong> Anno 2005 pp.1-14 Figure 12<br />
KARSELLA E KERAMOSPHAERINA (FORAMINIFERI): PRIMO<br />
RINVENIMENTO IN UN INCLUSO PALEOCENICO<br />
NEL FLYSCH EOCENICO PRESSO VIGANT (NIMIS, UDINE)<br />
OCCURRENCE OF KARSELLA AND KERAMOSPHAERINA<br />
(FORAMINIFERIDA) IN A BOULDER OF PALEOCENE AGE CONGLOBATED<br />
IN THE EOCENE FLYSCH NEAR VIGANT (NIMIS, UDINE, NE ITALY)<br />
Maurizio Tentor e Sandro Venturini<br />
Riassunto - Viene per la prima volta segnalata la presenza di foraminiferi pertinenti ai<br />
generi Karsella e Keramosphaerina in un blocco calcareo incluso in depositi di età<br />
eocenica del Flysch del Grivò, nei pressi del villaggio di Vigant (Nimis, Udine). <strong>Il</strong> clasto è<br />
inglobato nella parte basale di un megastrato formato dal franamento nel bacino torbiditico<br />
di parte del margine della Piattaforma Friulana. Le associazioni a foraminiferi bentonici del<br />
blocco (rappresentate in particolare da Glomalveolina primaeva) indicano un’età<br />
paleocenica. Oltre a foraminiferi e molluschi, sono osservabili frequenti coralli solitari. <strong>Il</strong><br />
genere Karsella era precedentemente sconosciuto nelle piattaforme periadriatiche, in<br />
quanto rinvenuto finora solo nell’area anatolica e probabilmente anche in Iran. <strong>Il</strong> genere<br />
Keramosphaerina è per la prima volta segnalato nel Cenozoico.<br />
Parole chiave: foraminiferi, Karsella, Keramosphaerina, Paleocene, Piattaforma Adriatico-<br />
Dinarica, Friuli.<br />
Abstract - The occurrence of the foraminifers Karsella and Keramosphaerina in a limestone<br />
boulder occurring inside the Flysch del Grivò unit (Lower Eocene) of the Julian Prealps<br />
near the village of Vigant (Nimis, Udine Province, NE Italy) is here reported for the first<br />
time. Small bivalves and corals are present among the macrofossils. The boulder occurs at<br />
the base of a megabed originated from the landslide of the carbonate platform margin<br />
inside the basin of deposition of the flysch. The presence of the benthic foraminifer<br />
Glomalveolina primaeva points to a Paleocenic age for the boulder. This is the first report<br />
of Karsella in the Periadriatic Carbonate Platforms and the first report of<br />
Keramosphaerina in the Paleocene.<br />
Key words: Foraminifera, Karsella, Keramosphaerina, Paleocene, Adriatic-Dinaric<br />
Carbonate platform, Friuli.<br />
Introduzione<br />
Recentemente, nella zona dei Monti della Bernadia (Prealpi Giulie meridionali)<br />
DALLA VECCHIA et al. (2004) hanno segnalato un banco conglomeratico di<br />
spessore superiore a 20 metri che ingloba anche un grosso masso di calcare<br />
fossilifero di età maastrichtiana. <strong>Il</strong> banco affiora lungo il sentiero che parte<br />
dall’abitato di Borgo Vigant (Nimis, Udine) e si dirige verso NE scendendo lungo<br />
1
il fianco destro della valle del Torrente Cornappo (Fig. 1). L’associazione<br />
faunistica del blocco descritta dagli Autori citati ha un particolare valore sia dal<br />
punto di vista <strong>paleontologico</strong> sia per la conoscenza delle facies del paleomargine<br />
tardo-cretacico della Piattaforma Friulana. Con la presente nota, si intende<br />
proseguire lo studio preliminare di questi clasti, estendendo l’analisi a una rara e<br />
significativa microfacies di età paleocenica.<br />
Le sezioni sottili esaminate sono custodite presso il Museo Paleontologico<br />
Cittadino di Monfalcone (Gorizia).<br />
Fig. 1 – Carta indice. L’asterisco marca<br />
la zona dell’affioramento esaminato. La<br />
mappa base schematizza la geologia dei<br />
Monti della Bernadia. Legenda: 1)<br />
Calcari del Cellina (Cretaceo inferiore);<br />
2) Calcari del M. Cavallo (Cenomaniano);<br />
3) flysch, torbiditi con megastrati<br />
(Paleocene superiore-Eocene inferiore);<br />
4) affioramenti campaniano-maastri-<br />
chtiani nella Val Torre e nella Val<br />
Cornappo. Da CIARABELLINI et al.<br />
(1999), modificato.<br />
Index map and geological sketch of the<br />
Bernadia Mounts. The asterisk marks the<br />
location of the fossiliferous boulders and clasts. Legend: 1) Calcari del Cellina<br />
(Lower Cretaceous); 2) Calcari del M. Cavallo (Cenomanian); 3) flysch, turbidites<br />
with megabeds (Upper Paleocene - Lower Eocene); 4) Campanian-Maastrichtian<br />
outcrops of the T. Torre valley and of the T. Cornappo valley. After CIARABELLINI et<br />
al. (1999), modified.<br />
2
Inquadramento geologico<br />
La zona di affioramento del banco si trova lungo il fianco destro della valle del<br />
Torrente Cornappo che taglia la parte orientale dei Monti della Bernadia. Tale<br />
gruppo montuoso, costituito da calcari di età compresa tra il Valanginiano ed il<br />
Cenomaniano (Fig. 1), emerge per cause strutturali dal circostante flysch<br />
paleocenico-eocenico inferiore. <strong>Il</strong> banco è costituito da clasti carbonatici<br />
prevalentemente centimetrico-decimetrici, composti in prevalenza da calcari grigi e<br />
biancastri, spesso con piccoli coralli. I clasti di calcari a rudiste non sono frequenti<br />
e le rudiste sono generalmente di piccole dimensioni. La matrice marnosa verdastra<br />
è molto scarsa; al tetto del conglomerato si passa a calcareniti grigie laminate.<br />
Questo corpo carbonatico bianco-grigiastro spicca in una successione di arenarie<br />
marrone sottilmente stratificate, con intercalazioni marnose che appartengono al<br />
Flysch del Grivò. Questa unità è costituita da depositi torbiditici e di frana<br />
sottomarina di età Paleocene superiore-Eocene inferiore (TUNIS & VENTURINI,<br />
1989), di cui, sull’anticlinale della Bernadia, affiora solo il tratto eocenico. <strong>Il</strong> banco<br />
costituisce la base di uno dei megastrati carbonatici che rappresentano il carattere<br />
peculiare del Flysch del Grivò; i megabeds di questa unità sono il risultato di eventi<br />
di risedimentazione all’interno del bacino di deposizione del flysch dovuti ad<br />
enormi frane sottomarine (GNACCOLINI, 1968; TUNIS & VENTURINI, 1992). Tali<br />
eventi si verificarono soprattutto durante l’Eocene inferiore a causa dell’instabilità<br />
tettonica del vicino margine della parte settentrionale della piattaforma carbonatica<br />
Adriatico-Dinarica (Piattaforma Friulana). Nei primi lavori sulla geologia delle<br />
Prealpi Giulie questi banchi di brecce erano indicati con il nome di “conglomerato<br />
pseudocretaceo” perchè parte dei clasti è formata da calcari cretacei di piattaforma,<br />
con subordinati carbonati giurassici e paleocenico-eocenici, insieme a lembi di<br />
flysch. Sono stati individuati una ventina di megabeds che si possono seguire lungo<br />
tutte le Prealpi Giulie (FERUGLIO, 1925; TUNIS & VENTURINI, 1992).<br />
Microfacies ed età dei clasti<br />
Tra i clasti esaminati, sono da segnalare per la relativa frequenza:<br />
- packstone-rudstone bioclastici costituiti da frammenti di rudiste, cui si associano i<br />
foraminiferi Orbitoides e Siderolites. Questi foraminiferi attestano nell’insieme<br />
un’età maastrichtiana, o tutt’al più tardo-campaniana;<br />
- packstone-rudstone intraclastico-bioclastici con coralli, Dasycladaceae<br />
(Cymopolia), piccoli bivalvi, Miliolidae, Miscellanea sp. e Coskinolina rajkae<br />
(Paleocene superiore);<br />
- packstone-rudstone bioclastici con coralli, alghe Melobesiae e Dasycladaceae,<br />
molluschi, foraminiferi (Miliolidae e Discocyclina sp.) e briozoi (Paleocene<br />
superiore-Eocene basale).<br />
Queste facies indicano che la frana che ha dato origine al megastrato ha coinvolto<br />
in buona parte i cunei bioclastici marginali di età maastrichtiano-paleocenica della<br />
Piattaforma Friulana.<br />
I clasti di età paleocenica, a piccoli coralli, risultano prevalenti. Alcune di queste<br />
microfacies si presentano in sezione sottile come wackestone-packstone fossiliferi,<br />
in cui spiccano numerosi orbitolinidi a struttura interna particolarmente complessa,<br />
e che in qualche caso risultano individuabili ad occhio nudo su superfice lucida,<br />
3
aggiungendo talora i 3 mm di lunghezza. In alcune sezioni si associano anche<br />
grossi foraminiferi sferici a guscio porcellanaceo, riferibili al genere<br />
Keramosphaerina, oltre a Glomalveolina gr. primaeva, Miscellanea, probabili<br />
Laffitteina, Spirolina, Miliolidae (tra cui Idalina), coralli (Fig. 2), bivalvi e talora<br />
piccoli foraminiferi planctonici. La presenza, in particolare, di Glomalveolina<br />
primaeva (Figg. 3 e 4) fa attribuire questa facies al Thanetiano (Paleocene<br />
superiore p.p.).<br />
Fig. 2 – Packstone fossilifero a coralli, bivalvi, Miliolidae, Karsella e Keramosphaerina.<br />
Clasto thanetiano di Vigant.<br />
Fossiliferous packstone with corals, Karsella and Keramosphaerina. Thanetian of Vigant.<br />
4
Fig. 3 – Glomalveolina gr. primaeva. Sezione approssimantivamente polare (lungo l’asse di<br />
avvolgimento). Su un lato si nota una singola fila di aperture (apparentemente a “buco di<br />
serratura”).<br />
Glomalveolina gr. primaeva. Nearly axial section.<br />
Fig. 4 – Glomalveolina gr. primaeva. Sezione obliqua, con setti secondari che suddividono<br />
le camerette. La sezione, passante in prossimità del proloculus, mostra un iniziale<br />
avvolgimento “a gomitolo”, tipico di questo genere e molto raramente osservabile in<br />
Alveolina s.s.<br />
Glomalveolina gr. primaeva. Oblique section.<br />
5
Discussione sulle associazioni con Glomalveolina primaeva<br />
Un primo elemento di particolare interesse è rappresentato dagli esemplari<br />
riferibili a Keramosphaerina (Figg. 5 e 6), genere presente sporadicamente nel<br />
Santoniano superiore delle piattaforme periadriatiche e della Grecia. Tale genere<br />
era fino a pochi anni fa ritenuto monospecifico, in quanto era stata descritta<br />
solamente Keramosphaerina tergestina (STACHE, 1889; 1912), ma CHERCHI &<br />
SCHROEDER (1990) hanno istituito una nuova specie (Keramosphaerina sarda) nel<br />
