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<strong>RASSEGNA</strong> <strong>IFEL</strong> - <strong>POLITICA</strong><br />

Articoli del 23/04/2010<br />

La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o<br />

parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue;<br />

MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto<br />

specificato nei contratti di adesione al servizio.


INDICE<br />

Avvenire<br />

23/04/2010 Avvenire - Nazionale<br />

Editori e Senato al Governo: «Basta misure punitive»<br />

23/04/2010 Avvenire - Nazionale<br />

Tra psicodramma e svolta politica<br />

Corriere della Sera<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

Il premier sollevato: ha fatto una figuraccia Si allinei o è fuori<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

L'ira di Bossi, allarme per governo e alleanza<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

Voto a maggioranza: correnti inammissibili<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

«Devi andartene». «Mi cacci?» Berlusconi-Fini all'ultima lite<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

Carboni e le telefonate per Cosentino<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

«Maxi bustarella per pagare meno tasse» Indagato Maldini<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

Sulla giustizia lo scontro finale Cicchitto: così può saltare tutto<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

La messa al bando del cofondatore<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

I siciliani vicini all'ex capo di An: «Qui il Pdl è allo sbando»<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

La sfida del cofondatore «Non sono un dipendente Sarà lui a bruciarsi»<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

Il costituzionalista frena: sfiducia alla Camera? Ipotesi che non esiste<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

Battaglia di nervi tra minacce e rancori: «Hai cambiato idea» «Tu fai comizi»<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

i Costi della Guerriglia<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

Amici e nemici di Bruxelles (all'ombra della Thatcher)<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

Europa e guerre, si infiamma il confronto tv<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

«Il Giornale ora è in vendita» Il fratello Paolo: possibili nuovi soci<br />

23/04/2010 Corriere della Sera - NAZIONALE<br />

Caos Grecia, Moody's declassa il debito Tassi record sui bond a un soffio dal 10%<br />

Il Fatto Quotidiano<br />

23/04/2010 Il Fatto Quotidiano - Nazionale<br />

L'esplosione del Pdl<br />

23/04/2010 Il Fatto Quotidiano - Nazionale<br />

DIMISSIONI, SOLDI SPRECATI L'UNITÀ D'ITALIA È UN FLOP<br />

23/04/2010 Il Fatto Quotidiano - Nazionale<br />

SULLO SCRANNO MI MANDA PAPÀ (O LO ZIO)<br />

23/04/2010 Il Fatto Quotidiano - Nazionale<br />

Il Pd: "Fosse successo a noi, ci avrebbero dati per morti"<br />

23/04/2010 Il Fatto Quotidiano - Nazionale<br />

Il palco diventa un ring. E Fini sfida: "Che fai, mi cacci?"<br />

23/04/2010 Il Fatto Quotidiano - Nazionale<br />

L'Amore trionfa<br />

23/04/2010 Il Fatto Quotidiano - Nazionale<br />

La prova dei fatti<br />

Il Foglio<br />

23/04/2010 Il Foglio<br />

Girotondo di prof liberisti e no sul manifesto anti flemma di CDB<br />

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23/04/2010 Il Foglio<br />

Abbasso l'Ing.<br />

23/04/2010 Il Foglio<br />

Forza Ing.<br />

Il Giornale<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

Alemanno «Europa a destra To cca a noi dare risposte»<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

«Gianfranco ha tradito il patto con gli elettori»<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

Il tifo dei democratici si spacca tra finiani e berlusconiani<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

Nel guerra-day è pace Santanchè-Mussolini<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

«Critiche ingiuste alla Lega Il federalismo non si tocca»<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

«Questioni irrilevanti Al pubblico ludibrio per colpa dei finiani»<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

E il premier prepara la battaglia finale: se sgarra, va fuori<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

«Io leale, non traditore Ho posto dei problemi per il bene del partito»<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

Lo sconfitto rincuora gli undici dissidenti: usciamo a testa alta<br />

23/04/2010 Il Giornale - Nazionale<br />

Quel che accade davvero al «Corriere»<br />

Il Manifesto<br />

23/04/2010 Il Manifesto - Nazionale<br />

Fini è debole le sue idee no<br />

23/04/2010 Il Manifesto - Nazionale<br />

Tutti travolti dalla corrente<br />

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23/04/2010 Il Manifesto - Nazionale<br />

A CARTE SCOPERTE<br />

Il Messaggero<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Il premier: non mi farò logorare, se non si allinea Gianfranco è fuori<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Silvio deciso a sferzare partito e gruppi: evitare che il dissenso cresca<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Berlusconi-Fini, in scena la rottura totale: «Fai politica, dimettiti». «Che, mi cacci?»<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Avvocato Usa denuncia anche il Papa. Si dimette terzo vescovo irlandese<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

E la crisi Pdl apre un inedito scontro istituzionale<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

«No al federalismo se non ci sono fondi»<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Intesa segreta Usa-Israele C'è un'agenda per la pace<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Indagini su Carboni, contatti anche con Nicola Cosentino<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Pugno di ferro, guanto di velluto: quello stile della vecchia Dc<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Pasolini, Dell'Utri al pm: ho visto il manoscritto rubato dopo l'omicidio<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

CONFLITTO ISTITUZIONALE<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Berlusconi-Fini, è rottura<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

GLI ITALIANI SI CHIEDONO DOVE PORTA LO SCONTRO<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

COABITAZIONE DIFFICILE<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

«Lasciare la presidenza? Neanche per sogno»<br />

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23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Bersani: ora ci sono due destre, ma con Fini si può ragionare<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

«Sull'immigrazione la Lega ha copiato An»<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Sfida tv, Clegg non fa il bis Lo scontro è senza vincitori<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Bossi preoccupato: qui rischia di saltare la Grande Riforma<br />

23/04/2010 Il Messaggero - Nazionale<br />

Tremonti: con le correnti c'è rischio di frantumarsi<br />

Il Riformista<br />

23/04/2010 Il Riformista - Nazionale<br />

Ora nella giunta Polverini spunta la quota Alemanno<br />

23/04/2010 Il Riformista - Nazionale<br />

Se la ex tessera n. 1 del Pd vuole ridurre le tasse<br />

23/04/2010 Il Riformista - Nazionale<br />

A ciascuno la sua grana Pier ha Fioroni<br />

23/04/2010 Il Riformista - Nazionale<br />

Ecco il manifesto dell'altra destra «Per non essere fotocopia della Lega»<br />

23/04/2010 Il Riformista - Nazionale<br />

La democrazia dura 2 ore<br />

23/04/2010 Il Riformista - Nazionale<br />

Il Cavaliere prepara la «soluzione finale»<br />

23/04/2010 Il Riformista - Nazionale<br />

A pesci in faccia<br />

23/04/2010 Il Riformista - Nazionale<br />

Il pubblico ludibrio di un bipolarismo in fase terminale<br />

Il Sole 24 Ore<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

«Se si arriva alla paralisi inevitabile il ricorso al voto»<br />

Gasparri<br />

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23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

«Rivendichiamo il diritto a fare politica da dentro»<br />

Bocchino<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Dietro la rissa, la sfida difficile di due leader per due destre<br />

il punto di stefano folli<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Si dimette il vescovo tedesco Mixa<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Al Nord vantaggio dal 27 al 4%<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Nazione vs. popolo: lontani anche a parole<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Una diversa idea di Italia e di partito<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Dall'economia europea segnali di ottimismo<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

L'alt di Tremonti: no a frantumazioni<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

A Washington si cerca la svolta<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Il mercato teme la ristrutturazione dei bond<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

«Lacrime e sangue» o sarà default<br />

23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Doppia bocciatura per la Grecia<br />

Il Tempo<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

Silvio scatenato: allineati o sei fuori<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

Silvio-Maradona passi palla<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

Adesso Bersani fa la morale «Spettacolo indecoroso»<br />

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23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

La Chiesa avvia l'operazione pulizia<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

E i centristi usano lo scontro per elogiarsi<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

Ecco i 12 piccoli finiani Pisanu sceglie l'astensione<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

Il mondo corre l'Europa si accontenta di guardare<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

Fini s'accontenta del minimo<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

Fini fa l'anti-federalista e il Carroccio lo boccia<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

Macché Conciliazione, è via della Rissa<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

(...) mostrato all'esordio della sua avventura...<br />

23/04/2010 Il Tempo - Nazionale<br />

Clandestini respinti, poliziotti a giudizio<br />

ItaliaOggi<br />

23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Ora il Pd vuole soffocare Vendola<br />

23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Adesso sarà scontro in parlamento<br />

23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Fini è stato licenziato. Alla direzione Pdl passa la mozione del Cavaliere (solo 11 i no)<br />

23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Fini strappa, il Cav vuole cacciarlo<br />

23/04/2010 ItaliaOggi<br />

E Brunetta batte Bossi sui concorsi<br />

23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Lega in campo per il made in Italy Chiesto aiuto perfino al nemico Fini<br />

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L Unita<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Pd, no al referendum sull'acqua «Legge con un milione di firme»<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Contagiati dal «virus»-Saviano: «Sono qui, per parlare di mafia»<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Fieg, sui giornali misure punitive Governo fermo davanti alla crisi<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Verducci (Pd) : raccogliere l'allarme contro i tagli<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Vittima Usa denuncia il Papa Abusi, si dimettono due vescovi<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Londra, Clegg alla sfida tv con l'incubo fondi neri<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Processo agli eccidi, l'Anpi parte civile Il tribunale: «Sono gli eredi delle vittime»<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

LA MAFIA E LE PAROLE<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Google: «57 richieste di censura di interventi dalle autorità italiane»<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

LA COMUNIONE SECONDO BERLUSCONI<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Te lo dico in faccia<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

«Una rissa mai vista Rischiamo una fase di pericolosa instabilità»<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Colloqui a sinistra Per tenersi pronti nell'ipotesi voto<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Tremonti, regista dell'asse del Nord attacca Vendola<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

I finiani incassano la mazzata: sono il 6% «Ci vogliono cacciare»<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Un capo partito non può disporre delle istituzioni<br />

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23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Belgio, scontro fiamminghi-valloni Cade il governo guidato da Leterme<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Li portarono in Libia: «Fu violenza privata» Rinvio a giudizio per i vertici della Gdf<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

Il Cavaliere medita vendetta «Lo caccio se non riga diritto»<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

In diretta tv Fini chiude l'era del partito di uno solo<br />

23/04/2010 L Unita - Nazionale<br />

E Gianfranco decise di sporgere denuncia per truffa<br />

L'Espresso<br />

23/04/2010 L'Espresso<br />

NIENTE OMICIDI MEGLIO I SOLDI<br />

23/04/2010 L'Espresso<br />

E L'ARRESTO DEL GOVERNATORE DIVIDE I PM<br />

23/04/2010 L'Espresso<br />

REGIONI DI FAMIGLIA<br />

La Padania<br />

23/04/2010 La Padania<br />

PDL: RACCOLTA FIRME PER SFIDUCIARE BOCCHINO<br />

23/04/2010 La Padania<br />

Le Regioni per il Federalismo chiedono un incontro a Calderoli<br />

23/04/2010 La Padania<br />

Ci sono Fini distruttivi e fini costruttivi<br />

23/04/2010 La Padania<br />

BOSSI: FINI CONTRO IL NORD E IL FEDERALISMO<br />

23/04/2010 La Padania<br />

LA CISL RACCOGLIE LA "SFIDA" DEL SIN.PA. E DELLA LEGA<br />

La Repubblica<br />

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23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

Fini e Berlusconi alla rissa "Non tradisco, dico la mia" "Se vuoi far politica dimettiti"<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

Bersani: "Spettacolo indecoroso ma Gianfranco solleva problemi reali"<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

"Fini vuole fermare l'avanzata della Lega"<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

La 'Ndrangheta ha la Cupola i boss la chiamano Provincia<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

Nasce in tv l'alleanza Clegg-Brown<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

"È questa la tolleranza zero annunciata dal Santo Padre"<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

Pedofilia, via il vescovo Moriarty presto dall'Irlanda altre dimissioni<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

Vietato pubblicare anche gli atti delle indagini<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

"Unanimismo finito, ora democrazia e resto presidente della Camera"<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

Briguglio: "Una deriva populista e autoritaria"<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

Il Cavaliere azzarda "Torniamo alle urne"<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

Battaglia nelle strade di Bangkok<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

QUELLA FERITA AL CORPO MISTICO DEL SOVRANO<br />

23/04/2010 La Repubblica - Nazionale<br />

G8, dal costruttore della cricca cinquecentomila euro a Scajola<br />

La Stampa<br />

23/04/2010 La Stampa - NAZIONALE<br />

Pd, paura del voto anticipato<br />

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Libero<br />

23/04/2010 La Stampa - NAZIONALE<br />

Il lavoro Finita la stagione delle arance, via con le fragole L'ambulatorio Ha ripreso a<br />

funzionare a pieno regime<br />

23/04/2010 La Stampa - NAZIONALE<br />

I clandestini in Italia sono scomparsi....<br />

23/04/2010 La Stampa - NAZIONALE<br />

Gli eretici siciliani: "Pronti a continuare sulla nostra strada"<br />

23/04/2010 La Stampa - NAZIONALE<br />

Sprint di Cameron Ma Clegg resiste<br />

23/04/2010 La Stampa - NAZIONALE<br />

Fini inaugura la corrente-calamita<br />

23/04/2010 La Stampa - NAZIONALE<br />

Castelli: "Lo scontro rischia di far saltare il federalismo"<br />

23/04/2010 La Stampa - TORINO<br />

Ora il nemico è in casa<br />

23/04/2010 La Stampa - TORINO<br />

L'ex partito dell'amore<br />

23/04/2010 La Stampa - NAZIONALE<br />

"Vendere Il Giornale? Paolo e Silvio non me ne hanno mai parlato"<br />

23/04/2010 Libero<br />

I toreador di Silvio salgono sul palco per infilzare Fini<br />

23/04/2010 Libero<br />

I colonnelli lo mollano E la Meloni piange<br />

Panorama<br />

23/04/2010 Panorama<br />

Spoils system alla veneta<br />

23/04/2010 Panorama<br />

FINI e il partito della rivincita<br />

23/04/2010 Panorama<br />

La sublime arte di farsi male<br />

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23/04/2010 Panorama<br />

Masochismo in Salza rossa<br />

258


Avvenire<br />

2 articoli


23/04/2010 Avvenire<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 10<br />

GIORNALI & <strong>POLITICA</strong> Nel complesso, le risorse pubbliche per il settore sono crollate del 53%, passando da<br />

414 milioni nel 2008 a 185 nel 2009 «Non è possibile aspettare che il peggio passi da solo, bisogna<br />

intervenire»<br />

Editori e Senato al Governo: «Basta misure punitive»<br />

La recessione morde:presentato alla Camera il rapporto sulla stampa EdaPalazzoMadama 14$firme contro<br />

l'aumento delle tariffepostali A rischio 8mila testate. I problemi: costi in aumento (carta e manodopera),<br />

vendite in costante calò, diminuzione della pubblicità, sistema distributivo inadeguato<br />

DA ROMA ROBERTO I. ZANINI<br />

iutateci a uscire dal 2010» e stop alle «misure punitive per il settore». Nel lanciare l'appello affinchè venga<br />

sanato il danno scaturito dall'abolizione delle tariffe postali agevolate, il presidente degli editori di giornali,<br />

Carlo Malinconico, guarda dritto negli occhi il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Lo<br />

scenario è la Sala del Mappamondo a Montecitorio, dove ieri mattina sono stati presentati i dati del bilancio<br />

triennale della stampa in Italia, che documentano il protraisi di una «crisi acuta e senza precedenti». Qualche<br />

ora dopo un aiuto arriva da Palazzo Madama, dove 143 senatori di tutti i gruppi, quasi la metà dei 315 elettivi,<br />

presentano un'interpellanza urgente al presidente Berlusconi, affinchè «il governo proroghi almeno al 31<br />

dicembre 2010 le tariffe agevolate, per risolvere un capitolo altrimenti angosciante... con gravi ricadute<br />

economiche e occupazionali per 8mila testate». Quinsoprattutto per i piccoli e i bonamento postale<br />

un'insostituibile forma di diffusione al pubblico». Buona parte della relazione di Malinconico è un dito puntato<br />

contro il governo. Nonostante il quadro negativo perduri da anni non sono stati adottati «com'era lecito<br />

attendersi», interventi di politica industriale per «correggere storture legislative e di mercato, per promuovere<br />

processi di adattamento ai new media». Anzi, «si è operato in senso contrario, imponendo la tariffa postale<br />

piena anche alle spedizioni per abbonamenti in corso, retri da condizioni non più negoziabili. Misure che non<br />

è improprio definire punitive». Nel complesso le risorse pubbliche per il settore sono crollate del 53%,<br />

passando da 414 milioni nel 2008 a 185 nel 2009. «Non è possibile aspettare che la crisi passi da sola,<br />

bisogna intervenire con urgenza». La sottolineatura del presidente della Fieg è chiaramente diretta al<br />

sottosegretario con delega per l'editoria Paolo Bonaiuti, anch'egli presente in sala, che ha più volte<br />

annunciato e rinviato gli Stati generali dell'editoria in vista di una riforma del settore attesa da troppi anni. I<br />

problemi sono molteplici e sono strettamente legati ai costi in aumento (carta e manodopera), alle vendite in<br />

costante calo, alla diminuzione della pubblicità, al sistema distributivo inadeguato, al diffondersi del comparto<br />

on-line. Su t questo punto l'analisi dvMalinconico si fa dettagliata, perché se si vuole la qualità<br />

dell'informazione non si può pensare di continuare a non pagarla e si è visto che le inserzioni pubblicitarie sul<br />

web non sono assolutamente sufficienti. Pertanto «è necessario adottare misure di tutela del copyright e<br />

sistemi di micropagamenti per i servizi offerti, per far affluire risorse ai produttori di contenuti editoriali, che<br />

attualmente non sono tutelati e vengono saccheggiati da rassegne stampa e motori di ricerca». Una<br />

situazione che condurrà «all'assenza di notizie attendibili sulla rete», mentre «la qualità giornalistica resta un<br />

valore dominante per vincere le sfide del futuro». Il governo, inoltre, favorirebbe lo squilibrio nel mercato della<br />

pubblicità. La stessa normativa comunitaria sul "product placement" (l'inserimento della pubblicità nei prodotti<br />

cinematografici e televisivi) senza un opportuno bilanciamento, «influenzerà negativamente i contenuti dei<br />

programmi e sbilancerà ancor di più le risorse a favore della ty», che dal 54% del mercato giungerà al 60.<br />

Nota finale sulle intercettazioni: «Le sanzioni sono esagerate e c'è sovrapposizione fra la responsabilità<br />

dell'editore a quella del direttore». I COSTI LA P U B B L I C I ! ^ -16,4% ^ il calo Élla pubblicità nei quotidiani<br />

nel 2009 +0,6% l'aumento nel primo trimestre 2010 -29,3% il calo della pubblicità nei periodici nel 2009<br />

•13,5% il calo nel primo trimestre 2010 i\ fin/ l^H il caio delle vendite ••* dei quotidiani nel 2009 •6% il calo nel<br />

primo trimestre 2010 •5,6% il calo delle vendite dei settimanali nel 2009 [»M»J il calo dei mensili nel 2009 I<br />

COSTI DELL'EDITORIA TARIFFE II problema è il decreto ministeriale del 30 marzo che abolisce le tariffe di<br />

AVVENIRE - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Avvenire<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 10<br />

spedizione agevolate per l'editoria. Tutto è lasciato alla trattativa fra editori e Poste. Intanto sono ripristinate le<br />

tariffe piene. VENDITE Vendite e pubblicità ancora in calo, soprattutto - " per periodici e mensili. Le edicole<br />

vanno valorizzate e la distribuzione in abbonamento è inaffidabile. Stop allo sfruttamento gratuito da parte di<br />

Internet LEGGI Necessario un quadro normativo moderno e una politica di rilancio industriale e culturale.<br />

Servono tempi certi e convochi gli Stati generali<br />

AVVENIRE - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Avvenire<br />

ED. NAZIONALE<br />

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I I PDL, LA DEMOCRAZIA INTERNA, I BIG IN LOTTA<br />

Tra psicodramma e svolta politica<br />

SERGIO SOAVE<br />

La discussione, se così può essere definita, che si è svolta nel corso deila direzione del Popolo della libertà<br />

tra il presidente della Camera e quello del Consiglio, sembra appartenere più al genere dello psicodramma<br />

che a quello del confronto politico. Gianfranco Fini ha svolto un ragionamento ricco di evocazioni di problemi<br />

di metodo, di rivendicazioni di autonomia intellettuale, ha riconosciuto che l'esito elettorale del Pdl è stato<br />

felice, persino attribuendo personalmente a Silvio Berlusconi la difficile vittoria nel Lazio. Quando è passato a<br />

enunciare i temi politici di dissenso, ha elencato una serie di questioni rilevanti ma non decisive, a parte la<br />

tesi - forte eppure tutt'altro che inattaccabile - di una crescente subalternità del Pdl alla Lega nelle regioni<br />

settentrionali. Il punto principale, dal punto di vista politico, quello dell'opportunità di cercare una vasta<br />

maggioranza parlamentare per varare una grande riforma delle istituzioni statali, era già stato -tolto dal tavolo<br />

da Berlusconi che, nell'introduzione, aveva persino scavalcato Fini, escludendo la possibilità di riformare la<br />

Costituzione nella sua struttura i •*fondamentale senza l'accordo delle opposizioni. D lato paradossale della<br />

situazione sta proprio nel fatto che mentre le distanze politiche di merito tra i due contendenti si sono ridotte,<br />

a ben vedere, a dimensioni tutt'altro che laceranti, i loro rapporti sono diventati ancora più aspri. Lo si è capito<br />

quando Berlusconi si è detto compiaciuto della marcia indietro di Fini, provocando una reazione stizzita da<br />

parte del suo interlocutore, sfociata poi in una serie di recriminazioni reciproche che hanno reso plastica la<br />

sensazione di incomunicabilità e di reciproca incomprensione. Non è chiaro quali saranno le conseguenze<br />

concrete di questo stato di cose. Berlusconi non sopporta che le critiche politiche di Fini vengano amplificate<br />

dalla sua carica istituzionale, che a suo parere le renderebbe improprie, ma non ha modo di impedire che il<br />

"controcanto" di Fini prosegua dalla poltrona più alta di Montecitorio. Fini, per parte sua, rivendica uno spazio<br />

per l'espressione di un dissenso permanente all'interno delle strutture dirigenti del partito, ma non ha la forza<br />

(la "conta" è stata impietosa) per imporre modifiche alla prassi e allo statuto del Pdl. Si è a uno stallo, che non<br />

si è trasformato in tregua, ma che difficilmente può evolvere fr una rottura definitiva. * -...., Quel che è certo è<br />

che la prima fase della vita del Pdl, ingessata in un rapporto predeterminato tra dirigenti provenienti dalle<br />

formazioni confluite, è terminata. E che dall'avvio dei congressi territoriali, che Berlusconi ha annunciato<br />

s'inizieranno dall'autunno, si determineranno i rapporti di forza interni in base al consenso raccolto da quelle<br />

che, si voglia o no, appaiono come correnti legate ai due leader contrapposti. Il Pdl si trova ad affrontare un<br />

problema classico nella vita dei partiti, quello di una democrazia interna nella quale si esprima liberamente la<br />

pluralità delle posizioni, inevitabile peraltro in un partito che aspira a esercitare la funzione di raccolta<br />

dell'ampia ma variegata area dei moderati, cercando di evitare che l'esasperazione di un dissenso<br />

permanente assuma caratteri spettacolari tali da offuscare il carattere unitario e l'efficacia dell'azione politica<br />

e di governo. Se questa dialettica si esprimerà in un clima di partecipazione diffusa e aperta al confronto,<br />

uscendo dalla contrapposizione personale all'interno di un ceto politico ristretto, probabilmente potrà agire<br />

positivamente, come strumento per il chiarimento delle scelte politiche e per la selezione e il ricambio della<br />

classe dirigente. Se invece resterà confinato in un ambito più elitario rischia di perpetuare una conflittualità<br />

legata alla competizione per la leadership, peraltro non attuale, che difficilmente può giungere a una sintesi o<br />

a una soluzione utile al Pdl e all'equilibrio del sistema bipolare. Per quel che riguarda, invece, le prospettive<br />

del processo di riforma istituzionale, queste sono legate oggi più di ieri alla scelta che faranno le formazioni di<br />

opposizione, alle quali l'esplosione del dissenso interno al Pdl offre una possibilità di incidere in modo più<br />

determinante, aumentando la loro responsabilità e ponendo anche a loro il problema di adottare scelte non<br />

semplici.<br />

AVVENIRE - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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Corriere della Sera<br />

17 articoli


23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

Il premier sollevato: ha fatto una figuraccia Si allinei o è fuori<br />

I ceti produttivi non hanno votato a sinistra, il proletariato operaio di sinistra è passato a destra e ha votato<br />

Lega Giulio Tremonti, Pdl Punta su un passo falso di Fini o dei suoi per intervenire «Si va avanti, ci sono i<br />

numeri». Ma l'ipotesi voto resta<br />

Marco Galluzzo<br />

ROMA - Manca solo la sentenza, l'atto finale, la dichiarazione del divorzio politico. C'è nella sostanza, non<br />

ancora nella forma. Fini dice che non se ne andrà, Berlusconi è convinto che troverà una forma per obbligarlo<br />

a lasciare o il partito o la presidenza della Camera. A fine giornata, sull'onda emotiva dello scontro, dice di<br />

sentirsi sollevato: è contento perché Fini «ha fatto una figuraccia», perché dopo l'approvazione del<br />

documento finale «non è più un problema mio», perché ora ha gli strumenti, a suo giudizio, per risolvere una<br />

volta per tutte la questione: «O si allinea o è fuori».<br />

Lo strumento è contenuto nel documento finale letto da Maurizio Lupi, approvato a larga maggioranza, e per<br />

alzata di mano, dalla direzione del Pdl. Soprattutto in quel passaggio che «dà mandato» al presidente del<br />

partito, ovvero al Cavaliere, quindi in seconda battuta ai tre coordinatori (Bondi, Verdini e La Russa), di<br />

adottare ogni tipo di sanzione possibile, dunque anche l'espulsione dal partito, nel caso in cui decisioni<br />

«vincolanti per tutti», perché adottate dagli organi del Pdl, vengano disattese.<br />

L'italiano del documento finale è passibile di interpretazione, teso a dare ampia discrezionalità a Berlusconi e<br />

ai coordinatori: insomma ora il Cavaliere attende solo un passo falso di Fini e dei suoi uomini, in Parlamento<br />

o persino in tv, per adottare provvedimenti formali, fare intervenire i probiviri del partito.<br />

«Ma vattene va!»: un gesto e delle parole che ieri le telecamere non hanno colto il presidente del Consiglio li<br />

ha rivolti a Fini alla fine dello scontro verbale, mentre il secondo si avvicinava al primo e gridava una<br />

domanda retorica che tutti in sala hanno potuto ascoltare («che fai mi cacci?»).<br />

«Chi ha il 6% del partito non può presiedere la Camera dei deputati, come fa a restare?». Attraverso i suoi<br />

uomini, a fine giornata, il Cavaliere fa filtrare altre considerazioni sullo scontro del giorno. La frase è<br />

eloquente, anche se insieme ad altre becca la secca smentita del portavoce di Palazzo Chigi, Paolo Bonaiuti.<br />

Si rimarca il bottino raccolto dalla terza carica dello Stato nel voto finale. Sembra annunciarsi un possibile leit<br />

motiv dei prossimi giorni: destabilizzare, delegittimare una carica istituzionale sino a un possibile punto di<br />

rottura.<br />

Se sarà anche fatto un passo formale, ovvero una sorta di sfiducia politica, ancorché senza precedenti, non è<br />

ancora dato sapere, ma se ne discute nello staff del capo del governo.<br />

E ancora, altro ragionamento: quel 6% raccolto da Fini dentro il partito è per il premier «un dato devastante»,<br />

racconta un deficit di rappresentanza che va ormai colmato al contrario, ovvero non assecondando le<br />

richieste di Fini, bensì valutando che a Fini finora è stato concesso fin troppo, a cominciare appunto dalla<br />

carica che ricopre e per la quale avrebbe perso legittimazione.<br />

Berlusconi sarebbe consapevole delle conseguenze di una simile strategia, ha già fatto la contabilità<br />

parlamentare dell'eventuale rottura definitiva: «I numeri per andare avanti - ha detto - li abbiamo». Ma vi è<br />

consapevolezza che i numeri possono cambiare, le previsioni non corrispondere alla realtà. E dunque anche<br />

l'ipotesi di un ritorno al voto, benché ovviamente non auspicata, viene presa in considerazione.<br />

Di fronte allo spauracchio delle elezioni per il presidente del Consiglio il numero di coloro che seguirebbero<br />

Fini sarebbe inferiore a quello emerso in questi giorni.<br />

RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

I nodi Il processo breve «amnistia mascherata» 1 Fini ha attaccato il premier sul processo breve: «Era<br />

un'amnistia mascherata» L'accusa al partito: «fotocopia della Lega» 2 Fini accusa il Pdl di subire il Carroccio:<br />

«Al Nord siamo diventati la fotocopia della Lega» I figli degli immigrati e il diritto alla scuola 3 Per Fini non si<br />

possono cacciare da scuola «figli di immigrati che hanno perso il permesso di soggiorno»<br />

CORRIERE DELLA SERA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

Foto: A Bologna otto anni fa<br />

Foto: Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sul palco del congresso di An a Bologna nell'aprile 2002. Sopra, il<br />

premier ieri sera nell'auto con i vetri antiproiettile<br />

CORRIERE DELLA SERA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 10<br />

L'ira di Bossi, allarme per governo e alleanza<br />

I timori della Lega: dai finiani può venire uno stop alle riforme Zaia Temo che in questa bagarre qualcuno<br />

voglia ostacolare il rinnovamento Camicie verdi l sostenitori della Lega Nord, lo scorso settembre, sfilano in<br />

piazza a Venezia durante la festa dei popoli padani<br />

Marco Cremonesi<br />

MILANO - Gianfranco Fini, il nemico del Nord. Addirittura: i pericoli per l'alleanza con il Pdl. E il governo a<br />

rischio. Umberto Bossi ha seguito lo showdown del Pdl in televisione, da via Bellerio, il quartier generale del<br />

Carroccio. In compagnia di Leonardo Carioni, il presidente della Provincia di Como, ha fatto alcune telefonate<br />

ed è poi tornato a Roma, a cena con Roberto Calderoli e Roberto Maroni.<br />

Chi gli ha parlato riferisce di un Umberto Bossi più arrabbiato che preoccupato. Perché ha letto le parole del<br />

presidente della Camera come una minaccia diretta: in particolare i passaggi sul federalismo fiscale. «I<br />

decreti attuativi - ha detto Fini - sono estremamente pericolosi se vengono scritti senza avere chiara la stella<br />

polare di garantire l'interesse nazionale. Io voglio capire se per il Pdl questi decreti vanno fatti ad ogni costo.<br />

Io dico che vanno fatti, sì. Ma non a qualsiasi costo». Neanche a farlo apposta. Come Bossi ha detto nei<br />

giorni scorsi, il tempo per le riforme non è infinito: «Ci stiamo stufando». E le fibrillazioni dentro al Pdl - questo<br />

è il ragionamento - rischiano di condizionare in maniera pesante, e magari con qualche sorpresa d'aula, il<br />

percorso delle leggi.<br />

Un fatto inaccettabile che potrebbe, questa volta sì, incrinare l'asse di ferro tra Umberto Bossi e Silvio<br />

Berlusconi e l'alleanza tra i due partiti. Luca Zaia, il governatore veneto, lo ha detto ieri con toni soft: «Noi<br />

guardiamo con rispetto alle vicende in casa altrui, e la Lega conferma il totale e convinto sostegno a Silvio<br />

Berlusconi. Del resto, il rapporto con Umberto Bossi ne fa fede. Ho un unico timore: che in questa bagarre ci<br />

sia qualcuno che possa pensare di ostacolare il percorso delle riforme».<br />

Roberto Castelli ritiene addirittura che Fini abbia rotto gli indugi in questo momento proprio per questo.<br />

Secondo il viceministro alle Infrastrutture «il grande successo della Lega rischia di dare un grande impulso al<br />

processo riformatore. Noi sapevamo da tempo che all'interno del Pdl ci sono forze che vogliono lo status quo,<br />

per cui oggi devono fermarci ad ogni costo». Aggiunge Castelli: «Guardate i nomi dei finiani, sono il vero<br />

partito del Sud». Insomma, Castelli - e non solo lui - teme che esca «allo scoperto in Parlamento il partito di<br />

quelli che fino ad ora hanno solo fatto finta di sostenere il federalismo fiscale, confidando che non sarebbe<br />

mai arrivato a compimento».<br />

Il termometro del sentimento leghista è, come al solito, Radio Padania. Il direttore Matteo Salvini ieri ha<br />

trasmesso i passaggi più significativi dell'intervento di Fini. Apriti cielo. Un'alluvione di interventi furenti, anzi,<br />

«incazzati»: «Sembra un extraparlamentare di sinistra», «Abbiamo avuto sin troppa pazienza» per rimanere<br />

ai più pacati. Non manca chi ricorda il famoso anatema finiano del 1997: «Io con Bossi non prenderei<br />

neanche un caffè».<br />

Ma ieri, al Carroccio, è piaciuto poco anche Renato Brunetta: dopo le esternazioni post elettorali sullo scarso<br />

sostegno ricevuto dal Carroccio, ieri il ministro per la Pubblica amministrazione ci è tornato sopra: «È vero<br />

che il Pdl subisce al Nord, lasciando troppi spazi di manovra alla Lega. Io ne so qualcosa...».<br />

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La Lega e Fini La preistoria<br />

Nel 1991, la prima discesa di Umberto Bossi in Sicilia ricevette l'accoglienza dell'allora segretario del Fronte<br />

della gioventù, Gianni Alemanno: «Ha costruito le sue fortune sul pregiudizio antimeridionale, è una<br />

provocazione inaccettabile che Bossi venga in Sicilia».<br />

Rapporti difficili<br />

Già nel febbraio 1994, a un mese dalle elezioni che avrebbero portato al primo governo Berlusconi, Fini<br />

spiegava che «Occhetto è un avversario, Bossi il nemico». E a elezioni vinte, Bossi chiese pubblicamente al<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 10<br />

premier incaricato di non dare ministeri «ai fascisti».<br />

Neppure un caffè<br />

Nel 1996, Umberto Bossi proclamò la secessione. L'anno successivo, Fini pronunciò l'ormai celebre frase:<br />

«Bossi non lo incontro nemmeno per un caffè. Un rapporto con lui significherebbe tradire l'identità del Polo a<br />

difesa dell'unità nazionale».<br />

La legge insieme<br />

Nel 2002 Bossi e Fini, ministri per la Devoluzione e per le Riforme, firmano insieme una legge di cui si parlerà<br />

molto, quella sull'immigrazione.<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

Voto a maggioranza: correnti inammissibili<br />

Dalla direzione del Popolo della Libertà è arrivato uno spettacolo indecoroso Pier Luigi Bersani, Pd Passa il<br />

documento finale, solo 13 i contrari: ogni iniziativa se non si rispettano le decisioni<br />

R. Zuc.<br />

ROMA - Come prima volta non c'è male. La direzione del Pdl, che finora non era mai stata convocata,<br />

registra una divisione che passa alla storia del partito nato dalla fusione tra Forza Italia e An: nella votazione<br />

che conclude l'attesissima riunione, una buona parte dei fedelissimi di Gianfranco Fini (13 su 18) boccia il<br />

documento, sostenuto invece dal resto dell'assemblea composta da 172 delegati, compreso Silvio<br />

Berlusconi. In altre parole l'unanimità del Pdl attorno al suo leader viene per la prima volta messa in<br />

discussione pubblicamente e, non a caso, proprio su questo punto insiste il testo messo ai voti: «Le correnti o<br />

componenti negano la natura stessa del Popolo della libertà ponendosi in contraddizione con il suo<br />

programma stipulato con gli elettori e con chi è stato dagli stessi elettori designato a realizzarlo attraverso il<br />

governo della Repubblica».<br />

Insomma, la «corrente» dei finiani viene bocciata al suo nascere. Certo, continuerà ad avere la libertà di<br />

esprimersi, come recita lo stesso documento: «In un grande partito si deve poter discutere di tutto». Ma, si<br />

precisa, «a due condizioni: che non si contraddica il programma elettorale e che, una volta assunta una<br />

decisione negli organi deputati, tutti si adeguino al risultato del voto». Perché «una volta che tali decisioni<br />

siano state assunte all'unanimità o a maggioranza, esse acquistano carattere vincolante per chiunque faccia<br />

parte del Pdl». In altre parole, si avvertono i finiani che non potranno opporsi alle scelte prese a maggioranza.<br />

Anzi, si fa capire che potrebbero anche rischiare l'espulsione, visto che si dà «mandato al presidente e ai<br />

coordinatori di assumere ogni iniziativa utile ad assicurare la realizzazione del programma e delle decisioni<br />

assunte dagli organi statutari, stabilendo il rispetto delle decisioni votate democraticamente».<br />

Il documento, che si fonda su 9 punti programmatici, insiste anche sulla necessità di portare avanti le riforme<br />

istituzionali, tema che era stato affrontato da Berlusconi anche nel suo intervento iniziale, accompagnato da<br />

un'apertura all'opposizione: «Si devono fare con il consenso di tutti». Oltre al suo discorso e a quello di Fini<br />

l'assemblea ha ascoltato gli interventi di numerosi altri esponenti del Pdl, dai capigruppo di Camera e Senato,<br />

Cicchitto e Gasparri, a quello dei ministri (tra cui Tremonti), fino ai sindaci di Roma e Milano, Alemanno e<br />

Moratti.<br />

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I nove punti 1 Razionalizzare la spesa Ecco il primo dei 9 impegni del Pdl per i prossimi 3 anni: «Ridurre e<br />

razionalizzare la spesa pubblica» 2 L'intervento sul fisco Il secondo impegno è realizzare «una riforma fiscale<br />

per ridurre le tasse compatibilmente con i vincoli di bilancio» 3 Il welfare e le imprese Il terzo punto del<br />

programma per il quale il Pdl ha rinnovato l'impegno è il sostegno a famiglie, lavoro e imprese 4 La pubblica<br />

amministrazione Il quarto punto: «Proseguire nella riforma e nella digitalizzazione<br />

della Pubblica amministrazione» 5 Il piano per il Sud Ecco il punto numero 5 del documento finale della<br />

Direzione del Pdl: «Realizzare un piano per il Sud» 6 Il piano infrastrutture Sesto punto programmatico:<br />

«ammodernare e potenziare il sistema delle grandi infrastrutture» 7 Il sistema giudiziario La riforma della<br />

Giustizia occupa il settimo posto: «Realizzare la riforma organica del sistema giudiziario» 8 Le riforme<br />

istituzionali «Realizzare le riforme istituzionali, ivi compresa la modifica dei regolamenti parlamentari» 9 La<br />

lotta alle mafie Ultimo punto: «Proseguire nella lotta alla criminalità organizzata che ha prodotto risultati mai<br />

raggiunti»<br />

CORRIERE DELLA SERA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

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«Devi andartene». «Mi cacci?» Berlusconi-Fini all'ultima lite<br />

Come ex coniugi alternano scontri al ricordo di momenti affettuosi Gianfranco cita la prescrizione breve Silvio<br />

affonda: vai via dalla Camera Prima volta Per la prima volta in 17 anni di politica, Berlusconi presiedeva<br />

un'assemblea in cui veniva criticato anziché celebrato Fini sui complotti «Ora che la campagna elettorale è<br />

finita, credi veramente che la lista del Pdl in Lazio sia stata esclusa per un complotto dei magistrati?» Il ruolo<br />

Valeva la pena fare da contrappunto quasi giornaliero con dichiar<br />

Aldo Cazzullo<br />

ROMA - Come un marito e una moglie che d'improvviso si gettano addosso i rancori di anni - «dillo davanti a<br />

tutti, cosa mi hai detto l'altro giorno!», «ma se te l'ho detto cento volte!», «te ne devi andare», «mi stai<br />

cacciando?» - e ogni tanto si abbandonano a rievocazioni quasi romantiche: «Ti ricordi quella discussione di<br />

ore?», «ti ricordi quante litigate?».<br />

E dire che erano partiti calmi e tranquilli. Congresso entro l'anno, riforme condivise, votazioni interne al<br />

partito, «incontriamoci più spesso». Toni da conciliazione, come suggeriva l'indirizzo della Direzione Pdl,<br />

all'ombra di San Pietro. Invece i due non si sono tenuti. Al di là delle cose dette, è il tono con cui Fini ha<br />

chiamato il premier «Berlusconi» - mai «presidente» e una sola volta «Silvio» -, è il modo in cui si è alzato a<br />

sventolargli il dito sotto il naso, a rendere il divorzio irreparabile, sia pure non ancora formalizzato.<br />

Berlusconi era nervoso fin dall'inizio. Per la prima volta in 17 anni di politica presiedeva un'assemblea in cui<br />

veniva criticato anziché celebrato. Una giornata da Prima Repubblica. Niente Meno male che Silvio c'è;<br />

musica da ascensore. Mentre parla Fini, Berlusconi resta a braccia conserte, fa la faccia scura, tamburella<br />

con le dita sul tavolo. Platea gelida e tesa; solo Dini dorme il sonno del giusto. Quando il presidente della<br />

Camera cita «gli insulti ricevuti da giornalisti lautamente pagati da stretti familiari del presidente del<br />

Consiglio», la platea già fredda si lascia andare a brusii, fischi e grida di disapprovazione. «Ma se ti ho detto<br />

che sono pronto a vendere una quota del Giornale a un imprenditore vicino a te! - grida Berlusconi -. E<br />

comunque il più duro nei tuoi confronti è Libero, che è di Angelucci, un tuo amico personale». Fini non si<br />

ferma, Alemanno si copre gli occhi con le mani. Smorfia sdegnata di Quagliariello, urla dal fondo che<br />

incredibilmente non svegliano Dini. Lo scontro degenera quando il presidente della Camera chiude parlando<br />

di giustizia. Basta una frase - «non dobbiamo dare l'impressione che stiamo difendendo sacche di impunità,<br />

ricordati quando volevi far saltare seicentomila processi» - per far scattare Berlusconi: «Erano seicentomila<br />

su otto milioni!». Il premier ribalta la scaletta, sceglie di rispondere subito, riferisce altre conversazioni private,<br />

cerca e trova lo scontro: «se vuoi fare politica, non puoi fare il presidente della Camera». Meglio che Fini se<br />

ne vada adesso, con pochi fedeli, che dopo un anno di logoramento; ma non è calcolo, è emozione, e<br />

rancore reciproco. Le donne, dalla Carfagna in nero alla Mussolini informale con la coda, dalla Lorenzin in<br />

mocassini alla Carlucci che con i tacchi arriva quasi a due metri, sono tutte in piedi ad applaudire il capo. Dini<br />

si sveglia. Fini patisce, non è brillante come al solito, neppure lui è abituato ad accoglienze ostili, e oggi la<br />

platea al 90 per cento è ostile. Berlusconi vince questa udienza della causa di separazione, ma per tutta la<br />

giornata resterà come stordito, stanco, sofferente. Il reato di lesa maestà è consumato, e per sempre.<br />

La regia è concepita per mettere Fini in un angolo. «Puerile» la definisce lui. Dei tre coordinatori del partito è<br />

il mite Bondi ad azzannarlo, a ricordargli quanto deve a Berlusconi e dove sarebbe oggi la destra missina<br />

senza il Cavaliere. Poi sfilano i ministri, ognuno rivendica il «governo del fare» e depreca che il Pdl si divida<br />

dopo «una grande vittoria», Tremonti mette a segno la migliore battuta della giornata - «la sinistra è più che<br />

mai il partito dell'Appennino e Vendola rappresenta l'Appennino dauno» - ma neppure lui tende la mano a<br />

Fini, sempre più isolato. Il presentatore è Berlusconi, che introducendo gli interventi pianta ogni volta una<br />

banderilla: «Prima ho ringraziato i cofondatori Fini, Rotondi e Giovanardi. Mi sono dimenticato, e mi scuso,<br />

degli altri cofondatori Mario Baccini, Alessandra Mussolini, Stefano Caldoro, e poi Dini, Buonocore, Biasotti,<br />

Nucara, De Gregorio...». «Ho scoperto che eravamo in tanti a cofondare il Pdl» sorride amaro il presidente<br />

della Camera. Che poi si spinge allo scoperto: «Ora che la campagna elettorale è finita, credi veramente,<br />

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Berlusconi, che la lista del Pdl nel Lazio sia stata esclusa per un complotto dei magistrati?». Fini definisce<br />

Tremonti «il miglior ministro dell'Economia possibile», ma poi lo rimprovera di trovare i soldi solo per la Lega<br />

e non per i 150 anni dell'Unità d'Italia («ma se ne parliamo tutti i giorni!» esplode Berlusconi). Poi concede al<br />

Cavaliere il titolo di «statista», ma lo mette in guardia sul rischio di finire come gli altri due leader di partito<br />

entrati a Palazzo Chigi: Craxi e De Mita (Berlusconi accoglie l'accostamento a De Mita come un affronto<br />

personale).<br />

Brunetta dichiara di divertirsi, ma è l'unico. Bocchino, Urso, Raisi, i finiani indicati dal premier alla pubblica<br />

riprovazione, rinunciano a prendere la parola. Fabio Granata: «È chiaro che hanno scelto di cacciarci. Noi<br />

resisteremo. Ora deve nascere il partito della nazione. Sogno ancora che sia il Pdl. Altrimenti dovremo<br />

fondarlo noi». In effetti il documento finale chiude ogni porta. Non c'è posto per correnti o minoranze<br />

organizzate; «avanti con le cose da fare», meno tasse più autostrade. Il divorzio formale non è per stasera, si<br />

procede da separati in casa, pronti a dividersi al primo scontro, magari ancora sulla giustizia. Solo 11 votano<br />

contro il documento della maggioranza (poi 13 con le dichiarazioni di voto successive di Ronchi e della<br />

Angelilli; ndr); un astenuto, Beppe Pisanu. Domani il problema sarà capire quanti deputati seguiranno Fini,<br />

ma la vera questione è capire quanto seguito troverà nel Paese, quando il Sud pagherà il prezzo del<br />

federalismo fiscale. «Le Regionali le hai vinte ancora tu con il tuo carisma, ma fra tre anni le famiglie, le<br />

imprese, gli italiani ti presenteranno il conto» ammonisce Fini. E ancora: «Il Pdl com'era prima non c'è più».<br />

Su questo Berlusconi concorda. È lui a far inserire nel documento finale la frase-chiave: «Il Pdl è un popolo,<br />

non un partito».<br />

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Affari e politica Il filone della corruzione. Il faccendiere e le chiamate con Verdini e Dell'Utri: sono<br />

galantuomini<br />

Carboni e le telefonate per Cosentino<br />

Un indagato intercettato mentre chiede favori in Cassazione per il sottosegretario Con il Csm Altre<br />

conversazioni sono state registrate con membri del Csm a cui venivano chiesti consigli<br />

Giovanni Bianconi<br />

ROMA - Di prima mattina s'è ritrovato i carabinieri in casa, arrivati con un decreto di perquisizione e la notifica<br />

della nuova indagine per corruzione. Subito dopo, in completo blu su camicia candida, è andato in corte<br />

d'assise d'appello ad ascoltare l'arringa del suo avvocato che sta tentando di ottenere una nuova assoluzione<br />

per l'omicidio del banchiere Roberto Calvi (Londra, giugno 1982) dopo quella conquistata in primo grado,<br />

proseguita fino a metà pomeriggio. È la movimentata giornata di Flavio Carboni, 78 anni ben portati<br />

nonostante due infarti e mille traversie giudiziarie che si arricchiscono di nuovi capitoli.<br />

Nell'ultimo affari e politica s'intrecciano grazie alle telefonate intercettate fra alcuni indagati dai nomi poco noti<br />

(Carboni è il più altisonante) e quelle dove compaiono personaggi non inquisiti ma certamente più famosi: il<br />

coordinatore del Pdl Denis Verdini (a sua volta sotto inchiesta a Firenze, per un'altra vicenda di presunta<br />

corruzione), il senatore Marcello Dell'Utri (condannato a 9 anni di carcere in primo grado per concorso in<br />

associazione mafiosa), il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino, per il quale la Camera dei deputati<br />

ha respinto la richiesta d'arresto per concorso con la camorra.<br />

«Io di questa storia non so proprio niente», si schermisce al termine dell'udienza del processo per omicidio il<br />

faccendiere che non ama quest'appellativo: «Sono un imprenditore e un immobiliarista». Ma Verdini e<br />

Dell'Utri li conosce? Parlate spesso al telefono? «Li conoscono, sono due galantuomini, ogni tanto capita che<br />

ci parliamo, ma questo che vuol dire?». Niente. Tranne che, stando a quanto emerso dall'indagine, c'era un<br />

interessamento anche presso i due parlamentari per sostenere Nicola Cosentino, lo scorso autunno, quando<br />

arrivò la richiesta d'arresto ed era in ballo la sua candidatura al vertice della Regione Campania. «Io di questo<br />

Cosentino non ricordo di essermi occupato - ribatte Carboni -, è una questione che interessava quegli altri<br />

due, Lombardo e Martino. Loro sono campani».<br />

Pasquale Lombardo e Arcangelo Martino sono altri due indagati nel procedimento per corruzione aperto dalla<br />

Procura di Roma; il primo è stato giudice tributario di origine avellinese; il secondo è un ex assessore<br />

socialista al Comune di Napoli, arrestato e poi prosciolto ai tempi di Tangentopoli, tornato alla ribalta per aver<br />

presentato a Silvio Berlusconi il padre della giovane Noemi, Elio Letizia. «Questi qui li conosco perché mi<br />

hanno invitato a un paio di convegni - ricorda il faccendiere-imprenditore -, uno in Sardegna e uno a Milano.<br />

Effettivamente può essere che mi abbiano parlato di Cosentino, ma non è una questione che riguarda il mio<br />

lavoro. Io adesso sono molto impegnato a seguire una grossa scoperta nel campo dell'energia, è questo che<br />

m'interessa».<br />

A Lombardo e Martino, invece, per ammissione dello stesso Carboni e stando alle indiscrezioni sul contenuto<br />

delle intercettazioni ancora coperte dal segreto, interessava molto la posizione del deputato-sottosegretario-<br />

indagato per camorra Cosentino. Tanto che Lombardo telefonava alla presidenza della Corte di Cassazione<br />

per cercare di anticipare i tempi dell'udienza dove si doveva discutere il ricorso contro l'ordinanza di arresto,<br />

in modo da liberare al più presto il parlamentare da quell'ipoteca giudiziaria; ma la corte suprema ha respinto<br />

il ricorso, confermando il provvedimento del giudice. Altre conversazioni sono state registrate con un paio di<br />

componenti del Consiglio superiore della magistratura - un togato e un laico -, ai quali venivano richiesti<br />

consigli e interventi che però non avrebbero rilevanza penale, almeno secondo le prime valutazioni di<br />

investigatori e inquirenti. Che oltre ai colloqui hanno registrato movimenti di denaro e scambi di altre «utilità»<br />

tra gli indagati, collegati ad affari immobiliari e di altro genere in Sardegna, in Campania e in Lombardia, sulla<br />

base dei quali è stato ipotizzato il reato di corruzione.<br />

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«Non ne so nulla», si limita a dire l'inquisito più noto mentre ringrazia l'avvocato Renato Borzone dopo<br />

l'arringa nel processo per l'omicidio affaristico-mafioso di Roberto Calvi. Per Carboni e gli altri due imputati,<br />

Calò e Diotallevi, l'accusa ha chiesto l'ergastolo. «Ma lui non sapeva nemmeno che Pippo Calò, conosciuto<br />

sotto altro nome, appartenesse alla mafia - ha spiegato il legale ai giudici -. Nel 1981 si rivolgeva agli usurai<br />

romani per ottenere il denaro con cui comprava terreni che poi rivendeva, e così si arricchiva». Il suo assistito<br />

ha tentato di correggerlo, ma l'avvocato l'ha stoppato: «Vabbé, Carbò, abbia pazienza...».<br />

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Foto: Indagato e vittima A fianco Flavio Carboni, 78 anni, sopra il banchiere Roberto Calvi<br />

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Fisco Accusato di corruzione. Lui: sono sereno<br />

«Maxi bustarella per pagare meno tasse» Indagato Maldini<br />

Nei guai anche la moglie del calciatore L'intercettazione Maldini: volevo fare una piccola verifica fiscale su...<br />

Nel senso se ha avuto problemi con la giustizia ad esempio eh .. Oppure se ha avuto problemi con il fisco<br />

Giuseppe Guastella<br />

MILANO - Almeno 185mila euro in nero più un onorario di altri 40mila l'anno per sentirsi garantire che il fisco<br />

non avrebbe messo il naso nell'immobiliare Velvet. A pagarli sarebbero stati l'ex campione del Milan Paolo<br />

Maldini e sua moglie, l'imprenditrice ed ex modella venezuelana Adriana Fossa. Il primo, azionista di<br />

maggioranza della Velvet, e la seconda, rappresentante legale, sono finiti nei guai con la giustizia con<br />

l'accusa di aver corrotto Luciano Bressi, funzionario dell'Agenzia delle entrate di Milano arrestato a giugno<br />

2009, che «garantiva loro l'esenzione di controlli fiscali da parte dell'ufficio di Milano 1».<br />

Quello dei coniugi Maldini è solo uno dei 151 episodi che la Procura di Milano ha delineato con la chiusura<br />

delle indagini - atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio - a carico di 43 indagati, tra i quali ci sono 11<br />

dipendenti di vari uffici dell'Agenzia delle entrate nel Milanese, una ventina di imprenditori, 7 commercialisti,<br />

un notaio, un avvocato e un giornalista.<br />

Le indagini della Guardia di Finanza di Milano, coordinate dal sostituto procuratore Paola Pirrotta, avevano<br />

svelato che bastava che i commercialisti, per conto dei loro clienti, pagassero laute mazzette agli impiegati<br />

infedeli - alcuni dei quali furono arrestati dalle Fiamme gialle mentre prendevano le tangenti - per vedere di<br />

colpo svanire le cartelle esattoriali oppure dimagrire d'incanto le sanzioni fiscali per centinaia e centinaia di<br />

migliaia di euro. Così fu per un imprenditore di Milano che, mettendo 50/60mila euro nelle tasche di due<br />

dipendenti dell'Agenzia, riuscì a farsi cancellare un debito di imposta di ben un milione e 533mila euro<br />

caricato dal fisco sulle spalle delle sue tre società.<br />

Un'altra delle specialità dei pubblici ufficiali corrotti era quella di entrare abusivamente nella banca dati del<br />

fisco per carpire informazioni riservate. Come nel caso, ancora, dei Maldini che, per sapere se fosse<br />

affidabile una persona con la quale stavano per entrare in società, a gennaio 2009 chiesero a Bressi di fare<br />

una verifica. I telefoni erano intercettati e la Gdf seguì la conversazione in diretta. «Paolo Maldini è tranquillo<br />

e sereno, le accuse sono infondate. Dimostreremo che lui e sua moglie sono caso mai delle vittime», dichiara<br />

il legale dell'ex capitano rossonero, l'avvocato Danilo Buongiorno. Bressi, direttore di sala dell'Agenzia delle<br />

Entrate-Milano 1, prima di essere arrestato era capo degli impiegati che avevano rapporti con il pubblico.<br />

Contemporaneamente, però, gestiva lo studio contabile CM Servizi Amministrativi in via Manara a Milano, a<br />

fianco del Tribunale. Lì si occupava delle pratiche dei suoi clienti, tra i quali nomi noti dello sport e dello<br />

spettacolo.<br />

La curiosità fa brutti scherzi. Ne sa qualcosa anche il giornalista Mediaset Davide De Zan che, come i<br />

Maldini, si ritrova accusato di concorso in violazione di sistema informatico protetto perché, a quanto sostiene<br />

l'accusa, ad aprile 2008 si rivolse a Giuseppe Lomuti, un altro dipendente dell'Agenzia delle entrate finito agli<br />

arresti nel 2009, per sapere quale fosse la «condizione patrimoniale» dei suoi colleghi Alessandro Piccinini e<br />

Paolo Ziliani.<br />

gguastella@corriere.it<br />

RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

L'indagine L'accusa<br />

L'ex campione del Milan Paolo Maldini e sua moglie Adriana Fossa (nella foto) sono accusati di aver corrotto<br />

Luciano Bressi, un funzionario dell'agenzia delle entrate di Milano arrestato a giugno 2009, che «garantiva<br />

loro l'esenzione di controlli fiscali da parte dell'ufficio di Milano 1»<br />

L'«onorario»<br />

Maldini e sua moglie avrebbero pagato 185 mila euro più un onorario di altri 40 mila l'anno per avere la<br />

garanzia che il fisco non si sarebbe occupato dell'immobiliare Velvet, di cui Maldini è primo azionista<br />

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Gli indagati<br />

Le indagini della Guardia di Finanza, coordinate dal sostituto procuratore Paola Pirrotta, vedono 43 indagati,<br />

tra i quali 11 dipendenti di vari uffici dell'Agenzia delle entrate nel Milanese, una ventina di imprenditori, 7<br />

commercialisti, un notaio, un avvocato e un giornalista<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 9<br />

Il retroscena Nell'attacco del rivale sul «processo breve» Berlusconi ha intravisto le avvisaglie del<br />

«tradimento»<br />

Sulla giustizia lo scontro finale Cicchitto: così può saltare tutto<br />

Alfano: la riforma si farà. Quirinale preoccupato per le tensioni istituzionali Bongiorno protagonista Fini potrà<br />

contare sulla «fedelissima» Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia di Montecitorio Molte<br />

cose dette da Fini, dalla Lega all'abolizione delle Province, noi le affermiamo da due anni. E per essere liberi<br />

di dirle non siamo entrati nel «partito del predellino» Lorenzo Cesa, Udc<br />

Francesco Verderami<br />

ROMA - Ora che la rottura tra Berlusconi e Fini si è compiuta, nessuno sarà al riparo dalla deflagrazione,<br />

perché l'onda d'urto che colpisce oggi il Pdl si ripercuoterà sulla maggioranza in Parlamento, dunque<br />

sull'azione di governo, rischiando infine di impattare su tutte le istituzioni. È da vedere se il premier davvero<br />

vorrà forzar la mano, non è chiaro se e come proseguirà l'assedio all'ex leader di An per tentare di sfrattarlo<br />

da Montecitorio. «Si illude se pensa di cacciarmi», replica Fini. Ma non c'è dubbio che il conflitto è pronto a<br />

propagarsi e a coinvolgere in prospettiva anche il Colle, «preoccupato per lo scontro istituzionale» in atto,<br />

come ha avuto modo di confidare Napolitano.<br />

D'altronde gli affondi di Schifani prima e del premier dopo alla terza carica dello Stato, sono segnali<br />

inequivocabili secondo il Quirinale, «la riprova - secondo Fini - che nelle cariche di garanzia Berlusconi vuole<br />

semplicemente persone al suo servizio». A parte il fatto che già nelle scorse settimane il presidente del<br />

Senato aveva osservato come fosse «singolare il differente trattamento riservato a me e a Fini», perché «se<br />

parla lui tutti gli fanno i complimenti, mentre se parlo io si scatena il finimondo». Il punto è che l'ex leader della<br />

destra negli ultimi giorni si è troppo esposto nelle questioni di governo e di partito, prestando il fianco alla<br />

controffensiva del Cavaliere, che ha avuto buon gioco ieri nel chiedergli di lasciare lo scranno di Montecitorio<br />

se intende continuare a far politica.<br />

E non c'è dubbio che dal braccio di ferro Berlusconi sia uscito vincitore, ma è altrettanto evidente come il<br />

premier avverta il pericolo di subire - fin da domani - il gioco di logoramento da parte del presidente della<br />

Camera, che non ne ha fatto nemmeno mistero, avvisando Bondi: «Vedrete scintille in Parlamento». Perciò il<br />

Cavaliere ha voluto delegittimarlo nel suo ruolo, retrocedendolo - agli occhi dell'opinione pubblica - a semplice<br />

capo di una corrente minoritaria nel Pdl. L'elemento scatenante del plateale scontro è stato - manco a dirlo -<br />

la giustizia, il passaggio di Fini sul «processo breve», che ha indotto Berlusconi a rompere il cerimoniale della<br />

Direzione, in base al quale avrebbe dovuto parlare per ultimo.<br />

Il premier ha vissuto quelle parole come «una provocazione e una minaccia», così ha sussurrato<br />

guadagnando il palco, lì e non altrove nel discorso di Fini ha intravisto il tradimento. Non a caso il<br />

Guardasigilli si è scagliato contro l'affondo «pretestuoso» dell'inquilino di Montecitorio, «un malevolo inciso<br />

degno di Di Pietro», sommerso dal riepilogo di tutte le leggi varate sulla giustizia «a favore dei cittadini e<br />

contro il crimine organizzato». E giusto per rispondere al segnale, Alfano ha avvisato Fini che il governo non<br />

si sottrarrà al dialogo con l'opposizione sulla riforma della giustizia, ma che «comunque noi l'approveremo, se<br />

necessario a maggioranza, senza aver paura di andare al referendum». È il preludio della battaglia in<br />

Parlamento, dove Fini potrà far valere le proprie prerogative, e potrà contare sull'appoggio della<br />

«fedelissima» Bongiorno, presidente della commissione Giustizia di Montecitorio.<br />

Ecco dove si vedranno le «scintille», ecco quale potrebbe essere il potenziale innesco del conflitto<br />

istituzionale. Perché attorno a questo nodo politico si giocano le sorti stesse della legislatura. «Per noi la<br />

giustizia è uno dei dati costitutivi del partito», spiega Cicchitto: «Se salta questo salta tutto». E Matteoli, se<br />

possibile, è ancor più esplicito, nel modo in cui tronca il suo concetto: «Berlusconi esce ancor più forte dalla<br />

Direzione del partito, ed è deciso ad andare avanti con le riforme. Non credo che sulla giustizia qualcuno<br />

oserà mettersi di traverso. Se così fosse...». Lo scontro nel Pdl li ha divisi, ma nell'analisi Matteoli e Fini la<br />

pensano ancora allo stesso modo, se è vero che ieri il presidente della Camera ha ammesso: «Non so se la<br />

legislatura arriverà al naturale compimento». L'ex leader di An sa di aver subìto un duro colpo, «è un<br />

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momento difficile» ammette, epperò guarda avanti, perché «se sul medio periodo vince Berlusconi, sul lungo<br />

sono convinto che perderà».<br />

Ma è adesso che il Cavaliere vuole mettere a frutto la propria forza, e grazie all'asse con Bossi si prepara a<br />

chiedere piatto. Ora che politicamente ha piegato il «cofondatore», minaccia di espellere la pattuglia finiana,<br />

se non si atterrà alle regole interne di partito, votate ieri con il documento della Direzione. «Un testo ridicolo»,<br />

secondo il presidente della Camera, al quale alcuni passaggi hanno ricordato «certe espressioni usate negli<br />

anni Settanta dal maoismo deviato»: «Servire il popolo... È Berlusconi o Aldo Brandirali?».<br />

Sarà, ma da ieri il Cavaliere ha mani libere nel Pdl, dove ha affermato il suo primato, ed è intenzionato ad<br />

arrivare alla resa dei conti su tutto. E siccome Fini ha perso gran parte della forza che possedeva prima dello<br />

scontro, è evidente che il premier vorrà sfruttare il vantaggio per centrare i propri obiettivi. Compresa la<br />

giustizia. Senza più Fini a far da «cerniera istituzionale», sulla direttiva di marcia c'è il Quirinale.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

La messa al bando del cofondatore<br />

PIERLUIGI BATTISTA<br />

«Che fai, mi cacci?», ha chiesto<br />

Fini a Berlusconi, con incontrollata rabbia polemica. Nell'unico partito che<br />

nella Prima Repubblica non prevedesse la «metastasi» delle correnti, la brutale «cacciata» si ingentiliva però<br />

nella «radiazione».<br />

Le correnti erano bieche «frazioni», e chi ne faceva parte un «frazionista». Lo cacciavano? No, meglio: lo<br />

radiavano.<br />

Radiarono nel Pci il gruppo del manifesto, secondo una liturgia che prevedeva il gesto di sottomissione di chi<br />

ne era la guida culturale (Pietro Ingrao), costretto a scrivere sull'Unità l'atto di accusa destinato a bollare i<br />

reprobi, refrattari alla dura disciplina del partito. Era la legge del «centralismo democratico», che impediva la<br />

cristallizzazione dell'«ampio, franco e anche aspro dibattito» (questa era una delle formule di rito) in una<br />

corrente organizzata («frazione»). La legge che soffocò il dissenso di Giuseppe Di Vittorio sui carri armati<br />

sovietici in Ungheria nel '56 nelle segrete stanze degli organi direttivi. Si sapeva che c'erano gli «ingraiani» o<br />

gli «amendoliani» (poi, nella fase terminale del partito, «miglioristi»). Ma non potevano diventare «correnti»: al<br />

massimo, pudicamente, si poteva parlare di «anime» e più tardi di «sensibilità». La visione sacrale dell'«unità<br />

del partito» creava un'atmosfera di interdetto su ogni dissenso, deplorato come sinonimo di frammentazione,<br />

particolarismo, sabotaggio della Causa. Era il retaggio di una concezione giacobina, e tributaria del pensiero<br />

di Jean-Jacques Rousseau, che equiparava ogni divergenza come un sacrilegio contro la «volontà generale»<br />

una e indivisibile. Anche nel Pdl il dissenso che si fa «corrente» è considerato come un elemento negativo:<br />

ma non in nome della sacralità del Partito, bensì come lesa maestà nei confronti del Leader assoluto.<br />

Ad eccezione del Pci, tutti i partiti democratici prevedevano le correnti. Poi spesso (non sempre) degenerate<br />

in centri di potere, clan, cordate. Ma era scontato che in un partito ramificato, capillarmente organizzato,<br />

composito, articolato la pluralità delle opinioni non solo non fosse un delitto anti-unitario, ma costituisse<br />

addirittura una ricchezza. In un grande partito come la Dc personalità come Moro, Fanfani, Andreotti, Marcora<br />

stavano insieme ma rispettosi di diversità culturali che non erano solo lo schermo nobile di appetiti di potere:<br />

articolazioni naturali per un partito che veniva da filoni ideali tanto differenti, rappresentati da figure come Don<br />

Sturzo e Dossetti. Nel Psi che portò alla leadership di Craxi c'erano le correnti, molte e variegate, come ben<br />

ricorderà Fabrizio Cicchitto (che si fece le ossa in quella lombardiana). Persino la storia del Msi è costellata di<br />

lotte fra correnti, che nella Prima Repubblica dell'«arco costituzionale» non avevano poi così cospicue fette di<br />

torta di potere da spartirsi: e in una di quelle battaglie, come al solito rallegrate da un esuberante scambio di<br />

sediate, lo stesso Fini perse la segreteria post-almirantiana per cederla a Pino Rauti. Oggi molti eredi di<br />

quella stagione missina sembrano invece condividere l'orrore per le «correnti», con uno zelo che assomiglia<br />

molto al rito dell'autocritica con cui Ingrao, «radiati» i suoi seguaci del manifesto, dovette prendere le distanze<br />

dagli appestati e dichiarare la propria granitica adesione alla disciplina al Partito.<br />

Nel nome della battaglia alla «vecchia politica» le correnti sono diventate oggetto di riprovazione. Anche se<br />

non sono svaniti i voraci gruppi di potere che all'ombra della vecchia correntocrazia accumulavano<br />

indisturbati le proprie fortune. E non è svanita, anzi traslocando con paradossale integrità dalla sinistra alla<br />

destra, l'antica diffidenza per il dissidente, il disertore, il sabotatore. Il «traditore». Non nelle Botteghe Oscure,<br />

ma in un grande auditorium dove si svolgeva una riunione teatralmente tempestosa del partito che ha più<br />

familiarità e dimestichezza con gli strumenti della moderna comunicazione, la figura del dissidente in<br />

minoranza è apparsa come un «intralcio», un ostacolo, un freno, un fastidio immeritato per chi ha vinto<br />

ripetutamente le elezioni. Il cofondatore Fini è stato trattato come un «frazionista», presumibilmente mosso<br />

da inconfessabili disegni personalistici. Il partito non-partito si è riscoperto, come d'incanto, Partito. Senza la<br />

«metastasi» delle correnti che ne offuschino la monolitica compattezza. Anche se il voto finale, come era<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

prevedibile quasi plebiscitario a sostegno del leader, ha dovuto registrare l'impossibilità di non contarsi per<br />

presentare il volto dell'unanimità e dell'armonia ritrovata. La «radiazione», per ora, è solo un ricordo. La<br />

«frazione», però, è stata soffocata sul nascere. Senza amputazioni, ma con le armi della sterilizzazione.<br />

Discussione chiusa, sbandierando il sacro feticcio dell'Unità del Partito.<br />

Pierluigi Battista<br />

RIPRODUZIONE RISERVATALa scheda<br />

Lenin<br />

Per Lenin, il centralismo democratico è «libertà di discussione, unità d'azione»: le decisioni possono essere<br />

discusse liberamente dagli organi del partito. Ma una volta prese, vanno sostenute<br />

da tutti.<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 9<br />

Gli esponenti accusati dal premier: «Siamo con Fini e con Lombardo»<br />

I siciliani vicini all'ex capo di An: «Qui il Pdl è allo sbando»<br />

Felice Cavallaro<br />

PALERMO - Il caso Sicilia, con il Pdl spaccato sei mesi fa dal ribelle Gianfranco Micciché, ha contribuito a<br />

infiammare il grande scontro. Con Fini che ha rimproverato la frattura al Cavaliere: «Perché convivono due<br />

partiti, il Pdl e il Pdl Sicilia?». E ottenendo per risposta la promessa di un intervento immediato («da<br />

martedì...»), ma anche una chiamata in correità perché, a sostenere quella frattura e il governo guidato da<br />

Raffaele Lombardo, ha ricordato Berlusconi, sono tanti finiani. Otto, ha detto il premier, ma in realtà più di<br />

dieci. A cominciare dal delfino del presidente della Camera, Fabio Granata, e dall'assessore al Turismo Nino<br />

Strano. E magari ci sarà chi farà ironia su quest'ultimo nome approdato in prima pagina quando da senatore<br />

fece il suo show contro Romano Prodi azzannando una fetta di mortadella nell'emiciclo di Palazzo Madama.<br />

Adesso è pure lui a vestire i panni dell'impeccabile finiano istituzionale, pronto a difendere il capo: «Del<br />

premier non mi sono affatto piaciuti alcuni cenni perché Fini merita rispetto». E la condanna del Lombardo-<br />

ter? «Ci penserà da martedì? Bene. Noi saremo pronti, accanto a Micciché, continuando a lavorare con<br />

Lombardo nell'interesse dei siciliani». Ecco la linea del gruppo che in serata esprime «piena adesione a Fini e<br />

appoggio totale all'azione riformista di Lombardo e del governo» apponendo uno stuolo di firme oltre quelle di<br />

Granata e Strano. Fra i deputati regionali figurano l'altro assessore ex An Luigi Gentile, Carmelo Incardona,<br />

Toni Scilla, Pippo Currenti, Alessandro Aricò ed Emilio Marrocco. Fra Camera e Senato, anche Carmelo<br />

Briguglio, Giuseppe Scalia e Nino Lo Presti. Manca la firma di Nicola Cristaldi, l'ex presidente dell'Assemblea<br />

siciliana che sta con Fini, ma non digerisce Lombardo. Per Granata il merito di Fini è di «aver denunciato la<br />

confusione organizzativa del Pdl in Italia come in Sicilia». E su questo piano gli dà man forte Marrocco<br />

dall'Assemblea dove si litiga per approvare in extremis la Finanziaria: «La verità è che in Sicilia non esiste un<br />

coordinamento regionale. Siamo allo sbando». Nel mirino Giuseppe Castiglione, l'ex forzista catanese inviso<br />

a Lombardo, e Domenico Nania, il colonnello dell'area An al quale, al contrario di Granata, non piace affatto<br />

la «frattura» targata Micciché e contestata da Fini.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 8<br />

Briguglio all'attacco<br />

La sfida del cofondatore «Non sono un dipendente Sarà lui a bruciarsi»<br />

Fini: non lascerò la presidenza della Camera I suoi: siamo abbastanza per far cadere il governo «Se<br />

fondassimo un partito, prenderemmo pure il 5%... ma loro perderebbero le elezioni»<br />

Paola Di Caro<br />

ROMA - Racconta Sandro Bondi che Fini li ha avvertiti: «Attenti, perché da adesso ci saranno scintille in<br />

Aula...». E raccontano i suoi fedelissimi che, con loro, è andato giù ancora più duro: «Io non sono un suo<br />

dipendente, non può fare il padrone con me. Se aspetta che me ne vada si sbaglia, ci provi a cacciarmi se ci<br />

riesce. Io non ci resto con il cerino in mano, semmai sarà lui a bruciarsi...».<br />

In altri giorni si sarebbe detto che certi sfoghi costellano quei momenti che la politica non si nega ma che poi,<br />

grazie al tempo, supera. Ma stavolta è troppo profonda la ferita per non essere mortale, è troppo lacerato il<br />

vestito per essere rattoppato, se è vero che un finiano doc come Fabio Granata già dice che «la rottura<br />

sembra insanabile», e Carmelo Briguglio spiega che «se ce ne andassimo e fondassimo un partito,<br />

prenderemmo pure il 5%, ma loro perderebbero le elezioni», e Italo Bocchino disegna tre scenari, nessuno<br />

allegro per il futuro di quello che era il Pdl: «Noi ci batteremo per esprimere le nostre posizioni come deve<br />

essere in un partito democratico, ma è possibile che o tra due mesi ci si spartisce il partito, o tentano di<br />

mandarci fuori, o Berlusconi dice basta a tutto e va alle elezioni anticipate».<br />

E dunque, se questo è il clima, se raccontano che dietro le quinte dell'Auditorium della Conciliazione si sono<br />

consumati anche i drammi umani di chi ha visto andare all'aria un'intera vita politica - Alemanno che girava<br />

pallido, La Russa che pareva di marmo, la Meloni che singhiozzava come una bambina, tutto mentre i finiani<br />

si riunivano da una parte con il loro leader organizzandosi per mantenere la posizione senza ulteriori strappi o<br />

repliche e i berlusconiani preparavano il documento tenuto segreto fino all'ultimo in cui si scomunica ogni<br />

forma di dissenso - non si capisce come si possa convivere sotto lo stesso tetto.<br />

Suonano allora quasi paludate le parole di Fini che, qualche ora dopo aver sventolato il dito sotto la faccia del<br />

Cavaliere, dice che lui non si dimetterà da presidente della Camera e sarebbe lecito chiederglielo «solo se<br />

non presiedessi in modo super partes», che la sua componente «certo molto minoritaria» rivendica il «diritto a<br />

discutere» nelle sedi di partito che però «non si sa quali sono, perché la Direzione si è riunita solo oggi dopo<br />

un anno», e dice quello che tutti hanno visto plasticamente in diretta tivù: «Oggi è finita la stagione<br />

dell'unanimismo».<br />

Ma per capire come davvero finirà questa stagione, serve anche guardare ai numeri: dei diciotto finiani in<br />

Direzione, secondo Verdini che li contava, solo undici hanno votato contro il documento finale - Urso,<br />

Bocchino, Granata, Briguglio, Perina, Moffa, Augello, Lamorte, Viespoli, Tatarella, Cursi -, ma anche Ronchi e<br />

la Angelilli fanno sapere di aver votato e dunque la conta arriva a 13, con in più l'astensione di Pisanu che<br />

definisce «inaccettabile» la parte del documento che «vieta il dissenso, che non è il sale ma il senso della<br />

democrazia».<br />

Sono comunque un terzo i voti persi (Pontone, Raisi, Di Biagio, Mazzocchi e Pepe), a dimostrazione che il<br />

disorientamento tra i supporter del presidente della Camera c'è, tanto che dall'altro fronte considerano<br />

«importante la piega che prenderà il dibattito tra i finiani per capire cosa succederà» da domani. Quando si<br />

capirà se davvero verrà messa in atto la provocazione della sfiducia a Bocchino, sulla quale i berlusconiani<br />

starebbero raccogliendo le firme, e se diventerà qualcosa più di una minaccia quella dei finiani: «Stia attento<br />

Berlusconi: abbiamo i numeri per farlo cadere, e in quel caso il legittimo impedimento non lo proteggerebbe<br />

più...».<br />

RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

Foto: Il discorso Gianfranco Fini, 58 anni, durante il suo intervento nell'inquadratura del cameraman durante<br />

la direzione del Pdl<br />

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Pag. 8<br />

Foto: 18<br />

Foto: gli ex di An che hanno espresso pubblicamente il loro sostegno a Gianfranco Fini<br />

Foto: 13<br />

Foto: i voti contrari, pari al 7,55%, al documento finale della Direzione nazionale del Popolo della libertà<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

A Montecitorio Ainis: la mozione non è prevista<br />

Il costituzionalista frena: sfiducia alla Camera? Ipotesi che non esiste<br />

I predecessori Gli ex presidenti Pivetti e Violante: l'attività politica non si può impedire<br />

Dino Martirano<br />

ROMA - «No, una mozione di sfiducia nei confronti dei presidenti di Camera e Senato non è prevista dai<br />

regolamenti parlamentari». Nel giorno dello scontro tra Berlusconi e Fini, il professor Michele Ainis che<br />

insegna diritto pubblico a Roma III smonta i progetti di chi, nel Pdl, vorrebbe un voto per sfiduciare in aula<br />

Gianfranco Fini. Ciò che è possibile con il governo, un organo esterno, non è praticabile all'interno del<br />

Parlamento: «E basta pensare al caso Villari - spiega Ainis - che non fu possibile sfiduciare se non mandando<br />

a casa tutta la commissione di vigilanza Rai». Inoltre, c'è anche un precedente in assemblea quando, negli<br />

anni '90 Gustavo Selva (An) annunciò una mozione di sfiducia contro il presidente Luciano Violante: allora gli<br />

uffici di Montecitorio dichiararono il testo irricevibile.<br />

Ma è pur vero che il ruolo di presidente dell'assemblea legislativa è cambiato nel corso degli anni. Con la crisi<br />

dei partiti, i «presidenti della Camera si sono trovati ad esercitare un ruolo crescente di connessione e di<br />

raccordo tra tutti i gruppi presenti in aula e quindi, sempre più spesso, si sono messi di traverso rispetto alla<br />

loro stessa maggioranza. E' successo a me, a Casini e ora anche a Fini...», spiega Luciano Violante, che ha<br />

guidato l'assemblea di Montecitorio dal '96 al 2001, e che ora non vuole esprimere un giudizio sull'invito alle<br />

dimissioni rivolto da Silvio Berlusconi a Gianfranco Fini: «E' un affare interno al Pdl, non mi esprimo». Eppure,<br />

si capisce che Violante non trova sconveniente il comportamento dell'ex leader di An quando cita l'attivismo<br />

di partito di Nilde Iotti che occupò lo scranno più alto della Camera per tre legislature, dal '79 al '92: «Lei<br />

partecipava, eccome. E interveniva alle riunioni degli organi del Pci».<br />

Poi, ai tempi della prima vittoria di Berlusconi, a presiedere la Camera arrivò la leghista Irene Pivetti: «Fini<br />

non ha alcun obbligo di dimettersi e nessuno può impedirgli attività politica», dice. Eppure, «è comprensibile<br />

che Berlusconi in questa circostanza rivendichi un profilo super partes per la presidenza della Camera»<br />

perché l'aut aut di Berlusconi evidenzia un problema innescato dal sistema maggioritario: «I presidenti di<br />

Camera e Senato, immaginati per un sistema proporzionale, ora si trovano ad arbitrare tra due contendenti<br />

ed è assai evidente se si sbilanciano dall'altra parte». Per cui, è la proposta di Irene Pivetti, «sarebbe<br />

opportuno adottare il modello inglese o quello americano: nel primo caso lo speaker è un presidente debole,<br />

che non fissa neanche l'ordine del giorno; mentre il presidente del Congresso usa rappresenta la sua<br />

maggioranza».<br />

Ma c'è anche un caso che investe il presidente del Senato: «Fini vuole fare politica? Lasci la presidenza ed<br />

entri nel governo», è il suggerimento lanciato con la sua intervista al Corriere della Sera da Renato Schifani<br />

che non ha partecipato alla direzione Pdl per sottolineare il suo ruolo super partes. Però Pierluigi Bersani (Pd)<br />

si mette di traverso: «Chi non fa politica scagli la prima pietra. Le conseguenze che si vogliono per gli altri,<br />

Schifani le ricavi per sé». Risponde Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera: «Dopo le fratture nel Pd,<br />

Bersani ha anche l'improntitudine di parlare di spettacolo indecoroso a proposito della direzione del Pdl».<br />

Però, Di Pietro (Idv) accusa: «La minaccia di dire o ti adegui o si va alle elezioni si chiama ricatto politico».<br />

Luigi Zanda (Pd) osserva che si «fa più sottile il confine tra lo Schifani presidente del Senato e lo Schifani<br />

militante del Pdl». E se Italo Bocchino, fedele del presidente della Camera, arriva a dire che «Schifani è il<br />

capocorrente del Pdl in Sicilia», nel Pdl lealista scatta una difesa ad oltranza: «Chi lo critica confonde la stima<br />

e l'affetto che Schifani gode in Sicilia con un metodo di fare politica che non appartiene al presidente del<br />

Senato ma forse a chi lo attacca», afferma Carlo Vizzini (Pdl).<br />

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Foto: Alla Camera Irene Pivetti (Lega), in carica dall'aprile '94 al maggio '96. Sopra Luciano Violante (Pds),<br />

dal maggio '96 al maggio 2001<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 3<br />

Il botta e risposta Le parole del duello<br />

Battaglia di nervi tra minacce e rancori: «Hai cambiato idea» «Tu fai<br />

comizi»<br />

Fabrizio Roncone<br />

ROMA - All'inizio, persino cordiali. Ma è durata poco. Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, rapidamente, hanno<br />

cominciato a rivolgersi accuse e quindi i loro discorsi sono stati farciti con dosi di rancore, sospetti, minacce.<br />

Si sono interrotti a vicenda. E quando non urlavano, è stato necessario interpretarne il labiale.<br />

Il tradimento<br />

(Sul palco, sorriso ironico, Fini ha da poco cominciato il suo intervento).<br />

G.F.: «Berlusconi, te lo dico in faccia come ce lo siamo detti tante volte a quattr'occhi... È una dimostrazione<br />

di lealtà. Perché, vedi, raramente il tradimento è nella coscienza di chi si assume la responsabilità, in<br />

pubblico e in privato, di insistere su alcune questioni...».<br />

(Seduto sulla sinistra del palco, al tavolo con i tre coordinatori del partito, Berlusconi afferra il microfono che,<br />

all'inizio, gracchia. È cereo.)<br />

S.B.: «Non attribuire a me una cosa che non ho detto!».<br />

Il caos della lista nel Lazio<br />

(Fini continua il suo intervento, la platea rumoreggia nervosa)<br />

G.F.: «Sono talmente poco prevenuto che non ho difficoltà a dire che in alcuni casi le elezioni le ha vinte<br />

personalmente Berlusconi... A partire da Roma... dove però, presidente, adesso che la campagna elettorale è<br />

finita... ma credi per davvero che la lista non sia stata presentata per un complotto di magistrati cattivi e di<br />

radicali violenti?».<br />

S.B.: «Per un comportamento, non per un complotto...».<br />

L'incontro di martedì<br />

(Sono le 14.08: il Cavaliere, da alcuni minuti, ha cominciato il suo intervento. Appare teso. Dopo aver detto<br />

che «la Lega, sull'immigrazione, ha posizioni fotocopia a quella di An», ha visto Fini gesticolare polemico. Fini<br />

è seduto tra la sua segretaria Rita Marino e Paolo Bonaiuti).<br />

S.B.: «Prendo atto con piacere, Gianfranco, che hai cambiato posizione...».<br />

(Fini scuote la testa)<br />

G.F.: «Non è vero...».<br />

S.B.: «Gianfranco, parliamoci chiaro: sono venuto da te martedì e davanti a Gianni Letta tu mi hai detto...<br />

Punto primo: "Mi sono pentito di aver collaborato a fondare il Popolo della libertà...". Punto secondo: "Voglio<br />

fare un gruppo parlamentare diverso". E io ti ho chiesto...».<br />

(A questo punto Fini balza in piedi e inizia a urlare)<br />

G.F.: «Ti ho chiesto della Sicilia!».<br />

S.B.: «Ti rispondo subito: per iniziativa di Ignazio La Russa abbiamo fatto una riunione con i tre coordinatori e<br />

abbiamo deciso di soprassedere... c'era la campagna elettorale...».<br />

(Fini ride indignato).<br />

Il ruolo «super partes»<br />

S.B.: «... E poi valeva la pena come presidente della Camera di fare da contrappunto quasi giornaliero con<br />

dichiarazioni di contenuto politico che non si convengono a uno che rappresenta un'istituzione, la quale<br />

dovrebbe essere "super partes"?... Queste cose diciamocele tra noi... facciamo le riunioni, no? Ma tu alle<br />

riunioni non hai mai voluto partecipare... anzi, per essere "super partes" non hai partecipato alla campagna<br />

elettorale e non sei voluto venire nemmeno alla manifestazione di piazza San Giovanni...».<br />

(Applauso forte, eccitato dei delegati. Fini, visibilmente scosso).<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 3<br />

G.F.: «Ma quello era un comizio...».<br />

S.B.: «E allora... scusami... Vuoi avere la possibilità di fare tutte queste dichiarazioni? Ti accogliamo a braccia<br />

aperte: le fai da uomo politico nel partito e non da presidente della Camera...».<br />

G.F.: «Perché, mi cacci?».<br />

(Berlusconi lo osserva, sprezzante, dal palco, dove ha ormai concluso il suo intervento. Ma Fini s'è alzato, e<br />

lo raggiunge sotto il tavolo della presidenza. «Che fai, eh? Mi cacci? Dai, forza, dimmelo...»).<br />

S.B.: «Guarda che io ho già...».<br />

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Foto: 172<br />

Foto: i membri della Direzione nazionale del Pdl. Contrari al documento: 13<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

i Costi della Guerriglia<br />

MASSIMO FRANCO<br />

E' finita un'epoca: non solo per il Pdl ma per il centrodestra. L'immagine di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini<br />

che si accusano in pubblico, sotto gli occhi dei dirigenti del partito e del Paese, è a suo modo storica. Archivia<br />

sedici anni di sodalizio politico, perché quello personale si era guastato da tempo. E getta un'ombra sul futuro<br />

della maggioranza, del governo e della stessa legislatura. Da oggi comincia un rapporto che chiamare<br />

coabitazione è eufemistico: siamo alla vigilia di una guerriglia quotidiana, anche in Parlamento, capace di<br />

destabilizzare il Paese.<br />

Quella a cui si è assistito ieri a Roma, durante la direzione del Pdl, è stata una rottura esasperata, viscerale<br />

fino a sfiorare lo scontro fisico. È la conseguenza di un dialogo impossibile fra due visioni e due personalità<br />

ormai agli antipodi, non più complementari. E produce una frattura che Berlusconi vuole certificare, perché<br />

rifiuta l'idea di un Pdl lacerato dalle correnti; e che Fini cerca di tamponare, per non farsi spingere fuori dal<br />

partito e dalla presidenza della Camera: forse anche per dimostrare che il Cavaliere non è più così<br />

onnipotente.<br />

Può darsi che l'ex leader di An ottenga almeno questo risultato: a carissimo prezzo, però. Ieri mattina, le sue<br />

parole sono calate su una direzione del Pdl insieme nervosa e ostile: umori che si riflettevano fedelmente nei<br />

gesti impazienti del premier. Per il modo polemico col quale sono state allineate, le critiche finiane hanno<br />

mostrato non tanto le sue ragioni, ma la distanza ormai siderale da un partito nel quale dopo le Regionali di<br />

marzo si sono creati equilibri dai quali è escluso. Il Pdl ha ascoltato e osservato Fini con una diffidenza e un<br />

pregiudizio radicati, perché ormai viene percepito dal centrodestra come un apolide.<br />

Il suo scarto sembra soprattutto la reazione a un'alleanza con la Lega che lui subisce, e alla quale reagisce<br />

con uno smarcamento plateale ed esagerato: quello che in gergo calcistico si chiama fallo di frustrazione.<br />

L'irritazione berlusconiana fa capire che si tratta di un colpo doloroso, anche per le allusioni pesanti sulla<br />

giustizia. Quando il premier accusa i finiani di esporre il Pdl al ludibrio pubblico, dà voce a una<br />

preoccupazione diffusa. Dopo una vittoria elettorale netta, è difficile spiegare la rissa nello schieramento<br />

vincente mentre c'è una crisi economica grave: suona come un comportamento irrazionale e irresponsabile.<br />

Ma la minoranza sembra seguire una logica che ignora l'accusa di puntare al «tanto peggio tanto meglio».<br />

Fini certifica col suo strappo la propria marginalità nel Pdl, pur di lesionare l'immagine del Cavaliere come<br />

amalgama della maggioranza: anche se per paradosso rafforzerà la Lega che vorrebbe arginare. Sono i frutti<br />

di un antiberlusconismo di destra che per ora rimane annidato nelle pieghe del Pdl; ma che difficilmente può<br />

sopravvivere in un contesto che logora tutti. A questo punto, Fini non ha nulla da perdere; Berlusconi e il<br />

Paese, molto di più.<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 17<br />

A confronto Laburisti e libdem per un ruolo più attivo, tory contro la «piovra Ue»<br />

Amici e nemici di Bruxelles (all'ombra della Thatcher)<br />

Fabio Cavalera<br />

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE<br />

LONDRA - Una baronessa Thatcher in palla, la mattina del 6 ottobre del 1999, andò al palco del congresso<br />

tory che era riunito a Blackpool. Ormai ai margini delle attività pubbliche ma ancora influente nel partito, la<br />

Lady di Ferro attaccò: «Mi ripetono spesso di stare attenta a ciò che dico ma tutti i nostri problemi sono venuti<br />

da lì, dall'Europa».<br />

Fantasma ingombrante, questo dell'Europa. Non solo per l'ancora scatenata Lady di Ferro del lontano 1999.<br />

Nei 65 anni di storia postbellica, i britannici si sono accapigliati parecchio su quale legame politico costruire<br />

con il vecchio continente. Tanto i tory quanto i laburisti, in modo trasversale, hanno litigato e urlato, sono stati<br />

o moderatamente a favore oppure ferocemente contrari, poche volte convinti sostenitori della Comunità prima<br />

e dell'Unione poi. Era cauto Winston Churchill che però affermava: «Dobbiamo costruire gli Stati Uniti<br />

d'Europa». Era europeista il conservatore Edward Heath (premier negli anni Settanta) che accompagnò<br />

Londra dentro il Trattato e fu determinante nel 1975 per il «sì» nel referendum sull'adesione (17,3 milioni di<br />

favorevoli e 8,4 milioni di contrari). Era anti-Europa il segretario laburista Hugh Gaitskell ma è stato pro-<br />

Europa Tony Blair e lo è Gordon Brown. Ribaltoni a non finire. Quale sarà l'atteggiamento del futuro inquilino<br />

di Downing Street? Eccolo il fantasma dell'Europa che si aggira e divide. Viene dalla comunità degli affari un<br />

ammonimento: «Il Regno Unito deve svolgere un ruolo centrale, positivo e non ai margini nell'Unione<br />

Europea». Lo scrivono, ieri, al Financial Times 15 protagonisti del business globale: da sir Branson<br />

(presidente di Virgin) a Lord Brittan (vicepresidente di Ubs Investment bank), da Lord Marshall (presidente di<br />

Nomura International) ad Anthony Salz (vicepresidente di Rothschilds) e Lord Kerr (vicepresidente di Shell). I<br />

laburisti hanno scelto: «Il Regno Unito è più forte nel mondo quando la Ue è forte». I liberaldemocratici di<br />

Nick Clegg sono per «più Europa e meno Stati Uniti», prospettano una sterlina annullata nell'euro (con<br />

referendum popolare). E i tory? Discorso complesso. Si torna alla baronessa e al 6 ottobre 1999. Il pensiero e<br />

l'azione di Margaret Thatcher erano sempre stati chiari: ai tempi in cui stava a Downing Street, nel 1986,<br />

aveva firmato quel documento, l'Atto Unico, che segnò un passaggio rilevante verso l'integrazione europea,<br />

però lo aveva fatto svuotandolo dei contenuti politici, facendo impazzire il francese Jacques Delors, allora<br />

presidente della Commissione, rinfacciandogli che «metter soldi nella Comunità Europea è come riempire<br />

una vasca da bagno senza tappo», ricordando a tutte le capitali un concetto semplice: «Noi non cancelliamo<br />

le frontiere del Regno Unito per vedere un Superstato europeo esercitare un nuovo dominio da Bruxelles».<br />

Margaret Thatcher non era eurofobica ma l'Europa unita non le piaceva per niente. Così, il 6 ottobre del<br />

1999, la baronessa si prese lo sfizio di ricordare al congresso degli amici tory che devolvere i poteri dall'isola<br />

al continente era un suicidio nazionale. La sua era una coerente rivincita. E si comprende. Proprio per<br />

l'Europa la Lady di Ferro, il 28 novembre 1990, era caduta: la congiura di partito che l'aveva detronizzata era<br />

scattata formalmente con le dimissioni del suo vice Geoffrey Howe a seguito di un discorso della stessa<br />

premier Thatcher contro la moneta unica. La signora non l'aveva di certo dimenticato. E non aveva digerito i<br />

commenti del suo successore, il tory John Major, il quale aveva bollato gli euroscettici presenti nel governo<br />

come «the bastards», i bastardi. I conservatori erano spaccati sull'Europa e, nel 1999, al congresso la<br />

baronessa giocò la carta del suo intatto carisma per instillare l'allergia al «mostro» di Bruxelles.<br />

Oggi, undici anni dopo Blackpool, Margaret Thatcher, senza muovere un dito, si è riappropriata del partito. Un<br />

paradosso: il centrodestra britannico si è modernizzato e trasformato ma sull'Europa guarda all'antico. Allora i<br />

conservatori erano incerti, adesso sono una falange compatta in trincea contro il Trattato di Lisbona. È l'unica<br />

eredità thatcheriana che David Cameron, il leader, si porta dietro. Ma conta e conterà. I tory scrivono nel<br />

programma elettorale: «Negozieremo per riprenderci le chiavi del potere decisionale sui diritti legali, sulla<br />

giustizia, sulla legislazione sociale e sul lavoro. La continua e irresponsabile intrusione dell'Unione Europea<br />

CORRIERE DELLA SERA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 17<br />

nella nostra vita si è spinta troppo in là».<br />

Il fantasma che difende la sovranità britannica contro la «piovra burocratica» di Bruxelles potrebbe presto<br />

bussare alla porta del continente. Dipende da chi vincerà. Ecco perché i governi d'Europa seguono con<br />

attenzione la battaglia per Downing Street.<br />

Bentornata signora Thatcher.<br />

RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

Foto: Le tensioni Margaret Thatcher (foto con Giscard d'Estaing) vuole rinegoziare i contributi al bilancio.<br />