Coniaciano della Sardegna. Ritenuto da alcuni autori un idrozoo (le affinità con<br />
Parkeria sono notevoli), questo genere mostra un avvolgimento “a gomitolo” delle<br />
camere iniziali, tipico di molti foraminiferi (DEVOTO, 1964), oltre ad avere un<br />
guscio porcellanaceo. Un’evidente caratteristica di Keramosphaerina, che la<br />
distingue da Keramosphaera, è la “struttura radiale” (cf. Fig. 5), visibile nelle<br />
sezioni passanti per il centro (DEVOTO, 1964), mentre le sezioni variamente<br />
orientate mostrano solo la tipica struttura regolarmente concentrica (cf. Fig. 6). Le<br />
specie del genere Keramosphaera, inoltre, sono sensibilmente più piccole e con<br />
disposizione disordinata delle camere (PAVLOVEC, 1971). Nella figura 7 viene<br />
illustrato per confronto un esemplare di Keramosphaerina tergestina proveniente<br />
dalla località tipo di Prosecco (Carso triestino), di dimensioni maggiori rispetto agli<br />
esemplari di Vigant, ma con analoga struttura interna; in questa sede, le forme<br />
rinvenute a Vigant vengono conservativamente denominate Keramosphaerina sp.,<br />
lasciando aperta l’attribuzione specifica.<br />
Un altro rilevante elemento di interesse biostratigrafico-biogeografico è<br />
rappresentato da orbitolinidi a struttura interna particolarmente complessa,<br />
soprattutto se confrontata con i coevi orbitolinidi paleogenici dell’area<br />
periadriatica. Si tratta di un foraminifero agglutinante di forma conica allungata,<br />
con un avvolgimento iniziale presumibilmente trocospirale, e successivamente<br />
uniseriale, con camere discoidali leggermente convesse. L’esoscheletro mostra<br />
numerose partizioni, con una struttura sub-epidermica “ a cassettoni” (Fig. 8).<br />
L’apparato embrionale è poco evidente negli esemplari rinvenuti, anche nei casi<br />
di forme “giovanili” (Fig. 9). Nella zona centrale sono riconoscibili dei pilastri e<br />
delle aperture a disposizione relativamente regolare (Fig. 10). Le sezioni<br />
orizzontali consentono di osservare più generazioni di setti secondari nella fascia<br />
marginale (Fig. 10); talora si notano brevi tratti di setti secondari verticali che,<br />
apparentemente, si estendono dalla zona marginale verso il centro (Figg. 11 e 12),<br />
congiungendosi ad alcuni pilastri. Gli esemplari di maggiori dimensioni sfiorano i<br />
3 mm di lunghezza. Tali caratteristiche tassonomiche sono rilevabili in Karsella<br />
hottingeri, istituita come genere e specie da SIREL (1997) in clasti esotici di età<br />
thanetiana della Turchia orientale, e in Dictyoconus turriculus, descritto da<br />
HOTTINGER & DROBNE (1980) in calcari thanetiani dell’Iran.<br />
Karsella (Famiglia Orbitolinidae, Sottofamiglia Dictyoconinae) presenta molti<br />
caratteri in comune con il genere senoniano Calveziconus, ma ne differisce, oltre<br />
che per l’ampio apparato embrionale, per la struttura interna più complessa, con<br />
varie generazioni di partizioni orizzontali e verticali nella zona subepidermica, che<br />
danno luogo ad un fitto assetto alveolare. Karsella hottingeri è distinguibile dal<br />
coevo Dictyoconus turriculus per le maggiori dimensioni del guscio e dell’apparato<br />
embionale, e per la più complessa struttura subepidermica. Va sottolineato che gli<br />
6
Fig. 5 – Keramosphaerina sp. Dal clasto thanetiano di Vigant. Sezione<br />
approssimativamente passante per la zona centrale dell’esemplare; si notano sia<br />
l’avvolgimento concentrico sia l’accenno di struttura radiale.<br />
Keramosphaerina sp. Thanethian of Vigant.<br />
Fig. 6 – Packstone fossilifero a Keramosphaerina sp. (sezione non centrata) e coralli. A<br />
sinistra si osserva un taglio obliquo di Karsella; in alto un esemplare di Glomalveolina. Dal<br />
clasto thanetiano di Vigant.<br />
Fossiliferous packstone with Keramosphaerina sp. and corals. Thanethian of Vigant.<br />
7
Fig. 7 – Keramosphaerina tergestina. Santoniano di Prosecco (Trieste).<br />
Keramosphaerina tergestina. Santonian of Prosecco (Trieste).<br />
esemplari osservati nel clasto thanetiano di Vigant sembrano riferibili in alcuni casi<br />
alla prima forma, in altri alla seconda. Ciò può essere messo in relazione<br />
all’orientamento delle sezioni, allo sviluppo del singolo esemplare, alla coesistenza<br />
di forme micro e macrosferiche, o infine, alla presenza di entrambe le specie. Senza<br />
entrare nell’ambito di una complessa (e per certi versi soggettiva) discussione sulla<br />
distinzione generica e specifica delle due forme, gli orbitolinidi di Vigant vengono<br />
riferiti in prima istanza a Karsella sp., per sottolinearne le peculiarità rispetto alle<br />
forme coniche a struttura interna complessa di età paleogenica delle piattaforme<br />
periadriatiche. Queste forme derivano presumibilmente da Fallotella kochanskae<br />
persica (HOTTINGER & DROBNE, 1980), sottospecie iraniana del Paleocene<br />
“medio”, caratterizzata da un debole setto secondario orizzontale subepidermico,<br />
ma senza le tre generazioni di setti secondari verticali tipiche di Dictyoconus (cf.<br />
Fig. 10).<br />
I frequenti coralli dendroidi (ramosi) con calici di pochi millimetri di diametro<br />
(Figg. 2 e 6) e rappresentati in particolare dal genere Dendrophyllia, costituiscono<br />
una biofacies tipica del Paleocene, in una vastissima area che va dalla Groenlandia<br />
al Volga e dall’Alabama all’Egitto (si veda, per esempio, TURNŠEK & DROBNE,<br />
1998). Dal punto di vista paleoecologico, alcune forme di queste associazioni sono<br />
considerate “non reefal azooxantellate corals”, che hanno colonizzato vari<br />
ambienti dopo la crisi del passaggio K-T.<br />
8
Fig. 8 – Karsella sp. Sezione subassiale. Ai bordi si notano setti secondari verticali ed<br />
orizzontali che danno luogo alla struttura subepidermica. Dal clasto thanetiano di Vigant.<br />
Karsella sp. Vertical section, showing structural elements of exoskeleton<br />
(rafters).Thanetian of Vigant.<br />
Fig. 9 – Karsella sp. Forma “giovanile”. Dal clasto thanetiano di Vigant.<br />
Karsella sp. Juvenile specimen. Thanetian of Vigant.<br />
9
Fig. 10 – Karsella sp.. Sezione orizzontale, che mostra più generazioni di setti verticali<br />
nella fascia marginale, pilastri (circoletti neri) e aperture principali (foramina) nella zona<br />
centrale (circoletti bianchi). Dal clasto thanetiano di Vigant.<br />
Karsella sp. Thanetian of Vigant. Horizontal section, showing three (or more) generations<br />
of vertical partitions in the marginal zone, and foramina and pillars in the central area of<br />
the specimen.<br />
Fig. 11 – Due esemplari di Karsella sp. Sezioni suborizzontali. Nella zona centrale<br />
dell’esemplare a destra, piccoli setti secondari verticali raccordano alcuni pilastri. Dal<br />
clasto thanetiano di Vigant.<br />
Two specimens of Karsella sp. Thanetian of Vigant. Nearly horizontal sections.<br />
10
Fig. 12 – Packstone fossilifero con tre esemplari di Karsella sp. L’esemplare a destra<br />
mostra i setti secondari verticali e i foramina che attraversano, con disposizione regolare,<br />
un setto principale. Dal clasto thanetiano di Vigant.<br />
Fossiliferous packstone with three specimens of Karsella sp. Thanetian of Vigant.<br />
Considerazioni biogeografiche<br />
Le segnalazioni, a noi note, di forme confrontabili con gli orbitolinidi di Vigant<br />
sono molto rare e limitate all’area anatolica e iraniana, e concernono l’istituzione di<br />
specie e generi nuovi. Per quanto riguarda l’area iraniana, HOTTINGER & DROBNE<br />
(1980) illustrano, assieme a Dictyoconus turriculus, anche un esemplare di<br />
“Keramosphaerid” non meglio determinato, di dimensioni modeste (meno di 2<br />
mm) e con struttura interna molto irregolare, maggiormente affine a<br />
Keramosphaera piuttosto che a Keramosphaerina. Anche nella Turchia centrale<br />
sono segnalati “keramospherid specimens” in calcari thanetiani ed in associazione<br />
con Miscellanea (SIREL, 1996). Le associazioni faunistiche descritte dagli Autori<br />
suindicati in Turchia ed in Iran, comprendenti Karsella, D. turriculus e<br />
“keramosphaerids” denotano caratteri ambientali “aperti”, di margine di<br />
piattaforma, con microfacies grossomodo corrispondenti a quelle di Vigant. La<br />
presenza di forme omologhe in luoghi così distanti, a dispetto della loro presunta<br />
rarità stratigrafico-paleogeografica, e la significativa frequenza di questi<br />
orbitolinidi nel clasto di Vigant, evidenziano la notevole e apparentemente rapida<br />
diffusione di tali forme, rappresentando per certi versi quello che solitamente in<br />
stratigrafia è chiamato “bioevento”. Questi eventi, definiti sulla base del boom<br />
stratigrafico-geografico di alcune forme o associazioni in particolari contesti di<br />
facies, costituiscono spesso dei markers biostratigrafici di valore e di accuratezza<br />
in molti casi superiori alla distribuzione stratigrafica totale delle singole forme.<br />
Spesso la distribuzione stratigrafica di alcuni taxa non è ben nota o precisata,<br />
11
fondata talora su presenze sporadiche e su esemplari non ben caratterizzati dal<br />
punto di vista tassonomico: la riconoscibilità dei cosiddetti bioeventi è quindi una<br />
base fondamentale delle correlazioni stratigrafiche. Tali eventi sono<br />
verosimilmente controllati da fattori ecologico-oceanografici, e sono in gran parte<br />
legati a precisi contesti deposizionali. Ne consegue che un bioevento, anche se<br />
diffuso a scala ultra-regionale, può essere assente a scala locale, in contesti<br />
ambientalmente incompatibili o, nel caso delle piattaforme, per mancanza di spazio<br />
deposizionale (ad esempio, per emersione) o per successiva erosione.<br />
L’assenza, per il momento, di ulteriori riscontri di facies a Karsella e<br />
Keramosphaerina in altre località del Friuli Venezia Giulia e dell’Istria è<br />
verosimilmente dovuto al fatto che il corrispondente intervallo cronostratigrafico<br />
manca per lacuna o è caratterizzato da facies più “protette” di piattaforma, spesso<br />
con caratteri ambientali “ristretti” di tipo “liburnico”. Nelle Prealpi friulane i<br />
calcari paleocenici di piattaforma in situ sono assenti: per esempio i termini più alti<br />
della serie cretacica dell’ “ellissoide” dei Monti della Bernadia raggiungono il<br />
Cenomaniano superiore (COUSIN, 1981; TUNIS & VENTURINI, 1989; CIARABELLINI<br />
et al., 1999). Infatti, al passaggio Campaniano-Maastrichtiano il margine della<br />
piattaforma carbonatica fu interessato da una intensa attività tettonica, con parziale<br />
smantellamento e conseguenti frane sottomarine di calcari provenienti dalla<br />
piattaforma e dalla formazione di paleocanyons (SARTORIO et al., 1997;<br />
VENTURINI & TUNIS, 1998). Gli inclusi nel megastrato eocenico nella zona di<br />
Vigant rappresentano il paleomargine di piattaforma carbonatica attualmente non<br />
preservato o non affiorante. Tale paleomargine doveva essere ubicato alcuni<br />
chilometri a meridione, sotto l’attuale pianura, visto che i Monti della Bernadia<br />
erano, al tempo, localizzati in zona di scarpata, presumibilmente non deposizionale<br />
o erosiva.<br />
Conclusioni<br />
In un blocco calcareo di età thanetiana, risedimentato nella successione a torbiditi<br />
e megastrati di età infra-eocenica dei Monti della Bernadia, sono stati rinvenuti<br />
frequenti orbitolinidi a struttura complessa e grossi foraminiferi porcellanacei<br />
sferici, in associazione con Glomalveolina primaeva, Miscellanea e Laffitteina.<br />
Tali forme vengono attribuite, in via preliminare, rispettivamente a Karsella sp. e a<br />
Keramosphaerina sp.. Pur lasciando aperte le problematiche tassonomicosistematiche<br />
riguardanti tali forme, si tratta del primo rinvenimento di questa<br />
biofacies nell’area delle piattaforme periadriatiche. Associazioni affini erano state<br />
precedentemente segnalate nel Thanetiano della Turchia e dell’Iran. La frequenza<br />
di grossi orbitolinidi e foraminiferi porcellanacei a struttura interna particolarmente<br />
complessa è stata messa in relazione (BRASIER, 1995; HALLOCK, 1988, cum biblio)<br />
con ambienti a limitate risorse trofiche, in cui i bassi tassi riproduttivi ed il più<br />
lungo ed articolato ciclo vitale dei singoli individui rappresenterebbero una risposta<br />
al contesto oligotrofico. In ogni caso, questo episodio presenta una biofacies per<br />
molti versi analoga ad alcuni eventi senoniani (gli orizzonti a Keramosphaerina<br />
tergestina e a Calveziconus lecalvezae); la ricomparsa di generi omeomorfi, dopo<br />
quasi 30 milioni di anni e dopo le estinzioni del passaggio K-T, costituisce un<br />
intrigante tema filogenetico, ma sicuramente testimonia un’analoga risposta delle<br />
12
associazioni a foraminiferi alla riproposizione di un analogo contesto ambientale.<br />
Ciò apparentemente ridurrebbe il significato biostratigrafico di alcuni generi, quali<br />
Keramosphaerina s.l. (l’aspetto a prima vista delle sezioni sottili di Vigant è<br />
decisamente disorientante), ma sottolinea l’importanza stratigrafica della<br />
tracciatura di specifici bioeventi, che rappresentano un potente strumento di lettura<br />
stratigrafico-ambientale delle piattaforme carbonatiche. Per quanto riguarda<br />
Karsella-D. turriculus, piuttosto che una ri-diffusione di forme cretaciche<br />
sopravvissute in nicchie ecologiche, è ovviamente più probabile una derivazione<br />
dal gruppo delle Fallotella, che durante il Thanethiano mostra uno sviluppo<br />
esplosivo a scala tetidea.<br />
In sintesi, i clasti di Vigant, franati dalla Piattaforma Friulana posta a meridione,<br />
documentano un importante bioevento, registrato nelle facies del margine<br />
settentrionale della piattaforma stessa ed attualmente non più rinvenibile in situ. In<br />
quest’ottica, sono auspicabili ulteriori studi delle associazioni fossili dei clasti dei<br />
megastrati dei flysch prealpini, che presentano varie associazioni di notevole<br />
interesse <strong>paleontologico</strong>, biostratigrafico, paleogeografico e paleoambientale.<br />
Addendum<br />
Mentre questo volume era in stampa, è stato pubblicato il seguente lavoro:<br />
CHERCHI A. & SCHROEDER R. (2005) - Revision of Keramosphaerinopsis haydeni<br />
(H. Douvillè), larger foraminifer (Mliolacea) from the Paleocene of southern Tibet<br />
(Tethys Himalaya). Boll. Soc. Pal. It., v. 44(2), pp. 175-183, Modena.<br />
Gli esemplari di Borgo Vigant descritti nel nostro articolo mostrano evidenti<br />
affinità con Keramosphaerinopsis haydeni che ha pure una simile datazione.<br />
Bibliografia<br />
BRASIER M.D. (1995) – Fossil indicators of nutrient levels. 2: Evolution and extinction in<br />
relation to oligotrophy. In: BOSENCE D.W. & ALLISON P.A. (a cura di-), Marine<br />
Palaeoenvironmental Analysis from Fossils. G.S.S.P., n. 83, pp. 133-150, Londra.<br />
CHERCHI A. & SCHROEDER R. (1990) – Keramosphaerina sarda n. sp. Larger foraminifer<br />
(Miliolacea) from the Coniacian of Sardinia. Compt. Rend. Acad. Sci., S. II., Mec. Phys.<br />
Chim. Sc. de l’Univ. Sc. de la Terre, v. <strong>31</strong>0, n. 11, pp. 1567-1572, Parigi.<br />
CIARABELLINI M., MANIÀ G., SOBAN S., TENTOR M., TUNIS G., VENTURINI S., ZOFF A.<br />
(1999) - Studio geologico-stratigrafico del complesso Viganti-Pre Oreak (Friuli orientale).<br />
Atti VIII Conv. Reg. Spel. Friuli-Venezia Giulia, pp. 67-94, Trieste.<br />
COUSIN M. (1981) - Les rapports Alpes-Dinarides dans les confins de l’Italie et de la<br />
Yougoslavie. Soc. Geol. Nord, n. 5, vol. 1 e 2, 1042 pp., Villeneuve d’Ascq.<br />
DALLA VECCHIA F.M., TENTOR M., TARLAO A., VENTURINI S., MARSIGLIO G. (2004) - <strong>Il</strong><br />
grande incluso maastrichtiano a rudiste nel flysch eocenico presso Vigant (Nimis, Udine).<br />
<strong>Natura</strong> <strong>Nascosta</strong>, n. 29, pp. 1-36, Monfalcone.<br />
DEVOTO G. (1964) - <strong>Il</strong> passaggio Cretaceo-Paleocene nei Monti Lepini ed il problema<br />
relativo a Keramosphaera tergestina (Foraminiferi). Geol. Romana, v. 3, pp. 49-64, Roma.<br />
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14
<strong>Natura</strong> <strong>Nascosta</strong> Numero <strong>31</strong> Anno 2005 pp.15-22 Figure 3<br />
L’EVENTO A KERAMOSPHAERINA TERGESTINA:<br />
CONSIDERAZIONI BIO-CRONOSTRATIGRAFICHE<br />
THE KERAMOSPHAERINA TERGESTINA EVENT: BIO-CHRONOSTRATIGRAPHIC ASPECTS.<br />
Sandro Venturini<br />
Abstract – Keramosphaerina tergestina is a Cretaceous macroforaminifer occurring with<br />
high abundance in a well-defined horizon of the Periadriatic carbonate platforms. Its biocronostratigraphical<br />
significance is here discussed, also on the base of Strontium isotope<br />
measurements and the occurrence of this foraminifer below a level in the Tomaj limestone<br />
of the Slovenian Karst, with ammonites tentatively referred to the group “milleribidorsatum”<br />
of the genus Placenticeras. The Keramosphaerina tergestina horizon represents<br />
the uppermost Santonian in the stratigraphic framework of Karst.<br />
Introduzione<br />
In questo volume viene segnalata nella zona dei Monti della Bernadia (Prealpi<br />
Giulie; provincia di Udine) la presenza di un foraminifero riferibile al genere<br />
Keramosphaerina, in associazione con foraminiferi di età paleocenica (TENTOR &<br />
VENTURINI, 2005). In precedenza erano note due specie di età senoniana, relative a<br />
questo genere: Keramosphaerina tergestina (STACHE, 1889) nelle piattaforme<br />
periadriatiche (Friuli Venezia Giulia, Slovenia, Dalmazia, Grecia, Lazio,<br />
Campania, Abruzzo, Puglia), e Keramosphaerina sarda (CHERCHI & SCHROEDER,<br />
1990) nel Coniaciano della Sardegna. In prima istanza questo dato potrebbe ridurre<br />
la rilevanza biostratigrafica del genere, anche se va sottolineato che la forma<br />
paleocenica, apprezzabilmente più minuta della tipica Keramosphaerina tergestina,<br />
verosimilmente non ha legami filogenetici con quest’ultima specie, ma mostra solo<br />
forti analogie morfologiche e strutturali.<br />
<strong>Il</strong> bioevento a Keramosphaerina tergestina<br />
Nella normale prassi biostratigrafica, il parziale o totale omeomorfismo e,<br />
spesso, le incongruenze o le scarse informazioni sulla distribuzione totale di un<br />
genere o di una specie possono creare seri problemi di aggancio alla<br />
cronostratigrafia. In particolare, nei contesti di piattaforma carbonatica, l’effettiva<br />
distribuzione “verticale”di molti foraminiferi è ben lungi dall’essere definita,<br />
soprattutto per quanto riguarda le correlazioni con le serie bacinali. Infatti, per<br />
quanto concerne il Cretaceo i piani e le relative età sono stati definiti in successioni<br />
biozonabili mediante ammoniti; a queste zone si aggancia, tra l’altro, la<br />
biozonatura a foraminiferi planctonici. Senza un riscontro diretto di faune e flore<br />
planctoniche in piattaforma carbonatica, la relativa cronostratigrafia risulta per gran<br />
parte convenzionale, anche se attualmente alcuni ricercatori stanno percorrendo<br />
strade alternative, quali ad esempio le correlazioni e datazioni isotopiche.<br />
15
In contesti di piattaforma carbonatica risultano di particolare utilità i cosiddetti<br />
“bioeventi”, rappresentati dal consistente sviluppo, limitato nel tempo ma molto<br />
esteso spazialmente, di caratteristiche forme od associazioni, ben distinguibili dalle<br />
faune e flore dei depositi sottostanti e sovrastanti. Questa netta distinzione è spesso<br />
associata a rapide variazioni ambientali e di facies, solitamente determinate da fasi<br />
trasgressive. Un valido esempio è costituito dal banco a Palorbitolina lenticularis,<br />
che marca la base dell’Aptiano in vaste aree di piattaforma, sia marginali che<br />
interne, il cui aspetto massivo si staglia nettamente dalla restante stratificazione<br />