Celebre la frase del '79: «Rivoglio i soldi»<br />

Foto: Maastricht Il Trattato è firmato nel '92. Il premier Major (terzo da sinistra, il primo è Ciampi) ottiene l'«opt<br />

out» sulla moneta comune<br />

Foto: L'adesione Nel 1973 il premier conservatore Edward Heath firma l'ingresso della Gran Bretagna nella<br />

Comunità europea<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 17<br />

Gran Bretagna Ieri sera non c'è stato l'effetto sorpresa della prima volta ma l'esito del voto del 6 maggio resta<br />

più che mai incerto<br />

Europa e guerre, si infiamma il confronto tv<br />

Il secondo dibattito vede Brown all'offensiva, Cameron più sicuro e Clegg alla rincorsa Dobbiamo stare in<br />

Europa, non essere guidati dall'Europa Cameron Vogliamo essere leader nel mondo, cambiare la realtà<br />

intorno a noi Clegg David, sei un rischio per l'economia. Nick è un rischio per la sicurezza Brown<br />

F.C.<br />

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE<br />

LONDRA - «Questa può sembrare una gara per giovani talenti televisivi ma non lo è. Se si riduce tutto a una<br />

questione di stile e di pubbliche relazioni, allora escludetemi pure. Io voglio puntare alla sostanza, che vi<br />

piaccia o no, sono l'uomo giusto». Gordon Brown apre il secondo confronto in diretta tv, da Bristol, con una<br />

stoccata ai rivali, come se dicesse: loro sono bravi nell'arte di apparire, nel gestire l'immagine, ma qui si deve<br />

discutere di cose serie e, allora, eccomi pronto, non ho alternative. Il ring propone tre domande: riuscirà<br />

Brown a risollevare le sorti dei laburisti? Si confermerà l'onda forte di Nick Clegg? Sfonderà il conservatore<br />

David Cameron? Dieci milioni di britannici di nuovo incollati al piccolo schermo, trasmette Sky.<br />

Si dovrebbe discutere solo di politica estera e di difesa, in verità si va ben oltre. Ma all'inizio è il tema Europa<br />

che impegna i tre leader. Che cosa farà David Cameron? «L'isolazionismo non ha senso, però non vogliamo<br />

essere governati dall'Europa». Gordon Brown è sulla barricata opposta: «Ci sono tre milioni di ragioni per<br />

essere forti in Europa e con l'Europa. Starne ai margini è un terribile errore». Incalza Clegg: «E' un<br />

antiamericano». Il liberaldemocratico non si scompone: «Siamo più forti con l'Europa e più deboli se ne<br />

restiamo separati».<br />

E dall'Europa si passa all'Afghanistan e al terrorismo. Una ragazza domanda: ci impegneremo ancora in<br />

future missioni internazionali? Clegg: «Il problema è avere una strategia. Le missioni o si conducono bene o<br />

si resta a casa». Brown: «C'è una catena del terrore, dobbiamo combattere Al Qaeda ovunque essa sia».<br />

Cameron: «Se è nel nostro interesse partecipare alle missioni non ci tireremo indietro, ma con una politica<br />

chiara ed efficace».<br />

Non resta estranea al dibattito la vicenda degli abusi sessuali da parte di uomini di Chiesa. Il tema è caldo,<br />

per di più a settembre il Papa arriverà in visita ufficiale. Che cosa ne pensano i tre leader? Gordon Brown:<br />

«La Chiesa ha il dovere di stare dalla parte di coloro che hanno subito le violenze». Nick Clegg: «Io non sono<br />

uomo di fede ma mia moglie lo è. Penso che tutti i cattolici desiderino un'operazione di pulizia». David<br />

Cameron: «Non sono d'accordo con il Papa sulla contraccezione e sulla omosessualità, però ho profondo<br />

rispetto per le sue posizioni».<br />

Chi ha vinto? Il primo instant poll di «YouGov» per il Sun, tabloid che spalleggia i conservatori, dice Cameron<br />

(con il 36%, più 7 rispetto a una settimana fa). Nick Clegg segue con il 32 (meno 19). Brown è al 29 (più<br />

dieci). Un altro instant poll, per Itv, rovescia i risultati. In testa Nick Clegg, poi a pari merito David Cameron e<br />

Gordon Brown. Per l'«Obama bianco» o il «terzo uomo», così è stato ribattezzato Nick Clegg, era una tappa<br />

difficile: doveva sopravvivere e confermarsi come la novità. Operazione riuscita. Nick Robinson della Bbc,<br />

veterano dei commentatori politici, è sicuro: «Nelle urne sarà una volata a tre».<br />

RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

Foto: Sfidanti Da sin. David Cameron, Nick Clegg e Gordon Brown<br />

Foto: Gli appunti del premier britannico Gordon Brown durante il dibattito di ieri con i rivali David Cameron e<br />

Nick Clegg (Ap)<br />

F o t o :<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

Il Cavaliere alla platea: ho convinto i miei familiari<br />

«Il Giornale ora è in vendita» Il fratello Paolo: possibili nuovi soci<br />

Maurizio Giannattasio<br />

MILANO - Da ieri è in vendita Il Giornale di Paolo Berlusconi. A darne l'annuncio è stato lo stesso Silvio<br />

Berlusconi durante la direzione del Pdl: «Ho convinto i miei familiari a vendere Il Giornale. Io con il direttore<br />

non parlo da tempo, e comunque mi sembra che le critiche più forti nei tuoi confronti - dice il presidente del<br />

Consiglio rivolto al presidente della Camera, Gianfranco Fini - vengano da Libero il cui editore è un nostro<br />

parlamentare Angelucci, proviene da An e mi risulta essere un tuo amico». Berlusconi, non senza qualche<br />

ironia, entra nel merito del nuovo capitale: «Se c'è un imprenditore vicino a te che vuole entrare nella<br />

compagine ben venga, io ho dato incarico di trovare sul mercato una catena di imprenditori». Il fratello del<br />

premier, in serata, dichiara «possibile l'ingresso nella compagine azionaria di nuovi imprenditori». La regia<br />

dell'operazione è stata affidata ancora una volta a Bruno Ermolli, il deus ex machina a cui Silvio Berlusconi si<br />

affida ogni qualvolta deve risolvere un problema spinoso. Ma accanto a Ermolli si stanno muovendo anche<br />

Daniela Santanchè e lo stesso direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri. Anche se ufficialmente, il direttore di via<br />

Negri assicura di essere all'oscuro di tutto: «Io non ne ho sentito parlare - attacca Feltri - e Paolo Berlusconi,<br />

che poi è quello che dovrebbe vendere, non mi ha mai parlato di questa intenzione». Va ancora più in là: «Se<br />

al nuovo editore piace la mia linea si va avanti, altrimenti si troverà il modo di lasciarsi civilmente». Ma<br />

sembra difficile che il «nuovo editore» non trovi un accordo con Feltri, perché ai bene informati risulterebbe<br />

che lo stesso direttore de Il Giornale potrebbe diventare editore di se stesso, acquistando una quota del<br />

capitale. Con lui ci sarebbe anche la Santanchè e altri due imprenditori il cui nome è top secret. Ma i tempi<br />

sono lunghi. Almeno 2 anni per risistemare i conti. L'anno dopo si voterà per il Quirinale e se Silvio Berlusconi<br />

volesse tentare la scalata al Colle, non sarebbe male sbarazzarsi di tutto ciò che rappresenta in modo<br />

manifesto il suo conflitto di interessi.<br />

RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

Foto: Editore Paolo Berlusconi, 60 anni<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 33<br />

Conti e salvataggi Il deficit sale ancora e i mercati scommettono sul default, l'ipotesi di un prestito-ponte<br />

Caos Grecia, Moody's declassa il debito Tassi record sui bond a un soffio<br />

dal 10%<br />

Tremonti: non siamo ancora fuori dalla crisi, ma evitata la sorte di Atene<br />

Ivo Caizzi<br />

BRUXELLES - Ripartono i timori sulla capacità della Grecia di uscire dalla sua crisi finanziaria in tempi brevi.<br />

Questa reazione è scaturita dopo l'annuncio dell'organismo europeo di statistiche Eurostat, che ha rivisto al<br />

rialzo le già preoccupanti stime del deficit pubblico greco e ha sollevato nuovi dubbi sulla attendibilità delle<br />

statistiche sui conti pubblici di Atene.<br />

Si è così frenata l'aspettativa di stabilizzazione del caso Grecia, diffusasi dopo l'accordo sul sostegno dei<br />

Paesi membri dell'eurozona e del Fondo monetario di Washington con circa 40 miliardi di euro a un tasso<br />

intorno al 5%. L'agenzia di rating Moody's ha declassato l'affidabilità del debito greco da A2 ad A3. La<br />

speculazione si è scatenata ventilando rischi di insolvenza del governo Papandreou ed estendendo l'attacco<br />

al Portogallo, altro Paese dell'eurozona in difficoltà. Agenzie di informazioni finanziarie hanno segnalato per<br />

alcuni titoli di Stato greci clamorosi tassi d'interesse a due cifre e per il bond decennale un rendimento ben<br />

oltre l'8% con relativo record negativo rispetto al riferimento del Bund tedesco.<br />

«Siamo ancora dentro una crisi economica che è la più grave dagli anni '30 e che, a tutt'oggi, ci si presenta<br />

incognita per dinamica, per estensione, per intensità», ha commentato il ministro dell'Economia, Giulio<br />

Tremonti, intervenendo alla direzione nazionale del Pdl. Tremonti ha aggiunto che «se non abbiamo fatto la<br />

fine della Grecia, non è stato solo per merito mio, ma di tutti noi e, soprattutto, è stato per merito di Silvio<br />

Berlusconi che, alla forza delle idee ha saputo aggiungere la sua visione di sintesi e la forza di base del<br />

consenso popolare e parlamentare». Dall'opposizione hanno replicato al ministro attribuendogli solo «belle<br />

parole».<br />

Gli alti tassi di mercato del rifinanziamento del debito appaiono difficilmente sostenibili per una Grecia con<br />

serie falle nel bilancio. Atene potrebbe non ricorrere più al mercato ed essere obbligata ad accelerare la<br />

trattativa in corso con l'Eurozona e il Fmi per accedere al piano di aiuti varato sull'asse Bruxelles-Washington.<br />

Ieri è spuntata perfino l'ipotesi di un prestito-ponte qualora diventasse necessario un finanziamento d'urgenza<br />

prima del via al piano di salvataggio da 40 miliardi. La Borsa di Atene è scesa del 3,9%. L'indice Ftse Mib di<br />

Piazza Affari ha perso l'1,86%. Le Borse di Londra, Berlino e Parigi sono arretrate di circa un punto. L'euro è<br />

sceso intorno al minimo dell'ultimo anno a 1,325 sul dollaro per poi risalire verso 1,33.<br />

Eurostat ha attribuito alla Grecia per il 2009 un rapporto disavanzo/Pil del 13,6%, che supera la precedente<br />

previsione del 12,9%, e un debito al 115,1% del Pil. Nella zona euro resta sotto solo al picco del 115,8%<br />

dell'Italia (che però finora non ha avuto difficoltà di rifinanziamento sui mercati). In più Eurostat avverte che il<br />

deficit potrebbe aumentare dello 0,3-0,5% e il debito del 5-7% a causa di «riserve sulla qualità dei dati di<br />

bilancio diffusi dalla Grecia». La Commissione europea ha mantenuto al 4% il taglio del deficit che il governo<br />

Papandreou si è impegnato ad attuare nel 2010 perché un sacrificio ulteriore potrebbe affossare un'economia<br />

già provata da tagli della spesa e dei salari nel settore pubblico. Anche ieri ad Atene si sono ripetute<br />

dimostrazioni di protesta. Ma a Bruxelles ammettono che misure aggiuntive potrebbero essere necessarie nel<br />

2011 e nel 2012.<br />

13,6 %<br />

Foto: Il livello del DEFICIT greco nel 2009 in rapporto al Pil secondo Eurostat. Atene aveva dichiarato il<br />

12,9%. Solo l'Irlanda in Europa è a un livello più alto (14,3%)<br />

1,3256<br />

Foto: il livello del CAMBIO euro/dollaro, ieri ai minimi da un anno per effetto della crisi greca. In chiusura la<br />

moneta unica ha in parte recuperato (1,3390)<br />

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23/04/2010 Corriere della Sera<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 33<br />

Foto: Il primo ministro greco George Papandreou (a sinistra) e, sopra, la cancelliera tedesca Angela Merkel<br />

CORRIERE DELLA SERA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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Il Fatto Quotidiano<br />

7 articoli


23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 2<br />

L'esplosione del Pdl<br />

UNA STRADA SENZA RITORNO L'ex leader di An non lascia il partito, né Montecitorio. E annuncia battaglia.<br />

B. lo vuole fuori<br />

Sara Nicoli<br />

L'autocritica di Fabrizio Cicchitto è lo scatto che illumina la giornata più brutta del Pdl dalla sua nascita:<br />

"Sembriamo un gruppo di matti che dopo aver vinto le elezioni si dilania". La parola ci sta davvero tutta:<br />

dilaniati. Eccolo qua il Pdl di oggi. Spaccato come una mela e incapace di trovare una via d'uscita onorevole<br />

ad uno scontro interno che rischia di logorarlo lentamente ancor prima della fine della legislatura. Quel Pdl<br />

fondato solo un paio d'anni fa da Fini e Berlusconi, partito di maggioranza di governo, ieri è esploso in diretta<br />

tv con lo scontro frontale tra i due co-fondatori ed ha lasciato solo macerie sul campo. E quel documento che,<br />

alla fine, avrebbe voluto chiudere in modo ecumenico lo scontro, ha visto comunque emergere quella<br />

corrente che Berlusconi ha temuto fino all'ultimo come la peste: 11 finiani, capitanati da un vecchio "c a m e<br />

ra t a " del Msi come Donato La Morte, che non hanno voluto sottoscrivere nulla, stigmatizzando così il<br />

dissenso politico più profondo: "Quel documento - ha commentato La Morte - non poteva essere accettato". I<br />

finiani di più stretta osservanza non avrebbero mai votato un testo in cui si definivano "poco comprensibili e<br />

pretestuose le polemiche", dove "le ambizioni personali e le correnti" venivano condannate senza appello e<br />

dove si ribadiva "fedel tà e gratitudine al Cavaliere" in nome di un rinnovato centralismo democratico che in<br />

bocca a Berlusconi sconcerta. E infatti non lo votano. Mentre Beppe Pisanu si astiene. In realtà, i fedelissimi<br />

del presidente della Camera, iscritti a parlare fin dalla mattina, sono 22. Ma molti vanno via prima della fine.<br />

La fotografia finale della giornata è ancora più impietosa. Fini che ribadisce di non avere alcuna intenzione<br />

"nè di lasciare la presidenza della Camera, nè di uscire dal partito" e Berlusconi che non trova di meglio che<br />

rispondere con la solita litania: "Chi non ci sta è fuori". Al momento la situazione resta cristallizzata così, in<br />

attesa che qualcosa determini il definitivo show down . Di fatto, da questo momento in poi si apre una fase di<br />

grande incertezza, soprattutto alla Camera. Dove molti falchi del Cavaliere già ieri ipotizzavano di dover fare<br />

le barricate ad una guerriglia strisciante, portata avanti a colpi di regolamenti parlamentari che sono l'unico<br />

modo concreto con cui Fini può mettere in difficoltà Berlusconi specie sulle leggi ad personam, come le<br />

intercettazioni. Un lento stillicidio della legislatura. Tornare indietro ormai è impossibile. Eppure, ieri in molti<br />

tra i berlusconiani più devoti, hanno cercato di mettere in difficoltà il presidente della Camera. Come Gaetano<br />

Quagliariello, che lo ha preso platealmente in giro: "Suvvia, Gianfranco, non fare come Balotelli". O come il<br />

ministro della Giustizia, Alfano, che lo ha attaccato dal palco senza sconti, in risposta alle sue critiche sui temi<br />

della giustizia e della legalità: "Fini ha fatto male al partito, non si può ridurre tutto al processo breve, questo<br />

lo lasciamo dire ai nostri avversari: Il Pdl è qualcosa in cui si crede, oppure si prende un'altra strada". Più<br />

velenoso di lui Maurizio Gasparri: "Oltre a fare le fondazioni, andiamo a parlare con il popolo del bar ma non<br />

andate al `bar del popolo´ altrimenti vi di(F OTO A NSA ) cono di cacciare Berlusconi. Forse qualcuno ha<br />

sbagliato b a r. . .". Sulla stessa lunghezza d'onda l'attacco di Sandro Bondi: "Chi, come me, ha vissuto<br />

davvero la tradizione comunista, sa cosa vuol dire non ammettere il dissenso". Fini, in questo caso, non ha<br />

perso la battuta: "Non vorrei che si passasse da quell'esperienza del centralismo democratico a quella del<br />

centralismo carismatico". Il rischio, c'è tutto, ma Fini sembra ormai aver imboccato la strada di un futuro<br />

diverso. Alla fine della direzione, anche lui ha voluto tirare le somme: "C'è una componente interna - ha<br />

commentato uscendo dall'Audito rium - numericamente molto minoritaria che rivendica il suo diritto di<br />

discutere come si attua. E ovviamente si ritiene impegnata, se per davvero ci sarà il Congresso come è stato<br />

detto, a far conoscere le proprie opinioni alla totalità degli iscritti e degli elettori. Insomma è stata una giornata<br />

positiva". A "tradur re" il suo pensiero in serata è Sandro Bondi: "Sono uscito dalla direzione del Pdl e Fini mi<br />

ha detto chiaramente 'vedrete scintille in Pa r l a m e n t o ". E per tutta risposta Berlusconi avrebbe detto ai<br />

IL FATTO QUOTIDIANO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 2<br />

suoi: "Se non si adegua, abbiamo gli strumenti per cacciarlo".<br />

Foto: Alcune immagini clou della rissa di ieri tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini durante la direzione del<br />

Pdl<br />

IL FATTO QUOTIDIANO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

150 ANNI x Via dal comitato Ciampi, Maraini, Zagrebelsky e Gregoretti<br />

DIMISSIONI, SOLDI SPRECATI L'UNITÀ D'ITALIA È UN FLOP<br />

Raucci<br />

I pochi euro rimasti divisi per sistemare alcuni monumenti a Marsala e Caprera. Dei progetti culturali non si<br />

parla più. E la Lega sorride pag. 6 z<br />

IL FATTO QUOTIDIANO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 7<br />

PARENTOPOLI<br />

SULLO SCRANNO MI MANDA PAPÀ (O LO ZIO)<br />

L'Espresso pubblica i nomi dei parenti eletti alle regionali Da Isabella Rauti a Lady Mastella passando per<br />

Romano La Russa e Marco Scajola<br />

Una carica di mogli, figli, sorelle e nipoti. Le ultime elezioni regionali hanno regalato al Paese un esercito di<br />

parenti. Da nord a sud, da destra a sinistra. Ne scrive Primo Di Nicola su L'E s p re s s o , in edicola oggi.<br />

"Marilù è venuta al mondo due giorni prima del voto. Per lei e la sua mamma ad Agerola si è festeggiato a<br />

lungo: caroselli di auto, champagne, mozzarelle e provolone Dop. Perché 48 ore dopo la sua nascita,<br />

mamma Annalisa è stata eletta in consiglio regionale. Un fiume di preferenze per lei, oltre 18 mila, con un<br />

particolare: quasi tutte a nome, anzi cognome, del marito, il deputato Udc Michele Pisacane. Candidata e<br />

vincente per meriti matrimoniali, la signora Annalisa non ha fatto nemmeno la campagna elettorale. È il bello<br />

della fa m i g l i a ". E giù un elenco di "si g n o re " importanti, da Sandra L o n a rd o , moglie di Clemente<br />

Mastella, a Isabella Rauti , consorte di Gianni Alemanno. Non solo donne, però. "In Lombardia mariti, fratelli,<br />

zii e nipoti hanno fatto la parte del leone. A partire da Giulio B o s c ag l i , al terzo mandato come consigliere,<br />

marito di Luisa, la sorella di Roberto Formigoni. Pieno di voti anche per Alessandro Colucci , figlio di<br />

Francesco, deputato del Pdl, mentre non è andata proprio bene a Romano La Russa , fratello di Ignazio,<br />

assessore uscente riconfermato con neanche 10 mila voti. Rieletto trionfalmente invece Gian carlo Abelli ,<br />

deputato e vicecoordinatore nazionale del Pdl. La sua candidatura è rimasta incerta fino all'ultimo per i<br />

problemi della moglie, Rosanna Gariboldi, ex assessore alla Provincia di Pavia arrestata nell'ambito dell'i n ch<br />

i e s t a Montecity-Santa Giulia, ma per lui già si parla dell'a s s e s s o ra t o all'Agr icoltura". Dalla Lombardia<br />

al Veneto alla Liguria. "A cominciare da Ren zo Bossi , la 't ro t a ', prediletto del capo della Lega Umberto,<br />

eletto con quasi 13 mila prefere n z e ". In Veneto "vanno fortissimi i fratelli, come i Gior ge t t i , Alberto e<br />

Massimo. Il primo è sottosegretario all'Economia e coordinatore regionale del Pdl. Proprio lui ha predisposto<br />

le liste alle ultime elezioni. E chi è risultato il più votato? Massimo, va da sé, che è tornato a fare l'a s s e s s o<br />

re anche col nuovo governatore Zaia". In Liguria "non passa inosservato il nome di M a rc o Scajola , nipote<br />

del ministro Claudio, il più votato nella provincia di Imperia". Non fa eccezione la "ro s s a " Emilia: "Deve tutto<br />

ai natali illustri in Emilia Romagna la candidata governatore del Pdl sconfitta da Vasco Errani: An na Maria<br />

Bernini , deputata e viceportavoce nazionale del Pdl. Nota per essere stata l'av vocato di Luciano Pavarotti, la<br />

rampante deputata sta ormai seguendo le orme del padre Giorgio, ministro nel primo governo Berlusconi.<br />

Come imprenditrice e mamma si è candidata ed è stata eletta invece nell'Udc Silvia Noè , moglie di Federico,<br />

fratello di Pier Ferdinando Casini, mentre al padre Marcello, vecchia gloria prima del Msi poi di An,<br />

scomparso nel 2006, deve la sua elezione il consigliere bolognese Ga leazzo Bignami . In Toscana tengono<br />

banco vecchie e nuove dinastie, mentre a guidare l'esercito di parenti nel Lazio è proprio la moglie del<br />

sindaco di Roma. Ma dietro di lei ci sono altri nomi illustri. " Pietro Sbardella , eletto nell'Udc, è invece il figlio<br />

di Vittorio "lo Squalo", potentissimo Dc della Prima Repubblica; Aldo Forte , anche lui Udc, è l'erede di<br />

Michele, sindaco di Formia; Giulia Rodano , eletta nell'Idv, è invece figlia di Marisa, prima donna<br />

vicepresidente della Camera e moglie dell'ex parlamentare Antonello Falomi, mentre Ve ro n i c a C ap p e l l<br />

a ro , pupilla del Cavaliere, lo è di Francesco Pasquali, entrambi eletti nel listino Polver ini". In Campania,<br />

oltre a Lady Mastella, "c'è poi Paola Raia , sorella di Luigi già consigliere provinciale di FI e bassoliniano per<br />

una stagione. Per non parlare di Mafalda Amente , laureata in Farmacia, che ha conquistato uno scranno con<br />

il Pdl raccogliendo 4600 preferenze solo a Melito, dove è sindaco suo zio Antonio". L'E s p re s s o non<br />

risparmia neanche Puglia e Calabria. "Primo degli eletti di 'Puglia prima di tutto', altra civica berlusconiana<br />

nella quale si candidò la escort Patrizia D'Addario, è Tato Greco , figlio dell'ex senatore forzista Mario e<br />

nipote dei Matarrese. Dulcis in fundo, la Calabria dove, parola di Michele Tremat e rr a , consigliere Udc<br />

riconfermato, la famiglia svolge 'un ruolo fondamentale'. Lui ne è la prova, visto che è figlio di Gino, ex<br />

senatore e neosindaco di Acri. Ma esemplare è soprattutto il caso del clan Gentile . Pino, militante da<br />

IL FATTO QUOTIDIANO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 7<br />

giovanissimo nel Psi, è già stato più volte consigliere e assessore con FI. Primo di sette fratelli, non è però il<br />

solo a sfruttare la forza del parentado: il fratello Antonio, pure lui berlusconiano, è infatti senatore di lungo<br />

corso essendo giunto ormai alla terza legislatura. Che, giurano nel Pdl, grazie alla famiglia non sarà<br />

nemmeno l'ultima".<br />

Foto: Il sindaco di Roma Gianni Alemanno con la moglie Isabella Rauti eletta in consiglio regionale<br />

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23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 4<br />

Il Pd: "Fosse successo a noi, ci avrebbero dati per morti"<br />

LA CRISI DEL PDL SCUOTE LE OPPOSIZIONI. DI PIETRO: "TROVARE SUBITO UN CANDIDATO<br />

PREMIER DEL CENTROSINISTRA" Cesa (Udc): "Le cose dette da Fini noi le ripetiamo da due anni" Zanda<br />

(Pd): "È un partito senza dialettica"<br />

Paola Zanca<br />

e fosse avvenuto solo un quarto di quello che abbiamo visto alla direzione del Pdl sarebbero scesi in campo<br />

tutti i giornali e i talk show a decretare che eravamo finiti". Sergio D'Antoni, deputato Pd, ha ragione. Ma<br />

dovrebbe chiedersi perché nemmeno nell'opposizione nessuno abbia il coraggio di pronunciare la parola "fi<br />

ne". Neanche il clamoroso scontro tra Fini e Berlusconi è servito a far parlare una voce sola. L'Udc aspetta di<br />

capire che succede. Pierferdinando Casini, presidente del partito, è in viaggio per Torino, dove oggi ammirerà<br />

la Sindone. In religioso silenzioso, fa parlare il segretario Lorenzo Cesa: "Molte cose dette da Fini oggi, noi le<br />

affermiamo da due anni. Proprio per essere liberi di dirle non siamo entrati nel 'partito del predellino'. Oggi<br />

possiamo dire: siamo sulla strada giusta". Che si possa o meno incrociare con quella del presidente della<br />

Camera, è ancora da vedere. Nessuno vuole sbilanciarsi sulle prossime scelte del co-fondatore del Pdl: "Non<br />

possiamo fare congetture su cose di cui non abbiamo la disponibilità - dice il Pd Cesare Damiano - Quello<br />

che io vedo è che c'è un cambiamento di logiche che non obbedisce più ai vecchi schieramenti. I partiti che<br />

sono nati sulle fusioni hanno grosse difficoltà. Non penso che dobbiamo superare il bipolarismo, ma<br />

nemmeno negare che ci siano smottamenti nella politica che preludono anche a possibili scenari nuovi". "L<br />

asciamolo lavorare, farà quello che si sentirà di fare", aggiunge il deputato Pd Luigi Zanda, soddisfatto che in<br />

una "una parte politica dove il dibattito non è mai esistito" ora ci sia "una persona che protesta perché vuole<br />

esprimere le proprie idee". Non si fa illusioni, invece, la presidente Pd Rosy Bindi, secondo la quale "non<br />

basta un dissidente a fare un partito democratico e plurale". La deputata Paola Concia, comunque, pensa<br />

che "una destra liberale nel nostro Paese potrebbe essere un bene, che noi dovremmo sempre contrastare,<br />

ma con cui si potrebbe trovare d'accordo almeno sui fondamenti della democrazia". E, insieme, arginare la<br />

Lega, perchè "io - dice la deputata Pd - a differenza di molti miei colleghi, penso che l'espansione dei leghisti<br />

sia un fatto inquietante, che va combattuto". "Con Fini si può ragionare" anche secondo il segretario del<br />

partito Pierluigi Bersani, che nei giorni scorsi ha definito l'ipotesi del voto anticipato una "pazzia", ma forse ora<br />

comincia a pensare che se anche non saranno domani, alle elezioni si arriverà prima del 2013. Dunque,<br />

stabilire prima il programma, o pensare subito a chi farà il candidato premier? Bersani proprio ieri ne ha<br />

discusso con Di Pietro. Per il leader dell'Idv bisogna cominciare con il toto-nomi. Entro l'anno, dice, va tirata<br />

fuori "una persona che esprima una pacificazione sociale e che possa parlare sia all'area occupata dai partiti<br />

tradizionalmente di centrosinistra, sia a quell'area dell'astensionismo ma anche dei m o d e ra t i ". Bersani,<br />

invece, è convinto che prima c'è da pensare ai contenuti. Chi sta fuori, pensa che sbaglino tutti e due.<br />

"Questo scambio di battute ci preoccupa", dice Claudio Fava, coordinatore di Sinistra Ecologia e Libertà: "Da<br />

una parte pensare alla scelta del leader mi pare misurarsi più sulla forza evocativa dei nomi che su quella<br />

delle idee. Dall'altra Bersani che dice 'non appoggiamo il referendum sull'acqua pubblica ma siamo amici di<br />

chi lo sostiene' ripropone uno dei tanti equivoci del Pd. O sei a favore o sei contro. Sarebbe bello che invece<br />

di discutere di leader o di 'amicizia' si dicesse qual è l'alternativa che l'opposizione vuole costruire. È su<br />

questo - conclude Fava - che si riconquista spessore e consenso".<br />

Foto: Pier Luigi Bersani<br />

IL FATTO QUOTIDIANO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 3<br />

Il palco diventa un ring. E Fini sfida: "Che fai, mi cacci?"<br />

BERLUSCONI VA ALL'ATTACCO E PROVA L'AFFONDO, MA LA DIREZIONE SI TRASFORMA IN RISSA<br />

MEDIATICA<br />

Luca Telese<br />

"Perché, che cosa fai? Mi cacci? Eh?". E allora Gianfranco Fini sorride ironico, fa il gesto della mano a<br />

pendolo, via-via e di nuovo: "Che fai, mi cacci?". Poi si alza in piedi, avanza verso Silvio Berlusconi, punta il<br />

dito e gli ripete la frase a un metro di distanza rovinandogli il finale del discorso. Una delle immagini che<br />

resteranno di questa giornata, assieme alle mani impotenti del premier che fanno str ingi-str ingi per chiedere<br />

a Verdini di mettere fine all'intervento del rivale. Insieme a quel moto di rabbia che lo porta sul palco subito<br />

dopo. Insieme alle parole a pesce, gridate senza audio dal microfono non collegato, mentre parla il suo<br />

grande nemico. Ai materassi. Alla fine del discorso di Fini c'è una stretta di mano algida, tra i due, senza<br />

guardarsi in faccia. Poi Berlusconi sale sul palco per replicare. E' furibondo, nero, gli occhi sono due fessure,<br />

sembrano pesti. Ma al contrario di Fini non ha una scaletta pronta. Parla a braccio, e finisce il suo discorso<br />

nel battibecco: "Un presidente della Camera - grida - non deve fare dichiarazioni politiche! Se le vuoi fare devi<br />

lasciare la carica, ti accoglieremo a braccia aperte, ma ti devi dimettere!". Leso format. Alla fine, il gesto che<br />

Berlusconi non perdona all'ex leader di An è il reato di lesa maestà. Anzi, di più: leso format . Ovvero il<br />

peggio che potesse capitare a un cultore del rito catodico come Silvio Berlusconi: allestire una coreografia<br />

studiata nei minimi dettagli, una liturgia mediatica, una scaletta precisa, e vedersela stravolta da un<br />

imprevisto. Prepararsi la scena come protagonista, sul podio dell'Auditorium di via della Conciliazione,<br />

trasformato ancora una volta in set televisivo dal fido regista Giuseppe Sciacca (un maestro, quello della Corr<br />

ida e dei congressi di Forza Italia) e ritrovarsi poi, invece, nel ruolo del co-protagonista, relegato nel<br />

controcampo delle inquadrature che facevano da contrappunto al discorso di Fini, avendo dietro alle spalle<br />

una tenda nera (quella alle spalle della presidenza) invece del fondale azzurrino. Lui seduto e livido; Fini in<br />

piedi, ironico. La scaletta predisposta dal premier era questa: prima il suo saluto, poi l'intervento di tutti i<br />

ministri anti-finiani, persino qualche sottosegretario (come Alfredo Mantovano), quindi - come aveva detto lui<br />

stesso - "la parola ai co-fondatori del partito, Fini, Rotondi, Giovan a rd i ". Orologio alla mano Fini avrebbe<br />

parlato non prima delle 16:00, unica voce dissonante nel coro. E Berlusconi avrebbe concl u s o . Intervento<br />

imprevisto. Ma tutto il programma salta. Dalla sera prima il presidente della Camera fa sapere che non<br />

accetterà il ruolo di comparsa. La mattina il nodo non è sciolto. Al premier arrivano diversi messaggi:<br />

"Gianfranco non ci sta". Alle 11:50 Berlusconi guarda Fini, lo vede alzarsi. Forse pensa che stia per andare<br />

via. Allora improvvisa: "Gli chiediamo se vuole prendere la parola, siamo qui ad ascoltarlo...". Fini non se lo fa<br />

dire due volte. Sale sul podio: invece di dieci minuti parlerà un'ora. Una vera e propria relazione. La prima<br />

bordata arriva subito: "Anche nella regia, oggi sembra che ci sia l'atteggiamento un po' puer ile di chi vuole<br />

nascondere la polvere sotto il tappeto!". Poi le mozioni d'orgoglio: "Sono abituato a dire quello che penso...".<br />

Quindi la prima stoccata: "Vedi, Bondi! Sono stato oggetto di trattamenti mediatici, da colleghi, mi riferisco ai<br />

giornalisti, lautamente pagati da stretti familiari del presidente del Consiglio!". Sulla sala cala il silenzio, il<br />

discorso di Fini si impenna: "Sono stato accusato di alto tradimento, oggetto di bastonate mediatiche, roghi,<br />

ipotesi di licenziamento...". Poi il cambio di passo che taglia il fiato ai membri della direzione. Si rivolge<br />

direttamente al premier, guardandolo: "Berlusconi te lo dico in faccia: il tradimento che è certamente poco<br />

dignitoso, viene da chi alle spalle dice il contrario di ciò che dice pubblicamente, raramente il tradimento è<br />

nella coscienza di chi si assume la responsabilità di quel che pensa in privato e in pubblico...". E qui il premier<br />

sbotta. La regia lo inquadra. Si agita. Non si sente cosa dice. Quando arriva l'audio la voce è strozzata:<br />

"...Non attribuire a me cose che non ho mai dettooo!". Il palco è diventato un ring, un corpo a corpo.<br />

Formalmente Fini ribadisce la fiducia al governo, tributa al premier i suoi meriti, ma allo stesso tempo<br />

compone il suo j'accuse spietato: "Al nord siamo diventati come la fotocopia della Lega!". Fini cita le mire di<br />

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23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 3<br />

Bossi sulle banche, la rinuncia del Pdl ad abolire le province, i decreti sul federalismo, il fatto che "difendere il<br />

bambino del padre extracomunitario che perde il lavoro, cacciato dalle scuole è rispetto della dignità<br />

dell'uomo". Spara una raffica di domande retoriche: "E' eretico dire che i medici non devono fare la spia?". Si<br />

può accettare che "in Lombardia ci siano solo professori lombardi, e in Veneto veneti?". Processi cancellati. Il<br />

vero s h ow d ow n è sul conflitto di interessi. Prima Fini attacca sulla proprietà de Il Giornale , poi sulla<br />

giustizia: "Difen dere la legalità significa andar fieri degli arresti, ma anche non dare l'idea che la riforma della<br />

Giustizia non serve a creare sacche di privileg io....". La platea a questo punto fischia. Fini insiste: "Ricordi la<br />

nostra litigata sul processo breve? 600 mila processi cancellati dalla sera alla mattina!". Di nuovo Berlusconi<br />

grida, dalla presidenza: "Ma dai, Gianfrancoooo!": E lui, passando al chiamarsi per nome: "Silvio, è inutile che<br />

mostri insoffe re n z a . . .". Il premier sale sul palco infuriato, contrattacca: "Il nostro partito è stato esposto al<br />

pubblico ludibrio con le presenze in televisione di Bocchino, di Urso e Raisi!". E sul Carroccio: "La verità,<br />

come mi ha spiegato Larussa, è che la Lega è la fotocopia delle posizioni abbandonate da An!". Allora Fini<br />

pizzica il suo ex colonnello, sarcastico: "Bravo, Ignazio, bravo...". La Russa si sbraccia come per dire no-no .<br />

Si arriva al cataclisma. Berlusconi: "Sei venuto da me a dire: 'Mi sono pentito di aver fatto il Pdl! A dirmi:<br />

'Voglio fare un altro gruppo!!!'". E Fini, in piedi: "Ma che stai dicendo!". Il retroscena è morto, meglio: è tutto<br />

sulla scena. Il voto finale conta zero. L'uomo che ha vinto grazie alla tv, ha perso un duello tv, sulla sua tv:<br />

una vittoria numerica, una sconfitta mediatica. Il partito dell'amore finisce a pesci in faccia.<br />

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23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

L'Amore trionfa<br />

Marco Travaglio<br />

Questo Partito dell'Amore, visto in diretta senza rete, è proprio un amore. Colpivano gli sguardi, soprattutto.<br />

Tutti molto amorevoli. Teneri. Affettuosi. Si vede proprio che si amano. Lo zenith del sentimento si è<br />

registrato quando Fini ha proferito la parola "legalità". Berlusconi ha digrignato i denti e contratto i muscoli<br />

facciali, come per sbranarlo all'istante: se Verdini, seduto a fianco, non se lo fosse legato al polso con un bel<br />

paio di manette (le porta sempre con sé per ogni evenienza), sarebbe corso il sangue. Intanto l'intera sala,<br />

eccettuati alcuni incensurati, grugniva fremente di sdegno. Legalità a noi? Chi ti ha insegnato certe<br />

parolacce? Ma allora dillo che sei venuto a provocare! Vai subito in bagno e lavati la bocca col sapone! In<br />

effetti, in 16 anni di storia, nessuno aveva mai osato tanto: parlare di legalità in casa del corruttore di Mills, del<br />

principale di Mangano, dell'amico di Dell'Utri e di Cosentino fortunatamente assenti: avevano subodorato<br />

qualcosa. Non contento, il noto provocatore ha pure osato evocare la Sicilia, altro tabù proibitissimo, specie<br />

se accompagnato dal nome "M i c c i ch é ". Mancava che citasse pure Dell'Utri, poi lo menavano proprio. Ci<br />

voleva Fini per far uscire dai gangheri Berlusconi e insegnare come si fa al Pd, che in sedici anni non ci è mai<br />

riuscito: basta parlargli di legalità e di libertà d'informazione (due temi dai quali il Pd si tiene a debita distanza,<br />

per non passare per antiberlusconiano, non sia mai). E magari smontargli pure il federalismo fiscale (sul<br />

quale un anno fa il Pd si astenne e Idv votò sì), anziché ripetere che la Lega ha ragione, bisogna fare come la<br />

Lega e dialogare con la Lega. Infatti, con tutto quel che gli aveva detto Fini per un'ora e mezza, Berlusconi gli<br />

ha risposto solo su quei temi: del resto s'infischia allegramente (a parte un cenno ai 150 anni dell'Unità<br />

d'Italia, sui quali è molto preparato: infatti dice "i 150 anni della storia della nostra Repubblica", quella di re<br />

Vittorio Emanuele II di Savoia e del conte Cavour). Sugli attacchi del suo Giornale a Fini, ha risposto<br />

amorevole e sofferente: "Io sul Giornale non ho alcun modo di inf luire" (versione moderna del "sono forse io<br />

il custode di mio fratello?", by Caino). Poi ha aggiunto che il Giornale è in vendita e se Fini ha un amico a cui<br />

farlo comprare il problema è risolto, e comunque lo attacca anche L i b e ro , edito dal suo amico senatore<br />

Angelucci: dal che si potrebbe dedurre che forse gli attacchi dei giornali di destra a Fini dipendono dai<br />

padroni che hanno. Notevole anche il concetto di "super partes" illustrato dal ducetto: Fini non è un<br />

presidente della Camera super partes perché ogni tanto critica il governo. Ecco, per lui è super partes solo<br />

chi è sempre d'accordo con lui. Anzi, meglio: chi è di sua proprietà. Tipo Schifani, per dire. Quanto al<br />

federalismo fiscale, Fini s'è permesso di ricordare l'impegno di abolire le province (altro tema astutamente<br />

disertato dal Pd). Il 31 marzo 2008 il Cavaliere dichiarò nella videochat del corriere .it : "Non parlo di province,<br />

perché bisogna eliminarle... Dimezzare i costi della politica significa innanzitutto dimezzare il numero dei<br />

politici di mestiere ed eliminare tanti enti inutili, province, comunità m o n t a n e . . .". A Matr ix ribadì: "E'<br />

necessario eliminare le province". E a Porta a Porta : "Le province sono tutte inutili e fonte di costi per i<br />

cittadini. E' pacifico che vanno abolite". Ieri invece ha detto: "Aboliremo solo quelle non utili", tanto abolirle<br />

tutte farebbe risparmiare "solo 200 milioni" (falso: sarebbero 6 miliardi l'anno solo per il personale), e<br />

soprattutto "non ne faremo di nuove". Un po' come per le tasse: in campagna elettorale giurava di tagliarle,<br />

ora invece si vanta di non averle aumentate. Come promettere un collier alla fidanzata e poi, se quella si<br />

lamenta perché non l'ha ricevuto, replicare: "Ma cara, in compenso non ti ho presa a calci in culo, cosa<br />

pretendi di più?". Ps. Bersani ha commentato l'epico scazzo con una dichiarazione listata a lutto: "Sono divisi,<br />

non faranno le riforme". Una bella perdita.<br />

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23/04/2010 Il Fatto Quotidiano<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

La prova dei fatti<br />

Paolo Flores d'Arcais<br />

dc Le parole ci sono state. Chiare, e anche coraggiose, visto il prevedibile ringhiare della platea<br />

berlusconiana. Quando il presidente della Camera ha spiegato che la riforma della Giustizia non può<br />

significare impunità, si è infatti scatenata la canea inferocita. Ora viene il momento delle cose, e su questo<br />

Gianfranco Fini si gioca il futuro, la credibilità, la stessa dignità. Tra qualche settimana in Parlamento<br />

comincia la discussione proprio sulle leggi che regalano impunità a nutrite categorie di criminali. Si comincia<br />

con quella sulle intercettazioni, che non solo priva polizia e magistratura di uno strumento insostituibile<br />

(contro le mafie, ma anche contro violentatori e rapinatori, e chi più ne ha più ne metta), ma garantisce il<br />

carcere ai giornalisti che continueranno a informare. Con il che si compie il salto dal regime populista a un<br />

pezzo di vero e proprio fa s c i s m o . A quel punto, perciò, Fini dovrà decidere se far seguire alle nobili<br />

parole di ieri i sobri ma cruciali FATTI, cioè il voto contrario alla nuova legge-obbrobrio, o se ingiuriare la<br />

propria onorabilità con un voto che quelle parole calpesta. Un voto coerente comporta il rischio di mettere in<br />

minoranza il governo, e anzi, se Berlusconi chiedesse su di esso la fiducia, di farlo cadere. Ma senza correre<br />

questo rischio, anzi senza la ferma volontà di bloccare ad ogni costo questo regalo alla criminalità, è evidente<br />

che l'onorevole Fini non potrebbe mai più ricordare il sacrificio di Paolo Borsellino e di Giorgio Ambrosoli, e<br />

poi guardarsi allo specchio il giorno dopo. Non potrebbe mai più vantare che ci furono uomini di destra, come<br />

l'avvocato monarchico "e ro e bor ghese" e il magistrato che da ragazzo militò nella "Giovane Italia" dello<br />

stesso Fini, per i quali destra faceva rima con "senso dello Stato" e con "intransigenza verso la criminalità",<br />

tanto più se di establishment. Se Fini fa sul serio deve mettere in conto - sul dilemma legalità/impunità - di far<br />

cadere il governo. Se cede, Berlusconi non gliene sarà grato, ma saprà di poterlo annientare senza neppure<br />

pagare dazio. Mentre da una crisi di governo non scaturiscono di necessità elezioni anticipate, bensì la<br />

possibilità di un governo di "lealtà costituzionale", che restauri le condizioni - oggi assenti - per un voto<br />

democratico.<br />

IL FATTO QUOTIDIANO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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Il Foglio<br />

3 articoli


23/04/2010 Il Foglio<br />

Pag. 5<br />

CHI GUIDA IL PARTITO ANTITASSE?<br />

Girotondo di prof liberisti e no sul manifesto anti flemma di CDB<br />

(mvlp)<br />

Roma. In Italia occorre dare precedenza al dibattito sulle riforme economiche, altrimenti sarà difficile<br />

concepire "un vero e proprio choc di crescita" per il nostro paese. L'appello lanciato ieri sulle colonne di<br />

questo giornale da Carlo De Benedetti, che ha invocato tra l'altro una "riforma in senso liberale del fisco", è<br />

stato raccolto dagli economisti che il Foglio ha raggiunto in queste ore. Non tutti unanimi nella scelta delle<br />

opzioni da privilegiare, ma uniti dalla convinzione che quella di restare immobili non è una strategia<br />

percorribile. Riccardo Gallo, già manager dell'Iri e oggi professore all'Università La Sapienza di Roma,<br />

esordisce con uno speranzoso "benvenuto" a CDB: "Ancora tre anni fa invitammo pensatori e politici di ogni<br />

appartenenza culturale per stilare un Manifesto di valori liberali - ricorda al Foglio - da sinistra, allora, non<br />

venne nessuno". Detto questo, un liberista come Gallo non si sogna di negare che "la pressione tributaria in<br />

Italia sia un peso insopportabile" e che occorra "abbattere il peso dello stato". Ma il ragionamento di CDB<br />

funzionerebbe meglio se invertito: "Prima bisogna frenare l'invadenza dello stato, tagliando la spesa e<br />

riducendo tutta una serie di prescrizioni statali che regolano la nostra vita quotidiana e alimentano una<br />

burocrazia in perenne espansione". Poi può venire tutto il resto, patrimoniale inclusa. "Ma solo se prima si<br />

frena l'invadenza statale, altrimenti non mi fido", ribadisce Gallo. Un giudizio complessivamente positivo<br />

sull'intervento dell'Ingegnere di Ivrea è quello di Paolo Savona: "Diagnosi e terapia proposte da De Benedetti<br />

sono complete e chiare, anche se la terapia suggerita non è al momento praticabile da un punto di vista<br />

politico". Non c'entra il fatto, osserva Savona en passant, che De Benedetti tenti in maniera acrobatica di<br />

tenere assieme il pensiero di due uomini così diversi tra loro come Luigi Einaudi e Ezio Vanoni: "Diceva<br />

Keynes che spesso siamo schiavi degli economisti morti". A rendere "democraticamente impraticabile" lo<br />

choc fiscale c'è un altro dato oggettivo: sono ormai decenni che si parla di ridurre la spesa pubblica e di<br />

diminuire le tasse, senza risultati sensibili. Senza contare che ora si aggiunge anche una congiuntura globale<br />

avversa: "Quando si parte da un livello di debito pubblico che sfiora il 120 per cento del pil, non si possono<br />

rischiare salti nel buio riducendo le tasse senza certezze di riduzione delle spese. Piuttosto servirebbe un<br />

accordo sull'ipotesi di cedere quote del patrimonio pubblico per aggredire il debito". Solo così la ricetta<br />

debenedettiana si fa più realistica. Anche perché "il consenso sul fatto che si debba ridurre il peso fiscale,<br />

lasciando allo stesso tempo invariato il saldo dei conti, è ormai quasi unanime", dice l'economista Mario<br />

Seminerio, "e spostare la tassazione delle persone alle cose, in linea teorica, va benissimo. Su questo<br />

Tremonti e De Benedetti hanno ragione". Ma la strategia non può essere la stessa che avremmo applicato<br />

prima dell'attuale "emergenza fiscale globale": "Oggi, per alzare l'asfittico potenziale di crescita, a una<br />

manovra sulle imposte serve affiancare una svolta nel campo delle riforme strutturali, come le<br />

liberalizzazioni". Anche l'incremento dell'età pensionabile andrebbe in tal senso: "Servirebbe un generalizzato<br />

aumento dell'età del ritiro", scriveva ieri CDB. Su questo fronte Fiorella Kostoris, docente di Economia politica<br />

all'Università La Sapienza di Roma, ritiene si debba proseguire con maggiore decisione: "Ridurre le imposte<br />

tout court oggi è difficile, ma per provarci occorre diminuire la spesa pubblica rendendo più radicale il<br />

meccanismo di adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita e innalzando l'età pensionabile delle<br />

donne". Il punto di vista dell'Ingegnere, che (recenti precisazioni a parte) resta la tessera numero 1 del Partito<br />

democratico veltroniano, ovviamente fa discutere anche a sinistra. Stefano Fassina, deputato e responsabile<br />

economico del Pd, raccoglie volentieri il guanto di sfida gettato da CDB: "Il suo è un punto di vista liberale e<br />

allo stesso tempo progressista. Non ci vedo contraddizioni". Anche perché, osserva Fassina, "la crescita è la<br />

condizione indispensabile per qualsiasi politica ridistributiva". E però "il taglio delle tasse - soprattutto sul<br />

lavoro - è solo uno dei fattori propulsivi dello sviluppo, sul quale siamo già pronti a discutere con il governo".<br />

Non solo, secondo il responsabile economico del Pd, le fonti di copertura indicate da De Benedetti rischiano<br />

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23/04/2010 Il Foglio<br />

Pag. 5<br />

di non essere sufficienti: "Serve rafforzare in maniera non ideologica la lotta all'evasione e aumentare<br />

l'imposta sostitutiva sui redditi da capitale". Riccardo Realfonzo, ordinario di Economia all'Università del<br />

Sannio, partendo da una prospettiva più keynesiana sottoscrive l'analisi di CDB sulla situazione italiana e si<br />

spinge oltre: "Non solo la ripresa è più lenta, ma continua un processo di declino avviato prima della<br />

recessione. È essenziale ridurre le imposte sui redditi da lavoro, alla luce del livello estremamente basso dei<br />

salari", aggiunge, "ma senza intaccare la spesa pubblica che serve invece per infrastrutturazione e politiche<br />

industriali. Gli sgravi si ripagano redistribuendo i carichi fiscali sui redditi da capitale". Enrico Colombatto,<br />

infine, professore di Economia all'Università di Torino, ribalta addirittura la prospettiva di partenza: "Da un<br />

punto di vista liberale le regole sono fondamentali. Se il paese non attrae investimenti, ciò è dovuto<br />

innanzitutto ai limiti delle nostre istituzioni, a partire dalla giustizia lenta e dalla burocrazia invasiva. Se lo<br />

stato non torna ad essere un arbitro rapido e giusto, parlare di riforme economiche rischia di essere soltanto<br />

un esercizio di stile".<br />

Foto: Carlo De Benedetti e Giulio Tremonti (foto Ansa)<br />

IL FOGLIO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Foglio<br />

Pag. 5<br />

CHI GUIDA IL PARTITO ANTITASSE?<br />

Abbasso l'Ing.<br />

Francesco Forte condivide poco, per non dire nulla, della rivoluzione invocata da CDB: viva il gradualismo<br />

E'bello che Carlo De Benedetti abbia scritto un impegnativo articolo per il Foglio seguendo (in parte)<br />

l'esempio di suo fratello filo-fogliante dichiarato. Concordo con la tesi che le riforme istituzionali di cui si<br />

discute - presidenzialismo, semipresidenzialismo e monocameralismo parziale - non siano la priorità. Altre<br />

riforme istituzionali "minori" sono più importanti: giustizia, appalti e liberalizzazioni. Il merito dell'articolo sta<br />

nell'avere sottolineato che la politica di gestione della congiuntura non basta. Sarebbe stato meglio<br />

riconoscere che essa ha avuto successo. Ma questa bella vittoria non neo keynesiana (quanto è vecchio<br />

questo "neo") è mutilata. E ciò non perché la nostra economia sia in cattivo stato, ma per la ragione opposta.<br />

Infatti se fosse vero che "andiamo molto male" (giaculatoria che sento dal 1955 quando, da poco laureato,<br />

facevo con Giannino Parravicini l'ufficio studi di Roberto Tremelloni ministro psdi delle Finanze e aiutavo Ezio<br />

Vanoni, come suo supplente all'Università di Milano e un po' al ministero del Bilancio), non reggerebbe una<br />

strategia ambiziosa come quella debenedettiana. Concordo con la priorità della riforma tributaria e con la<br />

riduzione della spesa. E ciò specie per le pensioni. Però in questo settore il governo ha varato lo scorso anno<br />

una efficace legge di riforma, con effetti scaglionati. Essa ha solo bisogno di partire subito anziché in seguito.<br />

Dissento invece dal metodo debenedettiano. La sua analisi, salvo per pochi dati macro, non è assistita da<br />

numeri e numeretti. Quindi non mi pare che soddisfi il motto di Luigi Einaudi (che è anche di Griziotti e<br />

Vanoni, miei maestri con Einaudi) di conoscere per deliberare. E per me (come per la triade sopra citata)<br />

riforme e piani debbono essere gradualisti, anche se in un tracciato di ampie vedute. La tesi che in Italia, fra il<br />

1995 e il 2007, ci sia stata una miserrima crescita di produttività per ora lavorata si collega alla bassa crescita<br />

del pil. La tesi non regge per due ragioni. Di mezzo c'è il cambio dalla lira all'euro, con la lira sopravvalutata di<br />

un 15-20 per cento rispetto all'equilibrio di bilancia dei pagamenti. Così non solo si è avuto un periodo di<br />

compressione della nostra competitività e di ristrutturazione, ma si è generata anche un'illusione monetaria<br />

sul pil in termini reali dell'Italia in euro. La nostra inflazione media annua dal 1995 al 2007 ha superato quella<br />

tedesca di un punto, che automaticamente riduce la crescita reale del nostro pil di circa il 13 per cento. Inoltre<br />

la struttura della produzione industriale e dell'intera economia italiana è cambiata rispetto a quella dei panieri<br />

Istat. E tutto ciò sottostima la crescita, non la base di partenza. Questi confronti servono a poco. In ogni caso<br />

il nostro export oscilla ancora attorno al 25 per cento del pil stando poco sotto l'import. Una economia che<br />

esporta questa percentuale, nonostante l'euro inizialmente sopra valutato rispetto alla lira, che si è poi<br />

rivalutato rispetto alla iniziale parità col dollaro, non pare sia "un gatto morto", come secondo De Benedetti.<br />

La radicale riforma Visentini del '72, incentrata sull'imposta personale progressiva sul reddito, smantellando i<br />

tributi e le autonomie fiscali locali, mi parve già allora errata (feci con Sergio Steve, la relazione di<br />

minoranza). Ma la riduzione fiscale per aumentare la domanda di consumi, che ora De Benedetti propone,<br />

contrasta con la tesi della bassa produttività. Solo nel miracoloso mondo neo keynesiano, è possibile<br />

aumentare la produttività nel lungo termine espandendo la domanda di consumi anziché gli investimenti e<br />

l'export. E se la riforma consiste nel ridurre la fiscalità del lavoro riducendo pensioni e altre spese correnti e<br />

aumentando l'Iva, con saldo invariato, non c'è un aumento di domanda di consumi. La patrimoniale nebulosa<br />

La tassazione dei patrimoni proposta da De Benedetti - tassazione di cui non si conosce base imponibile e<br />

presunto gettito - non è come lui afferma uno spostamento della tassazione dalle persone alle cose, ma dai<br />

redditi ai cespiti che li producono e quindi dal reddito di lavoro a quello di capitale. Non mi pare che riducendo<br />

l'accumulazione si possa aumentare la produttività. Lo spostamento dell'imposizione verso l'Iva invece va<br />

benissimo. Ma essa è evasa per il 40 per cento del gettito teorico. Dunque non si tratta di fare riforme<br />

cartacee come quelle di Bruno Visentini, ma di ricominciare a far funzionare gli strumenti inventati da Franco<br />

Reviglio e da me per il controllo dell'Iva: con un rapporto leale tra fisco e contribuente, non con le azioni alla<br />

Vincenzo Visco. Inoltre le imposte sul lavoro per stimolare la produttività non vanno ridotte in quanto tali ma<br />

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Pag. 5<br />

solo per le aliquote marginali in collegamento con la maggior produttività. E vanno detratte quale fattore di<br />

costo delle imprese. Il che, scaglionato nel tempo, costa pochi soldi e non è formalmente rivoluzionario.<br />

Francesco Forte<br />

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Pag. 5<br />

CHI GUIDA IL PARTITO ANTITASSE?<br />

Forza Ing.<br />

Antonio Martino plaude al programma debenedettiano Con pochi "se" e senza "ma"<br />

Antonio Martino<br />

L'intervento di Carlo De Benedetti ieri su queste colonne merita un commento non tanto per le singole<br />

proposte, su alcune delle quali non concordo, quanto per l'impianto complessivo. De Benedetti ha certamente<br />

ragione quando sostiene che le "cose per l'economia italiana vanno male. E non da oggi". Non è vero, infatti,<br />

che le nostre difficoltà attuali siano da imputare all'ultima crisi, sono iniziate molti anni prima; né è vero che,<br />

una volta archiviata l'attuale crisi, tutto andrà per il meglio. La tesi dell'Ingegnere secondo cui le riforme<br />

economiche dovrebbero tornare in primo piano è a mio avviso difficilmente contestabile. Così come<br />

ineccepibile mi sembra l'idea che solo una "poderosa e massiccia" riduzione delle aliquote possa rimettere in<br />

moto l'economia. Le aliquote d'imposta dovrebbero essere ridotte "di molti punti percentuali" come dice De<br />

Benedetti per le ovvie ragioni che non fruttano molto all'erario e penalizzano pesantemente il lavoro, la<br />

produzione, il risparmio e l'investimento. Quanto alla tesi di coloro che non si stancano di ripetere il logoro<br />

slogan secondo cui la situazione dei conti pubblici non ci consente di fare alcunché in materia fiscale,<br />

sarebbe difficile dissentire da De Benedetti quando afferma che il rigore è necessario ma non deve essere<br />

perseguito in modo da portare "il paziente Italia alla morte". Il fatto è che il risanamento delle pubbliche<br />

finanze deve essere perseguito con lo sviluppo economico e non a scapito di esso. Una crescita rapida del<br />

reddito nazionale può ridurre l'incidenza del deficit e del debito pubblico coniugando le esigenze di rigore<br />

finanziario con quelle della crescita. Nel 1990 l'Irlanda aveva un debito pubblico pari al 120 per cento del<br />

prodotto interno lordo, nel 1999 era sceso al 54 per cento; quello spettacolare successo non è stato ottenuto<br />

salassando l'economia con una fiscalità punitiva ma, al contrario, razionalizzando le spese pubbliche e<br />

riducendo le tasse. Sostenere che la spesa pubblica italiana sia incomprimibile è una clamorosa corbelleria;<br />

la verità è che mai nella storia d'Italia lo Stato ha avuto tanti soldi come adesso: nel 1900 la spesa pubblica<br />

assorbiva il 10 per cento del pil, negli anni Cinquanta il 30 per cento, oggi siamo a circa il 50 per cento. I<br />

nostri problemi non nascono dalla carenza di risorse assorbite dallo stato ma dall'eccessiva disinvoltura con<br />

cui vengono spese facendo apparire oculato e parsimonioso un marinaio ubriaco. De Benedetti concentra la<br />

sua attenzione sulla riforma fiscale e omette di considerare la necessità di riformare l'intero sistema di<br />

trasferimenti (con la lodevole eccezione del sistema pensionistico). Ma le riforme delle spese sono urgenti<br />

quanto quelle delle entrate. Non possiamo continuare ad avere un insensato sistema di governo locale<br />

caratterizzato da un numero eccessivo di livelli e da una demenziale pletora di soggetti. Come se non<br />

bastasse il numero di comuni potrebbe essere tranquillamente ridotto a un quarto dell'attuale, dovrebbero<br />

essere abolite le province o le regioni (non ha senso averle entrambe), i parchi nazionali sono aumentati di<br />

venti volte in meno di un secolo, le autorità indipendenti prolificano più dei conigli e così via. Ha ragione De<br />

Benedetti a sostenere che, in assenza di riforme, la spesa pubblica controllabile dal governo è soltanto una<br />

piccola percentuale del totale, ma è proprio per questo che la riforma delle spese non può essere rinviata. A<br />

legislazione vigente i conati di contenimento della spesa finiscono col lasciare a secco proprio i compiti<br />

essenziali dello stato: basti pensare all'assurdità di dedicare alla Difesa un miserrimo 0,8 per cento del pil<br />

quando lo standard Nato è il 2 per cento! Un fisco troppo esoso Tornando alle tasse, il punto di partenza di<br />

qualsiasi riforma è l'accettazione dell'ovvia considerazione che lo scopo del prelievo è quello di fornire alle<br />

pubbliche amministrazioni le risorse necessarie a espletare i loro compiti essenziali. Le tasse non sono la<br />

punizione dei nostri peccati, non devono porsi come obiettivo la realizzazione di non meglio precisate finalità<br />

di giustizia distributiva, né tutelare l'ambiente oppure orientare la produzione. Devono fornire all'apparato<br />

pubblico i mezzi necessari al suo funzionamento. Se si accetta questa premessa ne segue l'ineludibile<br />

conseguenza che il prelievo è oggi eccessivo. Ha di fatto diviso i contribuenti in furbi (la maggioranza) che,<br />

spesso in maniera assolutamente legale, si guardano bene dal pagare il dovuto, e tartassati che sopportano<br />

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23/04/2010 Il Foglio<br />

Pag. 5<br />

a stento un carico che per molti di loro prelude al fallimento. Questo fisco non colpisce chi è già ricco ma i<br />

moltissimi che potrebbero diventarlo, migliorando la loro posizione, e vengono impediti dal farlo per l'esosità<br />

delle aliquote. Per queste ragioni credo che chiunque, da qualsiasi parte, sostenga la necessità di un<br />

profondo cambiamento merita il nostro plauso.<br />

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Il Giornale<br />

10 articoli


23/04/2010 Il Giornale<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 7<br />

Alemanno «Europa a destra To cca a noi dare risposte»<br />

«C'è una domanda di destra che percorre l'Europa e che bisogna saper interpretare, molto male come fa Le<br />

Pen in Francia o diversamente come fa la Lega, ma non si può ignorare». Così il sindaco di Roma Gianni<br />

Alemanno nel corso del suo intervento ieri alla Direzione Nazionale del Pdl a Roma. «Non dobbiamo, per<br />

interpretare questa spinta di destra, divenire xenofobi e venir meno, come ha sottolineato Fini, ai principi del<br />

Partito Popolare Europeo, e mai, soprattutto, dare la sensazione di essere staccati dalla realtà».<br />

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23/04/2010 Il Giornale<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 2<br />

IL COORDINATORE PDL DENIS VERDINI<br />

«Gianfranco ha tradito il patto con gli elettori»<br />

Francesco Cramer<br />

Roma Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, continua a chiedersi il perché di uno scontro così<br />

cruento. Appunto, perché secondo lei? «È una domanda che aleggiava durante tutta la direzione nazionale<br />

del partito». S'è dato una risposta? «No. Di fatto si è consumata una grande spaccatura». Forse questioni<br />

personali? «Forse. Ma non si coinvolge un partito e soprattutto un patto con gli elettori per delle questioni<br />

personali che devono restare fuori dalla politica». E adesso? «Adesso gli elettori sono disorientati. Abbiamo<br />

vinto le elezioni, ci hanno dato il mandato per cambiare questo Paese e ora vivranno con molto disagio. Che<br />

peccato. Non c'erano le condizioni né necessarie né sufficienti». C'è il rischio che il Pdl da domani sia<br />

esposto alle imboscate della minoranza finiana? «Spero che abbiano almeno il senso di responsabilità e che<br />

si sentano vincolati al programma per il quale sono stati eletti». Fini e Berlusconi sembrano avere due visioni<br />

del partito e della politica sideralmente lontane. «La verità è che l'elettore è molto più avanti della classe<br />

dirigente, si identifica nella leadership più che nel partito ma soprattutto ci vuole uniti». Quanto si riuscirà a<br />

vivere da separati in casa? «Di fatto tutti i nodi che ha posto Fini, ben presenti nella testa del premier, non<br />

sono stati sciolti e rimane l'incomprensione». Fini ha ribadito che secondo lui c'è un deficit di democrazia nel<br />

partito. «Più democrazia di così. Oggi l'hanno visto tutti che il partito è democratico. E poi c'è sempre stata:<br />

Berlusconi ascolta, valuta e poi decide. A volte contro la sua volontà». Tipo? «I casi di alcune candidature e<br />

l'alleanza con l'Udc alle Regionali». Ragionamento che non ha convinto Fini. Perché? «Forse per un<br />

malinteso senso di democrazia. E poi non partecipa alla vita del partito perché sta al piano nobile della<br />

Camera». Altra critica finiana: il rapporto con la Lega. Quando gli è stato detto che alcune sue posizioni in<br />

materia di immigrazione e sicurezza hanno favorito il Carroccio è andato in bestia. «Mi spiace ma è così.<br />

D'altronde la storia della destra democratica ha sempre puntato su alcuni valori che adesso Fini sembra aver<br />

abbandonato: il concetto di nazione, la sicurezza... ». Niente sintonia neppure sulla supposta trazione<br />

leghista del governo? «Ma se grazie a noi siamo passati dal "Roma ladrona" al "Roma capitale"... Di cosa<br />

stiamo parlando?». Non è che Fini sia stato influenzato a dismisura da alcuni intellettuali alla Perina? «Vivere<br />

in maniera culturalmente alta è una delle cose più belle del mondo ma c'è il rischio che ti allontani dalla<br />

quotidianità e dal rapporto con i cittadini e gli elettori. I quali dicono, giustamente, sempre la stessa cosa».<br />

Ossia? «Piove governo ladro. E il governo deve dare risposte. E noi lo stiamo facendo benissimo visto che gli<br />

italiani ci hanno premiati. Assurdo contestare tutto proprio adesso». Dopo la vittoria elettorale? «Capisco se<br />

avessimo preso una batosta alle Regionali ma è dal 2008 che vinciamo: province siciliane, Abruzzo,<br />

Sardegna, elezioni europee, elezioni regionali». Sulle riforme condivise Berlusconi sembra aver aperto a Fini.<br />

È corretto? «Le riforme istituzionali sono fondamentali, ma anche una palude dalla quale non si esce da 40<br />

anni. Se si riescono a fare, bene. Altrimenti... ». Altrimenti? «Non sono una priorità per i cittadini e gli elettori,<br />

anche se spiace che non si possa parlare di maggiori poteri al premier perché in Italia esiste Berlusconi».<br />

Anche Schifani ha lanciato un appello a Fini: «Se vuol tornare a fare politica lasci la Camera ed entri nel<br />

governo». Condivide? «Non so se ha detto esattamente così. Certo, la scelta di Fini di guidare la Camera dei<br />

deputati lo vincola a un atteggiamento di terzietà. Ma in questo senso è il sistema italiano che non va». Cioè?<br />

«Soffriamo di provincialismo politico: all'estero i presidenti delle Camere non sono così neutri». Insomma, a<br />

Fini questo Pdl non piace più ma resta dentro. «Per Fini è una casa dove si sta male ma se si guardano gli<br />

elettori il Pdl è un albergo di lusso».<br />

L'accusa<br />

"Ha coinvolto il partito per delle questioni solo personali<br />

Dopo la vittoria al voto la gente è disorientata Che peccato Il disagio<br />

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23/04/2010 Il Giornale<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 8<br />

SINISTRA «GUARDONA»<br />

Il tifo dei democratici si spacca tra finiani e berlusconiani<br />

D'Alema considera il leader di An «un interlocutore privilegiato», gli uomini di Veltroni si schierano con Silvio<br />

IDENTITÀ L'ex Ppi Merlo: «Ormai non c'è più differenza tra le idee di Gianfranco e le nostre» LA SPERANZA<br />

Fioroni: «Una frattura nel Pdl può avere effetti imprevedibili anche tra di noi»<br />

Laura Cesaretti<br />

Roma Nel Pd, la sensazione più forte è quella di essere confinati a bordo-campo. «Ormai il centrodestra si fa<br />

l'opposizione da solo: spero almeno che finalmente abbiano ereditato il nostro tafazzismo, e gli porti<br />

sfortuna...», si augura Francesco Boccia. Tutti negano di fare il tifo per i duellanti del Pdl: «Certo, se finiscono<br />

ai materassi e si spacca il Pdl ne sarò felicissimo. Ma resta comunque una partita tra idee diverse di<br />

centrodestra, e non ha senso che noi ci schieriamo», spiega Paolo Gentiloni. Ieri i big del partito hanno<br />

taciuto sul match Fini-Berlusconi, lasciando i commenti ufficiali al segretario Pierluigi Bersani, che parla di<br />

«spettacolo indecoroso», respinge la mano tesa del premier sulle riforme («non si farà nessuna riforma»)<br />

mentre assicura che «con Fini si può ragionare», e annuncia che il Pd vuole «accelerare» la preparazione<br />

della «alternativa», in caso di crisi di governo. Ma in realtà, sugli spalti del Pd, le tifoserie si dividono eccome.<br />

E paradossalmente, se da un lato c'è il partito pro-Fini (principale portavoce: Massimo D'Alema), dall'altro lato<br />

rispunta anche un partito «pro-Berlusconi»: quello che, una stagione fa, fu battezzato «CaW». Dove la W<br />

stava naturalmente per Walter Veltroni. Sarà un caso, ma non appena D'Alema ha iniziato a lanciare segnali<br />

verso il presidente della Camera, indicandolo come «interlocutore» privilegiato e spiegando che, in caso di<br />

rottura nel Pdl, «il Pd deve saper sviluppare un'azione politica all'altezza dell'esaurirsi di un certo tipo di<br />

bipolarismo, e di una cultura della governabilità di cui anche noi ci dobbiamo liberare», dal fronte veltroniano<br />

si è fatto muro. E ieri, sul Foglio di Giuliano Ferrara (il giornale che fu massimo sponsor del «CaW», ai tempi<br />

della discesa in campo di Veltroni) è uscito un lungo articolo di Giorgio Tonini. Nel quale il senatore del Pd,<br />

uno dei principali consiglieri politici dell'ex leader, condanna ogni tentativo di «rimessa in discussione del<br />

bipolarismo» ed evocazione di «terze forze». Auspicando che il centrosinistra sappia darsi al pari del<br />

centrodestra - una «leadership forte» e corazzata contro gli «attacchi» delle «correnti», e che si usino gli<br />

ultimi tre anni di legislatura per una riforma nel segno della «democrazia decidente»: due poli «organizzati<br />

attorno a partiti a vocazione maggioritaria», più poteri al governo e al suo premier, e ruolo più definito per<br />

l'opposizione. Il tutto, sottinteso, da fare d'intesa con la maggioranza e il suo capo. Spiega Tonini che in una<br />

parte del Pd (quella dalemiana) vede risorgere la tentazione di «fare il tifo perché saltino gli equilibri del<br />

centrodestra, Fini sia costretto a uscirne e possa nascere una sorta di "Kadima" all'italiana con dentro Casini,<br />

Rutelli, Montezemolo e chissà chi». Una «terza forza» che «potrebbe allearsi con il Pd e far saltare<br />

Berlusconi, non attraverso le urne ma con un risiko di Palazzo», magari puntando a un «governo di unità<br />

costituzionale contro il Cavaliere» e ad una «riforma elettorale di stampo proporzionale tedesco». Uno<br />

scenario che a bipolaristi convinti come Tonini (o Veltroni) non piace per nulla. Rincara Gentiloni: «Mettere<br />

addosso a Fini l'etichetta di "terzista" vuol dire solo fare un favore a chi, come Berlusconi, non vede l'ora di<br />

tagliargli la testa». Ma il fronte filo-finiano non demorde. C'è chi, come l'ex Ppi Merlo, arruola direttamente il<br />

presidente della Camera, chiedendosi: «Qual è ormai la differenza tra le sue idee e quelle del<br />

centrosinistra?». C'è chi, come Marco Follini, si augura che Fini «possa rimettere in discussione, suo<br />

malgrado, il dogma del bipolarismo». Chi come Peppe Fioroni spera che la frattura nel Pdl provochi «effetti<br />

imprevedibili anche tra noi», magari offrendo agli ex Ppi una nuova casa centrista. E chi, come il lettiano<br />

Boccia, vede un Fini «al bivio» e spiega: «O si arrende al dominio incontrastato di Berlusconi, oppure rompe<br />

con coraggio. E allora decreta la fine della Seconda Repubblica fondata sul bipolarismo conflittuale, e apre<br />

prospettive inedite per tutti. Anche per noi».<br />

Foto: ALLA FINESTRA<br />

IL GIORNALE - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Giornale<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 8<br />

Foto: Il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha respinto ieri la mano tesa da Berlusconi con un secco: «Non si<br />

farà nessuna riforma» mentre ha assicurato che con Fini «si può ragionare»<br />

IL GIORNALE - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Giornale<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 10<br />

Stretta di mano con invito a cena<br />

Nel guerra-day è pace Santanchè-Mussolini<br />

SVOLTE Alessandra diceva: «Sei una patata Ogm» E Daniela: «Ti butti via». Ieri la fine ufficiale delle ostilità<br />

Stefano Zurlo<br />

Gli uomini fanno la guerra, le donne fanno la pace. Berlusconi e Fini se le dicono di tutti i colori, Alessandra<br />

Mussolini e Daniela Santanchè, che avevano saccheggiato e aggiornato il vocabolario per ricoprirsi di insulti,<br />

si abbracciano. Le due del pomeriggio. Auditorium della Conciliazione e almeno per loro è vero. Lo<br />

«showdown», come lo chiama la Mussolini, fra il fondatore e il cofondatore del Pdl è appena finito.<br />

L'assemblea è basita. Le due signore sono vicine. Siedono in poltrona, divise solo dal sottosegretario Aldo<br />

Brancher. In quel frangente, un'opportunità da prendere al volo. Si guardano negli occhi, anzi si cercano con<br />

femminile sensibilità, si alzano, quasi calpestano Brancher, si stringono la mano. Pace fatta. Dopo le offese,<br />

dopo aver megafonato a destra e sinistra disistima l'una per l'altra, dopo essere quasi (ma l'avverbio è una<br />

concessione al gentil sesso) venute alle mani. Non basta. Perché le due primedonne del Pdl corrono al bar, a<br />

bere un caffè e consolidare l'armonia ritrovata. Il grande dramma è appena cominciato, il piccolo dramma<br />

finisce. Anzi, si scioglie sotto il peso di quello che è appena successo. È un lusso che le due signore non<br />

vogliono più permettersi. «È stato tutto spontaneo», cinguetta il neosottosegretario Santanchè. «E stato tutto<br />

così naturale», controcinguetta la Mussolini. «Siamo state un sol uomo», spiega la prima. «Veramente una<br />

sola donna», replica la seconda ed è l'unica, legittima, obiezione. Chi non conoscesse il passato, penserebbe<br />

ad un reciproco corteggiamento. Invece, è stato il passaggio dell'uragano a compattarle come la falange<br />

macedone. «Ci siamo augurate buon lavoro, dobbiamo guardare avanti, almeno noi donne che siamo<br />

pratiche», sintetizza la Santanchè. «Quello che è successo ci ha spinto a superare le precedenti<br />

incomprensioni - sottolinea la Mussolini - e il bello è che è accaduto tutto in un attimo. Abbiamo dimenticato il<br />

passato in una frazione di secondo. E abbiamo cambiato il clima intorno a noi. Al bar ci hanno seguito altre<br />

colleghe, da Pina Castiello a Barbara Saltamartini. Si è formato un gruppetto che prima non si era mai visto,<br />

fra ostruzionismi tattici, ruggini e retropensieri. Un piccolo miracolo». Alessandra aveva creativamente definito<br />

Daniela una patata Ogm, geneticamente modificata, e Daniela aveva elegantemente contraccambiato:<br />

«Sorvolo sul doppio senso. Mi chiedo solo perché la Mussolini, che ha un cognome comunque importante, si<br />

butti via così». Un mese fa, la Santanchè era stata fischiata in Parlamento e la Mussolini aveva colto la palla<br />

al balzo per infierire: «La signora è stupita dai fischi? Allora le ricordo che nel 2008 fece una campagna<br />

elettorale contro Berlusconi e il suo programma e ora, misteriosamente, diventa sottosegretario all'attuazione<br />

del medesimo programma». Una metamorfosi che alla bionda e sanguigna nipote di Sofia Loren non era<br />

andata giù. E al Corriere della Sera aveva regalato un terrificante aneddoto: «Il giorno che Giovanni Paolo II<br />

venne in parlamento, io ero incinta, al settimo mese. Con una pancia così. Bene, vado al mio posto e chi ci<br />

trovo? Lei, la Santanchè. Le dico: scusa, dovrei sedermi, ma lei niente. Non s'alza». E perché? «Perché - è la<br />

risposta di una perfidia tutta femminile - voleva stare accanto a La Russa, uno molto fotografato».<br />

Conclusione, apocalittica: «A quel punto non ci ho visto più e le ho tirato i capelli». Un mese dopo, le due<br />

chiome sembrano testimonial del galateo di monsignor Della Casa. Non litigano più per il posto, anzi è tutto<br />

un «prego, prima tu», «ma no, dai, accomodati». Ad utilizzare toni durissimi, «mai visti finora, ma almeno veri,<br />

veri e non finti», chiosa la Mussolini, ci pensano già i due uomini al comando del Pdl. Silvio contro<br />

Gianfranco. Gianfranco versus Silvio. La Mussolini e la Santanchè si precipitano al bar per diluire con lo<br />

zucchero i vecchi rancori. E per cementare un'alleanza che solo 24 ore prima nemmeno uno sceneggiatore di<br />

fiction avrebbe osato immaginare. Quale sarà il futuro del Pdl? Per ora, le due ex rivali conoscono il loro: una<br />

cena a casa di Maria Scicolone, la mamma di Alessandra.<br />

Foto: SIGNORE DEL PDL<br />

Foto: Daniela Santanchè e Alessandra Mussolini, reduci da una rivalità che dura da anni fra screzi e insulti,<br />

hanno scelto proprio il giorno della guerra fra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi per siglare la pace<br />

IL GIORNALE - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Giornale<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

INTERVISTA ROBERTO COTA<br />

«Critiche ingiuste alla Lega Il federalismo non si tocca»<br />

Il governatore del Piemonte: «I nostri elettori vogliono quella riforma Non so cos'abbia in mente Fini, la<br />

maggioranza sta lavorando bene»<br />

Emanuela Fontana<br />

Roma Governatore Cota, i vostri elettori oggi pomeriggio su Radio Padania sono scatenati contro Gianfranco<br />

Fini. Li ha sentiti? «Lo so, e li invito a continuare a votare Lega». Un ascoltatore sostiene che Fini sembra un<br />

extraparlamentare di sinistra. «Non scendo nelle polemiche, garantisco a tutti che fanno bene a scegliere<br />

noi...». Perché Fini se la sta prendendo tanto con voi del Carroccio? Invidia? «Non sono il suo esegeta». Il<br />

presidente della Camera oggi non è stato molto affettuoso. Ha ribattezzato il vostro Calderoli «piè veloce».<br />

«Fini ha fatto delle critiche, ha posto argomenti, non condivisibili con riferimento alla Lega». Ha persino<br />

messo in dubbio un vostro caposaldo: il federalismo fiscale. «Ricordo che questa è una legge che era nel<br />

programma elettorale in base al quale abbiamo vinto le elezioni». Programma firmato anche da Fini. «Il<br />

programma della coalizione. La gente aveva bisogno del federalismo fiscale, al punto che questa legge ha<br />

ottenuto in Parlamento una maggioranza più ampia di quella reale, con l'astensione del Pd». Ma Fini è<br />

preoccupato . «Il federalismo fiscale è stata una legge importante e necessaria. Per quanto riguarda la Lega,<br />

posso rispondere che noi lavoriamo con impegno, la gente ci ha dato un riconoscimento per questo impegno<br />

che abbiamo mantenuto lavorando con il governo». A cosa punta Fini? «Non posso saperlo, ma dico che c'è<br />

una realtà oggettiva: c'è una maggioranza di governo che ha ben lavorato. Una maggioranza che lavora male<br />

non vince le elezioni». Lei intende le ultime Regionali. È vero che ormai al Nord avete raccolto parte dei voti<br />

di An? «Noi non ci siamo messi a fare campagna acquisti, facciamo il nostro lavoro. Sull'immigrazione<br />

abbiamo seguito una linea coerente che parte dalla legge Bossi-Fini, attuata in quello che era il suo spirito».<br />

Fini e Bossi qualche anno fa, come lei ricorda, scrivevano le leggi insieme. «Quella legge è una pietra miliare:<br />

ha ancorato la presenza sul nostro territorio degli immigrati all'esistenza di un lavoro e di una casa». Perché<br />

Fini non cita mai la sua legge, secondo lei? «Quello che pensa Fini lo dice Fini, io mi limito a esprimere la mia<br />

opinione. È stata la legge Bossi-Fini a segnare una distinzione tra immigrazione regolare e clandestinità.<br />

L'immigrato regolare ha tutti i diritti, quello non regolare deve tornare a casa, perché la clandestinità è<br />

contraria alla sicurezza, ai diritti degli immigrati e all'integrazione». Lei è abbastanza pacato nei toni, su Fini.<br />

«Il rapporto, nei due anni in cui sono stato capogruppo, è stato buono». Pregi? «È un uomo che conosce<br />

bene il Parlamento, da presidente della Camera ha fatto funzionare la macchina». Difetti? «Non sono uno che<br />

mette benzina sul fuoco...». È vero che la Lega vuole mettere le mani sulle banche del Nord? «Noi pensiamo<br />

che le banche controllate da fondazioni, nominate dagli enti locali, debbano essere banche del territorio che<br />

sostengano la piccola e media impresa». Per come l'aveva detta Bossi, a molti è sembrata una corsa alla<br />

poltrona. Fini l'ha vista così, pare. «Il nostro sulle fondazioni bancarie è un ragionamento politico, che<br />

dovrebbe essere condiviso da tutti. A questo proposito dico che dove abbiamo vinto governiamo con il Pdl.<br />

Ho fatto una giunta con il Pdl. Non ho fibrillazioni». A proposito di Calderoli: Fini l'ha criticato molto perché si<br />

sarebbe precipitato al Quirinale con la bozza delle riforme. «La bozza è stata mostrata non so se quasi<br />

contemporaneamente, o addirittura prima, sia a Fini sia a Napolitano». Ai mondiali di calcio lei tiferà Italia?<br />

«Questa è un'intervista politica, la prego. Comunque non sono appassionato di calcio». Cos'è l'assessorato<br />

antifurbetti che lei ha in mente per il Piemonte? «Sarà una struttura adibita ai controlli interni. Individuerà per<br />

esempio gestioni clientelari che sfociano spesso in reati, pensiamo al caso del Grinzane Cavour». Come si<br />

risolverà il caso Fini? «È una questione che riguarda i rapporti interni al Pdl. Questo governo deve pensare a<br />

risolvere i problemi della gente».<br />

"Immigrazione La legge che porta anche il suo nome è un caposaldo<br />

Polemiche La bozza delle riforme è stata data per primo a Gianfranco<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

Economia Le banche? devono essere legate al territorio<br />

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23/04/2010 Il Giornale<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

L'intervento di Berlusconi<br />

«Questioni irrilevanti Al pubblico ludibrio per colpa dei finiani»<br />

Gian Maria De Francesco<br />

Roma Silvio Berlusconi si avvicina alla giornata campale con la calma dei forti. Non è stato, infatti, il primo ad<br />

arrivare all'Auditorium della Conciliazione perché il lavoro preparatorio era già stato svolto. Ma proprio per far<br />

vedere che il Pdl è ancora il «suo» partito, sale sul palco e dirige i lavori come si conviene a un vero<br />

presidente. «Risparmiate le energie perché la giornata sarà lunga», dice alla platea che lo accoglie con la<br />

consueta standing ovation . Poi, dopo aver stabilito l'ordine degli interventi includendo Fini tra i «co-fondatori»<br />

e dunque dopo coordinatori e ministri, ricorda che «la Direzione era stata convocata prima delle Regionali» e<br />

che non è la risposta a un diktat . Berlusconi ricorda al partito che in tutti gli appuntamenti elettorali degli<br />

ultimi due anni «abbiamo vinto sempre» sottolineando come i risultati siano giunti durante la crisi e che<br />

«senza di noi l'Italia sarebbe andata a finire come la Grecia». Non è questione da poco perché il Pdl guidato<br />

da Berlusconi, «un partito democratico nel quale le decisioni sono state prese a maggioranza, non ho mai<br />

imposto la mia volontà», ha vinto tutte le sfide. «Non è mai successo che chi era al governo avesse anche la<br />

maggioranza di Regioni e Province», ha ricordato e «se votassimo domani, saremmo al 38,4 per cento». Non<br />

ha paura di confrontarsi. Perché da una parte ci sono i fatti, dall'altra le parole. Si chiede più democrazia<br />

interna? «Propongo un Congresso nazionale entro l'anno, ritengo giusto farne uno all'anno, dobbiamo<br />

moltiplicare i luoghi di confronto», afferma. L'obiettivo è il prossimo futuro. «Abbiamo tre anni di tempo per le<br />

riforme» e su quelle istituzionali «opereremo soltanto con il consenso di tutti», precisa aprendo<br />

all'opposizione. L'unico vero scopo, insiste, è mettere in condizione «coloro che governano il Paese di<br />

intervenire efficacemente». Non è un'osservazione secondaria perché gli strappi dei finiani stanno<br />

sfilacciando una realtà politica voluta dai cittadini. E, a scanso di equivoci, ricorda quali siano i veri rapporti di<br />

forza. «Il governo ha un apprezzamento al 48%. Io, invece, ho un apprezzamento bulgaro, sono al 63,3%»,<br />

sottolinea. I numeri non sono solo quelli dei sondaggi. «I nostri elettori sono tre volte quelli della Lega, noi<br />

abbiamo 20 ministeri e loro 3 ministri ma in realtà 2 ministeri». In 89 consigli dei ministri «il Pdl s'è mai dovuto<br />

fare indietro rispetto alla Lega». Insomma, il governo non è «a trazione leghista» e Bossi è stato molto più<br />

leale del «co-fondatore». Nel primo intervento di mezz'ora Berlusconi s'è mostrato sereno. Poi, si è<br />

progressivamente rabbuiato alle invettive di Fini. Ai ripetuti «senza ironia» e «senza polemica» ha opposto un<br />

«non mi attribuire cose che non ho mai detto». Ecco perché, come a Vicenza nel 2006 ha scardinato il<br />

protocollo. «Mi pareva di sognare», ha replicato. «Finora nulla era arrivato dagli ex An e da La Russa, uomo<br />

di collegamento», ha risposto ricordando che «le questioni sono state esposte al pubblico ludibrio in tv da<br />

Bocchino, Urso e Raisi» e scatenando un boato. Ai temi sollevati, comunque non «di grande importanza»,<br />

Berlusconi ha ribattuto, è nella sua natura di leader. Il 150 dell'Unità? «Ci abbiamo lavorato tanto, non accetto<br />

critiche». Abolire le Province? «Si risparmierebbero solo i 200 milioni dei consiglieri e stiamo lavorando su<br />

quelle inutili delle aree metropolitane». Una commissione del Pdl sul federalismo? «Una proposta ottima». Su<br />

due punti Berlusconi non transige. I presunti attacchi a mezzo stampa non sono attribuibili al suo intervento.<br />

«Non parlo con il direttore del Giornale e non ho alcun modo di influire e ho convinto un mio familiare a<br />

metterlo in vendita. Se c'è qualche imprenditore vicino a te, può entrare nella compagine azionaria», ha<br />

risposto. Libero , invece, «è più critico ed è di Angelucci, ex An e tuo amico personale». Poi torna sulla<br />

questione del successo elettorale della Lega. «Ne abbiamo discusso e sono arrivate una serie di<br />

considerazioni come quella di La Russa secondo cui aumenta i voti occupando le posizioni abbandonate da<br />

An». Fini ride e mastica amaro. Poi lo scontro dopo il quale nulla sarà più come prima.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

E il premier prepara la battaglia finale: se sgarra, va fuori<br />

Il presidente del Consiglio pronto ad azzerare il peso politico di Fini e C: da oggi valgono come Rotondi<br />

SCURE Bocchino verso la sfiducia alla Camera Via le deleghe a Urso e gli incarichi ai frondisti<br />

Adalberto Signore<br />

Roma «Vattene per favore, non ti voglio nemmeno vedere...». A microfoni ormai spenti, Berlusconi liquida<br />

così l'ex alleato che da sotto al palco gli chiede con insistenza se lo voglia «cacciare via». Una battuta che<br />

fotografa una rottura ormai insanabile. Tanto che durante la sospensione dei lavori, chiuso in una saletta<br />

dell'Auditorium della Conciliazione con i tre coordinatori, il Cavaliere lo dice chiaro e tondo: «Ormai ci ho<br />

messo una pietra sopra, da oggi di Fini parlerò solo al passato». Dopo mesi e mesi di tira e molla, insomma,<br />

va finalmente in scena l'ultimo atto di un'alleanza politica durata quindici anni. O forse il penultimo, perché ora<br />

ci sarà da capire come e quando si formalizzerà una rottura che potrebbe avere anche tempi lunghi. Rottura<br />

politica ovviamente, visto che quella personale è ormai stata metabolizzata da tempo da entrambe. Ed è<br />

anche per questo che a sera, chiuso a Palazzo Grazioli, Berlusconi dice ai suoi collaboratori che «almeno è<br />

stato il giorno della chiarezza». Certo, c'è un po' d'amarezza per i toni e i gesti, per quel faccia a faccia<br />

rimbalzato sulle televisioni italiane e straniere che «avremmo fatto bene a evitarci». Ma, aggiunge il premier,<br />

«dopo un intervento come quello di Fini, guidato dall'astio personale più che dalle ragioni della politica, non<br />

potevo certo stare zitto». Anche perché, è il senso dei ragionamenti del Cavaliere, non si può ripetere un'altra<br />

volta l'errore del 2006. Berlusconi, dunque, non è intenzionato a farsi «cuocere a fuoco lento» come accadde<br />

con la discontinuità di Follini. Ed è per questo che decide di affondare i colpi e non lasciare margini<br />

d'incertezza. Non solo a parole, ma anche con una mozione che difficilmente avrebbe potuto essere più dura<br />

su cui si dissociano solo in undici (il 6,39% del Pdl). Un documento nel quale si dice chiaro e tondo che va<br />

bene in dibattito interno, ma che dopo che una decisione è stata presa a maggioranza acquista carattere<br />

vincolante per chiunque faccia parte del Pdl, sia che l'abbia condivisa sia che si sia espresso in dissenso.<br />

Una sorta di clausola anti-finiani, visto che ripete ai suoi il Cavaliere non è possibile che si ripeta lo spettacolo<br />

dato in tv da Bocchino, Urso e Raisi (i tre sono a rischio sanzioni da parte dei probiviri del partito). Berlusconi,<br />

insomma, è intenzionato a battere il ferro finché è caldo, anche perché Fini gli ha mandato a dire chiaro e<br />

tondo che lo aspetta «alla Camera». «Che fosse pronto alla guerriglia parlamentare - è stata la chiosa del<br />

premier - non avevo alcun dubbio». Il punto è che secondo il Cavaliere la direzione di ieri cambia<br />

decisamente gli equilibri interni al partito. Perché, ripete con i suoi (indiscrezioni smentite in serata dallo<br />

stesso premier), ora «Fini vale il 6% e niente di più». Quindi anche il 6% dei posti. Per questo, dice, dovrebbe<br />

essere lui a pensare se lasciare la presidenza della Camera visto che non rappresenta più una maggioranza.<br />

Di certo, invece, per quanto riguarda la sua permanenza del Pdl l'intenzione è far valere alla prima occasione<br />

la cosiddetta clausola antifiniani, che permette di prendere sanzioni. Intanto, vista la minacciata guerriglia,<br />

Berlusconi ha già sul tavolo alcune contromosse per ridurre il peso dei finiani sulle poltrone che contano.<br />

D'altra parte - è il senso del suo ragionamento - ora conta quanto la DcA di Rotondi. Così, è molto probabile<br />

una mozione di sfiducia del gruppo parlamentare della Camera contro il vicevicario Bocchino. Come è<br />

probabile che a Urso vengano tolte le deleghe di viceministro allo Sviluppo economiche (il rango, infatti, è<br />

quello di sottosegretario). Senza considerare, poi, che a breve scadono le presidenze di tutte le commissioni<br />

parlamentari e il rinnovo delle presidenze ai cosiddetti finiani è ovviamente tutt'altro che scontato.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 4<br />

L'intervento di Fini<br />

«Io leale, non traditore Ho posto dei problemi per il bene del partito»<br />

Roma Fare «chiarezza», per «spiegare cosa sta accadendo». Pone subito l'obiettivo, Gianfranco Fini,<br />

quando sale sul palco, poco prima dell'una - scenderà in platea un'ora dopo -, quando ancora nessuno<br />

immagina davvero lo scontro pubblico che si consumerà di lì a poco con il Cavaliere. Anche se le avvisaglie<br />

si avvertono subito: «Non voglio usare un'espressione che può apparire polemica, ma mi sembra che anche<br />

nella regia dell'avvio dei lavori della Direzione - afferma il presidente della Camera rivolto al premier - ci sia<br />

stato un atteggiamento un po' puerile di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto, come se gli italiani<br />

avessero visto un altro film». Vedi scaletta degli interventi, con il suo nome previsto inizialmente dopo quelli di<br />

Verdini, La Russa, Bondi e i ministri, insieme agli altri co-fondatori (Gianfranco Rotondi e Carlo Giovanardi),<br />

inserimento che gli fa storcere il naso: «Ho scoperto che eravamo in tanti a cofondare... ». Detto questo, Fini<br />

rimarca che «la leadership di Berlusconi non è messa in discussione, almeno da chi vi parla». Salvo chiarire<br />

che «avere opinioni diverse, rispetto al premier e presidente del partito, significa esercitare un preciso diritto-<br />

dovere». Ciò che «sta accadendo», aggiunge l'ex leader di An, è che «su alcune questioni di carattere<br />

squisitamente politico, relative ai problemi del Paese, all'azione del governo, al ruolo del partito, uno dei<br />

cofondatori ha opinioni diverse rispetto a quelle del presidente. Il che non vuol dire negare ciò che ha fatto il<br />

governo». Da qui in avanti, però, i toni si acuiscono. «Per aver posto delle questioni in questi mesi, sono stato<br />

oggetto di attacchi mediatici da mezzi di informazione lautamente pagati da stretti familiari del presidente del<br />

Consiglio». Il riferimento diretto, è ovvio - a cui l'assise reagisce rumoreggiando - è al Giornale . Fini va poi in<br />

crescendo, rimarcando di non avere «bizze», né di essere «geloso». Figuriamoci se possa essere definito<br />