ritmica barremiano-aptiana. Questo orizzonte rappresenta quindi un marker<br />
riconoscibile in vaste aree, occupando tutti gli spazi messi a disposizione<br />
dall’accomodamento della piattaforma e, verosimilmente, anche da un relativo<br />
innalzamento del livello mare.<br />
In quest’ottica, anche il livello a Keramosphaerina tergestina è da considerarsi<br />
un bioevento, in quanto caratterizzato dalla comparsa quasi esplosiva di un<br />
macroforaminifero, ben individuabile anche in campagna, associata all’avvento di<br />
facies bioclastiche, che testimoniano una significativa variazione ambientale e sono<br />
comprese tra facies prevalentemente fango-sostenute.<br />
Bioevento o bioeventi a Keramosphaerina?<br />
In letteratura la distribuzione cronostratigrafica di Keramosphaerina tergestina<br />
viene riferita talora ad un generico Senoniano (per esempio, CILIBERTO et al., 1982),<br />
oppure al Santoniano-Campaniano (per esempio, CAFFAU et al., 2000); solo alcuni<br />
autori limitano questa forma alla parte alta del Santoniano, principalmente sulla<br />
base della posizione stratigrafica relativa (per esempio, SARTORIO & VENTURINI,<br />
1988).<br />
Un primo importante elemento di discussione è legato all’effettivo spessore del<br />
livello o dei livelli a Keramosphaerina tergestina. In zone interne della Piattaforma<br />
Friulana (Carso goriziano e Carso di Duino) e nella fascia marginale (Val Judrio e<br />
Cosbana, presso il confine italo-sloveno) le ricerche effettuate negli ultimi anni<br />
hanno messo in evidenza un solo orizzonte di spessore da pochi decimetri ad alcuni<br />
metri (TENTOR et al., 1994; SARTORIO et al., 1997). Nelle piattaforme periadriatiche,<br />
l’orizzonte ha uno spessore generalmente limitato a pochi metri; tra i vari esempi si<br />
possono citare le successioni dei M. Aurunci e dei M. Lepini (Lazio meridionale;<br />
CHIOCCHINI et al., 1994; MOLINARI PAGANELLI et al., 1987) e alcune successioni della<br />
Piattaforma Apula, tra cui la serie di Noci (Murge; REINA, 1993). Per contro,<br />
nell’area-tipo del Carso triestino (Sistiana, Aurisina e Prosecco), dalla letteratura si<br />
può desumere una consistente potenza dell’intervallo a Keramosphaerina, in alcuni<br />
casi apparentemente superiore a 200 metri (si veda, per esempio, la fig. 3 di PIRINI<br />
RADRIZZANI et al., 1987); questo intervallo viene riferito al Santoniano-Campaniano<br />
(CUCCHI et al., 1987). Si può comunque ipotizzare la presenza di ripetizioni<br />
tettoniche, quanto meno nell’area compresa tra Aurisina e le cave di Slivia, ubicate<br />
in una fascia relativamente interna del Carso. Infatti, nelle brecce di Slivia è stata<br />
segnalata Keramosphaerina tergestina nei clasti ed in matrice (CUCCHI et al., 1987;<br />
CAFFAU et al., 2000). Sulla base di una rapida osservazione personale, la<br />
successione di Slivia ricorda la parte superiore della serie del Villaggio del<br />
Pescatore (presso Duino), con brecce coperte da bioclastiti a Keramosphaerina (si<br />
16
veda TARLAO et al., 1993), ma non si può escludere del tutto che si tratti di brecce<br />
“liburniche”, con Keramosphaerina rimaneggiate.<br />
L’andamento del livello a Keramosphaerina nell’area del Carso è<br />
schematizzato in figura 1; tale orizzonte è stratigraficamente posto nella parte<br />
superiore dei Calcari di Aurisina. Questo toponimo, oltre a rappresentare la località<br />
tipo di Keramosphaerina tergestina (STACHE, 1889), costituisce anche la zona<br />
classica di affioramento e studio dell’omonima unità litostratigrafica (cf. STACHE,<br />
1920; D’AMBROSI, 1960, FORTI & TOMMASINI, 1967, BIGNOT, 1973; COUSIN, 1981;<br />
TENTOR et al., 1994; VENTURINI & TUNIS, 2002), anche in considerazione della<br />
disponibilità di esposizioni dovute all’intensa attività estrattiva dei cosiddetti<br />
“calcari a rudiste”. <strong>Il</strong> limite inferiore di tale unità coincide con l’evento trasgressivo<br />
del passaggio Cenomaniano-Turoniano, che ha determinato il momentaneo<br />
annegamento della piattaforma carbonatica nell’area dell’attuale Carso. <strong>Il</strong><br />
passaggio alle sovrastanti facies “liburniche” è legato ad un importante evento<br />
regressivo che ha originato un’ampia lacuna, che comprende buona parte del<br />
Campaniano ed è spesso marcata da un livello di breccia.<br />
Età del bioevento a Keramosphaerina tergestina<br />
Un dato interessante sull’età del livello a Keramosphaerina tergestina è<br />
emerso dallo studio della successione tardo-cretacica del Carso sloveno, una<br />
dozzina di chilometri a nord-est di Prosecco (Trieste). Presso Dobravlje (Fig. 1), al<br />
di sopra dell’orizzonte a Keramosphaerina (Fig. 2) affiorano calcari selciferi<br />
(Tomaj limestone) con ammoniti, resti di pesci e di piante (JURKOVŠEK et al., 1996).<br />
Le ammoniti sono state tentativamente riferite al gruppo “milleri-bidorsatum” del<br />
genere Placenticeras (SUMMESBERGER et al., 1996). Le forme di questo gruppo<br />
sarebbero indicative del Campaniano inferiore (SUMMESBERGER et al., 1996, p. 6).<br />
Ammoniti sono state segnalate anche in un olistolite di età senoniana<br />
all’interno del “megastrato di Vernasso”, presso Vernasso (Udine), nelle Prealpi<br />
Giulie sud-orientali (si veda, ad esempio, TOMMASI, 1891; alcune ammoniti di<br />
Vernasso sono depositate al Museo di Storia <strong>Natura</strong>le di Udine, al Museo<br />
Paleontologico Cittadino di Monfalcone e presso l’Associazione <strong>Natura</strong>listica<br />
Friulana di Tarcento, Dalla Vecchia, com. pers.). Tali ammoniti, attribuite al genere<br />
Buchiceras (TOMMASI, 1891), in realtà sono analoghe a quelle raffigurate da<br />
SUMMESBERGER et al. (1996). Sia a Dobravlje che a Vernasso sono presenti, oltre ai<br />
cefalopodi suindicati, anche resti di vegetali terrestri e di pesci (DALLA VECCHIA,<br />
2003, cum biblio), ma sussitono comunque differenze tra le associazioni<br />
faunistiche: a Vernasso i resti di pesci sono decisamente rari, mentre risultano<br />
relativamente frequenti i gasteropodi (tra cui Aporrhaidae) ed i bivalvi (tra cui<br />
Pholadomya ed Inoceramus). Va ricordato inoltre che, mentre a Vernasso<br />
l’olistolite ha un aspetto massivo, il Tomaj limestone è spesso sottilmente<br />
stratificato. Analisi del nannoplancton dell’olistolite di Vernasso suggerisce un’età<br />
senoniana inferiore, sulla base della presenza di Micula spp. e dell’assenza di<br />
forme tipiche del Campaniano (GOMEZ et al., 2002; DALLA VECCHIA, 2003).<br />
Precedentemente alla colossale frana infra-eocenica che ha dato origine al<br />
“megastrato di Vernasso”, le facies dell’olistolite si sono deposte in prossimità del<br />
margine nord-orientale della Piattaforma Friulana, in posizione paleogeografia<br />
17
Fig. 1 – Schema geologico semplificato del Carso e zone limitrofe (da COUSIN, 1981,<br />
modificato ed integrato). Mattonato: calcari del Cretaceo, Paleocene ed Eocene inferiore.<br />
Puntinato fine: depositi terrigeni eocenici. Le linee tratteggiate mostrano l’andamento del<br />
livello a Keramosphaerina tergestina (tracciato sulla base soprattutto di BIGNOT, 1973). E’<br />
indicata la località-tipo di K. tergestina, presso Aurisina (STACHE, 1889). Dallo schemino,<br />
nonostante l’ampia scala, risulta evidente che l’orizzonte a K. tergestina è un valido<br />
strumento per la comprensione dell’assetto strutturale del Carso.<br />
Fig. 2 – Schizzo della successione di Dobravlje (Carso sloveno). Da SUMMESBERGER et al.<br />
(1996), ampiamente modificato.<br />
18
analoga a quella dei calcari di Dobravlie. La posizione paleogeografica e le sia pur<br />
parziali affinità faunistico-floristiche dei calcari dei due siti potrebbero far pensare<br />
ad una genesi legata ad un medesimo evento, verificatosi in prossimità del limite<br />
Santoniano-Campaniano, al culmine del ciclo trasgressivo iniziato con la<br />
deposizione delle facies a Keramosphaerina. Una verifica delle associazioni a<br />
nannoplancton dell’orizzonte con ammoniti di Dobravlje potrà eventualmente<br />
confermare o smentire questa ipotesi, o quantomeno potrà contribuire alla<br />
calibrazione biostratigrafica della successione del Carso. Altre rare ammoniti sono<br />
state segnalate nei cosiddetti “scisti di Comeno” del Carso sloveno (CALLIGARIS,<br />
1994). Gli “scisti di Comeno”, di età cenomaniana nella località omonima,<br />
sembrano quindi rappresentare un’ulteriore opportunità per una calibrazione ad<br />
ammoniti della successione del Carso, ma a questa facies sono stati talora attribuiti<br />
nel passato depositi di varia età, e non è del tutto da escludere che alcune delle<br />
ammoniti segnalate (e forse anche qualche vertebrato) provengano dall’orizzonte<br />
senoniano di Tomaj-Dobravlje.<br />
In questo quadro, la serie di Dobravlje può rappresentare un significativo<br />
aggancio cronostratigrafico tra le serie di piattaforma e le successioni bacinali; in<br />
questa successione il livello ad ammoniti è infatti posizionato alcune decine di<br />
metri sopra l’orizzonte a Keramosphaerina (e a Murgella lata; cf.. JURKOVŠEK et<br />
al., 1996) e una cinquantina di metri sotto l’orizzonte a Calveziconus lecalvezae; si<br />
tratta quindi di una serie di riferimento particolarmente importante e completa per<br />
il Santoniano-Campaniano del Carso, e non solo. Infatti, la presenza di Murgella<br />
lata è un ulteriore significativo dato cronobiostratigrafico, in quanto tale forma è<br />
normalmente ritenuta di età santoniana o tardo-santoniana (si veda, ad esempio,<br />
CAVIN et al., 2000, che trattano proprio i calcari a pesci del Carso sloveno). Inoltre,<br />
Calveziconus lecalvezae è attribuito al Campaniano inferiore (CESTARI & SARTORIO,<br />
1995, cum biblio); la successione della località-tipo di Calveziconuus lecalvezae<br />
(CAUS & CORNELLA, 1981), situata nei Pirenei meridionali, consente controlli<br />