«traditore» - termine su cui verte il primo dei battibecchi con il capo del governo - visto che «dire in faccia le<br />

cose è dimostrazione di lealtà». La questione è un'altra: «Sono solo abituato a dire ciò che penso se non<br />

sono d'accordo. E da mesi e non da ora dico che non mi piace il presepe che ho contribuito a creare». Così,<br />

anche se «qualcuno dice che faccio il bastian contrario o il grillo parlante», in realtà «gli italiani pensano che<br />

alcune cose che dico siano meritevoli di attenzione». Il problema non può essere così ricondotto a una mera<br />

«questione di conta», visto che si tratta di una «fotografia» dell'esistente, ma il punto da garantire è un altro:<br />

«Non è possibile derubricare tutto come se fossero questioni personali». Per essere chiari: «Anch'io ebbi a<br />

definire le correnti una metastasi». Ma qua «non si tratta di far nascere una corrente finalizzata a quote di<br />

potere», ma di «animare un dibattito, un confronto che non può che far bene». Riassumendo: «Oggi viene<br />

meno la fase costitutiva del Pdl» e «non ha più senso parlare di quote 70 e 30», dato che nasce la<br />

componente «che non condivide in toto» l'operato del premier. Un malcontento che parte da una premessa<br />

chiara: «Su alcune questioni il Pdl ha perso lo smalto» originario. E non a caso, ribadisce Fini, «al Nord siamo<br />

diventati la fotocopia della Lega, che «ci sta omogenizzando». Sul fronte immigrazione, tocca muoversi nel<br />

pieno rispetto della «dignità umana», valore fondante di quel Ppe a cui il Pdl si ispira. A seguire, lancia una<br />

proposta sul federalismo fiscale («facciamo una commissione interna con i governatori»), e avverte:<br />

«Dobbiamo rimodulare il programma sulle cose che è possibile fare da qui alla fine della legislatura», alla<br />

luce degli effetti delle crisi economica, pensando magari di rivedere il sistema pensionistico. Anche perché<br />

«senza le risorse necessarie, è difficile calare le tasse per famiglie e imprese. E fra tre anni ci chiederanno il<br />

conto». Capitolo riforme. «È un fatto politico quando Berlusconi dice che vanno fatte con il massimo<br />

consenso e su questo ovviamente non c'è dissenso, anche se - aggiunge Fini - fino a qualche tempo fa non<br />

sembrava fosse questo l'orientamento del Pdl». Si chiude con la giustizia: «È certamente indispensabile<br />

riformarla, ma combattere la politicizzazione di una parte della magistratura» non significa dare «anche<br />

minimamente l'impressione di tutelare sacche di impunità». Da qui in avanti, saranno scintille. VLM<br />

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23/04/2010 Il Giornale<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 4<br />

RESA DEI CONTI NEL PDL<br />

Lo sconfitto rincuora gli undici dissidenti: usciamo a testa alta<br />

Il presidente della Camera minaccia sfracelli in Parlamento. I suoi: «Tra un anno saremo di più» LO SFOGO<br />

«Non sono un suo dipendente, non può fare il padrone con me. Se vuole mi cacci»<br />

Vincenzo La Manna<br />

Roma Se ne sarebbe fumate parecchie, di «bionde», se non si fosse tolto il vizio. Prima, durante e dopo la<br />

direzione nazionale, poco ispirata dall'indirizzo della location: via della Conciliazione. Ma chissenefrega.<br />

«Siamo usciti a testa alta e pronti a far sentire la nostra voce», assicura alla truppa. Sarà. Intanto ciancica<br />

chewing gum di continuo, sin dalle dieci del mattino, pur cosciente di essere a favore di telecamere, leste a<br />

scrutare ogni suo movimento. Quisquilie. Quel che conta, per il neo leader della minoranza pidiellina, mister<br />

Gianfranco Fini, alla guida di un undici titolare ancora senza panchina, è aver posto una prima pietra. Anche<br />

a costo di mostrarsi un po' paonazzo, quando appare in video con in corso la replica piccata del Cavaliere.<br />

Affondo che gli fa perdere le staffe, con tanto di manina per dire «no, tu non mi cacci e io non me ne vado».<br />

Concetto che ripete anche a fine match, dopo un intero pomeriggio trascorso a confabulare e discutere con i<br />

suoi (nei capannelli a ridosso della sala e in una stanzetta in cui li riunisce durante la pausa per il pranzo,<br />

dove gli viene tributato - raccontano - un «sentito applauso»). E vabbè. Dicevamo, Fini non molla, anzi: «Non<br />

ho alcuna intenzione di lasciare la presidenza della Camera e ho il pieno diritto nell'ambito del partito che ho<br />

contribuito a fondare di porre questioni politiche». Tranquillo, pare, dopo una giornata di forti tensioni, in cui<br />

garantisce di avere ottenuto quello che voleva. Ovvero: «Viene meno la fase dell'unanimismo o della totale<br />

convergenza e si apre una positiva e democratica fase di discussione». Posizione legittima, anche se si tratta<br />

di un risultato di gran lunga inferiore rispetto alle sparate iniziali, alimentate a dovere da chi ha cavalcato in<br />

suo nome la battaglia contro il pensiero unico. Scissione, gruppi autonomi, ognun per sé. Eravamo di fronte a<br />

una minaccia-burla o le pretese sono state man mano ridimensionate? Su questo punto i finiani si dividono di<br />

nuovo. Ma il capo rimarca: la nuova componente è «numericamente molto minoritaria, come si è visto, e su<br />

questo non c'erano dubbi», anche se «si sente impegnata per l'attuazione del programma e di volta in volta<br />

rivendica il suo diritto a discutere su come si attua». Ma è proprio quel «di volta in volta» che non lascia<br />

presagire molto di buono. Lo fa intendere con chiarezza uno degli undici contrari al documento finale<br />

approvato in direzione: «Se ci sottovalutate è meglio: vuol dire che non avete capito nulla». Chiediamo lumi:<br />

«Siamo in guerra e le regole sono saltate». Per capirci, «in Parlamento faremo ballare tutti e pian piano<br />

vedrete se siamo o no quattro gatti». Il finiano rintuzza: «La maggioranza d'ora in poi dovrà venire a trattare<br />

con noi, su ogni cosa. Vedrete che la visibilità ottenuta da Fini porterà a un allargamento progressivo della<br />

nostra squadra. E tra un anno chissà quanti saremo... ». Una minaccia? Se così fosse, Fini giocherebbe<br />

allora a carte ancora coperte: «Adesso c'è una minoranza interna, di tipo politico culturale che supera la<br />

vecchia divisione tra Alleanza nazionale e Forza Italia, ma che non ha il diritto di sabotare». Ma non solo: «È<br />

una fase del tutto nuova e spero che tutti, a partire dal presidente Berlusconi, abbiano la consapevolezza che<br />

non siamo più nella situazione in cui eravamo fino a qualche giorno fa». Di certo, la terza carica dello Stato<br />

non ci pensa affatto a fare un passo indietro, pur ribadendo ai suoi di restare calmi. «Io non sono un suo<br />

dipendente, non può fare il padrone con me», spiega a chi lo interpella sulle mosse future. Quindi, «sono<br />

disposto a pagare il prezzo della mia libertà, ma dovrà essere lui a cacciarmi». Opzione non praticabile,<br />

ovviamente, ma per certi versi auspicabile, secondo un paio di falchi che volano attorno al leader. «In quel<br />

caso - azzardano - Fini potrebbe giocarsi fino in fondo la carta della vittima per catalizzare nuove adesioni al<br />

suo progetto». Scenario finora da fantapolitica. Ma di una cosa lo stesso Fini si mostra convinto: se il<br />

Cavaliere prova a giocare con il cerino, «sarà lui a bruciarsi».<br />

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23/04/2010 Il Giornale<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

L'intervento<br />

Quel che accade davvero al «Corriere»<br />

Sebastiano Grasso<br />

Caro Vittorio, letto il tuo editoriale Il Corriere, lo sciopero e il sindacato miope , mi vengono in mente alcune<br />

considerazioni sia come giornalista del Corriere (da 39 anni), sia come ex membro di un paio di Comitati di<br />

redazione del quotidiano di via Solferino. Sono d'accordo con te sul sindacato miope: ma solo se ti riferisci a<br />

quello estremamente politicizzato di oltre vent'anni fa. Dopo, la faccenda è cambiata. E di molto. Oggi il<br />

nostro Cdr è diverso. Non è potere, non è cogestione e neppure «signorini che si credono affrancati dalle<br />

leggi del mercato». Questo sindacato ha approvato senza scioperi lo «stato di crisi» del Corriere , ha<br />

osservato il direttore promuovere o spostare quasi il 10 per cento della forza lavoro senza fare barricate, ha<br />

guardato nascere 24 nuove pagine e svariate iniziative su Internet senza chiedere un'assunzione e<br />

aumentando, così, la produttività dei giornalisti. Se un politico smentisce il suo programma elettorale abbiamo<br />

il dovere di ricordarlo agli elettori. Se un direttore fa altrettanto perché non dovremmo ricordarlo ai nostri<br />

lettori? Lamenti che il direttore del Corriere non possa spostare un giornalista da un settore all'altro senza il<br />

suo consenso. È verissimo. Ma da quando in qua diventa una colpa chiedere l'applicazione di norme non<br />

solo esistenti, ma ribadite esattamente due mesi fa dallo stesso direttore (comunicazione di De Bortoli al Cdr,<br />

in data 21 settembre 2009: «Terrò fede a ciò che vi ho detto nel mio discorso programmatico di insediamento<br />

e vi ribadisco la validità della prassi, degli accordi, degli istituti interni al Corriere della Sera ». Aggiungendo:<br />

«Il piano di ristrutturazione aziendale e il piano editoriale non si faranno sulla base di atti impositivi. La<br />

direzione non ricorrerà ad atti unilaterali. Ribadisco il rispetto della professionalità, dei ruoli e delle mansioni<br />

anche in questo periodo di emergenza»). Questa norma, come ricorderai, non è nata a caso. Ma per evitare<br />

quel «cimitero di elefanti», rimpolpato ogni qual volta si cambiava direttore. Il nuovo venuto si portava dietro<br />

una decina di persone di sua fiducia. E altrettante percepivano lo stipendio senza che fosse permesso loro di<br />

lavorare. Lo sciopero dell'altro ieri non è un «lusso», ma il segnale di una redazione esasperata che vede<br />

passare sulla propria testa decisioni di cui è ritenuta responsabile senza esserlo. Un vecchio proverbio dice<br />

che il pesce puzza dalla testa. Qual è la testa di un giornale? Tu ricordi benissimo il Corriere di Tassan Din: in<br />

poco tempo si avvicendarono decine di direttori generali, direttori di settori, amministratori, ecc. ecc,. che<br />

stavano solo qualche mese e poi se ne uscivano con prebende miliardarie. Il Corriere subì un' emorragia tale,<br />

da restare moribondo. Resuscitò. Il come, quando e perché lo hai pubblicato sul tuo giornale in questi ultimi<br />

tempi. La storia, anche se con incidenze e modalità diverse, ha avuto aspetti molto simili ad allora, anche in<br />

quest'ultimo lustro. L'esempio più eclatante? Vittorio Colao, arrivato al Corriere nel 2004 e uscito nel 2006.<br />

Sola liquidazione: 10 milioni di euro (circa 20 miliardi di lire). Dicono che quando è approdato fra via Rizzoli e<br />

via Solferino, si sia portato dietro circa 70 persone. Che, quando è andato via, sono rimaste in gran numero.<br />

E veniamo agli ultimi tempi. Investimenti esteri, con i risultati che tutti sanno. E sul fronte interno? Capitolo<br />

spese. Mentre sono nel Cdr, ricevo, per posta interna, da parte di un anonimo impiegato amministrativo del<br />

Corriere , i tabulati con nomi e compensi pagati ai collaboratori. La cifra si aggira attorno ai 15 milioni di euro.<br />

Impiego un paio di giorni per capirci qualcosa. Con relative sorprese. Decine di collaboratori esterni<br />

percepiscono somme varianti fra i 30 e i 50mila euro annui, a forfait, solo per quello che potrebbero scrivere<br />

(visto che, ovviamente, manca lo spazio per pubblicarli tutti). Come spiegare che il Corriere paga, mi pare,<br />

108 elzeviri al mese, quando tutti sanno che il mese è di 30 giorni? Non parliamo, poi, di certi collaboratori cui<br />

vanno da 150 a 180mila euro all'anno per pezzi specialistici (ricordo che uno di essi, che veniva dalla Banca<br />

d'Italia, aveva cominciato come economista ed era finito scrivendo di tutto: persino racconti estivi). E che dire<br />

degli oltre 200mila euro all'anno dati ad un vignettista che lavorava in un altro giornale, mentre il vignettista-<br />

principe del Corriere , ne prendeva circa la metà (quando lo feci presente a Mieli, la risposta fu: «Vedi chi gli<br />

ha fatto il contratto». Sono andato a vedere e sono rimasto di sale!). E che dire di un altro collaboratore che<br />

bravissimo! - è riuscito ad incantare un paio di direttori, dicendo loro, di anno in anno, che avrebbe avuto il<br />

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Premio Nobel. Compenso? Anche a lui oltre 200mila euro di lire annui, sempre a forfait. Con<br />

un'amministrazione simile, soccomberebbe anche la più florida delle aziende. Colpa dei giornalisti? Non svelo<br />

segreti. Di tutto ciò si è parlato in diverse assemblee del Corriere , comunicati sindacali e, per quanto riguarda<br />

i compensi, anche su Libero al tempo della tua direzione. Su altri aspetti non certo meno importanti, come<br />

certe pagine «redazionali» e faccende «private» (che però incidono sul lavoro e sulle nomine), preferisco qui<br />

non parlarne. I più curiosi li potranno leggere sul libro che sto scrivendo e che si intitola Via Solferino e<br />

dintorni . E che, ti posso assicurare, non è il canto nostalgico di un pastore errante nell' Asia. Sebastiano<br />

Grasso<br />

IL GIORNALE - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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3 articoli


23/04/2010 Il Manifesto<br />

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MINORANZA Con lui pochi ma determinati<br />

Fini è debole le sue idee no<br />

Matteo Bartocci<br />

«Fin qui tutto bene, il problema non è la caduta, è l'atterraggio». A Gianfranco Fini sicuramente la cultura<br />

francese piace. E la barzelletta macabra del film L'Odio su un uomo che si butta da un palazzo di 50 piani<br />

rende l'idea di quello che sta accadendo ai finiani «dissidenti».<br />

Il discorso di Fini è perfetto. Alterna una retorica apparentemente innocente e costruttiva a vere e proprie<br />

mazzate contro Berlusconi. Non è un duello di karate o boxe. E' piuttosto un incontro di judo, in cui si somma<br />

la propria debolezza alla forza dell'avversario per rovesciare lo scontro a proprio favore.<br />

«Non c'era dubbio che fossimo minoranza», ammette il presidente della camera lasciando la direzione del<br />

partito che ha contribuito a fondare. Dopo un voto più che bulgaro: solo 12 i contrari al documento di<br />

Berlusconi. Ma fin qui tutto bene. Che succede adesso? Il premier teme un «Vietnam parlamentare». E<br />

dunque qualsiasi dissenso deve essere messo a tacere immediatamente. Come dimostra l'«editto bulgaro»<br />

contro la presenza di Raisi, Urso e Bocchino in tv che ha scatenato la quasi rissa con Fini sotto al palco.<br />

«Che fai mi cacci?», urla con la mano che ondeggia di lato il presidente della camera. Aveva appena chiesto<br />

clemenza al Cavaliere e già le prime teste dei suoi rotolavano nell'arena. Certo, «fedeli a Fini, fedeli al<br />

governo» è la linea prevalente in un manipolo tanto ristretto quanto apparentemente corsaro. Accanto a un<br />

fatalista missino come l'anziano Donato Lamorte c'è la direttrice del Secolo e deputata Flavia Perina che<br />

dopo il pranzo con Fini è quasi solare. Il tramortito Italo Bocchino, un lucido Carmelo Briguglio. Sono pochi.<br />

Ma dal contro-canto passano al canto libero. «Da oggi finalmente possiamo dire quello che pensiamo», dice<br />

Perina. E già Fini dal palco prova a svelare i trucchi del format berlusconiano spiegando che stavolta (e forse<br />

per l'ultima volta davanti «alla nostra gente») «non si può più nascondere la polvere sotto il tappeto, nel Pdl<br />

qualcosa sta accadendo». E per Fini il qualcosa sono: la legittimazione ad avere opinioni politiche diverse da<br />

Berlusconi sulle scelte di governo e di partito e il rapporto con il Nord e con la Lega. In sintesi: un partito forte<br />

e nazionale accanto a un leader forte. Per questo c'è il diritto-dovere ad intervenire, specifica velenoso, «ogni<br />

volta che il presepe che ho contribuito ad allestire non mi piace».<br />

Stessi valori ma declinazione diversa? La missione, come dimostra la reazione immediata di Berlusconi, è<br />

impossibile e negata in principio. Lo stesso Fini riconosce dal palco di rappresentare «posizioni minoritarie e<br />

perfino minime» nel partito e tra gli elettori. Il dado è tratto, indietro non si torna. La purga parte immediata<br />

come nemmeno nel comunismo di guerra. Si raccolgono firme contro Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla<br />

camera. Si chiede a Fini di dimettersi dallo scranno più alto di Montecitorio per «lavorare nel partito» al posto<br />

di La Russa (fucilato da entrambi come inadeguato a fare il pontiere).<br />

«Se mi si chiede se la frattura tra Fini e Berlusconi sia sanabile rispondo: spero di sì ma temo di no», afferma<br />

il finiano Fabio Granata. Per il presidente che ha liquidato An non è una lotta di potere. E' una lotta per la<br />

sopravvivenza. Fini dice che il Pdl «sta perdendo la sua ragion d'essere», quella di una destra europea,<br />

popolare, che mette al centro la «dignità umana» e l'idea di «coesione sociale e politica della nazione». Cose<br />

normali e perfino banali. Sulla Lega alterna inviti a non esserne la «fotocopia» a messaggi precisi sul<br />

federalismo fiscale, bandiera del Carroccio per antonomasia. Non da oggi, Fini è super cauto con Tremonti.<br />

Ma sul fisco federale vuole vedere le carte: come si attua con le poche risorse che ci sono per la crisi? Come<br />

si attua senza «cautele o antidoti nazionali»? «Per il Pdl, il mio partito - scandisce - va fatto a ogni costo<br />

oppure si può discutere? I costi li conosciamo? Sappiamo quali servizi saranno garantiti?». La risposta è no e<br />

ancora no. Ma non importa. Garantisce Berlusconi. A Fini non basta. Spera così in cuor suo che non basti<br />

anche a più di mezzo paese dal Po in giù. Propone riforme del welfare e un giro di vite sulle pensioni. Misure<br />

impopolari ma care agli ambienti confindustriali. Cita il caso Pdl Sicilia per enfatizzare le contraddizioni di<br />

Berlusconi. Cerca ganci sull'economia e soprattutto sulle riforme. A partire - anche se non la cita lui ma i suoi<br />

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ED. NAZIONALE<br />

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- dalla legge elettorale. «Prima di buttare queste idee almeno discutiamone». Nulla.<br />

L'impressione finale è che qualsiasi cosa avesse detto il risultato era scritto. «Se non si allinea è fuori», sibila<br />

Berlusconi nella notte. L'obiettivo più realistico è cacciarlo con un drappello di fedeli ridotto al minimo. Fini<br />

invece punta a un congresso in cui spera di allargare i consensi facendo da parafulmine a un maldipancia<br />

che sa essere più ampio di quello che appaia. Il fondatore è uno. Chi ha più filo tesserà.<br />

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Tutti travolti dalla corrente<br />

Parla il filosofo Massimo Cacciari<br />

Iaia Vantaggiato<br />

ROMA<br />

Il teatrino andato in onda ieri a via della Conciliazione non scompone più di tanto Massimo Cacciari: «E' una<br />

lacerazione che matura da tempo e che non deve stupire. Le posizioni di Fini - dall'immigrazione alla giustizia<br />

- sono ormai da anni in totale contrasto con quelle di Berlusconi e soprattutto con quelle del suo più fidato<br />

alleato, la Lega».<br />

Neanche il minimo stupore di fronte a un Pdl che va in frantumi?<br />

La rottura, in fondo, si era già consumata nel precedente governo Berlusconi con lo strappo di Casini su<br />

Tremonti. Oggi tocca a Fini.<br />

La rottura è così scontata?<br />

Più che altro è inevitabile. Stiamo parlando di un dissenso politico-culturale che va assunto in tutta la sua<br />

portata, e anche nel senso più nobile dell'espressione. Io sono convinto che Fini abbia maturato nell'ultimo<br />

decennio una posizione indigesta a Berlusconi e anche a molti dei suoi ex Colonnelli. Si tratterà di vedere i<br />

tempi e i modi ma la rottura c'è ed è destinata a manifestarsi sino in fondo.<br />

Sul predellino sembravano sbocciare valori fortemente condivisi.<br />

Il punto è che in questo caso non si condividono affatto gli stessi valori. E un partito regge solo quando su<br />

alcuni obiettivi di fondo - storicamente determinati - trova un accordo forte.<br />

E oggi, in Italia, quali sarebbero questi obiettivi?<br />

Una visione unitaria del federalismo, una politica dell'immigrazione che sia anche politica di integrazione e<br />

accoglienza, una riforma condivisa della giustizia. Questioni sulle quali Fini e Berlusconi sono in totale rotta di<br />

collisione.<br />

Stesso discorso per il Pd?<br />

Lo stesso vale per il partito democratico dove sarà impossibile convivere e sopravvivere se non si arriva a<br />

una visione condivisa della laicità.<br />

Non sarà che ad essere in crisi - più che i rapporti tra Fini e Berlusconi - sia solo la forma partito?<br />

Se vuoi fare politica non puoi farla individualmente e se non vuoi chiamarli partiti chiamali associazioni.<br />

Comunque non è possibile pensare a una democrazia senza i partiti.<br />

Possibile che il Pdl o il Pd non reggano all'urto delle correnti? Dc e Pci, in questo, erano bravissimi.<br />

Nei partiti tradizionali della I repubblica c'erano le correnti, eccome, ma c'era sostanzialmente una grande<br />

storia comune che aveva formato un linguaggio condiviso e rapporti di prossimità che in questi partiti<br />

mancano totalmente. Pensi a Napolitano e Cossutta, cosa c'entravano l'uno con l'altro?<br />

Fine della dialettica amico-nemico, insomma?<br />

Fine della prossimità. Fini non parla più la stessa lingua di Berlusconi e metà del Pdl non parla più la stessa<br />

lingua della Lega. I partiti sono in crisi perché al loro interno non hanno più un «ubi consistam».<br />

La crisi del Pdl sembrava però meno drammatica.<br />

Solo perché era coperta dal Führerprinzip ma dal punto di vista politico-culturale di fondo sempre si tratta di<br />

un'ipotesi di partito fallita.<br />

Poi però Fini il Führerprinzip l'ha sfidato.<br />

Lo ripeto, il dissidio resta incomponibile. Fini non potrà mai accettare la linea che Berlusconi va proponendo<br />

né l'alleanza con la Lega.<br />

La Lega ha rotto «territorialmente» il Pdl?<br />

Territorialmente sino a un certo punto. Quando cominci a «fare» il 5-6% in Emila Romagna e in Toscana hai<br />

voglia a dire che è un caso «territoriale. La Lega ormai sta diventando un partito nazionale e il salto - in<br />

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ED. NAZIONALE<br />

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queste elezioni - l'ha compiuto perché alle sue tradizionali vocazioni o missioni ha aggiunto parole d'ordine e<br />

prospettive che possono avere un peso nazionale. Il modo in cui la Lega affronta l'immigrazione può avere<br />

una corrispondenza con grandissimi settori dell'elettorato nazionale.<br />

Non crede che questo dilagare della Lega sia destinato a acuire e drammatizzare le contraddizioni all'interno<br />

del Pdl?<br />

Fini o non Fini, molte componenti di tradizione popolare o liberale del Pdl sono, a partire dal Veneto, in<br />

grande difficoltà soprattutto per ragioni culturali. Il dissenso con Galan è stato emblematico. In ballo non c'era<br />

solo la presidenza della regione o la spartizione delle spoglie ma un contrasto di nuovo politico-culturale con<br />

la Lega.<br />

E ora che succede?<br />

Credo che nel breve periodo le conseguenze saranno ben poche. Si tratta di posizionarsi e di riposizionarsi.<br />

E Fini si sta posizionando chiaramente fuori dall'attuale Pdl. Bisognerà vedere che sponde e che<br />

convergenze troverà sia nell'area di centro che nei movimenti cha vanno maturando intorno a Montezemolo.<br />

E poi naturalmente bisogna vedere quale ruolo deciderà di svolgere il Pd. Di fronte a un'opposizione efficace<br />

del Pd, le contraddizioni del Pdl potrebbero acuirsi. Ma il crollo del Pdl, in mancanza di alternative, non<br />

necessariamente sarebbe un bene.<br />

Intanto Fini è stato quasi messo alla porta.<br />

Io credo che Fini a questa drammatizzazione sia stato costretto.<br />

A Berlusconi e a molti dei Colonnelli farebbe comodo che se ne andasse ora.<br />

Ora Fini non si porta dietro niente mentre in un altro momento potrebbe avere un seguito infinitamente<br />

maggiore. Molto dipende dalla capacità del Pd - che attualmente è a pezzi peggio del Pdl - di darsi<br />

un'organizzazione territorialmente efficace per contrastare il Pdl-Lega. Se il Pd fallirà, a Fini non resterà che<br />

andare a Canossa o accontentarsi del suo 3%.<br />

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ED. NAZIONALE - EDITORIALE<br />

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A CARTE SCOPERTE<br />

Gianpasquale Santomassimo<br />

Abbiamo assistito a una rottura politica, probabilmente non sanabile, tra Fini e Berlusconi, annunciata ma non<br />

prevista nei termini di brutalità padronale con cui si è materializzata.<br />

La direzione del Pdl è stata organizzata come una cerimonia di umiliazione pubblica per il Presidente della<br />

Camera, affiancato a Rotondi e Giovanardi (e altri sette politici di cui molti ignoravano l'esistenza) come<br />

cofondatore del partito, in una assise volta ufficialmente a celebrare la vittoria elettorale e i successi del<br />

governo.<br />

Nel suo intervento Fini ha rivolto critiche esplicite a Berlusconi, di fronte a una platea di dipendenti non<br />

abituati ad ascoltare critiche pubbliche al padrone da cui - qualunque sia loro provenienza - dipendono<br />

interamente carriere presenti e prospettive future.<br />

Sono confluite nel discorso di Fini idee antiche e tradizionali, unità nazionale, coesione del paese, senso dello<br />

stato e della legalità, e quest'ultimo è fra tutti il vero nervo scoperto del berlusconismo, come si è visto dalle<br />

reazioni del personaggio, mai così teso e insofferente in pubblico. Ma si sono innestate, nel discorso di Fini,<br />

anche le questioni nuove che da qualche anno sostanziano le sue prese di posizione pubbliche: diritti<br />

individuali e civili, laicità delle istituzioni, costruzione di un percorso inclusivo di cittadinanza per gli immigrati.<br />

Tutto quello che, attraverso l'ultimo Fini e il lavoro della sua Fondazione Farefuturo, dovrebbe costruire il volto<br />

di una destra italiana moderna e di tipo europeo, che entra in rotta di collisione inevitabile con ideologia e<br />

pulsioni della Lega, ma anche con sostanza e identità profonda della destra reale in Italia.<br />

Perché Fini sia uscito allo scoperto proprio ora e nelle condizioni per lui peggiori è facilmente intuibile: di<br />

fronte a progetti di riforma istituzionale decisi nelle cene di Arcore con Calderoli, Bossi, e il figlio di Bossi, non<br />

reagire avrebbe significato condannarsi a una irrilevanza politica sempre più evidente, mentre la campagna<br />

acquisti dei suoi ex colonnelli da parte di Berlusconi è virtualmente conclusa, e resa esplicita dalla conta<br />

impietosa di questi giorni.<br />

Il destino di Fini, ormai sessantenne, non è più certamente quello di un delfino che può attendere l'uscita di<br />

scena del leader indiscusso: se ci sarà un successore di Berlusconi non sarà lui. A Fini resta un notevole<br />

capitale di stima e di consenso, rilevato dai sondaggi, ma che difficilmente può tradursi in voti fuori della<br />

gabbia di questa destra.<br />

Certamente non accetterà senza reagire lo sfratto dalla Presidenza della Camera intimatogli da Berlusconi,<br />

ma la prospettiva di una corrente organizzata in un partito di questo tipo ("carismatico" è la definizione<br />

ufficiale) è affidata a un esile filo di probabilità, e non è neppure detto che questa libertà di manovra gli venga<br />

concessa.<br />

Si apre un periodo di inevitabile assestamento e riposizionamento, e la prospettiva, del tutto inedita, di una<br />

rottura dell'unanimismo forzato all'interno della destra italiana. Nell'incontro con Berlusconi all'origine dello<br />

strappo, veniva attribuita a Fini la dichiarazione per cui la propaganda da sola non può bastare, e la politica<br />

non può venire sostituita dalla propaganda stessa. Pensiero giudizioso, che in ogni paese occidentale<br />

apparirebbe scontato. Ma molto meno scontato nell'Italia modellata da Berlusconi a sua immagine e<br />

somiglianza, con questa legge elettorale. Questo sistema può durare ancora a lungo, in una decadenza<br />

avvilente e rovinosa.<br />

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20 articoli


23/04/2010 Il Messaggero<br />

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NÉ TREGUA, NÉ PACE Tensione alle stelle e voto su un documento: «La minoranza si deve adeguare».<br />

Verso la sfiducia al vicecapogruppo Bocchino<br />

Il premier: non mi farò logorare, se non si allinea Gianfranco è fuori<br />

La Direzione boccia le correnti. Solo 12 no, Pisanu si astiene «DATI DEVASTANTI, COME FA A<br />

RESTARE?» «Con lui appena il 6% del Pdl, non può rivendicare Montecitorio»<br />

FABRIZIO RIZZI<br />

ROMA - Il voto anticipato non è più una remota possibilità. Silvio Berlusconi, nella giornata più nera da<br />

quando è sceso in campo, si sfoga. Il match con Gianfranco Fini ha lasciato il segno nel Cavaliere, faccia<br />

scura, irritazione altissima. Se il presidente di Montecitorio non si allinea, è fuori dal partito. «Dove pensa di<br />

andare con questi numeri?» si chiede il premier quando, sul documento votato a maggioranza, si sono<br />

materializzati i «no» dei finiani, 12 in tutto (il ministro Ronchi a sera fa sapere di aver votato anche lui no,<br />

senza essere conteggiato). Il premier pensa alle conseguenze, a una prospettiva di Vietnam parlamentare,<br />

con continue imboscate, tranelli. Non sopporta l'idea di sottoporsi a un logoramento continuo, di essere<br />

messo sulla graticola tutti i giorni. Come fa Fini, si sarebbe domandato, a rivendicare di rimanere presidente<br />

della Camera? «Chi ha il 6 per cento del partito non può presiedere Montecitorio». Ma la ricostruzione, fatta<br />

da alcune agenzie, è stata smentita dal portavoce, Paolo Bonaiuti. Le braci, che il Cavaliere si attende,<br />

potrebbero restare nascoste nei percorsi parlamentari di leggi e riforme, giustizia compresa. Per questo,<br />

immagina, come un incubo, di dover subire tre anni da vivere pericolosamente. Lui vuole «andare avanti»,<br />

l'ha detto in tutte le salse. I numeri, peraltro ci sono, più alla Camera che in Senato. Ma affiorano scenari<br />

spettrali, un dramma che si può consumare lentamente. Per questo il premier medita il colpo delle elezioni<br />

anticipate. Una possibile e forse, unica, via d'uscita. Non ha alcuna voglia, né intenzione di farsi logorare.<br />

Certo, avrebbe preferito che l'ex capo di An dicesse «me ne vado». E non l'ha fatto. Berlusconi ha però preso<br />

le contromisure per metterlo all'angolo, facendo approvare dalla Direzione nazionale un documento anti-Fini<br />

con maggioranza bulgara, 93 per cento dei votanti (contro il 6,39 dei finiani, tra cui Bocchino, Augello,<br />

Granata, Lamorte, Moffa, Perina, Urso, Viespoli, 1 solo astenuto, Pisanu). Può costituire lo strumento per<br />

sbattere fuori dal partito chi non si allinea alle decisioni prese a maggioranza o all'unanimità. Se Fini non si<br />

«allinea è fuori dal Pdl». Queste, è scritto, «acquistano carattere vincolante per chiunque faccia parte del Pdl,<br />

sia che le abbia condivise, sia che si sia espresso in dissenso». Ma c'è un altro passaggio: «La direzione dà<br />

mandato al presidente e ai coordinatori di assumere ogni iniziativa utile ad assicurare la realizzazione del<br />

programma e delle decisioni assunte dagli organi statutari, stabilendo il rispetto delle decisioni votate<br />

democraticamente». Non si dà spazio neppure alle «correnti e componenti». Dopo 2 anni di «successi»<br />

elettorali, restano da realizzare le riforme (da quella fiscale, al piano per il Sud, la riforma della giustizia è al<br />

settimo punto, quella istituzionale all'ottavo). Per questo ci vuole, è scritto, «la forte ed autorevole leadership»<br />

di Berlusconi perché gli italiani «non rimpiangono leadership e governi deboli». Se Fini vuole criticare, lo<br />

faccia, «è possibile discutere di tutto», a patto che «tutti si adeguino al risultato del voto» delle decisioni degli<br />

organi del partito. Ma anche le truppe finiane sono nel mirino. E' pronto un documento per sfiduciare Italo<br />

Bocchino, vice-capogruppo alla Camera, non gradito dopo le apparizioni in tv dove si è scontrato con<br />

Maurizio Lupi. La raccolta delle firme non è ancora partita, ma presto lo sarà.<br />

Foto: La prima volta<br />

Foto: La direzione del Pdl. Si è riunita ieri per affrontare il caso Fini<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

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Pag. 3<br />

LE CONTROMOSSE<br />

Silvio deciso a sferzare partito e gruppi: evitare che il dissenso cresca<br />

«GIORNATA AMARA, CON GIANFRANCO HO CHIUSO» «E' completamente fuori di testa, bisogna fermare<br />

la metastasi della corrente»<br />

MARCO CONTI<br />

ROMA - «Una giornata amara, ma io con Gianfranco ho chiuso». Tira un sospiro di sollievo Silvio Berlusconi<br />

quando si spengono le luci dell'Auditorium. Intorno un drappello di fedelissimi che tenta di rincuorarlo con i<br />

numeri della votazione finale che Denis Verdini ha annotato su un foglietto che gli chiude nella cartellina. La<br />

ministra Meloni ha ancora gli occhi lucidi e non ha voglia di festeggiare, mentre Laboccetta - che poco prima<br />

aveva tentato di gettare il cuore oltre l'ostacolo mettendo a disposizione «la mia poltrona di parlamentare a<br />

patto che facciate pace» - si becca anche l'ultima rampogna del Cavaliere: «Macchè hai detto! Il tuo amico è<br />

completamente fuori di testa, io non c'entro nulla». Limitata la contestazione interna ad un drappello di undici<br />

dissenzienti, più Ronchi e Pisanu che si è astenuto e Della Vedova che ha preferito "picchiare" ad "Anno<br />

Zero" invece di votare, ora Berlusconi sa di dover evitare quel «tentativo di logoramento» che rischia di<br />

precedere quella che tutti considerano «l'inevitabile rottura che arriverà prima o poi». Azzerati i mediatori alla<br />

Letta e Bonaiuti, ieri pomeriggio solo Cicchitto ha tentato di trovare nell'intervento dei due leader elementi<br />

comuni, sapendo che ora a partito e gruppi spetterà un lavoro aggiuntivo e che Berlusconi tornerà a sferzare<br />

coordinatori e capigruppo affinchè evitino che «la metastasi» di Fini si allarghi. Ieri mattina il volto livido di<br />

Berlusconi mentre Fini lo attaccava dal palco, era lo stesso che aveva a palazzo Chigi la sera del 17 aprile<br />

del 2005 quando l'allora Udc Marco Follini lo invitò a dimettersi. Anche allora si consumò una rottura non più<br />

sanata e i toni furono ugualmente minacciosi. Gli stessi che ieri sera permettevano al premier di sostenere<br />

che Fini «con quei quattro voti raccolti farebbe bene a lasciare anche la presidenza della Camera». Ora però<br />

che la componente interna al Pdl è nata, Berlusconi sa di dover evitare che il dissenso si incanali nel solco<br />

tracciato da Fini. «I consensi per Fini potrebbero triplicare se il partito e i gruppi non prendono iniziative<br />

sosteneva ieri un senatore berlusconiano nei corridoi dell'Auditorium - la Lega ha esagerato e Tremonti deve<br />

cominciare ad aprire qualche rubinetto». Ne sa qualcosa Fabrizio Cicchitto delle possibili tensioni che<br />

rischiano di esplodere nell'irrequieto e foltissimo gruppo della Camera. Lo teorizza il ministro Bondi («ora in<br />

Aula ci farà vedere i sorci verdi!»), che mentre attaccava Fini nella sala dell'Auditorium, si beccava gli<br />

applausi del sottosegretario "ultras" Francesco Giro. La prima mossa per isolare Fini e i suoi, verrà "servita" a<br />

giugno quando scadono i due anni e mezzi previsti nelle regole interne al Pdl che prevedono un<br />

avvicendamento nelle presidenze delle Commissioni e dei gruppi parlamentari. A farne le spese rischia di<br />

essere non solo il vicecapogruppo Italo Bocchino, ma anche Fabio Granata, forse, lo stesso Beppe Pisanu e<br />

il viceministro Urso. Il timore che però sia alla fine Berlusconi a pagare il prezzo più alto, trapelava anche dai<br />

ragionamenti che ieri sera si facevano a palazzo Grazioli. «Il programma di governo non lo metteranno in<br />

discussione, ma sul resto sarà una trattativa continua», spiega un ministro azzurro. A cominciare dalla<br />

costituzionalizzazione del lodo-Alfano che si dovrebbe fare entro l'anno e che, ovviamente non è in nessun<br />

programma di governo.<br />

IL MESSAGGERO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 3<br />

IL "GRANDE FRATELLO" PDL L'intervento del presidente della Camera più volte interrotto dal Cavaliere, che<br />

alla fine dà l'aut aut dal palco al cofondatore<br />

Berlusconi-Fini, in scena la rottura totale: «Fai politica, dimettiti». «Che, mi<br />

cacci?»<br />

L'ex leader di An: leale, ma sì al dissenso. Il premier: sei pentito del Pdl «FOTOCOPIA LEGHISTA» «LA<br />

LEGA COPIA AN» Fini: al Nord siamo senza bandiere Berlusconi: Bossi ha preso gli slogan di An «MARTEDÌ<br />

VOLEVI GRUPPI NUOVI» «Gianfranco, non cambiare le carte Da Letta avevi detto che te ne andavi» «NON<br />

SONO SABOTATORE, IL GOVERNO GOVERNI» «Si è chiusa una fase e ora chiedo regole per garantire<br />

spazio al confronto»<br />

CLAUDIA TERRACINA<br />

ROMA Chi prevedeva che tra Fini e Berlusconi «sarebbero volate le sedie» nella direzione del Pdl è stato<br />

buon profeta. A nulla sono valse le missioni di pace che si sono protratte fino a ieri mattina di Alemanno,<br />

Augello, Quagliariello e Tremonti. Lo scontro tra i due è andato in onda in diretta tv ed è stato perfino più duro<br />

del previsto perché non si sono limitati a intervento e replica, ma hanno messo in scena un botta e risposta di<br />

una violenza inusitata. «Criticare non è un tradimento, ho il diritto di dire la mia, oggi comincia la svolta<br />

democratica del Pdl», rivendica Fini. E Berlusconi ribatte, interrompendo il suo discorso: «Non ti ho mai<br />

chiamato traditore, sei tu che mi hai detto in privato che ti sei pentito di aver fatto il Pdl». Da quel momento, le<br />

interruzioni si susseguono fino allo show-down finale: «Se vuoi fare politica, devi lasciare la presidenza della<br />

Camera». Al che, Fini si alza dal suo posto, con la mano tesa e replica: «E se non lo faccio, che fai? Mi<br />

cacci?». E' l'epilogo di un confronto che non nasconde più la reciproca insofferenza. Fini attacca «su<br />

questioni politiche» e accusa il Pdl «di non alzare più le proprie bandiere al Nord». E Berlusconi ribatte: «I<br />

vostri slogan ormai li ha presi la Lega», guadagnandosi un applauso ironico da parte del cofondatore che<br />

difende «i diritti della persona, quindi degli immigrati regolari e dei loro figli». Il premier chiede «di discutere<br />

tra noi, senza esporre il Pdl al pubblico ludibrio come hanno fatto Bocchino, Urso e Raisi». E Fini li difende:<br />

«Non accetto la messa all'indice». Il suo obiettivo, spiega, è far emergere la realtà, opponendosi con<br />

veemenza a chi non accetta contraddittorio, ma, assicura, «con lealtà». Per questo, nega «di aver mai<br />

pensato a imboscate in Parlamento». Facce tese, gesti eloquenti, voci eccitate. La tensione tra i due<br />

cofondatori del Pdl è tale che nulla viene più nascosto e i retroscena, orecchiati dai giornalisti, diventano<br />

ormai scena sotto gli occhi di tutti. La realtà dilaga. Va in onda il "Grande fratello" della politica. Che, per dirla<br />

con i finiani, «almeno ha il merito di aver smontato il partito di plastica e aver mostrato a tutti che il re è nudo<br />

e che non esiste il padre-padrone del partito». Lo scontro comincia prima che Fini salga sul palco. Seduto in<br />

prima fila tra la segretaria, Rita Marino, e il portavoce, Fabrizio Alfano, il presidente della Camera mastica<br />

continuamente la gomma americana, che da un po' di tempo sostituisce le amate sigarette. Non applaude<br />

quando Berlusconi sciorina i numeri del suo consenso. E, quando annuncia che «Fini parlerà con gli altri<br />

cofondatori, dopo i coordinatori e i ministri», scuote la testa visibilmente. Parte una serrata trattativa sui tempi<br />

del suo intervento, che, alla fine, viene anticipato. E, una volta conquistato il diritto a intervenire, il presidente<br />

della Camera dal palco bolla come «puerile» la regia della direzione del Pdl. Immediato parte l'attacco a<br />

Berlusconi: «Non serve nascondere la polvere sotto il tappeto», avverte. E' solo l'inizio di un crescendo<br />

rossiniano. «Avere opinioni diverse rispetto a quelle del presidente del Consiglio, la cui leadership non è stata<br />

messa in discussione, credo sia legittimo», premette Fini. E parte l'affondo su una questione che ha<br />

denunciato continuamente nell'ultimo anno: «Sono stato oggetto di trattamenti giornalistici molto pesanti da<br />

parte di giornali pagati da stretti familiari del premier», accusa. La platea rumoreggia. Berlusconi ribatte: «Te<br />

l'ho detto cento volte, mai parlato con Feltri. Anzi, ho pregato mio fratello di vendere Il Giornale. Fai<br />

intervenire qualche editore tuo amico, se puoi, come quell'Angelucci che viene dalle file di An, che edita<br />

"Libero", che mi pare ti attacchi più di tutti». Ma Fini non si scompone e si rivolge direttamente al Cavaliere,<br />

che chiama solo «Berlusconi». «Te lo dico in faccia, il tradimento non è nell'animo di chi critica, ma di chi<br />

applaude e poi sparla in privato». E il presidente del Consiglio sbotta: «Non mi attribuire cose che non ho mai<br />

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detto». Ma lui insiste: «Hai diritto di replica, lo eserciterai. Non è alto tradimento dire che certe cose le<br />

possiamo fare meglio, e uscire faticosamente dal coro e non dire che tutto va bene». Berlusconi è sempre più<br />

scuro in volto, mentre Fini enumera le questioni sulle quali, secondo lui, il Pdl è inadempiente. «Attenti al<br />

centralismo carismatico», scandisce. Berlusconi scuote la testa. E l'altro, il cofondatore, sottolinea di «non<br />

aver posto questioni personalistiche. Non siamo in cerca di potere, anzi chi è con me ha messo in conto di<br />

perderne una fetta», ricorda. E' un battibecco continuo. Virtuale, a gesti, a smorfie, a sguardi, con i volti che<br />

diventano via via più scuri man mano che il battibecco diventa più feroce e svela una lacerazione che appare<br />

insanabile. «Mai saputo quali fossero le tue proposte. La Russa non me le ha dette. Ora discutiamo», cerca<br />

di minimizzare Berlusconi, scaricando sul povero coordinatore le difficoltà di comunicazione con il<br />

cofondatore. Ma Fini non si accontenta, pur incassando l'apertura di un dibattito «vero», che dovrebbe<br />

portare al congresso. Vuole togliersi tutti i sassolini che lo hanno infastidito in questi mesi e che lo hanno<br />

portato a sancire la nascita della minoranza del Pdl. Esigua, lo sa bene. Ma tant'è. Il culmine si raggiunge<br />

quando parla del caos liste a Roma e sulla giustizia. «Sgombriamo il campo dal tema delle elezioni-<br />

premette- so benissimo che la coalizione ha vinto. In alcuni casi le ha vinte personalmente Berlusconi, come<br />

ad esempio nel Lazio. Ma credi veramente che la lista non sia stata presentata per un complotto di radicali e<br />

magistrati?». Al che, il premier prende il microfono e replica: «Un comportamento, più che un complotto...».<br />

Poi, l'affondo sulla giustizia e sulla «difesa della legalità». Ed è qui che le divisioni sancite nelle conversazioni<br />

private tra i due diventano pubbliche. «Ti ricordi le litigate a quattr'occhi che abbiamo fatto sul processo<br />

breve? Quella era un'amnistia mascherata- quasi grida Fini- se fosse passata, sarebbero saltati 600 mila<br />

processi. E allora mi devi dire che cosa c'entra poi la riforma della giustizia se poi passano messaggi del<br />

genere. Sulla legalità la pubblica opinione è meno distante da noi di quel che pensi». I pidiellini si infuriano.<br />

Parte qualche fischio. Il Cavaliere non si tiene più e svela anche lui alcuni particolari dei suoi pranzi con il<br />

cofondatore. «Hai cambiato totalmente posizioni. Martedì nel tuo studio, davanti a Gianni Letta, mi hai detto<br />

di essere pentito di aver fondato il Pdl e che volevi fare gruppi autonomi in Parlamento. Gianfranco, valeva la<br />

pena di fare contrappunto politico quotidiano al Pdl, al premier, al governo? Tu alle riunioni non sei mai voluto<br />

venire. Non c'eri a piazza San Giovanni. Un presidente della Camera non deve fare il politico». E Fini urla:<br />

«Quello era un comizio elettorale, non una riunione». Non finisce qui. Seguono repliche.<br />

Foto: Il duello Fini-Berlusconi dalla tribuna della direzione nazionale del Pdl<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 17<br />

PEDOFILIA<br />

Avvocato Usa denuncia anche il Papa. Si dimette terzo vescovo irlandese<br />

ANNA GUAITA<br />

dal nostro corrispondente NEW YORK - E' stata una giornata difficile quella di ieri per la Chiesa. Se infatti<br />

negli Usa un avvocato che difende alcune vittime di molestie ha denunciato per insabbiamento i cardinali<br />

Tarcisio Bertone e Angelo Sodano e il Pontefice stesso, che all'epoca era cardinale, dalla Germania e<br />

dall'Irlanda sono venute notizie di due dimissioni "eccellenti". Il vescovo di Augusta Walter Mixa ha<br />

abbandonato la carica sull'onda di accuse di maltrattamenti risalenti ai primi tempi della sua carriera di<br />

ecclesiastico. Il vescovo era stato anche accusato di appropriazione indebita dei fondi di un orfanotrofio, e le<br />

sue dimissioni erano state sollecitate dai sacerdoti della sua stessa diocesi. Ma ieri il Papa ha anche<br />

accettato le dimissioni del vescovo irlandese James Moriarty, e con questa uscita salgono a tre le dimissioni<br />

di vescovi irlandesi collegati all'insabbiamento dello scandalo della pedofilia. Moriarty ieri ha espresso il suo<br />

dolore per aver sbagliato e ha chiesto scusa alle vittime e alle loro famiglie: «Avrei dovuto contestare la<br />

cultura prevalente» ha ammesso il vescovo, che all'epoca dei fatti era uno degli alti prelati dell'Arcidiocesi di<br />

Dublino, dove per circa 30 anni gli abusi vennero tenuti segreti. La questione statunitense è più complicata<br />

perché l'avvocato Jeff Anderson è tornato sulla sua teoria già espressa in una causa accesa qualche<br />

settimana fa nello Stato dell'Oregon, e cioé che la responsabilità della protezione dei preti pedofili non vada<br />

ricercata localmente, ma nelle massime sfere del Vaticano. Anderson sostiene che il Vaticano controlla i suoi<br />

vescovi, e quindi è responsabile delle loro decisioni. In particolare Anderson si riferisce alle molestie<br />

effettuate da padre Lawrence Murphy su circa duecento bambini che frequentavano una scuola per<br />

sordomuti negli anni compresi fra il 1950 e il 1975. Anderson ha rivelato che una delle vittime scrisse una<br />

serie di lettere raccomandate al Vaticano nel 1995, quando cominciavano a venire a galla i casi di molestie,<br />

per chiedere alle autorità della Chiesa di ridurre padre Murphy allo stato laicale. Cosa che non avvenne.<br />

Murphy è morto nel 1998, ancora prete. La denuncia dovrà essere decisa dalla Corte Suprema Usa.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

IL CONFLITTO TRA LE ALTE CARICHE DELLO STATO<br />

E la crisi Pdl apre un inedito scontro istituzionale<br />

Il pressing per le dimissioni di Fini. I precedenti di Saragat e Pertini. Le preoccupazioni del Quirinale<br />

CLAUDIO SARDO<br />

ROMA - Giuseppe Saragat si dimise da presidente dell'Assemblea costituente dopo aver guidato la scissione<br />

di Palazzo Barberini e fatto nascere il Psdi: era il febbraio '47 e venne eletto al suo posto Umberto Terracini.<br />

Sandro Pertini si dimise due volte da presidente della Camera. La prima nel '69 dopo il fallimento del Psu,<br />

partito nel quale era stato eletto, la seconda nel '75 dopo una polemica di Ugo La Malfa contro gli sprechi<br />

dell'amministrazione della Camera: ma in entrambi i casi i deputati respinsero all'unanimità le dimissioni. Altri<br />

precedenti non ci sono. Salvo i casi di Giovanni Gronchi, dello stesso Pertini, di Oscar Luigi Scalfaro, eletti al<br />

Quirinale dal seggio più alto di Montecitorio. Oppure quello di Giovanni Leone, che da presidente della<br />

Camera fu chiamato a guidare un governo. Mai comunque era accaduto che un capo del governo chiedesse<br />

pubblicamente le dimissioni di un presidente della Camera. Che alla richiesta si unisse anche la seconda<br />

carica dello Stato, cioè il presidente del Senato Renato Schifani («Se Fini vuole fare politica, entri al<br />

governo»). E che l'interessato rispondesse in un botta e risposta, tra applausi e tensioni: «Che fai mi cacci?».<br />

Sono istantanee di un conflitto istituzionale inedito e ad oggi imprevedibile negli esiti. Perché, essendo<br />

strettamente connesso alla crisi che si è aperta nel Pdl, Berlusconi ieri aveva tutta l'aria di chi intende<br />

insistere. Le dimissioni di Fini da presidente della Camera sono infatti la minaccia, il deterrente che il premier<br />

vuole usare per frenare oggi la nascita di una corrente organizzata, indebolire il potere di interdizione sul<br />

governo dei deputati finiani, scongiurare domani una scissione. Il problema è che il presidente della Camera<br />

non può essere sfiduciato (per quanto negli anni 2000 in quel ruolo ci sia stata una staffetta di leader politici:<br />

Casini, Bertinotti, poi Fini). Non ci sono regole al riguardo. L'ipotesi di una mozione di censura a Montecitorio<br />

è di dubbia ammissibilità: in ogni caso, allo stato Berlusconi potrebbe mancare i numeri. Restano possibili le<br />

dimissioni volontarie, appunto. Ma il pallino è nelle mani di Fini. Che ieri assicurava i suoi: «Non intendo<br />

dimettermi». La macchina della delegittimazione tuttavia è partita nella maggioranza Pdl. Dopo la direzione<br />

Fini sarà obbligato ad esporsi di più come leader politico. E i suoi avversari interni dicono che questo ruolo è<br />

incompatibile con la carica di «garanzia». Il precedente di Saragat può anche essere «forzato» contro Fini:<br />

tuttavia, il leader socialdemocratico si dimise da presidente di assemblea solo dopo aver fondato un suo<br />

partito. Lo scontro istituzionale diventa così una variabile della battaglia interna. Prima di dar seguito alla<br />

minaccia di espulsione dal partito, è evidente che Berlusconi e i suoi affonderanno i colpi sulla presidenza<br />

della Camera. Al Quirinale ovviamente si segue il tutto con preoccupazione. Fini, oltre che la terza carica<br />

dello Stato, è stato fin qui la sponda più affidabile del presidente della Repubblica nel campo del Pdl. Se<br />

l'attacco andasse a segno, lo scontro rischierebbe di propagarsi nelle istituzioni. Ma per ora il Capo dello<br />

Stato si tiene fuori: ieri Berlusconi e Fini hanno parlato da leader politici e nessuna decisione coinvolge il<br />

Quirinale. Intanto anche le riforme sono finite tra i temi dello scontro interno. E l'impostazione di Fini è pure in<br />

questo caso la più in sintonia con il Capo dello Stato. Va detto però che non sono le riforme a far scattare<br />

oggi Berlusconi, bensì il timore che Fini da presidente della Camera possa guidare la pattuglia dei suoi<br />

deputati, decisivi per la maggioranza e dunque capaci di colpire l'asse strategico con Bossi. È questo lo<br />

spettro che il Cavaliere vuole scacciare.<br />

Foto: Il presidente del Senato, Renato Schifani. Ha affermato che Gianfranco Fini farebbe meglio ad andare<br />

al governo dimettendosi da presidente della Camera<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 4<br />

I TEMI DELLO SCONTRO Il presidente della Camera: basta sudditanza alla Lega Mettiamo l'unità d'Italia al<br />

centro della nostra azione Il Cavaliere: per i 150 anni dell'unità d'Italia il governo ha fatto molto. Gli affondi del<br />

Giornale? Lo stiamo vendendo<br />

«No al federalismo se non ci sono fondi»<br />

Il vocabolario di Fini: immigrati, legalità, nazione CAMBI DI CENTRALISMO «Non vorrei che si passasse da<br />

quello democratico a uno carismatico»<br />

CLAUDIO RIZZA<br />

Ecco i temi principali sui quali Gianfranco Fini ha concentrato le sue critiche. CENTRALISMO «Non vorrei che<br />

si passi da una sorta di centralismo democratico ad una specie di centralismo carismatico... E con questo io<br />

non voglio mettere in discussione la leadership di Berlusconi che non ho mai discusso». «Non voglio tornare<br />

all'antico, voglio solo dire che deve essere lecito avere idee diverse». RIFORME «Il fatto che il presidente del<br />

Consiglio abbia detto che le riforme vanno condivise il più possibile è certamente un fatto politico. Vedi su<br />

questo non c'è dissenso. Forse anche se su questo ci fossimo capiti meglio...». Ma, chiede, «possiamo<br />

discutere della riforma della Costituzione, se non sappiamo tra di noi cosa vogliamo?». SQUILIBRIO LEGA<br />

«Sono mesi che lo vado dicendo: al Nord siamo diventati una fotocopia della Lega». «Il Pdl al Sud è andato<br />

bene, nel Nord ha perso consensi, un po' per colpa dell'astensionismo, un fenomeno su cui si deve riflettere,<br />

ma soprattutto perché c'è stato uno squilibrio tra noi e il nostro alleato, la Lega. Vogliamo almeno chiederci<br />

perché è successo?». ABOLIZIONE DELLE PROVINCE Fini rimprovera il Pdl di aver rinunciato all'abolizione<br />

delle Province («era nel programma») «perché la Lega non vuole». MUNICIPALIZZATE La mancata<br />

privatizzazione delle municipalizzate? Sempre «perché la Lega non vuole, sono il tesoretto degli<br />

amministratori leghisti, in attesa di metter le mani sulle banche attraverso le Fondazioni». FEDERALISMO<br />

«Facciamo una commissione nel Pdl con i governatori del Nord e del Sud» sul federalismo fiscale. «Il<br />

federalismo fiscale o è una grande opportunità per responsabilizzare la classe dirigente, ma senza alcune<br />

cautele, antidoti, in tempi di vacche magre rischia di mettere a repentaglio la coesione sociale». La stella<br />

polare deve essere «l'interesse nazionale», procedendo quindi «compatibilmente con le compatibilità<br />

finanziarie e con i valori nazionali che sono indiscutibili». ECONOMIA E WELFARE A causa della crisi<br />

«perché il Pdl non convoca degli Stati generali dell'economia per definire ciò che è possibile fare e ciò che<br />

non è possibile fare da qui al termine della legislatura» per «rimodulare il programma» di governo? «È<br />

evidente che fra tre anni il giudizio sul governo sarà sulla gestione della crisi economica, sulla situazione di<br />

imprese e famiglie italiane. Se non avremo fatto qualcosa di reale e concreto, oltre ciò che è stato fatto, non<br />

credo che basterà il carisma e l'ottimismo di Berlusconi, ma ci vuole anche la realtà». Fini chiede di rivedere il<br />

welfare: i padri facciano ora dei sacrifici per dare un futuro ai giovani. 150 ANNI DALL'UNITA' Fini chiede che<br />

il Pdl abbia un ruolo attivo nelle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, perché «il tema della identità<br />

nazionale non può essere eluso». «Fischiate pure se volete ma non si può tacere di fronte al fatto che la<br />

"Padania", non FareFuturo o il Secolo, scriva "Unità d'Italia, che cosa ci sarà mai da riformare? L'unità è un<br />

relitto storico da riattualizzare attraverso il federalismo"». GIUSTIZIA «Ti ricordi le litigate a quattr'occhi che<br />

abbiamo fatto sul processo breve? Quella era un'amnistia mascherata: e allora mi devi dire che cosa c'entra<br />

poi la riforma della giustizia se poi passano messaggi del genere». «È certamente indispensabile riformare la<br />

giustizia, ma combattere la politicizzazione di una parte della magistratura» non significa dare «anche<br />

minimamente l'impressione di tutelare sacche di impunità». E sulle liste: «Devo dirtelo: ma credi veramente<br />

che la lista non sia stata presentata per un complotto dei magistrati?». IL GIORNALE Fini ricorda gli attacchi<br />

del Giornale di Feltri: «A Bondi ricordo che nei mesi passati sono stato oggetto di certi trattamenti mediatici e<br />

giornalistici da parte di colleghi lautamente pagati da stretti familiari del presidente del Consiglio, senza che<br />

questo determinasse una presa di posizione».<br />

Giustizia e Legalità Fini ha puntato il dito contro i segnali anti-legalità che verrebbero lanciati da riforme<br />

come il processo breve. Gli ha replicato Alfano, sottolineando tutte le altre riforme in materia a partire dal<br />

processo civile<br />

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Pag. 4<br />

Il nuovo Welfare Il presidente della Camera ha sollecitato più coraggio nell'affrontare una riforma della<br />

previdenza a costo dell'impopolarità. Sacconi gli ha replicato che questa riforma è già stata fatta<br />

L'abolizione delle Province L'abolizione delle Province è parte del programma elettorale del Pdl e va<br />

attuata, ha chiesto Fini. Berlusconi ha risposto che si procederà nelle aree metropolitane, per il resto il<br />

risparmio sarebbe esiguo<br />

La privatizzazione delle Municipalizzate Fini spinge anche per la privatizzazione delle municipalizzate, che<br />

a suo dire sarebbero altrettanti feudi della Lega. E' già stata fatta, gli ha risposto Gasparri, tant'è che c'è un<br />

referendum per abolirla<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 17<br />

MEDIO ORIENTE Obama cerca di affrettare i tempi<br />

Intesa segreta Usa-Israele C'è un'agenda per la pace<br />

NETANYAHU E GLI INSEDIAMENTI Sarà tollerata la retorica del premier in cambio di un temporaneo stop<br />

ERIC SALERNO<br />

Una via d'uscita dalla crisi nei rapporti tra Israele e Stati Uniti appare più vicina. Quanto meno per quanto<br />

riguarda i tempi brevi. Netanyahu ha formalmente respinto la richiesta del presidente americano di congelare<br />

i progetti di costruzione a Gerusalemme Est ma le parti sarebbero sul punto di raggiungere ciò che un<br />

commentatore israeliano ha definito un «accordo tra g e n t i l u o m i ni». Ossia Obama tollererà la retorica di<br />

Netanyahu e in cambio della promessa che almeno fino a settembre non ci saranno annunci di nuove<br />

iniziative edilizie ebraiche nei quartieri arabi della città. Sarebbe, insieme con altre "concessioni" israeliane, la<br />

formula per consentire il rilancio dei negoziati, peraltro indiretti, tra Israele e la leadership dell'Autorità<br />

nazionale palestinese. Sono stati due inviati americani giunti di segreto in Israele nei giorni scorsi a negoziare<br />

con i consiglieri di Netanyahu e l'arrivo nella regione di George Mitchell, responsabile della Casa Bianca per il<br />

processo di pace, sarebbe la conferma del loro successo. Secondo il Wall Street Journal , il premier<br />

israeliano per «migliorare il clima» e come risposta alle esortazioni americane, avrebbe accettato di riaprire<br />

alcune istituzioni palestinesi nella parte orientale di Gerusalemme e di trasferire alcune zone della<br />

Cisgiordania occupata al controllo palestinese. Avrebbe anche accettato di discutere tutte le questioni di<br />

fondo del conflitto - confini, rifugiati, il futuro di Gerusalemme - anche nei negoziati indiretti. Obama vorrebbe<br />

arrivare a un accordo di pace entro l'estate prossima ed è consapevole che difficilmente Netanyahu sarà in<br />

grado di avvicinarsi alle posizioni di compromesso necessarie con l'attuale coalizione di governo.<br />

L'impazienza americana, però, è evidente. Dopo le dure parole dell'ex ambasciatore a Tel Aviv, Martin Indyk -<br />

in pratica: «o con noi o contro di noi» - il segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Jim Jones, ha<br />

sollecitato le parti a non cercare «scuse». E lo stesso presidente, in una lettera scritta ai responsabili delle<br />

maggiori organizzazioni ebraiche americane (definita un'iniziativa insolita) ha ammesso che la pace «non può<br />

essere imposta» ma ha voluto ricordare come lo status quo è contrario non solo agli interessi di israeliani e<br />

palestinesi, ma anche a quelli degli Usa. Le parole dei dirigenti americani non possono nascondere un senso<br />

di urgenza dettato dal deterioramento del clima regionale. La questione del nucleare iraniano, per<br />

ammissione dello stesso ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, non costituisce una minaccia<br />

imminente, mentre gli sguardi di tutti sono puntati sul fronte siriano-libanese. Notizie non confermate di una<br />

fornitura di missili Scud da Damasco a Hezbollah sono al centro dell'attenzione. Washington, preoccupata, ha<br />

chiesto chiarimenti alla Siria ma per il segretario di Stato Hillary Clinton la questione non è tanto grave da<br />

indurre l'Amministrazione a rinunciare a riprendere pieni rapporti diplomatici con Damasco con l'invio di un<br />

suo ambasciatore. Un ulteriore elemento di tensione è arrivato ieri mattina a sorpresa. Due razzi katiuscia<br />

sparati probabilmente dal Sinai egiziano verosimilmente in direzione della cittadina balneare israeliana di Eilat<br />

sono caduti in Giordania, uno su un capannone industriale ad Aqaba, l'altro in mare.<br />

Foto: Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 10<br />

IL CASO<br />

Indagini su Carboni, contatti anche con Nicola Cosentino<br />

M.Mart.<br />

ROMA - Spunta un nome eccellente nel fascicolo di indagine sul presunto comitato d'affari in cui si sarebbero<br />

intrecciati gli interessi dell'imprenditore-faccendiere Flavio Carboni, del giudice tributario Pasquale Lombardo,<br />

ma anche del potente direttore generale dell'Arpa Sardegna, Ignazio Farris, del consigliere provinciale di<br />

Iglesias, Pinello Cossu e di un imprenditore napoletano dalla personalità multiforme, Arcangelo Marino, già<br />

assessore socialista ai tempi di Tangentopoli, quando si ritrovò in carcere per una storia di appalti pilotati e<br />

conobbe Elio Letizia, il papà di Noemi, la ragazza che lo scorso anno ricevette la visita del premier Berlusconi<br />

alle sua festa per i diciotto anni, in un paesino campano. Proprio ieri mattina le abitazioni di alcuni di questi<br />

indagati sono state perquisite, come quella di Flavio Carboni e del giudice Lombardo. Ma è dall'ascolto delle<br />

intercettazioni telefoniche che gli investigatori starebbero tirando fuori i maggiori spunti di indagine. Dalle<br />

conversazioni di Arcangelo Marino, sarebbe emerso un collegamento diretto tra gli interessi di questo<br />

presunto comitato d'affari e il sottosegretario all'Economia e coordinatore politico del Pdl in Campania, Nicola<br />

Cosentino. Il nome dell'uomo politico, in passato raggiunto da una richiesta di custodia cautelare poi respinta<br />

dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato, non figurerebbe nella lista degli indagati della<br />

Procura di Roma per il reato di corruzione. Tuttavia, secondo i pm, emergerebbe una comunanza di interessi<br />

tra lui e i componenti del sodalizio finito sotto inchiesta. Il magistrato tributario Lombardo, ad esempio<br />

avrebbe contattato persone a lui vicine in Cassazione per conoscere lo stato di avanzamento di un ricorso<br />

contro il mandato di arresto di Cosentino. E ancora, sempre al telefono sarebbero stati contattati due<br />

esponenti del Csm.<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 7<br />

RICORDI<br />

Pugno di ferro, guanto di velluto: quello stile della vecchia Dc<br />

Ai congressi della Balena bianca non mancavano gli scontri, ma lo stile politico era ben altro Assise lontane<br />

nel tempo<br />

C.Fu.<br />

ROMA K Anche allora scontri ce n'erano eccome. Duri, durissimi, condotti con ferocia e pervicacia. Pubblici,<br />

perchè no. Anzi meglio se lo erano. Come quando Carlo Donat-Cattin al congresso Dc del 1976 esordisce<br />

dalla tribuna con un bel: «Non sono un ragazzo del coro» e viene subissato da urla e fischi. Il leader di Forze<br />

Nuove ripete la frase due, tre, quattro volte e sempre giù improperi. Finché Amintore Fanfani non intercede<br />

presso la torcida congressuale e il ministro torinese può continuare. Anche nella Prima repubblica, anche ai<br />

tempi della Dc, lo scontro era cruento, i minuetti banditi, la lotta per la leadership belluina. Eppure non si era<br />

mai visto un battibecco come quello nella Direzione nazionale del Pdl tra Berlusconi e Fini. Condotto cioè con<br />

così tanta acrimonia, usando per attaccare il metodo di rivelare concetti espressi in conversazioni svolte a<br />

quattr'occhi, "private" per così dire. Il picco dello scherno reciproco, per le abitudini dell'epoca, fu raggiunto<br />

nello "scontro tra comari" che contrappose i ministri Rino Formica, socialista, e Beniamino Andreatta. E<br />

tuttavia è impossibile dimenticare "l'operoso silenzio" rivolto con sprezzo da Aldo Moro a Paolo Emilio<br />

Taviani. Insomma le durezze c'erano e ben Ciriaco De Mita con Arnaldo Forlani al congresso della<br />

Democrazia Cristiana del 1989 piantate. C'era il pugno di ferro, sempre però rivestito nel guanto di velluto.<br />

Una questione di stile, che nasceva dalla cultura del confronto politico. Adesso è diverso, adesso è tutto più<br />

plateale, più esibito. E' il mainstream, il segno dei tempi. Una volta quando l'irritazione tracimava si ricorreva<br />

alla perfidia ammantata d'ironia. Come fece Fanfani quando, stanco di dover corrispondere con i segretari dei<br />

partiti alleati, disse basta sostenendo di aver "finito i francobolli". Oppure allorché, sempre lui, sfiduciato dai<br />

dorotei nel 1959, per ripicca sparì dalla circolazione per tre giorni. Si era rifugiato a Camaldoli mentre l'Italia<br />

intera lo cercava: per la cronaca era presidente del Consiglio, presidente della Dc e ministro degli Esteri.<br />

Quale dei leader personalistici e carismatici d'oggidì sceglierebbe la stessa strada? Piuttosto un bel talk<br />

show. L'esibizione è meglio della moderazione; lo schiaffo pubblico, seppur assolutamente metaforico, rende<br />

di più in termini di popolarità e audience; la sciabolata caustica è considerata più consona del colpo di fioretto<br />

programmatico. Piace di più alla gente ed è espressione puntuale della capacità di comando. Così dicono.<br />

Ma siamo proprio sicuri?<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 10<br />

LA NUOVA INDAGINE<br />

Pasolini, Dell'Utri al pm: ho visto il manoscritto rubato dopo l'omicidio<br />

CLAUDIO MARINCOLA<br />

ROMA -Quel dattiloscritto inedito di Pasolini Marcello Dell'Utri lo ha visto. Lo ha avuto tra le mani, lo ha<br />

«sfogliato rapidamente notando correzioni a mano». «Me lo mostrò una persona a Milano ad una mostra su<br />

Curzio Malaparte», ha ripetuto ieri al pm Francesco Minisci il senatore siciliano. Il colloquio è durato<br />

mezz'ora. Il pm, che ha riaperto il caso Pasolini, ha sentito ieri anche Luciano C., uno dei due carrozzieri di<br />

Donna Olimpia chiamati in causa dal supertestimone Silvio Parrello. Luciano C. è l'uomo che avrebbe riparato<br />

un'Alfa Gt 2000 simile a quella dello scrittore friulano nei giorni successivi all'omicidio. Era guidata da Antonio<br />

Pinna, meccanico legato alla malavita scomparso nel nulla il 16 febbraio del 1976, dopo l'arresto dei due<br />

fratelli Borsellino, presunti complici di Pino Pelosi. Ma torniamo a Dell'Utri. Il 2 marzo scorso il senatore<br />

annunciò il ritrovamento del capitolo perduto di "Petrolio". Un inedito di cui non è mai stata provata<br />

l'esistenza. Secondo alcuni esiste: fu rubato dopo la morte. Secondo altri Pasolini non fece in tempo a<br />

scriverlo. Petrolio era l'opera alla quale lo scrittore stava lavorando prima di essere ucciso all'Idroscalo di<br />

Ostia la notte del 1 novembre di 35 anni fa. Le 552 cartelle ritrovate furono pubblicate da Einaudi nel 1992, a<br />

cura di Graziella Carcossi. Al magistrato Dell'Utri ha aggiunto di «non averne letto il contenuto». Chi voleva<br />

venderglielo disse che quel capitolo conteneva «molto più di quello che era scritto nel libro "Questo è Cefis".<br />

Volume pubblicato nel 1972 con lo pseudomino Giorgio Steimez. Insomma, chi ha avvicinato Dell'Utri sapeva<br />

bene di cosa parlava. «Un dattoliloscritto su fogli di carta velina», così lo ha descritto Dell'Utri. Avrebbe voluto<br />

presentarlo a Milano, al Palazzo della Permanente. alla Mostra del Libro Antico. Ora ha aggiunto mistero al<br />

mistero.<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

LO SCENARIO<br />

CONFLITTO ISTITUZIONALE<br />

CLAUDIO SARDO<br />

IL PRESIDENTE del Consiglio che arriva a chiedere le dimissioni del presidente della Camera. Il presidente<br />

del Senato che si associa. L'interessato che resiste. La battaglia del Pdl ha aperto ieri uno scontro<br />

istituzionale senza precedenti. E tutto fa pensare che il pressing su Fini non si fermerà. Il Quirinale è<br />

preoccupato, anche se si tiene fuori da una contesa allo stato ancora interna al partito. Ma già si consultano i<br />

precedenti: Saragat lasciò la presidenza della Costituente nel '47 dopo la scissione di Palazzo Barberini;<br />

Pertini si dimise due volte (ma la Camera all'unanimità respinse le dimissioni). Di certo non ci sono procedure<br />

che possano portare alla sostituzione di un presidente della Camera senza il suo consenso.<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

La direzione del Pdl approva un documento contro le correnti. Solo 12 i voti contrari<br />

Berlusconi-Fini, è rottura<br />

Il premier: lasci la presidenza della Camera. La replica: resto al mio posto<br />

ROMA K È rottura totale tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Uno scontro durissimo è andato in scena ieri<br />

alla direzione nazionale del Pdl. Il premier: «Ora lasci la presidenza della Camera». La replica: «Resterò al<br />

mio posto». La direzione del partito, alla fine, ha approvato un documento contro le correnti: solo 12 i contrari.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

La frattura nel Pdl<br />

GLI ITALIANI SI CHIEDONO DOVE PORTA LO SCONTRO<br />

PAOLO POMBENI<br />

IL RETROSCENA diventa scena: questo è ciò che sembra essere accaduto nell'epico scontro Berlusconi-Fini<br />

che, complice il mezzo televisivo tanto amato dal Cavaliere, fa il giro d'Italia fra reti a pagamento e rete<br />

(Internet), sicché gli italiani si chiedono, non senza preoccupazione, come andrà a finire e se questo era il<br />

momento migliore per aprire un confronto così aspro mettendo in forse la possibilità di una stagione di<br />

riforme. La domanda di fondo è: dove porterà? Sarà sanabile o insanabile? Come si può facilmente intuire, la<br />

prevalenza dell'una o dell'altra soluzione non è indifferente. Doveva essere un confronto teso e invece è stato<br />

un duello rusticano. All'auditorium della Conciliazione si è messo infatti sul palcoscenico quello scontro che<br />

sinora era noto per il lavoro dei cosiddetti "retroscenisti", quei giornalisti che, sulla base di confidenze ed<br />

informazioni, ricostruiscono e danno conto di dibattiti che dovrebbero restare confinati nelle segrete stanze.<br />

Ieri no, tutto è diventato pubblico. Non è un caso allora che si sia parlato fra i due leader con lo stesso<br />

linguaggio spregiudicato e approssimativo che si usa nelle diatribe private, che ci si sia lasciati andare ad un<br />

autentico battibecco in cui, come è classico in questi casi, ciascuno rinfacciava all'altro di sentirsi presentare<br />

per la prima volta questo o quell'argomento (il che indurrebbe a pensare che sia vero che i politici non<br />

leggono con attenzione i giornali...). Per la verità lo spettacolo non è stato esaltante, né nel contingente, né<br />

nel contorno. Saremo fuori tempo, ma vedere tre alte cariche dello Stato (presidente del Consiglio, presidente<br />

della Camera, presidente del Senato) che si attaccano all'arma bianca non crediamo trasmetta un messaggio<br />

di solidità istituzionale: il bon ton è sempre una misura di civiltà e la tanto vituperata classe politica della prima<br />

Repubblica rischia di apparire più fornita di quella attuale. Detto questo, si può guardare a quanto è accaduto<br />

in positivo e chiedersi se e fino a che punto lo si possa considerare frutto di uno "stato magmatico" in cui si<br />

trova una formazione politica neofondata. PAGINA Da questo punto di vista sarebbe importante che un<br />

partito che raccoglie un consenso molto vasto imparasse a gestire una dialettica interna, perché il consenso<br />

vasto non può esistere come appiattimento di tutti su una sola prospettiva, ma deve crearsi come<br />

convergenza ed elaborazione di idee che si equilibrano e si influenzano vicendevolmente. D'altro canto<br />

proprio il voto finale, così a stragrande maggioranza favorevole al premier, indica che qualunque tipo di<br />

dibattito o scontro non impedisce ad un partito di prendere le sue decisioni. In questo senso, a nostro<br />

modesto avviso, Berlusconi dovrebbe riflettere che le convergenze non reggono mai per sempre e le "fedi" in<br />

politica come si infiammano in poco tempo si smontano in tempi altrettanto brevi e repentini. Peraltro non si<br />

può negare che abbia le sue ragioni quando sente messa in discussione una possibilità di prendere di petto<br />

l'impresa di portare a termine riforme importanti portando il terreno di discussione in un ambito così<br />

squisitamente "politico" nel senso tradizionale del termine come è il dibattito interno ad un partito composito<br />

(un terreno che Berlusconi ha sempre considerato infido ed irto di trappole). È probabile che il presidente Fini<br />

ritenga di avere sentore del possibile incrinarsi di questo modello pseudo-carismatico e voglia posizionarsi in<br />

modo da non essere travolto in quel frangente, anzi da trarne allora profitto. Certo oggi quel momento appare<br />

lontanissimo: il partito è saldamente nelle mani di Berlusconi come mostra l'approvazione quasi plebiscitaria<br />

del documento conclusivo (solo 11 voti contrari e 1 astenuto). Ma questa è l'opinione della "classe politica",<br />

bisogna vedere che cosa ha percepito il pubblico e la gente a casa di uno spettacolo comunque non<br />

edificante. Certo la domanda decisiva in questo momento non è tanto quella sulla dimensione della forza di<br />

Fini (lo si vedrà solo nel tempo e le variabili sono tante), ma è sul messaggio che questa vicenda manda al<br />

Paese e sulle sue conseguenze. Il primo messaggio non è certo a sostegno di un rafforzamento della<br />

credibilità della classe politica che appare schiacciata essa stessa su scelte fideistiche proprio in un momento<br />

in cui servirebbero di più capacità di analisi e confronti sulle soluzioni da dare ai problemi in campo. E qui<br />

passiamo al secondo messaggio che riguarda il destino della proclamata fase delle riforme che si sarebbe<br />

voluta "largamente condivisa": difficile immaginare che l'attuale rottura possa favorirla, non fosse altro perché<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

Fini, anche se rimarrà presidente della Camera, si troverà azzoppato dal conflitto che ha aperto con la<br />

maggioranza e dunque avrà molta difficoltà a spendere l'autorevolezza del suo ruolo in vista di raccordi e<br />

mediazioni. Dire che ne andrà della capacità incisiva di governare una fase di transizione piuttosto complicata<br />

non ci pare eccessivo ed è qualcosa di cui avremmo volentieri fatto a meno. La questione è che una volta di<br />

più si dimostra che, almeno in questa fase, il bipolarismo non è ancora maturo, mentre ci si comporta come<br />

se esistesse nella pienezza dei suoi effetti, per cui manca quella cultura capace di costruzione di intese fra<br />

una pluralità di componenti, cultura che è importante quando non si possa fruire della semplificazione<br />

plebiscitaria dell'alternativa tra il sì e il no ad una sola proposta. La politica italiana ci ha abituato a molte<br />

sorprese, sicché anche questa volta non è escluso che una considerazione più matura delle reazioni del<br />

Paese ad uno scontro che al momento è andato in scena in una arena circoscritta ai professionisti di un<br />

partito possa indurre a valutazioni meno condizionate dalla logica dello scambio di battute a scena aperta.<br />

Non ci vorrà peraltro troppo tempo per capire che piega prenderanno gli avvenimenti.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 2<br />

IL MOSAICO<br />

COABITAZIONE DIFFICILE<br />

P FUSI<br />

A chi lo incontrava nel cortile di Montecitorio mentre fumava una sigaretta (ma adesso ha smesso di fumare),<br />

Gianfranco Fini amava ripetere: «Gutta cavat lapidem. Io sono la gutta, e Berlusconi la lapidem». Può essere<br />

che anche adesso il presidente della Camera intenda proseguire nella stessa strategia, e continuare ad<br />

assegnarsi il ruolo della goccia che scava la pietra. Solo che adesso è più difficile, perché lo goccia è<br />

subissata dallo scroscio polemico che ha alimentato il plateale scontro alla Direzione del Pdl. Proprio perché<br />

così personale, proprio perché così esibita, la divaricazione è giocoforza insanabile e irrecuperabile. E<br />

dunque? Dunque Fini è persuaso di poter svolgere la parte di componente di minoranza, di pungolo in una<br />

partito che minoranze, correnti o componenti non ammette per definizione. Sul fronte opposto, Berlusconi è<br />

convinto di aver inchiodato, numeri e regole interne alla mano, l'ex leader di An alla sua «devastante»<br />

minorità. Davvero complicato immaginare che uno schema simile regga. E anche per questo è un altro il dato<br />

che si impone. Poiché dove Fini può far davvero male al Cavaliere non è nel partito ma dall'ufficio di<br />

presidente di Montecitorio - a cominciare dai temi della giustizia per passare all'attuazione del federalismo -<br />

non è insensato prevedere che il prossimo fuoco di battaglia tra i due si svilupperà su quel terreno, nel<br />

tentativo cioè di disarcionare Fini dall'incarico. Anche in questo caso si tratta di un braccio di ferro assai<br />

complicato che minaccia di produrre molti danni; ma resta plausibile che si giochi lo stesso. Senza<br />

dimenticare altri due elementi altrettanto forieri di tensioni. Il primo riguarda i rapporti tra istituzioni. In molti<br />

passaggi recenti, il presidente della Camera si era incaricato di rappresentare le ragioni e gli imput del<br />

Quirinale. Se Fini si indebolisce, e considerato che il numero uno del Senato non è tenero nella critiche al suo<br />

dirimpettaio di Montecitorio, Napolitano in un certo senso si ritrova più solo. Il secondo concerne le riforme.<br />

Erano per antonomasia un percorso in salita; ora nonostante i propositi di accordi bipartisan annunciati dal<br />

Cavaliere - rischiano di diventare un Everest.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 2<br />

LE MOSSE DELLL'EX LEADER DI AN<br />

«Lasciare la presidenza? Neanche per sogno»<br />

Fini: «Unanimismo finito, giornata buona per la democrazia». E si prepara al congresso ALEMANNO<br />

"PONTIERE" «E' un giorno amaro che non vorrei aver voluto vivere. Ma può essere superato»<br />

CLAUDIA TERRACINA<br />

ROMA K Restano nel partito. E organizzano il dissenso, anche se in direzione i loro voti al documento di<br />

maggioranza, che sottolinea, chiosano, «la nascita del populismo, visto che, Pdl non vuole dire partito, ma<br />

Popolo della libertà» sono stati pochi. Undici, no dodici, con il ministro Ronchi che non era stato conteggiato.<br />

O forse 13, perchè altri due, Pontone e la Angelilli non sono stati registrati. Qualcuno è uscito prima. Ma<br />

Pisanu si è astenuto. Bene, si sussurra, «si aprono crepe anche tra gli ex forzisti». Ma non è questo che<br />

conta. Fini lo sa bene. Conta che nella direzione di ieri «è finito l'unanimismo di facciata e si è compiuta la<br />

svolta democratica del Pdl. Siamo minoritari, certo- ammettema su questo non c'erano dubbi», dice dopo lo<br />

scontro con Berlusconi. Nel futuro dei finiani ora c'è soltanto il congresso, promesso dal premier. A questo<br />

lavorano quanti sperano ancora in una mediazione, che oggettivamente si presenta difficilissima. Il sindaco<br />

Alemanno conta di riprendere il filo del dialogo, anche se confessa che «questo è un giorno amaro che non<br />

avrei voluto vivere. Tuttavia, credo ci sia ancora spazio per un confronto. Non dobbiamo avere paura dei<br />

congressi, non deve averne paura Berlusconi. Dobbiamo farlo per avere un partito più snello», ribadisce dal<br />

palco della direzione. Continuerà dunque a lavorare per il partito. Lo stesso farà Andrea Augello in Senato,<br />

gran mediatore tra Fini e il premier. «Sempre che ci sia il partito, o non sia soltanto un'azienda. L'incubo<br />

peggiore», sospira il finianissimo Donato Lamorte. Fini segna il percorso della minoranza. «Siamo impegnati<br />

nella attuazione del programma del Pdl e di volta in volta rivendicheremo il nostro diritto a discutere sui singoli<br />

temi. Ridurre le tasse è solo un titolo, riformare la giustizia pure. Ma poi bisogna vedere come questo si attua.<br />

Noi siamo impegnati, se davvero ci sarà il congresso come è stato detto, per far conoscere a iscritti ed elettori<br />

le nostre posizioni». Discussione a tutto campo, dunque. E non mancano le sottolineature ironiche da parte<br />

del presidente della Camera. «Stiamo facendo il gioco del cerino? Una cosa è certa. A chiunque resterà in<br />

mano, alla fine scotterà Berlusconi». Sa che il Cavaliere cercherà di spingerlo fuori dal partito. E che, come<br />

gli è stato detto chiaramente dal premier, se farà politica in proprio, dovrebbe lasciare la presidenza della<br />

Camera. Cosa che Fini non ha «nessuna intenzione di fare, perchè- spiega- si potrebbe parlare di dimissioni<br />

solo se qualcuno potesse dimostrare che il presidente della Camera non si attiene all'imparzialità nella<br />

conduzione dei lavori». Fini e i suoi, quindi, resistono. E organizzano le forze in Parlamento. Anche se il<br />

leader dell'ex An tiene a chiarire che «la minoranza non ha il diritto di sabotare, ma ha il diritto di discutere<br />

nelle sedi opportune. Tuttavia- ironizza- non ho capito bene quali siano queste sedi, visto che la direzione del<br />

Pdl, nato un anno fa, si è riunita solo oggi».<br />

Foto: Gianni Alemanno<br />

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Pag. 7<br />

LE OPPOSIZIONI Il leader Pd segue in diretta tv lo scontro: «Spettacolo indecoroso» E attacca Schifani:<br />

«Tragga lui le conclusioni e non Gianfranco»<br />

Bersani: ora ci sono due destre, ma con Fini si può ragionare<br />

Cesa, Udc: visto? Abbiamo fatto bene a non entrare nel Pdl MA FRA I DEMOCRAT SALE LA TENSIONE DI<br />

PIETRO: NO ALLE ELEZIONI Fioroni: pronti a uscire dagli organismi dirigenti, la gestione unitaria è una farsa<br />

L'ex pm prima le invoca Poi frena: con questa legge elettorale non si può, vince chi ha il padroncino<br />

vedendo, c'è uno tsunami, non è che da noi si può parlare di venticello, non vedo iniziative, afflato, spinte per<br />

dare una prospettiva, un progetto nel quale credere, tutti». Fioroni si ferma un attimo, cerca bene le parole,<br />

quindi lancia l'avvertimento: «La gestione unitaria del partito è una farsa, soprattutto in periferia la<br />

maggioranza considera il Pd come cosa della maggioranza e pensa che quelli che perdi da dentro te li ritrovi<br />

poi come alleati, ma noi non vogliamo fare da orpello, per cui a Cortona, al convegno di Area democratica,<br />

ufficializzerò la proposta di uscire da tutti gli organismi di direzione a cominciare dalla segreteria». ROMA K<br />

Lo scontro nel Pdl in diretta tv? «Uno spettacolo indecoroso», apostrofa Pier Luigi Bersani. «Una<br />

manifestazione di democrazia», corregge poco dopo Dario Franceschini parlando con i suoi. Il Pd riesce a<br />

dividersi anche nel giorno della divisione massima, esibita, drammatica dell'avversario Pdl. Così come si<br />

divide nel giudizio su Gianfranco Fini, sulle prospettive, se chiedere o meno elezioni anticipate ove mai la crisi<br />

precipitasse. «Sono un bipolarista convinto, se viene meno il quadro politico non c'è altra strada che le urne,<br />

no a manovre o scenari poco chiari che gli elettori non capirebbero», scandisce a Youdem Filippo Penati che<br />

di Bersani è il coordinatore. «No, per le urne non siamo pronti così come non sono pronti loro», si<br />

scambiavano i pareri Pier Luigi Castagnetti e Lapo Pistelli. Ancora più drastico Marco Follini, secondo il quale<br />

«Fini paradossalmente rafforza Berlusconi contro di noi, il premier potrebbe far saltare il tavolo per andare a<br />

elezioni». Contrario al voto («non con questa legge elettorale») è anche Tonino Di Pietro, che con il leader<br />

del Pd ha avuto un incontro in giornata con successiva conferenza stampa congiunta, dalla quale si è capito<br />

che il leader di Idv intende essere della partita nell'operazione "alternativa a Berlusconi", quando questa<br />

cominciasse a decollare. «Datevi una mossa ragazzi, non è che mentre sta per andare in crisi il governo il<br />

segretario del Pd e gli altri si occupano di acqua e altre amenità», incalzava alla Camera Pasqualino Laurito,<br />

storico estensore della Velina rossa che sente aria di precipitazione e vorrebbe un Pd più sulla palla. Bersani<br />

si è seguito in tv lo scontro in diretta tra premier e presidente della Camera, poi ha rilasciato una prima<br />

valutazione all'insegna dello «spettacolo indecoroso», ma a metà pomeriggio è tornato sul tema e ha<br />

ampliato valutazione: «Lo scontro tra i due è reale e difficilmente si ricomporrà, la conseguenza è che non si<br />

faranno le riforme», è la previsione bersaniana, che poi prende le difese di Fini, gli dà atto di porre «problemi<br />

reali», lo innalza a interlocutore di quel "patto repubblicano" di cui ha parlato in direzione, «con lui si può<br />

ragionare e assieme a tanti altri è possibile costruire convergenze a difesa della democrazia, contro lo<br />

stravolgimento della Costituzione e contro il populismo». Segue attacco a Renato Schifani, «tragga lui<br />

semmai le conseguenze», se c'è in sostanza qualcuno che deve lasciare la carica, questo dovrebbe essere<br />

proprio il presidente del Senato. Si fa sentire anche l'altra opposizione, l'Udc, non con il leader Pier<br />

Ferdinando Casini che preferisce il no comment e oggi sarà a Torino per l'ostensione della Sindone; al suo<br />

posto parla il segretario Lorenzo Cesa per ricordare che «i punti elencati da Fini sull'unità nazionale, sulla<br />

Lega, sui costi del federalismo, sul quoziente familiare, noi li diciamo da due anni». Nel Pd non si festeggia.<br />

Si oscilla su Fini (interlocutore, avversario, competitore), non si insiste per il voto, anzi lo si teme, e si guarda<br />

al futuro immediato, dove gli ex popolari continuano a mostrare sofferenza. Beppe Fioroni è esplicito: «Se a<br />

destra, come si sta<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 4<br />

I TEMI DELLO SCONTRO presidente della Camera: basta sudditanza alla Lega Mettiamol'unità d'Italia al<br />

centro della nostra azione Il Cavaliere:peri 150anni dell'unitàd'Italiailgoverno ha fatto molto. Gli affondi del<br />

Giornale?Lo stiamo vendendo<br />

«Sull'immigrazione la Lega ha copiato An»<br />

Il premier: abolire le Province? Solo Roma e Milano ALFANO E LA GIUSTIZIA «Caro Gianfranco non c'è<br />

stato solo il processo breve. Niente dettature dell'Anm»<br />

Ecco i temi principali trattati da Berlusconi e le risposte date a Fini dal premier o dai suoi ministri. RIFORME<br />

«Dobbiamo fare le riforme, mi auguro che quelle istituzionali si facciano con il concorso di tutti». «Abbiamo tre<br />

anni di tempo per fare le riforme», «sulle riforme istituzionali «opereremo soltanto se avremo il consenso di<br />

tutti, perché si tratta del patto fondante della società costituita in Stato». «Vedremo se con il consenso<br />

dell'opposizione sarà possibile una riforma delle istituzioni». SQUILIBRIO LEGA «La Lega ha fatto proprie le<br />

posizioni di An sull'immigrazione. Non tanto noi siamo fotocopia della Lega ma la Lega è stata una fotocopia<br />

delle posizioni di An». «I nostri elettori sono tre volte quelli della Lega, noi abbiamo 20 ministeri e loro 3<br />

ministri ma in realtà 2 ministeri: un decimo rispetto a quelli del Pdl. E in 89 consigli dei ministri i verbali non<br />

hanno mai registrato una occasione in cui il Pdl si sia dovuto fare indietro rispetto ad una proposta della Lega<br />

o avesse dovuto dire sì a qualcosa di non condiviso. Invece ricordo che le nostre proposte sono state tutte<br />

pienamente condivise dalla Lega». ABOLIZIONE DELLE PROVINCE «Nel programma c'è scritto che<br />

aboliremo le Province inutili, cioè quelle che ricadono sulle città metropolitane, come ad esempio nel caso di<br />

Roma o Milano, ma abbiamo fatto un calcolo e abolendo le Province si risparmiano solo 200 milioni, perché<br />

tutto passa poi alle Regioni a livello di personale o competenze». «È troppo poco per iniziare una manovra<br />

che scontenterebbe i cittadini e ne è una prova il fatto che ci chiedono nuove Province». Ma «non<br />

concederemo più nessuna nuova provincia». MUNICIPALIZZATE A Fini risponde Maurizio Gasparri,<br />

capogruppo pdl al Senato, ricordando al presidente della Camera, evidentemente non bene informato, che la<br />

privatizzazione è già legge e che, sull'acqua, è già in corso un referendum. FEDERALISMO Dice il premier a<br />

Fini: «Hai suggerito una commissione del Pdl che si occupi dei decreti attuativi del federalismo fiscale: mi<br />

sembra una proposta ottima, la prendiamo nella maniera più assoluta e la passiamo ai coordinatori».<br />

ECONOMIA E WELFARE Risponde a Fini Maurizio Sacconi, ministro del Welfare, sostenendo che quello che<br />

poteva essere fatto è già stato fatto, non ci sono le condizioni per altri interventi. Sulle pensioni sta andando a<br />

regime, di qui al 2015, l'adeguamento automatico all'allungamento della vita media, deciso l'estate scorsa.<br />

150 ANNI DALL'UNITA ' «Abbiamo già fatto un piano di celebrazioni che partirà dallo scoglio di Quarto, con<br />

la partecipazione anche del presidente della Repubblica, abbiamo fatto accordi con la Rai e c'è un piano su<br />

cui abbiamo lavorato tanto. Se c'è un tema sul quale non accettiamo che ci siano critiche, è quello sui 150<br />

anni dell'Unità d'Italia», replica il premier. GIUSTIZIA Angelino Alfano, ministro della Giustizia: «Non mi farò<br />

dettare la riforma della Giustizia dalla Anm», perché «sono strenui difensori dello status quo». «Qual è il<br />

problema di andare al referendum? Chi vuole mandare avanti le cose lo fa, chi non vuole se ne assume la<br />

responsabilità». Sulle intercettazioni «noi stiamo intervenendo a difesa dell'articolo 15, il diritto alla privacy,<br />

affermando che non c'è un pezzo di Costituzione di serie A e un pezzo di Costituzione di serie B». «A fronte<br />

di tutto ciò che ho fatto in questi anni, non si riduca il tutto al cosiddetto processo breve. Non si riduca quanto<br />

abbiamo fatto e stiamo realizzando in Parlamento. Questo lo lasciamo dire ai nostri avversari». IL GIORNALE<br />

Il premier replica a Fini: «Non parlo con il direttore del Giornale e non ho alcun modo di influire e ho convinto<br />

mio fratello a metterlo in vendita. Se c'è qualche imprenditore vicino a te può entrare nella compagnia<br />

azionaria». E ricorda anche di essersi «pubblicamente distinto con scuse pubbliche e precise». Commenta<br />