biostratigrafici mediante faune e flore planctoniche e correlazioni tra piattaforma e<br />
bacino ben più validi di quelli praticabili nell’area del margine settentrionale della<br />
Piattaforma Friulana.<br />
In Carso risultano assenti le associazioni caratterizzate dal foraminifero<br />
Raadshoovenia salentina, oltre che da rudiste quali Joufia reticulata. Nella penisola<br />
salentina (Puglia) al di sopra dei livelli a Raadshoovenia e Joufia riferiti da CESTARI<br />
& SARTORIO (1995) al Campaniano “medio”-superiore, è stato individuato un<br />
orizzonte ad ammoniti (con Nostoceras e Solenoceras), di età Campaniano<br />
superiore (GIUDICI & PALLINI, 1993). Ciò conferma la posizione stratigrafica di<br />
Raadshoovenia salentina e l’ipotesi di una lacuna molto ampia nei depositi<br />
senoniani del Carso sloveno, comprendente, oltre a parte del Maastrichtiano, il<br />
Campaniano superiore e verosimilmente buona parte del Campaniano “medio”. Nel<br />
Carso italiano, la lacuna è ancora più ampia, in quanto è assente anche il bioorizzonte<br />
a Calveziconus lecalvezae.<br />
Infine, di particolare importanza risulta la calibrazione ad isotopi stabili dello<br />
stronzio di alcuni bioeventi senoniani (CESTARI, 2002; Fig. 3): l’elevata pendenza<br />
della curva isotopica nel tratto relativo al Santoniano-Campaniano ha consentito di<br />
riferire al Santoniano superiore il bio-orizzonte a Keramosphaerina tergestina<br />
19
Fig. 3 – Grafico della curva sperimentale dei rapporti isotopici 87Sr/86Sr vs. milioni di<br />
anni, con indicazione dei valori ricavati da due analisi su un campione dell’orizzonte a<br />
Keramosphaerina tergestina del Villaggio del Pescatore (Duino; Trieste). Da CESTARI<br />
(2002), ridisegnato e semplificato.<br />
(analisi su un campione del Villaggio del Pescatore; Trieste), mentre l’evento a<br />
Calveziconus lecalvezae è stato attribuito al Campaniano inferiore, sia pur nei<br />
limiti consentiti dalla precisione delle misure e della taratura della curva di<br />
riferimento.<br />
I dati stratigrafici discussi, pur nell’ambito delle incertezze evidenziate,<br />
sembrano ad ogni modo limitare la distribuzione del bioevento a Keramosphaerina<br />
al Santoniano superiore, quanto meno nell’area-tipo del Carso, oltre ad escludere<br />
sicuramente gran parte del Campaniano. In quest’ottica, va sottolineato che la<br />
durata del Santoniano è di circa 2.5 milioni di anni, mentre il Campaniano si<br />
estende per circa 12 milioni di anni; conseguentemente, la deposizione dei Calcari<br />
di Aurisina risulta sensibilmente limitata nel tempo e denota elevatissimi tassi di<br />
sedimentazione.<br />
Conclusioni<br />
La distribuzione stratigrafico-geografica di Keramosphaerina tergestina può,<br />
per molti aspetti, rappresentare quello che in stratigrafia viene definito un<br />
bioevento. Questo bioevento, costituito dall’unica facies a macroforaminiferi della<br />
successione tardo-cretacica della Piattaforma Adriatico-Dinarica settentrionale, è<br />
databile, nell’area tipo del Carso, mediante calibrazioni ad ammoniti ed isotopi<br />
stabili dello stronzio, nei limiti dell’approssimazione consentita dalla<br />
determinazione delle ammoniti di Dobravlje e dalle misure isotopiche. Questo<br />
evento è verosimilmente controllato da fattori ecologico-oceanografici, associati<br />
all’inizio di una fase trasgressiva, verificatasi nel Santoniano superiore, che ha<br />
determinato l’avvento di facies di rampa s.l. anche in zone molto interne di<br />
20
piattaforma. Un’analoga fase trasgressiva aveva dato luogo, al passaggio<br />
Cenomaniano-Turoniano, all’annegamento di gran parte della porzione della<br />
piattaforma corrispondente all’attuale Carso, alla deposizione di facies ad<br />
organismi planctonici e alla contemporanea estinzione di numerosi gruppi di<br />
foraminiferi cenomaniani. L’evento infra-turoniano, probabilmente correlabile con<br />
l’evento Bonarelli in bacino, rappresenta un ulteriore importante strumento per la<br />
tracciatura delle linee tempo nelle piattaforme del Cretaceo superiore. Le<br />
correlazioni tra piattaforme carbonatiche e bacini, e le conseguenti calibrazioni<br />
cronostratigrafiche, rappresentano sicuramente un tema di alta rilevanza scientifica,<br />
ma anche considerevoli sforzi e notevoli risultati in questo senso possono essere<br />
vanificati dall’assenza di un quadro sufficientemente preciso di correlazioni<br />
all’interno delle piattaforme stesse.<br />
Ringraziamenti<br />
Questa nota è stata elaborata su suggerimento e grazie alla collaborazione<br />
editoriale di Maurizio Tentor e Fabio Marco Dalla Vecchia.<br />
Grazie anche a Dario Sartorio per il contributo scientifico e bibliografico.<br />
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22
<strong>Natura</strong> <strong>Nascosta</strong> Numero <strong>31</strong> Anno 2005 pp. 23-35 Figure 8<br />
PSEUDOPLANCTON ED ASSOCIAZIONI FAUNISTICHE CONNESSE<br />
ALLA CADUTA DI LEGNO SUL FONDO MARINO: ALCUNE IDEE<br />
Giorgio Tunis, Alceo Tarlao e Sandro Venturini<br />
Introduzione<br />
Molte specie attuali e del passato che usano la strategia di vivere attaccate a<br />
supporti più o meno rigidi hanno la potenzialità di colonizzare substrati mobili<br />
quali tronchi galleggianti (driftwood), zattere galleggianti di alghe brune (kelp<br />
rafting), grossi vertebrati marini quali cetacei, trichechi, leoni ed elefanti marini,<br />
tartarughe, altri rettili marini, ecc. ed infine substrati inorganici (ad esempio,<br />
pomice) oppure odiernamente materiale antropogenetico (detriti scaricati in mare<br />
da aree costiere o da navi, masse bituminose, ecc.).<br />
Tutti questi “oggetti” galleggianti ad un certo punto cadranno sul fondo con il<br />
loro carico biologico o parte di esso. Quelle specie che vengono rinvenute attaccate<br />
a substrati galleggianti, organici o inorganici, sono definite forme<br />
pseudoplanctoniche, pur essendo bentoniche come “moda” di vita (cfr. WIGNALL<br />
& SIMMS, 1990, per l’ampia discussione). Altri Autori preferiscono definirle pure<br />
forme epiplanctoniche oppure forme pseudopelagiche. Ovviamente queste specie<br />
sono molto rare nell’attuale rispetto ai loro parenti bentonici e vengono segnalate<br />
occasionalmente nel mondo fossile. Ciò a causa della scarsa disponibilità di oggetti<br />
galleggianti ai quali attaccarsi in confronto all’enorme estensione degli habitat di<br />
vita occupati in ogni periodo geologico dagli organismi bentonici.<br />
Tipi di rafting<br />
I più frequenti tra gli attuali substrati galleggianti sono rappresentati da “zattere”<br />
di alghe brune. <strong>Il</strong> fenomeno è noto come kelp rafting (EMERY & TSCHUDY, 1941).<br />
Macrocystis, Nereocystis, Pelagophycus, Egregia sono i generi attuali più noti e<br />
diffusi nell’Oceano Atlantico. Macrocystis può raggiungere una lunghezza di circa<br />
circa 180 m, mentre il peso di un singolo esemplare può superare i 130 kg.<br />
L’agente di trasporto kelp rafting, che interessa principalmente le zone costiere ed<br />
in misura minore le vaste aree oceaniche, è in grado di trasportare, oltre a varie<br />
specie pseudoplanctoniche (gasteropodi ed altri piccoli molluschi, lamellibranchi,<br />
serpulidi, foraminiferi, stelle marine, spugne, piccoli granchi, vari tipi di vermi,<br />
ecc.), anche ciottoli di piccole dimensioni, ai quali si possono talvolta fissare altri<br />
organismi (foraminiferi, briozoi, vermi, alghe calcaree). Attualmente si osserva<br />
kelp rafting soprattutto nell’emisfero settentrionale dell’Oceano Pacifico,<br />
dall’Alaska al Messico e dal Mare di Okhotsk al Giappone, nonché lungo le coste<br />
europee settentrionali (Scozia, Irlanda, Norvegia, Francia, ecc.). Concentrazioni di<br />
alghe brune sono state raramente documentate nel registro sedimentario (MAYR,<br />
23
1993; WOODBORNE et al., 1989, OLIVERO et al., 1992), a causa della difficoltà di<br />
conservazione delle alghe; questi organismi sono comunque noti fin dal<br />
Devoniano.<br />
In ordine di frequenza, ma molto minore, segue il fenomeno di drift wood<br />
(letteralmente: trasporto di legno ad opera delle correnti), nel quale sono compresi<br />
piante intere oppure tronchi, radici, rami, pezzi di legno provenienti tipicamente dal<br />
continente (piane alluvionali, delta, zone di estuario). Una grande disponibilità di<br />
resti vegetali, in genere tronchi, trasportati in ambiente marino si verifica in<br />
occasione di eventi eccezionali (uragani, inondazioni, alluvioni) ed è da porsi in<br />
relazione alle dimensioni dell’area colpita dalla calamità naturale e/o alle<br />
caratteristiche idrologiche (portata del fiume). É possibile che tronchi galleggianti<br />
siano stati colonizzati da organismi pseudoplanctonici fin dalla prima comparsa<br />
degli alberi nel Devoniano. La massima durata di galleggiamento dei tronchi e dei<br />
rami in ambiente marino è molto variabile: da qualche mese a più di dieci anni. <strong>Il</strong><br />
tempo dipende da vari fattori: il tipo di legno, le dimensioni, l’influenza<br />
dell’osmosi e la degradazione batterica, ma in linea di massima la possibile durata<br />
del tronco come agente di trasporto dello pseudoplancton è piuttosto elevata. I<br />
tronchi possono essere colonizzati all’inizio, durante la loro “crociera”, e pure,<br />
come vedremo in seguito, quando raggiungono il fondo marino, anche a varie<br />
centinaia di metri di profondità. Teredini, ostreidi (Fig. 1) e vari altri tipi di<br />
molluschi, nonché balanidi (Fig. 2) sono i principali colonizzatori di driftwood. Tra<br />
le radici rimangono spesso incastrati ciottoli di varie dimensioni (nell’Eocene<br />
istriano,<br />
Fig. 1 – Tronchi spiaggiati, incrostati da ostriche e rari mitili (spiaggia di Grado, Gorizia).<br />
24
Fig. 2 – Balani attaccati ad arbusti (Lisert, Monfalcone Gorizia) (foto di M. Tentor).<br />