Feltri: «Io non ne ho sentito parlare e Paolo Berlusconi, che poi è quello che dovrebbe vendere, non mi ha<br />

mai parlato di questa intenzione».<br />

Foto: Palazzo Chigi<br />

IL MESSAGGERO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 15<br />

GRAN BRETAGNA Il secondo dibattito tra i tre leader, in vista delle elezioni Per il "Sun" prevale Cameron.<br />

Scintille sulla politica estera<br />

Sfida tv, Clegg non fa il bis Lo scontro è senza vincitori<br />

Il lib-dem attaccato dai giornali conservatori: «E' un nazi» MA L'OUTSIDER NICK FA SEMPRE EFFETTO<br />

«Non dovevamo invadere l'Iraq, non dobbiamo dipendere dalla Ue»<br />

DEBORAH AMERI<br />

LONDRA K Nick Clegg non è riuscito a fare il bis. Non ha trionfato, ma ha retto bene le bordate degli<br />

avversari. E ieri sera nel secondo dibattito televisivo tra i tre leader britannici, che si giocano le elezioni del 6<br />

maggio, si è arrivati al fotofinish per delineare il vincitore. Secondo il sondaggio di YouGov per il Sun a<br />

prevalere è stato il conservatore David Cameron con il 36% delle preferenze, segue il liberaldemocratico<br />

Clegg con il 32% e il premier Gordon Brown con il 29%. Ma il rilevamento Com Res per il canale Itv vede al<br />

primo posto ancora Clegg al 33%, con gli altri due a pari merito al 30%. Nessun trionfatore netto, dunque,<br />

come lo era stato Clegg la scorsa settimana con un plebiscito del 51%. In diretta da Bristol su Sky , le scintille<br />

tra i tre contendenti sono volate subito sulla politica estera, il tema della serata. Nel discorso iniziale Clegg ha<br />

sganciato la prima bomba: «Non dovevamo invadere l'Iraq», ha detto. Un colpo basso per Brown. Ma subito<br />

dopo il laburista e il liberaldemocratico hanno attaccato insieme l'euroscettico Cameron proprio per la sua<br />

posizione sull'Europa: «Non dobbiamo dipendere dalla Ue». Dal pubblico è arrivata anche una domanda sulla<br />

controversa visita del Papa in Gran Bretagna. Tutti e tre i leader hanno detto di appoggiarla ma Clegg e<br />

Brown in particolare hanno sottolineato la sofferenza delle vittime dei preti pedofili e preso le distanze da<br />

molte posizioni della chiesa su omosessuali, fecondazione assistita e contraccezione. Il leader lib-dem ha<br />

anche confessato con candore di non essere credente. La vigilia del confronto televisivo è stata<br />

particolarmente infuocata soprattutto per Clegg, che ieri sera ha forse pagato il prezzo di un attaccato arrivato<br />

da più fronti. Quattro quotidiani, tutti di orientamento conservatore, hanno cercato di screditarlo e di stoppare<br />

il diluvio di consensi che il suo partito ha registrato in soli sette giorni. Il Daily Telegraph lo ha accusato di<br />

irregolarità nelle donazioni ai lib-dem. Il giornale, lo stesso che aveva rivelato lo scandalo dei rimborsi<br />

gonfiati, sostiene che il leader abbia ricevuto, nel 2006, fino a 750 sterline al mese da tre importanti uomini<br />

d'affari. Denaro che sarebbe però finito nel suo conto bancario personale e non alla tesoreria del partito.<br />

Clegg ha risposto prontamente inviando alla stampa i documenti che provano come le cifre ricevute siano<br />

state usate per pagare un ricercatore che lavorava per il partito. Altra stoccata è arrivata dal Daily Mail , che<br />

in prima pagina definisce Clegg «nazi» e lo accusa di scarso patriottismo per una presunta simpatia verso la<br />

Germania. Il quotidiano va a ripescare un vecchio articolo del Guardian in cui il leader lib-dem diceva: «Gli<br />

inglesi soffrono di un ingiusto senso di superiorità per aver sconfitto gli orrori del nazismo». Lui non si<br />

scompone e liquida le malelingue con una battuta: «Devo essere l'unico politico della terra che in una<br />

settimana viene paragonato prima a Churchill e poi a un nazista». E via attaccando lanciano i loro strali<br />

anche il Daily Express e il Sun . Prima che il dibattito cominciasse i laburisti hanno difeso Clegg da quelli che<br />

hanno definito «sporchi trucchi tipici del manuale dei conservatori». La strategia del Labour è fin troppo<br />

chiara: rabbonire i lib-dem sperando in una futura coalizione con loro nel caso, molto probabile ormai, di un<br />

hung parliament , un parlamento senza una maggioranza assoluta.<br />

Foto: Il lib-dem Nick Clegg in una scuola materna a Bristol. A sinistra, il tory David Cameron<br />

IL MESSAGGERO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

L'ALLEATO IN ALLARME Il Senatùr rinuncia a brandire l'arma delle elezioni perché teme che il voto possa<br />

azzerare il cammino del decentramento fiscale<br />

Bossi preoccupato: qui rischia di saltare la Grande Riforma<br />

Cautela nella Lega. Ma Castelli: Fini ha tradito il patto sul federalismo<br />

RENATO PEZZINI<br />

MILANO - Come se il "mezzogiorno di fuoco" fra Fini e Berlusconi non lo riguardasse, Umberto Bossi se n'è<br />

rimasto ben lontano da Roma. In via Bellerio, sede milanese della Lega, l'hanno visto arrivare di buon ora<br />

rispetto al solito, giusto in tempo per assistere in diretta tv al duello fra l'amico Silvio e il nemico Gianfranco.<br />

Ma commenti nessuno. O almeno: non commenti in pubblico, né dichiarazioni alla stampa, nè invio di<br />

comunicati. Non tanto per evitare di mettere il naso nelle faccende altrui, quanto perché il leder leghista è<br />

molto più preoccupato di quanto non si possa pensare. E vuole aspettare di capire cosa davvero succederà<br />

nel partito alleato. Bossi, insomma, è convinto - e lo dice ai suoi che adesso anche per la Lega le cose si<br />

possano fare più difficili. Se Fini avesse abbandonato il partito - è il ragionamento del segretario della Lega<br />

Nord - si sarebbe fatta chiarezza, e l'alleanza fra Cavaliere e Carroccio si sarebbe rinsaldata ancora più;<br />

rimanendo all'interno del Pdl, invece, Fini rischia di condizionare le scelte del partito berlusconiano, o<br />

comunque di intralciare gli accordi presi dal capo del governo e dal capo della Lega. In particolare quelli per<br />

l'attuazione del federalismo fiscale. Non a caso Luca Zaia - neopresidente del Veneto e interprete fedele del<br />

pensiero bossiano quando decide di rompere il muro del silenzio leghista per parlare del caos pidiellino, si<br />

mostra pure lui preoccupato, e per le stesse ragioni del suo capo: «Sono fatti di casa altrui a cui guardo con il<br />

massimo rispetto. Spero solo che non si stia inaugurando una stagione contro le riforme». Nei giorni scorsi<br />

Umberto Bossi non aveva preso sottogamba il conflitto fra Fini e Berlusconi. Anzi, era stato fra i primi a<br />

manifestare un certo timore per le conseguenze del contrasto: «Questa volta temo che le cose non si<br />

riaggiustino» aveva detto «e se non si riaggiustano si potrebbe perfino dover tornare alle urne». Frase che<br />

era sembrata una "minaccia", ma che invece nascondeva la paura di un naufragio del governo che<br />

automaticamente implicherebbe uno stop alle riforme, e in primo luogo al federalismo fiscale che per<br />

concretizzarsi deve essere accompagnato dai decreti attuativi molto di là da venire. Oggi la possibilità di<br />

nuove elezioni pare più lontana anche a Bossi, ma le parole pronunciate da Fini non lo hanno per niente<br />

tranquillizzato, specie quelle sulla necessità di reperire i fondi prima di dare il via al federalismo fiscale. Un<br />

freno al grande sogno padano? Domanda che induce i più pragmatici fra i leghisti a fare i conti per capire se il<br />

presidente della Camera può davvero mettere insieme un numero di parlamentari in grado di rallentare la<br />

riforma tanto agognata dal Carroccio. Conti, però, ancora troppo prematuri. «Capiremo meglio nei prossimi<br />

giorni» dice ancora Bossi ai suoi, spiegando così la sua prudenza. Posizione, quella del leader padanista,<br />

condivisa dai suoi colonnelli più in vista, in particolare da Maroni e Calderoli. Un po' meno condivisa, invece,<br />

da coloro che all'interno della Lega sono considerati molto vicini a Berlusconi, come Roberto Castelli. Il quale,<br />

infatti, non ha aspettato ordini di partito per dire la sua, e quando l'ha detta si è scagliato esclusivamente<br />

contro il presidente della Camera: «Fini ha tradito il patto con gli elettori, ma del resto sapevamo da tempo<br />

che all'interno del Pdl ci sono forze che vogliono lo status quo. Guardate i nomi dei finiani, sono il vero partito<br />

del sud». Una posizione non isolata la sua: la gran quantità di ascoltatori di Radio Padania per parecchie ore<br />

ha inondato l'etere di commenti e insulti.<br />

Foto: Il ministro<br />

Foto: Giulio Tremonti mentre arriva alla Direzione del Pdl<br />

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23/04/2010 Il Messaggero<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

LA PROFEZIA DI STURZO<br />

Tremonti: con le correnti c'è rischio di frantumarsi<br />

SIAMO UN POPOLO NON UN PARTITO «Abbiamo un dovere verso il Paese e un leader capace di<br />

onorarlo»<br />

MARIO STANGANELLI<br />

ROMA - «Dobbiamo essere uniti e forti, e forti perché uniti, data l'enorme responsabilità che abbiamo verso il<br />

Paese». Giulio Tremonti è il secondo dei ministri di Berlusconi a intervenire alla direzione del Pdl e invita il<br />

partito a ritrovare le ragioni dell'unità. Nel suo discorso, echeggiante il famoso appello di don Sturzo "ai liberi<br />

e ai forti" in occasione della fondazione del Partito popolare italiano nel '19, si richiama poco dopo<br />

esplicitamente alla condanna delle correnti dello stesso sacerdote fondatore della Dc: «Guardate bene ai<br />

pericoli delle correnti organizzate in seno a un partito. Si comincia - diceva Sturzo - con le divisioni<br />

ideologiche. Si passa alle divisioni personali. Si finisce con la frantumazione del partito». Per il ministro<br />

dell'Economia, questa «è una profezia che si è avverata e che non vogliamo si avveri ancora. Sono sicuro<br />

che su questo siamo tutti d'accordo, perché siamo un popolo e non siamo un partito, perché abbiamo un<br />

dovere verso il nostro Paese, perché abbiamo un leader capace di onorarlo. C'è un tempo per ogni cosa.<br />

Questo non è il tempo negativo delle divisioni. Questo è il tempo positivo del fare insieme», aggiunge<br />

Tremonti notando che «siamo a ridosso di una vittoria e, normalmente, si discute sulla sconfitta e non sulla<br />

vittoria». Attribuito a Berlusconi gran parte del merito di non aver fatto fare all'Italia la fine della Grecia, il<br />

titolare dell'Economia sceglie di affrontare nel suo intervento la questione meridionale dandole un taglio tutto<br />

anti-Vendola, «esponente della sinistra dell'Appennino Dauno» e capo di un'amministrazione incline a<br />

«vastissime politiche di espansione della spesa pubblica». Ricordando il «pacchetto anticrisi da 708 milioni di<br />

euro varato dalla giunta Vendola per creare 1.262 nuovi posti di lavoro», Tremonti calcola: «561 mila euro a<br />

posto. Un po' caro!». E poi: «Vendola non dice nulla su dove siano stati creati questi posti di lavoro. Non<br />

credo nel settore manufatturiero, perché quando lui parla delle "fabbriche di Nichi", in realtà intende qualcosa<br />

di simile ai centri sociali». Altra accusa quella di aver speso «altre centinaia di milioni per creare, tra l'altro, in<br />

Puglia il primo "Cineporto" italiano e probabilmente anche mondiale. Non so - osserva il ministro - se<br />

Cameron o Woody Allen hanno intenzione di girare il prossimo film a Bari. So che l'unico film prodotto dalla<br />

giunta Vendola è il film sul cattivo federalismo, che noi non vogliamo continuare a vedere». Altra<br />

considerazione non propriamente elogiativa della sinistra Tremonti la fa in una breve analisi del voto al Nord,<br />

dove «l'operaio di sinistra è passato a destra». «Alle regionali nel Nord - afferma - non è solo rilevante che ha<br />

vinto la nostra coalizione, ma soprattutto che ha perso la sinistra. Il cui elettorato operaio è passato alla Lega<br />

che, non vincolata dall'utopia della società globale perfetta e non vittima di afasia, ha parlato forte e chiaro di<br />

immigrazione e sicurezza». Situazione simile in Emilia, dove i voti della sinistra «sono andati non a noi ma<br />

alla Lega», facendo sì, rileva il ministro, che «tra Nord e Appennini il Pdl è rimasto l'unica forza con<br />

rappresentanza e vocazione nazionale, dandoci con questo un'enorme e generale responsabilità».<br />

IL MESSAGGERO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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Il Riformista<br />

8 articoli


23/04/2010 Il Riformista<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

Ora nella giunta Polverini spunta la quota Alemanno<br />

CENCELLI. Agli ex An spettano cinque assessori: ma come dividerli nel nuovo scenario? Il sindaco di Roma<br />

vuole allargarsi.<br />

CALVI ALESSANDRO<br />

«Da oggi non ha più senso parlare di quote», ha detto Gianfranco Fini. Quella delle quote - quel 30-70 che<br />

era una sorta di trasfigurazione del manuale Cencelli - era una parte non indifferente delle fondamenta sulle<br />

quali fu edificato il Pdl. Ora, però, «viene meno una fase, quella costituente del Pdl». E, certo, mandare<br />

all'aria il vecchio accordo sulle quote in una giornata come quella di ieri, potrà anche avere un significato<br />

simbolico. Ma non per tutti è così. Per Renata Polverini, per dire, potrebbe aprirsi un bel problema. Sono ore<br />

cruciali , queste, per la governatora del Lazio, antesignana, in un certo senso, della abolizione delle quote,<br />

essendosi candidata sotto le insegne finiane ma presto folgorata sulla via di Palazzo Grazioli. Ora la Polverini<br />

è alle prese con la costruzione della sua giunta e deve fare in fretta. In molti - e per prima lei stessa - hanno<br />

garantito che «entro la settimana» i giochi saranno chiusi. Non tutti, però, dopo la direzione del Pdl di ieri,<br />

sono convinti di poter rispettare le scadenze. Qualcosa, infatti, è cambiato. Le quote avevano sinora garantito<br />

che all'interno del partito le beghe non degenerassero in scontro aperto. Ebbene, ora anche l'ultimo argine è<br />

saltato. E il primo contraccolpo potrebbe arrivare proprio da Roma e dalla trattativa sulla giunta regionale. A<br />

destra, ieri, tirava una brutta aria. «Anche Fini ha difeso le quote fino a pochi giorni fa», si faceva notare, e,<br />

anzi, proprio nelle quote sarebbe da individuare una delle cause di frizione nel Pdl, se non addirittura la causa<br />

della accelerazione finale. Già, perché è opinione comune che il vecchio 30% riservato agli ex An andasse<br />

ormai davvero troppo largo a Gianfranco Fini e che per questo il presidente della Camera abbia abbandonato<br />

la difesa di quella trincea ormai difficile da difendere. Difficile dire, però, se avesse in mente le conseguenze a<br />

livello locale del guanto di sfida lanciato in faccia al Cavaliere. Sino a ieri, infatti, la divisione delle poltrone tra<br />

gli azionisti della giunta Polverini prevedeva che 6 andassero agli ex forzisti, 5 agli ex aennini, uno alla Destra<br />

e gli altri 4 da dividere tra la stessa Polverini e l'Udc. Ebbene, è proprio sulla divisione di quei 5 posti riservati<br />

agli ex aennini che potrebbero scaricarsi le conseguenze della rottura tra Fini e Berlusconi. Se Fabio<br />

Rampelli si sarebbe assicurato due di quelle poltrone per i suoi, le restanti tre sono in ballottaggio tra Gianni<br />

Alemanno e Andrea Augello, con il primo in netto vantaggio sul secondo. E non è secondario il fatto che,<br />

mentre Augello ha firmato il documento dei finiani, Rampelli era tra i firmatari del contro-documento dei<br />

colonnelli. Quanto ad Alemanno, è superfluo ricordare il suo essere ormai un berlsuconiano in servizio<br />

permanente. Ma, scherza una vecchia volpe della politica romana, «ci sarebbe da interpellare un mago per<br />

capire se tutto questo avrà davvero conseguenze sulla giunta. Quando c'è Berlusconi di mezzo può accadere<br />

di tutto». Già, perché ora, dopo lo show-down in diretta tv, il pallino è ben saldo nelle mani del Cavaliere il<br />

quale oggi dovrebbe incontrare riservatamente la Polverini. Poi, però, potrebbe prendersi anche più tempo<br />

del previsto per una decisione. Una ritorsione immediata , infatti, potrebbe avere l'effetto di schiacciare su<br />

posizioni finiane molti che, invece, vengono ancora considerati recuperabili. Lo stesso Augello, in fondo, per<br />

quanto finiano, rimane un finiano sui generis che si è speso molto come pontiere. Nei suoi confronti una<br />

ritorsione suonerebbe addirittura come una vendetta. E, poi, c'è un ultimo particolare. Revocare un assessore<br />

, in fondo, è molto più facile che revocare un ministro. Nulla vieta di rimandare a tra qualche settimana il<br />

regolamento dei conti. Nel frattempo, la Polverini potrebbe presentare in grande stile la sua giunta. E i<br />

berluscones avrebbero comunque un'arma carica sempre in mano. E tutti nel Pdl, finaini a parte, vivrebbero<br />

felici e contenti.<br />

IL RIFORMISTA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Riformista<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 8<br />

Se la ex tessera n. 1 del Pd vuole ridurre le tasse<br />

CHICCO TESTA<br />

assare il passato non il futuro. Liberare la voglia di lavorare per guadagnare un po' di più, anziché constatare<br />

che più lavori più paghi. Carlo De Benedetti , in un bell'articolo sul Foglio di ieri, avanza proposte radicali (e<br />

ragionevoli) per liberare gli italiani che lavorano, soprattutto quelli che, a cominciare dai lavoratori dipendenti,<br />

le tasse le devono pagare per intero da una parte del peso fiscale. Ottenendo così il duplice obbiettivo di<br />

ridurre i costi per le imprese e lasciare qualche euro in più nelle tasche di chi lavora. Le proposte che avanza<br />

per liberare le risorse necessarie sono essenzialmente due. Primo: ridurre la spesa pubblica, attraverso un<br />

allungamento dell'età pensionabile e intervenendo sulla spesa per beni e servizi. Secondo: spostare la<br />

tassazione dalle persone verso le "cose", sgravando quindi il carico fiscale sul lavoro per sostituirlo con<br />

imposte indirette sul consumo, che è la «manifestazione reale della ricchezza». Obbiettivi per altro allineati<br />

alle idee da tempo manifestate da Giulio Tremonti. Più un'accentuazione sulla possibilità di imposte "verdi"<br />

sui consumi più inquinanti, perfettamente condivisibile. E anche De Benedetti si appella ai tre anni di relativa<br />

calma elettorale che abbiamo di fronte come a una finestra di opportunità da non lasciarsi sfuggire. Vorrei<br />

solo aggiungere che, per quanto riguarda la spesa pubblica, oltre alle due misure indicate da CDB si<br />

dovrebbe lavorare per ridurre il Moloch della presenza pubblica. Ormai oltre i livelli di una repubblica del<br />

socialismo reale. Stato, Regioni, Provincie, Comuni, Circoscrizioni, Comunità montane più un'infinità di enti<br />

vari, più l'organizzazione interna di interi settori dell' Amministrazione pubblica. Aree dove, con le dovute<br />

differenze, la produttività del sistema continua a essere bassissima e l'organizzazione preistorica. Inoltre<br />

l'abolizione di qualche livello decisionale, oltre che produrre risparmi nei costi, eliminerebbe il vero cancro<br />

dell'Amministrazione. Gli enormi costi delle decisioni, gli oneri interni delle transazioni, che si moltiplicano nel<br />

palleggio fra cento organismi diversi, che esercitano, quasi esclusivamente, i loro poteri di interdizione. Vere<br />

e proprie "dogane" interne al sistema. Sarà l'applicazione del federalismo l'occasione per ridurre o un<br />

ulteriore moltiplicazione di poteri e sbarramenti? Guardando al passato l'ottimismo è eroico. Ancor più<br />

giustificata appare l'altra proposta. De Benedetti cerca di tenersi lontano dal sospetto di volere tassare il<br />

"patrimonio". E fa riferimento quasi esclusivamente alle imposte sui consumi. Personalmente penso che<br />

potrebbe trattarsi anche di un mix fra le due cose. Abolire l'Ici è stato per esempio una grande sciocchezza.<br />

Per varie ragioni, ivi compreso l'indebolimento della finanza comunale. Ma oltre a questo si è finito per<br />

eliminare una delle poche basi imponibili certe, favorendo un'altra volta, di fatto, chi evade le imposte sul<br />

reddito. Molto meglio sarebbe stato utilizzare quelle risorse per abbassare le imposte sul lavoro, tutto il<br />

lavoro, dando speranza al futuro. Al contrario l'attuale struttura fiscale penalizza i redditi di chi lavora e non<br />

può evadere. Qualsiasi riforma fiscale non può prescindere infatti dall'altissimo tasso di evasione italiano. Da<br />

ridurre certo, ma nel frattempo? Se percentuali infime di italiani dichiarano redditi appena accettabili operare<br />

sulla riformulazione dell'imposizione fiscale verso l'alto, come continuamente si è fatto, significa aumentare le<br />

ingiustizie e le sperequazioni. Al contrario tassare ragionevolmente patrimoni e consumi, in cambio di un<br />

abbassamento delle aliquote Irpef o Ires, sarebbe anche un atto di giustizia fiscale. Resta da capire come<br />

reagirà, se reagirà, il centrosinistra alla proposta dell'ex tessera n. 1 del Pd, nonché "patron" del più<br />

importante gruppo editoriale "progressista". Per accettarle e lavorarci su dovrebbe prima di tutto liberarsi da<br />

due tabù. Innanzitutto quello relativo alla quantità della spesa pubblica, vista di per sé come fatto positivo, a<br />

prescindere da efficienza produttività. Ma è del tutto inutile rivendicare nuovi quattrini, anche in campi nobili<br />

come per esempio quello dell'Istruzione, dei Beni culturali o della Giustizia, se non si fa un ragionamento<br />

serio sulla produttività del sistema. Non faccio esempi perché sarebbe come prendere a sberle i bambini.<br />

Troppo facile. In secondo luogo deve rovesciare un'impostazione storica per la quale le imposte sul reddito<br />

sono la "madre di tutte le battaglie". Recentemente il Pd ha chiesto di rifinanziare la Cassa integrazione con<br />

un'imposta straordinaria sui ricchi, vale a dire coloro che guadagnano più di 100.000 euro. Che fanno, dopo<br />

IL RIFORMISTA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Riformista<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 8<br />

le imposte, circa 60.000 euro all'anno, 5.000 al mese. Un buono stipendio, ma considerarlo da persona ricca<br />

significa avere perso il senso della realtà. Inoltre come sappiamo essi rappresentano un'infima minoranza<br />

della popolazione italiana composta prevalentemente da pensionati di livello, dirigenti intermedi pubblici e<br />

privati e una sparuta pattuglia di liberi professionisti. Così a pagare sarebbe ancora una volta chi lavora e chi<br />

non può evadere. A meno che lavorare e guadagnare non sia considerato da quelle parti sterco del demonio.<br />

IL RIFORMISTA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Riformista<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

A ciascuno la sua grana Pier ha Fioroni<br />

COSTANTI EMANUELE<br />

Il Pd continua a dividersi sull'atteggiamento da tenere nei confronti della ormai conclamata e clamorosa<br />

rottura tra il presidente della Camera Gianfranco Fini e il presidente del Pdl Berlusconi, ma continua anche a<br />

dividersi, e pesantemente, al proprio interno. Specie sulla «gestione unitaria», o presunta tale, attaccata<br />

duramente dagli ex popolari (Beppe Fioroni in testa), i quali arrivano a minacciare gesti eclatanti se la<br />

maggioranza bersaniana non volesse sentire ragioni nel praticarla. Ma partiamo dall'atteggiamento che il Pd<br />

ha e dovrà avere nei confronti di Fini e delle sue prossime mosse (corrente interna al Pdl o gruppo<br />

autonomo). Le posizioni, dentro il Pd, restano prudenti ma non mancano le rinnovate dichiarazioni di stima<br />

verso l'uomo e le nuove aperture sui contenuti. In un Transatlantico semi-vuoto, si trova sia chi - come i<br />

deputati meridionali ed ex dc di lungo corso come Sergio D'Antoni e Nicodemo Oliverio - non credono a<br />

improvvisate e mal assortite Kadima all'italiana ma si dicono pronti a votare con i finiani a partire da<br />

provvedimenti a favore del Sud. Come pure non mancano personaggi tra loro molto diversi, da Paola Concia<br />

a Pierluigi Castagnetti, che da un lato tifano per Fini e sono pronti a stabilire rapporti e convergenze, su molti<br />

temi cruciali, dall'altro arrivano a paventare smottamenti e fughe dal Pdl, certo, ma anche dal Pd. E Bersani?<br />

Il segretario del Pd da un lato parla di «spettacolo indecoroso andato in scena», dall'altro sottolinea con forza<br />

che «Fini ha sollevato contraddizioni profonde su temi e problemi reali». Bersani teme la «palude delle non<br />

riforme» e parla di «ricatto politico» di Berlusconi verso Fini. Il segretario - che ha assistito, attonito come<br />

molti, davanti alla tv allo scontro tra Berlusconi e Fini - non crede più alle buone intenzioni del premier su<br />

possibili riforme condivise e ritiene che «siamo ormai davanti a due destre diverse». Aggiungendo: «Con Fini<br />

sulle riforme si può ragionare». E non solo su quelle, fanno notare altri, dentro il Pd, a partire dal dalemiano<br />

Matteo Orfini: «Con una destra costituzionale si può discutere di tutto, dalla giustizia all'immigrazione, dal Sud<br />

all'Unità d'Italia». Insomma, non siamo lontani dal Bersani che, alla direzione di sabato scorso, ha cercato<br />

una mediazione in avanti nello scontro tra D'Alema («Fini è un interlocutore») e Franceschini («Fini resta un<br />

avversario»), difendendo sì il bipolarismo, che D'Alema critica, ma anche dicendosi pronto a una<br />

«convergenza repubblicana» che metta assieme tutte le forze contrarie a «forzature populiste». Del resto, pur<br />

non tifando per la fine anticipata della legislatura, anche Bersani sa che è molto meglio accelerare, nella<br />

costruzione di una alternativa di governo. Insomma, le elezioni anticipate, governo balneare che porti il Paese<br />

alle urne comprese, sono un'eventualità da non scartare (ma molto temuta, se Castagnetti si affrettava a dire<br />

che «non siamo pronti, né noi né loro»): ecco perché bisogna «radicare il Pd» e «parlare di più agli italiani».<br />

Infatti, oltre all'incontro pubblico avuto ieri con Di Pietro, non mancano rapporti e contatti con gli altri spezzoni<br />

di sinistra in campo, da Sel alla Federazione della Sinistra. Bersani vede e sente tutti. Anche il capogruppo<br />

alla Camera Dario Franceschini, pur senza essere un fan di Fini e ritenendo che questi non arriverà a<br />

rompere il Pdl, sta maturando una nuova riflessione, su Fini: se contribuirà a rendere più democratico il suo<br />

partito, sarà un bene per la democrazia. Franceschini ne parlerà a Cortona, all'assemblea programmatica di<br />

Area Democratica, che dal 7 al 9 maggio vedrà riunito lo stato maggiore dell'opposizione interna al Pd, dai<br />

popolari ai veltroniani. Proprio in quell'occasione potrebbe scoppiare una grana interna non di poco conto,<br />

dentro il Pd: la annuncia l'onorevole Beppe Fioroni, anima organizzativa degli ex popolari. «Se la farsa della<br />

gestione unitaria va avanti in questo modo, come sta accadendo in Piemonte, Lombardia, Veneto e altre<br />

regioni, dove la logica è quella dei bolscevichi contro i menscevichi, e cioè della maggioranza che vuol far<br />

fuori la minoranza in tutte le cariche e le nomine interne al partito e negli enti locali, beh allora non ci resterà<br />

che la scelta dell'autosospensione di tutti i nostri dagli organismi dirigenti, segreteria compresa». I<br />

collaboratori di Franceschini tendono a derubricare la questione a «beghe locali» e assicurano che Dario, a<br />

Cortona, parlerà e avanzerà proposte di merito «a tutto il partito», ma le parole di Fioroni pesano. E rincara:<br />

«La scissione strisciante nel Pd c'è già. Tra gli elettori».<br />

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Ecco il manifesto dell'altra destra «Per non essere fotocopia della Lega»<br />

IL DISSIDENTE. Costi del federalismo, immigrazione, coesione sociale, giustizia, profilo del partito, rapporto<br />

col governo. Il presidente della Camera declina i contenuti del suo Pdl: «Non sono qui a fare l'eretico né il<br />

bastian contrario».<br />

ALESSANDRO DA ROLD<br />

La cravatta rosa salmone. Usata nelle giornate più importanti. Come il primo giorno da presidente della<br />

Camera. E poi i fogli della rassegna stampa di Montecitorio. Sul cui dorso ha fissato i punti di uno dei discorsi<br />

più importanti della sua carriera politica. «Giochiamo a carte scoperte - dirà a un certo punto dopo aver<br />

riservato un solo applauso al discorso del presidente del consiglio-. Perché è la prima volta che non parliamo<br />

a quattr'occhi, ma di fronte alla nostra gente». Sono tanti i particolari con cui si potrebbe descrivere<br />

l'intervento di Gianfranco Fini durante la direzione nazionale del Popolo della Libertà. Una giornata storica per<br />

tutto il partito del Cavaliere, iniziata all'una di pomeriggio, quando va in onda il Tg5. Diversi gli argomenti su<br />

cui il presidente della Camera ha voluto insistere, dalla competizione con la Lega Nord nelle regioni<br />

settentrionali, fino alla riforma sulla giustizia. Dalla battaglia sulla legalità, fino alla situazione interna al partito,<br />

con particolare attenzione a temi come immigrazione e riforme costituzionali. Partito. «Credo che questa<br />

riunione sia utile, necessaria, indispensabile per fare chiarezza. Ce n'è necessità, per il doveroso rispetto che<br />

ognuno deve a se stesso e tutti insieme dobbiamo agli italiani». Incalza da subito Fini, aggiungendo in<br />

seguito: «Francamente anche nella regia dell'avvio dei lavori c'è un atteggiamento un po' puerile di chi vuole<br />

nascondere la polvere sotto il tappeto». In questa chiave, «la mia volontà non è quella di sabotare: la mia<br />

volontà è quella di migliorare la qualità politica del partito e quindi quella del governo. Una politica che è già<br />

meritevole di grande ammirazione certo, ma ora cerchiamo di discutere come farlo funzionare questo partito,<br />

cerchiamo di discutere oggi che non c'è più la logica del 70 a 30». Queste le parole sulla condizione interna<br />

del Pdl, con un avvertimento al presidente del Consiglio. «Berlusconi farà quello che vuole - dice - Ma deve<br />

prendere atto che qualcosa è cambiato. Spetta a lui, a me non interessa: è lui il presidente del partito. In ogni<br />

caso, discutiamone, perché in una delle più grandi regione italiane, da un anno e tre mesi, convivono due<br />

partiti, il Pdl e il Pdl Sicilia. E il Pdl Sicilia non è guidato da un eretico amico di Fini, ma da un uomo del<br />

governo Berlusconi». In sostanza, Fini dice di non volere «una corrente finalizzata a quote di potere. Si tratta<br />

di altro, di animare un dibattito e un confronto che non può che fare bene». E - quasi rispondendo alle stesse<br />

parole espresse da Berlusconi il giorno prima - avverte: «Non ho difficoltà a ricordare che anch'io ebbi a<br />

definire le correnti una metastasi». Infine, sempre rispetto al partito, Fini attacca duramente il premier sul<br />

caos liste nel Lazio: «Ma credi veramente che la lista non sia stata presentata per un complotto di magistrati<br />

cattivi e di Radicali violenti?». Giustizia e legalità. «Qui spero per davvero che le parole non tradiscano il<br />

pensiero», anticipa Fini, sapendo di affrontare un campo minato per i berlusconiani. E, infatti, la<br />

contestazione più decisa la riceverà proprio in questo frangente. «C'è la questione connessa alla legalità -<br />

avverte l'ex ministro degli Esteri Che vuol dire certamente andare fieri di quello che le forze dell'ordine fanno,<br />

ma la difesa della legalità significa qualche cosa in più. È certamente indispensabile nel programma riformare<br />

la giustizia, combattere la politicizzazione della magistratura, ma non si può dare l'impressione che la riforma<br />

sia tesa a garantire sacche maggiori d'impunità. Lo so che non è così, ma qualche volta l'impressione<br />

esiste». Infine, il racconto di uno dei tanti retroscena: «Ti ricordi le litigate a quattr'occhi che abbiamo fatto sul<br />

processo breve? Quella era un'amnistia mascherata: e allora mi devi dire che cosa c'entra la riforma della<br />

giustizia se poi passano messaggi del genere». Riforme costituzionali. «Le riforme servono, Lega o non Lega<br />

- avverte Fini, dando massima priorità alla modifica del Titolo V della Costituzione - perché rischiamo un<br />

contenzioso enorme se non risolviamo le competenze tra Stato e Regioni». Nello specifico, «le riforme<br />

devono essere il più condivise possibile, ma come faccio a condividerle se non so qual è la posizione del<br />

Pdl?». In ogni caso, aggiunge il numero uno di Montecitorio, «non voglio polemizzare con Calderoli "piè<br />

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ED. NAZIONALE<br />

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veloce": questo è un dettaglio. Quella è la bozza di Calderoli. Ma io sono il bastian contrario se chiedo quale<br />

è la bozza del Pdl? Vogliamo tradurre in una proposta le nostre intenzioni? Il compito del maggior partito di<br />

governo, che vuole trasformare questo paese, è quello di dare agli altri le bozze su cui si discute, non<br />

prenderle e dopo discuterne, come fossero cambiali che devono essere onorate». Immigrazione e Lega Nord.<br />

«È eretico dire - si domanda ancora Fini - che io non mi ritrovo nei valori del Partito popolare europeo, nel<br />

rispetto della dignità della persona umana, quando sento dire che i medici devono fare la spia sugli immigrati<br />

clandestini?». Riferimento esplicito alla polemica sul pacchetto giustizia proposto dal ministro dell'Interno<br />

Roberto Maroni lo scorso anno. «Non sono bugie. Sono problemi che rischiamo di correre e su cui si<br />

confrontano i nostri amministratori, perché alcune questioni vengono affrontate in modo incauto». Quindi<br />

l'interpretazione del travaso di voti dal Pdl alla Lega nelle regioni settentrionali. «Non credo - avverte il<br />

presidente della Camera - che nel Nord il rapporto Pdl e Lega sia cambiato per alcuni eretici intellettuali vicini<br />

a Fini. Io do un'altra lettura. Sono mesi che lo vado dicendo: al Nord siamo diventati la fotocopia della Lega.<br />

Qual è la nostra bandiera identitaria al Nord? Vi risulta che abbiamo lanciato alto e forte il messaggio di<br />

abolire le province, che era nel programma elettorale?», insiste Fini, riconoscendo nel Carroccio «un alleato<br />

serio», ma che «non ha e non deve avere i medesimi valori del Popolo della Libertà». Unità d'Italia e<br />

federalismo fiscale. Il federalismo fiscale, senza gli antidoti collegati alla cultura nazionale, rischia di metterne<br />

a repentaglio la coesione. Per questo motivo, il Pdl deve avere un ruolo attivo non soltanto a livello di<br />

governo, ma soprattutto per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Questo in sintesi il pensiero finiano<br />

rispetto al federalismo fiscale, unito ai festeggiamenti del prossimo anno. Fini cita i titoli della Padania<br />

(«L'unità è un relitto storico da riattualizzare attraverso il federalismo»), e riconosce che senza «la stella<br />

polare dell'identità nazionale», non si va da nessuna parte. In questo senso, «servirebbe una commissione<br />

formata dai nostri governatori del Sud e del Nord».<br />

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La democrazia dura 2 ore<br />

PEPPINO CALDAROLA<br />

L'abbiamo cronometrata. Poco meno di due ore. Tanto è durata la democrazia nel Pdl. Per due ore è<br />

sembrata l'assemblea plenaria di un partito quasi d'altri tempi. Due ore di normalità, persino plumbea e<br />

stucchevole, prima del caos finale. Anche il colpo d'occhio richiamava il passato. Una platea affollata, divise<br />

da Transatlantico per uomini e donne. EPPINO CALDAROLA PAGINA poi macchine blu a riempire i<br />

marciapiedi fuori dall'Auditorium, centinaia di uomini di scorta in attesa, l'atmosfera elettrica delle grandi<br />

occasioni. Ecco Berlusconi che raggiunge sul palco i tre coordinatori, emozionati come scolaretti prima della<br />

recitina di fine anno scolastico. Qualcuno pensa, è la nuova Dc. Ministri e portaborse, uomini di prima scena<br />

e capibastone di secondo piano, e al centro lui, il capo supremo, Silvio Berlusconi che organizza la sala, fa<br />

riempire i posti vuoti in prima fila, si occupa dell'immagine televisiva della platea. Il discorso introduttivo del<br />

premier è surreale nell'elenco dei successi e delle vittorie. Sembra un doroteo al peperoncino. Poi la vecchia<br />

Dc cede il passo al decrepito Pcus e prendono la parola i ministri e i coordinatori. Silvio li chiama alla tribuna,<br />

spesso per nome e sottolinea con cenni del capo la loro autocelebrazione. Frattini spiega che senza il<br />

governo italiano Obama non avrebbe saputo cosa dire al mondo, Tremonti fa il fenomeno alle spalle della<br />

Grecia, Mantovano racconta che nei prossimi tre anni sarà sconfitta la mafia (non toccava al cancro?), La<br />

Russa non lo ascolta nessuno, Verdini dà i numeri, Bondi-Suslov si stupisce che a Farefuturo non amino il<br />

Cavaliere come lo ama lui. Berlusconi sorride soddisfatto. La platea applaude. Bisognerà avere solo la<br />

pazienza di ascoltare quel rompiscatole di Fini poi tutti a casa felici e contenti. Il grande partito di governo è<br />

diventato europeo se sa raccontare con tanta proprietà di linguaggio le proprie vittorie e addirittura fa parlare<br />

il dissenziente. Ma il cronometro è implacabile e scadute le due ore, Berlusconi non gliela fa più. Appena Fini<br />

inizia a parlare si tormenta sulla sedia come un ciclista alla fine del tappone dolomitico, prende appunti,<br />

sussurra a Verdini, guarda Bondi congelato dallo stupore che qualcuno osi contraddire il suo leader, dopo un<br />

po' fa un cenno con le mani a Fini di stringere con il discorso, lo interrompe quando lui si lamenta dell'accusa<br />

di tradimento («io non te l'ho mai detto»). La faccia è accigliata, si vede che sta per sbottare, interrompe altre<br />

volte, poi protesta vivacemente quando Fini parla del processo breve e del rapporto con la giustizia e la<br />

legalità al punto che il presidente della Camera chiede di poter proseguire tanto al premier spetterà la replica<br />

finale. Non bisognerà aspettare tanto. Scadute le due ore da partito normale è ormai iniziata un'altra<br />

assemblea. Scordatevi la vecchia Dc e le assise del Pcus perché la scena questa volta assomiglia alle<br />

assemblee di condominio, ai raduni radicali, a certe riunioni dei movimenti studenteschi alla fine del '68.<br />

Berlusconi è incontenibile. Riprende la parola e ce n'è per tutti. La cronaca la conoscete. L'intimazione a Fini<br />

di dimettersi, il presidente della Camera che si alza e protesta, fa per andarsene, poi si trattiene, le facce<br />

impietrite dei berlusconiani, soprattutto di Buonaiuti seduto accanto a Fini che non ha il coraggio di guardarlo.<br />

La Russa sembra un cane bastonato con il premier che gli ricorda che è stato lui a dire che la piattaforma<br />

leghista sull'immigrazione è copiata da An e Fini che batte le mani all'ex amico deridendolo con un sorriso<br />

terrificante. La platea acclama il premier ma sa che sta assistendo al finale di una tragedia. Gli ex colonnelli<br />

post-missini non sanno dove mettere la faccia perché Berlusconi per schiaffeggiare Fini prende a ceffoni tutta<br />

quanta An. È finito così in un caldo pomeriggio di aprile il Pdl. Soprattutto è finita l'avventura di Silvio<br />

Berlusconi come capo di un partito democratico. Non è per lui. Ci ha provato ma non gli piace. Lui è abituato<br />

alle platee osannanti, alla gente che dice sì o no alle sue domande retoriche e un po' cretine, ha bisogno di<br />

avere sempre davanti a sé un nemico. L'idea che un partito sia regole, formalità, dissenso esplicito, colloqui<br />

informali che non vanno mai rivelati in pubblico gli fa venire l'orticaria. Non tutti i leader carismatici sono così.<br />

Altri sopportano il dissenso, sanno vivere in partiti pluralisti, convivono con la democrazia. Lui no. Qui non<br />

c'entra il carattere dell'uomo, c'entra la sua cultura. In quell'ora scarsa in cui Fini ha parlato non ci sono state<br />

solo parole difformi dalle sue, c'è stato un altro racconto dell'avventura del centrodestra, un altro linguaggio<br />

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Pag. 1<br />

politico, un'altra verità, un tono paritario che Berlusconi ha considerato insopportabile. Il teatrino<br />

berlusconiano è a schema fisso. C'è il prim'attore, c'è quello giovane e la bella addormentata, c'è il poeta un<br />

po' giullare, potrebbe esserci persino posto per una voce discorde ma non è possibile un'altra trama. Se<br />

qualcuno rompe lo schema allora tutto deve diventare talk show e il premier diventa un po' Vittorio Sgarbi, un<br />

po' Elio Vito, un po' Stracquadanio. La politica è consenso entusiasta oppure diventa rissa furibonda. Quella<br />

roba per cui si discute, ci si divide e poi si vota è «vecchia politica». La nuova politica è monologo, al<br />

massimo è ammesso il coro. A Berlusconi ieri non sono saltati i nervi. Ne ha bastonato uno, per educarne<br />

cento. Ha voluto dare l'immagine, al suo partito e al paese, che lui è l'uomo forte, che il bastone di comando<br />

ce l'ha in mano e non se lo fa strappare da alcuno. Questa volta però ha esagerato. Un partito perennemente<br />

sull'orlo di una crisi di nervi e spinto verso la scissione non è più quella macchina politica che aveva sognato.<br />

Forse quando parlavamo di declino non dicevamo proprio una stupidaggine. P<br />

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Pag. 1<br />

liste di epurati e voti di fiducia: così intende cacciare i ribelli<br />

Il Cavaliere prepara la «soluzione finale»<br />

ALESSANDRO DE ANGELIS<br />

Una furia, anche nel backstage, Silvio Berlusconi: «Una sceneggiata così - ha urlato coi suoi - non si è mai<br />

vista. È stato uno spettacolo indegno. Gli italiani ci premiano per governare e noi facciamo vedere che<br />

litighiamo. Sapete quale è il messaggio che è passato oggi? Che stiamo qui a discutere del nulla senza<br />

occuparci dei problemi del paese. Facciamola finita una volta per tutte con quello là». E contro quello là -<br />

ovvero Gianfranco Fini - ha dato ordine di procedere alla soluzione finale: nel Pdl e nel Parlamento. A caldo il<br />

premier ha chiesto ai triumviri di mettere a punto un ordine del giorno da far votare alla direzione per zittire il<br />

co-fondatore del Pdl: «Mettiamolo nero su bianco e vediamo che succede: se vuole fare politica si deve<br />

dimettere da presidente della Camera. Oppure chiediamo le dimissioni e vediamo che fa». DE ANGELIS<br />

LESSANDRO PAGINA oi un'altra ipotesi: «Facciamo comunque una sfiducia "politica" al presidente della<br />

Camera, per dare un segnale». A freddo però una (parziale) correzione di rotta. I fedelissimi fanno notare al<br />

Cavaliere che in tal modo si aprirebbe un conflitto con Napolitano: «Gli abbiamo assicurato che non<br />

tocchiamo il governo, che sulle riforme siamo aperti al confronto. Figuriamoci che succede se apriamo il<br />

fuoco sul presidente della Camera». E allora, nuova linea. Che suona così: Fini va piegato nel partito, nel<br />

governo, e poi si faranno pure i conti con i suoi uomini. Per questo il documento finale su cui il Cavaliere<br />

ottiene il plebiscito della direzione - solo 11 contrari - non concede nulla alle richieste di Fini. Anzi le straccia<br />

punto su punto. Lo ha corretto, parola per parola, direttamente il premier. Dibattito? «Il dibattito libero e<br />

democratico è previsto dallo statuto ma alcune polemiche sono pretestuose». Discussione sul programma?<br />

«Abbiamo il dovere di applicare il programma votato dagli elettori». Correnti? «Non siamo un vecchio partito.<br />

Siamo al servizio del popolo italiano e del suo bene comune. Le ambizioni dei singoli non possono prevalere<br />

sull'obiettivo di servire il popolo italiano. Le correnti o componenti negano la natura stessa del Pdl». Fine della<br />

monarchia? «Gli italiani non rimpiangono certo le leadership deboli e i governi deboli del passato». E<br />

soprattutto: «La direzione politica del Pdl approva le conclusioni politiche del presidente Berlusconi e gli<br />

conferma il proprio pieno sostegno e gratitudine». E le conclusioni in questione sono il «dimettiti da<br />

presidente della Camera» che il premier aveva gridato qualche ora prima. Ma è in Parlamento che Berlusconi<br />

ha deciso di piegare l'ex capo di An. Perché è convinto che lì «Gianfranco sta preparando il Vientnam». Se<br />

avesse avuto bisogno di conferme, ha letto in questa chiave le dichiarazioni di Fini trapelate dal suo incontro<br />

coi fedelissimi:«Hic manebimus optime - ha affermato l'ex leader di An - Andremo avanti senza farci<br />

intimidire. Io non ho alcuna intenzione di dimettermi da presidente della Camera e non ho intenzione di<br />

rinunciare a porre questioni nel parlamento e nel partito». Così come un'altra conferma è arrivata al premier<br />

dalle riposte date da Fini ai cronisti: «Da oggi si è aperta una fase nuova. C'è una componente interna che di<br />

volta in volta si sente impegnata nell'attuazione del programma e rivendica il suo diritto di discutere su come<br />

si attua. Ridurre le tasse è il titolo, anche riformare la giustizia è il titolo, ma poi bisogna vedere come questo<br />

programma si attua». E alla voce vietcong il premier ha inserito pure l'atteggiamento assunto nel pomeriggio<br />

dai finiani, che hanno rinunciato a intervenire dopo il duello rusticano tra i co-fondatori del Pdl: «Prima<br />

chiedono democrazia poi tacciono. È chiaro dove vogliono andare a parare». Dove vogliono andare a parare<br />

glielo ha riferito Sandro Bondi. Che ha raccontato lo scambio di battute avuto col presidente della Camera<br />

(Fini: «Adesso vedrete scintille in parlamento»; Bondi: «Ne risponderai agli elettori»). Ecco perché il premier<br />

ha riunito capigruppo e triumviri per avviare l'arrembaggio parlamentare: «Questi - ha detto il premier -<br />

vogliono logorarmi perché pensano di aver incassato un risultato. E invece si va fino in fondo. Se Gianfranco<br />

non si adegua alle decisioni della maggioranza è fuori». Per disinnescare il «Vietnam» il Cavaliere ha già<br />

spiegato il piano: «Si va avanti a spallate e vediamo che fanno». Si parte dalla giustizia su cui ha chiesto di<br />

accelerare: intercettazioni, riforma costituzionale. Tutto e subito. Il premier ha pure messo in conto di togliere<br />

il processo breve dal binario morto: «Votiamo i provvedimenti che ci interessano. Se occorre andiamo avanti<br />

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a colpi di fiducia». Di riforme istituzionali invece se ne riparlerà. Prima la resa dei conti. Tanto che Berlusconi<br />

ha confidato che al congresso non ci si arriverà. Come a dire: i finiani andranno fuori prima. Più che un<br />

auspicio, un obiettivo. Per favorire la rottura Berlusconi ha già indicato una lista dei possibili epurati. Quando<br />

all'ordine del giorno arriverà il rinnovo delle presidenze delle commissioni parlamentari - a ottobre, visto che è<br />

previsto dopo due anni e mezzo di legislatura - farà saltare i finiani doc. Come Giulia Buongiorno, presidente<br />

della Commissione giustizia: «Sono mesi che ci crea problemi costringendoci all'immobilismo». Ma sotto tiro<br />

c'è anche Silvano Moffa, presidente della commissione Lavoro: «Se non si smarca è fuori». Difficile,<br />

impossibile su queste basi una convivenza col presidente della Camera. I cui uomini hanno già denunciato la<br />

svolta autoritaria del documento votato dalla direzione: «Il documento approvato colpisce perché teorizza il<br />

populismo che non fa parte della storia della politica italiana» ha detto Italo Bocchino. Proprio lui potrebbe<br />

essere un altro epurato eccellente: «Il presidente della Camera - ha detto il premier - non si può sfiduciare.<br />

Ma un vicecapogruppo sì. Raccogliete le firme e toglietelo di mezzo». Del resto per valutare cosa accadrà<br />

nelle prossime settimane vale il bilancio di fine giornata: «Dove vogliono andare con questi numeri? Fini ha il<br />

sei per cento del partito. Oramai è finito. Si è bruciato da solo. E noi col voto di oggi abbiamo lo strumento per<br />

cacciare chi è in disaccordo». A SEGUE A PAGINA2<br />

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ED. NAZIONALE<br />

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LO SCONTRO TRA BERLUSCONI E FINI FINISCE IN UNA RISSA QUASI FISICA<br />

A pesci in faccia<br />

COSE MAI VISTE. Il ribelle: io dissento, da oggi nel Pdl c'è una minoranza. Il premier: se vuoi far politica devi<br />

dimetterti da presidente. «Che fai, mi cacci?». «Vali il 6%, allineati o sei fuori». 'E<br />

FABRIZIO D SPOSITO<br />

ia dalla Conciliazione, più che della Conciliazione. All'ombra del Cupolone, nell'auditorium che affaccia<br />

all'imbocco dello stradone che porta al colonnato del Bernini, il Pdl allestisce un ring degno dell'epico scontro<br />

tra Cassius Clay e George Foreman del 1974 a Kinshasa. Angeli e demoni. Silvio contro Gianfranco. Fini e i<br />

suoi diavoletti da cacciare dalla volta celeste dell'Unto del Signore. Il Paradiso perduto. Un nuovo ghetto per i<br />

postmissini. Tutto sulla scena. L'epicedio del fatidico dietro le quinte. Tre lustri di litigi tra le mura domestiche<br />

vomitati pubblicamente in novanta minuti memorabili. Fuori fa caldo. Il sole tortura turisti curiosi e poliziotti in<br />

assetto da guerra. Dentro, l'atmosfera è ancora più infuocata. I giornalisti condannati alle immagini dei maxi-<br />

schermi. Silvio Berlusconi conduce i lavori. Raccomanda l'ordine esteriore perché propedeutico a quello<br />

mentale. E non risparmia sberleffi al rivale, eterno figlio di un dio di minoranza. Dice: «In precedenza ho<br />

dimenticato di salutare gli altri cofondatori oltre a Fini, Rotondi e Giovanardi. Li cito adesso: Baccini,<br />

Alessandra Mussolini, Caldoro, De Gregorio, Buonocore, Nucara, Biasotti». Il demone Fini sale sul palco<br />

poco dopo l'una. Il pranzo è servito. Pane e veleno per il Cavaliere. Anzi solo veleno. Il presidente della<br />

Camera ha la solita, appariscente cravatta rosa. Quella che indossa nelle grandi occasioni. Come quando fu<br />

eletto allo scranno più alto di Montecitorio. La pantera rosa del Pdl. Il premier rimane immobile sulla seggiola<br />

al tavolo della presidenza della direzione. Un ispettore Clouseau già col volto gonfio d'ira. Fini è laureato in<br />

psicologia. E si vede. La sua postura è provocatoria. Una mano nella tasca dei pantaloni, l'altra a reggere gli<br />

appunti, vergati sul retro di una rassegna stampa della Camera. Un intervento storico su fogli riciclati. Fini<br />

alterna lo sguardo. Cerca la platea, sosta con gli occhi su ministri ed ex colonnelli. SEGUE ALLE PAGINE 2<br />

E 3 PAGINA a soprattutto, Fini, si gira verso il "trono" sul lato sinistro, dove il monarca del centrodestra è<br />

assiso insieme con il triumvirato La RussaVerdini-Bondi. La missione psicologica del presidente della Camera<br />

è fin troppo evidente. Scoprire i nervi del re. Denudarlo. Il senso è: «Io non me ne vado, piuttosto cacciami<br />

tu». Fini riserva al premier il gelo del tu col cognome: «Berlusconi te lo dico in faccia». Fa riferimento alle<br />

«bastonature mediatiche» del Giornale di Vittorio Feltri, direttore «lautamente pagato dalla famiglia del<br />

premier». È un momento topico. L'ex leader di An descrive le categorie del tradimento e della lealtà e avverte<br />

il premier: «Il tradimento è tipico di chi è aduso all'applauso e alla acritica approvazione salvo poi quando il<br />

leader gira le spalle dire tutt'altro». Il Cavaliere scalpita. Batte i piedi per terra, come sempre quando è<br />

nervoso. È la prima interruzione. Le tredici e cinque minuti. Dal tavolo, Berlusconi si sporge e dice: «Non<br />

attribuire a me cose che non ho mai detto». Fini non si scandalizza e lo ferma: «Hai il diritto di replica».<br />

Sembra quasi una battuta. Forse lo è. Avanti così. Ci manca solo la De Filippi, per un'edizione speciale di<br />

quelle trasmissioni dove litigano moglie e marito, figli e genitori. Il presidente della Camera continua a lavare i<br />

panni in pubblico. Il centralismo carismatico. L'identità persa del Pdl. Spiega però che non vuole sabotare il<br />

governo e riconosce persino due meriti al re: l'annuncio di voler fare riforme condivise a larga maggioranza e<br />

l'impegno personale e decisivo che ha dato alle regionali nel Lazio. Berlusconi non smette lo sguardo torvo.<br />

La rabbia gli deforma sempre più il viso. La stoccata di Fini arriva a ridosso dei due riconoscimenti: «Ma tu<br />

credi veramente che la lista nel Lazio non sia stata presentata per un complotto dei magistrati e di quei<br />

violenti dei radicali?». Il Cavaliere scuote di sì la testa, con forza. Ma non interrompe. Fini processa la Lega ,<br />

parla del sud e arriva allo snodo cruciale dell'immigrazione. Tenta di difendersi dalle accuse di buonismo e si<br />

appella ai valori del Partito popolare europeo. Berlusconi stavolta cambia parte. È incredulo, più che livido.<br />

Sorpreso. E con le mani disegna gesti chiari che dicono: «Ma queste sono piccole cose, di che stiamo a<br />

parlare». Fini infierisce: «Al nord siamo diventati la fotocopia della Lega. Qual è la nostra bandiera<br />

identitaria?». Per contrastare Bossi suggerisce al Cavaliere premier di farsi aiutare dal Cavaliere leader di<br />

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23/04/2010 Il Riformista<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

partito, sfruttando sino in fondo il doppio ruolo come De Mita e Craxi nella Prima Repubblica. Un passaggio<br />

finissimo. Anzi, Finissimo. Poi tocca il tasto dolente dei 150 anni dell'unità d'Italia. È l'unica volta che si rivolge<br />

al premier per nome: «Silvio, certo che abbiamo il governo, ma qual è la posizione del partito?». E «Silvio»:<br />

«Maddai stiamo lavorando tutti i giorni alle celebrazioni». Fini alterna sempre mani e occhi. Gesti e sguardi.<br />

La cravatta rosa fa pendant con una cintura chiara di coccodrillo. Il colpo più pesante è sulla giustizia e sulle<br />

leggi ad personam. Ancora una volta, è il turno del tu gelido per cognome: «Berlusconi è inutile che mostri<br />

insofferenza. Abbiamo già litigato a quattr'occhi: la prescrizione breve cancella 600mila processi. Se poi<br />

passano messaggi sul fatto che garantiamo l'impunità non ci possiamo lamentare». Siamo alla fine. Le<br />

riforme e la Lega che dà la bozza al Pdl, anziché prenderla: «Le bozze si danno non si prendono, siamo il<br />

primo partito». Fine di Fini: «Ho detto tutto. Berlusconi faccia come vuole, non mi interessa. E risolva il<br />

problema della Sicilia dove esistono due Pdl». Fini si congeda e per andarsene si dirige verso il tavolo.<br />

Berlusconi scatta come una molla. Ma non per salutarlo. Vuole il microfono per una replica immediata. Dà la<br />

sensazione di essere caduto nella trappola provocatoria del presidente della Camera. I due si sfiorano e si<br />

danno la mano senza guardarsi negli occhi. Adesso tocca a Silvio menare. L'ira gli fa anticipare l'intervento di<br />

chiusura. Il Cavaliere lo accusa di aver esposto il partito al «pubblico ludibrio» in tv e indica i colpevoli, d'ora<br />

in poi martiri finiani sulla via dell'epurazione: Bocchino, Urso, Raisi. I toni sono da urlatore: «Diciamola tutta<br />

Gianfranco: hai cambiato totalmente posizione: nel tuo studio davanti a Gianni Letta mi hai detto di esserti<br />

pentito di aver fondato il Pdl e che volevi fare gruppi autonomi in Parlamento». Fini è seduto in prima fila e si<br />

alza col dito puntato. Se fossero vicini, arriverebbero persino alle mani. Anche Fini grida: «Dammi una<br />

risposta sulla Sicilia». Dini e Bonaiuti, anche loro in prima fila, abbassano gli occhi, imbarazzati. La rissa<br />

prosegue. Berlusconi ribalta la tesi sul nord leghista: «La Russa mi ha detto che le idee della Lega erano<br />

quelle di An. È la Lega che è diventata la fotocopia di An». Fini rimane sulla poltrona e rosso in viso guarda<br />

La Russa: «Così gli hai detto? Bravo». E applaude ironicamente. La platea è sotto choc. Applausi e ovazioni.<br />

Ma anche sorpresa e imbarazzo. Il Pdl esplode sotto gli occhi di tutti. Al di là della consistenza numerica della<br />

corrente, meglio «dell'area politicoculturale» che il presidente della Camera intende usare per dire tutto quello<br />

che pensa. L'epilogo dello scontro è lacerante. Una serie di «se mi consenti», di «parliamoci chiaro» e di<br />

«mettiamo le carte in tavola». Roba da mandare a memoria per decenni. Il Cavaliere rinfaccia a Fini il suo<br />

ruolo super partes: «Vuoi fare politica ma non vieni alle riunioni perché dici di essere super partes. Non sei<br />

venuto in piazza San Giovanni». Fini dalla platea: «Quello era un comizio». Berlusconi intigna: «Vuoi fare<br />

politica? Bene, ti accogliamo a braccia aperte ma dimettiti da presidente della Camera». Fini si alza per<br />

l'ultima volta. La cravatta rosa balla. Ancora il dito puntato contro il Cavaliere: «Che fai, mi cacci?». Ripete la<br />

frase due o tre volte. Il caos è totale. Sullo schermo, l'inquadratura si allontana improvvisamente. L'obiettivo è<br />

coperto dalla spalla di qualcuno. Sullo sfondo, Fini è ancora in piedi quando Berlusconi finisce il suo<br />

intervento. Una giornata storica. Per farsi cacciare dal Paradiso berlusconiano. Chissà se ci riuscirà. F<br />

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23/04/2010 Il Riformista<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

chi ha vinto, chi ha perso<br />

Il pubblico ludibrio di un bipolarismo in fase terminale<br />

ANTONIO POLITO<br />

ose mai viste. La lite pubblica, personale, quasi fisica e altamente drammatica, che è scoppiata ieri alla prima<br />

direzione nazionale del Pdl, entrerà di diritto nel Blob dei programmi cult di Enrico Ghezzi. La rivedremo per<br />

anni, farà storia. Non si era mai vista una cosa del genere nella politica italiana, neanche ai tempi della Dc,<br />

quando pure le correnti e i conflitti dilaniavano il partitone di maggioranza relativa. Per noi del Riformista non<br />

è stata una gran sorpresa. Da mesi ripetevamo, tra i pochi, che il conflitto tra i due leader del centrodestra<br />

italiano era una cosa seria, che si fondava su radicali divergenze politiche e di interesse, che non era solo -<br />

cosa che pure è - un contrasto di personalità; e che dunque non era sanabile. In molti avevano scommesso<br />

sul contrario: vedrete, a entrambi non conviene, dovranno trovare un accomodamento, magari faranno pure<br />

le riforme insieme. Evidentemente, non è andata così. Chi ha vinto e chi ha perso? Mah. Se ci fosse<br />

un'opposizione reattiva e in forma, con una scena così ieri avrebbe stravinto l'opposizione. Insomma: il partito<br />

di governo si è esposto al pubblico ludibrio e ha dato uno spettacolo orribile di sè. NTONIO POLITO PAGINA<br />

Luando parlo di spettacolo inverecondo non mi riferisco solo al litigio dei due leader, ma anche al<br />

conformismo dei supporter, al tono bulgaro del comunicato finale che esprime «gratitudine» a Silvio, alla<br />

ferocia con cui le ovazioni si abbattevano sui capi della dissidenza, ogni volta che venivano nominati. Ma di<br />

un'opposizione in grado di far pagare questo spettacolo al momento l'Italia non dispone, dunque l'esito della<br />

partita va giudicato tutto all'interno di quell'aula, dentro il Pdl. Gianfranco Fini ha ottenuto dal canto suo un<br />

risultato storico: ha costretto il premier a una discussione pubblica sulla salute, la linea e la leadership del<br />

partito carismatico. Con ciò stesso negandone e distruggendone il carisma. Berlusconi non ha affatto gradito,<br />

gli sono anzi saltati i nervi, e non ha resistito alla tentazione della replica immediata che ha poi acceso le<br />

polveri della rissa verbale, con la terza carica dello Stato che urlava sotto al palco con il dito puntato e il<br />

presidente del Consiglio che gli dava sulla voce dal palco. Tutta la liturgia che era stata preparata a<br />

imitazione delle procedure dei partiti normali, è allora saltata. Fini ha fatto - almeno per chi come a noi è<br />

rimasto il gusto delle posizioni minoritarie e delle analisi politiche - uno splendido discorso. Diciamoci la<br />

verità: in questi giorni non era apparso molto chiaro, nelle confuse ricostruzioni dei suoi nuovi colonnelli, il<br />

contenuto politico del dissenso di Fini. Da ieri è chiarissimo, e molto ben argomentato. Non sempre, ma molto<br />

spesso convincente. Innanzitutto la Lega . Fini ha lucidamente spiegato che effetti può avere nel lungo<br />

periodo sulla destra italiana l'aver dato in franchising alla Lega il suo sistema di valori e spesso anche la sua<br />

politica al governo. In secondo luogo ha definito le leggi ad personam di Berlusconi sulla giustizia come un<br />

colpo arrecato al valore della legalità, che pure la destra sbandiera. Infine è uscito dalla caserma, come<br />

aveva definito il Pdl, rivendicando il dirittodovere al dissenso, alla minoranza, e anche chiedendo garanzie di<br />

rispetto e di ascolto per le posizioni di minoranza. Però, bisogna dire che tutto questo sforzo di accendere<br />

una discussione politica è fallito. La risposta è stata una vera e propria umiliazione di Fini. Berlusconi gli ha<br />

detto chiaro e tondo di dimettersi da presidente della Camera trattandolo, proprio come Fini aveva paventato<br />

nel suo intervento, come un dipendente infedele. Gli ha detto che è un traditore, perché nell'ultimo incontro si<br />

era dichiarato pentito di aver contribuito a fondare il Pdl. Gli ha detto con il comunicato finale che correnti non<br />

saranno tollerate e che «se sgarra è fuori». Gli ha fatto dire da una sfilza infinita di interventi della<br />

nomenklatura che aveva torto, e nel cosiddetto dibattito non s'è sentita neanche una voce che desse ragione<br />

a Fini, perché i suoi si sono cancellati dalla lista degli interventi. Lo scontro , non c'è neanche bisogno di dirlo,<br />

è dunque insanabile. Fini ha detto che non si dimette da niente e che non tacerà. Berlusconi prepara la<br />

ritorsione sui suoi uomini nel partito e nelle commissioni parlamentari, e sfiderà con una raffica di voti di<br />

fiducia la pattuglia parlamentare finiana, per vedere quanti reggono e quanti ne può cacciare. Ma la<br />

conseguenza più importante della giornata di ieri travalica il dibattito nel Pdl. La verità è che ciò che è<br />

accaduto è l'ultimo e più clamoroso sintomo della crisi che sta sconvolgendo il fragile e imperfetto bipolarismo<br />

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23/04/2010 Il Riformista<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

italiano. La camicia di forza in cui era stato costretto dalla nascita dei due partitoni è già piena di strappi. Da<br />

quando Pdl e Pd esistono, la crescita delle forze più estreme è stata esponenziale, la Lega da un lato e Di<br />

Pietro dall'altro. E la crescita di queste forze ha a sua volta avviato una reazione a catena nei due partitoni,<br />

con Fini che sbatte la porta per colpa della Lega e il Pd dilaniato dal rapporto con Di Pietro. A tutto questo<br />

oggi si aggiunge la nascita di fatto di una pattuglia finiana in parlamento, che peserà eccome, per esempio<br />

nel delicato processo di riforme istituzionali, che credo realistico considerare già tramontate, a questo punto.<br />

Il simulacro del bipolarismo italiano resta appeso al solo corpo mistico di Berlusconi, il Peron della Seconda<br />

Repubblica, che con la forza dei suoi voti e della sua popolarità tiene in piedi un sistema già defunto, anche<br />

se non lo sa ancora. A<br />

IL RIFORMISTA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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Il Sole 24 Ore<br />

13 articoli


23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Pag. 4<br />

Gasparri<br />

BERLUSCONIANOMaurizio Gasparri<br />

«Se si arriva alla paralisi inevitabile il ricorso al voto»<br />

I RAPPORTI DI FORZA «I loro numeri sono scarsi e si vedrà se hanno cariche sovradimensionate»<br />

Marco Ludovico<br />

«I numeri della cosiddetta minoranza si sono dimostrati esigui. Ma quello che si è svolto non è stato un<br />

evento positivo» dice il capogrupppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri.<br />

Senatore Gasparri, chi ha vinto nello scontro tra Fini e Berlusconi?<br />

Non parlerei di vittorie. Il passaggio è molto delicato.<br />

Lo spettacolo è apparso quello della rissa.<br />

Intanto, siamo arrivati al chiarimento. Lo scontro è stato molto duro, non c'è dubbio. Ma era il caso di creare<br />

un clima di tensione così forte per sollevare alla direzione Pdl temi, sia pure importanti, come la riforma delle<br />

pensioni o la questione meridionale?<br />

Rimane il fatto che il Cavaliere ha detto a Fini: se vuoi far politica lascia la presidenza della Camera.<br />

Il problema è il senso di responsabilità di ciascuno nel proprio ruolo. Non si può paralizzare l'azione di<br />

governo scambiandola per il diritto al dissenso. Nessun vuol impedire il dibattito, ma poi alle scelte finali ci si<br />

adegua.<br />

Berlusconi ha minacciato anche l'espulsione dal partito per il suo cofondatore.<br />

Siamo al culmine della tensione. Ma abbiamo approvato un documento, si tratta di rispettare le regole. Non è<br />

una questione disciplinare.<br />

Esce comunque un'immagine del Pdl fratturata, con i finiani che non hanno alcuna intenzione di tacere.<br />

Ma è a anche vero che i loro numeri si stanno rivelando scarsi. Poi, ma non subito, si potrà porre il problema<br />

di un sovradimensionamento delle cariche nel Pdl in cui sono presenti.<br />

Come nel caso del vicecapogruppo alla Camera, il finiano Italo Bocchino?<br />

Ripeto: la questione andrà affrontata più in là. La discussione in direzione ha quantomeno chiarito posizioni e<br />

rapporti di forza. Adesso ci vuole più serenità.<br />

Niente può far escludere, però, che Fini continui a lanciare le sue obiezioni, spesso quotidiane, alle scelte di<br />

governo e di maggioranza.<br />

È un u problema serio. Io però conto sul fatto che molti esponenti dell'ex An hanno in questi giorni<br />

sconfessato i più irriducibili, che si ritrovano isolati. Poi, vedremo nel concreto dell'attività parlamentare cosa<br />

accadrà.<br />

E se l'opposizione interna si ostinerà ad attaccare?<br />

Le elezioni le indice il c uapo dello S utato . M ua se si arriva alla paralisi il ricorso alle urne è una strada<br />

segnata.<br />

© RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

Foto: Maurizio Gasparri<br />

IL SOLE 24 ORE - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Pag. 4<br />

Bocchino<br />

FINIANOItalo Bocchino<br />

«Rivendichiamo il diritto a fare politica da dentro»<br />

I PUNTI CRITICI «Le decisioni economiche e sociali del governo e il peso eccessivo del Carroccio»<br />

Luca Ostellino<br />

ROMA<br />

«Fini, semplicemente, vuole fare politica nel partito che ha fondato. Quindi rivendicheremo il diritto a fare<br />

politica». Il vicepresidente dei deputati del Pdl Italo Bocchino, finiano doc e promotore della fondazione che fa<br />

capo al presidente della Camera Generazione Italia, risponde così alla domanda che tutti si fanno ("e<br />

adesso...?"), dopo il durissimo scontro tra i due co-fondatori del Pdl nella direzione del partito di ieri.<br />

Tutto qui? Sembra una richiesta legittima, quasi "lapalissiana".<br />

Si certo. Ma non in un partito caratterizzato dall'unanimismo, come è stato il Pdl fino a ieri.<br />

Riproviamo. A partire da oggi, invece, che succede?<br />

Ora c'è una minoranza interna, di cui Fini è il leader. Una minoranza politica-culturale. Da oggi nasce un<br />

partito vero, con le sue anime, che discute, che vota. Non esiste un partito democratico sul pianeta che non<br />

abbia una minoranza interna.<br />

Un modo elegante per definire la nuova "corrente"?<br />

No, non è una corrente. Le correnti nascono dove ce ne sono altre. Le correnti, però, non vanno<br />

demonizzate. È il correntismo semmai che non va bene.<br />

In concreto, quali sono le questioni politiche sollevate da Fini? E non mi riferisco alla proposta dell'ennesima<br />

commissione di studio sui costi del federalismo fiscale, o l'abolizione delle province.<br />

In concreto, i temi sono due. Le questioni relative alla politica economica e sociale del governo, appiattita<br />

sulle posizioni della Lega e lo stesso peso del partito di Bossi all'interno della maggioranza.<br />

I rapporti di forza nel Pdl e nella coalizione di governo, insomma. Dove Fini non sembra in una confortevole<br />

posizione.<br />

Il 6% attribuito a Fini e del tutto fuorviante. Berlusconi non può mostrare i muscoli dall'alto di<br />

un'organizzazione che si è costruito da solo o con l'aiuto degli ex colonnelli di An passati dalla sua parte.<br />

Andiamo a vedere i sondaggi, a sentire la gente. Poi vedremo...<br />

La gente appunto. Non crede che dopo un risultato nelle regionali andato probabilmente al di là delle<br />

aspettative e un governo la cui azione è stata premiata dal voto, al vostro elettorato risulti difficile<br />

comprendere ciò che succede?<br />

È meglio porre le questioni quando le cose vanno bene. Ci vuole una buona dose di coraggio. Sparare a<br />

zero quando le cose vanno male è da codardi.<br />

© RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

Foto: Italo Bocchino<br />

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23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Pag. 1<br />

il punto di stefano folli<br />

QUALE FUTURO PER LA MAGGIORANZA<br />

Dietro la rissa, la sfida difficile di due leader per due destre<br />

di Stefano Folli<br />

Nel confuso psicodramma in cui si agita il Popolo della Libertà c'è un livello mediatico accanto a un livello<br />

politico. Strettamente intrecciati. Se stiamo alla prima dimensione, quella mediatica, ieri abbiamo assistito a<br />

una rottura irreversibile tra Berlusconi e Fini. Sugli schermi televisivi abbiamo visto il presidente del Consiglio<br />

inveire contro il presidente della Camera, intimandogli di lasciare il suo incarico istituzionale se intende<br />

occuparsi di politica. E abbiamo osservato Fini che dalla platea sfidava Berlusconi a cacciarlo dal partito,<br />

perché lui non si sarebbe mai dimesso.<br />

Uno spettacolo poco edificante perché coinvolge non solo due esponenti politici, ma due uomini delle<br />

istituzioni. Un brutto film, la cui trama racconta di un livore reciproco condito di insofferenza e di vecchie e<br />

nuove incomprensioni. Chi guarda le immagini dello scontro pensa che siano nati due partiti, uno<br />

all'opposizione dell'altro.<br />

Ma non è così. Lo «show» aveva soprattutto lo scopo di chiarire agli italiani che il vincitore del braccio di<br />

ferro è Berlusconi. Ma poi il documento finale della riunione certifica soltanto la nascita di una maggioranza<br />

berlusconiana e di una minoranza finiana. Secondo le previsioni. Si ammette a denti stretti la legittimità di<br />

un'«area del dissenso», anche se si rifiuta la logica delle correnti organizzate. Non si parla più della<br />

presidenza della Camera. Non c'è un atto formale con cui Berlusconi o qualcuno in suo nome avvia una<br />

procedura (ma quale, poi?) per «sfiduciare» Fini e toglierlo dalla poltrona di Montecitorio.<br />

Sul piano politico e non mediatico il fatto nuovo non è la cacciata del ribelle, che non si è verificata, bensì la<br />

nascita di un Popolo della Libertà diverso, in cui per la prima volta si esprime un dissenso alla luce del sole. Il<br />

parto è stato doloroso e persino violento, il che stupisce solo chi ha perso la memoria dei litigi all'interno dei<br />

grandi partiti del passato, quando volavano anche le sedie. Peraltro la novità appare straordinaria in quanto<br />

riguarda il partito berlusconiano, imperniato fin dalle origini sul principio dell'unanimità e sull'omaggio rituale al<br />

leader.<br />

È ben vero che contro il documento hanno votato solo undici componenti del gruppo finiano, piuttosto pochi.<br />

E non ci vuole molta fantasia per immaginare che il cammino del presidente della Camera da oggi sarà tutto<br />

in salita. L'ex leader di An dovrà combattere quasi ogni giorno per mantenere agibile l'esiguo spazio che è<br />

riuscito a ritagliarsi. Dovrà sostenere attacchi e subire contumelie di ogni tipo e sa già che gli verranno messi<br />

in conto tutti gli incidenti parlamentari, tutte le votazioni in cui la maggioranza sarà battuta su qualche<br />

emendamento. Egli sa bene, del resto, che anche l'eventuale logoramento del governo (o l'impossibilità di<br />

fare le famose riforme) gli sarà addebitato. Se qualcuno pensa di portare il paese alle elezioni anticipate, non<br />

c'è dubbio che d'ora in poi il dissidente del Pdl si presenta come l'ideale capro espiatorio da sfruttare al<br />

momento opportuno. Ci vuole molta tempra politica per reggere la sfida. Per trasformare in un'opportunità<br />

quella che per ora è soprattutto una battaglia difensiva.<br />

Continua u pagina 4 Ieri il discorso del presidente della Camera è stato molto cauto nei toni, ma nella<br />

sostanza pignolo fino a risultare irritante e piuttosto abrasivo, persino troppo considerando che chi lo ha<br />

pronunciato ha condiviso negli anni quasi tutti i passaggi della lunga leadership berlusconiana. Va detto che<br />

Fini ha toccato tutti i punti dolenti. Compreso il tema della giustizia, della cosiddette leggi «ad personam» e<br />

del «processo breve». Ha messo in campo l'intera fucileria a sua disposizione, in nome della «coesione<br />

nazionale» e dell'esigenza di arginare la Lega.<br />

A suo modo ha delineato i contorni di quella destra liberale, di impronta europea, cui intende ispirarsi. E<br />

chissà se ha fatto bene Berlusconi a lasciare così scarsi margini di dialogo. A non voler abbandonare<br />

nemmeno per un'istante l'idea del partito visto quasi come un'azienda di famiglia. Se la scommessa riguarda<br />

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Pag. 1<br />

la convivenza di due destre, di due modi differenti di concepire il rapporto con l'Italia moderata, la giornata di<br />

ieri non promette nulla di buono. Benché il premier abbia concesso qualcosa proprio sulle riforme,<br />

riconoscendo che devono essere «condivise». Un punto caro a Fini non meno che a Napolitano.<br />

Si dirà. È possibile che l'esperimento sia destinato a concludersi abbastanza presto, dando luogo a una<br />

separazione consensuale che sarebbe vissuta come la fine di un equivoco. Tuttavia per il momento fanno<br />

fede i dati politici che hanno concluso una brutta giornata. E questi dati sono che Fini resta presidente della<br />

Camera, mentre nel partito nasce per la prima volta una piccola minoranza. Che di fatto sarà «organizzata».<br />

Al netto della rissa e del risentimento berlusconiano, la storia del centrodestra riparte di qui. Sarà difficile<br />

estirpare e cancellare il dibattito sui temi proposti dal presidente della Camera. Molto simili, in alcuni casi, a<br />

quelli propugnati da Casini, altro interprete dell'area moderata e predecessore di Fini a Montecitorio.<br />

Il presidente del Consiglio ieri non è entrato nel merito, si è limitato a ricordare a tutti chi è il monarca<br />

regnante del Pdl. Già in passato il monarca aveva subito delle contestazioni, come sa chi conosce la<br />

travagliata storia dell'Udc. Mai però dall'interno del suo partito, come è avvenuto ieri. Siamo entrati quindi in<br />

un terreno inesplorato. E Berlusconi è consapevole di dover muoversi con qualche prudenza, al di là degli<br />

scatti emotivi. Per non rischiare di trovarsi alla fine faccia a faccia con il suo ultimo alleato. Il più leale, ma<br />

anche il più difficile da gestire: Umberto Bossi.<br />

Stefano Folli<br />

© RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

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23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Pag. 13<br />

Germania. Il prelato ha ammesso di aver percosso alcuni ragazzi in Baviera<br />

Si dimette il vescovo tedesco Mixa<br />

SOM_CRONACA-1 Testo sommario??? IL FRONTE SI ALLARGA Denuncia negli Usa contro il Papa,<br />

Sodano e Bertone La Santa Sede conferma l'allontanamento dell'irlandese Moriarty<br />

Carlo Marroni<br />

CITTÀ DEL VATICANO<br />

La Chiesa tedesca inizia a perdere pezzi e arrivano le dimissioni di un vescovo importante, le prime da<br />

quando è scoppiato lo scandalo su abusi e soprusi di religiosi su minorenni. Dopo giorni di pressioni da parte<br />

di politici e della stessa Chiesa, si è dimesso il vescovo di Augusta, Walter Mixa, costretto ad ammettere di<br />

aver picchiato alcuni ragazzi: il benestare da parte del Papa a questo punto è solo una formalità. Nelle<br />

settimane scorse il vescovo conservatore della città bavarese, 68 anni, è stato al centro di pesanti polemiche<br />

per aver maltrattato in passato bambini orfani, ed è anche sotto indagine per appropriazione indebita di fondi<br />

destinati a un istituto per l'accoglienza di bambini.<br />

«La decisione di Mixa rappresenta una perdita» ha detto il presidente della Conferenza Episcopale, Robert<br />

Zollitsch, che oggi a Berlino guiderà la delegazione dei vescovi nel summit con alcuni ministri del governo<br />

Merkel per affrontare lo scandalo della pedofilia. Mixa, un ultraconservatore, in passato era stato criticato<br />

dalla stessa Conferenza episcopale per avere paragonato il numero di aborti effettuati negli ultimi decenni<br />

allo sterminio degli ebrei da parte del regime nazista. E avevano suscitato critiche anche le sue dichiarazioni<br />

dello scorso febbraio, quando aveva sostenuto che la rivoluzione sessuale degli anni 60-70 è complice dei<br />

casi di abusi sessuali che da settimane scuotono la Chiesa cattolica e l'intera opinione pubblica.<br />

Intanto ieri il Papa ha accettato le dimissioni di monsignor James Moriarty, vescovo irlandese di Kildare e<br />

Leighlin, accusato in un recente rapporto governativo per aver insabbiato denunce relative ad alcuni sacerdoti<br />

pedofili: è il terzo vescovo irlandese a dimettersi a causa dello scandalo denunciato da due rapporti<br />

governativi del 2009 (Ryan e Murphy) e che ha spinto il Papa a inviare, di recente, una lettera ai cattolici<br />

irlandesi.<br />

Ma il problema si allarga: i vescovi cattolici d'Inghilterra e Galles hanno presentato le loro scuse ufficiali per<br />

lo scandalo degli abusi sui bambini, affermando che non esistono alibi per quanto è accaduto. Il comunicato<br />

della conferenza episcopale inglese e gallese è stato presentato dall'arcivescovo di Westminster Vincent<br />

Nichols, che ne ha definito il contenuto «molto sentito» e «privo di ambiguità».<br />

Dal fronte americano parte un'iniziativa che potrebbe avere risvolti molto importanti: dopo aver denunciato la<br />

Santa Sede in Oregon e Kentucky, l'avvocato delle vittime del clero pedofilo, Jeff Anderson, avvia un'azione<br />

legale a nome di una vittima di padre Lawrence Murphy, accusato di aver abusato di 200 ragazzini di una<br />

scuola per sordomuti. Nell'azione legale, presentata in un tribunale di Milwaukee, Papa Benedetto XVI<br />

(l'allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede) e i cardinali<br />

Tarcisio Bertone e Angelo Sodano sono accusati di frode e insabbiamento. Anderson sarebbe in possesso di<br />

lettere raccomandate della vittima al Vaticano in cui nel 1995 si chiede aiuto per ridurre padre Murphy allo<br />

stato laicale. Anderson afferma che le lettere furono ricevute ma rimasero senza risposta: Murphy è morto nel<br />

1998, ancora prete.<br />

© RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

Foto: Il gesto. Walter Mixa, vescovo di Augusta, ha annunciato le dimissioni<br />

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23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

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La rottura nel Pdl LA COMPETIZIONE CON I LEGHISTI<br />

Al Nord vantaggio dal 27 al 4%<br />

In 4 anni la Lega ha quasi azzerato la distanza e ha conquistato i centri medio-piccoli<br />

di Roberto D'Alimonte<br />

Le ultime elezioni regionali hanno ridisegnato la mappa dei rapporti elettorali tra Pdl e Lega nel Nord del<br />

paese. Il punto di partenza della nostra analisi sono le elezioni del 2006. Queste sono le prime elezioni con la<br />

nuova legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza, voluta da Berlusconi. In queste elezioni in<br />

Piemonte, Liguria, Veneto e Lombardia (le quattro regioni del Nord in cui si è votato per le regionali di fine<br />

marzo) Fi, An e Dc-Nuovo Psi (quello che sarebbe divenuto il Pdl due anni dopo) hanno ottenuto alla Camera<br />

in totale il 36,8% dei voti. Nelle stesse regioni la Lega ha ottenuto il 9,8%. Da allora il trend dei due partiti è<br />

andato in direzioni opposte. Il partito di Berlusconi in discesa, il partito di Bossi in crescita. Le elezioni del<br />

2008 hanno rappresentato un passaggio cruciale. Queste infatti sono le elezioni in cui la Lega ha di fatto<br />

raddoppiato i suoi voti, passando da 1,32 a 2,57 milioni. Questo vuol dire che, in percentuale, nelle quattro<br />

regioni in questione, ha ottenuto il 19,9% dei voti contro il 32,5% del Pdl. Alle europee dell'anno scorso il Pdl<br />

ha confermato il suo 32,5%, mentre la Lega ha fatto un ulteriore passo avanti arrivando al 21,6. Il trend è<br />

proseguito in queste regionali, con il Pdl che è sceso al 29% e la Lega che è salita al 25,1. In sintesi, nel 2006<br />

la differenza tra Pdl e Lega Nord era di 27 punti percentuali; nel 2010 si è ridotta a 3,9.<br />

Questa tendenza però nasconde due differenze importanti che caratterizzano il Nord del paese. La prima è<br />

di tipo geografico, la seconda di tipo demografico. Per quanto concerne la geografia, esiste un Nord-Ovest<br />

(Piemonte e Liguria) dove la Lega è relativamente più debole, e un Nord-Est (Lombardia e Veneto) dove la<br />

Lega è considerevolmente più forte, e praticamente alla pari con il Pdl. Infatti nelle due regioni del Nord-Ovest<br />

il Pdl nel 2010 ha ottenuto il 28% dei voti, contro il 14,9% della Lega. Invece nelle due regioni del Nord-Est il<br />

Pdl ha preso il 29,4% e la Lega Nord il 29,3%. Per soli 4.332 voti il partito di Bossi non è riuscito a diventare il<br />

primo partito del Lombardo-Veneto. Il sorpasso sul Pdl le è invece riuscito, come è noto, in Veneto dove la<br />

Lega ha ottenuto il 35,2% contro il 24,8% del Pdl.<br />

Oltre alla geografia anche la demografia differenzia nettamente i due partiti del centrodestra. Infatti<br />

disaggregando il voto in base alla ampiezza dei comuni si vede che Lega Nord è il partito con la percentuale<br />

di voti più elevata nei comuni sotto i 15mila abitanti, in cui vive circa la metà della popolazione di tutto il Nord.<br />

Questo non era vero nel 2008, perché allora in questa fascia di comuni il Pdl sopravanzava la Lega di circa 8<br />

punti percentuali. In particolare, nei comuni sotto i 5mila abitanti, la Lega ha ottenuto nelle elezioni regionali il<br />

29,7% dei voti, contro il 28,9% del Pdl e il 20,7% del Pd. Nei comuni tra 5 e 15mila abitanti, le percentuali<br />

sono rispettivamente il 30,8, il 28,1 e il 22,2%. Al crescere della dimensione dei comuni, le percentuali per la<br />

Lega scendono in maniera significativa, arrivando al 15,6% per i comuni sopra i 100mila abitanti, che<br />

rappresentano il 20% della popolazione delle quattro regioni. Invece il voto al Pdl è praticamente insensibile<br />

alla variazione della dimensione demografica dei comuni. In altre parole il partito di Berlusconi prende<br />

praticamente le stesse percentuali di voto sia nei piccoli comuni che nelle aree metropolitane. È il partito che<br />

in un certo senso "unisce" centro e periferia. Il profilo dei due partiti resta lo stesso anche distinguendo fra<br />

Nord-Ovest e Nord-Est. Naturalmente nel caso del Nord-Est la percentuale di voti cambia, perché sotto i<br />

15mila abitanti la Lega ottiene circa il 35% dei voti, e sopra i 100mila abitanti si avvicina al 20%.<br />

Ciò detto occorre però aggiungere che, rispetto al 2008, la crescita della Lega è stata più forte nei comuni<br />

grandi che in quelli piccoli. In particolare, l'incremento relativo della Lega rispetto al 2008 varia da un minimo<br />

del 24% nei comuni sotto i 5mila abitanti fino a un massimo del 38% nei comuni tra 50 e 100mila abitanti, e<br />

con un valore comunque del 30% nelle città sopra i 100mila abitanti. Il successo elettorale della Lega nei<br />

comuni più piccoli fa sì che la Lega sia anche il primo partito nella maggioranza relativa di questi comuni. In<br />

particolare, su 3.344 comuni del Nord sotto i 15mila abitanti, la Lega è il primo partito in 1.411 (42,2%),<br />

mentre il Pdl è il primo partito in 1356 (40,5%). Si tratta di un dato inedito rispetto al 2008, in cui - nello stesso<br />

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insieme di comuni - la Lega era il primo partito in appena 790 comuni.<br />

Questi dati consentono di fare alcune osservazioni. La Lega, rispetto agli altri partiti, è riuscita nelle elezioni<br />

del 2010 a mantenere i suoi voti. In una situazione di forte aumento dell'astensione, questo si traduce in un<br />

aumento del peso di questo partito, soprattutto nei confronti del Pdl, che invece ne ha persi. La Lega<br />

conferma di essere un partito più radicato nei piccoli centri, dove ormai è in maggioranza il primo partito. Ma<br />

la sua espansione è generalizzata, il che fa pensare che dietro la sua crescita ci sia un fattore non<br />

specificamente territoriale, ma politico più generale. Una conferma viene dal fatto che cresce di più nei<br />

comuni più grandi rispetto a quelli più piccoli. E questo è certamente un fenomeno che in prospettiva<br />

rappresenta un elemento di preoccupazione per il Pdl. Oggi è ancora il Pdl il partito trasversale, con una<br />

presenza omogenea su tutto il territorio. Ma domani? Una Lega al governo di due regioni importanti potrebbe,<br />

conquistando le città dopo aver conquistato i piccoli centri, diventare a tutti gli effetti il partito del Nord. Questa<br />

è la sfida.<br />

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La sfida nel centro-destra<br />

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- Fonte: Cise (Centro italiano studi elettorali)<br />

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Pag. 5<br />

Il linguaggio dei due leader<br />

Nazione vs. popolo: lontani anche a parole<br />

LE ESPRESSIONI L'ex segretario di An riscopre «nazione» e «identità», il Cavaliere non rinuncia a «gente»<br />

e «cambiamento»<br />

di Riccardo Ferrazza<br />

Nei retroscena giornalistici che ricostruiscono i tesi faccia a faccia tra i due fondatori del Pdl un dato viene<br />

sempre riproposto: le difficoltà di comunicazione tra Berlusconi e Fini lamentate da entrambe le parti. Da ieri<br />

si è capito meglio perché. L'inedito e a suo modo spettacolare scontro in cui il "dietro le quinte" ha preso la<br />

scena dimostra che i due non solo la pensano diversamente ma parlano in un modo che più differente non si<br />

potrebbe immaginare. Preciso e al limite del puntiglioso il linguaggio del presidente della Camera, ansioso di<br />

chiarire in pubblico quello che va spiegando da tempo ai suoi in privato; evocativo e fatalmente berlusconiano<br />

(si sono risentite espressioni come «discesa in campo», «contratto con gli elettori», «popolo») il premier.<br />

Nel lungo intervento (quasi un'ora) Fini si è distinto dal suo interlocutore a partire dal modo di rivolgersi a lui:<br />

non lo ha mai chiamato per nome (Silvio) ma sempre e solo «presidente», salvo un paio di più diretti<br />

«Berlusconi» quando il premier ha interrotto il suo intervento. Dall'altra parte, invece, quando il premier si è<br />

concesso la replica immediata al suo alleato, si è sentito pronunciare (anzi urlare) «Gianfranco». Anche<br />

quando l'ex leader di An ha rimarcato a ripetizione che le sue sono «opinioni», «valutazioni», «indicazioni» e<br />

«posizioni» di carattere «squisitamente politico». E decisamente politico è stato il suo lessico, a partire da<br />

uno dei passaggi cruciali: la critica al Pdl «fotocopia» della Lega. Ecco rispuntare sostantivi e aggettivi da<br />

destra vecchia maniera come «identità», «valori», «nazione», «bandiera identitaria», «cultura nazionale»,<br />

«partito nazionale», «stato». Vecchi utensili retorici che però per Fini devono servire a risvegliare l'orgoglio<br />

del Pdl di fronte all'avanzata "padana". Coerenti sotto questo profilo le citazioni di due icone della prima<br />

repubblica: Ciriaco De Mita e Bettino Craxi, gli unici due leader a cumulare - come accade ora a Berlusconi -<br />

le cariche di presidente del consiglio e presidente del proprio partito. Tra i passaggi più sgraditi al premier, ci<br />

sono sicuramente quelli in cui Fini ha citato vocaboli iper-berlusconiani come «ottimismo», «carisma»,<br />

«capacità di mobilitazione», ma solo per smontarli: il «centralismo carismatico» (un neologismo?) che ne<br />

deriva non porta lontano. Unica concessione al colore l'elencazione dei titoli usati per screditare le sue<br />

posizioni: «grillo parlante», «bastian contrario», «incendiario della casa che ha contribuito a creare»,<br />

«sfasciacarrozze» ed «eretico».<br />

Se Fini ha trattato molto del partito, Berlusconi, aprendo i lavori della direzione, aveva parlato soprattutto<br />

dell'«azione di governo», della «realizzazione del programma» e del «contratto stipulato con gli elettori». Il<br />

tutto incastonato nel messaggio berlusconiano di maggior richiamo: la promessa di un «miglioramento», di un<br />

«cambiamento» e dell'«ammodernamento» del paese. Il premier parla alla platea di esponenti del Pdl ma il<br />

destinatario resta la «gente», quella che «ci ha spinti a creare il Pdl», un luogo in cui raccogliere «gli italiani<br />

che non si riconoscono nella sinistra». Al «movimento» (espressione preferita a «partito») spetta perciò il<br />

compito di parlare sempre a un unico referente: il «popolo».<br />

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Pag. 4<br />

L'«eresia» finiana<br />

Una diversa idea di Italia e di partito<br />

di Miguel Gotor<br />

Il discorso di Fini alla direzione nazionale di ieri ha definitivamente chiarito, se ce ne fosse stato ancora<br />

bisogno, che lo scontro in atto con Berlusconi non è provocato da ragioni di carattere personale o di potere.<br />

Un concetto impegnativo ha assediato il suo discorso, quello di eresia. Fini ha pronunciato questa parola<br />

decine di volte per negarla, ma così facendo l'ha amplificata finendo per rafforzarla tra qualche applauso e<br />

molti fischi.<br />

Il dissenso si basa su quattro punti di non poco momento se si vuole continuare a militare nello stesso<br />

partito.<br />

Il primo riguarda una diversa idea di Italia. Se la Lega è sempre più indispensabile al governo, è del tutto<br />

chiaro che per Fini diventa sempre più difficile difendere e promuovere un progetto nazionale di carattere<br />

unitario. Per la cultura politica di riferimento del presidente della Camera la patria è un valore irrinunciabile<br />

che non può essere sacrificato sull'altare dei rapporti di forza con un partito di ispirazione autonomista come<br />

la Lega. Si tratta di ideali, ma anche di bilanci e di indirizzi di spesa che stanno tagliando in due lo spirito<br />

pubblico del paese che solo nella sua capacità di "fare sistema" a livello nazionale potrà trovare la forza per<br />

uscire dalla sua crisi economica, politica e civile.<br />

Il secondo aspetto concerne la cittadinanza. L'idea della destra di Fini è aperta e inclusiva e punta sulla<br />

necessità di regolare una società sempre più multietnica in cui diritti e doveri devono essere coniugati<br />

insieme. Anche qui il dissenso è radicale: non solo con la Lega, ma con ampi settori del Pdl ormai attestati su<br />

posizioni populistiche che puntano a sfruttare elettoralmente l'ansia securitaria senza porsi il problema di<br />

rafforzare il patto di cittadinanza che tiene insieme una comunità ed è garanzia del suo civile sviluppo.<br />

Il terzo punto riguarda i diritti della persona e i temi bioetici: un insieme di questioni che non si muovono<br />

lungo l'asse destra/sinistra e che sono già stati fatti propri dai migliori conservatorismi europei, anzi sono stati<br />

uno dei principali motivi del loro successo politico. Non si tratta di problemi minoritari o di carattere<br />

socialmente elitario, ma riguardano migliaia di persone, spesso giovani, che attendono una proposta meno<br />

ipocrita ed elusiva di quella avanzata dall'attuale governo.<br />

Il quarto aspetto attiene al tema della legalità repubblicana, del rispetto dell'equilibrio fra i poteri e delle<br />

regole: antiche bandiere della cultura missina e della destra italiana troppo spesso ammainate a causa delle<br />

vicende giudiziarie del premier.<br />

L'ultimo punto è forse il più importante: Berlusconi ha una concezione proprietaria del partito che per Fini è<br />

inaccettabile, si direbbe innaturale. La sua idea di politica è fondata sul confronto, sul ragionamento, sulla<br />

mediazione ed è facile prevedere che la "non eresia" del presidente della Camera si trasformerà in un cuneo<br />

difficilmente sopportabile dall'"uomo del fare" Berlusconi per il quale "o stai con me o sei contro di me". Le<br />

occasioni non mancheranno di certo.<br />

Si tratta, infatti, di processi politici profondi in grado di provocare conseguenze indipendenti dalle stesse<br />

intenzioni degli uomini e intorno a cui si potrebbe aggregare, senza rinunciare al bipolarismo, un dinamico<br />

fronte riformista e modernizzatore. A prescindere dalle forme e dai modi con cui il dissenso di Fini si<br />

esprimerà a partire da oggi, l'impressione di fondo è che il dado sia ormai tratto e quel dissenso inizierà a<br />

pungere come una spina nel fianco il governo Berlusconi su due temi decisivi per la tenuta della coalizione<br />

che sono la giustizia e il federalismo. Come sempre, tesserà chi ha più filo.<br />

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23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

Pag. 12<br />

Eurozona. Sale l'indice Pmi che misura le attese delle aziende<br />

Dall'economia europea segnali di ottimismo<br />

LA RIPRESA SI CONSOLIDA Il dato di aprile ha toccato i massimi da agosto 2007 E i banchieri centrali<br />

cominciano a temere pressioni inflazionistiche<br />

Beda Romano<br />

FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente<br />

A dispetto del grande nervosismo sul futuro della Grecia, l'economia europea lancia segnali di vitalità,<br />

soprattutto in Germania e in Francia, secondo un indicatore di fiducia molto seguito sui mercati finanziari. I<br />

nuovi dati giungono mentre alcuni banchieri centrali tedeschi esprimono i primi timori sul futuro dell'inflazione,<br />

dopo un balzo dei prezzi al consumo in marzo all'1,4% annuo, dallo 0,9% di febbraio.<br />

L'indice che riflette lo stato d'animo dei direttori degli acquisti nel settore manifatturiero e nei servizi è salito in<br />

aprile ai massimi dall'agosto del 2007: è ormai a 57,3 dal 55,9 di marzo. Meglio ancora ha fatto il sotto-indice<br />

relativo all'industria, aumentato a 57,5, un livello toccato l'ultima volta a metà 2006. Un indicatore che riflette<br />

in particolare l'andamento della produzione è salito a 61,3, ai massimi dal giugno 2000.<br />

«La situazione è migliore di quanto molti non si immaginino - ha commentato ieri Chris Williamson, capo<br />

economista di Markit, la società che mette a punto l'indice mensile Pmi - se queste cifre verranno confermate<br />

durante tutto il secondo trimestre la crescita del prodotto interno lordo nella zona euro potrebbe essere dello<br />

0,6%». Bene sono andati Germania e Francia, forse grazie anche a un recente indebolimento dell'euro contro<br />

il dollaro.<br />

In Germania l'indice manifatturiero ha toccato livelli mai visti da quando il Pmi ha visto la luce nel 1996.<br />

«Questo indicatore ha dato l'impressione di sovra-interpretare la forza della ripresa negli ultimi mesi -<br />

avvertiva ieri sera Ben May, economista di Capital Economics - va preso quindi con cautela. Ciò detto, il suo<br />

andamento è incoraggiante». Dopo un periodo negativo, anche a causa di un lungo inverno nevoso, la<br />

situazione sembra migliorare.<br />

Proprio questa settimana, da Hannover dove si sta svolgendo una fiera della meccanica, alcune associazioni<br />

imprenditoriali tedesche si sono dette ottimiste sullo stato della congiuntura. Nelle ultime settimane alcune<br />

grandi imprese - da Daimler a Volkswagen - hanno pubblicato dati per il periodo gennaio-marzo<br />

particolarmente positivi.<br />

Stefan Neumann, analista della Landesbank Baden-Württenberg, stima che nel primo trimestre le aziende<br />

del DAX-30 registreranno profitti per 14 miliardi di euro, rispetto a utili per 5,1 miliardi nello stesso periodo del<br />

2009 (grazie anche a profonde cure dimagranti). La verità è che vanno bene le grandi imprese di livello<br />

mondiale, trainate dalla crescita nei paesi emergenti. Ancora al rallentatore sono invece molte società più<br />

piccole.<br />

Eppure, sul fronte di politica monetaria, due banchieri centrali tedeschi, Jürgen Stark e Axel Weber, pur<br />

definendo appropriato il livello del costo del denaro hanno messo l'accento sui rischi di inflazione: «In<br />

generale i rischi sembrano rivolti al rialzo», ha avvertito Stark, notando l'aumento dei prezzi delle materie<br />

prime, l'andamento dei debiti pubblici e una ripresa che in alcuni paesi del mondo è molto dinamica.<br />

La stessa crisi greca complica l'ipotesi di un rapido rialzo del costo del denaro, oggi all'1 per cento. Per ora<br />

gli economisti di mercato non si aspettano strette monetarie prima del 2011. Che siano previsioni troppo<br />

azzardate? Vale la pena notare che l'inflazione in marzo era all'1,4% annuo, che i tassi reali sono diventati<br />

negativi e che alla Bce questo fenomeno fa riflettere in un momento di ripresa, seppur tutta da confermare.<br />

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Pag. 7<br />

L'intervento del ministro dell'Economia<br />

L'alt di Tremonti: no a frantumazioni<br />

CONGIUNTURA DIFFICILE «Se l'Italia non ha fatto la fine della Grecia è merito di tutti noi e di Berlusconi»<br />

Sulla crisi: non è finita e non ne siamo usciti<br />

ROMA<br />

Se l'Italia non ha fatto la fine della Grecia «non è stato solo per merito mio, è stato merito di tutti noi e<br />

soprattutto merito di Silvio Berlusconi che, alla forza delle idee, ha saputo aggiungere la sua visione di sintesi<br />

e la forza di base del consenso popolare e parlamentare».<br />

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti prende la parola alla direzione nazionale del Pdl poco dopo<br />

mezzogiorno. E mette subito in guardia la platea sul rischio delle divisioni nel pieno di una crisi economica<br />

«che è la più grave dagli anni Trenta e che, a tutt'oggi, ci si presenta incognita per dinamica, per estensione e<br />

per intensità». L'Italia non è uscita da quella crisi e per questo non è il tempo delle discussioni, pure<br />

importanti, che però rischiano di sfociare nel «dominio astratto della metafisica» ammonisce il ministro, che<br />

poi fa sua la profezia del fondatore del Partito popolare, don Luigi Sturzo: «Guardate bene ai pericoli delle<br />

correnti organizzate in seno a un partito. Si comincia con le divisioni ideologiche. Si passa alle divisioni<br />

personali, si finisce con la frantumazione del partito».<br />

Dopo la vittoria politica conseguita con le elezioni regionali e amministrative bisogna invece essere «uniti e<br />

forti» vista la doppia responsabilità che sta sulle spalle di governo e maggioranza: gestire la crisi, appunto, e<br />

fare le riforme. A partire dal federalismo fiscale che significa «autogoverno e responsabilità».<br />

Tremonti non entra nei dettagli, come farà poco dopo Fini accennando ai rischi e ai costi dei decreti attuativi.<br />

Preferisce mantenere il suo intervento su un altro registro: cita Kennedy («non chiedere cosa può fare lo stato<br />

per te, ma cosa puoi fare anche tu per lo stato») per chiarire il senso del federalismo. Eppoi si sofferma sul<br />

Sud, «vera questione politica nazionale» che chiama lo stato a fare lo stato a partire dall'ordine pubblico e<br />

dove la soluzione «non è dare meno fondi ma spenderli meglio». Il ministro non risparmia una stilettata al<br />

governatore pugliese Nichi Vendola, che con «il pacchetto anti crisi da 108 milioni di euro» e «1.262 nuovi<br />

posti di lavoro sembra indicare che ognuno è costato ai contribuenti 571mila euro, un po' caro». Posti,<br />

sottolinea, che «non credo vadano al settore manifatturiero» ma forse a qualcosa di simile ai «centri sociali».<br />

Alle dinamiche elettorali del Nord, invece, viene dedicata la riflessione più politica di Tremonti, quella che<br />

riguarda l'alleato Lega «che ha parlato forte sull'immigrazione e la sicurezza» guadagnandosi buona parte dei<br />

voti dei ceti produttivi e del «proletariato operaio»: al Nord - è la sua conclusione - non è solo rilevante che ha<br />

vinto la nostra coalizione politica «è soprattutto rilevante il fatto che ha perso la sinistra».<br />

D. Col.<br />

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Pag. 3<br />

ANALISI<br />

A Washington si cerca la svolta<br />

LE SCHERMAGLIE Dopo un tentativo di compromesso, democratici e repubblicani sono tornati allo scontro<br />

GIOCO DELLE PARTI Dietro le quinte si respira un cauto ottimismo: i tessitori lavorano a un'ipotesi di<br />

accordo<br />

di Mario Platero Barack Obama ieri non ha parlato soltanto ai banchieri americani, raccolti come scolaretti<br />

davanti al suo podio a Cooper Union a New York. Il presidente ha lanciato un messaggio forte anche al G20,<br />

che si riunisce oggi a Washington per discutere anche di armonizzazione delle nuove regole del sistema<br />

finanziario. E si è rivolto al parlamento americano, dove su alcuni punti caldi, fino a ieri insuperabili, si era<br />

visto un barlume di progresso verso il compromesso: «Ogni indicazione che abbiamo è che si stanno facendo<br />

progressi nelle discussioni e che questo progetto avrà i miglioramenti necessari» aveva detto ieri in un<br />

discorso il capo della minoranza al Senato Mitch McConnel.<br />

Poi, nel pomeriggio, poco dopo il discorso di Obama, la rottura. È successo attorno alle 4 del pomeriggio,<br />

quando il capo della maggioranza Harry Reid aveva avviato l'atteso dibattito al Senato sulla proposta di<br />

riforma, già approvata alla Camera. In quel momento, con movimenti da grande interprete, si è alzato<br />

McConnel, ha obiettato che i democratici avevano impedito alle trattative di procedere verso un accordo e<br />

che Reid e Christopher Dodd, l'autore del progetto di riforma al Senato, volevano mettere tutti davanti al fatto<br />

compiuto di una proposta che, così come è strutturata ai repubblicani non garba affatto. Ha perciò usato<br />

l'arma dell'ostruzionismo e ha così impedito che il dibattito andasse avanti e si è tornati ai litigi, alle accuse<br />

reciproche, all'apparente paralisi. Reid si è infuriato, esclamando:«Non perderò più il tempo del popolo<br />

americano». E ha chiamato il bluff di McConnell: lunedì, ha detto, ci sarà il primo voto procedurale per<br />

bloccare l'ostruzionismo repubblicano. Una sfida, per stringere nell'angolo i repubblicani moderati preoccupati<br />

dal rischio di cadere improvvisamente dalla parte sbagliata del dibattito, quella che li identificherebbe come i<br />

protettori delle banche che hanno aprofittato del danaro dei contribuenti.<br />

I repubblicani godono oggi di 41 seggi contro i 59 dei democratici. Ma per impedire l'ostruzionismo occorre<br />

che vi siano almeno 60 voti favorevoli. I democratici li avevano, ma dopo la perdita del seggio che fu di Teddy<br />

Kennedy in Massachusetts si trovano oggi molto più vulnerabili. E McConnell l'ha provato ieri usando uno<br />

schieramento compatto dei senatori del suo partito. Riuscirà a tenere anche lunedì? Indiscrezioni raccolte in<br />

ambienti informati della capitale anticipano a Il Sole 24 ore che in questo momento è partito un gioco delle<br />

parti. Barack Obama, potrebbe scendere in campo durante il fine settimana per cercare una mediazione,<br />

soprattutto dopo il discorso di ieri a New York. Il «bickering», il battibecco, è nel frattempo continuato fuori<br />

dall'aula. Alcuni democratici hanno mostrato dei video in una conferenza stampa improvvisata per provare<br />

come alcuni repubblicani e fra questi McConnell portavano accuse del tutto infondate al progetto di legge: «I<br />

democratici vogliono garantire un riscatto permanente per Wall Street» ha detto ad esempio McConnell.<br />

Ma qualcosa si è già mosso. Il senatore repubblicano Charles Grassley, un repubblicano dell'Iowa, ha rotto<br />

con i compagni di partito in commissione agricola e ha approvato un disegno di legge per limitare le attività<br />

dei prodotti derivati. Questo tema confluirà nella grande riforma, ma ora è stato seguito dalla commissione<br />

Agricoltura perché è responsabile del mercato dei futures. Basterà che Grassley o un altro dei suoi compagni<br />

moderati voti a favore della mozione procedurale per bloccare le azioni del suo capo McConnell. Dietro le<br />

quinte tuttavia, si respira ancora l'aria del possibilismo: le liti più violente avvengono prima di un accordo: in<br />

questo modo ciascuno potrà dimostrare di aver ceduto sì qualcosa, ma di averlo fatto dopo una battaglia<br />

all'ultimo sangue. Pronostico? La riforma alla fine passerà. E il G20 farà bene a studiarla con cura, perché<br />

sarà meglio avere un testo omogeneo con cui confrontare un mercato che resta aggressivo, come<br />

dimostrano gli sviluppi di ieri sulla Grecia.<br />

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Pag. 2<br />

La prospettiva di un simile passo da parte di Atene fa salire i rendimenti di Portogallo e Spagna<br />

Il mercato teme la ristrutturazione dei bond<br />

RUSSIA CONTROCORRENTE Cambio alla Banca centrale di Lisbona: entra Carlos Costa Prima emissione<br />

dopo 12 anni per Mosca, che raccoglie 5,5 miliardi<br />

Isabella Bufacchi<br />

ROMA<br />

La crisi del debito pubblico ha seminato ieri il panico sui titoli di Stato dell'Eurozona. L'ipotesi della<br />

ristrutturazione del debito greco, pur scontando l'erogazione del pacchetto di prestiti bilaterali dai paesi<br />

dell'Eurogruppo e dell'Fmi anche in forma immediata di prestito-ponte, è circolata insistentemente tra i trader,<br />

tingendo di nero gli scenari del rischio-contagio dalla Grecia agli stati cosiddetti periferici. Una ristrutturazione<br />

dei bond greci, anche se volontaria, è temuta dai più perché considerata anticamera di un vero e proprio<br />

default sovrano in Eurolandia e della fine dell'euro. Questa escalation di preoccupazioni e incertezze ha<br />

imposto l'impennata dei credit default swap (Cds) su massimi storici per Portogallo e Spagna e l'ennesimo<br />

allargamento degli spread tra i bond dei paesi europei con conti pubblici problematici e i titoli di stato<br />

tedeschi.<br />

Leggermente mossi i Btp decennali, con il gap contro il bund aumentato di qualche punto base a 93<br />

centesimi mentre il Tesoro annunciava nuove aste di Bot, Ctz, Cct e Btp in arrivo entro fine mese e stimate<br />

dal mercato per una raccolta complessiva da 22 miliardi di euro.<br />

A farne le spese, in una giornata scossa dai brividi del panico, per primo ieri è stato il Portogallo, che dopo la<br />

Grecia è considerato l'anello più debole della catena dell'Eurozona: il differenziale tra i titoli di stato<br />

portoghesi decennali e i bund ha superato la soglia dell'1,9% mentre l'assicurazione Cds a cinque anni contro<br />

il rischio di default del Portogallo è salita al livello record di 260 centesimi. Poco è servita la notizia che<br />

l'autorevole vice-presidente della Bei Carlos Costa diventerà governatore della Banca centrale portoghese.<br />

La Spagna, non aiutata dall'allarme dell'Fmi sui problemi irrisolti delle banche spagnole, ha perso terreno su<br />

tutti i fronti: sul primario ha deluso l'asta dei Bonos a 15 anni, assegnati a un rendimento adeguato del 4,43%<br />

ma per soli 2,1 miliardi, sulla parte bassa della forchetta tra 2 e 3 miliardi. I Cds sul rischio-Spagna hanno<br />

toccato il record di 175 centesimi.<br />

Le aste sono seguitissime di questi tempi. L'ultimo bund a trent'anni ha stentato, un brutto segnale per il<br />

futuro dell'euro, mentre l'asta dei T-bill greci a tre mesi mercoledì non era piaciuta per un sospetto di<br />

manipolazione. Atene ha raccolto 1,95 miliardi pagando il 3,65 per cento. Sebbene questo tasso sia<br />

raddoppiato rispetto all'ultima asta dei trimestrali, non è ritenuto realistico dai trader: sul secondario, infatti, i<br />

T-bill greci a tre mesi sono stati negoziati a un rendimento in area 5% subito prima e subito dopo l'asta.<br />

La Grecia vorrebbe fare come ha fatto ieri la Russia ed emettere in dollari per agganciarsi al rendimento dei<br />

paesi emergenti e risparmiare rispetto alla raccolta in euro. La Russia (rating BBB) ha fatto notizia tornando<br />

sul mercato primario internazionale dopo il clamoroso default sui soli titoli di Stato domestici del 1998: i nuovi<br />

bond russi a cinque e dieci anni per un totale di 5,5 miliardi di dollari hanno pagato il 3,74% e il 5,08% (poco<br />

più dell'1% sopra i Treasuries Usa).<br />

Le cattive notizie sul fronte della crisi globale del debito pubblico hanno infine coinvolto il Giappone, per<br />

un'analisi dai toni molto preoccupati di Fitch, e il Belgio: la caduta del governo belga è stata subito rapportata<br />

al rapporto debito/Pil che quest'anno sfonda la soglia del 100 per cento. Il rischio-default della Grecia fa<br />

tremare persino la Germania: secondo Silvio Peruzzo di Rbs, le landesbank tedesche hanno venduto Cds, e<br />

dunque protezione sul default greco, per incassare i premi e controbilanciare il mark-to-market molto negativo<br />

in portafoglio causato dal crollo dei prezzi dei titoli di stato greci. Proprio il mark-to-market e il superamento di<br />

soglie di rischio avrebbe innescato ieri la nuova ondata di vendite sui bond greci e non solo.<br />

isabella.bufacchi@ilsole24ore.com<br />

IL SOLE 24 ORE - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

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Gli economisti. La manovra difficile<br />

«Lacrime e sangue» o sarà default<br />

IL DILEMMA DI PAPANDREOU Economisti e politologi concordano: senza il varo di misure draconiane il<br />

paese non potrà evitare lo «scenario Lehman»<br />

di Enrico Brivio<br />

«So ono preoccupato: per risolvere la situazione bisognerebbe che i greci si dimostrassero scandinavi». Con<br />

questa battuta, l'economista Daniel Gros, direttore del Centre for european policy studie s di Bruxelles o,<br />

sintetizza come si stia restringendo l'uscita dal tunnel che port a o a un default parziale e a una<br />

ristrutturaizone del debito odi Atene.<br />

«Per calmare i mercati in questo momento ci vorrebbe un impegno deciso e di lungo periodo della Grecia, un<br />

patto di ferro tra g ooverno e sindacati alla scandinava - sostiene Gros - mi preoccupa invece ola mancanza<br />

da parte greca dell'accettazione di misure draconiane che vadano bel al di là della riduzione del deficit di<br />

quattro punti percentuali rispetto al Pil. Ci vuole o un taglio dei salari nominali nel settore privato e una<br />

drastica riduzione della spesa pensionistica fin d'ora, non tra dieci anni o». I ol timore dell'economista è oche<br />

l'opinione pubblica greca non sia consapevole della gravità della situazione e che il g ooverno di George<br />

Papandreou voglia traccheggiare e concordare aiuti per rifinanziare il debito per un anno, ma in realtà<br />

puntando a sostegni «per 3, 4 o 5 anni, ovvero chiedendo ora 30 miliardi, per arrivare poi a 150 miliardi».<br />

Per altri esperti il pacchetto di 45 miliardi, messo in cantiere da Fondo monetario internazionale e dai partner<br />

europei, può teoricamente essere sufficiente a far arrivare Atene fino a fine anno e oltre. Soprattutto se,<br />

passata la scadenza elettorale del 9 maggio in Nord Renania-Vestfalia, la cancelliera Angela Merkel darà<br />

segnali più chiari di disponibilità a soccorrere Atene, a dispetto delle resistenze di larghe fette dell'opinione<br />

pubblica, poco propensa ad aiutare un paese mediterraneo che ha truccato i conti ripetutamente. Ma la<br />

chiave di volta per una soluzione strutturale del problema greco, che eviti mesi di turbolenze e la diffusione di<br />

un contagio, già iniziato con Portogallo e Spagna, rimane la capacità di Papandreou di imboccare una strada<br />

di sacrifici e dura austerità.<br />

«La Grecia deve varare una finanziaria "lacrime e sangue" come fece l'Italia nel '92 con il governo Amato - fa<br />

presente Gregorio De Felice, capoeconomista di Intesa S.Paolo - per risanare la situazione è necessaria una<br />

correzione attorno al 7-8% del Pil del 2010. Rapportando il prodotto nazionale greco a quello italiano è come<br />

se nel nostro paese si dovesse varare una manovra del valore di 100/110 miliardi di euro». Cifre da far<br />

tremare le vene dei polsi e da far rischiare tumulti di piazza. Anche perché inevitabilmente significa mandare<br />

il paese «in recessione per qualche anno», ammette De Felice. Un prezzo da pagare, però, se si vuole<br />

evitare che «la Grecia diventi la Lehman del 2010», come dimostra l'allargarsi degli spread rispetto al<br />

rendimento dei Bund tedeschi dei titoli di Portogallo e Spagna. Senza seri impegni di Atene, un prestito ponte<br />

sarebbe un semplice «pannicello caldo», osserva De Felice, considerando che alcune banche d'investimento<br />

stanno già puntando su un default della Grecia.<br />

Carlo Altomonte, docente di economia dell'integrazione europea alla Bocconi, concorda sulla necessità di un<br />

serio impegno greco nel risanamento delle finanze pubbliche, ma vede anche fenomeni speculativi in atto nel<br />

deterioramento della situazione. «I 15 miliardi messi a disposizione dal Fondo monetario possono aiutare a<br />

far fonte agli impegni di Atene nel brevissimo - fa presente Altomonte - e i 30 miliardi concordati dai partner<br />

europei possono bastare nel breve. A mio avviso per due-tre anni non ci dovrebbero essere reali problemi di<br />

liquidità per la Grecia, a patto che il governo sia disposto a pagare un tasso del 5%. Ho l'impressione però<br />

che ieri chi aveva accumulato titoli greci ne abbia approfittato per aggiustare il portafoglio».<br />

Per disinnescare la spirale speculativa appare indispensabile, oltre all'impegno greco, un più deciso<br />

coivolgimento della Germania. Lo ammette, da tedesco, Thomas Klau, direttore editoriale del think tank<br />

European council of foreign relation a Parigi. «La situazione greca non è stata aiutata dai segnali confusi<br />

arrivati dalla Germania, con la posizione di impegno espressa dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble,<br />

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messa in discussione non solo in parlamento ma anche dalla cancelliera - osserva Klau - le considerazioni<br />

elettorali non dovrebbero impedire l'approccio ottimale in una questione così delicata». Anche perché, per<br />

Klau, la mancanza di solidarietà europea nei confronti di Atene, rischia non solo di mettere sotto pressione<br />

l'euro ma di far saltare l'intero progetto europeo. «La crisi greca è più seria per l'Unione europea di quando ci<br />

si divise sulla guerra in Iraq - fa presente l'analista politico - perché in quel caso le divergenze erano in<br />

un'area, la difesa, nella quale l'integrazione europea viene riconosciuta come non avanzata. In questo caso<br />

viene messa alla prova la tenuta dell'unione su uno dei pilastri fondamentali acquisiti dell'integrazione<br />

europea, la moneta unica».<br />

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enrico.brivio@ilsole24ore.com<br />

twitter@24europa<br />

GLI ESPERTI<br />

Daniel Gros<br />

economista Ceps<br />

«Bisognerebbe che i greci accettassero un austero patto sociale alla scandinava»<br />

Thomas Klau<br />

analista politico Ecfr<br />

«Le divisioni europee sono più gravi di quelle sulla guerra in Iraq perché è in gioco l'euro»<br />

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IMAGOECONOMICA<br />

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23/04/2010 Il Sole 24 Ore<br />

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Allarme debito EUROPA ALLA PROVA<br />

Doppia bocciatura per la Grecia<br />

Eurostat rivede al rialzo il deficit dal 12,9% al 13,6% e Moody's taglia il rating NON È FINITA L'ufficio<br />

statistico Ue esprime dubbi sulla qualità dei dati ellenici e preannuncia una nuova rettifica delle sue stime<br />

Adriana Cerretelli<br />

BRUXELLES. Dal nostro inviato<br />

Quasi non ha fatto in tempo Eurostat ad annunciare la terza revisione del deficit greco 2009 dal 12,9 al<br />

13,6% del Pil, ed è stato il disastro. I mercati si sono impennati, con i tassi sulle obbligazioni decennali<br />

schizzati al 9% e lo spread con il bund tedesco divaricatosi a 600 punti base mentre il rendimento a due anni<br />

è salito fino al 12 per cento. I costi per assicurare i titoli del debito greco dal rischio default hanno superato<br />

quelli dell'Ucraina, mettendo a segno il record europeo: i Cds hanno toccato i 565 punti base contro i 485 del<br />

giorno precedente. L'euro è sceso ai minimi da 10 mesi, fino a un minimo di 1,3260 sul dollaro, e Moody's ha<br />

pensato bene di abbassare il rating sovrano del paese da A2 a A3 con possibilità, ha fatto sapere, di ridurlo<br />

ancora.<br />

L'onda d'urto ha colpito anche Spagna, Portogallo e Irlanda, i tre paesi dell'euro ritenuti i più vulnerabili dai<br />

mercati: anche nel loro caso sono saliti i tassi dei Csd. In realtà ieri la rettifica maggiore di Eurostat sul deficit<br />

ha riguardato Dublino, che l'ha visto lievitare dall'11,7 a ben il 14,3% per la riclassificazione degli aiuti pubblici<br />

alle banche. «Un'operazione una tantum» si è affrettato a dichiarare il ministro delle Finanze irlandese e i<br />

mercati gli hanno dato credito.<br />

Non sono invece disposti a fare altrettanto con Atene. Anche perché la correzione al rialzo di ieri, in larga<br />

parte attesa, è andata di pari passo con l'ennesima riserva dell'Ufficio europeo di statistica «sulla qualità dei<br />

dati notificati» e, soprattutto, con l'annuncio che prima dell'estate ci sarà la quarta rettifica della serie,<br />

compresa tra + 0,3 e + 0,5%, dovuta «alle incertezze circa il surplus 2009 dei fondi della previdenza sociale,<br />

la classificazione di alcuni enti pubblici e la registrazione di alcuni swaps trattati fuori mercato». Non solo<br />

l'Ufficio europeo prevede che anche il debito, al 115,1% nel 2009, possa crescere da 5 a 7 punti percentuali.<br />

Olli Rehn, il commissario europeo competente, ha immediatamente dichiarato che i nuovi dati, se<br />

mantengono immutato a 4 punti percentuali di Pil l'impegno a ridurre il deficit greco quest'anno, «sottolineano<br />

l'urgenza di adottare misure addizionali per gli anni successivi, oltre che di intensificare la preparazione delle<br />

rifome strutturali». Secondo Rehn sono questi i passi necessari per liberare la Grecia dal «fardello del<br />

passato, normalizzando il suo sistema statistico e recuperando una contabilità nazionale affidabile». Detto<br />

questo il commissario ha anche invitato l'Ecofin ad aumentare i poteri di audit di Eurostat, approvando la<br />

nuova proposta di regolamento Ue messa sul tavolo.<br />

Il Governo Papandreu mantiene comunque i nervi saldi. Un comunicato del suo Ministero delle Finanze ha<br />

fatto sapere che la nuova cifra del deficit «basata sulla notifica greca del 1 aprile» non altera l'obiettivo del<br />

previsto taglio del deficit almeno del 4% nel 2010», ricordando che per assicurarlo «il Governo ha già adottato<br />

tutte le misure necessarie per oltre il 6% del Pil». La lievitazione, spiega, deriva dal rallentamento della<br />

crescita economica oltre che dal "buco" nei fondi pensione. In definitiva, «da problemi di bilancio ereditati e<br />

rivelatisi ben peggiori di quanto originariamente previsto».<br />

Giustificazioni impeccabili, tanto più perché accompagnate dal rinnovato impegno alla trasparenza e<br />

all'affidabilità delle statistiche greche. Però non bastano a calmare i mercati. Che sono ormai convinti (e fanno<br />

di tutto perchè la loro previsione si avveri) che la Grecia dovrà fare ricorso al pacchetto di aiuti da 45 miliardi<br />

che Europa e Fmi le hanno messo a disposizione. I negoziati sono in corso ad Atene. Ma a questo punto il<br />

problema è tirare in lungo fino al 9 maggio, per consentire al cancelliere tedesco Angela Merkel di archiviare<br />

le elezioni senza dover prima allargare i cordoni della borsa. Ci riuscirà con questi chiari di luna?<br />

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Il rapporto deficit/Pil dei 27 paesi Ue+<br />

Foto: Clima caldo. Scudo di un poliziotto greco imbrattato di vernice rossa durante lo sciopero dei dipendenti<br />

pubblici<br />

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Il Tempo<br />

12 articoli


23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pdl In scena lo scontro verbale tra i due fondatori<br />

Silvio scatenato: allineati o sei fuori<br />

Berlusconi all'attacco: «Vuoi fare politica? Lascia la presidenza della Camera»<br />

Giancarla Rondinelli<br />

g.rondinelli@iltempo.it<br />

Parole pesanti. Un duello che era nell'aria da mesi e che alla fine è sfociato in una vera e propria rissa<br />

verbale. Il tutto in piena direzione nazionale, con tutto il partito lì a guardare. Comincia Fini a ribadire tutte le<br />

sue idee, rivendicando il diritto a non essere d'accordo con il presidente del Consiglio. Continua Berlusconi,<br />

rinfacciando all'ex capo di An con toni durissimi tutto quello che ha fatto e detto nelle ultime settimane. Non<br />

solo. Il premier alla fine ha dato l'ultimatum all'ex leader di An: «Se vuoi continuare a fare politica, fallo. Ma<br />

lascia la presidenza della Camera!». Parole che rimbalzano da una fila all'altra della sala dell'Auditorium<br />

Conciliazione, Fini scatta in piedi punta l'indice contro il premier e urla: «Sennò mi cacci?». Berlusconi: «Ci<br />

devo pensare». È il momento di massima tensione tra i due, con il Cavaliere a questo punto ancora più<br />

determinato ad andare avanti sulla sua strada, a non concedere più all'ex amico Gianfranco possibilità o<br />

chance di qualsiasi genere. Anzi. «Al primo errore è fuori dal partito».<br />

La scena della lite tra i due fondatori del Pdl a tanti è sembrata quella tra due vecchi coniugi ormai in piena<br />

causa di separazione. Si rinfacciano parole dette, si ricordano vecchi episodi di attrito, antiche discussioni.<br />

Non si sa quando arriverà il divorzio, ma ormai sembra proprio inevitabile. Berlusconi se lo sentiva che<br />

sarebbe andata a finire in questo modo, come aveva confidato a qualche stretto collaboratore la sera prima.<br />

Amareggiato lo ha ripetuto anche rientrando a Palazzo Grazioli alla fine della Direzione nazionale: «A questo<br />

punto sarebbe stato meglio se fosse uscito dal partito».<br />

E dire che in apertura dei lavori, con il discorso introduttivo del presidente del Consiglio sembrava si potesse<br />

arrivare se non ad una riappacificazione ad un rapporto di civile convivenza. Con il premier che lo saluta (Fini<br />

è seduto in prima fila accanto ad Ignazio La Russa) invitandolo a parlare quando volesse. Poi il discorso del<br />

Cav sui grandi temi della maggioranza, la recente vittoria elettorale, i successi del governo, tornando sui temi<br />

dell'emergenza rifiuti in Campania, degli interventi post terremoto in Abruzzo, della tenuta sul fronte<br />

economico nonostante la crisi. Fini ascolta. Seguono poi i coordinatori. Ed è Sandro Bondi a scaldare la<br />

platea urlando a gran voce che nel Pdl «non ci sono uomini liberi e servi», attaccando alcuni intellettuali di<br />

centrodestra. In particolare «il professor Campi» e «il dottor Rossi» di Farefuturo, a suo parere troppo critici<br />

con il partito e con il suo leader, «una personalità che come riconoscono tutti giganteggia sugli altri»,<br />

chiedendo poi di prendere le distanze da chi «vuole denigrare un uomo e un leader al quale ciascuno di noi<br />

deve molto». È questo intervento, più di tutti, che fa scaldare gli animi dei finiani. Tanto che lo stesso<br />

presidente della Camera lo riprende più volte nel suo discorso.<br />

Sono quasi le due quando Fini chiude il suo intervento. Stretta di mano gelida con il premier e senza mai<br />

guardarsi negli occhi. Berlusconi non ce la fa a non replicare: sul programma era previsto un saluto<br />

conclusivo nel pomeriggio. Ma lui non ce l'ha fatta. «Gianfranco mi ha tirato in ballo troppe volte e io devo<br />

replicare». Lo fa punto per punto, avendo scritto su dei grandi fogli bianchi tutti gli argomenti trattati dall'ex<br />

amico. Berlusconi parla e Fini si alza in piedi a più riprese puntando il dito contro il premier. È un velenoso<br />

scambio di battute: il Cavaliere ricorda il pranzo della scorsa settimana quando si sono incontrati a<br />

Montecitorio insieme a Gianni Letta: «Mi hai detto di esserti pentito di aver fondato con me il Popolo della<br />

libertà», urla il premier. Gli rinfaccia di voler essere a tutti i costi superpartes ma, di fatto, fa politica. «Non sei<br />

venuto neanche in piazza San Giovanni per la nostra manifestazione», tuona ancora il Cav.<br />

Alla fine i numeri danno ragione al presidente del Consiglio. Il voto al documento finale parla chiaro e la<br />

maggioranza, con soli 12 voti contrari, è evidente a tutti. Dopo uno scenario del genere, la domanda che<br />

scatta è solo una: che succederà ora? Fini non lascia. Resta però la sensazione netta che al primo scontro,<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

magari sulla giustizia, salterà tutto. Berlusconi lo sa e se l'aspetta. Ma sa anche che, dati alla mano, «Fini ha<br />

il 6% del partito. Motivo per cui non può rappresentarci alla Camera dei deputati». L'obiettivo è farlo fuori dal<br />

Pdl: «Vuole logorarmi, se ne deve andare», l'imperativo categorico del Cavaliere. Intanto un primo passaggio<br />

importante: a settembre, dopo i primi due anni e mezzo di legislatura, scadono alcune importanti nomine<br />

parlamentari. Capigruppo e vice, presidenti di commissione, e così via. Alcune di queste caselline, oggi sono<br />

occupate da finiani doc (tra loro Giulia Bongiorno e Silvano Moffa presidenti delle Commissioni Giustizia e<br />

Lavoro alla Camera). Il premier potrebbe voler cominciare da qui, mettendo mano a queste poltrone, temendo<br />

proprio la «guerriglia» dentro il Parlamento. «Basta avere gente che rema contro. D'ora in avanti chi non si<br />

allinea è fuori».<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Silvio-Maradona passi palla<br />

Alberto Di Majo<br />

a.dimajo@iltempo.it<br />

«Anche Maradona passava la palla ai compagni: il vero leader convince non ordina». A un napoletano come<br />

Paolo Cirino Pomicino il paragone tra l'indimenticabile numero 10 azzurro e Berlusconi viene naturale. Il due<br />

volte ministro, esponente Dc ancora in sella, ha seguito in tv la direzione nazionale che, dice, «assomigliava<br />

più all'assemblea costituente del Pd. Ma quanti erano? 8-900? Ai miei tempi, quando la Dc prendeva 14<br />

milioni di voti, nel Consiglio nazionale, che era il massimo organo, sedevano 220 persone. Non è un fatto di<br />

estetica ma la testimonianza che il Pdl non è ancora un "vero" partito».<br />

Secondo lei, onorevole Pomicino, il contrasto tra Fini e Berlusconi potrà servire al Pdl?<br />

«Potrebbe essere un'opportunità ma visto come è finita la direzione siamo ancora lontani».<br />

Ma il dibattito politico è stato piuttosto profondo...<br />

«Si è data voce a un'esigenza che va ben oltre la posizione di Fini, cioè quella di discutere su temi che il Pdl<br />

deve necessariamente affrontare. Ho assistito a un dibattito politico vero, a interventi importanti, come quelli<br />

di Cicchitto, Quagliariello, Brunetta e dello stesso Fini. Hanno detto cose che probabilmente non avrebbero<br />

detto altrove. È stata una grande occasione questa direzione, davvero».<br />

Quindi è fiducioso. Eppure il «divorzio» tra i due fondatori del Pdl potrebbe anche finire male...<br />

«Bè, adesso comincia la guerriglia parlamentare. Non sarà semplice. Il rischio è che il virus leaderistico che<br />

ha colpito i partiti in questa seconda Repubblica traformi le diversità politiche in meri personalismi».<br />

In effetti si parla da giorni dello «sfratto» di Fini dal Pdl. Più personalismo di così...<br />

«Esatto, ma non va bene. Non è mai esistito in Italia il tema di cacciare qualcuno da un partito».<br />

Non crede comunque che lo scontro di questi ultimi mesi, le stoccate reciproche, i lamenti sotterranei<br />

dovessero diventare espliciti e pubblici?<br />

«Certo. Dico di più. Le sembra normale che nessuno nel Pdl si sia posto il problema che 2 milioni e 400 mila<br />

elettori di centrodestra non sono andati a votare alle ultime consultazioni? Nel '90 l'affluenza andava dal 70%<br />

del Molise al 92% di Emilia Romagna e Lombardia. Bisognerebbe capire perché dopo 20 anni quasi il 30%<br />

degli italiani non ha votato. Questa discussione, così come le scelte economiche e altri temi determinanti per<br />

il Paese, si fa all'interno del partito. Ci mancherebbe».<br />

Vede analogie con la vecchia Dc?<br />

«Mi sembra che Fini abbia posto il tema della distinzione tra partito e governo. Quando De Mita provò a fare il<br />

segretario della Dc e il presidente del Consiglio perse in poco tempo entrambi gli incarichi. Anche Craxi, che<br />

pure era un autoritario, quando divenne presidente del Consiglio lasciò la gestione del partito a Martelli».<br />

Chi sarebbero stati Berlusconi e Fini nella Prima Repubblica?<br />

«È impossibile fare paragoni. Allora non c'era questo personalismo. Ma non capisco: che problema c'è a<br />

discutere? Chieda ai ministri se hanno mai letto la finanziaria del 2009, quella approvata nel giugno 2008 in<br />

nove minuti e mezzo. Nessuno. Si può andare avanti così? Possiamo avere anche Maradona al governo ma<br />

la palla la passava pure lui».<br />

D'accordo, ma lei ha mai sentito un presidente della Camera che dice al presidente del Consiglio: "Che fai, mi<br />

cacci?"<br />

«È il virus del personalismo. È sbagliato. Per questo dico che nella sfida tra Berlusconi e Fini o vincono<br />

entrambi o perdono entrambi. Hanno di fronte un'opportunità, quella di costruire un partito solido e unito.<br />

Certo da come è finita la direzione nazionale la strada sembra in salita. Si vedrà. Ma di certo nella Prima<br />

Repubblica nessuno è stato estromesso da un partito».<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Ha nostalgia delle risse politiche della Prima Repubblica?<br />

«Mi manca il confronto politico, quello vero. Al mio primo congresso democristiano avevo 34 anni ed ero<br />

assessore a Napoli. Venivo dalla società civile, ero assistente neurochirurgo. Mi ricordo che Forlani era<br />

segretario del partito e Andreotti presidente del Consiglio. Di notte si svolse la riunione in cui si decise che<br />

Fanfani sarebbe diventato il nuovo segretario. La mattina dopo lui stesso vide Andreotti e gli disse: "Giulio,<br />

ma dove sei finito ieri sera, ti abbiamo cercato. Poi ti spiegheranno". Ma non c'erano personalismi perché le<br />

idee non erano legate alle persone. In ogni caso i congressi devono essere veri, non convention<br />

pubblicitarie».<br />

Ma l'ha seguita tutta la direzione nazionale del Pdl?<br />

«Sì, quasi interamente. Sono a Milano e pochi giorni fa ho subìto un piccolo intervento chirurgico. Ora devo<br />

rimanere a casa per la convalescenza».<br />

Mi scusi Pomicino ma se non l'avessero operata avrebbe seguito lo stesso la direzione?<br />

«In effetti no. Ma ho sentito alcuni interventi di valore. Spero soltanto che sia Berlusconi sia Fini si rendano<br />

conto dell'opportunità che hanno e non la sprechino».<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Il segretario sta fermo e aspetta l'implosione della maggioranza<br />

Adesso Bersani fa la morale «Spettacolo indecoroso»<br />

Nicola Imberti<br />

n.imberti@iltempo.it<br />

Probabilmente non ci crede nemmeno lui. Fino a ieri, quando si parlava di spaccature, litigi, imboscate<br />

all'interno di un partito, il pensiero volava veloce a largo del Nazareno. Al Partito Democratico.<br />

Grazie a Gianfranco Fini non è più così. E Pier Luigi Bersani, che solo una settimana fa sembrava ad un<br />

passo dall'essere impallinato dai suoi, può addirittura permettersi il lusso di dare lezioni di stile. «Dalla<br />

direzione del Pdl - spiega a margine di una conferenza stampa convocata per presentare le proposte del Pd<br />

sull'acqua pubblica - arriva uno spettacolo indecoroso, ma Fini ha sollevato contraddizioni profonde del Pdl<br />

su temi e problemi reali».<br />

Insomma finalmente il leader democratico può gestire il partito nel modo che preferisce: rimanendo<br />

sostanzialmente fermo in attesa che la maggioranza imploda. D'ora in avanti non sarà più costretto a dire<br />

cosa pensa delle riforme, a prendere una posizione rischiando il fuoco amico degli esponenti della minoranza<br />

che fa capo a Dario Franceschini o degli ex Popolari di Giuseppe Fioroni.<br />

Fino a quando Fini vestirà i panni del rompiscatole, il Pd rimarrà unito, a guardare. Tant'è che Bersani<br />

continua la sua lezioncina: «Hanno un modo di discutere che non va a fondo dei problemi, siano le riforme<br />

istituzionali o quelle economiche e sociali. Se non vanno al merito delle questioni e non hanno il coraggio di<br />

registrare le differenze profonde tra loro, il mio pronostico è che non si farà alcuna riforma perché continuare<br />

a tacitare e a tacitarsi è arrivare a stare fermi. Non so come aggiusteranno le divisioni ma così, andando<br />

avanti a colpi di fiducie e decreti per zittire anche la maggioranza, noi staremo nella palude delle non<br />

riforme».<br />

Anche per questo Il segretario commenta con scetticismo le parole del premier che ha detto di voler<br />

approvare le riforme con il concorso delle opposizioni. «È secondo come si alza al mattino - scherza -. Io<br />

registro che dei 7 anni su 9 che hanno governato noi non abbiamo visto alcuna significativa riforma né<br />

economica né istituzionale».<br />

Più tranchant, come sempre, Antonio Di Pietro: «Dire o ti adegui o si va alle elezioni, si chiama ricatto politico.<br />

Fini vuole ridare dignità al Parlamento e ci auguriamo che la goccia che fa cadere sul sultanato di Berlusconi<br />

possa raggiungere l'obiettivo».<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

La Chiesa avvia l'operazione pulizia<br />

Andrea Gagliarducci<br />

James Moriarty, vescovo di Kildare e Leiglin (Irlanda) si è dimesso. Ha ammesso la sua corresponsabilità nel<br />

coprire i casi di abusi, come emerso dal rapporto Murphy (specifico per la diocesi di Dublino), ha chiesto<br />

scusa alle vittime, pur «sapendo che le scuse non bastano», e non ha esitato a definire «la cultura<br />

prevalente» (che portava a coprire gli abusi) come «non cristiana». Si è dimesso anche Walter Mixa, vescovo<br />

di Augusta (Baviera, Germania) accusato di percosse, bugie e malversazioni. In una lettera al Papa, ha<br />

chiesto perdono «a tutti coloro nei confronti dei quali è stato ingiusto e a coloro cui ha dato motivi di<br />

preoccupazione». E chiedono perdono anche i vescovi di Inghilterra e Galles, i quali - in un documento -<br />

affermano che «non esistono scusanti per quanto accaduto».<br />

La Chiesa ha cominciato la sua opera di purificazione. Lo fa sotto il segno di Benedetto XVI che, nella lettera<br />

agli irlandesi, e prima ancora nel colloquio con i vescovi di Irlanda (definito da loro stessi un «mini sinodo»)<br />

aveva detto chiaramente che sarebbero stati gli stessi vescovi e le diocesi a decidere in che modo attuare la<br />

pulizia.<br />

James Moriarty è il terzo vescovo irlandese a presentare le dimissioni. Prima di lui, John Magee, che già<br />

aveva lasciato la gestione della diocesi di Coyne, pur mantenendone il titolo di vescovo. E prima ancora<br />

Donal Murray, della diocesi di Limerick.<br />

«Ero - dice Moriarty, in un testo diffuso dalla conferenza episcopale irlandese - alla direzione dell'Arcidiocesi<br />

quando sono state introdotte politiche e procedure corrette per la protezione dei bambini. Avrei dovuto<br />

contrastare la cultura prevalente. Chiedo scusa ancora una volta a tutte le vittime di abusi e alle loro<br />

famiglie».<br />

È il rapporto Murphy ad aver definito le responsabilità di Moriarty, così come quelle di Raymond Field e<br />

Eamonn Walsh, ausiliari di Dublino: hanno rassegnato le dimissioni, ma il Papa ancora non le ha accettate.<br />

Non si vuole dimettere invece Martin Drennan, vescovo di Galway e Kilmacduagh mentre monsignor Dermot<br />

O'Mahony è già in pensione per raggiunti limiti di età: anche di loro sono state chiarite le responsabilità.<br />

Presto arriveranno in Irlanda i visitatori apostolici, per definire altre responsabilità ed affiancare i vescovi<br />

nell'opera di pulizia.<br />

Che è partita anche in Germania: il vescovo Mixa, ultraconservatore, criticato in passato dalla stessa<br />

Conferenza episcopale tedesca per avere paragonato il numero di aborti effettuati negli ultimi decenni allo<br />

sterminio degli ebrei da parte del regime nazista, si è dimesso. Mixa invece, dopo aver ammesso<br />

maltrattamenti («ho dato qualche scappellotto qua e là») su minori ospiti, all'epoca dei fatti (anni '70-'80),<br />

dell'orfanotrofio di St. Josef di Schrobenhausen, ha scritto a Papa Benedetto XVI confermando le sue<br />

dimissioni. «In questo modo, Mixa, vuole evitare di provocare ulteriori danni alla Chiesa in modo da<br />

permettere un nuovo inizio», ha commentato la diocesi di Augusta. I vescovi tedeschi, pur con «rammarico»,<br />

hanno accettato le dimissioni: si attende il sì del Papa, che, secondo l'uso, non sarà immediato, ma<br />

nemmeno si dovrebbe far attendere a lungo.<br />

E intanto i vescovi d'Inghilterra diramano un comunicato nel quale chiedono perdono alle vittime e affermano:<br />

«Le procedure che ora esistono nei nostri Paesi evidenziano ciò che si sarebbe dovuto fare subito. La piena<br />

cooperazione con gli organi competenti è essenziale».<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Le reazioni<br />

E i centristi usano lo scontro per elogiarsi<br />

Rottura o ricomposizione. Scissione o riappacificazione. Mentre il dilemma teneva con il fiato in sospeso il<br />

Popolo della Libertà i centristi non hanno perso l'occasione per approfittare dell'evento. A prendere la parola<br />

per l'Udc è il segretario Lorenzo Cesa: «Molte cose dette oggi da Fini sulla Lega, sull'unità del Paese, sui<br />

costi del federalismo, sull'abolizione delle Province, sul quoziente familiare, noi le affermiamo da anni. Proprio<br />

per essere liberi di dirle non siamo entrati nel "partito del predellino". Oggi possiamo dire "grazie" ai nostri<br />

elettori: siamo sulla strada giusta». Così, mentre il leader del partito Pier Ferdinando Casini, in viaggio verso<br />

Torino per assistere all'ostensione della Sacra Sindone, non commenta e lascia ai suoi l'arduo compito di<br />

esaltare il coraggio di Fini, un altro partito centrista commenta la difficile giornata del centrodestra. Si tratta<br />

dell'Api di Francesco Rutelli che con l'amico Bruno Tabacci non nasconde di sperare in una svolta:<br />

«Guardiamo con attenzione al percorso di Gianfranco Fini. La questione di fondo che si agita al centro del Pdl<br />

riflette la caratteristica del nostro sistema politico. La questione è se un partito cesaristico come il Pdl è in<br />

grado di inglobare il dissenso. E questa visione cesaristica di Berlusconi manda in tilt anche una storia come<br />

quella di Fini». E proprio a Fini «l'Api guarda con particolare attenzione, perché una sua iniziativa avrà<br />

ripercussioni anche sul centro e sulla sinistra». In questa prospettiva Pino Pisicchio ha infatti annunciato che<br />

presenterà al presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, Donato Bruno, una proposta di<br />

legge che regoli giuridicamente la forma-partito.<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Ecco i 12 piccoli finiani Pisanu sceglie l'astensione<br />

Quelli di Agatha Christie erano «Dieci piccoli indiani». Quelli di Gianfranco Fini, invece, sono 12. Dodici<br />

piccoli finiani. Dopo tanto rumore, dopo le minacce di costituire i gruppi autonomi, dopo aver paventato<br />

scissioni e fratture, il presidente della Camera non riesce ad andare oltre quota 12.<br />

Tanti, infatti, sono i membri della Direzione nazionale del Pdl (172 aventi diritto) che, dopo una giornata ad<br />

alta tensione, mostrano il loro badge giallo e votano contro il documento conclusivo. I nomi, da quanto si<br />

apprende, sarebbero quelli di Roberta Angelilli, Andrea Ronchi, Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Adolfo<br />

Urso, Flavia Perina, Fabio Granata, Silvano Moffa, Andrea Augello, Donato Lamorte, Pasquale Viespoli,<br />

Salvatore Tatarella e Cesare Cursi. Insomma, nessuna sorpresa.<br />

Sorpresa che, invece, riguarda l'unico astenuto. Si tratta infatti dell'ex ministro dell'Interno e presidente della<br />

commissione parlamentare Antimafia Beppe Pisanu. Certo, a dire il vero, da tempo Pisanu è critico nei<br />

confronti della gestione del partito e della maggioranza e non ha mancato di dirlo pubblicamente. Lo scorso<br />

17 aprile ad esempio, dalle pagine del Corriere della Sera, anche lui chiese, proprio come Fini, un<br />

chiarimento sul ruolo della Lega definendolo «opportuno». Ma forse in pochi, ieri, si aspettavano una sua<br />

astensione.<br />

Comunque, alla fine, il responso dei numeri è impietoso. Secondo i dati ufficiali forniti dall'ufficio stampa del<br />

Pdl il documento è stato approvato dal 93,02% degli aventi diritto e il dissenso si è fermato al 6,39%. E c'è<br />

già chi, ironicamente, si chiede quanti voti raccoglierebbe una forza politica guidata da chi ha meno del 7%<br />

nel partito che ha contribuito a fondare.<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Il fallimento della politica estera<br />

Il mondo corre l'Europa si accontenta di guardare<br />

A ogni sospiro di un'agenzia di rating o a ogni prudente commento del Fondo monetario internazionale<br />

l'opinione pubblica è martellata dalla stessa preoccupazione, quella della decadenza della nazione. A furia e<br />

misura di studiare minuziosamente il nostro ombelico, abbiamo perso l'abitudine di valutare le grandi<br />

trasformazioni mondiali. Solo poche settimane fa il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, acutamente<br />

osservava davanti all'assemblea della Confindustria che: «In positivo e in negativo, perché tutto è relativo,<br />

sono cambiate la struttura e la velocità del mondo e, nel mondo, dell'Italia. Caduto il muro di Berlino, unificato<br />

con il Wto il mondo in un'unica nuova geografia e ideologia mercantili, in questa nuova latitudine il vettore<br />

della storia ha compiuto un movimento rivoluzionario, passando dall'Atlantico al Pacifico. La scoperta<br />

economica dell'Asia ha prodotto effetti rivoluzionari uguali a quelli prodotti dalla scoperta geografica<br />

dell'America. Solo che per questi ci sono voluti 2 secoli. Per la globalizzazione sono bastati 2 decenni». Lo<br />

psicodramma greco ha evidenziato l'impossibilità di risolvere i gravi squilibri macroeconomici, a cominciare<br />

dal degrado delle finanze pubbliche, senza affrontare la sfida globale del debito, che è diventato debito<br />

sovrano. Con la globalizzazione il modello europeo è divenuto desueto e il posto dell'Europa nella<br />

governance mondiale appare incerto. Il problema non è l'Italia, e la crisi profonda che attraversano da un lato<br />

Grecia, Portogallo e Spagna, e dall'altra Gran Bretagna e Irlanda, è là a dimostrarlo. Il problema è che non ci<br />

sono uscite meramente nazionali nella società mondializzata e che l'Europa, molto presa dalle sue<br />

discussioni interne, continua a fissare l'albero senza scorgere la foresta. La politica, e quindi la stampa, non<br />

ha preso in considerazione la segnalazione della diplomazia di alcuni campanelli d'allarme come la<br />

conclusione della Conferenza sul clima a Copenhagen, dove sono state assunte decisioni, per la prima volta,<br />

in assenza degli europei dalla sala, oppure i continui cambiamenti dei calendari delle visite di Obama oggi in<br />

Spagna, ieri in Italia e in Francia, domani da qualche altra parte; la cena del presidente statunitense a Praga<br />

con i paesi dell'est europeo, piuttosto che con i rappresentanti dell'Unione, non è una gaffe ma una voluta<br />

indicazione di superiorità. Il mondo corre e l'Europa discute, ma le macchine non marciano a parole. Nei<br />

prossimi trenta anni gli europei rappresenteranno a malapena il 6% della popolazione mondiale e, senza<br />

modifiche delle attuali politiche, appena il 12% del Pil mondiale. Per evitare di aggiungere chiacchiere all'aria<br />

è bene concentrarsi sulle cose possibili da compiere. Tra queste vi è il Servizio europeo di azione esterna,<br />

disgraziatamente affidato alla britannica baronessa laburista Catherine Ashton, che non ha la statura politica<br />

necessaria per difendere il ruolo del "ministero degli Esteri" d'Europa, collocato con anglosassone alterigia tra<br />

il Consiglio e la Commissione, ignorando il Parlamento che minaccia di usare il suo diritto di veto in materia di<br />

budget e di statuto del personale diplomatico. Quanto basta per bloccare l'Europa intera. Invece di discutere<br />

in eterno non è meglio ringraziare la baronessa per i servigi fin qui resi e chiamare qualcun altro a ricoprire un<br />

ruolo così importante?<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Fini s'accontenta del minimo<br />

Fabrizio dell'Orefice<br />

f.dellorefice@iltempo.it<br />

L'immagine del giorno è subito dopo le botte. Verbali, si intende. Silvio Berlusconi si alza, scende pochi<br />

gradini che dal palco lo portano in platea sul lato sinistro della sala, saluta Gasparri che lo aspetta lì sotto, un<br />

po' di deputati e si infila dietro un tendone rosso. Gianfranco Fini sceglie il lato opposto sotto al palco, sale<br />

invece i gradini che lo portano verso l'uscita dall'Auditorium Conciliazione. Nel corridoio si ferma con pochi<br />

fedelissimi. Arriva subito Pasquale Viespoli, poi Andrea Ronchi. C'è la segretaria personale Rita Marino e il<br />

portavoce Fabrizio Alfano. Arriva Adolfo Urso. Il capannello cammina così, conquista una stanzetta attigua al<br />

ristorante, le scorte selezionano gli ingressi anche se passa qualche infiltrato. Sopraggiungono di corsa<br />

anche Roberto Menia e Amedeo Laboccetta. Fini si siede e scatta un bell'applauso. «Bravo Gianfrancoooo!»,<br />

dicono in coro e gli battono le mani in una scenetta molto berlusconiana. Ma è anche un modo per provare a<br />

scaricare la tensione.<br />

Fini beve un bicchiere d'acqua e prova ad analizzare. È rimasto colpito dalla replica immediata del premier<br />

subito dopo le sue parole: «Un leader di partito ascolta prima tutti gli interventi e poi replica». Poi detta la<br />

linea: «Gliele abbiamo dette. Ora tutti sanno che non stiamo zitti. Ora gli italiani sanno che c'è chi pone delle<br />

questioni politiche e chi no». Il resto è fuffa. La sostanza è questa: Fini si accontenta di aver portato a casa il<br />

risultato minimo.<br />

Aveva fatto capire di essere pronto a fare i gruppi autonomi alla Camera e al Senato. Poi contrordine, niente<br />

scissione ma solo una corrente interna. Niente corrente interna, meglio una componente politico-culturale.<br />

«Una piccola componente», dice lui sul palco dell'Auditorium. E lo stesso Gianfranco minimizza: «Io e alcuni<br />

amici». Alla fine il cofondatore del Pdl è soddisfatto di aver parlato, di aver posto le sue questioni, di aver<br />

sollevato dei temi politici. Di aver detto la sua. E di continuare a farlo. Non farà marcia indietro.<br />

Nel suo intervento, Fini aveva volato alto. Ma soprattutto per non farsi beccare dalla contraerei nemica, che<br />

poi è interna al Pdl, la cui arma più potente è il fischio. In verità l'intervento del presidente della Camera era<br />

stato svuotato dall'apertura di Berlusconi che gli aveva scippato almeno due elementi fondamentali. Il primo<br />

era la necessità di convocare un congresso, e il Cavaliere ha assicurato che ne vuole fare uno all'anno e nel<br />

frattempo pensa a convocazioni continue degli organi interni. Il secondo elemento è l'annuncio di voler<br />

procedere con riforme condivise, che era la grande richiesta del principale inquilino di Montecitorio.<br />

Così «alleggerito», al cofondatore erano rimaste questioni che possono apparire marginali. Protestava perché<br />

il Pdl non ha ancora fatto una proposta per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia che si festeggeranno<br />

l'anno prossimo. Oppure chiedeva una commissione di governatori Nord-Sud che sorvegli sui decreti attuativi<br />

del federalismo fiscale. Per avere un quadro vale su tutti il commento di Peppe Scopelliti, neo governatore<br />

della Calabria: «Ma mi fa una domanda proprio su questo? Allora lei è veramente cattivo». Forse gli<br />

argomenti più pregnanti sono rimasti solo giustizia ed economia.<br />

Ma per valutare questi bisogna capire che cosa ha provato Fini quando è salito sul palco, ha aggiustato il<br />

microfono e ha guardato la platea. Per la prima volta in venti anni s'è trovato un uditorio, per giunta del suo<br />

partito, assolutamente ostile. Non era più abituato. Ormai s'era assuefatto alle folle plaudenti e adoranti come<br />

la democrazia mediatica impone.<br />

L'ultima volta che aveva dovuto affrontare una bella sala infuocata era accaduto nel 1990, congresso Msi di<br />

Rimini, quando perse la segreteria a vantaggio di Pino Rauti. Andrea Augello, oggi finiano (anche se lui rifiuta<br />

pure questa etichetta e più ecumenicamente si autoconsidera «uno che lavora per il Pdl»), era in sala quel<br />

giorno a sbattere le sedie e a fischiare Fini. S'accomoda a un tavolino del bar, prende un Moment in una<br />

pausa dei lavori: «Mi scoppia la testa, lì dentro c'è troppa confusione». Lui è stato il grande mediatore, colui<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

che di fatto ha evitato la scissione. Ora glissa il sottosegretario romano: «Sono entrato a partita già iniziata.<br />

Anzi, ho giocato gli ultimi cinque minuti, gli ultimi cinque giorni».<br />

E negli ultimi cinque giorni la tensione è scesa ma Fini, nel momento in cui ha preso la parola ieri all'ora dei<br />

tg, sapeva che l'avrebbero potuto fischiare, contestare, non poteva esser certo di arrivare alla fine del suo<br />

discorso. È per questo che il suo intervento è stato tutto in difensiva. Stentorio. Aveva la bocca secca,<br />

cercava delle pause per parlare meglio e deglutiva di frequente. Ripeteva spesso lo stesso concetto, preso<br />

dalla sindrome del foglio bianco: non sapere che cosa e come dire. E più volte ha usato intercalari per<br />

mettere le mani avanti, quasi a conquistare la platea prima di dire qualcosa di sgradito. Frasi del tipo: «Spero<br />

che le parole non tradiscano il pensiero», «Non voglio equivoci», «È arrivata l'ora di dire tutto davanti a tutti<br />

altrimenti ci prendono per matti», «Non abbiamo intenzione di esser bastian contrari», «Vado fucilato per quel<br />

che ho detto?», «La mia volontà non è sabotare ma migliorare il governo», «Spero che si sia capito qualcosa<br />

di più». Ha recuperato temi di destra (evitando di parlare di immigrati) come la legalità, l'unità nazionale come<br />

se avviasse una piccola campagna elettorale interna. Per fare cosa? Per ora il Balotelli della politica, come<br />

dice Mario Landolfi: getta la maglia dopo una vittoria. Poi continuerà a dire la sua. Liberamente,<br />

schiettamente e coraggiosamente. Fare un po' la riserva della Repubblica con il 6% del partito e non tirarsi<br />

indietro. Sembra poco e forse non lo è.<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Leghisti Radio Padania: «Sembra un extraparlamentare di sinistra»<br />

Fini fa l'anti-federalista e il Carroccio lo boccia<br />

Alessandro Bertasi<br />

a.bertasi@iltempo.it<br />

«Esce allo scoperto il partito del sud contro le riforme. Fini ha tradito il patto con gli elettori». Il viceministro<br />

leghista Roberto Castelli non ha proprio digerito gli attacchi alla Lega del presidente della Camera. Non gli ha<br />

perdonato di aver criticato tutti quei temi cari ai Lumbard come le politiche contro l'immigrazione, la mancata<br />

abolizione delle Province e il fallimento della privatizzazione delle municipalizzate.<br />

Offese per Castelli che ha immediatamente tuonato: «Il 16 aprile scrivevo su Facebook: "Perché Fini ha rotto<br />

gli indugi proprio ora? Io credo sia per il fatto che il grande successo della Lega rischia di dare un grande<br />

impulso al processo riformatore. Sapevamo da tempo che nel Pdl ci sono forze che vogliono lo status quo,<br />

per cui oggi devono fermare ad ogni costo la Lega. Guardate i nomi dei finiani, sono il vero partito del Sud"».<br />

Parole che, se paragonate a quelle che ieri Fini ha pronunciato sul federalismo fiscale («rischia di mettere a<br />

repentaglio la coesione sociale», ndr) dimostrano come il viceministro sia stato in realtà un anticipatore degli<br />

eventi. E così, mentre gli aficionados di Radio Padania commentavano in diretta l'intervento di Fini («Ma che<br />

dice? Non rappresenta in Nord e nemmeno il centrodestra» o anche «Sembra un extraparlamentare di<br />

sinistra») a Castelli non resta che guardare alle ripercussioni che lo screzio all'interno del Pdl produrrà in<br />

Parlamento: «È chiaro che uscirà allo scoperto il partito di quelli che fino ad ora hanno solo fatto finta di<br />

sostenere il federalismo fiscale, confidando che non sarebbe mai arrivato a compimento. Eppure ricordo che<br />

esso è la sesta delle "Sette missioni per il futuro dell'Italia", il programma elettorale sottoscritto da Pdl e Lega<br />

Nord su cui anche Fini ha preso i voti».<br />

Ma per Fini la musica è cambiata: d'altronde quello era il 2008 e da allora di acqua sotto i ponti ne è passata<br />

molta.<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Sussurri e grida nella giornata più lunga. La Mussolini perde l'ottimismo, Alemanno va via prima dell'epilogo<br />

Macché Conciliazione, è via della Rissa<br />

Lidia Lombardi<br />

l.lombardi@iltempo.it<br />

Galeotta fu la location. Via della Conciliazione. Macché? Via della Rissa dovrebbero chiamarla. E non se ne<br />

abbiano Er Puzzone e Pio XI. Eppure, sotto il sole di Roma capoccia, tra il via vai dei turisti, non pareva una<br />

giornataccia. Sicché ad Alessandra Mussolini, la nipote del Duce, non veniva poi tanto male la battuta, prima<br />

di infilarsi volitiva nell'Auditorium: «A via della Conciliazione si conciliano tutti». E invece. Non passano<br />

quattro ore che le si stringono gli occhioni, la bocca extralarge si serra. Fini ha consumato lo strappo,<br />

Berlusconi l'ha artigliato e gli ex An vagano sgomenti da un bar all'altro, fanno mesti capannelli, si sforzano di<br />

«fare futuro».<br />

Eppure un po' di festa c'è, all'inizio. Per Galan neoministro una scolaresca veneta in gita fa la ola appena lo<br />

vede scendere dall'auto blu. Beatrice Lorenzin si schernisce al flash del paparazzo. Ma s'infila agile, borsa e<br />

scarpette rosse, nel portone dove si consuma il duello. Anche il pio Formigoni va in brodo di giuggiole perché<br />

lo fotografano sullo sfondo del cupolone. Ma sono sorrisi rari. Già serpeggia la tensione. «Coabitazione? Una<br />

brutta parola», glissa Mattioli a chi prefigura il domani senza ardore di Gianfranco e Silvio. E Nania sibila: «La<br />

Lega prende voti perché glieli regaliamo. Quanti ce ne toglie dopo le esternazioni di Bocchino sul primo<br />

ministro gay?».<br />

Le schermaglie si fanno gioco duro presto, dentro. Roberto Gasparrotti, l'uomo-immagine del premier, se la<br />

prende con Enrico Para, il fotografo sempre al seguito del presidente della Camera. Gli vieta l'ingresso in sala<br />

urlando: «Sei uguale a tutti». E lo prende al collo, e lo strattona fuori. La sala stampa è un budello, un<br />

accampamento che registra i fendenti. Parla Verdini, parla Bondi, La Russa conclude il tris dei coordinatori.<br />

Sbotta una risata al lapsus del ministro della Difesa. «Per ripianare i debiti del comune di Catania abbiamo<br />

dovuto violentare Veltroni», equivoca. E poi si corregge: «Abbiamo dovuto violentare Tremonti». Ma già si<br />

sciama fuori, a fumare sigarette, a ordire trame. Potito Salatto, al tavolino del bar con Donato Lamorte,<br />

sentenzia «Mo' sono solo finiano». Gramazio sparge boutade, Flavia Perina prende sotto braccio Renato<br />

Farina, confabula, gli chiede con quale titolo deve aprire. E si sfoga: «Di 22 interventi che abbiamo chiesto<br />

alla direzione nazionale ce ne danno solo due».<br />

Non è mezzogiorno e già arriva il furgone del catering Relais Le Jardin, scarica il buffet dal portone laterale<br />

dell'Auditorium. Così in sala stampa i maccheroni al sugo arrivano proprio appena attacca a parlare Fini e c'è<br />

l'assalto al piatto caldo. Diamine, nessun rispetto per la terza carica dello Stato. La telecamera altalena<br />

sempre uguale tra Fini e il pubblico, svela impietosa Lamberto Dini che sonnecchia. Poi indugia sui gesti.<br />

Silvio alza il pollice nervoso, scalpita per interropere le legnate di Gianfranco. Ecco, arriva il climax, premier e<br />

presidente della Camera se le cantano e allora la regia politicamente corretta è travolta dagli eventi e cambia<br />

stile. Adotta i contropiani, insegue chi parla, quasi asseconda con l'immagine il parapiglia.<br />

Finisce il collegamento, si sciama di nuovo fuori. I finiani sono lividi, gli altri non sanno che pesci pigliare.<br />

Alemanno alle 14,30 se ne va. «É una rottura aspra, ma i problemi li conosco, non solo tali da sfasciare il<br />

Pdl», commenta scuro. C'è chi affonda il coltello nella piaga. «Quando un leader come Gianfranco dice:<br />

magari mi fischierete, che leader è più», commenta il senatore Mantica. L'onorevole Carla Castellani fuma<br />

nervosa. «È la prima sigaretta dopo un anno e mezzo. Faccio politica da quindici anni, prima il Msi, poi An,<br />

poi Pdl. Ci deve essere discussione, ma senza spaccature. Sentiamo tutti disagio per questa lacerazione. Fini<br />

è un grande politico ma quando è nato il Pdl doveva sapere che Berlusconi è così, prendere o lasciare. Se<br />

c'è davvero spaccatura purtroppo lo seguiranno in pochi».<br />

L'attesa del documento finale è uno sfinimento per tutti. Si consola Alessandra Mussolini: «Almeno siamo il<br />

primo partito che ha fatto operazione trasparenza. Mai nessuno si è detto fino in fondo le cose come Fini e<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Berlusconi». Magra consolazione.<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

(...) mostrato all'esordio della sua avventura...<br />

(...) mostrato all'esordio della sua avventura in questo campo, Silvio Berlusconi si è presa ieri una bella<br />

rivincita davanti alla direzione del suo partito. La cui riunione mi ha ricordato l'attesa, il clima e le emozioni -sì,<br />

anche le emozioni- dei più caldi e importanti congressi politici che mi é capitato di raccontare e commentare<br />

in quasi cinquant'anni di professione giornalistica, ma senza gli arzigogoli, le cortine fumogene, le manovre<br />

diversive, i messaggi più o meno cifrati e altre diavolerie di un tempo.<br />

Quando Gianfranco Fini si avviava a concludere il suo intervento, denso di critiche e attacchi diretti al<br />

presidente del Consiglio, mi sono ricordato delle volte in cui nei congressi dei vecchi partiti o nelle riunioni dei<br />

loro Consigli Nazionali o Comitati Centrali, o consessi simili, seguiva il solito oratore minore, in attesa di<br />

quello più importante, o la richiesta di una sospensione dei lavori per consentire al leader di turno e alle<br />

correnti e correntine varie di chiarirsi le idee e preparare risposte e difese. Ma Berlusconi non ha avuto<br />

bisogno né di comparse né di pause. Egli ha accettato e rilanciato immediatamente e personalmente la sfida,<br />

parlando fuori dai denti, gridando alte e forti le sue ragioni.<br />

La reazione del presidente del Consiglio al presidente della Camera, volontariamente sceso dal suo alto<br />

gradino istituzionale a quello più modesto di capo di un'infima minoranza del suo partito, irrisoria rispetto<br />

anche a quella che era la consistenza della sua Alleanza Nazionale nel momento in cui, l'anno scorso, confluì<br />

insieme con la berlusconiana Forza Italia nel Popolo della Libertà, mi ha ricordato il piglio e lo stile di due<br />

protagonisti della cosiddetta Prima Repubblica: Amintore Fanfani e Bettino Craxi. Che erano molto diversi fra<br />

loro, anche fisicamente, ma simili per capacità e rapidità di movimento: irriducibili nelle loro convinzioni e<br />

veloci come lepri nell'inseguimento.<br />

Fanfani si guadagnò giustamente da Indro Montanelli il celebre e fortunato soprannome di "Rieccolo" proprio<br />

per l'ostinazione con la quale sapeva tenere il campo e tornarvi ogni volta che sembrava esserne stato<br />

allontanato. Craxi, che rovesciò il Psi come un guanto, sottraendolo al complesso di inferiorità nei riguardi del<br />

Pci, osò sfidare e vincere ogni sorta di conformismo politico. E lasciò un segno indelebile alla guida del<br />

governo, il primo e sinora unico a guida socialista nella storia del Paese, non potendosi certamente definire<br />

tale quello fortunosamente realizzato nel 1998 da Massimo D'Alema: un "post-comunista" rifiutatosi con tutti i<br />

suoi compagni di identificarsi nel filone socialista della sinistra italiana, anche dopo la caduta del muro di<br />

Berlino e la liquidazione del Pci.<br />

Il Berlusconi di ieri mi ha ricordato più in particolare, per stile, tempi e grinta, il Craxi del 1979, quando sventò<br />

la congiura della sinistra lombardiana nel Comitato Centrale del Partito Socialista,a meno di tre anni dalla sua<br />

elezione a segretario, o quello del 1984 e del 1985, quando sfidò il veto palese dei comunisti e quello<br />

surrettizio della sinistra democristiana, che pure era al governo con lui, contro i tagli anti-inflazionistici alla<br />

scala mobile, non lasciandosi intimidire neppure dal ricorso al referendum. Che vinse alla maniera sua,<br />

mettendosi personalmente in gioco alla vigilia del voto, così come Berlusconi non si lascerebbe certamente<br />

intimidire da un referendum che dovesse seguire ad una riforma della giustizia, non condivisa<br />

dall'opposizione. Vi ha significativamente accennato alla direzione del Pdl ieri, in polemica con le critiche e le<br />

preoccupazioni espresse proprio da Fini, il guardasigilli Angelino Alfano in un intervento che ha mandato<br />

Berlusconi in brodo di giuggiole.<br />

Francesco Damato<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 Il Tempo<br />

ED. NAZIONALE<br />

Accusati di violenza privata per aver ordinato il rimpatrio in Libia di un gruppo di somali. Maroni: «Rispettate<br />

le leggi»<br />

Clandestini respinti, poliziotti a giudizio<br />

Maurizio Piccirilli<br />

m.piccirilli@iltempo.it<br />

Hanno fermato l'invasione di clandestini, ora saranno processati. Il direttore del Servizio immigrazione del<br />

Viminale e il capo ufficio economia e sicurezza del terzo reparto operazioni delle Fiamme Gialle sono stati<br />

rinviati a giudizio dalla procura della Repubblica di Siracusa. Il prefetto Rodolfo Ronconi e il generale della<br />

Guardia di Finanza, Vincenzo Carrarini, dovranno rispondere di concorso in violenza privata. La richiesta<br />

riguarda il respingimento di 75 immigrati che tra il 29 e il 31 agosto del 2009 furono intercettati da unità navali<br />

della Guardia di Finanza al largo di Portopalo di Capo Passero e che furono riportati in Libia su una nave<br />

della Finanza. Gli stessi magistrati della Procura di Siracusa hanno chiesto e ottenuto dal Gip il<br />

proscioglimento dei militari della Guardia di Finanza intervenuti sul posto con la nave «Denaro», «in<br />

considerazione del fatto che avevano operato per ordini superiori non manifestamente illegittimi».<br />

Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, appresa la notizia, ha telefonato a Ronconi esprimendo «piena stima e<br />

vicinanza» e dicendosi sicuro che l'accertamento giudiziario «dimostrerà che le azioni poste inn essere sono<br />

state pienamente conformi alle leggi».<br />

La citazione a giudizio, senza passare dalla decisione del Gip, è prassi giuridica in caso di reati valutati dal<br />

giudice monocratico. Secondo la Procura della Repubblica di Siracusa i due imputati, «con abuso delle<br />

rispettive qualità di pubblici ufficiali» avrebbero tenuto una «condotta violenta» nel «ricondurre in territorio<br />

libico, contro la loro palese volontà, 75 stranieri, non identificati, alcuni sicuramente minorenni, intercettati in<br />

acque internazionali su un natante proveniente dalle coste libiche». Il reato, secondo la Procura, è scattato<br />

quando gli immigrati sono stati «fatti salire a bordo della nave della Guardia di Finanza "Denaro" e dunque su<br />

territorio italiano». Il comportamento nei confronti dei 75 migranti, che in quel momento, sostiene l'accusa, è<br />

come se fossero stati nel nostro Paese, sarebbe stato «in aperto contrasto con le norme di diritto interno e di<br />

diritto internazionale recepite nel nostro ordinamento». Tanto da «impedire loro l'accesso effettivo alle<br />

procedure di tutela dei rifugiati e più in generale di avvalersi dei diritti loro riconosciuti in materia di<br />

immigrazione». La Procura nel capo d'accusa sottolinea che «l'imputazione non concerne direttamente la<br />

cosiddetta "politica dei respingimenti", ed in particolare non attiene alla legittimità in sé degli accordi<br />

sottoscritti tra l'Italia e la Libia» ma, appunto, a «una violenza privata, poiché non eseguiti nel rispetto della<br />

normativa italiana, conforme tra l'altro agli accordi internazionali».<br />

I due imputati «eccellenti» non erano a conoscenza del procedimento giudiziario nei loro confronti. La notizia<br />

li ha colti di sorpresa. A commentare la notizia il capo della polizia Antonio Manganelli che ha detto che c'è<br />

«l'assoluta convinzione» che l'azione degli uffici incaricati si è svolta «nel pieno rispetto della normativa<br />

nazionale e delle convenzioni internazionali vigenti in materia».<br />

All'epoca dei fatti ci fu una dura campagna contro il governo e le forze dell'ordine. Di Pietro parlò di un<br />

governo che stava «reintroducendo il fascismo, il nazismo, la xenofobia di una volta...». Laura Boldrini,<br />

portavoce in Italia dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, accusò l'Italia di non aver rispettato le<br />

convenzioni internazionali negando il diritto di asilo.<br />

IL TEMPO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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ItaliaOggi<br />

6 articoli


23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Pag. 8<br />

Il governatore dovrà riuscire a non farsi confinare nella sua Puglia da D'Alema e Bersani<br />

Ora il Pd vuole soffocare Vendola<br />

L'obiettivo è frenare la sua scalata sulla scena nazionale<br />

Dopo gli ultimi fuochi mediatici sulla vittoria alle regionali, il Pd ha deciso di fare fuori Nichi Vendola, almeno<br />

dalle scena nazionale dove potrebbe diventare un insidioso nemico alle nuove strategie che prepara Bersani.<br />

E allora, dalla composizione della giunta pugliese alla voglia di aprire "fabbriche" nel nord i democratici hanno<br />

deciso di attaccarlo. Con l'obiettivo di relegarlo ai confini della Puglia, di uccidere nella culla le sue aspirazioni<br />

nazionali. Se ci riusciranno è ancora tutto da vedere vista la l'istrionica capacità del governatore cattolico,<br />

poeta e omosessuale di smarcarsi e di rilanciare nei confronti dei suoi ex compagni di partito; fatto sta che<br />

finiti i festeggiamenti per la vittoria alle regionali e finita pure la vacanza che si era concesso dopo le fatiche<br />

della campagna elettorale, per il governatore della Puglia, appena rientrato e rimessosi al lavoro, è iniziato un<br />

vero e proprio fuoco di sbarramento. Sembra che si tratti proprio di un ordine di servizio partito dai piani alti<br />

del Pd nazionale e che riguarda sia la Puglia che la prospettiva di tentare l'ascesa nazionale. Dalemiani e<br />

bersaniani infatti hanno deciso di confinare il più possibile la nuova visibilità del governatore per due ragioni:<br />

innanzitutto se l'appoggio e la visibilità che il principale partito del centrosinistra gli ha concesso durante la<br />

sua prima legislatura regionale (almeno prima degli scandali sulla sanità e sul tentativo di accordarsi con<br />

Pierferdinando Casini) era necessaria per garantire a tutto il centrosinistra la rielezione, questa volta visto che<br />

si tratta del secondo mandato non serve più. Secondo e forse più importante aspetto è che se davvero<br />

Vendola ha intenzione di tentare l'ascesa nazionale può davvero costituire un problema per le scelte del<br />

partito democratico su un candidato interno o su accordi in preparazione per le politiche 2013. E allora via<br />

con le danze. In Puglia sono incominciate le trattative per la costituzione della nuova giunta e in pochi giorni il<br />

governatore ha dovuto ridimensionare le sue velleità. Aveva deciso di lanciare una giunta superstar con<br />

personaggi di spessore nazionale, anche del Pd ma scelti a suo insindacabile giudizio per trasformare il suo<br />

governo in una sorta di governo ombra nazionale. E invece proprio ieri il Pd ha alzato le barricate. Il<br />

segretario regionale del Pd Sergio Blasi, dalemiano, ha contestato tutto l'impianto. Non nomi nazionali per gli<br />

assessorati ma consiglieri del Pd indicati dalla sua segreteria. E più di quelli che aveva previsto. Se pensava<br />

di doverne concedere quattro o al massimo cinque per varare una giunta leggera, sempre Blasi è partito con<br />

la richiesta di sei assessorati più la vicepresidenza, proprio la carica che aveva quel Sandro Frisullo che con<br />

le sue frequentazioni gli ha creato un mare di problemi. All'attacco pugliese però, quasi contemporaneamente<br />

si è aggiunto anche quello nazionale. A partire dalle "Fabbriche di Nichi" che non stanno crescendo fuori<br />

regione come sperava, anche per la resistenza dek Pd al nord, interessato tutto a bloccare il fenomeno<br />

Vendola. Fatto sta che contro il governatore pugliese nel centro nord sono scesi in campo due delle poche<br />

personalità sulle quali il Pd ripone le sue speranze di rinascita. Enrico Rossi e Sergio Chiamparino. Entrambi,<br />

quasi si fossero passati la voce hanno incominciato ad attaccare Vendola sui media e negli uffici politici con<br />

le stessa argomentazioni. E cioè che può essere un fenomeno in Puglia ma qui da noi nessuno lo pensa (Sel<br />

effettivamente in Piemonte ha preso 1,4% perdendo lo 0,9% dei consensi e in Toscana il 3,8% crescendo di<br />

appena 0,3%) e quindi non merita tutta l'attenzione che gli viene data. Anzi bisogna cercare di attenzionarlo<br />

un po' meno. Non hanno considerato però che dove scende in campo direttamente, il grosso dei voti li prende<br />

direttamente dal Pd.<br />

ITALIAOGGI - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Pag. 4<br />

Soltanto 11 su 20 i fedelissimi del presidente della camera che hanno votato contro il documento finale<br />

Adesso sarà scontro in parlamento<br />

Finiani pronti alla battaglia sui singoli provvedimenti<br />

Adesso che cosa farà Gianfranco Fini? Bella domanda. Bella sì, è quella classica, vale un milione di dollari. A<br />

voler trarre conseguenze da quanto ascoltato e visto ieri alla direzione nazionale del Pdl davanti potrebbero<br />

esserci tre anni di lesgislatura con sgambetti pronti ad essere allungati nelle aule parlamentari dalla<br />

minoranza finiana su singole questioni come l'immigrazione, welfare ed etica. Correnti non ce ne saranno.<br />

Non soltanto perché sancito dal documento finale, ma anche perché al momento della conta c'è stato solo<br />

uno spiffero poco incoraggiante. Quello dei soli 11 finiani (Donato Lamorte, Carmelo Briguglio, Pasquale<br />

Viespoli, Adolfo Urso, Italo Bocchino, Andrea Augello, Flavia Perina, Fabio Granata, Silvano Moffa, Salvatore<br />

Tatarella, Cesare Cursi) su 20 presenti e votanti nella direzione nazionale che hanno detto no al documento<br />

presentato a fine lavori (c'è anche un astenuto). Dov'erano gli altri? Ecco la domanda, economicamente<br />

meno gratificante rispetto al domandone iniziale, ma politicamente forse più pertinente. «Non lo so,<br />

chiedetelo a chi non c'era», risponde Amedeo Laboccetta, finiano con diritto alla parola intervenuto in<br />

direzione citando l'armonia tatarelliana. Chiediamo a lui allora che cosa ne sarà dei finiani. «Ci sarà un civile<br />

confronto che dovrebbe portare tutti a rasserenare gli animi». Sembra facile. A chi potrebbe cadere nella<br />

tentazione di riassumere il tutto dicendo che a Fini sono rimasti soltanto 11 fedelissimi, c'è pronta la risposta<br />

di Italo Bocchino: «Normalmente in direzione siamo 150 a 20, c'erano assenti da entrambe le parti. Noi non<br />

abbiamo perso nessuno, abbiamo guadagnato due ex di Forza Italia. Chi? Lo scoprirete presto». Ecco, nelle<br />

ultime parole del vice capogruppo del Pdl alla camera, c'è forse disegnato lo scenario di cosa potrebbe<br />

accadere. I finiani potrebbero aver giocato ieri a carte coperte per proteggere le strategie che saranno attuate<br />

in parlamento per mettere in difficoltà il Pdl berlusconiano. Potrebbe accadere, in pratica, che su specifici<br />

argomenti verranno fuori non soltanto tutti i finiani, ma anche gli scontenti del Pdl e tutti assieme mandare un<br />

messaggio a Berlusconi. Ipotesi possibile visto cosa dice il ministro nonché coordinatore del Pdl, Sandro<br />

Bondi: «Sono uscito dalla direzione del Pdl e Fini mi ha detto chiaramente «vedrete scintille in Parlamento».<br />

E lì infatti che il cofondatore ha deciso di giocare la sua partita a scacchi.Al momento però la presenza di Fini<br />

e dei suoi fedelissimi nel Pdl è da archiviare nella categoria «minoranza politica-culturale» che Bocchino<br />

rivendica con orgoglio. Intanto, Fini continuerà a fare il presidente della camera e non ha intenzione di<br />

ingranare la retromarcia nel partito. «Non faccio nessun passo indietro: continuerò a dire ciò che penso», ha<br />

detto ai suoi parlamentari. Forse un domani potrebbero arrivare rinforzi da quel centro politico che ha come<br />

riferimento Luca Cordero di Montezemolo e Pier Ferdinando Casini. Ma l'operazione è a lungo termine. Di<br />

certo, per dirla con un altro finiano doc come Fabio Granata, «la frattura tra Fini e Berlusconi è insanabile».<br />

ITALIAOGGI - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Pag. 1<br />

Fini è stato licenziato. Alla direzione Pdl passa la mozione del Cavaliere<br />

(solo 11 i no)<br />

Alla direzione nazionale del Pdl va in scena lo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Confronto duro<br />

con il presidente della camera che attacca la linea del Pdl e il premier che, nei fatti, gli chiede di dimettersi<br />

dalla carica istituzionale se vuole continuare a fare politica nel partito. Intanto, soltanto 11 fi niani hanno<br />

votato contro il documento fi nale che boccia la nascita di correnti all'interno del partito. Ma la battaglia,<br />

assicurano, adesso si trasferirà nelle aule parlamentari. Adriano, Di Santo, Gioventù alle pagine 3, 4 e 5<br />

ITALIAOGGI - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Pag. 3<br />

Tempestosa Direzione del Pdl, approvato documento che censura la nascita di correnti<br />

Fini strappa, il Cav vuole cacciarlo<br />

Volano parole grosse e Berlusconi intima: adeguati o sei fuori<br />

Fino all'ultimo respiro e senza tregua. Con tanto di duello all'Ok corral, conta finale e vittoria di Silvio<br />

Berlusconi, che ha ottenuto un grande consenso sul documento che censura e rende impervia la nascita<br />

delle correnti nel Pdl. Ieri, tra il premier-presidente del Popolo della libertà e il presidente della camera e<br />

cofondatore Gianfranco Fini, nel corso della Direzione del partito, si è aperta una voragine. Perché il numero<br />

uno di Montecitorio ha resi pubblici i motivi del suo dissenso nei confronti della gestione del Cavaliere. E il<br />

premier, a muso duro, ha restituito pan per focaccia: «Se vuoi fare politica, devi lasciare la presidenza della<br />

camera», ha sibilato all'indirizzo di Fini. È stato quello il momento più aspro di un vero regolamento di conti.<br />

Ma per Fini, esposto anche al fuoco un tempo amico di molti esponenti ex An, l'ultimatum è arrivato in serata,<br />

quando il premier ha detto: «O Fini si adegua o è fuori». Certo è che il numero uno della camera non ha<br />

rinunciato a dire la sua. Anzi, ha rivendicato il suo diritto al dissenso, ha ricordato di essere stato sottoposto a<br />

pesanti «bastonature mediatiche a opera di giornali proprietà di familiari del premier». E ha chiesto un netto<br />

cambiamento di rotta nella linea del Pdl, dominata dal «centralismo carismatico», appiattita al Nord e sul<br />

tema dell'immigrazione sulle posizioni della Lega. Accuse ascoltate da Berlusconi con un'espressione<br />

insofferente, poi furibonda quando Fini ha attaccato sulla giustizia e sul processo breve, definito «un' amnistia<br />

mascherata», sulla necessità di rivedere il programma economico e sull'attuazione del federalismo. È stato<br />

quel punto che il premier, anticipato il suo intervento, ha rivelato che martedì scorso Fini gli ha detto «di<br />

essere pentito di aver collaborato a fondare il Pdl e che volevi fare un gruppo parlamentare diverso».<br />

Berlusconi ha poi rincarato la dose: «Dici che sei supert partes? Per questo non sei venuto a piazza San<br />

Giovanni? Allora se vuoi fare politica lascia la presidenza della Camera», ha detto tra gli applausi. Il<br />

presidente di Montecitorio, al suo posto in platea, ha replicato: «Che fai mi cacci»? Poi ha annunciato di non<br />

avere «nessuna intenzione di dimettersi né di lasciare il Pdl». Certo è che Berlusconi è deciso a piegarlo:<br />

«Fini vuole restare per logorarmi», ha detto ai suoi. «Ma ora, con il documento approvato, abbiamo lo<br />

strumento per cacciare chi non si allinea».<br />

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23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Pag. 6<br />

In rampa di lancio in Abruzzo il nuovo progetto federalista. Alla guida, Funzione pubblica e Formez<br />

E Brunetta batte Bossi sui concorsi<br />

Gara e graduatoria regionale per assumere negli uffici locali<br />

Che rivincita, per Renato Brunetta. Il ministro della funzione pubblica che ha perso le elezioni a sindaco di<br />

Venezia, la città che gli ha dato i natali, per colpa, è stata l'analisi, della Lega, rea di non averlo appoggiato al<br />

momento del voto mentre faceva man bassa di consensi in tutto il Nord (e pure andando più in giù). Ora<br />

potrebbe toccare a lui battere Umberto Bossi, su un terreno molto caro alla battaglia leghista, quello delle<br />

assunzioni nel pubblico impiego. Nella centrale, e a guida pidiellina, regione Abruzzo, infatti, potrebbe<br />

svolgersi, tempo un anno, il primo concorso di stampo federale. Una gara e una graduatoria unica regionale,<br />

da cui, in relazione al punteggio e al profilo, i vincitori dovrebbero essere assunti da tutti gli uffici locali. Il<br />

patrocinio politico dell'operazione, che è stata avviata nei giorni scorsi, è del ministro Brunetta e del<br />

governatore abruzzese, Giovanni Chiodi, il supporto tecnico è del Formez Italia spa, la società pubblica di<br />

formazione nella pa presieduta da Secondo Amalfitano. Il primo faccia a faccia tra regione, con l'assessore al<br />

personale, Federica Carpineta, giovane imprenditrice catapultata nella gestione del personale pubblico,<br />

comuni e province ha dato sostanzialmente il via libera alla sperimentazione del progetto. Ora si è nella fase<br />

di definizione del fabbisogno e dei costi del piano di formazione e assunzione: un centinaio di unità di<br />

personale, tra funzionari e dirigenti, dovrebbe a breve essere nelle necessità per esempio della regione. E<br />

per sopperire a eventuali difficoltà finanziarie (gli enti locali abruzzesi sono ancora in affanno per il terremoto<br />

e lo hanno fatto presente), potrebbe esserci la disponibilità di alcuni dei protagonisti del progetto, Formez in<br />

testa, a utilizzare una parte dei propri fondi in soccorso di chi non ce la fa: una sorta di prova di federalismo<br />

solidale. «I sani principi federalisti non sono e non devono essere appannaggio della Lega», è il commento di<br />

Amalfitano. L'ipotesi di un percorso innovativo in cui gli enti della regione fanno sistema, abbattendo i costi di<br />

formazione e reclutamento, al momento dovrà fare a meno di punteggi maggiorati per i residenti. Questo è un<br />

altro dei punti chiave delle richieste del Carroccio. Ma non solo. È infatti opinione diffusa nel governo, si veda<br />

la proposta delle graduatorie regionali per gli insegnanti del ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini, che<br />

ritengono dannoso, per la funzionalità della pubblica amministrazione, assumere al Nord personale che<br />

proviene dal Sud. E che qui immancabilmente, a costo di aspettative, permessi, malattie e infine richieste di<br />

mobilità, vuole tornare. Sono stati studiati tutti i cavilli giuridici, ma a bocce ferme, senza una legge ad hoc,<br />

pare proprio impossibile mettere un freno a questa emigrazione. Anche per i limiti posti dall'Unione europea.<br />

La Funzione pubblica, comunque, ha sul tavolo il dossier e pare indirizzata a trovare una via di fuga nell'ottica<br />

della semplificazione e dell'efficienza. «Il potere locale sta facendo diventare la Lega conservatrice e noi<br />

dobbiamo accentuare la nostra forza modernizzatrice», sottolineava ieri Brunetta, intervenendo all'infuocata<br />

direzione politica del Pdl.<br />

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23/04/2010 ItaliaOggi<br />

Pag. 6<br />

Incurante delle polemiche, il Carroccio alla camera va avanti per la sua strada: la spunta<br />