TARLAO et al., 2005, segnalano un ciottolo di lunghezza pari a 35 cm) strappati<br />
assieme all’albero dalle zone di provenienza, ad esempio piane alluvionali. Per<br />
dilatazione del legno i ciottoli possono essere rilasciati e precipitano al fondo,<br />
oppure cadono assieme al tronco quando questo non è più in grado di galleggiare.<br />
Questi ciottoli esotici, in quanto completamente estranei all’ambiente<br />
deposizionale sono definiti dropstones (vedi BENNETT et al., 1996, per origine e<br />
significato).<br />
<strong>Il</strong> rafting biologico ad opera di grossi vertebrati marini rappresenta<br />
probabilmente la categoria meno comune o perlomeno più occasionale di substrati<br />
galleggianti. Dal registro sedimentario è noto che il guscio di cefalopodi nectonici<br />
e nectobentonici (nautiloidi, goniatiti, belemniti e ammonoidi) abbia ospitato una<br />
significativa epifauna (briozoi, brachiopodi, ostreidi) fin dall’Ordoviciano. Balene<br />
ed altri grossi cetacei sono comunemente infestati da un impressionante numero di<br />
balani e copepodi. Carcasse di grossi cetacei e relative associazioni faunistiche<br />
precipitate al fondo marino (whale fall) in tempi recenti o tempi antichi (Oligocene<br />
e Miocene) sono l’oggetto di recenti pubblicazioni (GOEDERT et al., 1995; AMANO<br />
et al., 2005; NESBITT, 2005): in precedenza tale fenomeno era poco noto e mal<br />
documentato.<br />
25
Organismi incrostanti su ammoniti: un esempio<br />
Esiste un’ampia letteratura che riguarda la colonizzazione di ammoniti da parte<br />
di organismi incrostanti. Solitamente, la presenza di tali organismi su entrambi i<br />
fianchi di nicchi di questi cefalopodi viene considerata un criterio distintivo per la<br />
colonizzazione in vita, ma non sono da escludere processi di rimescolamento e<br />
ribaltamento post-mortem a fondo mare. L’ammonite di figura 3, proveniente dal<br />
Giurassico francese, mostra sui due lati alcune valve di ostreidi disposte soprattutto<br />
lungo il margine ventrale dell’esemplare. Per quanto questa associazione sia<br />
particolarmente interessante dal punto di vista museale e collezionistico,<br />
l’interpretazione ecologica dei rapporti tra ammoniti ed organismi incrostanti non<br />
può comunque prescindere dallo studio delle tanatocenosi e del contesto<br />
stratigrafico-paleoambientale.<br />
Fig. 3 – Ammonite del Giurassico francese, incrostata da ostreidi su entrambi i fianchi.<br />
Metodi di fissaggio degli organismi a substrati galleggianti<br />
Ci sono vari modi attraverso i quali i differenti organismi possono attaccarsi a<br />
substrati galleggianti. WIGNALL & SIMMS (1990) hanno riconosciuto cinque<br />
strategie: 1) cementazione; 2) strategia “pendente”; 3) strategia aderente; 4)<br />
perforazione; 5) tecnica di “appoggio” ad oggetti galleggianti (clinging).<br />
1) La cementazione è il metodo più sicuro di attaccarsi al substrato, ma in genere<br />
richiede una zona relativamente ampia di fissaggio da parte dell’organismo e<br />
provoca un’intensa competizione tra individui. Nello pseudoplancton fossile i taxa<br />
più comuni sono ostreidi, briozoi e serpulidi. Alcune specie di balani sono gli<br />
organismi più comuni nell’Attuale. Altre forme più rare sono certi generi di coralli<br />
(segnalati anche attaccati alla pomice). 2) Strategia “pendente”: minimizza le<br />
dimensioni dell’area di fissaggio dell’oggetto galleggiante, ma può causare un<br />
grosso peso per il medesimo quando gli individui sono troppi, con conseguente<br />
precipitazione al fondo. Crinoidi (SIMMS, 1986), crostacei lepadomorfi e, più<br />
raramente, alcuni brachiopodi articolati fanno parte di questo gruppo. 3) Strategia<br />
aderente: le forme in questione si attaccano mediante il loro tessuto organico e/o i<br />
26
filamenti del bisso, aggrappandosi al substrato. Questo modo di vita è comune a<br />
molti gruppi bentonici quali bivalvi mitiliformi, inoceramidi e alcuni brachiopodi<br />
non articolati: alcuni tra questi generi possono essere considerati pseudoplanctonici<br />
(SEILACHER, 1982; TANABE, 1983). 4) La perforazione è il metodo più efficiente di<br />
fissaggio al substrato galleggiante, nonché quando il medesimo scende al fondo.<br />
SEILACHER (1968) riferisce il caso di belemniti perforate da cirripedi e si conosce<br />
il caso di briozoi perforanti che hanno attaccato il guscio di nautiloidi.<br />
Probabilmente la perforazione è avvenuta post-mortem nell’organismo. <strong>Il</strong> legno<br />
viene perforato da isopodi, ma più importanti di tutti sono le teredini (Fig. 4); le<br />
teredini utilizzano il legno galleggiante come una zattera sulla quale operano come<br />
organismi filtratori, ma anche possono cibarsi direttamente del legno (cfr. KELLY,<br />
1988). 5) Strategia “clinging”: di specie che sono in grado di muoversi sul<br />
substrato galleggiante, molto spesso alla ricerca di prede, nonché di abbandonare la<br />
loro zattera. In questo caso si conoscono con sicurezza soltanto esempi attuali:<br />
gasteropodi, piccoli granchi, vermi, picnogonidi ed isopodi. Per quanto riguarda le<br />
faune del passato che abbiano utilizzato questa strategia e siano finite al fondo<br />
assieme ai resti di vegetazione, permane l’incertezza del riconoscimento.<br />
Si sottolinea infine che un certo numero di forme pseudoplanctoniche del passato<br />
non possono essere assegnate a nessuna delle cinque categorie summenzionate.<br />
Fig. 4 – A sinistra: Teredini provenienti dalle “Marne a Cancer” di età luteziana (Istria<br />
centrale). A destra: Teredini provenienti dalla costa occidentale della Turchia (Mare di<br />
Marmara).<br />
27
Riconoscimento e classificazione dello pseudoplancton<br />
Le associazioni di forme pseudoplanctoniche si riconoscono più facilmente<br />
quando si possono osservare assieme al loro substrato galleggiante sceso al fondo.<br />
Quando non sono spiaggiati, i substrati galleggianti affondano sui fondali marini<br />
alle varie profondità, da pochi metri fino a batimetrie abissali. Per garantire<br />
condizioni più favorevoli alla fossilizzazione di colonie pseudoplanctoniche è<br />
importante che l’energia al fondo non sia elevata; ciò sussiste in particolare nei<br />
contesti profondi. Come già premesso, le specie pseudoplanctoniche rappresentano<br />
una componente rara delle associazioni faunistiche attuali e del passato; si<br />
rinvengono più facilmente in ambienti contraddistinti da bassi tassi di<br />
sedimentazione e anche in questi casi si può osservare un numero ridotto di<br />
esemplari. Soltanto in condizioni di bassissimi tassi di sedimentazione, gli<br />
individui pseudoplanctonici sono più numerosi, ma si associano a concentrazioni<br />
relativamente più elevate di organismi bentonici autoctoni e di forme pelagiche.<br />
<strong>Il</strong> riconoscimento di forme pseudoplanctoniche non costituisce in genere<br />
un’operazione banale. Secondo WIGNALL & SIMMS (1990) si possono riconoscere<br />
tre tipologie di pseudoplancton: obbligato, facoltativo ed accidentale. <strong>Il</strong> primo<br />
gruppo comprende forme con uno stadio adulto esclusivamente pseudoplanctonico:<br />
trattasi di forme altamente specializzate che si sono adattate a substrati galleggianti<br />
e che non possono ritornare ad abitudini bentoniche una volta che precipitino al<br />
fondo. Si ipotizza che certi gruppi di crinoidi e alcuni generi di bivalvi a guscio<br />
sottile (quali Posidonomya) siano da annoverare tra lo pseudoplancton obbligato,<br />
mentre alcuni generi cosmopoliti di balani rappresentano la fauna attualmente più<br />
diffusa. Alcune specie pseudoplanctoniche sono facoltative in quanto possono<br />
attaccarsi ad oggetti galleggianti, ma sono in grado di ritornare allo stadio<br />
bentonico. Ciò pone seri dubbi quando si esamina una colonia di specie<br />
pseudoplanctoniche associata al legno: non tutti gli individui conducevano<br />
un’esistenza pseudoplanctonica, non tutti provenivano dal driftwood e solo una<br />
parte di quelli trasportati dal legno (tronchi, rami) si sono adattati al nuovo habitat.<br />
Questi elementi rendono difficoltosa l’interpretazione ecologica, in particolare per<br />
quanto attiene le specie del passato, e non si conosce la tolleranza delle medesime<br />
all’interno di un’ampia gamma di ambienti compresi tra l’intertidale ed il batiale.<br />
Esiste infine una categoria di pseudoplancton accidentale (soprattutto<br />
gasteropodi e foraminiferi): alcuni possono abbandonare il substrato galleggiante,<br />
altri possono sopravvivere su fondali batiali.<br />
Associazioni faunistiche legate a wood fall<br />
Concluso il periodo di galleggiamento, i vari substrati mobili e gli organismi ad<br />
essi attaccati cadono sul fondo. Considerata la difficoltà di reperimento di kelp fall<br />
(affondamento di masse algali) a causa della scarsa possibilità di conservazione di<br />
materiale algale e l’estrema rarità di whale fall (caduta di cetacei al fondo) e altro,<br />
la più ampia e certa documentazione di associazioni faunistiche legate<br />
all’affondamento di organismi (e clasti) in ambiente marino proviene dal wood fall.<br />
Come già premesso, se questi resti vegetali scendono a bassa profondità, vicino a<br />
riva, ci sono scarse possibilità di fossilizzazione. Gli ambienti più favorevoli alla<br />
preservazione sono rappresentati dallo shelf esterno e soprattutto dalle zone di<br />
28
scarpata e bacino. In genere il legno si decompone e viene distrutto, e solo le<br />
teredini costituiscono la prova evidente dell’esistenza di questi substrati. A fondo<br />
mare, con i tronchi e i rami giunge l’epifauna che vi viveva attaccata: alcuni<br />
individui riescono a sopravvivere nel nuovo habitat, molti altri no, altri ancora si<br />
staccano durante la discesa oppure, in presenza di correnti di fondo, vengono<br />
trasportati altrove. La presenza del legno e degli organismi attaccati richiama<br />