Lega in campo per il made in Italy Chiesto aiuto perfino al nemico Fini<br />

Nel momento di maggiore tensione tra il presidente della camera e il partito di Umberto Bossi, la LegaNord<br />

chiede aiuto a Fini. E lo ottiene. Almeno sulla legge che tutela il made in Italy, approvata oltre un mese fa dal<br />

parlamento e in attesa della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale arrivata proprio ieri. Segno del<br />

pragmatismo della Lega che, al di là delle polemiche politiche sulla trazione nordista del governo, quando si<br />

stratta di fare gli interessi dei suoi elettori (come ormai lo sono migliaia di imprenditori in difficoltà per la<br />

concorrenza cinese) è disposta anche a fare i patti con il diavolo. E il diavolo di turno in questo momento si<br />

chiama proprio Gianfranco Fini che, dal pranzo della settimana scorsa con Berlusconi alla direzione<br />

nazionale del Pdl di ieri, ha deciso di vestire un profilo da antileghista allo stato puro. Eppure mentre lui ha<br />

attaccato tutto quanto fatto dal governo in questa legislatura su suggerimento della Lega, dipingendola quasi<br />

come un ectoplasma infettivo da tenere alla larga, e mentre Radio Padania esplodeva per i commenti della<br />

base leghista contro il presidente della camera, i deputati Marco Reguzzoni e Nicola Molteni in aula e il<br />

quotidiano del partito "la Padania" inviavano un appello proprio a Fini. Non tanto per darsi una regolata o<br />

abbassare i toni contro il loro partito e il loro indiscusso capo ma per chiedergli aiuto e nello stesso tempo<br />

incastrarlo alle sue responsabilità di carica istituzionale. Oggetto del contendere infatti è la legge sulla<br />

tracciabilità dell'etichetta del made in Italy oggi troppo abusata. La legge, voluta proprio da Reguzzoni, è stata<br />

approvata dalla camera oltre un mese fa, esattamente il 17 marzo, da una larga maggioranza di 543<br />

parlamentari ma era in attesa di pubblicazione per poter entrare in vigore. Ebbene da allora, della legge se ne<br />

erano perse le tracce. Reguzzoni, dopo aver evocato una lobby contro il made in Italy, che sta ostacolando<br />

l'entrata in vigore del provvedimento, ha chiesto «come mai questa legge, che è stata promulgata dal<br />

presidente della repubblica, a distanza di oltre un mese dalla sua approvazione non sia stata ancora<br />

pubblicata. Rappresenta un fatto singolare». E senza mai nominare Fini, il vicecapogruppo leghista, nonché<br />

padre della legge in questione, ha compiuto un vero e proprio capolavoro dialettico chiedendo che «la<br />

presidenza della camera si attivi per capire quale sua il motivo e si proceda maniera costituzionalmente<br />

dovuta all'immediata pubblicazione». Quindi pur di ottenere la legge, per il leghista Reguzzoni, questa volta<br />

va bene sia la mano di Fini che la tanto contestata Costituzione italiana. Una richiesta tanto lecita e<br />

inoppugnabile che ha fatto breccia anche tra il Pd dove Ermete Realacci si è accodato all'appello. Certo,<br />

contemporaneamente alla richiesta a Fini, qualcuno dalle stesse fila della LegaNord ha indicato proprio nel<br />

finiano amministratore delegato dell'Istituto poligrafico (nonché consigliere della fondazione Fare Futuro)<br />

Ferruccio Ferranti la resistenza alla pubblicazione della legge di matrice leghista. Fatto sta che, in meno di 24<br />

ore dall'appello, la legge ha visto la luce e ieri sera, mentre la base inveiva, Reguzzoni ha potuto esprimere<br />

«grande soddisfazione» per l'evento.<br />

ITALIAOGGI - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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21 articoli


23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 36<br />

Uno strumento sempre a rischio quorum e che cancella norme senza definirne di nuove Una sintesi in sei<br />

punti: istituzione di un'Authority e un forte ruolo di regioni ed enti locali<br />

Pd, no al referendum sull'acqua «Legge con un milione di firme»<br />

Strumenti Bersani: «Dal 1995 in poi sono state perse 24 consultazioni su 24» Petizione Si parte subito Primo<br />

appuntamento oggi a Torino<br />

ROBERTO ROSSI<br />

ROMA Il Pd non sosterrà il referendum contro la privatizzazione dell'acqua pubblica, «non è la strada giusta.<br />

da solo non basta». Al via la raccolta di firme su una proposta di legge. Obiettivo: un milione di adesioni.<br />

Contro il disegno di privatizzazione forzata dell'acqua pubblica, definita dalla recente legge Ronchi, il Partito<br />

democratico non sosterrà la campagna referendaria. «Pur guardando con simpatia a tutti quei movimenti che<br />

si battono contro il rischio di monopoli privati» ha detto il segretario Pierluigi Bersani «riteniamo che il<br />

referendum non sia la strada giusta». Il Pd, quindi, seguirà un'altra via. E cioè formulerà, nel più breve tempo<br />

possibile, una proposta di legge coinvolgendo gli amministratori locali e i cittadini. Si parte subito. Il primo<br />

appuntamento è per oggi a Torino. L'obiettivo complessivo è quello di raccogliere, sulla petizione, un milione<br />

di firme. REFERENDUM Con la decisione del Pd, dunque, il fronte che si batte contro la privatizzazione<br />

dell'acqua presenta tre diversi schieramenti. Oltre al Partito democratico, in campo ci sono il Forum di<br />

movimenti per l'acqua pubblica e l'Italia dei Valori. Entrambi hanno scelto la strada del referendum per<br />

modificare la legge Ronchi. Il Forum, che raccoglie una sterminata serie di sigle della società civile, ha già<br />

depositato in Cassazione tre quesiti e si appresta a partire con la raccolta delle firme il 24-25 aprile. Così<br />

come l'Italia dei Valori. Il partito di Di Pietro si è spinto, però, oltre. Presentando delle proposte anche per il<br />

legittimo impedimento e per la legge che reintroduce il nucleare per uso civile in Italia. «Il referendum - ha<br />

spiegato Bersani - è una battaglia fondata ma lo strumento referendario da solo non basta». Perché, sempre<br />

secondo il leader del Pd, è inadeguato «sia per la scarsa efficacia dimostrata negli ultimi anni (24 referendum<br />

persi su 24 dal 1995 in poi), sia perché abroga leggi senza definirne di nuove e di più efficaci». PROPOSTA<br />

Da qui la proposta di una nuova norma. Che è anche il frutto di un compromesso tra le tante anime locali del<br />

partito. Da nord a sud le differenze in materia di gestione dei servizi idrici sono notevoli. La scelta di Bersani,<br />

dunque, è anche il frutto di una sintesi non facile. Per ora, comunque, la cornice del progetto è costituita da<br />

sei linee guida. La prima riguarda la costituzione di una forte Autorità indipendente, compartecipata da Stato<br />

e regioni, in grado di regolare la gestione. Questa Authority, pensata sul modello dell'Aifa (farmaci), dovrebbe<br />

definire gli standard di servizio, monitorare i risultati, applicare sanzioni in caso di mancato investimento,<br />

incentivare qualità, efficienza e risparmio. La seconda, invece, prevede un forte ruolo delle regioni e degli enti<br />

locali nelle scelte di affidamento del servizio idrico. Da realizzare, e siamo al terzo paletto, con una gestione<br />

industriale del servizio «che consenta economie di scala, assicuri qualità omogenea e garantisca sicurezza<br />

degli approvvigionamenti». Per fare questo, quarta linea guida, bisogna dare un quadro normativo chiaro<br />

«affidando alle regioni il compito di organizzare il servizio idrico integrato» sulla base di ambiti territoriali<br />

ottimali, definiti secondo diversi parametri. Le tariffe poi, quinto obiettivo, modulate come corrispettivo del<br />

servizio, «devono prevedere una tariffa sociale per dare agevolazioni a determinate fasce di reddito e a nuclei<br />

familiari numerosi, e una tariffa che incentivi il risparmio idrico». VINCOLI Infine, ultima linea guida, devono<br />

essere presenti dei «meccanismi che vincolino alla realizzazione degli investimenti necessari per migliorare il<br />

servizio, stimati in almeno 60 miliardi di euro, con l'impegno aggiuntivo per garantire lo stesso livello di<br />

servizio idrico in ogni area del paese». Un punto fondamentale, quest'ultimo. Oggi la tariffa è commisurata al<br />

livello degli investimenti. Soldi che spesso, però, rimangono sulla carta (circa la metà). Con il risultato che in<br />

molte zone del Paese si paga una tariffa elevata a fronte di pochi interventi sulla rete. Una delegazione del<br />

Forum italiano dei movimenti dell'acqua manifesta di fronte a Montecitorio<br />

SCIOPERO Sciopero ieri e manifestazione a Roma dei lavoratori dei centri di Manutenzione delle<br />

Meccanizzazioni Postali delle imprese Stac e Logos sotto Poste Italiane. La protesta continua.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 20<br />

Ginevra, conferenza del giornalismo investigativo. L'attacco di Berlusconi? Un successo... «Le frasi del<br />

premier mi hanno dato l'ansia. Non so se tornerò a scrivere per Mondadori»<br />

Contagiati dal «virus»-Saviano: «Sono qui, per parlare di mafia»<br />

Giornalista fra giornalisti Il collega cinese: «Come possiamo fare se il governo ci sta addosso?»<br />

CLAUDIA FUSANI<br />

INVIATA A GINEVRA È stato «doloroso» ascoltare Silvio Berlusconi affermare che «scrivere di mafia è un<br />

modo di promuovere la mafia». Ma per lo scrittore è forse più doloroso capire che molti italiani su Gomorra<br />

sono d'accordo con il premier. Roberto Saviano è un virus che corre veloce. E la sue parole contro la camorra<br />

e contro le mafie, sono, se possibile, da oggi sempre di più un anticorpo contro il crimine organizzato.<br />

Esattamente l'effetto contrario di quanto sperava di ottenere il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.<br />

«Scrivetemi, sul web - dice a chi gli chiede come poter restare in contatto con lui per scambiare informazioni<br />

e punti di vista - lì sono libero, vi lascio il mio indirizzo» sorride lo scrittore di Casal di Principe alla platea dei<br />

500 giornalisti arrivati a Ginevra da tutto il mondo per scambiare le ultime esperienze dirette su cosa significa<br />

oggi fare giornalismo investigativo (Global investigative journalism conference). Saviano è special guest di<br />

questa sesta conferenza internazionale che mette a confronto i reporters investigativi. Gomorra è stato<br />

tradotto in 53 paesi e ha venduto oltre cinque milioni di copie in paesi che non diresti mai, dal Montenegro<br />

alla Cina passando per l'India e la Russia. È un giornalista - di successo e costretto a vivere sotto scorta -<br />

davanti a centinaia di giornalisti. A cui dice: «Contro l'isolamento e l'omertà, per proteggere chi scrive ed è<br />

minacciato, l'unico modo per resistere è scrivere, usare e credere nella forza delle parole». Un virus, appunto,<br />

che corre in fretta tra i block notes ma soprattutto negli occhi e nelle orecchie di chi ascolta: il giovane<br />

giornalista egiziano che cerca di denunciare la corruzione nel suo paese; la cronista bulgara che chiede<br />

"come fare" per mettere a nudo le mafie che la fanno da padrone nel suo paese; il free lance cinese che<br />

chiede aiuto: «Come possiamo fare noi in Cina dove il governo ci sta addosso e controlla tutto quello che<br />

scriviamo?». Continuare a scrivere, usare la forza delle parole e farle diventare proprietà di chi legge, dice<br />

Saviano, «perché la nuova frontiera del giornalismo non è solo scrivere ma far sì che la notizia passi e diventi<br />

altro». Qualcosa di ingombrante, da cui non si può più prescindere e per questo pericolosa. Lancia un'idea:<br />

«Contro l'isolamento e il rischio di non essere pubblicati servirebbe un'Internazionale dei giornalisti». Saviano<br />

è l'ospite d'onore. Oggi lo sarà il premio Pulitzer Seymour Hersh, colui che ha firmato lo scandalo di My Lai in<br />

Vietnam e, più recentemente, sulle violenze da parte delle truppe americane nel carcere iracheno di Abu<br />

Graib. Inevitabile che il confronto dei giornalisti con Saviano diventi un faccia a faccia sulle ultime<br />

affermazioni del premier Silvio Berlusconi che sabato scorso, citando proprio l'autore di Gomorra, ha detto:<br />

«Basta parlare e scrivere di mafia, chi lo fa fiancheggia la mafia e danneggia il paese». Parole che hanno<br />

aperto un caso con la casa editrice con cui Saviano pubblica, la Mondatori di proprietà del Presidente del<br />

Consiglio. «Quelle parole mi hanno dato ansia - dice a una platea muta e attentissima - perchè non sono<br />

state una più che legittima critica bensì un giudizio perentorio che fa venire meno i principi liberali che hanno<br />

sempre guidato, finora, la mia collaborazione con Mondatori». Il problema, aggiunge, è che «mentre qui oggi<br />

l'affermazione chi-scrive-di-mafia-fiancheggia-la-mafia genera una risposta stupita, una buona fetta di italiani<br />

invece la condivide, specie nel sud del paese». L'Italia invece è il paese dove le mafie fatturano cento miliardi<br />

di euro l'anno, dove un «sottosegretario è stato accusato dalla magistratura di collusione con la camorra ma<br />

resta al suo posto e dove un senatore ha potuto essere eletto con i voti dell'ndrangheta». Sono Cosentino e<br />

Di Girolamo. Questa è l'Italia, anche. E questo va denunciato fino alla noia «perché l'unico modo che io<br />

conosco per onorare il mio paese è proprio raccontare la verità». Una verità che non riguarda solo l'Italia ma<br />

oramai il mondo intero dove il crimine organizzato ha raggiunto una potenza economica e militare<br />

elevatissima che sarà la trama del prossimo libro. Con Mondatori? »Ancora non lo so. È una scelta difficile».<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 22<br />

J'accuse della Federazione degli editori : senza tariffe agevolate è un colpo durissimo Proposta una tassa<br />

sul web «Basterebbe un euro al mese». Ma su Internet è rivolta<br />

Fieg, sui giornali misure punitive Governo fermo davanti alla crisi<br />

La torta La Tv si prepara a intercettare il 60% della pubblicità disponibile<br />

BIANCA DI GIOVANNI<br />

ROMA Crolla la pubblicità, i margini si riducono ai minimi. Per l'editoria lo scenario è cupo. Gli editori<br />

avanzano una raffica di proposte fiscali. Ma soprattutto chiedono subito una riforma complessiva del settore.<br />

Due colpi fatali si sono abbattuti sull'editoria: la crisi (durissima) e le misure punitive del governo. Un<br />

combinato disposto che ha ridotto ai minimi i margini delle società, con ricavi che stentano a coprire le spese.<br />

Il 2009, con il crollo della pubblicità (specie per la carta stampata, anomalia tutta italiana) è stato l'annus<br />

horribilis: quello in corso non sembra migliorare di molto. È un vero grido d'allarme quello lanciato ieri dal<br />

presidente Fieg (la federazione italiana degli editori dei giornali) Carlo Malinconico presentando lo studio<br />

annuale sul s e t t o r e r i f e r i t o a l t r i e n n i o 2007-2009. L'accusa è chiara: l'editoria sta scontando una<br />

tra «le crisi più acute della sua lunga storia». Eppure il governo «non solo non è intervenuto per attenuare gli<br />

effetti di una congiuntura difficile e per allentare quei nodi strutturali che soffocano il settore», ma ha fatto il<br />

contrario, adottando misure «punitive» come la soppressione delle tariffe postali agevolate. Tanto che tra le<br />

proposte delle aziende editoriali spunta anche quella di far pagare una mini tassa ai «navigatori» del w e b , p<br />

e r s o s t e n e r e i l s e t t o r e . Un'idea che ha già provocato una mini-rivolta su Internet. «È solo una<br />

proposta - spiega Malinconico - con un euro al mese si rastrellerebbero circa 70 milioni. D'altronde chi va sul<br />

web cerca soprattutto prodotti editoriali: sarebbe giusto finanziare l'editoria». In ogni caso è urgente una<br />

revisione complessiva del settore: ecco perché gli editori spingono per l'immediata convocazione degli stati<br />

generali dell'editoria, già da tempo promessi dal governo e ora annunciati per giugno. CONTI COL<br />

GOVERNO L'agenda politica sul fronte editoria è fitta di nodi da sciogliere. L'ultimo, più urgente, riguarda il<br />

rirpistino della agevolazioni postali, sospese per i tagli imposti dal Tesoro. Una misura che mette a rischio<br />

centinaia di testate che vivono grazie agli abbonamenti. proprio su questo punto è partita ieri un'interpellanza<br />

al governo (primo firmatario Vincenzo Vita, Pd) firmata da oltre 140 parlamentari. Ma i conti con il governo<br />

sono aperti anche su altri punti. Gli editori chiedono una politica fiscale che rilanci il settore, con l'Iva<br />

differenziata anche per il web (oggi c'è solo per la carta stampata al 4%) e con sgravi sugli utili che nel 2010<br />

saranno reinvestiti in pubblicità. Sarebbe un modo per liberare il mercato dalle secche della crisi. Nei primi<br />

mesi del 2010 il calo della pubblicità sui quotidiani ha segnato un lieve rallentamento (+0,6%), a fronte però di<br />

un crollo del 16,4% del 2009. Peggio per i periodici, che segnano -13,5% dopo il -29,3 dell'anno scorso.<br />

Delude anche l'andamento delle vendite, che per i quotidiani segna un -6%. Negativi fatturato e margini, con<br />

perdite che sfiorano il 93%. In queste condizioni, resta forte in Italia il divario tra il mercato pubblicitario della<br />

Tv e quello della carta stampata. Una situazione che non ha eguali in Europa. Mentre da noi il video si avvia<br />

a superare il 60% della «torta» disponibile, in Francia la distribuzione è bilanciata (circa 34% a testa tra Tv e<br />

carta) e nel resto dell'Europa è addirittura capovolta: 60 contro 30, ma in favore dei giornali. «Ci sarà pure<br />

qualcosa in Italia che favorisce la Tv», commenta diplomatico Malinconico. SIDDI (FNSI) «Stanno andando a<br />

casa 700 colleghi». Dopo simili sacrifici «il costo del lavoro non può essere compresso oltre una certa misura,<br />

pena il deperimento finale del sistema».<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 22<br />

Verducci (Pd) : raccogliere l'allarme contro i tagli<br />

«La politica ha il dovere di raccogliere l'allarme lanciato dalla Fieg contro i tagli all`editoria, l`ultimo, in ordine<br />

tempo, dopo i tanti provenienti dalle associazioni di categoria e sindacali e dai cdr di numerose testate».<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 33<br />

Ratzinger chiamato in causa con Bertone e Sodano: hanno insabbiato Lo scandalo travolge il tedesco Mixa<br />

e l'irlandese Moriarty<br />

Vittima Usa denuncia il Papa Abusi, si dimettono due vescovi<br />

ROBERTO MONTEFORTE<br />

CITTÀ DEL VATICANO Avvocato Usa attacca il Papa e i cardinali Sodano e Bertone per aver «insabbiato» le<br />

denunce contro preti pedofili. Si dimettono un presule in Irlanda e il vescovo di Augusta. Mea culpa della<br />

Chiesa d'Inghilterra e Galles. Papa Ratzinger, già prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,<br />

l'attuale segretario di Stato, cardinale Bertone e il suo predecessore, Angelo Sodano sono stati chiamati a<br />

rispondere per «frode e insabbiamento» davanti alla corte del tribunale di Milwaukee negli Usa. È l'avvocato<br />

delle vittime del clero pedofilo, Jeff Anderson che torna all'attacco contro la Santa Sede. L'accusa è di aver<br />

coperto le molestie sessuali di padre Lawrence Murphy, che avrebbe abusato di 200 ragazzini di una scuola<br />

per sordomuti. Questo è il terzo tentativo di chiamata in causa del Vaticano, del legale statunitense che<br />

denuncie analoghe, ancora pendenti, ha già avanzato davanti alle corti dell'Oregon e del Kentucky.<br />

L'avvocato Anderson è in possesso di lettere raccomandate della vittima al Vaticano in cui nel 1995 chiede<br />

aiuto per ridurre padre Murphy allo stato laicale. Anderson afferma che le lettere furono ricevute, ma rimasero<br />

senza risposta. Ora l'avvocato Anderson chiede che il Vaticano consegni le liste dei preti molestatori e i<br />

dossier segreti su tutti i casi di abuso da parte del clero. Contro la denuncia presentata in Oregon il Vaticano<br />

ha fatto ricorso alla Corte Suprema invocando l'immunità che spetta agli stati sovrani. Il giudizio è ancora<br />

sospeso. Continuano le dimissioni di vescovi e le richieste di perdono alle vittime degli abusi. Il Papa ieri ha<br />

accolto le dimissioni del vescovo irlandese monsignor James Moriarty, portando così a tre il numero dei<br />

vescovi irlandesi che si sono dimessi a causa dello scandalo sugli abusi sessuali. Moriarty aveva presentato<br />

le sue dimissioni a dicembre, dopo un rapporto ufficiale che lo citava tra i prelati dell'arcidiocesi di Dublino che<br />

avevano coperto i casi degli abusi sessuali di preti su minori. Ieri monsignor Moriarty ha ammesso le sue<br />

responsabilità. «Avrei dovuto contrastare la cultura prevalente», ha detto. «Chiedo scusa a tutti i<br />

sopravvissuti e alle loro famiglie». Dimissioni anche in Germania. Le ha presentate al pontefice il vescovo di<br />

Augusta, monsignor Walter Mixa, che ha ammesso - dopo averlo negato - di avere maltrattato bambini<br />

quando era sacerdote. SI SCUSA LA CHIESA D'INGHILTERRA Percorso di purificazione anche per la<br />

Chiesa d'Inghilterra e Galles. Ieri i vescovi cattolici hanno presentato le loro scuse ufficiali per lo scandalo<br />

degli abusi sui bambini, affermando che «non esistono scusanti» per quanto è accaduto. Il comunicato della<br />

conferenza episcopale inglese e gallese è stato presentato dall'arcivescovo di Westminster Vincent Nichols,<br />

che ne ha definito il contenuto «molto sentito» e «privo di ambiguità». Il testo, che verrà distribuito a tutte le<br />

diocesi in Inghilterra e Galles, afferma che i sacerdoti che si sono macchiati degli abusi hanno «gettato nella<br />

vergogna più profonda tutta la Chiesa». E prosegue: «Questi crimini terribili e la risposta inadeguata di alcuni<br />

leader ecclesiastici, addolorano tutti noi». I vescovi chiedono perdono alle vittime e «a chi si è sentito<br />

ignorato, non creduto o tradito» e sottolineano il dovere della Chiesa di evitare che gli stessi errori vengano<br />

ripetuti. «Le procedure che ora esistono nei nostri Paesi evidenziano ciò che si sarebbe dovuto fare subito.<br />

La piena cooperazione con gli organi competenti è essenziale». IL SITO LA RADIO VATICANA<br />

www.radiovaticana.it<br />

Foto: Augusta Il vescovo dimissionario Walter Mixa<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 32<br />

La stampa Tory accusa il leader liberaldemocratico di finanziamenti illeciti La politica estera al centro del<br />

dibattito elettorale ieri sera fra i capi dei 3 maggiori partiti<br />

Londra, Clegg alla sfida tv con l'incubo fondi neri<br />

No a Gordon Brown «Mi propone un patto fra progressisti solo perché è disperato»<br />

GABRIEL BERTINETTO<br />

Il liberaldemocratico Clegg dagli osanna per la straordinaria ascesa nei favori popolari alle accuse della<br />

stampa filo-tory: ha ricevuto finanziamenti illeciti. Attesa per i nuovo sondaggio dopo il dibattito tv di ieri sera.<br />

Nick Clegg vola nei sondaggi, e gli avversari corrono ai ripari. C'è chi, come il premier in carica Gordon<br />

Brown, tende la mano per offrire al rivale un'«alleanza progressista» fra laburisti e liberaldemocratici, e chi<br />

alza il pugno per scagliare sassi o manciate di fango. Due giornali filo-conservatori pubblicano articoli che<br />

presentano l'immagine dell'uomo nuovo della politica britannica in una luce completamente nuova rispetto a<br />

quella dominante nei media da una settimana. Da quando cioè i sondaggi hanno cominciato a rilevare la sua<br />

strabiliante ascesa nei favori popolari. DA CHURCHILL A HITLER Il Daily Telegraph accusa il leader<br />

liberaldemocratico di avere incassato sul proprio conto bancario privato versamenti destinati al partito. Il<br />

quotidiano parla dei contributi che Clegg avrebbe ricevuto da tre imprenditori e manager industriali nel 2006,<br />

quando nel partito era responsabile della politica interna. I donatori sono Ian Wright, ai vertici della Diageo,<br />

Neil Sherlock, responsabile delle relazioni pubbliche della società di revisione Kpmg, e Michael Young,<br />

proveniente dal settore delle miniere d'oro. À Clegg, secondo il Daily Telepgraph, versarono ogni mese<br />

quell'anno somme sino a 250 sterline. Quel conto serviva tra l'altro a pagare le rate del mutuo della casa. Un<br />

altro giornale, il Daily Mail, cita un articolo scritto da Clegg nel 2002 e lo usa per mettere in dubbio le sue<br />

credenziali progressiste in materia di politica dell'immigrazione. All'epoca il rivale odierno di Brown e<br />

Cameron nella corsa a Downing Street, era membro del Parlamento europeo. Clegg parlò di un «mal riposto<br />

senso di superiorità britannica» originato dalla vittoria sulla Germania nella seconda guerra mondiale. Parole<br />

sufficienti al Daily Mail per titolare così: «Clegg coinvolto in una diffamazione nazista della Gran Bretagna».<br />

Reazione ironica dall'accusato: «Devo essere il primo politico che in una sola settimana da Churchill è<br />

diventato Hitler». Il paragone con Churchill era stato fatto il giorno in cui l'indice di popolarità di Clegg sfiorò i<br />

massimi raggiunti dal grande statista. Rispetto alle ipotesi di finanziamenti illeciti, Clegg ammette di avere<br />

«ricevuto denaro da questi tre amici». Ma sostiene che «è stato offerto in modo appropriato, ricevuto in modo<br />

appropriato, dichiarato in modo appropriato e usato in modo appropriato per pagare parte dei salari di membri<br />

del mio staff. Qualsiasi insinuazione che io abbia fatto qualcosa di scorretto non sta in piedi e pubblicherò i<br />

dati per dimostrarlo». Quanto alle avances di Gordon Brown, Clegg le liquida come l'espediente di «un<br />

politico disperato», che teme la sconfitta. IN ASCESA I Liberal-Democratici hanno raddoppiato il favore degli<br />

elettori in 57 seggi-chiavi della Gran Bretagna, in molti di questi la loro ascesa danneggerebbe più il partito di<br />

Brown che quello di Cameron. E si attendono i responsi delle nuove indagini demoscopiche dopo il dibattito<br />

televisivo fra i tre candidati andato in onda ieri sera, dedicato prevalentemente alla politica estera.<br />

Foto: Astro nascente Nei sondaggi il liberaldemocratico Nick Clegg batte Tory e laburisti<br />

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ED. NAZIONALE<br />

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Da Verona: l'associazione indicata come «successore universale dei trucidati nella primavera del '44» Sette<br />

gli imputati per gli eccidi dell'Appennino. Decisivo il capo d'imputazione del pm De Paolis<br />

Processo agli eccidi, l'Anpi parte civile Il tribunale: «Sono gli eredi delle<br />

vittime»<br />

L'avvocato « Precedente importante per rilanciare Resistenza e Antifascismo »<br />

GIULIA GENTILE<br />

Il tribunale militare di Verona rende note le motivazioni con cui ha consentito all'Anpi di essere parte civile nel<br />

processo contro le Ss per gli eccidi del Modenese, Reggiano, Aretino... «Farà giurisprudenza». BOLOGNA<br />

«L'Associazione nazionale partigiani d'Italia è storicamente l'erede di tutti quei gruppi e formazioni che, dal<br />

1942-43 in avanti, hanno costituito centro di riferimento collettivo di di grandissima parte della popolazione<br />

italiana che, animata dal medesimo sentimento di restituire in maniera definitiva al Paese libertà e<br />

democrazia, ha agito nelle più svariate forme, anche non necessariamente armate». Per questo l'Anpi, nelle<br />

sue sedi locali di Modena e Reggio Emilia, e nella sua «madre» nazionale, dev'essere ammessa come parte<br />

civile a processo in quanto «successore universale» delle centinaia di civili e «banditi» trucidati<br />

sull'Appennino tosco-emiliano dal 18 marzo al 5 maggio 1944. Solo nove pagine lineari, per affermare per la<br />

prima volta un principio destinato a fare giurisprudenza. Così, la corte del Tribunale militare di Verona<br />

presieduta dal giudice Giovanni Pagliarulo, lo scorso 19 aprile ha motivato la decisione di acconsentire a che<br />

l'associazione di ex garibaldini, azionisti e «azzurri» diventasse parte in causa nel processo in corso sugli<br />

eccidi di Monchio, Susano e Costrignano nel Modenese, Civago e Cervarolo nel Reggiano, vari paesi sul<br />

monte Falterona fra le province di Forlì ed Arezzo, e Mommio, vicino Massa. I SETTE IMPUTATI Sette gli ex<br />

gerarchi del Reparto ricognizione nella divisione «Hermann Göring» della Luftwaffe (Erich Koeppe, 93 anni,<br />

Hans Georg Karl Winkler, 87enne, Fritz Olberg, di un anno più vecchio, Wilhelm Karl Stark, 89 anni,<br />

Ferdinand Osterhaus, 92enne, Helmut Odenwald, 90 anni, e Gunther Heinroth, 84enne) che, per oltre<br />

sessant' anni, avevano scansato la richiesta di giustizia dei famigliari delle vittime grazie all'occultamento di<br />

centinaia di fascicoli sui crimini nazisti nell'Armadio della vergogna di Palazzo Cesi, a Roma. E ora, ad<br />

ottenere un risarcimento in caso di condanna degli imputati, per i danni materiali e morali derivati dalla<br />

carneficina nei paesini dell'Appennino, ci sarà anche l'Anpi. L'associazione ci aveva già provato negli anni<br />

passati. E in altri, più grossi, procedimenti nati dai faldoni nascosti fino al 1994 nello scantinato della Procura<br />

generale militare. Come quello che, nel maggio 2008, ha condannato in appello dieci ex Ss della 16a<br />

Panzergrenadierdivision Reichsfuhrer per il massacro di Montesole: quasi 800 persone uccise tra il 29<br />

settembre e il 5 ottobre 1944. Ma l'«impresa» è riuscita solo al legale di parte civile Andrea Speranzoni, che<br />

insieme all' Anpi difende oltre cento famigliari delle vittime di carneficine nel Modenese, e la Provincia di<br />

Modena. A motivare la sua richiesta di costituzione, anche un passo del capo d'imputazione firmato contro gli<br />

ex gerarchi nazisti dal Pm Marco De Paolis. Nella richiesta di rinvio a giudizio, gli imputati vengono accusati<br />

di avere avuto la «finalità di ampie operazioni punitive contro i partigiani e la popolazione civile che a quelli si<br />

mostrava solidale». E proprio queste condotte, scrivono i giudici militari nell'ordinanza, «concretizzano il<br />

delitto rispetto al quale" l'Anpi è "soggetto danneggiato». Una «decisione condivisibile dal punto di vista<br />

giuridico - il commento di Speranzoni - e che costituisce un precedente importante per difendere, in ogni<br />

ulteriore processo, i principi dell'antifascismo e della Resistenza portati avanti dall'Anpi».<br />

Foto: I superstiti degli eccidi nell'appennino tosco-emiliano durante un avversario<br />

Chi è Il magistrato della piccola Norimberga all'italiana<br />

MARCO DE PAOLIS 51 ANNI MAGISTRATO MILITARE PROCURA DELLA SPEZIA Romano, lavora da 20<br />

anni alla procura militare della Spezia. Nel 1994 da palazzo Cesi, dal celebre armadio della vergogna,<br />

arrivano 214 fascicoli sulle stragi nazi-fasciste in Italia. Decide di fare indagini, difficili, lontane, con imputati<br />

90enni. Ci riesce, processa tutte le più note Ss che nel 1944 trucidarono i civili italiani. Fa condannare i<br />

responsabili di Marzabotto e di Stazzema.<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 48<br />

VOCI D'AUTORE<br />

LA MAFIA E LE PAROLE<br />

Carlo Lucarelli<br />

SCRITTORE Vorrei tornare sulle frasi infelici del Presidente del Consiglio a proprio di chi scrive di mafia e in<br />

particolare su Saviano. Non tanto perché a pronunciarle sia stato un editore per il quale scrivono molti autori<br />

che la pensano diversamente da lui, come il sottoscritto, situazione che ha aperto un dibattito etico-letterario<br />

acceso. Dal punto di vista editoriale ci sarebbero problemi qualora certe idee infelici venissero messe in<br />

pratica con una effettiva censura, cosa che la mia esperienza mi consente di escludere. Il problema più grave<br />

è che a pronunciare quelle frasi sia il Presidente del Consiglio. Dire che scrivere di mafia screditi l'immagine<br />

dell'Italia significa fare torto a quelle persone che la combattono e che proprio in quelle pagine vengono<br />

raccontate. Dire che la mafia italiana per pericolosità è la sesta del mondo ma visto che ci sono tanti autori<br />

che ne parlano il mondo la conosce come prima, significa ragionare con una logica da marketing aziendale.<br />

Sarebbe come dire che se un marchio non si pubblicizzasse, cioè se di un problema non si parlasse, la gente<br />

non lo conoscerebbe e quindi sarebbe come se non esistesse. Che politicamente è un gran brutto modo di<br />

affrontare i problemi. Che fa tornare in mente brutti ricordi, perché fare finta che la mafia non esista è come<br />

dire che la mafia non esiste, come affermavano tempo fa mafiosi, politici chiacchierati e prelati quantomeno<br />

ingenui. E addirittura un passo indietro rispetto alla frase che con la mafia bisogna convivere di qualche anno<br />

fa. Allora, se queste frasi infelici venissero solo da un editore questo sarebbe già un motivo per un bel<br />

dibattito politico-letterario. Ma dal momento che vengono dal Premier assumono tutt'altra urgenza e<br />

importanza. Per cui all'aggettivo «infelici», aggiungo anche «stupide» e «pericolose».<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 21<br />

Il festival<br />

Google: «57 richieste di censura di interventi dalle autorità italiane»<br />

Festival di Perugia La giornalista del Tg1 «A volte servono prese di posizione dure...»<br />

MARIA SERENA PALIERI<br />

INVIATA A PERUGIA Sul finale dell'incontro su "Donne media e potere", Tiziana Ferrario, già conduttrice del<br />

Tg1 delle 20 sollevata dall'incarico dal direttore Augusto Minzolini, si sente chiedere: tornerà in video? «Non<br />

lo so. In certi casi servono prese di posizione dure. E c'è un prezzo che si paga» replica. Se, accanto a<br />

questa battuta al volo, mettiamo quella della vignetta di Massimo Bucchi su Repubblica dell'altroieri, una<br />

silhouette d'altri tempi ma in cuffia che dice «È che l'informazione sta entrando in clandestinità», misuriamo la<br />

situazione un po' surreale in cui si svolge il Festival internazionale del giornalismo che, giunto alla quarta<br />

edizione, è in corso a Perugia fino a domenica prossima. In cinquecento metri, tra l'ottocentesco hotel Brufani<br />

e il trecentesco magnifico palazzo de' Notari, c'è un concentrato esplosivo di media "new", ma anche "old":<br />

blogger che pestano sui tasti accanto a classici cameraman, lo stand di "Current", la tv di Al Gore, decorato<br />

coi poster con Saviano e, lievemente storditi, ad aggirarsi nel tutto noi vecchi giornalisti della carta. Però,<br />

appunto, siamo a Perugia, Italia, il paese dove grazie al più grandioso conflitto d'interessi del pianeta<br />

l'informazione sta entrando in clandestinità... Google da alcuni giorni, in nome della trasparenza, offre un<br />

nuovo servizio, "Richieste governative": è un mappa, dove a ogni paese corrisponde il numero di richieste di<br />

rimozione di contenuti ricevute dalle autorità. Dall'Italia nell'ultimo seÈ accaduto negli ultimi sei mesi del 2009.<br />

«Accolte per il 75%» La rete è libera, o forse no. Il Tg1 di sicuro no. Ferrario non sa se tornerà in video: «Per<br />

criticare Minzolini sapevo di pagare un prezzo» mestre del 2009 ne sono arrivate 57, concernenti per lo più<br />

blog, blogger, filmati su You Tube. Google informa che ne ha accettate il 75%, ma ancora non informa su<br />

quale tipo di "contenuti" le nostre "autorità" (governo?) abbiano tentato di esercitare una censura: sarà<br />

interessante, quando si saprà... Ma consoliamoci: in Europa, per questo tipo di richieste, siamo i terzi, dopo<br />

Germania e Regno Unito. Conflitto d'interessi a parte, il tema dello scontro tra libertà e censura attraversa lo<br />

spazio mediatico planetario: esempio classico, qui, i ribelli di Teheran e il grido d'aiuto che sono riusciti a<br />

mandare attraverso Twitter; ma anche, notano Vittorio Zambardino e Massimo Russo, autori del saggio<br />

Eretici digitali, il "lato oscuro" dello stesso Google, oligarca (o monopolista) planetario della pubblicità in Rete.<br />

Accanto a questo tema, quello della lotta tra vecchi e nuovi media che, spiega l'ideatrice del Festival, Arianna<br />

Ciccone, rischia di tradursi in uno scontro - infruttuoso - tra "dinosauri e Avatar". Piacciano o meno come stile<br />

giornalistico, i due esempi di nuova integrazione tra giornalismo su carta e Web che il 2009 da noi ha offerto,<br />

qui illustrati, sono le "dieci domande" di Repubblica al presidente del Consiglio, rimbalzate grazie alla Rete,<br />

spiega Ezio Mauro, su cento giornali di tutto il mondo, e "Il fatto quotidiano", nato prima in Rete e poi arrivato<br />

in edicola. Partecipando ai dibattiti offerti dal Festival, si ha la sensazione che dovevano provare gli antichi<br />

trasportatori di legname quando, sui fiumi americani, navigavano sulla corrente tenendo i piedi su due tronchi<br />

galleggianti. «Nessuno sa cosa sarà il giornalismo tra dodici mesi. E neppure tra sei» dice Josh Young. E se<br />

lo dice lui che è il social media editor di The Huffington Post, il blog nato nel 2005, dove hanno "postato"<br />

Obama e Michael Moore, Madonna e Hillary Clinton, insomma il sito politico più potente del mondo...<br />

Foto: Roberto Saviano<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 17<br />

RELIGIONE E COMUNICAZIONE<br />

LA COMUNIONE SECONDO BERLUSCONI<br />

Maria A. Coscioni*, Luisa Bossa**<br />

Nei summit internazionali fa cucù alla Merkel, fa le corna nelle foto, intona i cori alle spalle di una indispettita<br />

regina Elisabetta. E non si risparmia neppure durante i sacramenti. Al matrimonio di qualche sua amica ha<br />

sorriso ammiccante accanto allo sposo e al battesimo della figlia del ministro Gelmini ha tenuto a precisare<br />

che il nome Emma lo ha scelto, anzi imposto, lui. L'ultima scena ha riguardato il funerale di Raimondo<br />

Vianello. Anche lì, il premier Berlusconi è riuscito a guadagnare la scena. E la telecamera. Sul finir della<br />

cerimonia, il nostro ineffabile presidente si è messo in fila per la Comunione. Lui, che ha alle spalle due<br />

matrimoni falliti e un divorzio, con il secondo in corso. La Chiesa, come si sa, su questo punto è perentoria.<br />

Papa Benedetto XVI, nel recente documento «Sacramentum caritatis», scrive: «Se l'Eucarestia esprime<br />

l'irreversibilità dell'amore di Dio in Cristo per la sua Chiesa, si comprende perché essa implichi, in relazione al<br />

sacramento del Matrimonio, quella indissolubilità alla quale ogni vero amore non può che anelare. Il Sinodo<br />

dei vescovi ha confermato la prassi della Chiesa di non ammettere ai sacramenti i divorziati risposati, perché<br />

il loro stato oggettivamente contraddice quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata e attuata<br />

nell'Eucaristia». Dunque, Berlusconi non aveva diritto a prendere la comunione. Il sacerdote che officiava la<br />

cerimonia gliel'ha porta ugualmente. Ha fatto male? Io credo che quel povero prete non avesse alcuna scelta.<br />

Immaginatevi cosa si sarebbe scatenato se avesse rifiutato l'ostia a Berlusconi in diretta tv. Polemiche,<br />

dibattiti, insulti. Come minino l'indomani, Vittorio Feltri avrebbe messo un cronista del Giornale alle calcagna<br />

del povero sacerdote per scoprire chissà cosa nel suo passato e sbatterlo in prima pagina. La verità è che<br />

Berlusconi a quella coda per l'ostia consacrata non doveva presentarsi. Lui sa bene di non poter accedere<br />

all'Eucarestia. A giugno del 2008, a Porto Rotondo, all'inaugurazione del nuovo campanile della chiesa di San<br />

Lorenzo, Berlusconi chiese al vescovo di Tempio Pausania: «Eccellenza, perché non cambiate le regole per<br />

noi separati e ci permettete di fare la comunione?». Il vescovo rispose «Lei che ha potere, si rivolga a chi è<br />

più in alto di me». Tutti intesero che si riferisse al Papa. Berlusconi, invece, l'ha intesa evidentemente come<br />

riferita a se stesso. "Chi ha più potere di me?", deve aver pensato. Quindi, d'autorità, si è auto-confessato dei<br />

suoi peccati, si è ovviamente auto-assolto, si è auto-ammesso all'Eucarestia. Ha usato, più o meno, il suo<br />

metodo di governo. Ha modificato con un "decreto spirituale d'urgenza, ad personam" la norma religiosa ed è<br />

andato a prendersi la Comunione. Ovviamente in diretta tv e in favore di telecamera.<br />

*DEPUTATO RADICALE, **DEPUTATO PD<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 2<br />

Filo rosso<br />

Te lo dico in faccia<br />

CONCITA DE GREGORIO<br />

Segnatevi questa data perché l'era del superuomo è finita. Certo ci vorrà tempo, mesi forse anni perché il<br />

naturale dibattito interno di un partito diventi veleno che lo corrode e lo sfinisce come è accaduto, appunto<br />

negli anni, ai partiti che abbiamo conosciuto prima dell'avvento del messia, fossero di destra di centro o di<br />

sinistra. Ci vorrà tempo, quello del Pdl si conta da ieri. Il centralismo carismatico su cui è stato costruito a<br />

prezzo del sacrificio della destra di Fini - e per buone ragioni, ragioni di marketing elettorale e di posti di<br />

potere - ha conosciuto un affronto finora impensabile: come nella fiaba del bambino e del re in mutande.<br />

Osanna al re, e nella folla una voce che dice: ma è nudo. A Berlusconi non deve essere mai successo niente<br />

di simile, di certo non in pubblico. Il mito del sole in tasca, del venditore fortunato, dell'uomo dei miracoli<br />

adorato dalle genti non contempla possibilità di critica. Nessuno fra i suoi ha mai saputo o potuto dire forte:<br />

imbrogli, sbagli, menti. Non conveniva. Ha detto ieri Fini: lo facevano solo sottovoce e quando voltava le<br />

spalle. L'unica è stata la moglie, ma quella è una vicenda privata e abbiamo visto comunque quanto feroce<br />

sia stata e sia ancora l'ira del sovrano e la vendetta: umiliata, ritratta nuda come "velina ingrata" e fatta<br />

inseguire dai giornali di famiglia fin nelle isole ad aprile deserte. Ora è Fini, però, che si alza e lo indica col<br />

dito dalla platea sbalordita (impagabile la faccia del fido Bonaiuti seduto accanto) e gli si rivolge chiamandolo<br />

per cognome: «Berlusconi, te lo dico in faccia». L'elenco di quel dirà è incompleto e sommario, date le<br />

circostanze. Tu sai bene come sono andate le cose nelle presentazione delle liste a Roma. I giornalisti<br />

"lautamente pagati da tuoi parenti stretti" mi danno la caccia perché dico quello che penso, mi trattano da<br />

traditore. Berlusconi è sotto choc. Lo vedete qui come non l'avete visto mai: prende il microfono e strilla tu<br />

non sei venuto in piazza San Giovanni, tu non puoi parlare così sei il presidente della Camera. Sottinteso, ma<br />

neanche tanto: io te l'ho data e io te la tolgo. Sei roba mia anche tu. Ecco, questo hanno visto ieri milioni di<br />

italiani. L'inizio del tramonto del Re Sole. La prima ombra, per le conseguenze vedremo. Potrà comprare i<br />

finiani uno ad uno, come ha promesso, ma d'ora in avanti sarà in pubblico. E poi l'esito non dipenderà solo da<br />

Fini. Tutto il mondo politico, sinistra compresa, si muove da oggi in uno scenario nuovo. Un'ottima occasione<br />

per battere un colpo, volendo anche due. P.s. Vi diciamo oggi chi sono nove delle famiglie che non hanno<br />

pagato la retta per la mensa dei figli, ad Adro. Leghisti e destra si sono sgolati a dire chi non ha soldi non<br />

pretenda di mangiare, troppo comodo sperare nei benefattori. Famiglia numero uno: operaio in Cig, coniuge<br />

disoccupata, 4 figli (8,4,3 anni e 8 mesi), reddito 2009 tremila euro, affitto mensile 400. Così fino alla nona. Si<br />

potrebbe ora sostenere che chi non ha lavoro è meglio che i figli non li faccia. Lo diranno, vedrete. L'unico<br />

problema sarà distribuire anticoncezionali alle famiglie operaie: la Chiesa potrebbe ritenerlo contrario alle<br />

scritture. Immorale, il preservativo. Per i bambini senza pranzo invece tutto ok. Governo Adro.<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 10<br />

Intervista a Pier Luigi Bersani<br />

«Una rissa mai vista Rischiamo una fase di pericolosa instabilità»<br />

Il segretario Pd «Berlusconi non governa, lavora solo per il suo consenso Rivolgo un appello a tutti, da Fini<br />

alla Lega: un patto per difendere la democrazia»<br />

RINALDO GIANOLA<br />

MILANO Quello che abbiamo visto è sconcertante, anche sconveniente per il nostro paese. La rissa avvenuta<br />

nel pdl sarebbe impossibile in qualsiasi altro partito europeo. Non avendo l'abitudine e la possibilità di fare<br />

delle discussioni vere, Berlusconi offre al suo partito solo l'alternativa tra il silenzio e lo scontro». Pierluigi<br />

Bersani, segretario del pd, è fortemente preoccupato per le conseguenze che la spaccatura interna alla<br />

maggioranza, tra Berlusconi e Fini, potrà avere sulle istituzioni, sul paese già paralizzato dall'inerzia del<br />

governo e colpito dai tragici effetti della crisi economica e sociale. Onorevole Bersani, ha visto che<br />

spettacolo? «È stata una rissa, un fatto incredibile. E pur in questo clima di rissa sono emerse differenze<br />

profondissime perché i temi sollevati da Fini non sono noccioline, riguardano i valori fondamentali della<br />

democrazia, l'unità della nazione, le riforme istituzionali. Sono questioni decisive per il paese. Il fatto che il<br />

centrodestra non riesca a trovare convergenze su queste questioni apre la strada a una nuova lunga fase di<br />

paralisi dell'azione di governo, proprio in un momento in cui tutti gli italiani avrebbero bisogno di una guida<br />

sicura e riformatrice. La destra continua a deludere: negli ultimi dieci anni ben otto sono stati governati da<br />

Berlusconi e l'Italia non ha visto alcuna riforma, né economica né istituzionale. E continuerà a non vederle».<br />

Nel dibattito del pdl è emersa la concezione proprietaria di Berlusconi verso il partito e le istituzioni: se Fini<br />

non è d'accordo deve dimettersi dalla presidenza della Camera. «Berlusconi è assolutamente sincero quando<br />

dice queste cose, è convinto di aver ragione. È impressionato dall'eventualità che si possa fare una<br />

discussione vera, democratica nel suo partito. Il confronto trasparente, leale, rispettoso delle posizioni a lui fa<br />

l'effetto di un cane in chiesa. Ha una concezione aziendale della democrazia e della politica, il suo impegno è<br />

finalizzato solo a far funzionare il meccanismo padronal-plebiscitario che alla fine non funziona. Fa politica<br />

non per scegliere e decidere, ma per accumulare consenso, opera con l'orecchio al sondaggio quotidiano, a<br />

lui il paese che declina non interessa, il suo interesse è perpetuare il potere. Questo è il vero dramma<br />

italiano: il rapporto tra società e democrazia viene sotanzialmente interrotto da una forma di accumulazione<br />

del consenso che non prevede decisioni, ma solo di tirare a campare, di fare surf da una promessa all'altra»<br />

Come finisce questa battaglia? «Non so come l'aggiusteranno, ma non la risolveranno perché sui temi di<br />

fondo c'è un'incrinatura radicale. Magari ci mettono una pezza diplomatica, ma non sarà una soluzione<br />

definitiva. Spingerà il paese verso l'instabilità e l'impotenza». Perché questa tensione è esplosa dopo il voto<br />

regionale? «Non è un caso. L'ho sempre detto: attenti alle analisi del voto. Per noi ci sono stati elementi di<br />

delusione ma non significa che è stata una vittoria della destra e di Berlusconi. Per la prima volta il pdl ha<br />

subito un forte arretramento, ha perso tanti voti, c'è stata una modificazione strutturale del rapporto tra Lega e<br />

pdl. C'è stata la novità del distacco dell'elettorato di destra da Berlusconi e se noi paghiamo perché non<br />

offriamo ancora un'alternativa percorribile loro pagano più di noi certe astensioni per l'impotenza dell'azione di<br />

governo. Questi elementi sono penetrati nel pdl, ci sono stati incendi e rissa». Il pd che ruolo gioca in questo<br />

momento? «Dobbiamo denunciare la paralisi del pdl, di un governo che non decide. Voglio rivolgere un<br />

appello a tutte le forze, ma proprio a tutti anche a Fini e alla Lega, a tutti coloro che non intendono proseguire<br />

la strada sulla curvatura plebiscitaria. Propongo un patto repubblicano per difendere gli assetti della<br />

democrazia nel solco della nostra Costituzione. Rivolgo un appello a tutte le forze disponibili, anche oltre il<br />

centrosinistra, a lavorare per cambiare l'agenda del paese sulle questioni economiche, sociali, del lavoro». I<br />

prossimi passi del suo partito? «Lavoriamo sulla strada indicata dal congresso, dobbiamo far emergere la<br />

nostra alternativa credibile. Un contributo forte in questa direzione lo daremo con la nostra prossima<br />

assemblea, dobbiamo tenere assieme politica, programmi e il paese su punti cruciali come le istituzioni, il<br />

fisco, il lavoro cercando di prospettare soluzioni credibili a tutti gli italiani». Mentre il pdl litiga, Tremonti dice<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 10<br />

che siamo ancora in crisi. «La destra ha una faccia tosta sesquipedale. Ho sentito dire dal governo che le<br />

nostre ricette avrebbero spinto l'Italia verso la Grecia... Voglio ricordare a Tremonti che per due volte loro<br />

hanno avviato il traghetto verso la Grecia e siamo stati noi a farlo tornare indietro. A giorni alterni Tremonti<br />

dice che stiamo meglio degli altri o che siamo nei guai, si decidesse a fare qualcosa per la crescita<br />

dell'economia, per dare lavoro, respiro alla gente e alle imprese. Il governo si perde in chiacchiere, osserva la<br />

sfera di cristallo, propone filosofie insopportabili». La Fiat di Marchionne, intanto, ha lanciato una sfida al<br />

mondo del lavoro e al governo. Come la giudica? «Bisogna riconoscere che la Fiat ha presentato un<br />

ambizioso piano industriale, purtroppo è uno dei pochi o pochissimi piani industriali di cui si può discutere. Il<br />

piano offre una novità rilevante, cioè l'aumento dei volumi di produzione in Italia fino a 1,4 milioni di auto. Ci<br />

sono poi dei problemi da approfondire, in particolare l' impatto con il mondo del lavoro. Voglio credere che<br />

con una discussione seria con il sindacato si possa giungere a un accordo sull'organizzazione e la flessibilità<br />

del lavoro. In più rimane oscura la prospettiva di alcuni luoghi di produzione. Per Termini Imerese avrei<br />

gradito un cenno di disponibilità per accompagnare la fabbrica a una soluzione industriale credibile. Capisco<br />

le esigenze di Marchionne, ma quello non è uno stabilimento qualsiasi in un posto qualsiasi. Non ho capito<br />

bene, poi, dove si faranno i motori e cosa sarà del nostro formidabile tessuto di imprese dell'indotto». Forse ci<br />

vorrebbe un piano pubblico di politica industriale. «Questo è un tema che metterei al primo posto. Il governo<br />

deve capire quale sarà il destino delle nostre imprese dell'indotto auto, sono un patrimonio di tecnologia,<br />

innovazione, di posti di lavoro che rischiamo di perdere di fronte all'internazionalizzazione delle case<br />

automobilistiche. Mobilitiamo, se necessario, politiche pubbliche, fondi europei, mettiamoci al tavolo con la<br />

Fiat e vediamo cosa possiamo fare insieme. Ma ci vorrebbe una politica industriale che oggi non si vede».<br />

Pier Luigi BersaniLe frasi<br />

La rissa della destra blocca la ripresa e le riformeBerlusconi ha una concezione proprietaria e aziendale del<br />

partito e delle istituzioni. Il confronto democratico lo infastidisce come un cane in chiesa<br />

Fini pone questioni fondamentali per la nostra democrazia, non è un caso che questa rissa sia esplosa dopo<br />

il risultato delle elezioni regionali Tremonti a giorni alterni dice che stiamo meglio degli altri o che siamo nei<br />

guai. Sull'economia la destra ha una faccia tosta sesquipedale Marchionne avrebbe potuto dire una parola su<br />

Termini Imerese. Capisco gli interessi della Fiat, ma quella non è una fabbrica qualsiasi in un posto qualsiasi<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 11<br />

Colloqui a sinistra Per tenersi pronti nell'ipotesi voto<br />

S.C.<br />

Bisogna accelerare nella costruzione di una credibile alternativa di governo. Pier Luigi Bersani lo ha ripetuto<br />

negli incontri di ieri, mentre si produceva la lacerazione all'interno del Pdl. Perché se è vero che nuove<br />

elezioni nell'immediato sono escluse, è anche vero che tre anni di governo, così, sono impensabili. Il<br />

segretario del Pd ne ha discusso prima con Antonio Di Pietro e poi con Paolo Ferrero, mentre nei prossimi<br />

giorni dovrà incontrare Nichi Vendola. Contatti (un appuntamento formale con Pier Ferdinando Casini per ora<br />

non è stato fissato in agenda) che nelle intenzioni di Bersani devono servire a verificare con quali forze<br />

politiche "pronte alla sfida del governo" sia possibile iniziare a costruire un'agenda di alternativa che abbia al<br />

centro, "insieme", questione sociale e questione democratica. Di Pietro si è detto pronto ad avviare questo<br />

confronto, ma ha messo sul piatto anche un'altra questione: la scelta del candidato premier. Il leader dell'Idv<br />

ha fatto notare che se ci sarà una crisi improvvisa e il centrosinistra non si sarà accordato su un nome, il<br />

rischio è che finisca come alle regionali del Lazio, dove la mancanza di un percorso condiviso ha costretto un<br />

impreparato centrosinistra ad accettare una pura autocandidatura. Di Pietro non ha avanzato nomi, ma ha<br />

parlato di "una persona che esprima una pacificazione social e "da scegliere fuori dalla "nomenklatura del<br />

centrosinistra". Bersani ha lasciato cadere l'argomento (a chi glielo ha domandato pubblicamente ha risposto<br />

che non ne hanno neanche parlato) perché ritiene prioritario il confronto programmatico. Che non parte in<br />

discesa. Ferrero, a nome della Federazione della sinistra, ha fatto sapere al leader Pd che "prima<br />

dell'alternativa va costruita l'opposizione nel paese, a partire dai temi sociali" e che "bisogna superare la<br />

gabbia del bipolarismo". Quanto a Verdi e Sinistra e libertà, i rapporti giusto ieri hanno subito un contraccolpo<br />

dal fatto che Bersani ha detto, circa la battaglia contro la privatizzazione dell' acqua, che "la strategia<br />

referendaria non è quella del Pd".<br />

L UNITA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 9<br />

Unità d'Italia<br />

Tremonti, regista dell'asse del Nord attacca Vendola<br />

BIANCA DI GIOVANNI<br />

ROMA Quella «meridionale è una questione che conosciamo e riconosciamo noi soli come nazionale». Nella<br />

curata regia degli interventi pro-Silvio (e anti-Gianfranco) a Giulio Tremonti spetta il compito di affondare sul<br />

sud, mondo di riferimento degli ex Aennini. E il superministro lo fa da par suo: attaccando a testa bassa la<br />

giunta Vendola, difendendo la scelta federale. Sul governatore della Puglia Tremonti riversa tutta la sua<br />

carica ironica di cui spesso ha dato prova. Vendola è accusato di pagare la gente «più che per lavorare, per<br />

osservare» solo perché ha creato un osservatorio. Altro capo d'accusa, la politica espansiva avviata per<br />

affrontare la crisi. E qui sono cifre all'impazzata. Il governatore avrebbe «speso tre miliardi e mezzo, con un<br />

pacchetto anticrisi di 708 milioni di euro, per creare 1.262 posti di lavoro. Ogni nuovo posto è costato 561mila<br />

euro. Un po' caro!». Infine, la critica più sentita dalle schiere pidielline, quella contro il «fighettismo» il<br />

«culturame». Vendola ha pensato a un cineporto a Bari, manco ci fosse un Woody Allen pronto a girare un<br />

film in quel di Puglia, ironizza il ministro. Sui numeri la replica di vendola è stata secca. «E i soldi spesi per il<br />

G8 alla Maddalena?» Il governatore della Puglia sotto accusa per la sua politica anticrisi: troppe spese.<br />

Secca la replica da Bari: e i soldi del G8 della Maddalena? E i fondi del sud alle quote latte del nord? Tutto<br />

per dire che il Sud merita altro: ovvero merita la destra di Silvio, o il federalismo di Umberto Bossi, che<br />

finalmente porterà la Buona Amministrazione anche nelle lande desertiche sotto il Rubicone. Questo il senso<br />

del discorso. Smontato nelle fondamenta da una sola piccola frase di Fini: dove sono finiti i fondi Fas utilizzati<br />

per le quote latte del Nord? Quattro parole che dicono tutto del federalismo formato leghista: lo Stato pensa al<br />

nord, e il Sud deve pensare a se stesso. L'intervento di Tremonti , tuttavia, non serve soltanto ad attaccare<br />

Fini e i suoi, ma anche a riconfermare il proprio profilo all'interno della coalizione. Ministro fedele, architrave<br />

dell'alleanza con la Lega, personalità di peso nella scena internazionale. Pur di riproporre questa sua<br />

immagine rassicurante e solida, il ministro è disposto anche a dichiarare cose che in altre occasioni aveva<br />

sempre negato. Per esempio sulla crisi. «Non siamo fuori, ma all'opposto siamo ancora dentro una crisi<br />

economica che è la più grave dagli anni 30 e che a tutt'oggi ci si presenta incognita», ammette. Poi, l'inchino<br />

al capo. «Se non abbiamo fatto la fine della Grecia non è stato solo per merito mio. è stato per merito di tutti<br />

noi e soprattutto per merito di Silvio Berlusconi che, alla forza delle idee ha saputo aggiungere la sua visione<br />

di sintesi e la forza di base del consenso popolare e parlamentare». Un vero giuramento di fedeltà<br />

inossidabile. Strano che quel consenso del popolo, tanto propagandato per Berlusconi, venga cancellato nel<br />

caso di Vendola. Il governatore pugliese è stato appena riconfermato, con un vantaggio sulla destra superiore<br />

a quello di cinque anni fa, eppure per Tremonti il responso delle urne in questo caso non pesa. Come dire:<br />

c'è popolo e popolo. Quello che conta e quello che si può tranquillamente ignorare. L'importante è ribadire<br />

l'egemonia della destra a trazione leghista, in cui Tremonti resta una figura decisiva di garanzia. PROVINCE<br />

ITALIANE Nessuna abolizione delle province, ma nessuna nuova provincia. Berlusconi ha così «chiarito» ieri<br />

il programma di governo su questa annosa questione<br />

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Pag. 8<br />

La conta imposta Le assenze che pesano Gli ex An<br />

I finiani incassano la mazzata: sono il 6% «Ci vogliono cacciare»<br />

Carmelo Briguglio «Quel documento è la teorizzazione della dittatura, un pericolo» In undici votano contro il<br />

documento finale che esclude le correnti Dopo lo scontro tra i leader ritirano gli interventi: «Il dibattito è<br />

chiuso» La rabbia verso gli ex colonelli ora berluscones, da Alemanno a La Russa<br />

NATALIA LOMBARDO<br />

ROMA ABerlusconi farebbe comodo se noi ce ne andassimo, e c'è chi ha lavorato molto perché questo<br />

accadesse». Roberto Menia, uno dei 52 che hanno firmato il documento pro-Fini, triestino ex missino con la<br />

fiaccola del Fronte della Gioventù sulla giacca, non nasconde la rabbia verso gli ex colonnelli di An ormai<br />

fedelissimi di Berlusconi: l'attivismo di Alemanno nel raccogliere le firme dei «75» antifiniani, il passo dell'oca<br />

di La Russa. Alle cinque, davanti all'Auditorium della Conciliazione (nome surreale, ieri) il drappello dei finiani<br />

aspetta di valutare il documento che la maggioranza avrebbe prodotto poco dopo. «Se è un sostegno al<br />

governo lo votiamo, se accusa la minoranza no». La parola d'ordine è: «Fedeli a Fini, fedeli al governo».<br />

Dopo il rodeo verbale tra i leader, in una riunione con il presidente della Camera avevano deciso di non<br />

parlare, in 22 avevano rinunciato perché «Berlusconi ha già replicato invece di farlo dopo il dibattito. E noi<br />

abbiamo detto tutto, non serve una mozione». Il resto sarà la carrellata di «maggiordomi» fedeli al Capo. 11<br />

VOTI CONTRARI Sul documento finale indurito rispetto a una prima versione, Berlusconi «ha scelto di fare<br />

emergere la minoranza», spiega Flavia Perina, direttore de Il Secolo , che prima era ottimista: «Adesso non<br />

potrà più accusare Fini di essere un traditore, geloso, Grillo parlante...». Ma il colpo mortale arriva nel testo in<br />

cui leggono «la perfidia di Bondi» e che sembrava scritto dal premier. Il quale nelle ultime due ore ha<br />

trafficato con i fogli al tavolo della presidenza, assistito dai coordinatori Verdini e La Russa. E ha imposto la<br />

frase che «è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso»: «Le correnti negano la natura stessa del Pdl». Il<br />

cavaliere ha voluto la conta dei finiani. Ha verificato ad occhi stretti, uno a uno, chi nella platea ha alzato la<br />

mano: 11 contrari sui 18 previsti. Molti erano fuori, Raisi (additato dal premier per aver ribattuto agli attacchi<br />

di Sallusti a Tetris : «io sono una coppia di fatto!), è corso a prendere un aereo, Urso e Bocchino (anche loro<br />

segnati a vista), erano fuori. Volutamente Denis Verdini ha contato solo i contrari e l'astenuto (Beppe Pisanu),<br />

non i favorevoli ormai poco più di 50 (172 gli aventi diritto al voto). Carmelo Briguglio, uno degli 11, è<br />

allarmato: «Il documento crea un grave vulnus alla democrazia italiana. È la teorizzazione della dittatura, non<br />

si riconosce il Parlamento, il Capo dello Stato, solo il Popolo...». I finiani si preparano a combattere ogni<br />

giorno a carte scoperte, «condannati a convivere», per Menia; Andrea Ronchi, unico dei ministri, già evitava<br />

la definizione «minoranza» e annuncia che «continueremo a dire la nostra senza volontà di rompere». Ma «in<br />

Parlamento, cosa passerà più in aula?» dice un deputato. A rischiare la sfiducia è il vicecapogruppo alla<br />

Camera Italo Bocchino, col quale ce l'hanno tutti per aver alzato i toni. I finiani puntavano alla «concessione»<br />

di un congresso. DOCUMENTO «INACCETTABILE» spiega Donato Lamorte, già capo della segreteria<br />

politica di Almirante e poi del delfino Gianfranco. Dopo lo scontro è uscito «a prendere una boccata d'aria».<br />

La sigaretta. Gli tremano le mani dalla rabbia, «Berlusconi ha detto quella frase da irresponsabile: se vuoi<br />

fare politica te ne vai dalla presidenza della Camera. E con che livore, una cosa mai vista. A Fini consiglierò<br />

di essere responsabile, contro l'irresponsabilità di uno statista...che gestisce il partito come un'azienda». La<br />

mattina Lamorte aveva incassato come un successo la disponibilità alle riforme condivise e scherzava: «Non<br />

vorrei che con la vicinanza - del Cupolone - qualcuno si credesse Papa...». A via della Scrofa raccoglie<br />

telefonate di militanti arrabbiati: «Ma dove cavolo ci avete portato?». L'esclusione del dissenso era<br />

organizzata nella scaletta degli interventi, nelle accuse di Bondi a Campi e Farefuturo , di Verdini e di La<br />

Russa che non vede più concorrenza con la Lega che fra tre tabaccai in una piazza: «Al Nord abbiamo perso<br />

500mila voti ma li riprenderemo». Amedeo Laboccetta, l'unico dei 52 che farà una preghiera alla pace,<br />

consiglia Fini di abbozzare, Raisi e la Perina lo spronano: vai giù duro. Come farà. Senza risparmiare colpi a<br />

Ignazio (un ironico «bravo» quando il premier usa il coordinatore per dire a Fini che «non sono mai arrivate le<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 8<br />

tue richieste»). È feroce con gli ex colonnelli che lo accusano di tradimento: «Coloro usi all'applauso e alla<br />

pubblica approvazione, salvo dire tutt'altro quando si girano le spalle» (memore delle cattiverie contro di lui<br />

alla Caffettiera). Alemanno rinnova fedeltà al premier, Gasparri qualche conto in sospeso con Fini ce l'ha<br />

pure: «Lui dentro An è stato massacrato, ma altri no», raccontano. Matteoli si presta alla sceneggiata<br />

mattutina sulle prodezze del governo, finché Fini non straccia il copione: alle 12,50 fa cenno al premier che si<br />

fa tardi, non vorrai oscurarmi nei tg delle 13. Ci pensa il Tg1. Il finiano Italo Bocchino<br />

Gianfranco Fini, durante il suo intervento<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 7<br />

Lo strappo<br />

Un capo partito non può disporre delle istituzioni<br />

Le riforme Recuperato il ruolo dell'opposizione contro l'ex amico<br />

MARCELLA CIARNELLI<br />

ROMA Che le istituzioni siano indisponibili alla volontà di un capo partito, a seconda del suo interesse del<br />

momento, è concetto del tutto estraneo alla cultura politica di Silvio Berlusconi. Se n'è avuta una riprova, nel<br />

caso ve ne fosse bisogno, quando a Gianfranco Fini, il "ribelle", non ha trovato altro da dire che "vuoi fare<br />

politica? Lascia la presidenza della Camera» ricevendo come risposta sdegnata «sennò mi cacci?». È tutta in<br />

questo scambio di battute la concezione che il premier ha delle istituzioni. L'infedele Fini deve lasciare libera<br />

la poltrona. Che magari potrebbe tornare utile per gratificare un fedelissimo. La Camera dei Deputati vissuta<br />

come un consiglio di amministrazione in cui, alla fine, decide il gran Capo dopo aver consentito una parvenza<br />

di dibattito. Lo stesso ragionamento vale quando il premier minaccia le elezioni anticipate, dimenticando che<br />

non spetta a lui deciderlo. A preparargli il terreno per la sortita demagogica di ieri, in aperta contraddizione<br />

con la cultura del maggioritario, aveva provveduto il presidente del Senato, che proprio questo concetto<br />

aveva anticipato in un'intervista parlando del destino del suo collega della Camera. Se Fini vuole fare politica,<br />

deve lasciare la presidenza di Montecitorio e entrare al governo. Questa la sintesi del pensiero di Renato<br />

Schifani che ieri, fatto l'assist al capitano indiscusso, ha scelto di essere assente alla kermesse della non<br />

conciliazione per andare a parlare agli studenti della Lumsa. Verrebbe da chiedere: se la scelta deve essere<br />

tra il far politica o guidare le istituzioni perché i vertici di Senato e Camera sono stati scelti esclusivamente tra<br />

esponenti della maggioranza? E cosa c'entra l'invito a lasciare un incarico al di sopra delle parti e, quindi,<br />

indisponibile alle forze politiche ignorando, almeno così appare, che il presidente della Camera ha deciso di<br />

porre un problema politico di democrazia interna al partito di cui è stato più cofondatore di Giovanardi e<br />

Rotondi, ribadendo un principio peraltro sancito dalla Costituzione. Quello scelto da Fini potrebbe essere<br />

interpretato anche un modo di esercitare la funzione istituzionale fino in fondo. Non ha avanzato una richiesta<br />

finalizzata ad un proprio interesse personale ma piuttosto la sua sembra una scelta a favore di una cultura<br />

politica che rischia di scomparire, quella del confronto, positivo se costruttivo, all'interno di una medesima<br />

formazione politica. Ma Berlusconi non la pensa così. E misurarsi con un dissenso destinato a ridurgli i<br />

margini di manovra lo ha portato addirittura a recuperare il concetto che le eventuali riforme sarebbe meglio<br />

farle in accordo con l'opposizione. Apertura verso tutti pur di metter all'angolo l'ex amico. Che non se ne va. E<br />

che potrebbe far valere in ogni momento le proprie ragioni.<br />

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Pag. 33<br />

Belgio, scontro fiamminghi-valloni Cade il governo guidato da Leterme<br />

La Ue preoccupta Tra due mesi Bruxelles assumerà la presidenza di turno<br />

Cade il Leterme II, ennesima vittima della guerra delle lingue che da anni provoca di fatto la paralisi politica<br />

del Belgio e la crisi del governo belga suscita preoccupazione per le possibili ripercussioni sulla ripresa<br />

economica e incertezza a livello Ue, visto che fra due mesi Bruxelles dovrà assumere la presidenza di turno.<br />

Da qualche giorno ormai la crisi era nell'aria e anche se gli alleati nel pentapartito di governo puntavano a<br />

stemperare le tensioni e a prendere tempo, il giovane capo dei liberali fiamminghi, il trentaquattrenne<br />

Alexander de Croo, alla sua sua prima battaglia politica da leader di partito, ha rotto gli indugi, annunciando<br />

ieri di non sostenere più il governo guidato al cristiano-democratico fiammingo Yves Leterme. L'oggetto del<br />

contendere è quello di sempre. In Belgio è conosciuto semplicemente con una sigla Bhv, vale a dire la<br />

circoscrizione Bruxelles-Hal-Vilvorde, che raccoglie 54 comuni alla periferia della capitale belga, già in<br />

territorio fiammingo, ma a forte presenza di francofoni. Si tratta dell'unica del Belgio in cui vige un doppio<br />

regime linguistico ed amministrativo. I fiamminghi, che sono la maggioranza in Belgio, puntano ad una<br />

scissione, limitando le concessioni ai francofoni per puntare all'integrità linguistica del territorio e soprattutto<br />

per impedire loro di avere la possibilità di votare per formazioni politiche fiamminghe e francofone. Prima<br />

delle dimissioni di Leterme, i liberali fiamminghi hanno anche tentato un colpo di mano in parlamento<br />

cercando di sfruttare i numeri a loro favore per fare passare una risoluzione su una scissione già ieri<br />

pomeriggio. Ma la crisi al momento ha congelato questa iniziativa in attesa che re Alberto conduca le sue<br />

consultazioni. Il monarca belga si è riservato di accogliere le dimissioni di Leterme prendendo tempo e<br />

verificando quali strade siano percorribili. Il tentativo è quello di evitare le elezioni anticipate, che si terrebbero<br />

a giugno, proprio a ridosso dell'inizio della presidenza di turno belga dell'Ue.<br />

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Pag. 27<br />

Il dirigente dell'ufficio immigrazione Ronconi e il generale Carrarini: dettero gli ordini «Avrebbero tenuto una<br />

condotta violenta per riportare i migranti nel territorio libico»<br />

Li portarono in Libia: «Fu violenza privata» Rinvio a giudizio per i vertici<br />

della Gdf<br />

FELICE DIOTALLEVI<br />

ROMA Al centro del reato non è il «respingimento in se» - spiegano in Procura a Siracusa - ma la mancata<br />

applicazione della legge italiana sul territorio nazionale, così come è considerata una nave della Guardia di<br />

Finanza. La Procura della Repubblica di Siracusa ha disposto il rinvio a giudizio per «concorso in violenza<br />

privata» del direttore della direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero<br />

dell'Interno Rodolfo Ronconi e del generale della Guardia di Finanza Vincenzo Carrarini. La richiesta riguarda<br />

il «respingimento» di 75 immigrati che, tra il 29 e il 31 agosto del 2009, furono intercettati da navi delle<br />

Fiamme gialle al largo di Portopalo di Capo Passero e che furono riportati in Libia su una nave della Gdf. La<br />

Procura ha chiesto e ottenuto dal Gip il proscioglimento dei militari della Guardia di Finanza che intervennero<br />

sul posto «ma che avevano operato per ordini superiori non manifestamente illegittimi». Il processo a<br />

Ronconi e Carrarini si celebrerà al Tribunale di Siracusa, in composizione monocratica. Quella notte fra il 30<br />

e il 31 agosto dell'anno scorso, un gommone con a bordo 75 migranti, compresi alcuni bambini, partito dalla<br />

Libia fu bloccata da unità navali della Guardia di Finanza in acque internazionali, al largo di Portopaolo di<br />

Capo Passero. Sembrava l'ennesima operazione di soccorso di clandestini impegnati nel viaggio della<br />

speranza verso la Sicilia, porta d'Europa. Gli extracomunitari furono fatti salire sulla nave Denaro della<br />

Finanza, ma invece di condurli in Italia li riportò in Libia, affidandoli alle autorità locali. La notizia fu riportata<br />

dai quotidiani e il procuratore capo di Siracusa, Ugo Rossi, aprì un'inchiesta conoscitiva e dispose indagini sul<br />

conto di diversi militari. Gli ordini di respingimento, secondo la ricostruzione della magistratura siracusana,<br />

che li contesta ritenendo la nave territorio italiano in cui si applica la legge italiana, arrivarono direttamente da<br />

Roma e per questo la Procura ha disposto la citazione a giudizio, per violenza privata, del direttore Ronconi e<br />

del generale Carrarini.<br />

Foto: Un barcone con un centinaio di migranti in balia del mare, in un'immagine dell'estate scorsa<br />

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Pag. 6<br />

Il Cavaliere<br />

Il Cavaliere medita vendetta «Lo caccio se non riga diritto»<br />

Berlusconi confida ai suoi «non mi farò rosolare a fuoco lento». Il documento approvato è come una spada di<br />

Damocle sulla testa di Fini . Se la «guerriglia sarà continua» pensa di andare al voto Rabbuiato Per la prima<br />

volta c'è dissenso: e lui indicava gli 11 con la matita<br />

NINNI ANDRIOLO<br />

ROMA Uno schiaffo» quella percentuale "bulgara" che ha relegato Fini "ai margini del Pdl, "dove pensa di<br />

andare con quei numeri?". Al di là degli 11 voti contrari che il Cavaliere indicava personalmente puntando la<br />

matita e scrutando i vari angoli della sala, quel volto rabbuiato raccontava l'umore del premier più delle<br />

espressioni soddisfatte consegnate ai fedelissimi a direzione conclusa. Per la prima volta il dissenso - seppur<br />

minoritario - si è fatto largo a forza nel Pdl. Il monolitismo berlusconiano è messo a dura prova. Il premier ne<br />

è consapevole e il dover fare i conti con una minoranza che si autoproclama "componente organizzata"<br />

provoca un risentimento difficile da celare. Altro del "tutto normale" ostentato dal premier alla fine di una<br />

giornata che ha mostrato al Paese la rissa senza precedenti tra i cofondatori del Pdl, quindi. Fini ha creato<br />

una falla nel fortino del Cavaliere e la durissima delegittimazione del cofondatore, che serpeggia dal primo<br />

all'ultimo rigo del documento vergato personalmente dal premier, ne è la prova. «Non mi farò rosolare a fuoco<br />

lento» - ripete Berlusconi. E se il Presidente della Camera non ha alcuna intenzione di lasciare il Pdl, dovrà<br />

"rigare dritto". Se non si adegua alle decisioni della maggioranza "potrà essere cacciato". Da Palazzo Chigi e<br />

dintorni si affannano a far notare il cosiddetto "dispositivo di espulsione" votato ieri. Lecito il "dibattito" - recita<br />

il testo - purché il confronto porti a "decisioni finali" che avranno "carattere vincolante". Chi non si adeguerà a<br />

questa sorta di neocentralismo democratico in salsa azzurra subirà "ogni iniziativa". Il presidente e i<br />

coordinatori garantiranno "il rispetto delle decisioni votate democraticamente". Il fatto è che Fini, ieri, ha<br />

sfoderato l'arma della "lealtà" e del "diritto al dissenso". Che - ha garantito - non si tradurrà nel voto contrario<br />

alle iniziative del governo e della maggioranza. Ma è la fase della discussione, del confronto, della "trattativa<br />

continua" - in politica si chiama "capacità di mediazione" che provoca l'orticaria al Cavaliere. Silvio minaccia,<br />

così, il voto anticipato. A preoccupare, in realtà, è la possibilità che il dissenso finiano peschi trasversalmente<br />

nel malessere che cova sotterraneamente tra i parlamentari Pdl. Senza contare "l'impatto" nel Paese del<br />

"discorso programmatico" di Fini. "I numeri per andare avanti e governare li abbiamo anche senza Fini -<br />

tuona il Cavaliere con i suoi collaboratori - Ma contro la guerriglia continua ci sarebbe una sola via d'uscita: le<br />

elezioni". Che la giornata volgeva al peggio lo si capiva fin dalla prima mattinata di ieri. Quando il Cavaliere,<br />

esponendo l'ordine degli interventi, inseriva il nome di Fini tra quelli dei molti esponenti Pdl elevati<br />

all'improvviso al rango di cofondatori: Rotondi, Giovanardi, Caldoro, Dini, ecc. Tutti sullo stesso piano dell'ex<br />

leader di An. Per arginarlo la "regia" berlusconiana aveva organizzato un accerchiamento d'interventi:<br />

coordinatori, ministri, sottosegretari, ecc. Tanti a lodare e un unico "bastian contrario". Berlusconi,<br />

introducendo i lavori, aveva cercato di togliere argomenti "all'avversario". Il Pdl poco democratico? Macché.<br />

Ci sarà un congresso entro il 2101 e assise congress u a l i c o n c a d e n z a a n n u a l e . "Gianfranco"<br />

condanna le riforme istituzionali a colpi di maggioranza? Silvio assicura che si faranno ''solo con il consenso<br />

di tutti'', opposizione compresa. Tensione evidente quando Fini prende la parola. Berlusconi si rabbuia,<br />

prende appunti nervosamente, intreccia le braccia, sfodera espressioni sempre più irritate. Si indispettisce<br />

quando l'ex leader di An mette in guardia dal "centralismo carismatico". Poi gli intima di stringere i tempi.<br />

Sbuffa, cava fuori fogli a ripetizione da una carpetta. Poi, quando il Presidente della Camera completa il suo<br />

intervento, si alza di scatto, stringe frettolosamente la mano a Fini e si avvia verso il microfono. La rissa<br />

comincia e rimbalza via tv in tutte le case. Gianfranco chiede "dignità umana" per gli immigrati? "Le posizioni<br />

della Lega sono le stesse che aveva An", replica il premier. "Mi sembrava di sognare", esordisce Berlusconi a<br />

proposito dell'intervento del cofondatore. "Delle cose che hai chiesto non ho mai avuto notizia, La Russa non<br />

me ne ha mai parlato". Poi il premier tira il suo colpo basso. E rivela che "martedì scorso, Letta mi è<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

testimone, hai detto di esserti pentito di aver fondato il Pdl". Il Giornale di Feltri contro il cofondatore? "Ho già<br />

detto che voglio venderlo, anzi se conosci qualche imprenditore a te vicino fallo venire avanti" E infine. "Se<br />

vuoi fare politica lascia la presidenza della Camera". E nel Pdl si ragiona attorno al disegno di sfiduciare<br />

politicamente il Presidente della Camera. Guerra dichiarata, quindi. "In ogni caso se Gianfranco andrà via dal<br />

Pdl non lo seguirà nessuno - avverte il Cavaliere - I suoi uomini glieli sfileremo ad uno ad uno...". Silvio<br />

Berlusconi ieri all'Auditorium della Conciliazione, durante la direzione Nazionale<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 4<br />

La giornata<br />

In diretta tv Fini chiude l'era del partito di uno solo<br />

Ha attaccato Berlusconi in nome della democrazia interna. Il premier ha replicato con violenza, disabituato ad<br />

essere messo in discussione «Te lo dico in faccia: ti tradisce alle spalle chi ti sostiene pubblicamente»<br />

SUSANNA TURCO<br />

ROMA Le ultime parole che si scambiano sul palco sono un dialogo muto, senza microfoni, affidato ai labiali.<br />

«Io non mi muovo. E che fai, mi cacci?», domanda Gianfranco Fini. «Ci sto pensando», risponde Silvio<br />

Berlusconi. In sala, l'Auditorium della Conciliazione, c'è un caos calmo e allibito. Quattrocentosettanta<br />

persone, il fior fiore del Pdl, cui è cascata la mandibola. A parte Lamberto Dini, capacità di concentrazione a<br />

occhi chiusi superiore a qualsiasi urlo, Sandro Bondi è prossimo al mancamento, Giuseppe Pisanu ha<br />

l'occhio che brilla, Maurizio Gasparri è scivolato sulla sedia e fissa il telefonino, Gianni Alemanno sta seduto<br />

con i gomiti puntati sulle ginocchia, come si guarda una partita di calcio. In onda, in effetti, sta andando il film<br />

che nessuno si sarebbe mai sognato di vedere davvero. C'è Fini che contesta Berlusconi, c'è Berlusconi che<br />

va fuori di sé perché questa è davvero l'unica cosa che non concepisce, c'è che tutto questo va in in diretta<br />

tv, e c'è soprattutto il partito tendenzialmente di plastica, modello per decenni, che si capovolge di botto -<br />

perché mancano la cultura e il tono delle normali liturgie congressuali - in un incrocio tra un congresso della<br />

Dc e Amici di Maria de Filippi. Casa Vianello, azzarda uno, precisando però a dire il vero Sandra e Raimondo<br />

battibeccavano meno di Gianfranco e Silvio. La questione della corrente di minoranza che Fini ieri ha di fatto<br />

costituito, nonostante sia stata votata una mozione che le nega la possibilità di esistere, diventa, si capisce<br />

da sé, secondaria: un effetto della valanga di ieri, pronto a trasformarsi nella causa della valanga di domani.<br />

Più forte di tutto ciò, è lo spettacolo che va in scena. Delle conseguenze di quel battibeccare sanguinolento,<br />

di quel che vuol dire da domani per il partito di cui dovrebbero essere i co-fondatori, infatti, Berlusconi sembra<br />

inconsapevole, e Fini noncurante. Le loro strade divergono eppure restan avvolti in un'unica bolla di sapone,<br />

la loro. Perché ripetono uno spartito noto, recitato già in tante occasioni dietro qualche porta, tra stucchi e<br />

arazzi e l'impassibile Gianni Letta. Lo si vede dalle ricorrenze. «Gianfranco ti ho spiegato cento volte».<br />

«Berlusconi è inutile che mostri insofferenza». «Gianfranco non ti consento di attribuirmi cose che non ho mai<br />

detto». «Berlusconi lo so che questa cosa ti fa innervosire». «Gianfranco ma su questo stiamo lavorando tutti<br />

i giorni». «Berlusconi ti ricordi quella litigata a quattr'occhi, diciamolo sennò sembriamo matti...». Ciascuno<br />

conosce dell'altro le ubbie, i punti deboli, le incomponibili distanze caratteriali e politiche che confinano l'una<br />

con l'altra. Piccolo particolare, stavolta lo sceneggiano davanti alle telecamere. La concezione della giustizia<br />

e la linea del Giornale, quel che si intende per federalismo e per lealtà o tradimento, l'unità d'Italia e le<br />

correnti, i fratelli e gli ex colonnelli. Si tirano addosso persino La Russa, che finisce stritolato fra i due («Mi ha<br />

detto che sull'immigrazione, la Lega ha sostituito An», dice Berlusconi. «Bravo Ignazio, complimenti», lo gela<br />

Fini). Non saltano un punto dello spartito, ma soprattutto lo fanno senza ipocrisie. Sfrenati, entrambi, come<br />

non fossero più nemmeno loro capaci di nascondersi dietro il velo del Caro Silvio Caro Gianfranco, come se<br />

lo spazio per tentare un minuetto di forma fosse ridotto a zero. Se il risultato è lo stallo - personale e politico -<br />

il paradosso è che la giornata era cominciata secondo i miglior auspici del berlusconismo rampante. Con i<br />

giornalisti fuori dalla sala, il Cavaliere pronto a rivendicare i successi, con Bondi pronto a salmodiare l'attacco<br />

alle «ambizioni personali» (di Fini) e la difesa di un partito «dove non ci sono servi». Con La Russa<br />

inutilmente trincerato dietro il ruolo di mera «cinghia di trasmissione», Mantovano pronto a parlare di<br />

«metastasi», ma riferendosi alle infiltrazioni mafiose, Matteoli incaricato di annunciare la prossima<br />

inaugurazione di «un lotto di 11 chilometri della Salerno-Reggio Calabria». Urrà. Il Cavaliere di tanto in tanto<br />

si esercita in coltellate a Fini, come quando spiega che cofondatore non è solo lui, perché ci sono anche:<br />

«Giovanardi e Rotondi, Baccini, Dini, Mussolini, Nucara, Caldoro, Biasotti, Buonocore». Una liturgia che si<br />

rompe d'improvviso quando Fini, senza aspettare di Uno dei momenti più tesi della direzione del Pdl di ieri.<br />

Fini accusa Berlusconi<br />

L UNITA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 L Unita<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 3<br />

Duemilanove battute<br />

E Gianfranco decise di sporgere denuncia per truffa<br />

Francesca Fornario<br />

Ieri sera a Roma, in una caserma dei Carabinieri. «Nome?». «Gianfranco». «Cognome?». «Fini. Sono qui per<br />

sporgere denuncia». «Vediamo la sua scheda. Lei è il Fini Gianfranco che nel 1974, attirato da una pubblicità<br />

sulla Settimana Enigmistica, acquistava numero 5 pezzi della SpyPen prodotta dalla ditta Same?». «La<br />

penna per ascoltare le conversazioni attraverso i muri? La pubblicità diceva che era quella usata dal servizio<br />

segreto tedesco durante la guerra, e penso che sia per colpa di quella cavolo di SpyPen che i tedeschi hanno<br />

perso perché era difettosa. Tutte e cinque. Non hanno mai funzionato». «Lei è il Fini Gianfranco che nel<br />

1977, attratto da una pubblicità su Cronaca Vera, acquistava il kit MagicArtist per diventare artisti in un<br />

minuto senza lezioni e senza pratica?». «Una fregatura: la confezione conteneva solo una lampada per<br />

ricalcare e una matita». «Lei è il Fini Gianfranco che nel 1980...». «Sì, gli occhiali a raggi X e la crema<br />

Muscoli d'acciaio». «Cosa le è successo stavolta?». «Ho fuso il mio partito nel Pdl guidato da Berlusconi<br />

Silvio». «Le ha rilasciato una garanzia?». «Non c'è stato il tempo, era lì, sul predellino, in mezzo alla<br />

strada...». «Un ambulante?». «Sì». «Ma prima di fondere il partito, ha verificato che questo Pdl funzionasse?<br />

Ha fatto controllare i freni, la trazione?». «Berlusconi non mi aveva detto che era a trazione leghista e io non<br />

lo so guidare. Mi ha fregato. Allora ho detto che volevo sporgere reclamo e lui mi ha risposto che se non mi<br />

piaceva me ne potevo pure andare. Abbiamo litigato così tanto che c'erano D'Alema e Franceschini che<br />

prendevano appunti. Si può fare qualcosa? Almeno riavere indietro il mio partito?». «Sfortunatamente no. Il<br />

Berlusconi è già noto alla giustizia per via dei suoi traffici ma la fa sempre franca grazie agli avvocati. Altro<br />

che SpyPen e MagicArtist, si figuri che quello promette milioni di posti lavoro, grandi opere mai viste, millanta<br />

perfino di sconfiggere il cancro!». «Già, proprio come la crema StopCancer che ho acquistato su eBay».<br />

L UNITA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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L'Espresso<br />

3 articoli


23/04/2010 L'Espresso<br />

N.17 - 29 APRILE 2010<br />

Pag. 70<br />

ATTUALITà INCHIESTA TRA MAFIA E BUSINESS<br />

NIENTE OMICIDI MEGLIO I SOLDI<br />

L. A<br />

L'INTRECCIO fra politica e clan è il collante dell'inchiesta in cui è coinvolto raffaele lombardo, il presidente<br />

della regione siciliana indagato per concorso estreno in associazione mafiosa. Nelle intercettazioni che i<br />

carabinieri del Ros hanno effettuato nei luoghi in cui si riuniva l'imprenditore mafioso Vincenzo Aiello,<br />

arrestato nello scorso ottobre, si fa riferimento ad alcuni affari che erano in corso a Catania e in virtù dei quali<br />

«bisognava mantenere la calma» evitando omicidi. Aiello è considerato la mente finanziaria della cosca<br />

Santapaola. Ex braccio destro del boss Eugenio Galea, rappresentante provinciale di Cosa nostra catenese,<br />

condannato a 10 anni nel maxiprocesso ai clan etnei, l'imprenditore si è sempre occupato della cassa della<br />

famiglia. Il suo nome compare nell'indagine sul governatore. Ritenuto il ministro dei Lavori pubblici di Nitto<br />

Santapaola, per anni ha gestito il racket delle estorsioni e si è occupato di reinvestire il denaro sporco.<br />

Coinvolto nell'indagine sugli appalti nella base militare di Sigonella, è stato arrestato dopo avere scontato la<br />

condanna per mafia, perché partecipava a un summit del gotha di Cosa nostra in cui era presente pure il<br />

latitante Santo La Causa. E proprio il clan Santapaola continua ad avere il controllo della città: lo fa<br />

proseguendo con quei caratteri di tranquillità con la quale vuole fare apparire che la mafia non c'è. Eppure le<br />

intercettazioni dei carabinieri del Ros hanno registrato non solo i commenti su Lombardo e sugli affari che i<br />

boss vorrebbero concludere con il suo appoggio, ma anche il rimescolamento interno fra vari gruppi, dove i<br />

clan appaiono diversi da quelli che gli investigatori conoscevano fino a pochi anni fa. L'organizzazione<br />

continua a manifestarsi come sempre in una città connivente, perché nessuno denuncia. E la mafia catanese<br />

si rafforza grazie a questa condotta silenziosa, portata avanti da una parte di imprenditori.<br />

L'ESPRESSO - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 L'Espresso<br />

N.17 - 29 APRILE 2010<br />

Pag. 67<br />

ATTUALITà INCHIESTA TRA MAFIA E BUSINESS<br />

E L'ARRESTO DEL GOVERNATORE DIVIDE I PM<br />

L. A.<br />

A settembre si apriranno i giochi per la poltrona più importante della procura etnea, oggi occupata da Enzo<br />

D'Agata, il capo dei pm che andrà in pensione a febbraio a tre anni dalla nomina. Il candidato principale<br />

sembra essere il procuratore aggiunto Giuseppe Gennaro, coordinatore dell'inchiesta sul governatore<br />

siciliano, Raffaele Lombardo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. D'Agata conosce<br />

Lombardo perché sono entrambi catanesi. Ma tutta l'inchiesta sul governatore è stata curata negli ultimi due<br />

anni in modo riservato da Gennaro e dai sostituti Fanara e Santonocito: il pool avrebbe ipotizzato anche di<br />

chiedere l'arresto per il governatore, alla luce degli elementi raccolti dai carabinieri del Ros. Ma su questo<br />

punto il vertice della procura non aveva trovato una soluzione unitaria. Dopo la pubblicazione delle notizie<br />

sull'inchiesta, il procuratore, tutti gli aggiunti e i pm si sono riuniti più volte per riesaminare il dossier del Ros e<br />

decidere quale direzione imboccare: procedere con l'arresto o andare direttamente alla richiesta di un<br />

processo con l'imputato a piede libero? Negli ultimi anni la procura dì Catania ha ricevuto diverse accuse, tra<br />

cui quella di aver costituito un blocco di potere controllato da una sola corrente all'interno della magistratura.<br />

Ma ultimamente i pm hanno dato un segnale di dinamismo con l'inchiesta sul caso parcheggi con la<br />

sospensione dal servizio del funzionario dirigente della presidenza della Regione Salvatore D'Urso, indagato<br />

come responsabile dei nove parcheggi progettati dall'amministrazione di Catania. In relazione a queste nuove<br />

istruttorie, anche lo stesso procuratore D'Agata è indagato: i pm di Messina gli contestano alcune telefonate<br />

con il ragioniere capo del Comune, nelle quali chiedeva un favore personale. E l'interlocutore del procuratore<br />

è uno degli indagati nel procedimento per il buco di bilancio che coinvolge 40 tra ex amministratori e<br />

funzionari. Insomma, una situazione che ricorda il clima del 2001, quando due magistrati - Giambattista Scidà<br />

e Nicolo Marino - sollevarono la questione di un blocco di potere all'interno della procura, che gestiva in modo<br />

non ortodosso le indagini e teneva rapporti fin troppo intimi con notabili e personaggi in odore di mafia.<br />

All'epoca il Csm aprì un fascicolo, chiudendolo senza rilievi nei confronti dei pm catanesi. Oggi invece due<br />

pentiti hanno confermato lo scenario ipotizzato da Scidà e Marino.<br />

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23/04/2010 L'Espresso<br />

N.17 - 29 APRILE 2010<br />

Pag. 60<br />

attualità parentopoli all'italiana<br />

REGIONI DI FAMIGLIA<br />

Mogli, mariti, figli, fratelli, nipoti... La carica di parenti e affini ha invaso i consigli eletti alle votazioni di marzo.<br />

Un malcostume che accomuna Nord e Sud, centrodestra e centrosinistra<br />

PRIMO DI NICOLA hanno collaborato Riccardo Bianchi, Marco Ligna<br />

Marilù è venuta al mondo due giorni prima del voto. Per lei e la sua mamma ad Agerola si è festeggiato a<br />

lungo: caroselli di auto, champagne, mozzarelle e provolone Dop. Perché 48 ore dopo la sua nascita,<br />

mamma Annalisa è stata eletta in consiglio regionale. Un fiume di preferenze per lei, oltre 18 mila, con un<br />

particolare: quasi tutte a nome, anzi cognome, del marito, il deputato Udc Michele Pisacane. Candidata e<br />

vicente per meriti matrimoniali, la signora Annalisa non ha fatto nemmeno la campagna elettorale. È il bello<br />

della famiglia. E il caso non è isolato. Le mogli che hanno conquistato uno scranno alle ultime regionali sono<br />

molte e in qualche caso anche di illustre casato, a cominciare da Sandra Lonardo, moglie del leader<br />

dell'Udeur Clemente Mastella in Campania, a Isabella Rauti, consorte del sindaco di Roma Gianni Alemanno<br />

nel Lazio. Così come tanti sono anche i figli, fratelli, i nipoti e gli altri parenti di vario grado che grazie al<br />

legame familiare hanno conquistato un posto nei consigli regionali, una carica da 15 mila euro al mese. Nomi<br />

celebri, ma non solo che hanno trasformato l'ultima tornata elettorale in una parentopoli ramificata su tutto il<br />

territorio nazionale, dalle Alpi alla Calabria. L'assalto agli scranni comincia dall'estremo Nord e riguarda tutti<br />

gli schieramenti. Certo, in Piemonte non ce l'hanno fatta col centrosinistra Pierà Levi Montalcini, nipote del<br />

premio Nobel Rita e Silvana Sanlorenzo, collaboratrice di Piero Fassino e figlia di Dino, ex presidente della<br />