individui autoctoni, soprattutto gasteropodi predatori di piccoli molluschi ed altri<br />
invertebrati (tra cui policheti), ma anche detritivori e raspatori, ed infine altre forme<br />
che possono usare il legno come substrato (ad esempio, isocrinidi) o rifugio (ad<br />
esempio, foraminiferi bentonici). Tutte queste forme, compreso lo pseudoplancton,<br />
costituiscono un’associazione di tipo wood-fall (Fig. 5). Non è semplice<br />
riconoscere le preferenze e le relazioni ecologiche tra gli organismi wood-fall:<br />
alcuni sono collegati direttamente alla presenza del legno, altri indirettamente<br />
(predatori), per altri ancora l’appartenenza a questo tipo di comunità è solo<br />
ipotetica. Per dirimere la questione si possono seguire alcune linee di<br />
ragionamento. Innanzi tutto si applica il criterio attualistico, che è basato sul<br />
confronto di associazioni wood-fall attuali e del passato. <strong>Il</strong> grosso problema è<br />
naturalmente incentrato sui taxa estinti, i cui rapporti con i resti vegetali sono in<br />
prima istanza incogniti. Un altro approccio è basato sullo studio della fauna negli<br />
strati circostanti il livello contraddistinto da wood-fall. Se non è possibile rinvenire<br />
nella successione stratigrafica e nel medesimo contesto paleoambientale un numero<br />
Fig. 5 – Ricostruzione di un’associazione faunistica a “wood fall”.<br />
significativo di esemplari analoghi a quelli raccolti nella comunità wood-fall, si può<br />
ipotizzare una relazione tra queste forme e la presenza del legno. Un esempio può<br />
29
essere rappresentato dall’abbondanza di individui appartenenti ad una determinata<br />
specie di gasteropodi predatori, che risultano invece rari all’interno del background<br />
faunistico della formazione geologica in esame. Anche questo approccio presenta i<br />
suoi limiti in quanto è basato sulla probabilità di reperimento dei fossili e può<br />
essere marcatamente soggettivo. In conclusione, ogni comunità wood-fall presenta<br />
problemi ecologici, e molti individui sono da considerarsi enigmatici per quanto<br />
attiene l’habitat e la loro relazione con l’associazione faunistica in oggetto. Ad<br />
esempio, al top delle “Marne a Cancer” eoceniche dell’Istria sono stati individuati<br />
alcuni esemplari di Spondylus bifrons assieme a faune che possono essere messe in<br />
relazione, perlomeno parzialmente, a comunità wood-fall (TARLAO et al., 2005).<br />
L’habitat di questi molluschi non è compatibile con quello attuale e neppure la<br />
litologia dei fondali del tempo (il genere preferisce substrati rocciosi). La<br />
paleoprofondità stimata dell’ambiente è di circa 300 metri, ma Spondylus vive<br />
generalmente a qualche decina di metri di profondità. Infine, la forma non è<br />
attualmente di tipo pseudoplanctonico, neppure accidentale, e non è stata<br />
trasportata e risedimentata ad opera di correnti torbiditiche o conturiti.<br />
Teredini e substrati lignei<br />
Resti di tronchi e rami (relitti e fantasmi), associati a teredini, talvolta<br />
abbondanti, rappresentano una peculiarità delle “Marne a Cancer” e della parte<br />
basale della soprastante unità litostratigrafia (Marne a Globigerine) nell’Istria<br />
centrale (Croazia). I substrati osservati a Mali Mlun ed a Jermanija sono<br />
rappresentati solitamente da frammenti lignei, che sono stati verosimilmente<br />
trasportati come entità singole tramite il processo di driftwood. Resti di tronchi ben<br />
conservati sono rari nei vari contesti sedimentari (Fig. 6), in quanto il legno<br />
generalmente si decompone in ambiente marino, sia precedentemente al<br />
seppellimento che posteriormente ad esso e ancora prima della compattazione dei<br />
sedimenti. SAVDRA et al. (1993), in base alla qualità della preservazione del<br />
substrato ligneo e delle teredini associate, hanno distinto quattro stadi: 1) ben<br />
preservato, 2) relitto, 3) fantasma, 4) teredini rimaneggiate. Nello stadio 1,<br />
nonostante i processi di dilatazione della lignina e la parziale mineralizzazione ad<br />
opera della pirite, il tronco o il ramo non ha subito la disintegrazione e mantiene la<br />
sua forma originale. Le teredini possono essere osservate all’interno del legno (Fig.<br />
7). I substrati relitti (stadio 2) hanno subito una pesante decomposizione<br />
biochimica e la degradazione fisica a causa dei fori praticati dalle teredini. Si<br />
osserva una massa di sedimento e minerale con solo resti di lignina negli interstizi.<br />
I substrati fantasma (stadio 3) sono simili ai precedenti ma hanno perso ogni traccia<br />
dell’originale substrato ligneo. Abbondanti teredini si osservano in corrispondenza<br />
del substrato ligneo, in larga parte distrutto. Infine, nello stadio 4 le teredini si<br />
trovano sparse e non esiste la minima traccia del legno; gli individui sono stati<br />
trasportati ad opera delle correnti di fondo e l’entità della bioturbazione è stata<br />
notevole. Oltre al legno fossile, anche le teredini fossili sono rare e la letteratura<br />
paleontologica non è molto ricca a riguardo di questi molluschi. Un’abbondanza di<br />
30
Fig. 6 – Raro ritrovamento di un tronco silicizzato in calcari cretacei affioranti presso Cava<br />
Simonettia, da VALLE (1879) (cortesia di F. Cucchi).<br />
Fig. 7 – Pezzo di ramo con un minuscolo esemplare di teredine proveniente dalle “Marne a<br />
Cancer” (Istria centrale).<br />
<strong>31</strong>
teredini e di vestigia lignee rappresenta quindi una rarità nel registro sedimentario e<br />
la loro diffusione nei depositi istriani è strettamente legata ad alcune condizioni<br />
quali l’ambiente deposizionale e l’innalzamento relativo del livello marino.<br />
Quest’ultimo si riflette con modesti tassi di accumulo di sedimenti in ambiente di<br />
piattaforma esterna, slope e bacino, in quanto si verifica una migrazione, spesso<br />
rapida, verso terra della linea di riva, un allargamento della zona interna di<br />
piattaforma (zona nearshore) e un conseguente effetto trappola dei sedimenti in<br />
quest’ultima zona. In termini geologici, la bassa alimentazione di sedimenti in zona<br />
di scarpata produrrà delle sezioni condensate (minimi tassi di sedimentazione e<br />
massima starvation). L’innalzamento marino provocherà l’inondazione di aree<br />
precedentemente emerse (piane costiere, delta subaereo, zone di estuario, piane<br />
alluvionali), spesso ricche di vegetazione ed un aumento proporzionale di materiale<br />
ligneo che verrà trasportato in mare. In questa fase il processo di woodrift<br />
raggiungerà il suo apice ed il fenomeno sarà ancora più marcato quando i substrati<br />
lignei affonderanno in ambienti marini profondi, contraddistinti da bassa energia e<br />
con scarsi tassi di sedimentazione. Questo scenario si è verificato, con buona<br />
verosimiglianza, in Istria, in concomitanza con un’importante fase trasgressiva<br />
luteziana (TARLAO et al., 2005). É interessante ricordare che tubi di teredini sono<br />
stati rinvenuti anche nei coevi depositi deltizi della zona dei colli orientali del<br />
Friuli (DAINELLI, 1915).<br />
Associazioni di wood fall e associazioni pseudoplanctoniche: alcune idee<br />
Recentemente, le associazioni faunistiche di tipo wood-fall hanno ricevuto una<br />
certa attenzione da parte dei paleontologi, in quanto alcune specie sono state<br />
considerate “pioniere” di ambienti nei quali si sono impostati successivamente vent<br />
idrotermali e cold-seeps. Questa ipotesi, suggerita da DISTEL et al. (2000), prevede<br />
che alcuni taxa vissuti in aree interessate da wood-fall siano stati in grado di<br />
sopravvivere e di adattarsi all’ambiente epibatiale, anche in assenza di caduta di<br />
tronchi e rami al fondo marino, e si siano successivamente concentrati (anche molti<br />
milioni di anni dopo) in aree di emanazione di gas metano e di vent idrotermali.<br />
Questo implica spesso un’evoluzione genetica dei taxa in questione: nella<br />
fattispecie DISTEL et al. (2000) hanno esaminato soltanto alcune specie di mitili<br />
(batimodiolidi). La validità dell’ipotesi di DISTEL et al. (2000) prende<br />
necessariamente in considerazione la strategia di dispersione di queste specie<br />
nell’ambiente e la loro capacità di colonizzazione. Inoltre si può ipotizzare che<br />
sparse, effimere, piccole isole wood-fall non rappresentino il substrato sufficiente<br />
per lo sviluppo di ricche associazioni faunistiche: un massiccio e possibilmente<br />
continuo input di resti vegetali nei bacini marini durante fasi trasgressive e<br />
l’instaurarsi di numerose colonie al fondo nei pressi del legno costituiscono dal<br />
punto di vista statistico una condizione al contorno più favorevole a detta ipotesi.<br />
Nel bacino istriano si è verificato un notevole apporto di resti vegetali, che si sono<br />
depositati al fondo in ambienti di rampa esterna e di scarpata (TARLAO et al.,<br />
2005), caratterizzando le già menzionate unità delle “Marne a Cancer” e delle<br />
“Marne a Globigerine”. Soprastanti le marne si sono depositati banchi calcarenitici<br />
e marne (fase di pre-flysch) e successivamente le torbiditi arenaceo-marnose del<br />
flysch istriano. All’interno del flysch, anch’esso di età luteziana, affiorante nei<br />
32
pressi di Buie (Istria, Croazia) sono stati riconosciuti isolati corpi di calcari con<br />
abbondanti faune dominate da mitili, gasteropodi e lucine. Questi calcari,<br />
debolmente terrigeni, sono metanogenetici (VENTURINI et al., 1998), in quanto il<br />
loro ambiente genetico è legato alla fuoriuscita di fluidi arricchiti in metano in<br />
ambiente marino profondo. Questi calcari metanogenetici macrofossiliferi e le<br />
associazioni faunistiche wood fall di Sterna “distano” in termini cronologici circa 4<br />
Ma, ed in termini di spazio-spessore poco più di un centinaio di metri. Da una<br />