Regione. Ma in Lombardia mariti, fratelli, zii e nipoti hanno fatto la parte del leone. A partire da Giulio<br />

Boscagli, al terzo mandato come consigliere, marito di Luisa, la sorella di Roberto Formigoni. Pieno di voti<br />

anche per Alessandro Colucci, figlio di Francesco, deputato del Pdl, mentre non è andata proprio bene a<br />

Romano La Russa, fratello di Ignazio, assessore uscente riconfermato con neanche 10 mila voti. Rieletto<br />

trionfalmente invece Giancarlo Abelli, deputato e vice coordinatore nazionale del Pdl. La sua candidatura è<br />

rimasta incerta fino all'ultimo per i problemi della moglie, Rosanna Gariboldi, ex assessore alla Provincia di<br />

Pavia arrestata nell'ambito dell'inchiesta Montecity-Santa Giulia, ma per lui già si parla dell'assessorato<br />

all'Agricoltura. Marcia trionfale anche per i figli d'arte. A cominciare da Renzo Bossi, la "trota", prediletto del<br />

capo della Lega Umberto, eletto con quasi 13 mila preferenze; Elisabetta Fatuzzo, capofila del Partito dei<br />

pensionati fondato da papa Carlo; Fabio Pizzul, candidato del Pd, erede del telecronista Bruno; Sara<br />

Valmaggi, figlia di Sergio, consigliere comunista scomparso nel 1989, sempre nel centrosinistra. Famiglia<br />

sugli scudi anche in Veneto. Vanno foltissimi i fratelli, come i Giorgetti, Alberto e Massimo. Il primo è<br />

sottosegretario all'Economia e coordinatore regionale del Pdl. Proprio lui ha predisposto le liste alle ultime<br />

elezioni. E chi è risultato il più votato? Massimo, va da sé, che è tornato a fare l'assessore anche col nuovo<br />

governatore Zaia. Ma si difendono bene anche le sorelle, per esempio le Donezzan, la cui milizia a destra<br />

risale ai tempi del Msi. Elena è già stata assessore regionale per il Pdl e Zaia l'ha riconfermata, mentre<br />

Giovanna è assessore votatissima al comune di Pove del Grappa. È la caratteristica dei clan. Se l'unione fa<br />

la forza, i matrimoni fanno infatti anche molte preferenze. Pure se si milita in partiti diversi. Lo dimostrano i<br />

coniugi Raffaele Grazia e Barbara Degani. Lui è stato appena rieletto per l'Udc nella circoscrizione di<br />

Vicenza, mentre la moglie, ex consigliere regionale del Pdl, dallo scorso anno è presidente della Provincia di<br />

Padova. Storie d'amore e politica si incrociano anche in Liguria. Certo, qui non passa inosservato il nome di<br />

Marco Scajola, nipote del ministro Claudio, il più votato nella provincia di Imperia. Ma a tenere banco sono<br />

soprattutto le vicende sentimentali degli eletti. Una si sta consumando a Loano e chiama in causa il feudo<br />

mastelliano di Ceppaloni. Protagonisti: Roberta Gasco, figlia di uno storico dirigente De di Savona, ed Elio<br />

Mastella, primogenito del leader Udeur spedito da Berlusconi a Strasburgo. La Gasco, consigliere uscente<br />

del Campanile e coordinarrice provinciale del Pdl, è stata infarti felicemente riconfermata e può a 5 questo<br />

punto pensare serena- mente alle nozze fissate per luI glio. Un'altra storia si alimenta "•; all'ombra del potere<br />

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23/04/2010 L'Espresso<br />

N.17 - 29 APRILE 2010<br />

Pag. 60<br />

portuale. 8 La bella Raffaella Paita entra in 11 consiglio con il Pd grazie ai voti del marito "* Luigi Merlo,<br />

presidente dell'autorità por§ | tuale genovese ed ex assessore della giunta i f Burlando. Nell'Italia dei valori la<br />

neoeletta | f Marylin Fusco ha già annunciato invece il | | matrimonio con il i I suo sponsor prin| - cipale<br />

Giovanni - i | Paladini, deputas i to e leader regionale del partito. Infine, la grande festa in famiglia celebrata a<br />

Sarzana dove Alessio Cavarra, ex assessore, è entrato in Regione con il listino-Burlando, mentre la sua<br />

compagna Federica Montaresi è risultata la più votata in Comune. Deve tutto ai natali illustri in Emilia<br />

Romagna la candidata governatore del Pdl sconfitta da Vasco Errani: Anna Maria Bernini, deputata e vice<br />

portavoce nazionale del Pdl. Nota per essere stata l'avvocato di Luciano Pavarotti, la rampante deputata sta<br />

ormai seguendo le orme del padre Giorgio, ministro nel primo governo Berlusconi. Come imprenditrice e<br />

mamma si è candidata ed è stata eletta invece nell'Udc Silvia Noè, moglie di Federico, fratello di Pier<br />

Ferdinando Casini, mentre al padre Marcello, vecchia gloria prima del Msi poi di An, scomparso nel 2006,<br />

deve la sua elezione il consigliere bolognese Galeazzo Bignami. Antiche e nuove dinastie alla ribalta in<br />

Toscana: Jacopo Maria Ferri, consigliere rieletto, è il figlio dell'ex ministro socialdemocratico Enrico, vecchia<br />

gloria della prima Repubblica. Caterina Bini e Vittorio Bugli sono invece due esponenti del Pd fondatori di un<br />

nuovo casato, lei vicesegretario regionale, lui il più votato alle primarie ad Empoli. Durante la scorsa<br />

legislatura tra i due è scoccato l'amore ed ora, mano nella mano, sono rientrati in consiglio regionale. Altro<br />

clan democratico: Alberto Monaci, uno dei leader senesi del partito, è stato anche lui rieletto • grazie all'intera<br />

famiglia: la moglie, Anna Gioia, è consigliere comunale a Siena, il figliastro Alessandro Pinciani è<br />

vicepresidente della Provincia, mentre il fratello Alfredo è consigliere nel potente Mps. Isabella Rauti, eletta<br />

nel listino Polverini, è invece in testa al drappello dei parenti illustri del Lazio. Figlia dell'ex segretario del Msi<br />

Pino Rauti, è moglie del sindaco di Roma Alemanno. Pietro Sbardella, eletto nell'Udc, è invece il figlio di<br />

Vittorio "lo Squalo", potentissimo de della prima Repubblica; Aldo Forte, anche lui Udc, è l'erede di Michele,<br />

sindaco di Formia; Giulia Rodano, eletta nell'Idv, è invece figlia di Marisa, prima donna vicepresidente della<br />

Camera e moglie dell'ex parlamentare Antonello Falomi, mentre Veronica Cappellaro, pupilla del Cavaliere, lo<br />

è di Francesco Pasquali, entrambi eletti nel listino Polverini. Dal Lazio alla Campania, altra regione dalle<br />

abbondanti parentele. Si comincia con Sandra Lonardo Mastella, moglie di Clemente, riconfermatasi nel<br />

centrodestra nonostante le grane giudiziarie. C'è poi Paola Raia, sorella di Luigi già consigliere provinciale di<br />

Fi e bassoliniano per una stagione. Per non parlare di Mafalda Amente, laureata in farmacia, che ha<br />

conquistato uno scranno con il Pdl raccogliendo 4.600 preferenze solo a Melito, dove è sindaco suo zio<br />

Antonio. Quanto ai maschi, i figli d'arte sono tre: Mario Casillo che "subentra" al padre Franco in quota Pd;<br />

Francesco Barbato, 23 anni, che nel centrodestra raccoglie il testimone dal padre Tommaso, l'ex senatore<br />

Udeur famoso per lo sputo in Senato (ma nel suo caso la nomina è appesa a un ricorso); Ettore Zecchino,<br />

figlio del de Ortensio, quattro volte senatore e tre ministro. In Puglia si scopre che i consiglieri sono 78, otto in<br />

più rispetto alla passata legislatura. Tra di essi spiccano nel centrodestra Davide Bellomo, figlio dell'ex<br />

presidente della Regione Michele, e Antonio Barba, nipote del senatore Vincenzo, eletto a Lecce. Mentre<br />

primo degli eletti di Puglia prima di tutto, altra civica berlusconiana nella quale si candidò la escort Patrizia<br />

D'Addano, è Tato Greco, figlio dell'ex senatore forzista Mario e nipote dei Matarrese. Di padre in figlio, da<br />

Gino Garoppo al giovane Andrea, passa il seggio Udc di Lecce. Mentre nel centrosinistra gioiscono Ruggiero<br />

Mennea, cugino dell'olimpionico Pietro (una legislatura da europarlamentare alle spalle) e Alfonsino Pisicchio,<br />

fratello di Pino, deputato dell'Api. Famiglie in auge anche in Basilicata dove in consiglio siede Marcello<br />

Pittella, fratello di Gianni, vicepresidente del Parlamento europeo. Ma sugli scudi c'è soprattutto la "corrente<br />

Antezza", due gemelle e un cognato in carriera. In principio fu Maria, sbarcata a soli 30 anni alla Regione e<br />

oggi senatrice del Pd. Il 29 marzo è stata rieletta al parlamentino regionale, ma si dimenerà per restare a<br />

Palazzo Madama. Niente paura, però, la rappresentanza familiare è salva: in consiglio siederà il cognato<br />

Luca Braia, mentre la gemella Nunzia è stata eletta al comune di Matera. Dulcis in fundo, la Calabria dove,<br />

parola di Michele Trematerra, consigliere Udc riconfermato, la famiglia svolge «un ruolo fondamentale». Lui<br />

ne è la prova, visto che è figlio di Gino, ex senatore e neosindaco di Acri. Ma esemplare è soprattutto il caso<br />

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23/04/2010 L'Espresso<br />

N.17 - 29 APRILE 2010<br />

Pag. 60<br />

del clan Gentile. Pino, militante da giovanissimo nel Psi, è già stato più volte consigliere e assessore con Fi.<br />

Primo di sette fratelli, non è però il solo a sfruttare la forza del parentado: il fratello Antonio, pure lui<br />

berlusconiano, è infatti senatore di lungo corso essendo giunto ormai alla terza legislatura. Che, giurano nel<br />

Pdl, grazie alla famiglia non sarà nemmeno l'ultima.<br />

Foto: Renzo Bossi. In basso, da sinistra: Massimo Giorgetti; Carlo ed Elisabetta Fatuzzo; Annamaria Bernini;<br />

Marylin Fusco; Ignazio e Romano La Russa<br />

Foto: Giulia Rodano. A fianco: Clemente Mastella e Sandra Lonardo. Sopra: Isabella -auti e Gianni<br />

Alemanno. in alto: Giuseppe De Mita<br />

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La Padania<br />

5 articoli


23/04/2010 La Padania<br />

Pag. 4<br />

PDL: RACCOLTA FIRME PER SFIDUCIARE BOCCHINO<br />

PDL: RACCOLTA FIRME PER SFIDUCIARE BOCCHINO La resa dei conti è già iniziata all'interno del Pdl.<br />

Dopo lo scontro frontale tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini alla Direzione del partito, adesso nel mirino<br />

degli azzurri sarebbe Italo Bocchino (foto), al quale lo stesso premier dal palco ha rivolto parole poco<br />

lusinghiere: «Non posso permettere - ha detto - che il partito sia esposto al ludibrio pubblico per le apparizioni<br />

in tv di Bocchino, Urso e Raisi». A quanto si apprende da fonti della maggioranza ex Forza Italia, starebbe<br />

partendo una raccolta di firme per sfiduciare il presidente vicario del gruppo a Montecitorio<br />

LA PADANIA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 La Padania<br />

Pag. 6<br />

La decisione in un documento dopo la Conferenza di ieri a Roma<br />

Le Regioni per il Federalismo chiedono un incontro a Calderoli<br />

Zaia: «Puntiamo a realizzare un sistema di autonomia a geometria variabile. Il modello è quello della<br />

Catalogna e della Baviera»<br />

Primo incontro al quale hanno partecipato i neogovernatori. Cota: «Non abbiamo ancora deciso chi sarà il<br />

nuovo presidente» - Debutto, ieri mattina, in Conferenza delle Regioni per la maggior parte dei<br />

neogovernatori eletti a marzo scorso. La Conferenza infatti si è riunita, per la prima volta dopo il voto, per<br />

discutere sul Federalismo demaniale e l'edilizia scolastica. Un incontro conclusosi con un documento tecnico<br />

e la richiesta di incontro con il ministro Roberto Calde roli. Non hanno mancato l'appuntamento di ieri i nuovi<br />

presidenti della Calabria Giuseppe Scopelliti, della Campania Stefano Caldoro, del Lazio Renata Polverini,<br />

del Piemonte Roberto Cota, del Veneto Luca Zaia e dell'Umbria Catiuscia Marini. «È un'esperienza<br />

estremamente positiva; è importante avere un rapporto con i colleghi, lavorare e fare squadra», ha<br />

commentato Scopelliti uscendo dalla riunione che, in assenza del governatore Vasco Errani, è stata<br />

presieduta dal presidente della Basilicata V ito De Filippo. Visibilmente soddisfatta anche Polverini. «Per<br />

me», ha detto, «in questi giorni ormai è sempre la prima volta di qualcosa e questa sicuramente era<br />

importante. Non c'era il presidente Errani e questo ha cambiato un pò le mie aspettative però abbiamo<br />

parlato di temi concr eti». Al centro della riunione di ieri il Federalismo demaniale e l'edilizia scolastica mentre<br />

bisognerà aspettare ancora qualche settimana per la riunione dedicata all'elezione del nuovo presidente della<br />

Conferenza, chiamato a raccogliere il testimone di Errani. Sarà quello il primo vero appuntamento, con i<br />

presidenti al completo, per dare inizio al lavoro del prossimo mandato. È ancora attesa, intanto, per la<br />

proclamazione ufficiale degli eletti in Lombardia e in Puglia da parte delle Corti di Appello. E, nella maggior<br />

parte delle tredici Regioni in cui si è votato, i governatori sono ancora al lavoro per formare le giunte.<br />

Sebbene il regolamento non lo preveda espressamente, è molto probabile che l'elezione del nuovo "leader"<br />

dei governatori si svolga quando tutte le squadre regionali di governo saranno state nominate. Anche perchè<br />

la partita successiva all'elezione del presidente è quella del vice, dell'Ufficio di presidenza e dei coordinatori<br />

delle diverse Commissioni tematiche per le quali è indispensabile il quadro chiaro degli assessori in carica.<br />

Non solo. I governatori dovranno trovare la quadra sul nome del nuovo presidente della Conferenza che, per<br />

il principio dell'alternanza e per i numeri, in molti accreditano al centrodestra. Su questo i presidenti alla loro<br />

prima volta nella sede di via Parigi non si sono sbilanciati più di tanto: «È ancora prematuro" fare previsioni<br />

sul nuovo presidente, ha affermato Scopelliti». Gli ha fatto eco il presidente piemontese Roberto Cota,<br />

spiegando che «non ne abbiamo ancora parlato, questo è stato solo un primo appuntamento». Polverini, poi,<br />

a chi le ha chiesto se fosse disponibile a guidare l'organismo, ha risposto: «Ne parleremo più avanti». Solo il<br />

governatore veneto Zaia ha detto chiaramente che la presidenza al centrodestra «è un fatto di numeri» ma a<br />

una domanda sulla possibilità che il prossimo leader sia un leghista ha concluso: «Mi sembra avventurosa<br />

qualsiasi previsione e prematura qualsiasi ipotesi». Entrando nel merito dell'oggetto della riunione, Zaia, al<br />

termine della Conferenza ha dichiarato che «siamo partiti con il piede giusto, in questo modo restituiremo il<br />

maltolto al territorio». Come ha spiegato Zaia, le Regioni hanno fatto «osservazioni di natura formale e noi<br />

vigileremo sull'applicazione dei decreti attuativi del Federalismo fiscale». «Allo stesso tempo - ha aggiunto -<br />

presenteremo una piattaforma negoziale attuativa dell'articolo 116 della Costituzione, puntando a realizzare<br />

un sistema di autonomia a geometria variabile. Il modello è quello della Spagna con la Catalogna e della<br />

Germania con la Baviera». «La strada da seguire sarà quella dell'unità e dell'autonomia», ha aggiunto<br />

ancora. Ad invocare il ruolo principale delle Regioni nella coAnche per la neoeletta presidente laziale<br />

Polverini gli enti regionali devono mantenere un «ruolo centrale» nel nuovo percorso nale al servizio degli enti<br />

che riceveranno questo patrimonio». Le proposte sono contenute in un documento tecnico sul che<br />

rappresenterà la base di discussione in un incontro richiesto ora dai governatori al ministro per la<br />

Semplificazione Normativa Roberto Calderoli. Le osservazioni fatte dalle Regioni, sottolinea Colozzi,<br />

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«riguardano sia gli aspetti istituzionali che l'impa tto economico» del Federalismo demaniale. «Richiamiamo il<br />

ruolo proprio riconosciuto dalla Costituzione alle Regioni - ha sottolineato - riguardo agli aspetti finanziari<br />

ricordiamo che il processo deve avvenire senza oneri aggiuntivi per lo Stato e quindi si pone il problema di<br />

tutti gli organismi che finora hanno gestito il patrimonio». «Abbiamo messo a punto un documento tecnico che<br />

serve come base di discussione - ha spiegato al termine della riunione il governatore della Basilicata Vito De<br />

Filippo che, in assenza di Vasco Errani ha presieduto la seduta - per un incontro che Errani chiederà a<br />

Calderoli. Successivamente, ci sarà una nuova discussione sul tema in Conferenza delle Regioni». struzione<br />

del Federalismo è stata anche il governatore del Lazio Renata Polverini: «Le Regioni - ha commentato al<br />

termine della Conferenza - devono mantenere un ruolo centrale in tutto quello che sarà il percorso del<br />

Federalismo e dei decreti attuativi. Bisognerà essere su questi temi in maniera puntuale». Secondo la<br />

Polverini, infatti, anche in vista del Federalismo «il ruolo delle regioni è sicuramente da salvaguar dar e». Sul<br />

Federalismo demaniale, oggetto della riunione di ieri, è intervenuto commento l'assessore al Bilancio della<br />

Lombardia e coordinatore della commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni, Romano<br />

Colozzi: «Abbiamo avanzato l'ipotesi che i terminali territoriali dell'Agenzia del demanio diventino Agenzie del<br />

demanio regio-<br />

Foto: Il governatore del Veneto Luca Zaia Il Ministro Roberto Calderoli Il governatore del Piemonte Roberto<br />

Cota<br />

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Pag. 2<br />

Ci sono Fini distruttivi e fini costruttivi<br />

C'è chi continua a distruggere e chi non smette di credere nel Governo del fare<br />

Luca Zaia, in occasione della Conferenza delle Regioni, riferendosi alla riunione della direzione nazionale del<br />

Pdl di ieri, ha detto: «Mi auguro che quello che sta accadendo dentro il Pdl non blocchi le rifor me». Il<br />

discorso di Fini ha chiarito senza ombra di dubbio le radici del suo malessere. I suoi malanni sono<br />

immigrazione e federalismo; gattopardescamente, dopo aver dovuto accettare "obtorto collo" il federalismo<br />

fiscale, ora tenta di sterilizzarlo bloccando l'emanazione dei decreti attuativi, senza i quali resta praticamente<br />

privo di effetti. Per l'immigrazione ha fatto, dopo vari giri di valzer, una rovinosa marcia indietro. Instabilità o<br />

confusione? Roberto Castelli ha dichiarato: ''Esce allo scoperto il partito del sud contro le riforme. Fini ha<br />

tradito il patto con gli elettori ed è chiaro che uscirà allo scoperto in Parlamento il partito di quelli che fino ad<br />

ora hanno solo fatto finta di sostenere il Federalismo fiscale». Quanto accadrà nel Pdl non è di facile<br />

previsione, ma considerando la sottigliezza della pattuglia di Fini non è un grande problema, mentre è tale la<br />

sua permanenza alla presidenza della Camera. Il mutato orientamento di Fini potrebbe essere spiegato<br />

anche con i possibili legami con gli Usa e gli interessi che questi proteggono in Italia. La partita che si gioca<br />

investe comparti molto vari e questi potrebbero comprendere anche ciò che Luca Cordero di Montezemolo<br />

rapp resenta. Se il quadro politico desta preoccupazione è di conforto che Luca Zaia sia partito con il piede<br />

giusto. Ha portato alla ribalta i salari territoriali e il decreto attuativo del federalismo demaniale nella regione<br />

Veneto. È fondamentale che nelle Regioni governate da Zaia e R oberto Cota si proceda sulla strada del<br />

federalismo sfruttando tutti gli spazi di manovra che gli statuti regionali permettono. Comunque vadano le<br />

cose , comprendendo anche l'ipotesi di elezioni anticipate, aver in mano importanti Regioni segna un punto<br />

fermo. E quanto avverrà in queste territori inevitabilmente condizionerà il futuro di tutto il Paese. Fini<br />

costruttivi quelli di Zaia e Cota e non distruttivi. Marcello Ricci<br />

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Pag. 2<br />

BOSSI: FINI CONTRO IL NORD E IL FEDERALISMO<br />

LEONARDO BORIANI<br />

«Fini contro il Nord e il Federalismo. Per il centralismo dello Stato e il meridionalismo». Umberto Bossi<br />

abbandona il ruolo da mediatore ed entra con grande determinazione ed efficacia in quella che fino al giorno<br />

prima era ritenuta una querelle interna al Pdl. Basta attendismi, ora si gioca a ll 'attacco e Bossi, quando<br />

decide, lo sa fare con un'efficacia pari al suo carisma e alla sua forza di trascinatore di folle. Si lavorava alla<br />

grande stagione riformista, e su ogni cosa la madre di tutte le riforme, il Federalismo, ma un sistema di<br />

correnti e di paludi tipo "vecchia dc" preparato da Fini e dai suoi ha fatto crollare i sogni e quel traguardo,<br />

avvicinato fino a sfiorarlo, è rimasto così, senza il vincitore. Il titolo di oggi è emblematico e racconta di uno<br />

stato d'animo da vulcano in eruzione del leader leghista. «Siamo davanti ad un crollo verticale del governo - è<br />

il duro esordio - e probabilmente della fine di un'alleanza, quella tra Pdl e Lega. Fini, invidioso e rancoroso<br />

per la nostre ripetute vittorie ha rinnegato il patto iniziale e non ha fatto altro che cercare di erodere in<br />

continuazione ciò che avevamo costruito, attaccandoci. Ha lavorato per la sinistra, comportandosi come un<br />

vecchio gattopardo democristiano: fingi di costruire, per demolire e non muovere nulla. In questo modo ha<br />

aiutato la sinistra, ed è pazzesco. Anzi, penso che sarà proprio la sinistra a vincere le prossime elezioni.<br />

Grazie a lui». «Fini - prosegue - è palesemente contro il popolo del Nord, a favore di quello meridionale.<br />

D'altra parte, era ed è troppo spaventato dalle possibili conseguenze del Federalismo (che comunque<br />

avrebbe fatto bene anche al sud). Berlusconi avrebbe dovuto sbatterlo fuori subito, senza tentennamenti,<br />

invece di portarlo in tv, dandogli voce e rilievo. Quella era la strada da seguire». Ma il premier non l'ha<br />

intrapresa e la visione dell'immediato futuro del Segretario leghista è ancora più dura della della sua analisi:<br />

«Finita la stagione del Federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione, un<br />

nuovo cammino del popolo padano. Purtroppo, oggi non ha più senso parlare di Federalismo alla nostra<br />

gente che potrebbe sentirsi tradita da ciò che non siamo riusciti a fare. Una nuova strada ci aspetta e sarà<br />

una strada stretta, faticosa, difficile ma che potrebbe regalarci enormi soddisfazioni». «Saremo soli - conclude<br />

il leader leghista che oggi sarà a Roma per incontrare proprio il premier - senza Berlusconi. La nostra gente<br />

non digerirà facilmente la mancata conquista del Federalismo e noi, Lega, dovremo comportarci di<br />

conseguenza. Berlusconi, quindi, diventerà il vero e unico baluardo anticomunista del paese e prevedo che<br />

raccoglierà molti consensi». Lega fuori dai giochi, quindi, Lega sola, ma forse anche Lega più forte e più<br />

autorevole se "quel nuovo cammino" sarà percorso con la stessa forza di questi anni. Perché "quando il<br />

popolo padano è in cammino, piega la storia".<br />

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Pag. 7<br />

CONTRATTAZIONE TERRITORIALE<br />

LA CISL RACCOGLIE LA "SFIDA" DEL SIN.PA. E DELLA LEGA<br />

SIMONE BOIOCCHI<br />

M ILÀN - Ventiquattrore e una manciata di minuti. Questo il tempo che è bastato a Raffaele Bonanni, leader<br />

della Cisl, per sposare in toto la linea tracciata dal governatore del veneto Luca Zaia e da Rosi Mauro,<br />

segretario generale del Sindacato Padano sui contratti territoriali. Uno degli storici cavalli di battaglia della<br />

Lega Nord e bandiera del Sin.Pa. che da oltre 20 anni chiedono di legare il valore di stipendi e pensioni al<br />

reale costo della vita di ogni territorio passando da un concetto ormai superato di contratto nazionale<br />

"appiattito" su tutti, a una nuova formula di contrattazione legata al territorio. E l'apertura di Bonanni va<br />

proprio in questa direzione. Quella di chi ha ormai capito che i tempi sono maturi e che il cambiamento è<br />

ineluttabile soprattutto in quelle regioni del Nord che hanno dato un chiamo mandato al mondo politico: quello<br />

di cambiar e. «Spero non sia un gioco di società, ma che sia un gioco vero», ha così detto Bonanni a<br />

Montebelluna, conversando con i giornalisti. «A noi fa piacere perché noi siamo il sindacato della<br />

contrattazione territoriale, abbiamo lavorato sul fatto che è dove si lavora che si deve contrattare di più e<br />

naturalmente si danno le regole di massima di raccordo. Ora - ha aggiunto Bonanni - vedo che il presidente<br />

della Regione Veneto ha a cuore questa esigenza. Ci fa piacere questo però ci aiuti in questo sforzo che<br />

dobbiamo fare perché, disegnato il contratto, si tratta di spingere territorialmente ed aziendalmente verso una<br />

contrattazione che abbia queste caratteristiche». A stretto giro di posta la risposta di Rosi Mauro, leader del<br />

Sin.Pa. e vicepresidente del Senato: «Accolgo con piacere tutte le aperture che giungono in questa direzione.<br />

L'i mpo rta nte oggi, come ho detto in diverse occasioni, è mettersi tutti insieme intorno a un tavolo e trovare<br />

una soluzione. Lo dobbiamo ai nostri imprenditori, alle nostre famiglie, ai nostri giovani». Poi Mauro ha<br />

puntato l'attenzione sulla necessità di cambiare davvero: «È nella natura delle cose. Un Paese che va verso il<br />

Federalismo non può essere ancorato a contratti nazionali. Serve una riforma. E su questo bisogna aprire<br />

subito un confronto con sindacati, Confindustria, Pmi. È nei momenti difficili come questi che le riforme<br />

diventano ancora più necessarie». «Oggi il sistema basato sul centralismo e l'assistenzialismo, ha mostrato<br />

tutte le sue crepe. Il mondo sta cambiando. Bisogna adeguarsi». Nessuna strada in discesa, però... «Le<br />

resistenze - ha aggiunto Mauro - ci saranno. Ma i lavoratori, con il loro voto, hanno detto chiaramente cosa<br />

pensano delle loro buste paga. Mi rendo conto che non è un percorso semplice. Pensiamo però a quanto è<br />

stata dura far capire e accettare al Paese la bontà del Federalismo. Pensiamo a quanti anni sono passati da<br />

quando Bossi per la prima volta parlò di riforma federalista». E l'intervento del numero uno della Cisl<br />

testimonia proprio che di acqua sotto i ponti ne è passata tanta da quando per la prima volta Rosi Mauro e U<br />

mber to Bossi parlarono per la prima volta di contratti territoriali. «Se noi dovessimo riuscire a far fronte alle<br />

esigenze di ripresa che abbiamo, puntando sulla produttività, premiandola attraverso le flessibilità d'impresa<br />

ed il salario dei lavoratori - ha detto ancora Bonanni - , noi quadriamo il cerchio che stiamo tentando di<br />

quadrare da diverso tempo. Dunque se Zaia insiste così benissimo, si può incontrare con noi, anzi lo<br />

preghiamo di incontrarsi per stabilire ciò che ognuno dovrà fare. Io spero davvero che i nostri amici veneti del<br />

sindacato possano al più presto mettere insieme queste sinergie per valorizzare la contrattazione territoriale<br />

ed aziendale». «L'obiettivo - ha concluso Mauro - è e resta quello di dare più soldi in busta paga a chi vive in<br />

quelle zone del Paese dove la vita è più cara. In questa stessa logica muove un ordine del g i o r n o a p p r o<br />

v a t o nell'Aula del Senato, con la collaborazione del ministro Brunetta, in cui si impegna il Governo a<br />

innescare un meccanismo di salario legato al costo della vita a livello di pubblica amministrazione. Un inizio<br />

importante che vogliamo sia solo il primo passo di una grande stagione di riforme».<br />

Foto: In un'immagine d'archivio, una manifestazione del Sindacato Padano a favore della contrattazione<br />

territoriale<br />

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La Repubblica<br />

14 articoli


23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 2<br />

LO SCONTRO NEL PDL Il duello<br />

Fini e Berlusconi alla rissa "Non tradisco, dico la mia" "Se vuoi far politica<br />

dimettiti"<br />

E il presidente della Camera: che fai, mi cacci? L'ex leader di An contesta il "centralismo carismatico". "Chi<br />

propone idee non è un eretico" Il Cavaliere accusa: "Martedì mi hai detto che ti eri pentito di aver fondato il<br />

Pdl" Al Nord Pdl fotocopia della Lega Tra norme sull'immigrazione e difesa delle municipalizzate, al Nord il<br />

Pdl è diventato la fotocopia della Lega. Ci stiamo piegando anche all'idea di regionalizzare gli insegnanti<br />

GIANLUCA LUZI<br />

ROMA - L'orgoglio di Fini: «Non sono un traditore, ma ho il diritto di dire quello che penso». L'accusa di<br />

Berlusconi: «Non ti ho mai dato del traditore. Ma sei tu ad aver cambiato e adesso la Lega copia le posizioni<br />

che aveva An». La richiesta di Fini: «Voglio luoghi dove si discute, dove poter dire la mia». L'ira di Berlusconi:<br />

«Ma se non sei nemmeno venuto a Piazza San Giovanni».<br />

L'indignazione di Fini: «Ma quello era un comizio...». Infine la minaccia urlata dal Cavaliere: «Se vuoi fare<br />

l'uomo politico lascia la presidenza della Camera», a cui segue la sfida di Fini: «Che fai mi cacci?».<br />

Nella sala dell'Auditorium di via della Conciliazione esplode la rissa nel Partito dell'Amore. Finito l'intervento<br />

di Fini, interrotto più volte dalle sue proteste, Berlusconi replica dal palco. Fini, seduto tra il portavoce del<br />

premier Paolo Bonaiuti e la segretaria Rita Marino, paonazzo, scatta in piedi e va verso il palco per smentire<br />

ad alta voce e con il dito alzato quello che il premier sta dicendo dal palco: «Gianfranco, - urla il Cavaliere -<br />

hai cambiato totalmente posizione. Vuoi avere la possibilità di fare dichiarazioni politiche? Ti accogliamo a<br />

braccia aperte nel partito, ma non da presidente della Camera». Non si era mai visto nulla del genere.<br />

Nella giornata «che cambia le dinamiche nel Pdl» si è compiuto il "sacrilegio": per la prima volta il<br />

cofondatore Fini ha osato sfidare davanti alla Direzione e soprattutto davanti alle telecamere l'altro<br />

cofondatore, padrone del partito, Silvio Berlusconi. Bastava vedere l'espressione inorridita e sconvolta di<br />

Sandro Bondi per capire che stava accadendo qualcosa di inusitato.<br />

Fini ha lasciato il suo posto in platea un paio di minuti prima dell'una, chiamato al palco da Berlusconi con<br />

una frase contorta che tradiva la tensione del momento. Quando sale sul palco, il presidente della Camera è<br />

nervosissimo. L'oratore freddo e tagliente di tanti discorsi a Montecitorio è rosso in volto, tormenta la cravatta<br />

rosa, si sistema i polsini della camicia, tocca l'orologio, allinea le aste dei microfoni, non riesce a tenere le<br />

mani ferme.<br />

Berlusconi si sistema di trequarti sulla sedia per guardarlo meglio. La mascella serrata, ogni tanto borbotta<br />

un commento a Denis Verdini che gli siede accanto, prende appunti, scrolla la testa, guarda Fini come se<br />

volesse fulminarlo con lo sguardo. Per quasi un'ora il presidente della Camera incalza il premier. All'inizio<br />

mette in tavola la carta del diritto al dissenso. «Attenzione al centralismo carismatico», avverte il presidente<br />

della Camera riferendosi alla "monarchia" di Berlusconi. «Non credo che riconoscere la libertà di opinione<br />

possa rappresentare il venire meno di un dovere di lealtà. Il Pdl è certamente un partito democratico, che<br />

discute e vota, ma un partito democratico significa accettare che all'interno ci sia una pluralità di voci e<br />

posizioni, ci possa essere qualche indicazione anche molto diversa da quelle che vanno per la maggiore e<br />

non significa mettere in discussione una leadership». Area politicoculturale per Fini non significa corrente:<br />

«Qui non si tratta di fare una corrente finalizzataa quote di potere ma di dibattito». Naturalmente chi ha<br />

opinioni diverse «non ha diritto di sabotare l'azione del governo. Ha però il diritto di confrontarsi su come<br />

attuare bene e per davvero il programma di governo». La tensione si taglia a fette, la prima scintilla è sulle<br />

elezioni. Fini osa mettere in discussione uno dei tormentoni preferiti del Cavaliere in campagna elettorale:<br />

quello della lista del Pdl a Roma. «Sgombriamo il campo dal tema delle elezioni», attacca il presidente della<br />

Camera.<br />

«So benissimo che sono andate benee che la coalizione ha vinto le elezioni: in alcuni casi le ha vinte<br />

personalmente Berlusconi, come ad esempio nel Lazio, dove però... devo dirtelo: ma credi veramente che la<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 2<br />

lista non sia stata presentata per un complotto di magistrati cattivi e di radicali violenti?». Berlusconi prende il<br />

microfono e replica seccato: «Secondo me sì. Non un complotto ma un comportamento». Fini denuncia «le<br />

attenzioni mediatiche» subite dal quotidiano della famiglia. Berlusconi si chiama fuori e contrattacca: «Non<br />

parlo con il direttore del Giornale e non ho alcun modo di influire. Ho convinto mio fratello a metterlo in<br />

vendita e se c'è qualche imprenditore vicino a te può entrare nella compagnia azionaria». Comunque «il più<br />

critico nei tuoi confronti non è il Giornale ma Libero che fa capo ad un deputato ex An, Angelucci, che è<br />

anche un tuo amico personale». Poi la Lega. Al sud il Pdl va bene, ma al nord perde voti a favore di Bossi. La<br />

diagnosi di Fini è impietosa. «Al Nord siamo diventati la fotocopia della Lega» e l'appiattimento «è<br />

pericoloso». La Lega è un «soggetto politico di primaria importanza: il problema è che io ho cercato di<br />

fondare il Pdl, non di dar vita ad una associazione tra noi e la Lega, perchè alleati non vuol dire essere una<br />

fotocopia, soprattutto su certi principi». Primo fra tutti quello del rispetto della persona umana, anche se si<br />

tratta di immigrati clandestini. E i 150 anni dell'Unità d'Italia sotto tono perchè «la Lega non vuole».E il<br />

federalismo fiscale «che senza alcune cautele, in tempi di vacche magre rischia di mettere a repentaglio la<br />

coesione sociale». Poi Fini sgretola un altro pilastro della strategia del consenso di Berlusconi: «L'ottimismo<br />

va bene, ma fra tre anni dobbiamo presentare agli elettorii fatti», quindi siccome c'è la crisi «dobbiamo<br />

rimodulare il programma sulle cose che è possibile fare da qui alla fine della legislatura.<br />

E su questo nonè sbagliato discutere tra di noi». Tremontiè una sfinge.<br />

Ma la bomba atomica scoppia sulla Giustizia. «Ti ricordi le litigate a quattr'occhi che abbiamo fatto sul<br />

processo breve? Quella era un'amnistia mascherata che cancellava seicentomila processi - accusa Fini<br />

agitando i fogli che ha in mano e guardando Berlusconi negli occhi e allora mi devi dire che cosa c'entra la<br />

riforma della giustizia se poi passano messaggi del genere». Berlusconi scalpita, Fini lo riprende: «È inutile<br />

che mostri insofferenza».<br />

Ma il premier è furente. Lascia che Fini termini l'intervento e si precipita al microfono. «Il nostro partito è stato<br />

esposto al pubblico ludibrio in televisione da parte di Bocchino, Urso e Raisi», accusa. «Quando ti sentivo<br />

parlare mi sembrava di sognare. Non mi sono mai giunte queste richieste. Hai cambiato totalmente posizioni:<br />

martedì nel tuo studio davanti a Gianni Letta mi hai detto "sono pentito di aver fondato il Pdl" e che volevi fare<br />

gruppi autonomi in Parlamento. Non cambiamo le carte in tavola». A sera un solo commento: «Tutto<br />

normale».<br />

Le frasi<br />

Federalismo Al Nord l'unica nostra bandiera è diventata il federalismo.<br />

Abbiamo ceduto anche sull'abolizione delle Province FINI<br />

Abbiamo il triplo degli elettori della Lega. Noi abbiamo 20 ministeri e loro 2. Ricordati che la Lega ha<br />

condiviso tutte le nostre proposte BERLUSCONI<br />

Immigrati Cacciare un bambino se il padre immigrato perde il lavoro viola la dignità umana.<br />

Come anche i medici-spia nei pronto soccorso FINI<br />

Nella legislazione sugli immigrati la Lega ha fatto proprie le posizioni di An. Non siamo noi fotocopia<br />

della Lega, ma la Lega di An BERLUSCONI<br />

Le frasi<br />

"Il Giornale" di Feltri Sono stato oggetto negli ultimi mesi di trattamenti mediatici da parte di giornalisti<br />

lautamente pagati da familiari del presidente del Consiglio FINI<br />

Te l'ho spiegato cento volte. Non parlo con Feltri. Ho convinto mio fratello a vendere 'Il Giornale'. Se<br />

hai imprenditori vicini a te, diglielo BERLUSCONI<br />

Il 150° dell'Unità d'Italia 'La Padania' scrive: che ci sarà mai da festeggiare? E allora mi chiedo: il Pdl<br />

ha o no il dovere di reagire a queste offese all'Italia FINI<br />

Non so quante volte abbiamo parlato delle celebrazioni dell'Unità d'Italia. Abbiamo stanziato i fondi.<br />

E il 5 maggio a Quarto inizieranno le celebrazioni con Napolitano BERLUSCONI<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 2<br />

IL CODICE QR Ecco il Qr Code per vedere sul cellulare video correlati all'articolo, fotografandolo con il<br />

cellulare abilitato. Alla pagina http:/m.repubblica.it/qr le istruzioni.<br />

PER SAPERNE DI PIÙ www.popolodellaliberta.it www.camera.it<br />

Foto: BATTIBECCO Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si rimbeccano sul palco dell'Auditorium della<br />

Conciliazione<br />

Foto: "NON MI ATTRIBUIRE COSE CHE NON HO MAI DETTO" Dalla presidenza, Berlusconi interrompe Fini<br />

quando questi evoca le accuse di "tradimento" piovutegli addosso per le critiche ad alcune scelte del Pdl<br />

Foto: L'ESPRESSO Il braccio di ferro tra Fini e Berlusconi indebolisce il governo: è la tesi di un servizio sull'<br />

Espresso<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 9<br />

Il centrosinistra Franceschini: "Da Fini passo avanti coraggioso". Di Pietro: "Dobbiamo prepararci,<br />

l'opposizione scelga il candidato premier"<br />

Bersani: "Spettacolo indecoroso ma Gianfranco solleva problemi reali"<br />

GIOVANNA CASADIO<br />

ROMA - Per Bersani il duello rusticano tra Berlusconi e Fini è «uno spettacolo indecoroso» però, osserva, «il<br />

presidente della Camera ha sollevato contraddizioni profonde del Pdl su temi e problemi reali». Il segretario<br />

del Pd lo dice ai telegiornali, ma in mattinata ne ha parlato in un incontro con Di Pietro. Il leader di "Italia dei<br />

valori" infatti fa pressing sugli «amici democratici»: «Dobbiamo prepararci; aiutare Fini, nei cui confronti è<br />

stato fatto un ricatto politico e che, proprio perché dice che il Parlamento non deve essere uno zerbino, viene<br />

trattato da Berlusconi come un extracomunitario senza permesso di soggiorno da buttare fuori.<br />

L'opposizione scelga nei prossimi mesi il candidato premier e avvii incontri per il programma».<br />

Bersani è più cauto. Definisce il Pdl «un partito che oscilla tra il silenzio e la rissa» e quello che è accaduto<br />

«uno spettacolo sconosciuto ai partiti europei che sono abituati a discutere. Fini ha posto temi di fondo, come<br />

la crisi, i valori, l'unità del paese e l'esito della democrazia evidenziando una spaccatura profonda nel<br />

centrodestra. Questo è un paese senza governo. Stiamo assistendo a una paralisi del governo e delle<br />

riforme. Con un partito così, tre anni sono lunghi». Segno che anche per il segretario Pd bisogna prepararsi a<br />

sviluppi della crisi politica in atto. Difende inoltre Fini dall'attacco del presidente del Senato, Renato Schifani:<br />

«Tragga per sé la conseguenza che intende ricavare per gli altri. Schifani pure fa politica». Tra i Democratici<br />

ci sono anche valutazione differenti. Dario Franceschini dà un altro giudizio sullo scontro nel Pdl perché vede<br />

«una rivoluzione dello schema proprietario berlusconiano» in ciò che è accaduto ieri. «Sono stato sempre<br />

avaro di riconoscimenti a Fini - ammette il leader della minoranza - però questa è stata una mossa<br />

coraggiosa e molto intelligente. Una scissione avrebbe avuto come effetto anche l'indebolimento del sistema<br />

bipolare Pdl/Pd. Invece così, è stato avviato un percorso che vedrà nel Pdl coesistere una componente di<br />

minoranza». Non è forse questo un cedimento? «Potrebbe sembrarlo a un'osservazione superficiale: è al<br />

contrario una rivoluzione perché costringe il Pdl a un passo verso la normalità democratica. Berlusconi<br />

reagisce non a caso parlando di metastasi, poiché nella sua visione proprietaria non sono ammessi dissensi.<br />

Fini ha fatto fare un passo avanti al partito verso una dialettica interna, poco importa quanti voti ha».<br />

La crisi del Pdl chiama in causa direttamente l'opposizione e la sua strategia. Anche se nessuno per ora<br />

pensa che ci sia un'accelerazione verso le elezioni, neppure Di Pietro. Rosy Bindi, la presidente del Pd, è<br />

netta: «La prepotenza di Berlusconi vanifica gli sforzi di Fini di superare il centralismo carismatico del Pdl. Il<br />

premier si comporta come se anche il partito fosse cosa sua. Abbiamo visto un partito che litiga in modo<br />

scomposto, non un partito che discute». E Veltroni: «Fini coraggioso a rendere esplicita la divisione».<br />

Soddisfazione di Rutelli e Tabacci (Api): «Guardiamo con attenzione al percorso di Fini». La speranza di<br />

Rutelli è che si possa creare un terzo polo, con Fini, Casini e magari Montezemolo. Ironico il pd Renzi: «Noto<br />

che il Pd ha esportato la democrazia, ora anche il Pdl litiga».<br />

Foto: TRA RISSA E SILENZIO Per Pier Luigi Bersani lo spettacolo della direzione Pdl è stato "indecoroso, è<br />

un partito che oscilla tra la rissa e il silenzio "<br />

Foto: AIUTO "Noi siamo vicini a chi subisce un ricatto politico e vuole ridare dignità al Parlamento", dice<br />

Antonio Di Pietro parlando di Fini<br />

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ED. NAZIONALE<br />

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LO SCONTRO NEL PDL Le reazioni<br />

"Fini vuole fermare l'avanzata della Lega"<br />

Bossi teme imboscate parlamentari sul federalismo. E pensa di fare il mediatore Il Senatur potrebbe aprire<br />

sulla riforma elettorale. A Radio Padania accuse all'ex leader di An<br />

RODOLFO SALA<br />

MILANO - Nel fortino leghista di via Bellerio tira un'aria grama per il «traditore» Fini. Ma si medita anche di<br />

correre ai ripari contro un patatrac che metterebbe a serio rischio il federalismo. Umberto Bossi, rinchiuso<br />

nella sua stanza al primo piano (gli altri big sono tutti a Roma), segue in diretta il match che si sta tenendo tra<br />

l'»amico Silvio» e il presidente della Camera. Per il Senatùr era tutto chiaro fin dall'inizio, questo redde<br />

rationem suona come una conferma, e lo dice ai suoi: «Fini vuole fermare l'avanzata della Lega, ha paura<br />

che noi ci espandiamo non solo nelle regioni rosse, ma anche al Sud; per questo è pronto a tradire i patti di<br />

maggioranza tirando un colpo di freno sul federalismo». E ancora: «Vuole portare i soldi al Sud».<br />

Ma il divorzio tra Berlusconi e il «cofondatore», nonostante i toni accesissimi, non c'è stato. Per questo Bossi<br />

tira un sospiro di sollievo, preparandosi però a una controffensiva diplomatica nel timore che l'ex leader di An<br />

possa, in un futuro piùo meno prossimo, coagulare spezzoni della «vecchia partitocrazia».E magari anche, da<br />

presidente della Camera, mettere i bastoni tra le ruote della maggioranza quando ci saranno da votare<br />

provvedimenti a cui la Lega tiene moltissimo. Il viceministro Roberto Castelli, con una nota ufficiale, dà voce a<br />

questi timori: «È chiaro che adesso uscirà allo scoperto in Parlamento il partito di quelli che finora hanno solo<br />

fatto finta di sostenere il federalismo fiscale, confidando che non sarebbe mai arrivato a compimento».<br />

Uno scenario da scongiurare in tutti i modi: ecco perché Bossi starebbe pensando di ritagliarsi un ruolo per<br />

lui abbastanza inedito, almeno dentro i confini del centrodestra: quello del pacificatore tra i due litiganti. Se<br />

n'è parlato ieri sera a Roma, dove il ministro delle Riformeè volato in serata per incontrare a cena i suoi<br />

luogotenenenti Maroni e Calderoli. Se Fini, è il ragionamento, «spara sulla Lega per uscire dall'angolo in cui<br />

siè cacciato»,è necessario togliergli qualche argomento. Con un'iniziativa politica forte che faccia del Senatùr<br />

il «garante» della coalizione. Le mosse sono ancora da studiare, ma già circola qualche rumor: Bossi<br />

potrebbe offrire a Fini un accordo per candidare a sindaco di Bologna un ex An fedele al presidente della<br />

Camera; e anche aprire, da ministro delle Riforme, su una legge elettorale «all'italiana» da affiancare a un<br />

sistema presidenzialista, invitando Fini-e senza porre pregiudiziali - a dare il proprio contributo.<br />

Toni preoccupati, per come stanno andando le cose nel Pdl, arrivano anche dal neo-governatore del Veneto,<br />

Luca Zaia: «Ormai è evidente, sta nascendo un partito contro le riforme, e per questo si vuol far passare<br />

l'idea che l'unico problema è la Lega; ci chiamano partito acchiappatutto, ma noi prendiamo i voti, non le<br />

poltrone». Poi l'accusa: «Ho l'impressione che qualcuno ci stia usando come capro espiatorio per nascondere<br />

difficoltà che non sono certo le nostre». Ed è sempre Zaia a tirare un colpo di freno sull'ipotesi iniziale del<br />

Carroccio, avanzata proprio da Bossi, e cioè che in caso di rottura nel Pdl bisognerebbe tornare al voto. Si<br />

può evitare: «Il ricorso alle urne bloccherebbe il processo delle riforme, incoraggiato anche dagli ultimi risultati<br />

elettorali. E i cittadini - dice l'ex ministro dell'Agricoltura - capirebbero di chi è la colpa». E a chiedergli se a<br />

questo punto Fini sia compatibile con la maggioranza, Zaia risponde così: «Finché c'è vita c'è speranza, io<br />

spero in una ricomposizione veloce». Certo che nel popolo della Lega il presidente della Camera sta battendo<br />

tutti i record di antipatia.<br />

Bastava ascoltare, ieri, la diretta di Radio Padania, tutta dedicata alla direzione nazionale del Pdl. Fini come<br />

Ciano, urlava un giovane ascoltatore: «Neppure al Gran Consiglio del Fascismo del '43 c'è stato un<br />

voltafaccia del genere».<br />

Altre voci: «Non rappresenta né il Nord né il centrodestra», «Parla come Bersani», «Me l'aspettavo da uno<br />

che diceva di non voler prendere nemmeno un caffè con Bossi».<br />

Le reazioni CASTELLI Silenti i vertici la posizione della Lega è stata esplicitata dal vice ministro Roberto<br />

Castelli: «Esce allo scoperto il partito del sud contro le riforme. Fini ha tradito il patto con gli elettori».<br />

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ZAIA Il neo governatore del Veneto frena sulle ipotesi di voto anticipato: «I cittadini non capirebbero, perché<br />

si bloccherebbe il cammino delle riforme, incoraggiato invece dai risultati elettorali» RADIO PADANIA<br />

L'europarlamentare Matteo Salvini guida la protesta in diretta dei militanti: «Ma che dice Fini? Non<br />

rappresenta il Nord e nemmeno il centrodestra!». «Sembra un extraparlamentare di sinistra!» PER<br />

SAPERNE DI PIÙ www.leganord.org www.partitodemocratico.it<br />

Foto: Il leader della Lega, Umberto Bossi, con Roberto Calderoli<br />

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Il caso<br />

La 'Ndrangheta ha la Cupola i boss la chiamano Provincia<br />

Non è ancora chiaro se la struttura guidi solo la costa ionica o anche la tirrenica Inchiesta a Reggio, ieri otto<br />

fermati L'organizzazione è unica, ma diversa da Cosa nostra<br />

ATTILIO BOLZONI<br />

È UNA, una sola.È un corpo unico.<br />

E non è più un arcipelago di famiglie tenute insieme da legami di sangue e comparati o matrimoni.<br />

Non c'è solo la «cosca dei Bellocco» e poi la «cosca dei Tegano», quella dei De Stefano e poi quell'altra dei<br />

Piromalli, c'è invece un'associazione intera che comanda e che si chiama 'Ndrangheta. Questa è l'ultima<br />

scoperta investigativa che ci accompagna dentro nuovi scenari criminali.<br />

Non è come ce la immaginavamo. Le indagini sul fronte di Reggio raccontano che la mafia più potente<br />

d'Europa - quella che al massimo veniva considerata «una confederazione di famiglie» - è molto<br />

probabilmente la «stessa cosa» dal Tirreno allo Jonio, un'organizzazione dove vige il principio della<br />

territorialità e dove c'è una struttura gerarchica e a quanto pare anche un vertice condiviso. Non è un<br />

consiglio di amministrazione, nessuno sa esattamente cos'è, è un'entità ancora indefinita a metà fra una<br />

Cupola in salsa calabrese- però molto diversa da quella siciliana - e una camera di compensazione per<br />

governare e fare grandi affari nel mondo. Loro, i boss, dicono che è «la Provincia».<br />

Sono passati solo due mesi da quando il Parlamento ha introdotto e ufficialmente riconosciuto il reato di<br />

'ndrangheta (il 416 bis del settembre 1982 non lo contemplava, faceva solo riferimento alla mafia siciliana) e i<br />

capibastone della Calabria si svelano nelle loro conversazioni. Quello che fino a qualche tempo fa era<br />

soltanto un sospetto, viene confermato oggi dai «discorsi» di mafiosi come Antonino Latella e Giovanni<br />

Ficara, due di otto fermati ieri dai carabinieri del Ros che li hanno catturati in gran fretta per paura delle<br />

soffiate di una talpa. L'indagine - di altissimo profilo - apre uno spaccato inedito con le microspie che rivelano<br />

in diretta la realtà criminale dei nostri giorni.<br />

Dice un primo mafioso: «Siamo tutti una cosa, noi siamo la 'Ndrangheta». E dice un altro mafioso: «Tutti<br />

siamo nella 'Ndrangheta». E dice ancora il primo: «L'organizzazione nostra». É la prima volta che affiora un<br />

ritratto così preciso dell'organizzazione che è padrona della Calabria e che è ramificata con i suoi «locali» (le<br />

'ndrine) nei cinque Continenti. «A dieci anni da alcune sentenze che parlavano di una confederazione fra<br />

famiglie, stiamo adesso raccogliendo elementi nuovi per verificare fino in fondo l'unicità di questa<br />

organizzazione che ha, fra l'altro, momenti rappresentativi a diversi livelli», spiega il procuratore capo di<br />

Reggio Calabria Giuseppe Pignatone. É sempre dalle parole intercettate ai boss calabresi che emerge<br />

l'esistenza di un «organismo» messo lì a risolvere le controversie fra le famiglie, in qualche modo a<br />

«sovrintendere». Parlano questa volta Giuseppe Pelle e Rocco Morabito, due nomi di peso nella 'ndrangheta.<br />

Discutono animatamente di un «problema» dentro il «locale» del paese di Roghudi dove, all'inizio degli Anni<br />

Novanta, c'era stata una sanguinosissima faida e dove erano schierati su fronti opposti proprio i loro padri.<br />

Per accertare diritti e doveri e responsabilità uno annuncia all'altro: «Ma se vogliono chiamiamo la Provincia<br />

come responsabile e parliamo.. e vediamo come si deve fare, e vediamo chi ha più.. E vediamo chi ha torto e<br />

chi ha ragione pure...». Le parole corrono. I mafiosi calabresi citano un «trequartino», un «quartino», un<br />

«vangelo», gradi e cariche dell'organizzazione.<br />

La struttura gerarchica della «Società Maggiore», la 'Ndrangheta.<br />

«Si fa ripetutamente riferimento all'esistenza di un organo sovraordinato ai locali e deputato anche alla<br />

risoluzione delle controversie tra queste: la Provincia..», scrivono nel loro provvedimento di fermo il<br />

procuratore capo e i suoi vice.<br />

E ricordano cosa scrisse, una decina di anni fa, il sostituto procuratore Nicola Gratteri alla fine di un'altra<br />

inchiesta: «Il Tribunale, pur non considerando allo stato raggiunta la prova dell'esistenza di una dimensione<br />

'provinciale' dell'associazione mafiosa, ha comunque ritenuto che potesse affermarsi l'esistenza<br />

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nell'organizzazione 'ndranghetistica, di un processo evolutivo di tipo piramidale, proteso in direzione di un<br />

maggior accentramento soprattutto in relazione alle decisioni più importanti e delicate, ed anche al fine di<br />

garantire la sopravvivenza dell'Istituzione 'ndrangheta».<br />

Resta da scoprire adesso se questa «Provincia» della 'Ndrangheta comanda non soltanto sulla costa jonica<br />

ma anche su quella Tirrenica, resta da scoprire quale peso ha sull'intera città di Reggio.<br />

Resta da capire chi sta sopra il popolo mafioso della Calabria.<br />

REPUBBLICA.IT In un video la folla difende l'ambulante senegalese dai vigili urbani<br />

Foto: IN MANETTE L'arresto di Domenico Pelle, uno dei numerosi affiliati del clan Pelle di San Luca,<br />

avvenuto ieri nell'operazione "Reale"<br />

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IL VOTO IN GRAN BRETAGNA<br />

Nasce in tv l'alleanza Clegg-Brown<br />

Nel secondo dibattito elettorale, posizioni vicine tra il premier e il leader lib-dem Il conservatore Cameron,<br />

tuttora il favorito nei sondaggi, si ritrova isolato<br />

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ENRICO FRANCESCHINI<br />

LONDRA - «Vogliamo restare in Europa, ma non farci governare dall'Europa, vogliamo la sterlina e non<br />

l'euro, in futuro vogliamo un referendum per bloccare ogni nuovo trattato europeo», dice David Cameron,<br />

leader conservatore.<br />

«L'Europa non è perfetta, ma senza l'Europa nemmeno la Gran Bretagna conta abbastanza, russi e cinesi ci<br />

ascoltano solo perché siamo un mercato di mezzo miliardo di persone», risponde Nick Clegg, leader<br />

liberaldemocratico. «Tre milioni di posti di lavoro britannici dipendono dall'Europa e metà del nostro<br />

interscambio commerciale è con l'Europa, l'antieuropeismo di Cameron è un pericolo per il nostro Paese»,<br />

concorda Gordon Brown, leader laburista. Due contro uno.<br />

In diretta davantia milioni di telespettatori, si profila una possibile alleanza di governo tra il premier uscente e<br />

l'uomo nuovo: nel secondo dibattito tivù della campagna elettorale, Brown e Clegg dicono più volte le stesse<br />

cose, su politica estera, immigrazione, economia, mentre Cameron si ritrova isolato.È lui, secondo il primo<br />

sondaggio a caldo, a "vincere" il dibattito, con il 36 per cento, contro il 32 per Clegg e il 29 per Brown. Ma un<br />

altro rilevamento assegna d'un soffio la vittoria a Clegg, 33 a 30 su Cameron e Brown alla pari.<br />

Il primo l'aveva vinto, anzi stravinto Clegg. In questo per lui era più dura, perché il candidato liberal-<br />

democratico, trasformato dal dibattito televisivo di sette giorni fa nel protagonista delle elezioni, popolare<br />

come Churchill secondo i media, è arrivato a quello di ieri sera in una situazione assai più difficile. «Credo di<br />

essere l'unico uomo politico che è passato in una settimana dall'essere paragonato a Churchill a essere<br />

chiamato nazista», ha ironizzato con i giornalisti poco prima di entrare nell'arena tivù. Era inevitabile che,<br />

messo di colpo sotto il microscopio dei media, avrebbe rivelato qualche pecca, ma la stampa conservatrice<br />

ha scatenato contro di lui un attacco di rara virulenza, dipingendolo quasi come un mostro.<br />

Un corrotto: solo perché si è scoperto che tre businessmen fecero donazioni per un anno sul suo conto<br />

personale complessivamente per la bellezza di 750 sterline al mese, pari a circa 850 euro. Non era ancora<br />

leader dei lib-dem, non ha commesso nulla di illegale, quei soldi - ha spiegato - servivano a pagare lo<br />

stipendio di un suo assistente, ma intanto le tivù non parlano d'altro e presentano colui che promette di<br />

ripulire la politica come qualcuno che ha per primo qualcosa da nascondere.<br />

Un aristocratico: perché si è scoperto che ha una bisnonna baronessa, la prova, per il tamtam dei giornali,<br />

che Clegg non è un uomo del popolo. Un ex "eurocrate": ossia ex burocrate dell'Unione Europea, accusa che<br />

per molti inglesi suona peggio di serial-killer. E così via fino a "nazista", come scrive in prima pagina il Daily<br />

Express, per via di un presunto sberleffo che avrebbe pronunciato all'indirizzo del paese natio.<br />

«I difensori dello status quo vorrebbero spaventare la gente, per impedirle di cambiare, per costringerla a<br />

votare ancora una volta per i partiti di sempre», si è difeso lui ieri sera.<br />

«Spero che gli elettori britannici non si facciano intimorire e votino con la loro testa, liberamente, per chi<br />

vogliono». Vedremo come l'opinione pubblica reagirà all'offensiva mediatica contro Clegg e al suo secondo<br />

duello televisivo con Cameron e Brown. Non è un caso se ad attaccarlo sono soprattutto i Tory e il loro<br />

leader. Più Clegg sale, meno Cameron ha probabilità di ottenere una maggioranza assoluta alle urne; e in tal<br />

caso un governo di coalizione tra Labour e lib-dem sarebbe l'ipotesi più probabile, perché le loro posizioni<br />

sono più simili. Come dimostra la frase ripetuta più volte da Brown nel primo dibattito, «I agree with Nick»<br />

(sono d'accordo con Nick), già diventata una battuta da pub, stampata su migliaia di magliette, ieri quotata<br />

dai bookmaker che accettavano scommesse su quante volte il premier l'avrebbe ripetuta.<br />

Il sistema di difesa Non possiamo abbandonare il sistema di difesa nucleare come vogliono i lib-dem:<br />

sarebbe un rischio DAVID CAMERON<br />

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Più forti con l'Europa L'Unione Europea non è certo perfetta, ma da soli siamo più deboli, uniti siamo<br />

più forti NICK CLEGG<br />

Vinceremo a Kabul Le nostre truppe vinceranno la guerra in Afghanistan e schiacceranno Al Qaeda<br />

GORDON BROWN PER SAPERNE DI PIÙ www.guardian.co.uk news.bbc.co.uk<br />

Foto: IL CONFRONTO Brown, Cameron e Clegg durante il dibattito tv andato in onda ieri<br />

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L'intervista Parla il cardinale Kasper: "Combattere un male orribile non solo a parole, ma con atti concreti"<br />

"È questa la tolleranza zero annunciata dal Santo Padre"<br />

È la Chiesa cattolica che fa pulizia al suo interno, che si purifica, che chiede perdono<br />

ORAZIO LA ROCCA<br />

CITTA' DEL VATICANO - Cardinale Kasper, tre vescovi costrettia dimettersi negli ultimi 2 giorni per lo<br />

scandalo della pedofilia.<br />

Questo significa che il pugno di ferro della Santa Sede incomincia a farsi sentire? «No, niente pugni. E'<br />

semplicemente l'applicazione di quella tolleranza zero più volte annunciata con fermezza dal Santo Padre ed<br />

ora applicata senza esitazione. E' la Chiesa cattolica che fa pulizia al suo interno, che si purifica, che chiede<br />

perdono. E' la risposta concreta ad un dramma tanto grave come la pedofilia che ha colpito tante vittime<br />

innocenti per colpa di sacerdoti che hanno tradito la loro promessa di servire Dio aiutando i più deboli».<br />

Presidente del Pontificio consiglio per l'unità dei cristiani, ma anche membro di altri importanti dicasteri<br />

(Dottrina della Fede, Supremo Tribunale per la Signatura apostolica, Testi legislativi, Cultura), il cardinale<br />

Walter Kasper (77 anni) è il tedesco più potente in Vaticano dopo papa Ratzinger ed il suo fido segretario<br />

personale, monsignor George Gaenswaen. Di fronte alle notizie sulle dimissioni a catena di vescovi travolti<br />

dai casi di pedofilia, non sembra sorpreso: «E' la prova - dice - che la Chiesa è decisa a combattere un male<br />

tanto orribile non solo a parole, ma con fatti ed atti concreti».<br />

Ieri un vescovo irlandese ed uno tedesco. Il giorno precedente un altro presule americano. E sempre per lo<br />

stesso motivo. Nei prossimi giorni ci saranno altre dimissioni forzate? «Non posso commentare i singoli casi<br />

perché sono vicende che non conosco in prima persona. E, tantomeno, preannunziare cosa succederà in un<br />

futuro più o meno prossimo. E' bene lasciare lavorare gli organi preposti della Santa Sede e le Chiese locali.<br />

Il futuro si vedrà. Ma una cosaè certa, la Chiesa non lascerà nulla di intentato per estirpare al suo interno una<br />

metastasi tanto orribile e vergognosa come è la pedofilia tra il clero. E', in sostanza, l'applicazione di quella<br />

tolleranza zero più volte annunciata ed invocata».<br />

Tolleranza zero voluta da papa Ratzinger, malgrado qualche tentativo di opposizione di una parte del<br />

collegio cardinalizio? «E' proprio quella fermezza che vuole il Santo Padre, il quale quando chiede perdono<br />

per gli abusi sulle vittime e invoca la giustizia per i colpevoli non lo fa solo a parole, ma con fatti ed interventi<br />

concreti. Come stiamo vedendo proprio in questi giorni. Ma non dimentichiamo mai che il Santo Padre sa che<br />

è circondato dal calore di tutta la Chiesa, dove non c'è nessuno che non gli sia grato per la sua grande opera<br />

di puliziae di purificazione avviata per depurarla dalle scorie degli scandali».<br />

Eppure c'è ancora chi accusa il Vaticano e Benedetto XVI di non aver fatto molto, sia ieri che oggi, per<br />

estirpare i preti pedofili dal corpo della Chiesa.<br />

«Non è vero che il Papa parla soltanto e non fa niente di concreto. I fatti di questi giorni lo stanno a<br />

dimostrare. E' vero, invece, che la Chiesa cattolica, sotto la guida di Benedetto XVI, è fermamente<br />

intenzionata a fare pulizia, chiarezza, penitenza, isolando i colpevoli e facendo un salutare percorso di<br />

purificazione. Senza mai dimenticare il doloree le sofferenze che sacerdoti infedeli hanno inferto a piccole<br />

vittime innocenti. La Chiesa cattolica lo sta facendo alla luce del sole. Ma sarebbe necessario che anche altre<br />

istituzioni facessero altrettanto se veramente si vuole combattere la pedofilia».<br />

Foto: L'ESPRESSO Nel numero in edicola oggi il servizio di copertina è dedicato alla crisi nella Chiesa: lo<br />

scandalo pedofilia, la divisione sul celibato, il ruolo negato alle donne e alla fronda interna al Pontefice<br />

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LO SCANDALO NELLA CHIESA<br />

Pedofilia, via il vescovo Moriarty presto dall'Irlanda altre dimissioni<br />

Milwaukee, una vittima Usa denuncia il Papa, Sodano e Bertone Lascia anche il presule tedesco Mixa. Scuse<br />

dell'episcopato inglese ai fedeli<br />

MARCO ANSALDO<br />

CITTÀ DEL VATICANO - «Anche se so che le parole non bastano, chiedo perdono a tutte le vittime di abusi e<br />

alle loro famiglie. Avrei dovuto contrastare la cultura prevalente». Con queste parole, che sanno di atto<br />

d'accusa contro un fenomeno di copertura vasto e generalizzato, si è dimesso ieri monsignor James Moriarty,<br />

già vescovo ausiliare di Dublino, criticato per aver occultato preti pedofili nella sua diocesi. Il Papa ha<br />

accettato le dimissioni.<br />

Ma proprio Benedetto XVI si è trovato denunciato, assieme ai cardinali Tarcisio Bertone e Angelo Sodano, al<br />

tribunale di Milwaukee, dai legali di una delle vittime di padre Murphy, il sacerdote accusato di aver abusato<br />

di 200 ragazzi sordomuti. All'azione gli avvocati hanno allegato due lettere, una con ricevuta di ritorno,<br />

inviatea Sodano, all'epoca segretario di Stato, in cui l'uomo chiedeva se Giovanni Paolo II avrebbe<br />

scomunicato Murphy.<br />

«Abbiamo scelto di citare il Papa ha spiegato il legale - Sodano e Bertone perchè sono al vertice della<br />

piramide che chiedeva la segretezza». In Irlanda, con Moriarty sale a tre il numero di alti prelati che<br />

abbandonano il campo per il caso pedofilia. Prima era toccato al vescovo di Limerick, monsignor Donald<br />

Murray, e all'ex vescovo di Cloyne, monsignor John Magee, segretario personale di tre Papi. Ma già sembra<br />

che altri due prelati siano in procinto di lasciare. L'accettazione delle dimissioni da parte di Benedetto è<br />

andata ufficialmente sotto il comma riguardante ragioni di salute. In realtà la decisione del Papa va letta alla<br />

luce della sua Lettera pastorale ai cattolici irlandesi - promulgata a marzo durante la convocazione dei loro<br />

vescovi a Roma - molto dura nei confronti dei preti abusatori e dei superiori che li coprirono. In quel<br />

documento il pontefice, usando il plurale delle dichiarazioni solenni, univa il suo dolorea quello delle vittime.<br />

«Tutti noi- scriveva- stiamo soffrendo come conseguenza dei peccati di nostri confratelli che non hanno<br />

affrontato in modo responsabile le accuse di abuso». Qualificando dunque nello stesso modo - ed è uno degli<br />

elementi considerati di novità del testo - i crimini dei preti pedofili e la colpevole passività dei vescovi. Così ieri<br />

l'episcopato d'Inghilterra e del Galles ha chiesto perdono ai fedeli, affermando che «non esistono scusanti»<br />

per i sacerdoti che hanno «gettato nella vergogna più profonda tutta la Chiesa». Il messaggio, presentato<br />

dall'arcivescovo di Westminster, è stato diffuso in ogni diocesi.<br />

Ma lo scandalo non abbandona né la Germania né gli Stati Uniti. Ieri il vescovo di Augsburg, Walter Mixa,<br />

uno dei più influenti e conservatori presuli tedeschi, ha presentato infine le proprie dimissioni al Papa dopo<br />

aver ammesso di aver maltrattato con punizioni fisichei bambini di un istituto. A Washingtonè stato invece<br />

indotto a rinunciare a celebrare la messa nella Chiesa dell'Immacolata Concezione il cardinale Dario<br />

Castrillon Hoyos, accusato di aver elogiato un vescovo francese che aveva coperto un sacerdote.<br />

Intanto a Roma si è aperto ieri un convegno della Cei dedicato alle nuove tecnologie, dal titolo "Testimoni<br />

digitali". Durante i lavori, il segretario generale, monsignor Mariano Crociata, ha puntato il dito contro la<br />

politica di oggi, definita «particolarmente evanescente» e incapace di andare «oltre la soluzione di<br />

emergenze».<br />

I casi JAMES MORIARTY Aveva occultato preti pedofili nella sua diocesi. Chiedendo perdono e ammettendo<br />

i suoi limiti, ieri il vescovo irlandese si è dimesso WALTER MIXA Ieri si è dimesso il vescovo di Augsburg, fra i<br />

più conservatori del clero tedesco. Aveva ammesso maltrattamenti su dei bambini JOHN FAVALORA<br />

Dimissionario da martedì, ufficialmente per motivi di salute, il vescovo di Miami. L'accusa è di aver coperto,<br />

anche lui, dei prelati pedofili<br />

PER SAPERNE DI PIÙ http://www.vatican.va/ http://www.irishtimes.com/<br />

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Foto: LINEA DURA Benedetto XVI: il Papa prosegue con la linea dura contro la pedofilia<br />

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<strong>POLITICA</strong> E GIUSTIZIA<br />

Vietato pubblicare anche gli atti delle indagini<br />

Emendamento al ddl sulle intercettazioni. La legge sotto la lente del Colle Alfano: "Così noi tuteliamo la<br />

privacy, non mi farò dettare la riforma dall'Anm"<br />

LIANA MILELLA<br />

ROMA - Il fascicolo delle intercettazioni, con i 12 emendamenti del Pdl, ora è sotto la lente d'ingrandimento<br />

degli uffici tecnici del Colle. Che stanno verificando se le modifiche vanno nella direzione chiesta da Giorgio<br />

Napolitano. Il quale, a luglio 2009, aveva raccomandato al Guardasigilli Angelino Alfano di garantire, pur nella<br />

stretta della riforma, sia uno strumento indispensabile per fare indagini come quelle sulla mafia, sia la libertà<br />

d'informare. Seriamente compromessa dal divieto di pubblicare qualsiasi atto d'indagine «anche per<br />

riassunto» fino alla chiusura delle indagini preliminari. Due punti già critici che gli emendamenti, studiati al<br />

ministero della Giustizia, rischiano di compromettere definitivamente.<br />

Perché, come dice il responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando, «i cambiamenti limitano la libertà di<br />

stampa e introducono elementi di censura che prescindono addirittura dall'oggetto della legge».<br />

«Un'ennesima porcheria da accantonare». Ma a farlo Alfano non ci pensa neppure. Tant'è che ancora ieri,<br />

davanti a Berlusconi, ha arringato: «Difendiamo l'articolo 15 della Costituzione, la tutela della privacy». E<br />

rivolto all'Anm, che in otto punti ha stroncato i 12 del Pdl: «Non sono disponibile a farmi dettare la riforma da<br />

loro».<br />

In nome di un'interpretazione estremamente estensiva della privacy, e su ordine diretto di Berlusconi, il<br />

governo colpisce a morte il diritto di cronaca. Quando la legge sarà approvata le inchieste giudiziarie<br />

diventeranno top secret. Un arresto? Solo nome e cognome. Niente confronti, niente perizie, niente verbali<br />

d'interrogatorio. Come denuncia l'Anm, non si potranno più pubblicare gli atti di un procedimento, neppure<br />

quelli che non sono più coperti dal segreto, «né in forma parziale, né per riassunto, né nel contenuto» fino al<br />

termine delle indagini.<br />

Contro la stampa colpevole di aver dato notizia, in piena campagna elettorale, delle indagini di Firenze su<br />

Bertolaso e la «cricca degli appalti», e di Trani sulle pressioni del Cavaliere sull'Agcom per bloccare<br />

Annozeroe Ballarò, il governo cancella le pur caute aperture che aveva fatto un anno fa alla Camera. Lì, per<br />

garantire un barlume del diritto di cronaca, con una lettera a Fnsi e Ordine, s'era battuta la finiana Giulia<br />

Bongiorno. Ma la frase «di tali atti è sempre consentita la pubblicazione per riassunto» scompare con il primo<br />

dei 12 emendamenti.<br />

Un tratto di penna, e muore il diritto di cronaca. Resta il divieto secco di pubblicare qualsiasi atto fino alla<br />

chiusura delle indagini che già esiste all'articolo 114 del codice di procedura penale («È vietata la<br />

pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siamo concluse le indagini<br />

preliminari»). Temperato però da un'apertura («È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non<br />

coperti dal segreto») che viene eliminata dal governo. Per fare in modo che sulla cronaca giudiziaria scenda il<br />

silenzio. È da vedere se tutto questo passerà il vaglio di Napolitano o se la legge non andrà incontro a un<br />

nuovo stop.<br />

Le norme STAMPA MUTA Stop agli atti sui giornali, pure per riassunto o nel contenuto, fino a chiusura<br />

indagini CRONISTI IN CELLA Per chi viola i divieti c'è il carcere fino a 2 mesi e multe fino a 20mila euro per<br />

le intercettazioni SOSPENSIONE Se il giornalista viene condannato scatta anche la sospensione dalla<br />

professione PER SAPERNE DI PIÙ www.anm.it www.rai.it<br />

Foto: IL PRESIDENTE Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica<br />

LA REPUBBLICA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

LO SCONTRO NEL PDL La polemica<br />

"Unanimismo finito, ora democrazia e resto presidente della Camera"<br />

Fini rilancia. Bondi: minaccia scintille in Parlamento. Pisanu si astiene Bocchino: "Per noi il programma è<br />

Vangelo, ma quello che non è scritto andrà discusso"<br />

CARMELO LOPAPA<br />

ROMA - Il documento finale con cui il leader Berlusconi chiude qualsiasi spiraglio alla nascente minoranza<br />

interna è una doccia gelata per i finiani. Quasi un avviso di sfratto che il presidente della Camera però si<br />

lascia scivolare addosso. Quando al tramonto Gianfranco Fini lascia l'auditorium della Conciliazione ha l'aria<br />

di chi si è liberato di un peso e non chiude la partita.<br />

«Finisce la stagione dell'unanimismo e comincia quella del confronto. Questa è democrazia.<br />

Non ho nessuna intenzione di dimettermi dalla presidenza della Camera, né di lasciare il partito» spiega<br />

prima di entrare in auto.<br />

La componente «è numericamente molto minoritaria, e su questo non c'erano dubbi. Non saboteremo,<br />

daremo corso al programma del governo - assicura Fini - ma ridurre le tasse è solo un titolo, riformare la<br />

giustizia pure. Poi bisognerà vedere».<br />

Ma uscendo dalla direzione in fiamme, il coordinatore Sandro Bondi versa altra benzina: «Fini mi ha detto<br />

chiaramente "vedrete scintille in Parlamento": significa che non si vuole stare nel partito». È lo scenario che i<br />

berluscones adesso temono. Scintille sui provvedimenti che più stanno a cuore al premier, dalle<br />

intercettazioni alla giustizia. Italo Bocchino, additato nel suo intervento da Berlusconi, a margine dei lavori lo<br />

dice chiaro: «Quello che è scritto nel programma di governo per noi è Vangelo. Quello che non è scritto dovrà<br />

essere discusso». Per dirla con un altro finiano doc, «adesso in Parlamento li faremo ballare, soprattutto col<br />

voto segreto». Quanto al veto del premier alle comparsate tv della minoranza, il vicecapogruppo Pdl<br />

Bocchino è tranchant: «La differenza è tutta sul piano culturale, lui proviene da un'azienda, io da un grande<br />

partito». Anche a lui, in serata, Bondi rivolgerà l'invito a «dimettersi da vicecapogruppo». Un clima reso<br />

incandescente dalla sfilza di interventi contro Fini, all'auditorium, da Angelino Alfano a Giulio Tremonti. Il<br />

presidente della Camera frena l'ira dei suoi. Nel vertice coi 22 riunito in una saletta laterale dopo lo scontro in<br />

platea, li invita a «mantenere la calma». La linea, ribadita poi in un documento, sarà quella di ritirare tutti i 22<br />

iscritti a parlare nel pomeriggio.<br />

Perché, è il monito di Fini a porte chiuse, «quello che dovevamo dirlo lo abbiamo detto: avete visto che toni<br />

padronali da Berlusconi? Evitiamo di esasperare il clima. State certi che non gli faccio il favore di farmi da<br />

parte». I finiani in quel vertice «carbonaro» si dicono pronti a votare un eventuale documento finale di<br />

sostegno all'azione di governo. Quel che verrà fuori dalla penna di Berlusconi, Bondi, La Russa e Verdini è<br />

tutt'altro. In dodici votano no, altri otto escono. Tra gli astenuti, a sorpresa, Beppe Pisanu, che poi va via<br />

amareggiato: «Non potevo firmare un documento che impedisce la critica interna, l'esistenza di una<br />

minoranza è elemento di democrazia».<br />

Ma se i finiani danno appuntamento in aula, i berlusconiani non escludono altre ritorsioni. Il 22 maggio, ad<br />

esempio, vanno al rinnovo le presidenze delle commissioni. Giulia Bongiorno occupa la Giustizia e Silvano<br />

Moffa il Lavoro, alla Camera, Mario Baldassarri la Finanza in Senato.<br />

«Pazienza, noi non ragioniamo con i canoni di Publitalia» dice sarcastico Pippo Scalia. Anche la Bongiorno<br />

ostenta serenità a fine lavori: «Fini ha dato prova di grande coraggio, personale, oltre che politico. Adesso,<br />

nessuno potrà sostenere che non sono chiare le sue tesi sul partito, sulle riforme, sulla giustizia. E non dovrà<br />

certo farsi da parte».<br />

Hanno detto BOCCHINO "Fini farà il presidente della Camera e il leader della minoranza: la richiesta di<br />

Berlusconi non viene accolta" GRANATA "Spero che la frattura tra Fini e Berlusconi sia sanabile. Ma temo di<br />

no", commenta il finiano Fabio Granata" PISANU Unico astenuto, spiega: "Non potevo firmarlo: l'esistenza di<br />

una minoranza attiene alla democrazia interna di un partito"<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

Foto: PRESIDENTE Gianfranco Fini, presidente della Camera<br />

Foto: Le curiosità OBOLO A TREMONTI "Eccoti 5 euro per far calare il debito pubblico".<br />

Così Bocchino a Tremonti, che ha accettato sia lo scherzo sia i 5 euro DI NUOVO AMICHE Dopo molti<br />

pubblici litigi anche a suon di pesanti epiteti, ieri la Santaché e la Mussolini hanno esibito il loro rinnovato<br />

feeling RIFORME SENZA ALIBI Brunetta dalla tribuna ha sollecitato Tremonti: "Ci sono riforme a costo zero<br />

da fare, non vale l'alibi che la crisi impedisce di farle"<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 6<br />

L'intervista Il vicecapogruppo alla Camera: "Il documento vulnus alla democrazia"<br />

Briguglio: "Una deriva populista e autoritaria"<br />

Partito caserma Quel documento dà l'impressione di essere stato concepito e votato per trasformare il partito<br />

in una sorta di caserma<br />

ALBERTO D'ARGENIO<br />

ROMA - Quella di ieri non è stata una riunione di partito, ma «una sorta di convention» zeppa di spot recitati<br />

dai ministri sull'operato del governoe senza un vero dibattito. E, ancora peggio, il documento finale approvato<br />

dai delegati costituisce «un vulnus alla democrazia italiana», una pericolosa deriva «populista e autoritaria»<br />

del primo partito del Paese. La denuncia è firmata dal finiano Carmelo Briguglio, vicepresidente dei deputati<br />

del Pdl nonché tra i dodici fedelissimi che ieri hanno votato contro il testo scritto per mettere nell'angolo il<br />

presidente della Camera. Onorevole, è un'accusa non da poco. Come la spiega? «Quel documento è un<br />

vulnus alla democrazia perché teorizza una democrazia politica che trancia e cancella la funzione dei partiti.<br />

Insomma, stabilisce un legame arbitrario e senza limiti o regole tra il leader e il popolo. Il che rappresenta una<br />

deriva molto pericolosa».<br />

Rischia di esporre il partito a nuove critiche? «Assolutamente, quel testo dà forti argomenti a chi dice che il<br />

Popolo della Libertà e il premier Berlusconi sono fautori di una democrazia plebiscitaria e autoritaria.<br />

Corriamo il rischio che uno dei più grandi partiti occidentali membro del Partito popolare europeo dia<br />

un'immagine di sé incompatibile con il ruolo che ricopre. Noi come minoranza ribadiremo queste nostre<br />

ragioni e tenteremo di correggere la linea che ieri è stata imboccata dal Pdl. È semplicemente sbagliata,<br />

contro la storia del partito e soprattutto contro la sua ragione sociale, che è libertà.<br />

Non si può comprimere la libertà interna in nome della difesa della libertà».<br />

Ma voi finiani non avete avuto modo di limare il documento? «Assolutamente no, non ci è stato chiesto<br />

nessun contributo alla sua stesura. Noi della minoranza abbiamo solo subito la votazione. Ripeto che<br />

approvarlo è stato un gravissimo errore politico. Oltretutto è un documento che non è stato elaborato da<br />

nessun organo sociale ed è stato letto direttamente all'assemblea».<br />

Il tutto nel giorno in cui inizia la convivenza tra berluscones e minoranza finiana...<br />

«Quel documento, invece, dà proprio l'impressione di essere stato concepito e votato per trasformare il<br />

partito in una sorta di caserma. Parla di diritti della maggioranza senza accennare a nessuna regola per la<br />

convivenza. Men che meno prevede alcun diritto della minoranza che nata ieri dentro al Pdl».<br />

È come giudica la riunione di ieri? «La giudico un dibattito che non è stato un dibattito. A parte l'intervento di<br />

Fini, che resterà nella storia politica italiana ed europea, è stato una convention in cui i ministri si sono limitati<br />

a comunicare l'attività del governo».<br />

Foto: Carmelo Briguglio<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

Il retroscena<br />

Il Cavaliere azzarda "Torniamo alle urne"<br />

FRANCESCO BEI<br />

NON c'è nessuna trattativa, stavolta Gianni Lettaè rimasto con il telefono spento. I canali di comunicazione<br />

tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sono interrotti.<br />

GLI auspici di Giuliano Ferrara non si sono avverati.<br />

Ora è il momento della caccia all'uomo. Il Cavaliere ieri sera vedeva nero, deciso a fare il vuoto intorno<br />

all'avversario interno: salteranno a breve i finiani in posizione di potere, da Bocchino a Bongiorno, da Urso a<br />

Moffa. E già sono partiti gli ordini per Rai e Mediaset, dove chi si ritrova vicino alle posizioni della minoranza<br />

farà molta fatica a trovare ospitalità. Una "pulizia etnica" che, ovviamente, non risparmierà il principale<br />

imputato: «Chi rappresenta il 6% del partito - si è sfogato il premier parlando con alcuni forzisti al termine<br />

della Direzione - non può fare il presidente della Camera».<br />

Si sta persino pensando - i regolamenti parlamentari non prevedono la sfiducia al presidente dell'assemblea<br />

- a un qualche dispositivo "politico" da far votare ai deputati del Pdl per mettere nell'angolo Fini e costringerlo<br />

a lasciare lo scranno di Montecitorio. Quanto al governo, per Berlusconi a questo punto non si esclude nulla:<br />

«I numeri ci sono, andiamo avanti. Ma è chiaro che, se non ci facessero realizzare il programma, non<br />

potremmo che denunciarlo e tornare davanti agli elettori». Una minaccia che dal fronte finiano considerano<br />

«un bluff».<br />

«Adesso vedremo nelle prossime settimane se si adegueranno alle nostre decisioni», ha spiegato quindi il<br />

presidente del Consiglio prima di rientrare a palazzo Grazioli. «Sarebbe stato meglio se Fini mi avesse detto<br />

"me ne vado". Io sono uno che include, non mi piace litigare. Ma Fini vuole solo restare per logorarmi, non<br />

glielo posso consentire». Per questo il Cavaliere ha preteso che nel dispositivo della mozione approvata dalla<br />

Direzione fosse prevista anche una clausola "in or out" molto netta: «Adesso abbiamo lo strumento per<br />

sbattere fuori dal partito chi non si allinea alle decisioni».<br />

Per Berlusconi sono quattro le priorità su cui misurare la tenuta della maggioranza: il federalismo fiscale, la<br />

par condicio, la legge sulle intercettazioni e il lodo Alfano costituzionale. Parlando a sera con i suoi, Fini ha<br />

lasciato intendere che, d'ora in avanti, in Parlamento nulla sarà scontato: «Non faremo imboscate, ma<br />

solleveremo problemi su ogni questione che riteniamo importante». C'è tuttavia l'imbarazzo per gli scarsi<br />

numeri registrati in Direzione: 12 su 171. Passato un primo momento di sconforto, dai finiani sale una<br />

considerazione: «Denis Verdini ha calcolato il 6% della Direzione sul totale degli aventi diritto e non sui reali<br />

votanti che, in quel momento, saranno stati al massimo una sessantina». Insomma, secondo i calcoli del<br />

presidente della Camera, la sua quota «reale» potrebbe proiettarsi fino al 20%. «Che gli piaccia o no - insiste<br />

Fini in privato - da domani con noi dovrà fare i conti. Vorrebbe che me ne andassi, ma non gli farò questo<br />

favore». Anche i berlusconiani di stretta osservanza, come Mario Valducci, a denti stretti ammettono che sarà<br />

difficile cacciare Fini dal Pdl: «Ce lo dobbiamo tenere... purtroppo». L'ex leader di An ieri ha avuto molti<br />

contatti telefonici. Il più importante, forse, è stato quello con Pier Ferdinando Casini, che d'ora in poi potrebbe<br />

essere una sponda importante. È presto per parlare di progetti in comune, magari allargati anche a<br />

Francesco Rutelli (e domani a Montezemolo). Ma il leader dell'Udc, nonostante la corte insistente del<br />

Cavaliere, in privato garantisce che non tornerà mai più sotto quelle bandiere. E con Fini ieri si sono trovati<br />

d'accordo su tutto, dalle critiche al federalismo al quoziente famigliare.<br />

Resta un partito sotto choc, del tutto impreparato a una contestazione così forte a un leader finora<br />

indiscusso. Luigi Casero, sottosegretario e forzista della prima ora, lo confidava a un amico allontanandosi<br />

dalla Direzione: «Alla fine mi aspettavo che saltasse fuori qualcuno e gridasse: Siete su scherzi a parte!». Un<br />

brutto risveglio per il partito carismatico.<br />

PER SAPERNE DI PIÙ www.farefuturo.it www.governoberlusconi.it<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

Foto: EX ALLEATO Il presidente della Camera Fini ha avuto un colloquio telefonico con il leader dell'Udc Pier<br />

Ferdinando Casini. Lo ha informato delle sue scelte all'interno del Pdl<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 21<br />

MONDO<br />

Battaglia nelle strade di Bangkok<br />

Le "camicie rosse" sparano granate: tre morti e un centinaio di feriti Panico tra la folla del centro città Prevista<br />

per oggi una manifestazione filogovernativa<br />

RAIMONDO BULTRINI<br />

BANGKOK - Per due giorni gli scontri si erano limitati a lanci di sassi, bottiglie e scambi di insulti. Ma ieri sera<br />

la strada di Silom che separa il distretto commerciale di Bangkok da quello degli affari è diventato il primo<br />

sanguinoso fronte di una possibile guerra civile tra camicie rosse antigovernative, seguaci dell'ex premier<br />

Thaksin Shinawatra, e le ex camicie gialle fedeli all'attuale primo ministro e alla monarchia.<br />

Tre morti e un centinaio di feriti, tra i quali diversi stranieri (tre fino a questo momento, nessun italiano), sono<br />

il primo bilancio della battaglia notturna che si è conclusa solo poco prima della mezzanotte, con l'esercito e<br />

la polizia evidentemente impotenti e incapaci di gestire la più grave crisi di ordine pubblico da quando il 10<br />

aprile tentarono di rimuovere migliaia di manifestanti dal ponte di Phang Fah, vicino all'area turistica di Kao<br />

San Road, con 25 morti e oltre 700 feriti.<br />

Ieri almeno cinque granate sono state lanciate, secondo il vice primo ministro, dalle barricate erette dalle<br />

camicie rosse con bambù acuminati e copertoni d'auto attorno alla statua di re Rama VI su Silom Road. Tre<br />

hanno raggiunto l'affollatissima stazione sopraelevata di Sala Daeng, dove fa sosta il treno di superfice BTS<br />

che attraversa il centro cittadino e s'incrocia qui con la metropolitana sotterranea. Le schegge hanno colpito<br />

decine di passeggeri (alcuni sono in gravissime condizioni, con danni cerebrali) che fuggivano in preda al<br />

panico verso tutte le uscite per mettersi in salvo, mentre attorno si udivano numerosi scoppi e le sirene delle<br />

ambulanze che trasportavano i feriti verso gli ospedali più vicini. Due granate sono esplose anche vicino<br />

all'ingresso dell'albergo a cinque stelle Dusi Thani, di fronte a una banca e al locale di una celebre catena di<br />

caffetterie, Au Bon Pain, trasformato da mercoledì scorso in una sorta di sala stampa. Da qui i giornalisti<br />

hanno seguito quest'ultima fase della drammatica escalation nel confronto tra i rossi, che tengono in scacco<br />

Bangkok dal 17 marzo per chiedere nuove elezioni, e i loro «nemici», considerati membri dell'elite economica<br />

e burocratica legata all'attuale governo, succeduto a quello dei militari responsabili del colpo di Stato del<br />

2006. Questi ultimi si definiscono oggi «multicolore» per distinguersi dai «gialli» che occuparono a loro volta<br />

Bangkok a più riprese negli anni scorsi, per far cadere i governi di Thaksin e dei suoi uomini, fino<br />

all'occupazione dell'aeroporto di Bangkok nel dicembre del 2008.<br />

Durante gli scontri di ieri sera le camicie rosse hanno fatto anche decollare numerose lanterne di carta, come<br />

quelle usate durantei festival religiosi, per tentare di disturbare il volo degli elicotteri spediti a controllare<br />

dall'alto gli incroci sconvolti dalla guerriglia, mentre per strada è proseguito per ore il lancio di bottiglie e sassi.<br />

Il timore è che da oggi in poi gli scontri possano estendersi ad altre zone della città, mentre alcune<br />

ambasciate, come quella britannica, hanno iniziato a sconsigliare ai loro cittadini di raggiungere Bangkok.<br />

Oggi è prevista una imponente manifestazione «multicolore» a sostegno del governo.<br />

Le tappe LA STRAGE Il 10 aprile scorso l'esercito apre il fuoco contro le "camicie rosse" a Bangkok.<br />

Bilancio: 25 morti LE BARRICATE Ieri, prima delle esplosioni, l'esercito aveva intimato alle "camicie rosse" di<br />

sgomberare i presidi PER SAPERNE DI PIÙ http://www.asianews.it/ http://www.emergency.it/<br />

Foto: GLI SCONTRI Scene della guerriglia a Bangkok fra la polizia (sotto) e le "camicie rosse" (sopra). A<br />

fianco, i primi soccorsi ai feriti<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

QUELLA FERITA AL CORPO MISTICO DEL SOVRANO<br />

EZIO MAURO<br />

IN QUELLO stesso spazio televisivo dov'era nato sedici anni fa il "miracolo" berlusconiano, ieri si è scatenato<br />

l'inferno del Cavaliere: il numero due del Pdl, cofondatore del partitoe terza carica dello Stato, che contesta<br />

pubblicamente la sua leadership e critica la sua politica, rispondendogli colpo su colpo, chiamandolo per<br />

cognome, e poi durante la replica concitata del premier si spinge sotto il palco col dito alzato, negando le<br />

accuse e restituendole. Il partito è sotto shock per la ferita inferta in diretta al corpo mistico del leader più<br />

ancora che al suo ruolo, per il delitto inconcepibile alla sovranità perenne berlusconiana, per il primo gesto di<br />

autonomia e di indipendenza del quindicennio, vissuto non solo come una rottura ma come un sacrilegio. Il<br />

Cavaliere, abituato alle apoteosi, resta palesemente senza copione, sotto lo sguardo delle telecameree degli<br />

italiani, in uno psicodramma che è insieme privato e di Stato, come tutto ciò che lo riguarda. I numeri sono<br />

tutti dalla sua. Ma il sipario del suo lungo talk show con l'Italia è irrimediabilmente strappato.<br />

Ci vorrebbe infatti Hitchcock, più che qualche scienziato della politica, per spiegare lo spettacolo inedito di<br />

ieri, la profondità teatrale della ferita in scena, la tempesta in arrivo sul fondale.<br />

Ivolti, le mani, i gesti, contavano più delle parole, come accade nei rari momenti della verità, quando davvero<br />

i nodi vengono al pettine. Qui il nodoè talmente aggrovigliato, e da anni, che può scioglierlo solo la spada. E<br />

infatti finirà così.<br />

Cozzano insieme, con il fragore spettacolare di ieri, due mondi alleati ma inconciliabili, due figure politiche<br />

legate ma divaricate, due uomini che si devono reciproca riconoscenza ma non si sopportano più, e infine e<br />

soprattutto, due culture politiche che la velocità del predellino e la cartapesta televisiva non sono riuscite a<br />

fondere, perché negli ultimi due anni sono cresciute in direzioni opposte e per questo dovranno separarsi.<br />

Una è una cultura conservatrice in senso moderno, repubblicana e costituzionale. L'altra è estremista e<br />

rivoluzionaria, proprietaria e post-costituzionale.<br />

Dopo le elezioni regionali, vinte grazie alla Lega, il premier ha fatto capire a tutto il sistema che questo finale<br />

di legislatura si giocherà a destra e nel governo interamente sotto il segno della diarchia Bossi-Berlusconi.<br />

Fini è escluso, ridotto a un ruolo di comprimario, fuori dall'asse ereditario, estraneo anche alle strategie che<br />

preparano il futuro: nessuna riforma interessa in realtà il Cavaliere, il patto con Bossi riguarda esclusivamente<br />

il federalismo e la difesa blindata di questa legge elettorale.<br />

Tutto il resto, è specchietto per le allodole (o per qualche oppositore perennemente con la mano tesa,<br />

abituato a ballare alla musica altrui), paesaggio di comodo per i telegiornali di regime, meccanismo tecnico di<br />

divagazione parlamentare, per puntare in realtà alle uniche cose importanti per il Cavaliere, l'eliminazione<br />

della par condicio televisiva, il blocco delle intercettazioni, il lodo Alfano costituzionale per fermare<br />

definitivamente ogni inchiesta della magistratura. Assorbita An nel Pdl, assorbiti molto più facilmente gli ex<br />

colonnelli rivelatisi semplici brigadieri, Fini se non voleva degradare se stesso a colonnello aveva davanti a sé<br />

la scelta obbligata di una strada indipendente ed autonoma. Ha deciso di rendersi autonomo, restando nel<br />

partito, e questa scelta da sola lacera la ragione sociale del Pdl e dello stesso berlusconismo. Berlusconi è<br />

pronto a rompere con chiunque e quasi a qualsiasi prezzo, pur di affermare la sua sovranità indiscussa: ed è<br />

pronto a negoziare con chiunque e a un prezzo ancora più alto, pur di riaffermare il suo comando. Ciò che<br />

non può accettare è la lesione continua, visibile e manifesta, del suo busto imperiale, che è il vero simbolo<br />

fondatore e imperituro del Pdl, secondo la sua concezione. Ciò che non può reggere è un'opposizione<br />

organizzata, pubblica e permanente, che lo ingabbi al di là dei numeri a suo favore in una discussione<br />

quotidiana, in una trattativa senza fine, in una contestazione alla luce del sole, ingigantita nel gioco<br />

parlamentare e mediatico. Che tortura diventerà, in questo schema, la discussione sul Dpef? Che rischi<br />

correranno le spericolate misure sulla giustizia ad uso personale? Che logoramento subirà la potestà<br />

suprema del leader unico, obbligato ogni volta ad infilarsi nei corridoi delle notti democristiane dei lunghi<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 1<br />

coltelli? Ma sono soprattutto la cultura politica, la natura leaderistica, la simbologia carismatica e vagamente<br />

messianica del Cavaliere che risultano incompatibili davanti al gesto di un numero due che stravolge i ruoli,<br />

lotta alla pari, punta sull'età e sullo scudo istituzionale,e rovescia il tavolo-altare della beatificazione perenne<br />

del Supremo.<br />

Quei gesti di Fini sono l'inferno di Berlusconi, la prova che un'altra destra è possibile, l'annuncio che la<br />

democrazia interna può mandare in tilt un partito nato per essere un blocco unico e nient'altro, la promessa di<br />

un'alternativa che risolve alla radice il gioco della successione promessa e dell'eternità praticata dal premier.<br />

Ciò che i Bondi ieri hanno visto sul volto del Cavaliere è il dopo-Berlusconi, improvvisamente anticipato ad<br />

oggi come in una premonizione televisiva, in un corto-circuito politico ed emozionale (molto più emozionale<br />

che politico) senza precedenti. Senza la finzione della calza sulle telecamere, dei finti cieli sui fondali, dei cori<br />

egemoni per "Silvio", l'irruzione della realtà e della verità ha sconvolto il palinsesto del Pdl, rendendo il<br />

Cavaliere per la prima volta afasico politicamente, incapace di condurre al suo esito un'assemblea e una<br />

giornata giocate tutte di rimbalzo, sui nervi, e clamorosamente senza nemmeno una conclusione politica. Un<br />

rovesciamento spettacolare per un leader che da casa interviene addirittura nei talk show, li domina al<br />

telefono togliendo la parola a tutti, per dire ciò che vuole, salutare e andarsene con l'ultima parola che conta.<br />

Va visto con rispetto il travaglio del Cavaliere, che alla sua età e dopo tanti successi entra nell'inesplorato<br />

della guerriglia politica dentro casa, ipnotizzato da quella crepa che gli scandali estivi di un anno fa, il castello<br />

di contraddizioni e di bugie in cui si era avventurato, gli hanno aperto sotto i piedi: che i voti perduti delle<br />

regionali hanno allargato, e che Fini ieri ha indicato con quel dito alzato, perché le telecamere<br />

metaforicamente la mostrassero agli italiani. E va seguito con attenzione il passaggio spericolato del<br />

presidente della Camera, tradito dai suoi che avevano da tempo trovato un padrone e oggi gridano al<br />

tradimento, dimostrando che il dissenso in quel partito è un esercizio sicuramente rischioso (vedremo adesso<br />

il killeraggio della stampa di famiglia, che già si è distinta per il pestaggio degli eretici e dei critici),<br />

probabilmente impossibile. Fini tenterà di restare nel Pdl parlando alla parte più moderata della destrae del<br />

Paese, ma intanto preparerà le sue truppe risicate, perché dovrà andarsene, più presto che tardi. Il Cavaliere<br />

ondeggerà tra paternalismo e pugno di ferro, e alla fine romperà definitivamente. Ma non solo con Fini, con<br />

tutto. Incapace di reggere, chiederà il giudizio di Dio nelle elezioni anticipate, per riavere dal voto quel che<br />

perde con la politica, tentando di andare al Quirinale con il controllo diretto della maggioranza parlamentare,<br />

trasformando il populismo nella religione finale: ieri il documento votato dal partito lo dice esplicitamente,<br />

quando spiega che il Pdl non è un partito ma un "popolo", che si riconosce nelle "democrazie degli elettori", e<br />

dunque non può contemplare il dissenso. L'avventurismo sarà la fase suprema, l'ultima, del berlusconismo al<br />

potere.<br />

PER SAPERNE DI PIÙ www.ilpopolodellalibertà.it www.whitehouse.gov<br />

LA REPUBBLICA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 14<br />

<strong>POLITICA</strong> E APPALTI<br />

G8, dal costruttore della cricca cinquecentomila euro a Scajola<br />

Una casa alla figlia con i soldi del gruppo Anemone I pm scoprono assegni circolari partiti dal conto del<br />

progettista Angelo Zampolini Sui rapporti del ministro con l'imprenditore interrogato anche Bertolaso<br />

CARLO BONINI FRANCESCO VIVIANO<br />

ROMA - L'inchiesta della Procura di Perugia sulla "Cricca" degli appalti pubblici - G8 della Maddalena,<br />

mondiali di nuoto, anniversario per i 150 anni dell'Unità d'Italia - cammina.<br />

E ora incrocia la strada del ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola perché singolare beneficiario,<br />

quando era un semplice parlamentare dell'opposizione, di una provvista di circa mezzo milione di euro messa<br />

a disposizione da una delle "tasche" del costruttore Diego Anemone (oggi detenuto con Angelo Balducci,<br />

Mauro Della Giovampaola, Fabio De Santis) per l'acquisto di un appartamento intestato alla figlia.<br />

La scoperta del filo che annoda una delle figure chiave della "Cricca" al ministro è recente ed è documentata<br />

- lo vedremo - dal lavoro di indagine della Guardia di Finanza. Tanto che, il 12 aprile scorso, durante il suo<br />

lungo interrogatorio con i pubblici ministeri umbri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, ne viene chiesto conto<br />

allo stesso Guido Bertolaso, accusato per altro di essere stato corrotto proprio da Diego Anemone.<br />

Chiedono i pm: «Sa se e che tipo di rapporti esistono tra Anemone e l'onorevole Claudio Scajola?». Il capo<br />

della Protezione civile cade dalle nuvole. Ammesso che esista - spiega - il rapporto tra quei due gli è ignoto.<br />

La domanda rivolta a Bertolaso, per quel che se ne sa, non ha sin qui trovato risposte neppure altrove<br />

(Anemone, dal giorno del suo arresto, ha scelto di esercitare il suo diritto al silenzio). A meno di non voler<br />

considerare tale la circostanza che nel primo governo Berlusconi Scajola sia stato ministro dell'Interno e che<br />

Anemone dal ministero dell'Interno abbia nel tempo ricevuto appalti. Di questa vicenda, dunque, resta al<br />

momento solo il presupposto. Che, come si è detto, è documentale. E che racconta una storia che finisce<br />

appunto a Scajola, ma parte dagli accertamenti della Finanza sul conto di un oscuro architetto legato a<br />

doppio filo a Diego Anemone e su assegni circolari per circa 500 mila euro.<br />

L'architetto ha un nome: Angelo Zampolini. Lavora come progettista del Gruppo Anemone e, come il<br />

commercialista Stefano Gazzani, è una delle "tasche" di chi del Gruppo e delle sue risorse dispone in prima<br />

persona: Diego Anemone.<br />

Poco più che una testa di paglia - ipotizzano la Procura e la Finanza - utilizzata dal costruttore per<br />

dissimulare l'origine di operazioni finanziarie di cui in realtà è il dominus. E che hanno l'odore di tangenti. Nel<br />

2009, la Banca d'Italia segnala infatti sui conti dell'architetto e del commercialista operazioni contabili<br />

sospette. Per i loro importi e - accerta la Guardia di Finanza - per la loro natura. Tra il 2007 e il 2008, infatti,<br />

sia Gazzani che Zampolini si trovano a maneggiare contante di cui non riescono a giustificare né la<br />

provenienza, né l'impiego.<br />

Gazzani, per dire, versa sul suo conto contanti per 1 milione e 100 mila euro che prendono poi la strada della<br />

«Erreti film», la società di produzione cinematografica di Rosanna Thau, moglie di Angelo Balducci, e<br />

Vanessa Pascucci (moglie di Anemone) che produce i film in cui il figlio di Angelo Balducci, Lorenzo, recita da<br />

protagonista. E quando la Finanza gli chiede da dove salti fuori tutto quel denaro e perché un commercialista<br />

lo debba impiegare nella produzione di film, la risposta è grottesca. Il milione e 100 - dice - «è frutto della<br />

vendita di lingotti d'oro ricevuti in eredità da un nonno che aveva la passione per il cinema».<br />

Non va meglio per Zampolini. Tra il 2007 e il 2008, versa sul proprio conto oltre 800 mila euro in contanti.<br />

Una cifra incompatibile, come accerta la Finanza, con i redditi che dichiara al Fisco o, quantomeno, con il suo<br />

lavoro di responsabile della progettazione del Gruppo Anemone. Di più: l'architetto non solo non sa spiegare<br />

la provenienza di quel denaro, ma neppure il suo impiego. Quegli 800 mila euro vengono infatti trasformati in<br />

assegni circolari utilizzati per due «operazioni immobiliari gemelle». Con la prima viene acquistato un<br />

appartamento in via Latina, a Roma, per Lorenzo Balducci, figlio di quell'Angelo che, da presidente nazionale<br />

del Consiglio dei Lavori pubblici, assegna appalti al Gruppo Anemone. Con la seconda, degli assegni circolari<br />

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23/04/2010 La Repubblica<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 14<br />

per circa 500 mila euro finiscono nella compravendita di una casa a Roma intestata alla figlia di Claudio<br />

Scajola.<br />

Perché? Che c'entra Zampolini con Scajola? E in che modo quegli assegni finiscono nella disponibilità del<br />

già ministro dell'Internoe oggi ministro dello Sviluppo economico? La risposta che verrà data a questa<br />

domanda non è evidentemente neutra nelle sue conseguenze. Perché se ha fondamento il sospetto della<br />

pubblica accusa per cui quel denaro transitato sui conti di Gazzani e Zampolini non è altro che il veicolo<br />

utilizzato da Anemone per "comprare" le benevolenze di chi in qualche modo poteva esercitare un controllo<br />

sugli appalti pubblici, è evidente che esisterebbero i presupposti per nuove accuse di corruzione.<br />

Anemone, come detto, pur sotto la pressione della detenzione e della richiesta di commissariamento del suo<br />

Gruppo, sin qui non è stato di nessun aiuto nello sciogliere nessuno dei nodi della vicenda che lo ha<br />

precipitato in carcere. Né, a quanto pare, lo sarà nell'immediato futuro, anche perché i termini di scadenza<br />

della custodia cautelare non sono lontani (maggio). Potrebbe esserlo Zampolini, che, esattamente come<br />

Gazzani, in questa storia, al momento, appare il vaso di coccio tra vasi di ferro. Per quanto ne riferiscono fonti<br />

investigative, non esiste infatti allo stato alcuna circostanza che consenta di legare autonomamente l'oscuro<br />

architetto né al figlio di Balducci, né tantomeno alla figlia di Scajola. Non esiste insomma «spiegazione<br />

alternativa» alla circostanza che quei soldi fossero in realtà «provviste nere» di Diego Anemone.<br />

Il ministro Claudio Scajola, nato a Imperia il 15 gennaio del 1948 è parlamentare del Partito della Libertà, e<br />

ministro per lo Sviluppo Economico. Ex democristiano, e più volte sindaco di Imperia, ha aderito a Forza Italia<br />

nel 1995<br />

La vicenda<br />

L'INCHIESTA Il movimento di denaro individuato dall'inchiesta sugli appalti per il G8, che vede coinvolti i<br />

vertici della Protezione civile L'ARCHITETTO Nel mirino gli assegni circolari versati da Angelo Zampolini,<br />

progettista del Gruppo Anemone L'APPARTAMENTO Uno degli assegni, di circa 500 mila euro, è stato<br />

utilizzato per l'acquisto di una casa intestata alla figlia di Scajola L'INTERROGATORIO Il 12 aprile scorso i<br />

pm di Perugia hanno interrogato Guido Bertolaso sui rapporti tra Diego Anemone e il ministro Scajola<br />

PER SAPERNE DI PIÙ www.protezionecivile.it www.repubblica.it<br />

Foto: IL MANAGER Diego Anemone in una foto scattata durante un pedinamento della polizia<br />

Foto: LA MADDALENA Una delle strutture realizzate per il G8 alla Maddalena, che poi si è svolto a L'Aquila.<br />

A destra Guido Bertolaso<br />

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10 articoli


23/04/2010 La Stampa<br />

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Pag. 7<br />

Retroscena - I democratici stanno a guardare allarmati<br />

Pd, paura del voto anticipato<br />

Bersani: "Non ci facciamo prendere dall'ansia". Ma il partito già ribolle Fioroni: una farsa la gestione plurale,<br />

così usciamo dai gruppi dirigenti<br />

Siamo alla paralisi e, per un partito ridotto così, tre anni sono lunghi. E comunque sia questo spettacolo<br />

indecoroso dimostra che non sono abituati a discutere, passano dal silenzio alla rissa». Pierluigi Bersani è<br />

consapevole che la situazione ormai può precipitare da un momento all'altro, ma il leader del Pd ieri sera ha<br />

subito diffuso un ordine di scuderia preciso a tutti i più alti in grado: «Non dobbiamo farci prendere dall'ansia<br />

perché l'errore più grande che potremmo fare ora è abboccare all'amo che si vada subito alle urne. Ci<br />

farebbe precipitare in un clima da campagna elettorale, mentre dobbiamo sbrigarci a costruire un'alternativa,<br />

incalzando il governo con quattro o cinque proposte chiave». Il tutto nella certezza che ormai «le riforme non<br />

si faranno più» e che comunque bisogna parlare con chi nell'opposizione raccoglie la sfida per il governo per<br />

mettere a punto un canovaccio di programma condiviso.<br />

Insomma, il tam tam è mettersi al lavoro e accelerare i tempi su un orizzonte di medio periodo, senza<br />

inseguire un voto anticipato, ma anche senza dare l'impressione di temerlo, pur sapendo che una delle<br />

lezioni tratte dalle regionali, ribadita in più occasioni, è che «ancora gli italiani non ci percepiscono come<br />

un'alternativa». Ma se il motto di Bersani è «calma e gesso», per il suo alleato scomodo, Antonio Di Pietro, il<br />

tempo stringe e per questo è bene trovare subito un leader che possa sfidare il centrodestra alle urne. Un<br />

tema che i due ieri hanno solo sfiorato, in un incontro a porte chiuse mirato più che altro a sciogliere i nodi per<br />

la composizione di diverse giunte regionali che si stanno formando in questi giorni. «Bisogna seminare oggi<br />

se si vuole raccogliere domani - sostiene però Di Pietro - e dobbiamo individuare già quest'anno il candidato<br />

leader».<br />

Ma al di là della prudenza del segretario, la preoccupazione tra le file del Pd è subito risalita. E non è un caso<br />

che ieri sera Bersani abbia fatto sapere di aver apprezzato gli argomenti usati da Fini su «democrazia,<br />

immigrazione, giustizia, valori, unità del Paese». Come a ribadire che, con il presidente della Camera, sui<br />

contenuti si può dialogare, eccome. Senza mettersi a scrutare la palla di vetro per capire quel che avverrà,<br />

anche se non sono pochi i dirigenti democrats che si spingono nel formulare diverse profezie. Ancora una<br />

volta è l'ex Udc Marco Follini a dire in chiaro quello che molti pensano: «Non escludo affatto - spiega<br />

intervistato dall'Espresso - che Fini, suo malgrado, possa rimettere in discussione il dogma del bipolarismo.<br />

Anzi, scommetto sul rimescolamento di carte. Ma la cerimonia degli addii non sarà così semplice né rapida».<br />

Il responsabile riforme del partito, Luciano Violante, scende in Transatlantico reduce dallo spettacolo in tv del<br />

duello rusticano tra i co-fondatori del Pdl e allarga le braccia: «Questo sistema così non regge». E il rombo<br />

sinistro del maremoto scoppiato all'ombra del Cupolone alla direzione del Pdl risuona anche in casa Pd, dove<br />

il timoniere dei cattolici di «Quarta fase», Beppe Fioroni, da giorni alle prese in una guerra di trincea per la<br />

formazione delle giunte, non si tiene più: «A destra scoppia lo tsunami ed è bene che da noi non lo<br />

interpretino come un venticello. Questa Camera si trasformerà in un Vietnam, ma non vorrei che in mezzo ai<br />

vietcong noi ci mettessimo a giocare la parte della forza di pace, perché siamo pure capaci di questo». Per<br />

finire con un affondo che, inseguendo scenari futuribili di nuove aggregazioni al centro, suona come una<br />

concreta minaccia: «Siccome nel Pd si segue la logica che se uno esce poi diventa alleato, allora dico che<br />

questa gestione plurale è una farsa e se non cambia chiederò al convegno di Area Democratica che la<br />

minoranza esca da tutti gli organismi dirigenti». Poco più in là, Pierluigi Castagnetti, che da buon ex dc come<br />

Fioroni, ne ha visti di scontri all'arma bianca, ragiona a voce alta. «Una Kadima all'italiana non si farà, ci sono<br />

troppi galli nel pollaio, tutti cinquantenni consumati». Ma quelli come Rutelli che hanno scommesso tutto su<br />

un tale scenario, oggi brindano e mandano avanti i loro pretoriani: «Quello di oggi - obietta Gianni Vernetti<br />

dell'Api - non è stato uno spettacolo indecoroso, bensì un momento importante della vita politica italiana» che<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 7<br />

dimostra come siano maturi i tempi «per costruire un nuovo Centro democratico, liberale e riformatore. E per<br />

questo progetto il contributo di Fini sarà di grande importanza».<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 13<br />

Il lavoro Finita la stagione delle arance, via con le fragole L'ambulatorio Ha<br />

ripreso a funzionare a pieno regime<br />

Entra, vieni a vedere in che merda viviamo». Quattro mesi dopo le violenze e la cacciata di duemila africani,<br />

Rosarno ha ancora molto da dirci. E lo fa con la voce di Brahim, un ventenne del Burkina Faso che di parole<br />

italiane ne conosce poche ma giuste. Cinquecento neri, dopo un mese di esilio in giro per l'Italia, sono tornati.<br />

Non hanno più paura. Vagano da soli per le strade e nessuno li sfiora. Fanno la spesa nei supermercati.<br />

Ricaricano le bombole del gas. Comprano il pollo nelle macellerie. E si avventurano in bicicletta tra i casolari<br />

dove subivano gli agguati a sprangate, colpi di pistola e bottiglie incendiarie. Rosarno ha trovato un nuovo<br />

equilibrio: meno immigrati - quanti ne servono al mercato agricolo in crisi - e polverizzati in piccole comunità.<br />

Inoffensivi. Le bidonville da mille persone che avevano fatto inorridire il mondo, tra i ruderi delle fabbriche<br />

dismesse, sono scomparse. Ma i nuovi ghetti non sono meno fetidi e fatiscenti.<br />

Quello di Brahim è sulla scalinata che dal belvedere sulla piana conduce alla statale, dove si arruolano i neri<br />

all'alba per 25 euro. È una stanza di venti metri scarsi con quattro letti e un cucinino. Costa 50 euro mensili a<br />

persona. Affitto di mercato, spiegano gli inquilini: i capannoni in campagna, più accoglienti e dotati di servizi,<br />

sono più cari.<br />

La Scesa Bellavista taglia in due un quartiere di casupole in tufo, per lo più a un piano. È la nuova Rosarno<br />

multietnica. Altro che razzismo: qui convivono calabresi e africani e all'ora di pranzo gli idiomi si confondono.<br />

Capisci subito dove abitano gli uni e gli altri: gli indigeni dietro i balconcini tinteggiati e i portoni in anticorodal,<br />

gli immigrati tra pezzi di legno marcio, pareti scrostate, tinozze arrugginite, materassi rancidi. Nel trilocale che<br />

sta ai piedi della scalinata si contano venticinque letti. Qui vive Zare, malese: a gennaio era fuggito a<br />

Vicenza, ma lì non riusciva a campare. Ha ancora gli stivali, è appena tornato dai campi. Oggi un padrone<br />

l'ha trovato, lui. Sono le ultime arance che raccoglie: la stagione sta finendo. Tra due settimane lo aspettano<br />

le fragole di Villa Literno.<br />

«Stare meglio di prima?», sorride amaro Brahim mentre esce per non disturbare gli amici che guardano in tv<br />

la fiction su Totò Riina. È un dvd piratato che usano per imparare l'italiano. «Sono stati qui anni rinchiusi nei<br />

dormitori, non conoscono una parola», spiega don Pino De Masi, valoroso parroco di Libera che ospita i<br />

quattro immigrati feriti a gennaio e che ha appena avviato un corso di alfabetizzazione.<br />

Brahim non ha maglietta né camicia ma indossa una bella giacca grigia di lana donata dalla Caritas. «Lavoro<br />

un giorno sì e uno no», racconta. Oggi è no. Molte arance sono rimaste sugli alberi: raccoglierle non<br />

conviene. Ma qualche bracciante serve sempre, anche a stagione finita. Gli alberi vanno potati, i campi<br />

rizollati. Un potatore italiano costa 50 euro, un nero la metà. E dunque padroni e caporali sono sempre<br />

strutturati, come dimostra un'inchiesta della Procura di Palmi che ha individuato un'associazione a delinquere<br />

di decine di persone per sfruttare il lavoro nero. Nei prossimi mesi partiranno controlli a tappeto nelle aziende<br />

agricole, «per evitare - spiega il prefetto di Reggio Luigi Varratta - che in autunno Rosarno torni una<br />

polveriera».<br />

Quando manca il lavoro, si va a chiedere un pacco di riso a Norina Ventre, 85 anni, per tutti «Mamma Africa».<br />

Domenica scorsa erano in 120 e il cibo non bastava.<br />

La casa di Norina è dietro l'ambulatorio della Asl riservato agli «stranieri temporaneamente presenti». I<br />

clandestini, che qui si curano senza paura di denunce. Rientrata da Torino dove si era rifugiata, la nigeriana<br />

Nancy passa spesso con il figlio di otto mesi. Il ritorno dei neri a Rosarno è testimoniato dall'attività<br />

dell'ambulatorio, nuovamente a pieno regime: 310 pazienti in un mese. Il medico, Lorenzo De Masi, li<br />

conosce tutti per nome. «Mustafà! Semp'ca stai!», scherza mentre lo visita. Ad aiutarlo due traduttrici-<br />

segretarie. L'Asl non paga gli stipendi da ottobre, ma vanno avanti. Per i neri, l'ambulatorio è un punto di<br />

riferimento come l'agenzia di Peppe Cannata per i documenti e il phone center di Carlo e Stefania, che prima<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 13<br />

di gennaio incassava centinaia di euro al giorno e dopo gli scontri appena cinque. Ora gli affari sono tornati ai<br />

livelli di un anno fa. Qui gli immigrati possono anche ricaricare gratis il cellulare. In certe case del centro<br />

storico, devono pagare da 0,50 a un euro. Soldi ben spesi: il telefono serve per le chiamate dei padroni.<br />

L'ivoriano Fuffana non ne ha bisogno. Vive in una casupola di mattoni sulla circonvallazione. La dimora meno<br />

squallida vista qui. Può permettersela perché è un caporale. A Rosarno da dieci anni, si è conquistato un<br />

secondo nome italiano - Marco - e i padroni vanno a trovarlo a casa. All'ingresso del suo monolocale,<br />

troneggia un bidet nuovo. Solo se gli chiedi spiegazioni, il gelido caporale Fuffana quasi si commuove: «Me lo<br />

ha regalato un padrone. Non vedo l'ora di portarlo alla mia famiglia in Africa».<br />

LA STAMPA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 12<br />

IMMIGRAZIONE<br />

I clandestini in Italia sono scomparsi....<br />

I clandestini in Italia sono scomparsi. Da un anno è finita l'emergenza. Quelle immagini delle carrette cariche<br />

di fantasmi, di senza speranze che noi siamo abituati a chiamare, che abbiamo chiamato per anni<br />

«clandestini», ma che tali non erano e non sono per il semplice fatto che arrivano, arrivavano alla luce del<br />

sole chiedendo aiuto, bene quelle immagini sono consegnate alla storia. Le stime ufficiose del Viminale<br />

parlano ormai di un crollo negli ingressi. Circa 50.000, un terzo, rispetto ai 150.000 che arrivavano ogni anno.<br />

Briciole, a confronto di quello che accadeva negli anni passati. Agli sbarchi di massa prima in Puglia (Anni<br />

90), con gli albanesi, poi in Calabria (kurdi iracheni e afghani) e Sicilia (Corno d'Africa, fascia subsahariana) e<br />

persino Sardegna (Algeria).<br />

Una riduzione drastica del fenomeno, anche se le varie Agenzie, associazioni che si occupano del fenomeno<br />

(dalla Caritas all'Ocse) continuano a parlare di una presenza di clandestini in Italia che oscilla tra 700.000 e<br />

1.000.000. Un numero che si è consolidato negli anni, e che non tiene conto del fatto che per molti di loro<br />

l'Italia non è la meta finale ma terra di transito per raggiungere altri Paesi, dalla Germania al Nord Europa.<br />

Fino a ieri per analizzare il fenomeno dell'immigrazione irregolare gli esperti utilizzavano l'immagine della<br />

torta. Una fetta del 50-60% era rappresentata dagli overstayers, e cioè coloro che arrivavano magari<br />

all'aeroporto romano Leonardo da Vinci con un regolare visto turistico e poi si rendevano irreperibili, una volta<br />

scaduto il visto o il permesso di soggiorno. Un'altra fetta equivalente al 20-30% della torta rappresentava gli<br />

ingressi fraudolenti alle frontiere. Soprattutto i porti dell'Adriatico erano, sono interessati a questo fenomeno<br />

(clandestini stipati all'interno dei tir, nelle sue intercapedini, nei vani nascosti magari sotto una pila di cassette<br />

di frutta). Il resto, tra il 10 e il 20% era rappresentato dagli sbarchi.<br />

Adesso, all'immagine della torta se ne è sostituita un'altra: una pentola a pressione sfiatata, con poca acqua<br />

dentro. In sostanza si tratta di overstayers e piccole quote di ingressi irregolari dalle frontiere soprattutto dai<br />

porti adriatici. Gli arrivi via mare più grossi sono avvenuti in Francia, un paio di mesi fa: 120 maghrebini sono<br />

sbarcati in Corsica.<br />

Dunque, quale è stata la ricetta per il ridimensionamento del fenomeno? Il prefetto Rodolfo Ronconi, direttore<br />

centrale dell'immigrazione e della polizia di frontiera della Polizia di Stato, sintetizza: «Applicazione della<br />

legge, rispetto degli accordi». Spiega il prefetto: «L'accordo con la Libia funziona molto bene. E da lì i<br />

clandestini non partono più. I dati lo confermano: dal primo gennaio ad oggi sono sbarcati 29 clandestini a<br />

fronte di 2.673 arrivi dell'anno scorso. Abbiamo attivato un meccanismo virtuoso fatto di intese e<br />

memorandum tra i ministri dell'Interno o i capi della polizia dei diversi Paesi. E cosa che non accadeva prima,<br />

le stesse autorità locali stanno adottando politiche per non fare partire i propri connazionali».<br />

Accordi di riammissione sono stati firmati con la Nigeria, con il Niger, l'Algeria e il Ghana. Nelle prossime<br />

settimane saranno siglate intese con il Gambia e il Senegal, mentre è in corso una trattativa con il Sudan.<br />

Ma quale è stato il prezzo da pagare perché questa politica andasse in porto? Diciamo subito che per un<br />

fronte molto vasto che tocca organizzazioni del volontariato, organismi delle Nazioni Unite, settori del mondo<br />

cattolico il prezzo è stato salatissimo in termini di rinuncia dei diritti inviolabili delle persone: il diritto<br />

all'assistenza, alla protezione umanitaria. Sul banco degli imputati, la politica di rinvio in Libia dei clandestini.<br />

Ovvero gli 854 respinti in mare nel 2009. Ricordate le polemiche furibonde? In sostanza, ai clandestini in<br />

balia delle onde, a rischio naufragio - queste sono le accuse -, non è stato garantito il diritto di chiedere asilo<br />

politico, protezione umanitaria, né sono stati, sarebbero stati presi in affidamento i minori presenti sulle<br />

imbarcazioni.<br />

Il prefetto Ronconi, che proprio ieri è stato rinviato a giudizio dalla Procura di Siracusa per violenza privata,<br />

per il respingimento in mare di 75 clandestini, replica alle accuse: «Sono state applicate la Convenzione di<br />

Palermo del 2000 e il Protocollo Aggiuntivo, e il decreto interministeriale del 2003 che prevede il rinvio dei<br />

LA STAMPA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 12<br />

clandestini verso i Paesi d'origine».<br />

La Commissione Ue ha affidato all'Italia il progetto Sahara-Mediterraneo (10 milioni di euro) per il contrasto<br />

dell'immigrazione clandestina in Libia, per garantire assistenza ai clandestini che attraversano il Sahara. Nelle<br />

motivazioni, la Commissione Ue scrive: «Al momento, il Dipartimento di Ps del ministero dell'Interno è la sola<br />

istituzione che ha risorse tecniche, finanziarie e umane, per portare avanti questo progetto».<br />

Il nervo dei respingimenti in mare continua ad essere scoperto. Ma se il tappo libico funziona, il fiume carsico<br />

dell'immigrazione quale direzione ha preso? Gli investigatori ipotizzano che dalla Libia i trafficanti si siano<br />

diretti in Grecia, a Patrasso. E che in qualche modo sia stata ripristinata la vecchia via dei Balcani.<br />

Una volta era utilizzata per i traffici di sigarette di contrabbando. (1/continua.)<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 7<br />

IL SILENZIO DI MICCICHÉ - il caso - Sull'isola un'esperienza che fa discutere<br />

Gli eretici siciliani: "Pronti a continuare sulla nostra strada"<br />

Per non sapere né leggere né scrivere, come si dice da queste parti, il fondatore di Forza Italia in Sicilia, e<br />

fondatore anche della sua antitesi, il Pdl-Sicilia, non si trova. Per non sapere né leggere né scrivere, cioè per<br />

evitare di dover parlare, poco o troppo, Gianfranco Miccichè non risponde ai telefoni, nemmeno ai suoi<br />

addetti stampa. Almeno così giurano e spergiurano al Pdl-Sicilia.<br />

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Berlusconi è da ieri sempre più al centro di un<br />

caso: il pesante scambio di battute tra il premier e Gianfranco Fini ha avuto un passaggio piuttosto lungo<br />

sull'esperienza «eretica» di un governo regionale, quello dell'isola, basato su un'alleanza e mezza di un<br />

pezzo del Pdl siculo: alleanza piena con il Movimento per l'autonomia, a metà col Pd. Chi l'ha voluta? Gli ex<br />

aennini o gli ex forzisti o tutt'e due? Berlusconi e Fini non sono d'accordo. E dalla settimana prossima, dice il<br />

premier, la musica cambierà.<br />

«Noi andiamo avanti per la nostra strada - dice Nino Strano, assessore al Turismo della giunta guidata da<br />

Raffaele Lombardo - e siamo orgogliosi di essere vicini a uno statista come Gianfranco Fini. Ci riteniamo<br />

liberi di poter fare delle critiche, che siamo in dovere di fare per il nostro popolo siciliano».<br />

Strano divenne famoso per la poco commendevole sceneggiata della mortadella, da lui consumata<br />

platealmente sugli scranni di Montecitorio, dopo la caduta del governo Prodi, nel 2008. Fini prima lo cacciò,<br />

poi lo graziò. L'ex Alleanza nazionale, nel Parlamento siciliano, è divisa esattamente in due: sei «lealisti» del<br />

gruppo dell'Assemblea regionale hanno sottoscritto un documento nel quale si dissociano apertamente da<br />

Fini, altri sei, più Strano, sono con il presidente della Camera.<br />

Dice l'ex missino della prima ora Salvino Caputo, in passato vicino a Fini ma ora rimasto fedele al Pdl<br />

ufficiale, assieme a Giuseppe Buzzanca, Marco Falcone, Santi Formica, Salvo Pogliese e Vincenzo Vinciullo:<br />

«Io stavo bene in An, così come l'80 per cento degli iscritti al partito. Se si fosse fatto un referendum<br />

sull'adesione al Pdl, i no sarebbero prevalsi di certo e oggi saremmo al 16-18 per cento, non avremmo<br />

regalato voti alla Lega. Bisogna ammetterlo: Berlusconi è un leader amato dagli italiani e vince le elezioni da<br />

solo, anche se Fini gli rema contro».<br />

Dall'altro lato gli aennini del Pdl Sicilia: Alessandro Aricò, Pippo Currenti, Luigi Gentile, Carmelo Incardona,<br />

Livio Marrocco, Tony Scilla. Che prendono posizione per Fini: «Condividiamo appieno le sue posizioni sulla<br />

necessità di un confronto leale e di un confronto interno, in particolar modo sulle questioni legate alle politiche<br />

per il Mezzogiorno». Ma, precisa Scilla, «la leadership di Berlusconi non è in discussione. Il premier è un<br />

punto di riferimento e mi auguro che lo strappo con Gianfranco possa rientrare».<br />

Intanto però maggioranze trasversali, che comprendono anche l'Udc e lo stesso Pdl lealista, hanno varato<br />

nella commissione Bilancio dell'Assemblea regionale una legge finanziaria che dà via libera ad altre 4500<br />

assunzioni di contrattisti. Parabola significa che, sulle cose concrete, sull'obiettivo di aumentare l'esercito dei<br />

20 mila dipendenti regionali siciliani, le due anime del partito finiscono col ritrovarsi.<br />

Da martedì prossimo, assicura però Berlusconi, il Pdl metterà mano al caso Sicilia. Di qui ad allora Miccichè<br />

dovrà farsi trovare. E dovrà pure scegliere: rientrare alla base, o andare nel nuovo partito del Sud, con il Mpa<br />

di Lombardo e qualche pezzo del Pd.<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 14<br />

I genitori del soldato caduto - GB, il secondo scontro tv<br />

Sprint di Cameron Ma Clegg resiste<br />

Ogni dibattito è una conferma: il solo partito che non vorrei mai più pur avendolo votato è il Labour Nick Clegg<br />

è onesto, lo rispetto per le sue posizioni sulla guerra, ma è troppo europeista meglio i Tory<br />

Bugiardo» mormora il padre del soldato quando Gordon Brown afferma di pensare ogni giorno «alle truppe in<br />

Afghanistan». I tre sfidanti delle elezioni britanniche affrontano per la seconda volta il ring televisivo con gli<br />

occhi fissi alla telecamera: Clegg e Cameron finiscono testa a testa, Brown, dalla panchina, volge la<br />

debolezza nella forza di resistere. Si parla di esteri, il gioco si fa duro e i duri cominciano a giocare. Qui, nel<br />

salotto rosso di John e Veronica Brown, il messaggio arriva forte e chiaro. Le foto esposte dovunque nella<br />

villetta circondata da tulipani al centro di Hereford, cittadina di 55 mila anime al confine col Galles dove la<br />

candidata libdem Sarah Carr incalza i Tory, moltiplicano il sorriso dei tre figli, il secondo dei quali, Nicholas,<br />

morto a Baghdad nel corso d'un blitz contro al Qaeda nel 2008. In una delle ultime istantanee prima dell'Iraq il<br />

trentaquattrenne Nicholas sorride accanto al principe Harry e altri commilitoni tra le alture intorno Kabul.<br />

«Ho sostenuto l'intervento in Afghanistan, a differenza di quello in Iraq, perchè riguardava la nostra sicurezza.<br />

Lo rifarei ma i soldati dovrebbero avere l'equipaggiamento giusto e una strategia per tornare a missione<br />

compiuta» spiega Clegg addestrato dall'ex anchorman di Sky Chisholm a parlare ai telespettatori «come se<br />

avessero 10 anni». Il leader libdem, consapevole che, come i dimostranti per le strade di Briston, il 77% degli<br />

elettori vuole il ritiro dall'Afghanistan, copre il debole fronte europeista con quello forte e secondo un<br />

sondaggio Itv conquista ancora, per poco, il primo posto.<br />

E' più teso di giovedì scorso, quando aveva sparigliato scalando le classifiche. La gloria gli è costata lo zelo<br />

dei cronisti che hanno scavato nella sua vita scovando non solo curiosità come l'amicizia con il regista di<br />

«American Beauty» Sam Mendes ma il passato da lobbysta a Bruxelles, le donazioni al partito incassate sul<br />

conto personale, un vecchio articolo contro la boria del Regno Unito dopo la vittoria nella secinda guerra<br />

mondiale per cui il nipote di Churchill, il tory Soames, chiede conto del paragone tra l'antenato e<br />

l'«antipatriotico» outsider.<br />

Nello studio di Sky scintillante dei colori della Union Jack il frontman Tory duella con il rivale alla sua sinistra<br />

Clegg sui sottomarini nucleari che il primo vuole rinnovare e il secondo no, preferendo usare gli oltre 20<br />

miliardi di sterline per i militari all'estero. Il conduttore Adam Boulton punta all'audience da 10 milioni della Itv.<br />

Brown, reduce dal training con l'esperto beckettiano Theo Bertram nel ruolo del leader libdem, aspetta Godot:<br />

«Nick e David litigano come i miei figli, uno è antieuropeo e l'altro antiamericano». Tutti contro tutti. Eppure,<br />

fosse pure in tandem con Miliband, Nick è l'ultima ancora laburista, tanto che Mandelson l'ha difeso dagli<br />

attacchi «disgustosi» dei tabloid.<br />

Sebbene non avessero considerato il triangolo, gli inglesi non lo disdegnano. Secondo ComRes il 45%<br />

caldeggia la premiership Nick Clegg e il 57% considera il Libdem il partito più fresco. Non conta che il Tory<br />

Kenneth Clarke scongiuri il «parlamento sospeso» mettendo in guardia dal Fondo Monetario Internazionale,<br />

che ha ridimensionato la crescita del Regno Unito nel 2011. Oltre un elettore su due spera che il sistema<br />

bipolare sia al capolinea. L'ex militare sessantaseienne John Brown, seduto tra un poster della Magna Carta<br />

e il cesto con le copie Daily Mail, dissente: «I soli che non vorrei più a Downing street, pur avendoli votati nel<br />

'97, sono i laburisti che, basta vedere Brown, promettono come se non avessero governato 13 anni. Il<br />

massimo sarebbe che Cameron avesse una maggioranza decisa ma fosse pressato dai Libdem in modo da<br />

non raggiungere mai lo strapotere di Blair».<br />

Il leader Tory si dice più volte «sorprendentemente» d'accordo con Brown, attacca Clegg ma non morde,<br />

attende il suo momento, l'Europa. «Sono per stare in Europa ma non per essere guidati dall'Europa» affonda<br />

Cameron che, per coprirsi dalle prevedibili accuse d'amicizia con le destre radicali europee, ha invitato al Gay<br />

pride di Varsavia il collega omosessuale Nick Herberg. John applaude. Non c'è storia su questo per il Libdem.<br />

Il padre del soldato non si fida: «Clegg è onesto, rispetto le sue posizioni sulla guerra, i dubbi sul Trident,<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 14<br />

l'ambizione di svincolare le nostre scelte dall'America. Ma c'è l'Europa, il suo partito è il più europeista. Parla<br />

bene ma non mi convince, i Tory sono il meno peggio».<br />

Come lui, la maggioranza del paese non si fida di Bruxelles. Clegg, in difesa, spiega di volere il Regno Unito<br />

in Europa «da leader» ma promettere un referendum perché «decida il popolo britannico». Nulla da fare:<br />

nonostante la buona performance contro le note spese gonfiate e la proposta di risparmiare energia anziché<br />

tassare chi prende l'aereo, la battaglia su Bruxelles, conferma un sondaggio del Sun è persa. Cameron la<br />

spunta di misura.<br />

L'esperienza Usa suggerisce che quello televisivo non uno è sprint ma una maratona in tre tappe. Clegg<br />

vince il round sulla guerra. Cameron, in forma, quello sull'Europa più il voto di John e Veronica, convinti da lui<br />

ma «felici che sia sotto pressione». Il premier tira il fiato. Ne avrà bisogno per la finale.<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

Fini inaugura la corrente-calamita<br />

Fini inaugura la corrente-calamita<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

ED. NAZIONALE<br />

Pag. 5<br />

Intervista - Il viceministro della Lega<br />

Castelli: "Lo scontro rischia di far saltare il federalismo"<br />

PAOLO FESTUCCIA<br />

Sono dispiaciuto». Il viceministro della Lega alle Infrastrutture Roberto Castelli si dice «rammaricato» per lo<br />

scontro di ieri tra Berlusconi e Fini, ma anche preoccupato, «perché ora l'iter del federalismo fiscale rischia di<br />

rallentare».<br />

Ma può rischiare di naufragare?<br />

«La Lega da anni spinge per cambiare il Paese, anche con alterne fortune. Se ora stravince è perché ha<br />

intercettato la voglia di questo cambiamento. Questo dissidio interno al Pdl rischia di portare indietro le<br />

lancette dell'orologio».<br />

E Fini con i fedelissimi, che lei ha definito come il «vero partito del Sud», si metterà di traverso?<br />

«Ciò che ha detto deve preoccuparci. I riferimenti di Fini ai decreti delegati, infatti, sono stati chiarissimi. Non<br />

è un caso che abbia toccato proprio questo tema. Evidentemente non vuole questa riforma».<br />

E il Carroccio quali strategie pensa di mettere in campo per sterilizzare eventuali iniziative tese a bloccare il<br />

federalismo fiscale?<br />

«Penso che dovremmo adoperarci per far ricucire lo strappo. Il mio è un auspicio; mi rendo conto che dopo<br />

quanto accaduto è difficile parlare di riappacificazione, ma l'obiettivo della Lega è quello di ottenere il<br />

federalismo fiscale».<br />

E se ciò non accadesse?<br />

«Diciamo che sarebbe un fatto gravissimo».<br />

E che ripercussioni avrebbe sul governo?<br />

«Bossi è stato chiaro: si va al voto se viene meno la maggioranza, ma allo stato attuale spero che<br />

concretamente non esista questa ipotesi. Di nuovo c'è il fatto che il Pdl è passato da movimento monolitico a<br />

partito che ha due correnti: una maggioritaria e l'altra minoritaria».<br />

Certo è che durante la direzione nazionale del Pdl sono volate parole grosse...<br />

«Quanto accaduto non fa bene all'immagine del Pdl. E anche per questa ragione dobbiamo favorire il ritorno<br />

al dialogo, anche perché uno scontro così forte nel partito maggiore che sostiene il governo rischia di far<br />

saltare tutte le riforme».<br />

E quindi si può arrivare anche a immaginare un battuta d'arresto nell'azione di riforma che la maggioranza<br />

vorrebbe portare avanti...<br />

«Noi ci battiamo per le riforme e non faremo altro che chiedere il rispetto degli impegni assunti nel<br />

programma di governo. E al punto sei di quel programma sottoscritto da tutti c'è proprio la riforma<br />

federalista».<br />

Ma anche l'abolizione delle Province, visto che Fini anche su questo argomento ha richiamato l'attenzione<br />

della direzione nazionale...<br />

«Nel programma si parla dell'abolizione delle Province inutili. Noi della Lega da questo punto di vista siamo<br />

pronti, così come siamo stati pronti con le nostre leggi a cancellare 40 mila poltrone inutili. Siamo i primi a<br />

dire no agli enti inutili».<br />

Ma lei si aspettava un faccia a faccia così duro tra il presidente della Camera e il premier, e per di più davanti<br />

alle riprese della diretta televisiva?<br />

«Francamente no, non me lo aspettavo proprio, anche se da tempo avevo intuito che si sarebbe potuti<br />

arrivare a questo punto. Comunque sia, però, mi pare fuori luogo entrare nel merito di vicende dialettiche<br />

interne dei nostri alleati».<br />

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TORINO<br />

Pag. 1<br />

Ora il nemico è in casa<br />

Ugo Magri<br />

Il governo Berlusconi ha le gambe d'argilla perché Gianfranco Fini inaugura l'opposizione più spietata: quella<br />

dentro il partito. Il Cavaliere si ritrova un nemico in casa e un avversario elusivo nel Parlamento.<br />

Nel Pdl va in scena la guerra civile. Alle 18 e 30, quando 12 membri della direzione su 171 votano contro il<br />

documento conclusivo dove si condannano le critiche al Capo e le correnti, crolla l'unanimità di facciata. Già<br />

Fini avverte: lui e i suoi saranno leali se si tratterà di mandare avanti il governo. Tuttavia le decisioni<br />

andranno prese «negli organismi rappresentativi», non è che Silvio la mattina si sveglia e dà ordini. Sennò si<br />

ritrova al Senato o alla Camera una fronda capace di farlo piangere. Nessuno può più sapere che cosa<br />

accadrà su giustizia, fisco, federalismo... Si coglie, perfino in un duro come il capogruppo Cicchitto, cautela e<br />

preoccupazione per quanto vedremo in futuro.<br />

Ovvio che colpisca lo scontro spettacolare, fino alla scena madre: il presidente della Camera che scatta in<br />

piedi, va verso Berlusconi e quasi lo bloccano i «body guard». Tifoserie in tripudio, ciascuno dei co-fondatori<br />

mostra di avere attributi... Scene di ben altro effetto per chi le guarda da casa. Eppure il premier aveva<br />

concepito un piano per imbrigliare Fini, voleva bagnare le polveri dell'avversario prima ancora che salisse alla<br />

tribuna degli oratori, nell'Auditorium di via della Conciliazione, a cento passi da San Pietro. Interventi iniziali<br />

dei «triumviri»: di Verdini per spiegare quanto grande è stato il trionfo alle Regionali. Di La Russa per negare<br />

che Bossi la faccia da padrone. Di Bondi per dare a Fini un assaggio del trattamento in arrivo: accuse di<br />

«bizantinismo, smania di autodistruzione, cupio dussolvi». Il Cavaliere stesso (discorsetto introduttivo) aveva<br />

fatto intendere che litigare sulle riforme sarebbe stato inutile, quelle della Costituzione «si faranno solo con<br />

consenso di tutti», opposizioni comprese, una svolta a 180 gradi. Idem sulla democrazia interna: si faccia un<br />

congresso all'anno, che problema c'è? Poi sfilata di ministri per impaniare Fini, da Frattini (Berlusconi non va<br />

indebolito all'estero) a Tremonti (mai favorita la Lega con gli aiuti di Stato).<br />

Quando il presidente della Camera prende la parola, è quasi l'una. Irride come «puerile» la tattica<br />

berlusconiana. Rivendica la «necessità di fare chiarezza». Nega si tratti di «bizze, gelosie» verso il leader.<br />

Chiede se «è lecito avere opinioni diverse e organizzate dentro il Pdl». Segnala a Bondi di avere incassato<br />

«bastonature mediatiche» dai giornali della famiglia Berlusconi. Sarcastico sulle riforme condivise: l'avesse<br />

detto prima, il Cavaliere, si evitavano polemiche. Poi Fini spalanca il pozzo senza fondo della prepotenza<br />

leghista, vi attinge a piene mani. Sull'immigrazione richiama i valori cristiani del Ppe contro i medici-spia e<br />

quanti vogliono cacciare da scuola i figli dei clandestini. Nega che Tremonti sia montato sul Carroccio. Però<br />

segnala che il ministro del rigore si è prodigato sulle quote-latte. E sul federalismo fiscale domanda: va fatto a<br />

ogni costo come vuole Bossi?<br />

Morale finiana: «Siamo diventati fotocopia della Lega». Prova ne sia la disattenzione per i 150 anni dell'Unità.<br />

Berlusconi quasi non si trattiene allorché Fini cestina il programma elettorale: «Scritto in un altra epoca», va<br />

ripensato da cima a fondo. Il tappo salta poco dopo. Gianfranco alza il sipario sulle «litigate a quattr'occhi»<br />

con Silvio per il processo breve, «un'amnistia mascherata, 600 mila processi che venivano cancellati». Alto<br />

tradimento proprio sulla giustizia: il Cavaliere torna al microfono, come una furia. «Mi pare di sognare», è<br />

l'esordio. Come si può trattare con chi contesta su tutto? Poi, rivelazione per rivelazione, afferma che<br />

«davanti a Letta testimone» Fini si sarebbe detto «pentito» di aver dato vita al Pdl, avrebbe preannunciato un<br />

gruppo autonomo. Sugli attacchi di Feltri, risposta standard: io non c'entro, ho detto a mio fratello di vendere il<br />

«Giornale». Sulle celebrazioni dell'Unità «non ci stiamo occupando d'altro». La Lega va forte perché loro<br />

fanno proseliti anche il sabato e la domenica, mica vanno in vacanza. Bordata conclusiva: «Le sue critiche<br />

sono accolte, ma da uomo di partito, non da presidente della Camera». Vuol fare politica? Lasci quella<br />

poltrona. Con il durissimo documento conclusivo (i parlamentari non erano ammessi al voto) Berlusconi<br />

indica a Fini dov'è la porta, ma Gianfranco non se ne va. Resta per contestare la linea. Nemmeno abbandona<br />

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TORINO<br />

Pag. 1<br />

la carica istituzionale, minaccia «scintille» in Parlamento. E il Cavaliere non può farci nulla.<br />

CONTINUA A PAGINA 2<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

TORINO<br />

Pag. 1<br />

L'ex partito dell'amore<br />

Mattia Feltri<br />

Ci è mancato soltanto che l'uno rimproverasse all'altro di lasciare in giro i calzini. Ma a Silvio Berlusconi e a<br />

Gianfranco Fini - in rigoroso ordine alfabetico - era clamorosamente mancata l'ironia per onorare il paragone<br />

speso dopo il tafferuglio: come casa Vianello.<br />

E per questo l'interpretazione melodrammatica del muso a muso fra masculi non fu malriuscita. Anzi. E<br />

l'immagine gravida di futuro che Gianfranco Fini aveva offerto di sé, nei mesi e nei giorni scorsi, s'era slavata<br />

in un gran masticare di chewing-gum; un ruminare, come si diceva alle elementari, che incontrava una sola<br />

attenuante: il presidente della Camera ha smesso di fumare.<br />

Per modo di dire, poi, perché Fini fischiava dal naso e dalle orecchie di prima mattina e - mentre Berlusconi<br />

cercava di accreditarsi come intima opposizione (faremo le riforme condivise, faremo i congressi) - era più<br />

sbuffante di un vulcano islandese. Ma ancora non si era sospettato che approdasse alla demolizione<br />

dell'eterno programma scenografico berlusconiano: lo one-man-show. Certo, il controcanto e il ditino alzato,<br />

ma che tutto finisse lì. Invece ogni dettaglio ha complottato contro il partito dell'amore. Intanto la tecnica<br />

cubana secondo la quale Fini avrebbe parlato con duemila cofondatori e dopo Berlusconi, dopo i coordinatori,<br />

dopo i ministri, e cioè all'ora della pappa. Fini ha fatto cenno di scocciatura, ha mandato ambasciatori, e infine<br />

Berlusconi è cascato dal pero: «Se vuoi parlare...».<br />

A quel punto è cominciato qualcosa di sconosciuto alla memorialistica politica. Fini si è eretto a ripetere le<br />

cose dette e ridette, in privato e in pubblico, e persino con un tono quasi conciliante, una profusione di<br />

premesse sull'eccellenza del governo e di chi lo guida, e di postille su quello che tuttavia non gli garba. Non<br />

era bendisposto, Berlusconi. Se ne stava a braccia conserte e col broncio mentre Fini lamentava la puerilità<br />

di questo e la polvere sotto il tappeto di quest'altro; era il solito premier che adora le regole per quanto è bello<br />

infrangerle: dava sulla voce al comiziante dispiaciuto che lo si chiamasse traditore: «Io non l'ho mai detto!».<br />

Era tutto così. Fini parlava dei 150 anni dell'Unità d'Italia e dell'assenza di idee di partito? «Ma dai, Ci<br />

lavoriamo tutti i giorni!». «Non voglio polemizzare...». «Ah no?». E non è che Fini aiutasse: la mano in tasca,<br />

quel tono da Clint Eastwood felsineo, il modo di rivolgersi: «Berlusconi, te lo dico in faccia...». Non Silvio o<br />

presidente. Berlusconi, come al servizio militare. E raccontava che cosa si erano detti in privato, quella volta<br />

e quell'altra. E lui, Berlusconi, ascoltava e alzava le mani, sfregando i pollici sugli indici e i medi, in un gesto<br />

secondo cui la sostanza era pochina.<br />

Fin lì si era soltanto nella categoria dell'imbarazzante. Ma quando Fini ha parlato di «impunità», s'è capito che<br />

finiva a schifio. Berlusconi ha di nuovo ribaltato il programma: ha stretto la mano a Fini e si è impossessato<br />

del palco per rispondere a braccio, cioè a ceffoni. Mi è sembrato di sognare, ha esordito. Tutte le cose dette<br />

da Fini le scopro oggi. E comunque mi sembrano sciocchezze di fronte alle moltissime cose che vanno bene.<br />

E poi - ha proseguito - già che tu racconti dei nostri incontri, l'altro giorno, davanti a Letta, hai spiegato che eri<br />

pentito di aver fondato il Pdl e volevi farti i gruppi tuoi. Si era ormai alla rivendicazione da ballatoio. Berlusconi<br />

aveva alzato la voce. Fini aveva alzato tutto se stesso, sotto il palco a protestare col dito teso. La platea una<br />

bolgia. Non si sono fermati più. Fini si è riseduto ma stavolta era lui a dare sulla voce del premier, non si<br />

capiva che cosa dicesse, ma si sentivano le risposte di Berlusconi, nel nulla: «Sììì, proprio tuuuu!». Il<br />

privilegio massimo era un'inquadratura per leggere il labiale di Fini in ironico battimani: «Bravo! Bravo!». Uno<br />

spettacolo inimmaginabile, rovinato dalla prudenza degli organizzatori che avevano esiliato i cronisti nella<br />

sala stampa davanti agli schermi. E così, quando Berlusconi ha invitato Fini a far politica non dalle istituzioni,<br />

e cioè a dimettersi, lì si è intuita una vocazione classica di Fini alla bella morte, che retoricamente chiedeva<br />

furioso e terreo «Sennò mi cacci?», prima da seduto, poi all'impiedi, all'inseguimento del premier, con le<br />

scorte che intervenivano a far da cordone, e il regista pietoso e maledetto a togliere i primi piani, e forse<br />

Berlusconi che risponde: «Ci sto pensando...». E' finita così, con le telecamere dietro a un mare di schiene<br />

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23/04/2010 La Stampa<br />

TORINO<br />

Pag. 1<br />

alzate, lontane voci concitate, la guerra consumata, quindi tutti fuori, sulla strada a cercare di capire che<br />

succederà adesso, e quelle due matte di Alessandra Mussolini e Daniela Santanchè che escono a braccetto,<br />

ridendo in coppia come le ginnasiali che vanno al bagno, loro due, che si erano date a vicenda della patata<br />

transgenica: «Quando i maschi litigano, le donne fanno pace». E pregustano teste rotolanti.<br />

CONTINUA A PAGINA 3<br />

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ED. NAZIONALE<br />

Pag. 4<br />

Colloquio - Vittorio Feltri<br />

"Vendere Il Giornale? Paolo e Silvio non me ne hanno mai parlato"<br />

MARIA GRAZIA BRUZZONE<br />

Fini, Feltri & Berlusconi. Il trio che ritorna. Con Fini che torna a lamentarsi degli «attacchi mediatici»,<br />

alludendo al Giornale di Berlusconi (Paolo), che non perde occasione di pungerlo per la penna aguzza del<br />

suo direttore. Berlusconi (Silvio) anche questa volta fa il pesce in barile e prende esplicita distanza. Con Feltri<br />

non c'entro, da quelle posizioni «mi sono distinto». E aggiunge, maligno: «Caso mai è più critico con te<br />

Libero, che è del tuo amico Angelucci». Comunque, torna a dire il premier, ho convinto i miei famigliari a<br />

venderlo, il Giornale. «Anzi se conosci qualche imprenditore...».<br />

Ma è vera questa storia della vendita? Feltri se ne tiene fuori. «Paolo Berlusconi non mi ha mai parlato di<br />

questa intenzione. Se poi succede, mica passa attraverso il mio consenso». Lei l'ha mai sentita? «Certo,<br />

anche cinque-sei mesi fa, a seguito delle prime polemiche con Fini. Ogni volta Fini chiede la mia testa, non<br />

so neanche cosa se ne potrebbe fare. E Berlusconi (Silvio, ndr) ogni volta dice "non c'entro niente, non ho<br />

rapporti fraterni con Feltri". E aggiunge che ha pregato la famiglia di vendere il Giornale, "così non mi<br />

rompono più le scatole"». E' vero che non avete rapporti fraterni? «Né fraterni né di altro tipo. Certo che lo<br />

conosco. L'ho visto a giugno scorso. Due chiacchiere dopo le elezioni europee. Mi ha ringraziato perché io di<br />

sinistra non sono mai stato. Da allora, più visto né sentito. Ma anche due-tre anni fa, quando stavo a Libero,<br />

se lo incontravo mi chiedeva scherzando "quando torni al Giornale?"».<br />

Poi però il luglio scorso Feltri al Giornale c'è andato davvero. Una mossa estrema a cui si è piegato<br />

Berlusconi P., che non lo ama per niente per via di antichi screzi personali. E infatti, raccontano, lo voleva,<br />

magari con un cachet lautissimo, solo come editorialista. Ma non sarebbe bastato per risollevare le sorti<br />

finanziarie del quotidiano, oberato da molti milioni di debiti. E si sa che per la «famiglia» Berlusconi il<br />

business viene prima di tutto. Così ecco che Feltri non solo arriva da direttore, ma vi trasloca in squadra, col<br />

vice Sallusti e la Santanchè, con la concessionaria Visibilia che aveva sfilato a PK la pubblicità di Libero. Qui<br />

al posto di Feltri viene Belpietro, da Panorama. Difficile che a un «doppio movimento» del genere sia rimasto<br />

estraneo il capofamiglia.<br />

Come che sia, lo schema ha funzionato. I fogli che coccolano i fan del premier sono due, e forti. Il Giornale si<br />

sta già risollevando. «Ha avviato una ristrutturazione che ha per obiettivo il riequilibrio e in quest'ottica<br />

l'ingresso di nuovi azionisti imprenditori è possibile», conferma Berlusconi P. Un socio o un compratore?<br />

Forse proprio questo dubbio spiega le voci sul freno posto a offerte reali. Un nome su tutti, quello di Angelo<br />

Rizzoli, oggi produttore cine-televisivo. Sarebbe un bel riscatto morale, dopo la perdita del Corriere, tanti anni<br />

fa. I capitali potrebbero arrivare proprio dal mega-risarcimento richiesto all'Rcs. La causa è fissata il 22<br />

giugno. «Sono amico di Rizzoli, se entrasse nella compagine azionaria ne sarei contento. Certo che se poi la<br />

linea cambiasse, lascerei. Bastano 5 minuti».<br />

LA STAMPA - Rassegna Stampa 23/04/2010 - 23/04/2010<br />

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Libero<br />

2 articoli


23/04/2010 Libero<br />

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LA CORRIDA<br />

I toreador di Silvio salgono sul palco per infilzare Fini<br />

Da Bondi a Gasparri, da Alfano a Verdini: i big del PdL fedeli al Cavaliere hanno tutti punzecchiato l'ex leader<br />

di An. Cicchitto: «Basta con un certo fighettismo»<br />

MATTIAS MAINIERO<br />

Auditorium di via della Conciliazione. Non fate caso al nome, non lasciatevi confondere: è uno scherzo<br />

toponomastico. Capita, talvolta. E questa è la storia, tutta politica, di un'im possibile conciliazione diventata<br />

una guerra aperta e del destino che si fa beffe di un nome, la storia dell'Auditorium che ospita la direzione<br />

nazionale del Pdl e che si trasforma in una specie di arena. La storia di una corrida: banderillas e<br />

banderilleros, picadores, capotes. E naturalmente lui, il toro da infilzare, quello che ha il destino segnato<br />

ancor prima di entrare nell'arena, a meno di imprevisti che solitamente non ci sono. E che ieri non ci sono<br />

stati, come volevasi dimostrare. Il toro (e nessuno si offenda per il parallelo) è lui, Gianfranco Fini, l'uomo<br />

dello strappo, il cofondatore sfasciante. I toreri eccoli qui di seguito. Non tutti: una lista completa<br />

presupporrebbe un'intera pagina e forse più. Per motivi di spazio, e solo per questo, non possiamo<br />

permettercelo. Sandro Bondi. Ammettiamolo: rotondetto com'è, nelle vesti del torero, spalle larghe, fianchi<br />

stretti, gambe asciutte e nervose, scatti felini, è difficile immaginarselo. Anche lui, che è uomo di spirito,<br />

converrà (almeno speriamo). Però, che torero questo Bondi. Anche più di un torero. Il ministro sa parlare<br />

come un politico e come un innamorato. Dipende dalle circostanze. Ieri, circostanza importante, ha parlato<br />

come un politico innamorato. E quando una parla così la banderilla diventa un bazooka. Nel mirino,<br />

Gianfranco Fini e soprattutto i finiani, gli intellettuali della Fondazione Farefuturo, il professor Campi e il dottor<br />

Rossi, coloro i quali sono stati troppo critici con Berlusconi. Fermi tutti: Sandro Bondi non ha detto solo<br />

Berlusconi. Politica e amore, riconoscenza, sentimento. Per Fini sopravvivere sarebbe stato impossibile. Ha<br />

detto Bondi riferendosi a Berlusconi: «Una personalità che come riconoscono tutti giganteggia sugli altri». Poi<br />

ha aggiunto: «Un uomo e un leader al quale ciascuno di noi deve molto». Stoccata finale: «Non vogliamo un<br />

partito con tanti intellettuali e pochi elettori». Applausi e toro in ginocchio. In fondo all'Audi torium una sola<br />

voce di dissenso: «Ma Bondi non è un intellettuale?». Non l'ha sentita nessuno, quella voce. L'arena è fatta<br />

così. Matalo, matalo. Maurizio Gasparri. Il capogruppo al Senato, nelle vesti di torero, funziona meglio, se<br />

non altro fisicamente: più agile e più scattante. E infatti la sua tattica è differente: colpi a ripetizione,<br />

banderillas su banderillas. «Non ci sono persone comprate, vorrei che non ce ne fossero di regalate alle idee<br />

sbagliate della sinistra». Traduzione: io sono stato corretto, ma perché il "compa gno Fini" si vende alla<br />

sinistra, e perché lo fa pure senza guadagnare un soldo? Avrebbe fatto prima a dargli dello stupido.<br />

Politicamente parlando, s'intende. «Chiedere più democrazia è un dibattito antico, ma non rispolveriamo i<br />

luoghi comuni della sinistra sull'uomo solo al comando. Oltre che fare le Fondazioni andiamo anche a parlare<br />

nei bar con la gente». Traduzione bis, in romanesco: a Gianfra', torna con i piedi per terra. E Gianfranco, per<br />

terra, non c'è tornato con i piedi. Corpo intero, lungo disteso. Nell'arena rimbombano gli applausi. Platea<br />

soddisfatta. Matalo, matalo. Giulio Tremonti. Anche quando si traveste da torero e fa roteare capote e muleta,<br />

banderillas e spada, Giulio l'Impassibi le non si scompone. Un matador di ghiaccio che per stendere il toro<br />

cita don Sturzo: «Si comincia con le divisioni ideologiche, si passa alle divisioni personali, si finisce con la<br />

frantumazione del partito. Una profezia che si è già avverata e che non vogliamo si avveri ancora. C'è un<br />

tempo per ogni cosa. Questo non è il tempo negativo delle divisioni. Questo è il tempo positivo del fare<br />

insieme». Ergo: questo non è il tempo di Fini. Matalo, matalo. Fabrizio Cicchitto. Quando si impegna, è uno<br />

specialista. Uno dei pochi politici italiani in grado, se gli va, di sparare direttamente il colpo di grazia. Eccolo:<br />

bisogna fare «attenzione a un certo fighettismo», «abbiamo sconfitto la sinistra e soltanto noi possiamo farci<br />

del male». In tanti anni di politica, a Fini gliene hanno dette di tutti i colori. Gianfranco il Fighetto mancava. E<br />

poi Sacconi, Frattini, Scajola, Formigoni, Verdini, La Russa e l'affondo di Berlusconi: «Vuoi fare politica?<br />

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Lascia la presidenza della Camera». Matalo, matalo. Ieri, direzione del Pdl, Auditorium di via della<br />

Conciliazione.<br />

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Il dramma degli ex amici<br />

I colonnelli lo mollano E la Meloni piange<br />

BRUNELLA BOLLOLI ROMA<br />

A metà pomeriggio, quando ormai lo scontro tra Fini e Berlusconi è irreversibile, fuori dall'Auditorium di via<br />

della Conciliazione (un nome, un destino) la questione è: cosa faranno adesso i colonnelli? «Quando cambia<br />

generale, cambiano anche i colonnelli», è il commento di un fine osservatore politico. Prima rispondevano a<br />

Fini, adesso riconoscono come capo solo Silvio Berlusconi. Bye Bye Gianfranco. Loro sono Matteoli,<br />

Larussa, Gasparri, Alemanno, Meloni, ma anche Laboccetta, Rampelli, Piso. Tutti provenienti dalle truppe di<br />

Alleanza nazionale, tutti un tempo fedelissimi, ma da ieri sera, molto più lontani da Fini molto più con Silvio.<br />

E, per dirla con il senatore Domenico Gramazio, «per fortuna gli ex An si sono ritrovati con gli ex colonnelli,<br />

per militare insieme e costruire la realtà della destra nel PdL». Certo, i segnali di rottura con il presidente della<br />

Camera erano chiari da giorni. Il documento dei 75 di fedeltà al PdL era stato firmato da moltissime "co<br />

lombe", finiani ma contrari a uno strappo. Tra questi il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, fino all'ultimo abile<br />

tessitore di una mediazione tra i due cofondatori, che però alla fine non ci sarà. Non a caso è stato chiamato<br />

sul palco sì dopo gli amministratori lombardi, Letizia Moratti e Roberto Formigoni, ma anche per ricordare<br />

ancora una volta i risultati ottenuti lavorando insieme, «come dimostrano le vittorie elettorali a Roma e nel<br />

Lazio». Ha snocciolato i dati del successo, Alemanno, e poi ha concluso ringraziando pubblicamente il leader<br />

Berlusconi. Prima di lui era stata la volta di Laboccetta, finiano di ferro ma contrario a posizioni "sfa sciste".<br />

«Cancelliamo la scena di stamattina», ha chiesto lanciando un appello ai due litiganti. «Vi invito a guardarvi<br />

dentro e ricordare la vostra storia personale e politica. Quanto di buono avete costruito insieme non deve<br />

essere dimenticato in queste ore di tensione». E poi: «La mia non è una banale mozione di affetti, ho sognato<br />

un gesto di riconciliazione». Più tardi, però, quando si andrà alla conta dei voti sul documento conclusivo, c'è<br />

il redde rationem . Una manciata di membri finiani, soprattutto parlamentari romani, decidono di stare con<br />

Gianfranco. Cambiano generale, invece, gli "storici" colonnelli della defunta An, a cominciare dal ministro<br />

Altero Matteoli, dal capogruppo dei senatori Maurizio Gasparri, dal coordinatore Ignazio La Russa, dalla<br />

giovane ministra Giorgia Meloni. Una scelta non facile, la loro, perché «con Gianfranco c'è un'amicizia da 35<br />

anni», ha ammesso Gianni Alemanno, il delfino che ormai si è smarcato. Per Matteoli, ieri, non è stata una<br />

bella giornata. Dopo avere letto l'intervista al presidente del Senato che invitata il collega della Camera a<br />

dimettersi, se voleva fare politica, Matteoli ha provato difendere Gianfranco: «Quando dice queste cose<br />

anche il mio amico Schifani fa politica». Ma dal palco il messaggio al presidente della Camera è chiaro: «Gli<br />

uomini politici devono ragionare con il cervello prima che col cuore». Discorso felpato quello di Ignazio La<br />

Russa, si capiva che la spaccatura era l'ultima cosa che avrebbe voluto. La Meloni non ha fatto discorsi<br />

ufficiali, ma ha pianto. Per una considerata la "pupilla" di Gianfranco, il salto non è stato facile. Un dolore.<br />

«Però indietro non si torna. I nostri valori hanno trovato casa nel PdL».<br />

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attualità<br />

Spoils system alla veneta<br />

Zaia & Galan Si sono scambiati la poltrona. E come due Penelopi sembrano impegnati a disfare quel che<br />

l'altro ha fatto. Così uomini e imprese tremano. E fra il ministero dell'Agricoltura e la regione la tensione sale.<br />

MARCO COBIANCHI<br />

Teoricamente il passaggio di consegne è avvenuto senza che una sola voce si alzasse per protestare.<br />

Praticamente fra Luca Zaia, che da ministro dell'Agricoltura diventa presidente della Regione Veneto, e<br />

Giancarlo Galan, che da governatore del Veneto diventa ministro dell'Agricoltura, gli sgambetti non si<br />

contano. Teoricamente entrambi gli uomini politici appartengono allo stesso schieramento, praticamente l'uno<br />

non vede l'ora di disfare ciò che ha fatto l'altro. Per capire come e dove ciò accadrà, tutto sta nel distinguere<br />

tra il teoricamente e il praticamente. Per esempio Zaia, insediato da poche settimane alla guida del Veneto,<br />

ha già preso la prima decisione: il varo di un'ampia operazione trasparenza finalizzata alla certificazione dei<br />

bilanci di tutte le società controllate dalla regione. Teoricamente una decisione ineccepibile, praticamente non<br />

ce ne sarebbe bisogno se non si sospettassero brutte sorprese soprattutto nel comparto sanità, il cui deficit di<br />

201 milioni nel 2008 è stato coperto con una manovra finanziaria regionale da 216 che ha riportato in attivo i<br />

conti di circa 15 milioni. Nonostante questo, la sanità continua a rimanere in mano leghista, però cambia<br />

responsabile: dopo Sandro Sandri (che prese il posto di Flavio Tosi) arriva Luca Coletto, il quale difficilmente<br />

potrà varare lo spoils system delle asl, visto che i direttori, tutti nominati da Galan, scadranno solo tra 2 anni e<br />

mezzo. Si dovrà probabilmente accontentare di sostituire il potente segretario generale dell'assessorato,<br />

Giancarlo Ruscitti. Galan, da parte sua, appena avrà i pieni poteri al ministero dell'Agricoltura,è pronto a<br />

ribaltare la posizione dell'ex ministro su un argomento delicato come gli ogm. Il nuovo ministroè favorevole<br />

almeno alla ricerca sugli alimenti geneticamente modificati a differenza di Zaia che è per la chiusura totale.<br />

Teoricamente è nei suoi poteri, praticamente si tratta di rendere assai più difficili i rapporti tra il suo<br />

predecessore e la Coldiretti, che fu, almeno in un primo tempo, sostenitrice di Zaia. Intanto in Veneto, se la<br />

composizione della giunta, teoricamente, è avvenuta senza scontri apparenti, praticamente si è verificata una<br />

geometrica divisione dei poteri tra Lega e Pdl, tanto che quella nata può essere definita la giunta «Zalan»: per<br />

metà composta da uomini di Zaia e per metà da fedeli di Galan. A farne le spese l'area degli ex socialisti del<br />

Pdl, che si deve accontentare di una poltroncina come l'assessorato alle Politiche sociali. Nella giunta<br />

«Zalan», oltre alla Sanità, anche lo strategico assessorato all'Agricoltura resta a guida leghista e sarà curato<br />

da Franco Manzato. Non sono ipotizzabili, quindi, cambi ai vertici delle aziende che dipendono dal suo ufficio,<br />

la maggior parte delle quali a guida padana come Avepa (agenzia per i pagamenti in agricoltura), Veneto<br />

Agricoltura (centro di informazione ed educazione), Intermizoo (ricerca genetica). Parallelamente<br />

l'assessorato alle Infrastrutture continuerà a essere il regno di Renato Chisso, fedelissimo dell'ex presidente.<br />

Ma ciò non significa che le opere pubbliche decise dalla precedente giunta andranno avanti senza intoppi,<br />

anzi. È il caso dell'investimento da 1,2 miliardi nel nuovo ospedale di Padova tanto caro a Galan. Quegli<br />

appalti saranno messi sotto stretta osservazione dagli uomini del nuovo presidente. Teoricamente è una<br />

decisione ineccepibile, praticamente significa creare alcuni problemi alle società che durante l'era Galan<br />

hanno lavorato più intensamente, come per esempio la Gemmo spa e la Mantovani spa. Anche al ministero<br />

molte cose potrebbero cambiare dall'epoca del ministro Zaia. Uno dei dossier più importanti riguarda la<br />

Federconsorzi. L'ex ministro non si è mai opposto alla possibilità che la società, fallita nel 1991 sotto il peso di<br />

5 mila miliardi di lire di debiti, tornasse in auge sotto il cappello di una nuova spa, la Federconsorzi Holding.<br />

Galan, che su questo punto non si è ancora espresso, potrebbe opporsi al trasferimento del patrimonio<br />

immobiliare dei circa 70 consorzi ancora attivi (fra commissariati e «in bonis») a una nuova entità.<br />

Teoricamente si tratterebbe di applicare soltanto il Codice civile, che impone la chiusura di una società<br />

liquidata; praticamente la probabile opposizione del nuovo ministro alla rinascita di Federconsorzi sarebbe un<br />

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altro attacco alla costituency di Zaia, che a questi enti ha pure concesso importanti sconti fiscali inserendoli<br />

nell'elenco delle cooperative «a mutualità prevalente» (che realizzano il 51 per cento del proprio giro d'affari<br />

tra i soci). Poi ci sono gli uomini: da spostare, sostituire, promuovere. Gli organigramnmi sono ancora tutti da<br />

compilare, ma se c'è qualcuno che non ha nulla da temere, questo qualcuno è un avvocato nato a San<br />

Giuseppe Vesuviano. Si chiama Giuseppe Ambrosio, capo di gabinetto di Zaia (oltre che di almeno altri<br />

quattro ministri precedenti) ed è uno dei pochi, si dice, a capirci davvero qualcosa nelle intricatissime partite<br />

ministeriali. Compresa la vicenda delle quote latte. A proposito: Zaia è stato accusato di avere favorito,<br />

durante la sua gestione, i Cobas del latte. Galan potrebbe invertire la tendenza instaurando un meccanismo<br />

premiante per chi le multe le ha sempre pagate. Teoricamente si tratta di un'operazione buona e giusta,<br />

praticamente sarebbe un attacco all'intero partito di Umberto Bossi, visto che l'ex capo dei Cobas del latte,<br />

Fabio Rainieri, è oggi un parlamentare padano, presidente della commissione Agricoltura e indagato dal pm<br />

milanese Frank Di Maio per una presunta truffa da1 miliardo proprio sulle quote latte da parte di 28<br />

cooperative, tra le quali la sua, la Giuseppe Verdi 2001. Teoricamente avrebbe dovuto produrre tanto latte<br />

quanto le quote assegnate. Praticamente non lo ha fatto.<br />

Foto: • Ogm • Luca Coletto (assessore regionale del Veneto alla Sanità) • Renato Chisso (assessore<br />

regionale del Veneto alle Infrastrutture) • Giuseppe Ambrosio (capo di gabinetto ministero dell'Agricoltura)<br />

Foto: Da Romaa Venezia Luca Zaia, 42 anni, presidente della Regione Veneto.<br />

Foto: Chi sale e chi rischia<br />

Foto: Nel mirino di Zaia c'è anzitutto la sanità regionale, risanata da Galan con una manovra da 216 milioni di<br />

euro. In quello di Galan le decisioni sugli ogm prese dal suo predecessore.<br />

Foto: Da Venezia a Roma Giancarlo Galan, 53 anni, ministro dell'Agricoltura. • Giancarlo Ruscitti (segretario<br />

generale dell'assessorato alla Sanità del Veneto) • Federconsorzi • I socialisti del Pdl • Mantovani spa • Fabio<br />

Rainieri parlamentare della Lega ex leader dei Cobas del latte<br />

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attualità<br />

FINI e il partito della rivincita<br />

Pdl Dietro lo strappo del presidente della Camera c'è un gruppo di pressione composito: da Montezemolo a<br />

Casini, da Mieli a Scalfari. Perfino Santoro e Travaglio. Tutti con un unico sogno: quello di un'Italia<br />

deberlusconizzata.<br />

GIOVANNI FASANELLA<br />

Dev'essere cominciato il 6 dicembre 2007. Attorno a un tavolo imbandito, secondo le migliori e più antiche<br />

tradizioni della politica e del potere. Sì, quel giorno Luca Cordero di Montezemolo, Gianfranco Fini e Pier<br />

Ferdinando Casini si incontrarono a pranzo nella foresteria romana della Confindustria e stabilirono che «tutto<br />

è in movimento». E da allora, in effetti, continue scosse telluriche hanno investito la vita interna dei partiti,<br />

provocando movimenti che hanno toccato il culmine, per ora, fra sabato 17 e martedì 20 aprile. Con tre<br />

avvenimenti apparentemente slegati ma in realtà prodotti dello stesso sciame sismico, i cui effetti sono<br />

destinati a proiettarsi nell'arco dell'intera legislatura, e probabilmente anche dopo: la crepa apertasi all'interno<br />

del Pdl con la nascita di una corrente finiana ostile al premier; il mancato processo nella direzione del Pd a<br />

Pier Luigi Bersani, dopo la sonora sconfitta nelle ultime elezioni regionali; le dimissioni di Montezemolo dalla<br />

carica di presidente della Fiat. Tre fatti legati da un unico filo, a sentire non solo i boatos da Transatlantico,<br />

ma anche molte e concordanti confidenze private. E cioè, l'inizio della «fase operativa» di una manovra a<br />

tenaglia contro Silvio Berlusconi. Con l'obiettivo di estrometterlo dalla scena politica, aprendo la strada a una<br />

«leadership costituente» capace di coagulare le forze «moderate» di entrambi gli schieramenti e avviare il<br />

Paese verso la Terza repubblica. Nessuno osa dirlo pubblicamente, ma il nuovo capo taumaturgo della<br />

politica italiana sarebbe proprio Montezemolo, provvidenzialmente spogliato della carica imprenditoriale. E la<br />

testa d'ariete dell'operazione sarebbe proprio il presidente della Camera. Intorno e dietro il quale si è formata<br />

una nutrita e assortita squadra di addetti alla spinta. Una compagnia di «perdenti di successo», secondo la<br />

sprezzante definizione di fedelissimi del Cavaliere, pronta a tentare l'assalto alla fortezza del Pdl. Di Casini e<br />

Montezemolo si è già detto. Ma molti altri nomi importanti, personalità che hanno già subito l'onta di diverse<br />

sconfitte nei rispettivi campi, ora sono pronti a tentare una rivincita. Primo fra tutti Massimo D'Alema,<br />

presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attività dei servizi segreti, nonché principale artefice<br />

dell'ascesa di Bersani alla segreteria del Pd. Evoca apertamente una «costituente democratica» e parla della<br />

necessità, per il suo partito, di «trovare interlocutori a tutto campo» per sconfiggere il progetto berlusconiano<br />

di un «presidenzialismo plebiscitario». Ed è pronto a offrire una sponda per «liberare chi si sente prigioniero<br />

dall'altra parte». Con Casini, D'Alema ha già un antico sodalizio. E negli ultimi tempi i suoi rapporti anche con<br />

Fini si sono fatti talmente stretti che in ogni occasione pubblica in cui compaiono insieme i due fanno a gara a<br />

chi è più d'accordo con l'altro, scherzando sul fatto se è «più di destra D'Alema» o «più di sinistra Fini». Tra<br />

coloro che guardano con molto interesse alle azioni di disturbo dell'ex leader di An nei confronti del premier<br />

c'è anche Francesco Rutelli, con la sua neonata Alleanza per l'Italia. Ex leader della Margherita e poi<br />

cofondatore del Pd, da quando è uscito dal partito prosegue senza soste la sua marcia di avvicinamento<br />

verso il centro. Progetta una fusione con l'Udc di Casini. E lancia con sempre più insistenza messaggi<br />

ammiccanti all'indirizzo di Fini. «Lo aspetto» dichiara senza infingimenti «per costruire insieme un nuovo<br />

schieramento politico». Sponsor dell'operazione, dicono, proprio Montezemolo. Ma a spingere dietro la testa<br />

d'ariete antiberlusconiana c'è anche il centrosinistra mediatico in tutte le sue articolazioni. Anzitutto quella più<br />

moderata, che fa capo a Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della sera, oggi presidente della Rcs libri e da<br />

sempre sodale di Montezemolo. È stato lui a volere fortemente la pubblicazione dalla Rcs del libro Il futuro<br />

della libertà, in cui Fini getta le basi politico-teoriche della sua azione futura. Poi quella decisamente<br />

antiberlusconiana, che fa capo al «partito» di Repubblica. Il cui fondatore Eugenio Scalfari, domenica 18<br />

aprile, ha firmato un editoriale dal titolo illuminante: «Che cosa farà Fini quando sarà grande». Con<br />

l'immancabile consiglio ad abbandonare l'ammiraglia berlusconiana, perché «non ha alcun futuro dentro il<br />

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Pdl». E infine, persino quella giustizialista. Il conduttore di Annozero, Michele Santoro, in privato, dicono, non<br />

perde occasione per elogiare il comportamento del presidente della Camera. E Fini, in una neoversione<br />

«santorista», lo ha ricambiato inviando alla manifestazione bolognese del 25 marzo, promossa per protesta<br />

contro la decisione del governo di chiudere i talk-show televisivi durante la campagna elettorale, uno dei suoi<br />

giovani e più promettenti intellettuali, Filippo Rossi, presidente della Fondazione Farefuturo. Anche la spalla<br />

di Santoro ad Annozero, Marco Travaglio, dopo avere espresso pubblicamente la propria preferenza<br />

elettorale per Fini, di recente ha scritto sul Fatto che «Gianfranco ci serve vivo nei prossimi anni». Beh,<br />

sembrano esserci proprio tutti, dietro quella testa d'ariete. Ma lui, l'oggetto dei desideri di gran parte del<br />

centrosinistra, che cosa vorrà davvero fare, da grande? Intanto, chi si aspettava che uscisse dal Pdl è rimasto<br />

deluso. Il presidente della Camera sa benissimo che fuori da quel partito, o comunque dal centrodestra,<br />

andrebbe incontro a un inevitabile destino di marginalizzazione. Com'è capitato ai tanti che in passato hanno<br />

scelto di seguire questa strada. Resta dunque nel partito, per ora, saldamente abbarbicato alla rete logistica<br />

costruita da Berlusconi. Con una sua corrente di minoranza, sperando di crescere nell'attesa del dopo. Ma<br />

che cosa riservi davvero quel dopo è difficile dirlo. Intanto, Fini ha annunciato che farà «ballare» il Cavaliere.<br />

Però Berlusconi, lo si è visto anche nelle ultime elezioni regionali, è un osso piuttosto duro. Dato per sconfitto<br />

alla vigilia del voto, si è gettato a capofitto nella campagna elettorale spendendosi personalmente e riuscendo<br />

a ribaltare il pronostico. Difficile che assista senza reagire alla guerriglia del suo antagonista interno.<br />

Certamente sarà una partita molto dura. Che potrebbe portare davvero all'uscita di scena del premier, ma<br />

anche a un esito paradossale, che pochi sembrano aver messo nel conto: Berlusconi eletto al Quirinale con<br />

l'appoggio di Fini; e Fini eletto premier del centrodestra con la benedizione del centrosinistra. La politica<br />

italiana, la storia di questo ventennio lo ha dimostrato, sa essere creativa e beffarda.<br />

Piace più a sinistra che a destra<br />

SONDAGGIO Gianfranco Fini ha sempre la fiducia degli italiani. Secondo un sondaggio eseguito dalla Ipr<br />

marketing il 19 aprile su un campione di 1.000 italiani, il presidente della Camera si attesta al 63 per cento,<br />

dopo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (75 per cento, ma due punti in meno rispetto alla<br />

rilevazione di marzo) e al presidente del Senato Renato Schifani (64 per cento, come a marzo). Emerge però<br />

un dato curioso dalla scomposizione del campione in base alle preferenze politiche: il 63 per cento di fiducia<br />

ottenuto da Fini è la media fra il 73 per cento ottenuto dagli elettori di centrosinistra e il 54 per cento<br />

tributatogli da quelli di centrodestra.<br />

Nel Pdl il pesce è poco digeribile<br />

LA CENA DELLA ROTTURA Stavolta il pesce della discordia è stato l'orata. Ma Silvvio o Berlusconi e<br />

Gianfranco Fini ebbero già un serio dissenso sulla Bicamerale di Massimo D'Alema davanti a una spigola a<br />

Portofino. Evidentemente il menu ittico non porta bene ai rapporti fra i cofondatori del Pdl. Era tutto a base di<br />

pesce il pranzo che il presidente della Camera il 15 aprile ha offerto al premier e a Gianni Letta. Si è<br />

trasformato in uno dei temporali più forti nel barometro dei rapporti tra Fini e Berlusconi. Ma l'orata non è finita<br />

di traverso a nessuno. Berlusconi ha detto di avere «mangiato benissimo». Fini, invece, non ha toccato cibo,<br />

come di solito fa a pranzo, e non ha neppure fumato. Con la nascita della terzogenita ha accettato l'invito<br />

dell'amico Silvan no Moffa, presidente della commissione Lavoro di Montecitorio, che gli ha detto:<br />

«Gianfranco, fa' come me che smisi quando nacque mia figlia». (Paola Sacchi)<br />

Chi sono i fedelissimi di Fini CAMERA Giuseppe Angeli Luca Barbareschi Claudio Barbaro Luca Bellotti<br />

Italo Bocchino Giulia Bongiorno Carmelo Briguglio Antonio Buonfiglio Nicolò Cristaldi Giuseppe Consolo<br />

Giulia Cosenza Marcello De Angelis (*) Ado Di Biagio Francesco Divella Fabio Granata Agostino Ghiglia (*)<br />

Amedeo Laboccetta Donato Lamorte Antonino Lopresti Antonio Mazzocchi Roberto Menia Silvano Moffa<br />

Angela Napoli Gianfranco Paglia Flavia Perina Francesco Proietti Cosimi Enzo Raisi Andrea Ronchi<br />

Alessandro Ruben Souad Sbai Giuseppe Scalia Maria Grazia Siliquini Catia Polidori Carmine Patarino<br />

Antonio Pepe Mirko Tremaglia Adolfo Urso<br />

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23/04/2010 Panorama<br />

N.18 - 29 APRILE 2010<br />

Pag. 54<br />

E SENATO I parlamentari che hanno sottoscritto il documento del presidente della Camera. Contrassegnati<br />

con il segno (*) sono quelli che hanno firmato sia il documento di Fini sia il cosiddetto documento dei 75.<br />

Laura Allegrini Andrea Augello Mario Baldassarri Cesare Cursi Candido De Angelis Egidio Digilio (*) Maria<br />

Ida Germontani Giuseppe Menardi Antonio Paravia (*) Franco Pontone Maurizio Saia Oreste Tofani<br />

Giuseppe Valditara Pasquale Viespoli Italo Bocchino con il presidente della Camera Gianfranco Fini.<br />

Foto: Nella foto grande, il presidente della Camera Gianfranco Fini. Qui sopra, il presidente del Senato<br />

Renato Schifani con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.<br />

Foto: Gianfranco Fini con Silvio Berlusconi e Umberto Bossi.<br />

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23/04/2010 Panorama<br />

N.18 - 29 APRILE 2010<br />

Pag. 35<br />

tafazzi d'Italia<br />

La sublime arte di farsi male<br />

Abbiamo un vincente? Ne cerchiamo i difetti fino alla inesorabile CARATTERI NAZIONALI distruzione. Ci<br />

riconoscono talenti innati (la creatività, per esempio): noi li gettiamo alle ortiche. Masochisti? Forse, come<br />

Tafazzi, l'omino che si martellava in tv le parti basse e che esattamente 15 anni fa divenne un fenomeno.<br />

Quattro storie di chi ha fatto harakiri.<br />

Sergio, che hai fatto? In pubblico Chiamparino litiga per le poltrone in banca. E scoppia il caos. Fuorigioco Le<br />

mosse sbagliate dell'uomo che doveva salvare la Juventus. Mamma mia! Ilaria D'Amico si sente penalizzata<br />

ed eroica per avere un figlio. Nonostante i privilegi. Cuore di papà A pag. 37 Vincenzo Zaccheo, sindaco di<br />

Latina, raccomanda le figlie a microfoni accesi. A pag. 38<br />

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23/04/2010 Panorama<br />

N.18 - 29 APRILE 2010<br />

Pag. 37<br />

tafazzi d'Italia Sergio Chiamparino<br />

Masochismo in Salza rossa<br />

Furbo o autolesionista? Con un'intervista sulle poltrone dell'Intesa Sanpaolo è riuscito a far saltare i delicati<br />

equilibri di una trattativa fra Torino e Milano.<br />

UGO BERTONE<br />

Caro Sergio, ma perché a 60 anni, anzi a 61 anni suonati, si mette a fare il Pierino? Come se non fossero<br />

bastati al Pd i guai provocati da Pierin Fassino con quel suo disgraziato «abbiamo una banca» dell'estate di<br />

cinque anni fa, quella dei furbetti e delle cooperative. Dopo quell'infortunio, roba da educande visto quel che<br />

ha combinato lei, si deve sapere che sul terreno del credito è d'obbligo la discrezione massima. E invece,<br />

caro Chiamparino, lei nella partita per l'Intesa Sanpaolo è entrato in tackle scivolato, come un mediano del<br />

suo Toro, per tradizione un po' scarpone, che si attacca alle caviglie di chi gli passa vicino. Per carità, non fa<br />

scandalo che un sindaco si immischi nelle partite del potere, quando può, soprattutto quando si tratta di far<br />

fuori il «buon soldato Enrico Salza», uno che a Torino ha fatto e disfatto sindaci (lei compreso) e che gode<br />

oggi di vasta impopolarità sulle rive del Po. Ma certe cose si fanno e non si dicono, come lei da buon torinese<br />

dovrebbe sapere. Invece l'ha tradita la voglia di protagonismo. Che bisogno c'era poi di far sapere, con quella<br />

bizzarra intervista su Repubblica, che pure a Sergio Marchionne non dispiace la staffetta in Intesa? Sempre<br />

quel vizio di chiedersi come la pensano in Fiat.... Quanti autogol in una volta sola. Non era facile offrire a<br />

quella vecchia volpe di Giuseppe Guzzetti, leader degli odiati lombardi, l'occasione di rientrare in partita<br />

dandole del bugiardo. Secondo, qualcuno prima o poi troverà da ridire sul fatto che il sindaco della città più<br />

indebitata d'Italia si impegni così a fondo per la nomina del presidente del suo creditore numero uno (eh sì, il<br />

conflitto di interessi ha molti volti). Ma, soprattutto, ha notato sgomento Enrico Letta, quella ricerca di un<br />

banchiere con i giusti «quarti di professionalità e di torinesità» legittima le richieste di Umberto Bossi. Non è<br />

facile spiegare uno scivolone così clamoroso da parte di uno che fa politica, di professione, dal 1976. Forse<br />

l'ansia di marcare l'avanzata della Lega può giocare brutti scherzi. O la voglia di recuperare C punti presso la<br />

Torino bene, in cui va di moda il tiro contro Salza «il traditore». Oppure già si fa sentire la sindrome del dopo,<br />

la ricerca di un ruolo adeguato quando, nel 2012, Chiamparino lascerà la carica di sindaco. Le ambizioni non<br />

mancano: segretario del Pd del Nord; o, meglio ancora, punta di diamante della squadra similfederalista nella<br />

grande sfida al centrodestra nelle prossime politiche. Ma se questo è l'obiettivo, qualcosa non torna. Perché<br />

Chiamparino, se mira al palcoscenico della grande politica, ha deciso di farsi del male in questo modo?<br />

Quando è in imbarazzo, nota maligno Diego Novelli, l'ultimo sindaco del Pci sotto la Mole, Chiamparino da<br />

Moncalieri allarga le braccia e si affida al dialetto: «Mi sai nen» («Non so niente»), ammicca da finto ingenuo.<br />

Ma quel finto tonto potrebbe avere un disegno, scrive su Nuova società lo stesso Novelli, cui non mancano le<br />

fonti nella politica locale: la presidenza della Cassa depositi e prestiti alla scadenza del mandato di Franco<br />

Bassanini, con il benestare di Giulio Tremonti, che lo apprezza assai. E, naturalmente, dopo aver dato<br />

battaglia a Guzzetti, diventare il vero boss delle fondazioni sotto il tiro leghista in Cariplo. Chissà. Intanto<br />

Domenico Siniscalco fa gli scongiuri: l'unico che può fargli perdere la poltrona è proprio l'intemperante<br />

Chiamparino.<br />

Foto: Sergio Chiamparino, 61 anni.<br />

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