prima comparazione, non abbiamo trovato taxa comuni all’interno delle due<br />
diverse associazioni faunistiche. Inoltre, i lucinidi, caratteristici di molti altri<br />
contesti metanogenetici, non sembrano in alcuna maniera associabili ad<br />
associazioni pseudoplanctoniche. Al di là di queste osservazioni, la tesi di DISTEL<br />
et al. (2000) rappresenta comunque una linea di ricerca attraente riguardo a questi<br />
tipi di comunità fossili.<br />
Rudiste flottanti?<br />
Nella Scaglia senoniana del Veneto sono stati segnalati esemplari di rudiste (per<br />
esempio, PARONA, 1904; 1912; Fig. 8). Valve di rudiste sono state infatti rinvenute<br />
in particolare a Possagno, Mezzano Veronese, Magrè, Novale, Valdagno, Gallio, S.<br />
Cristina e S. Anna di Alfaedo. La distanza dal margine della Piattaforma Friulana,<br />
il contesto paleomorfologico di probabile paleo-alto (almeno per quanto riguarda<br />
alcune zone) e le caratteristiche sedimentologiche dei depositi inglobanti sembrano<br />
escludere sostanziali processi di risedimentazione. Come si può evincere dalle<br />
successioni descritte da MASSARI & MEDIZZA (1973), la Scaglia inglobante le<br />
rudiste è dominata da associazioni a foraminiferi planctonici, con rari bentonici di<br />
ambiente verosimilmente profondo. Senza entrare nella complessa problematica<br />
Fig. 8 – Rudista rinvenuta nella Scaglia tardo-cretacica del Veneto (da PARONA, 1904).<br />
33
della batimetria della Scaglia e dell’ecologia delle rudiste, va ricordato che, nei<br />
depositi del Senoniano del Veneto, sono presenti ciottoli arrotondati, costituiti<br />
soprattutto da rocce sedimentarie (MASSARI & MEDIZZA, 1973) e resti di teredini,<br />
in particolare presso S. Anna di Alfaedo (MASSARI & SAVAZZI, 1981). É quindi da<br />
tenere in considerazione che le rudiste rinvenute nella Scaglia possano essere<br />
legate al trasporto di tronchi flottanti per incastro negli apparati radicali, post<br />
mortem, analogamente ai ciottoli suindicati; non possiamo inoltre escludere del<br />
tutto l’ipotesi che rudiste, in vita, aderissero per cementazione a questo tipo di<br />
substrato. Durante il Senoniano, infatti, sia nelle aree costiere della “Ruga<br />
Insubrica”, sia nelle zone emerse-subemerse delle piattaforme periadriatiche, le<br />
rudiste spiaggiate o subfossili dovevano essere tutt’altro che rare.<br />
Bibliografia<br />
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34
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New York.<br />
35
<strong>Natura</strong> <strong>Nascosta</strong> Numero <strong>31</strong> Anno 2005 pp.36-47 Figure 14<br />
GROTTE DEL FRIULI SCOPERTE NEGLI ANNI 1984-1997<br />
Maurizio Tentor<br />
Riassunto: - Vengono presentati otto rilievi di grotte scoperte o revisionate nel Friuli<br />
(comuni di Enemonzo Chiusaforte, Resia e Paularo) durante gli anni 1984-1997 dal Gruppo<br />
Speleologico Monfalconese Amici del Fante.<br />
Introduzione<br />
Con questo articolo prosegue il contributo fornito dal Gruppo Speleologico<br />
Monfalconese A. d.Fante al catasto Friuli con il reperimento di cavità scoperte,<br />
esplorate o revisionate negli anni che vanno dal 1984 al 1997 e la pubblicazione<br />
delle descrizioni corredate dai relativi rilievi.<br />
Bibliografia di riferimento<br />
Gherlizza F. (2000) – Nuove grotte del Friuli anni 1993-1996 (dalla 2896Fr – 5196 Reg<br />
alla 3388 Fr – 5940 Reg. Quaderni del Catasto Regionale delle grotte del Friuli Venezia<br />
Giulia, pp. 1-144, Trieste.<br />
Muscio G. (2004) – Elenco catastale delle cavità delle Prealpi Carniche. In: <strong>Il</strong> fenomeno<br />
carsico delle Prealpi Carniche (Friuli), Mem. Ist. It. Spel. s.II, vol. XV, pp.97-111, Udine.<br />
Fig. 1 – La “conca” dove si apre la grotta dei Capelli.<br />
36
Grotta presso il Monte Lovinzola (4180/2362 FR)<br />
La grotta (Fig. 2), rilevata nell’agosto del 1984, si trova alla quota di 1790 m sul<br />
livello marino nel comune di Enemonzo, identificabile su IGM 1:25000<br />
F.13II°S.E. Villa Santina con Latitudine 46°22' 12” e Longitudine 0° 27' 43”. La<br />
cavità si presenta con una vasta apertura e con il fondo coperto da grossi massi e da<br />
sfasciume. Su un lato una piccola apertura immette in una saletta il cui fondo è<br />
composto da detrito che rende impraticabile il proseguimento.<br />
Fig. 2 - Rilievo della Grotta presso il Monte Lovinzola.<br />
37
Grotta Sesamo (5323/2960 FR)<br />
La grotta (Fig. 3), rilevata nel settembre del 1993, si trova alla quota di 1540 m<br />
sul livello marino nel comune di Paularo, identificabile su CTR 1:5000 Elemento<br />
032033 Zuc della Guardia con Latitudine 46° 33' 57”,7 e Longitudine 13°10' 34”,6.<br />
La cavità si apre nel calcare del devonico sul fianco di un torrentello.<br />
Fig. 3 - Rilievo della Grotta Sesamo.<br />
38
Grotta del Ffoz (5874/3326 FR)<br />
La cavità (Fig. 4), scoperta nell’agosto del 1996, si trova alla quota di 2100 m<br />
sul livello marino nel comune di Resia, identificabile su CTR 1:5000 Elemento<br />
050023 Monte Canin con Latitudine 46° 22' 07",3 e Longitudine 13° 26' 10",5. La<br />
cavità inizia con un pozzo circolare di circa 14 m a cui ne segue un secondo di 8,7;<br />
m, qui si divide in due parti, una immette in uno scivolo di ghiaccio che dopo breve<br />
ostruisce il passaggio, mentre seguendo l’altro ramo si arriva ad un pozzo profondo<br />
14,3 m a cui ne succede un altro di 11 m. La grotta termina con un ampio salone il<br />
cui fondo è ricoperto da ghiaccio e detriti.<br />
Fig. 4 - Rilievo della Grotta del Ffoz.<br />
39
Grotta dello Stivale (5875/3327 FR)<br />
La grotta (Fig. 5), scoperta nell’agosto del 1996, si apre alla quota di 2090 m sul<br />
livello marino nel comune di Resia, identificabile su CTR 1:5000 Elemento 050023<br />
Monte Canin con Latitudine 46° 22' 08",2 e Longitudine 13° 26' 09",1. La cavità<br />
verticale è composta da un unico pozzo. <strong>Il</strong> fondo è coperto da detrito e non si<br />
intravede alcuna possibilità di ulteriore sviluppo.<br />
Fig. 5 - Rilievo della Grotta dello Stivale.<br />
40
Grotta della Pendola (5876/3328 FR)<br />
La grotta (Fig. 6), scoperta nell’agosto del 1996, si trova alla quota di 2105 m<br />
sul livello marino nel comune di Resia, identificabile su CTR 1:5000 Elemento<br />
050023 Monte Canin con Latitudine 46° 22' 06",8 e Longitudine 13° 26' 07",7.<br />
L'ingresso è impostato su frattura con direzione Nord-Sud. La cavità è composta da<br />
due pozzi in sequenza ed il fondo è ricoperto da ghiaccio e detriti.<br />
Fig. 6 - Rilievo della Grotta della Pendola.<br />
41
Grotta del Tubo (5877/3329 FR)<br />
La cavità (Fig. 7), scoperta nell’agosto del 1996, si trova alla quota di 2142 m<br />
sul livello marino nel comune di Resia, identificabile su CTR 1:5000 Elemento<br />
050023 Monte Canin con Latitudine 46° 22' 04",7 e Longitudine 13° 26' 10",7. <strong>Il</strong><br />
pozzo d’ingresso è di forma circolare e dopo 18 m termina in un nevaio. A 11 m<br />
dal fondo, una finestra porta ad un secondo pozzo di 11 m sul fondo del quale un<br />
cunicolo immette in un piccolo meandro e, dopo un salto di circa 2 metri, si arriva<br />
alla parte finale della grotta il cui fondo è ricoperto da detrito.<br />
Fig. 7 - Rilievo della Grotta del Tubo.<br />
42
Grotta dei Capelli (6011/34<strong>31</strong> FR)<br />
La grotta (Fig. 8-13), scoperta nel settembre del 1997, si trova alla quota di<br />
1891 m sul livello marino nel comune di Chiusaforte, identificabile su CTR 1:5000<br />
Elemento 050024 Stretti con Latitudine 46° 22' 32",8 e Longitudine 13° 26' 09",8.<br />
L'ingresso è costituito da una fessura di 30 x 50 cm la quale immette in un pozzo di<br />
9 m al quale fanno seguito un saltino di 2 m ed una piccola risalita di 1,5 m oltre<br />
alla quale si trova uno stretto cunicolo. Superatolo, si giunge ad un altro salto di 2<br />
m seguito da un ulteriore cunicolo che immette in un pozzo di 15 m alla cui base si<br />
apre un pozzo, di circa 7 m, sul cui fondo si apre una stretta fessura che lo rende<br />
comunicante con l'ultimo pozzo di 29 m. Qui, scendendo ancora un breve salto si<br />
trova un meandro, esplorato fino ad un’ennesima strettoia, nella quale è avvertibile<br />
una fortissima corrente d'aria. Attualmente la grotta è ancora in fase di<br />
esplorazione.<br />
Fig. 8 – L’ingresso della Grotta dei Capelli.<br />
43
Fig. 9 – Piccolo slargo prima dell’ingresso in una strettoia.<br />
44<br />
Fig. 10 – La strettoia.
Fig. 11 – <strong>Il</strong> pozzo di 29 metri.<br />
45<br />
Fig. 12 – In prossimità della<br />
strettoia recentemente aperta ed<br />
ancora in fase di esplorazione.
Fig. 13 - Rilievo della Grotta dei Capelli.<br />
46
Grotta del Re (6012/3432 FR)<br />
La grotta (Fig. 14), scoperta nell’agosto del 1997, si apre alla quota di 1940 m<br />
sul livello marino nel comune di Chiusaforte, identificabile su CTR 1:5000<br />
Elemento 050024 Stretti con Latitudine 46° 22' 29",7 e Longitudine 13° 25' 40",6.<br />
La cavità è composta da un unico e stretto cunicolo che termina con una saletta.<br />
Fig. 14 - Rilievo della Grotta del Re.<br />
47
INDICE<br />
KARSELLA E KERAMOSPHAERINA (FORAMINIFERI):<br />
PRIMO RINVENIMENTO IN UN INCLUSO<br />
PALEOCENICO NEL FLYSCH EOCENICO<br />
PRESSO VIGANT (NIMIS, UDINE)<br />
OCCURRENCE OF KARSELLA AND KERAMOSPHAERINA (FORAMINIFERIDA) IN<br />
A CLAST OF PALEOCENE AGE CONGLOBATED IN THE EOCENE FLYSCH NEAR<br />
VIGANT (NIMIS, UDINE, NE ITALY)<br />
M. Tentor e S. Venturini pag. 1<br />
L’EVENTO A KERAMOSPHAERINA TERGESTINA:<br />
CONSIDERAZIONI BIO-CRONOSTRATIGRAFICHE<br />
THE KERAMOSPHAERINA TERGESTINA EVENT:<br />
BIO-CHRONOSTRATIGRAPHIC ASPECTS.<br />
S. Venturini pag. 15<br />
PSEUDOPLANCTON ED ASSOCIAZIONI FAUNISTICHE<br />
CONNESSE ALLA CADUTA DI LEGNO SUL FONDO MARINO:<br />
ALCUNE IDEE<br />
G. Tunis, A. Tarlao e S. Venturini pag. 23<br />
GROTTE DEL FRIULI SCOPERTE NEGLI ANNI 1984-1997<br />
M. Tentor pag. 36<br />
48