Aprile 2013 NELL’ANIMA DEL POETA, IL SUBLIME SE TU FOSSI Se tu fossi il <strong>ci</strong>elo io volerei per raggiungerti. Se tu fossi il più bel sorriso io sarei felice per la tua feli<strong>ci</strong>tà. Se tu fossi il mio cuore scaverei nella mia anima per vederti. Se tu fossi la persona nel <strong>ci</strong>elo, che io amo tanto io farei qualsiasi cosa per abbrac<strong>ci</strong>arti di nuovo, almeno un’ultima volta … ZIA. Sara Leuc<strong>ci</strong> In ricordo di Zia Anna Gloria Disegno di Gianmarco Sansò 3C – Scuola Secondaria di Muro Leccese POESIA 4
Aprile 2013 La Visione e le visioni da Tommaso d’Aquino al Paradiso di Dante I l tema della visione rappresenta uno degli snodi fondamentali della speculazione di ogni tempo, e di quella medievale in particolare, sia nella componente strettamente noetica, per l’ins<strong>ci</strong>ndibile nesso tra il “vedere” e il “conoscere”, presente sin dalle origini nella tradizione filosofica oc<strong>ci</strong>dentale, sia sul versante della tradizione ebraico-cristiana, che attesta quanto è contenuto nella Sacra Scrittura in relazione alla “visione” di Dio (ad esempio, da parte di Mosè sul Sinai), sia in relazione ai profeti, cui erano riservate delle rapide visioni del mondo divino che agli altri rimaneva nascosto (Isaia, Ezezhiele). Il nostro percorso si concentra sul tema della visione intesa fondamentalmente come accesso a una realtà invisibile, come ascesa per gradi verso il prin<strong>ci</strong>pio di tutte le visioni, in ogni ambito dove può darsi l’esperienza visionaria, nella speculazione filosofica come nella poesia, nella mistica come nella creazione artistica. Si capisce che, in un ambito tanto esteso e tanto proteso, carico di grandissima tensione, quale è quello in cui vengono strettamente coinvolti il corporale e lo spirituale, la visione attivi una dialettica che detiene al proprio interno una vasta conflittualità, che emerge ad esempio nelle teorie della coin<strong>ci</strong>denza degli opposti presenti in determinate correnti teologiche (Meister Eckhart, Niccolò Cusano), come pure nei movimenti artisti<strong>ci</strong> della modernità (in particolare nel surrealismo): i surrealisti attingono alla mistica, al mito e alla magia, per esplorare il potere delle immagini, del meraviglioso e dello spazio interiore. La rappresentazione del sublime, in ogni settore dell’arte che lo interpreta, è caratterizzata da una forza che incute terrore e detiene a sua volta il potere di produrre un sentimento di elevazione, come attestano le trattazioni dello Pseudo Longino e di Emanuele Kant; del tutto emblematico è poi il caso dell’icona, alla quale è riconos<strong>ci</strong>uta la capa<strong>ci</strong>tà di rendere visibile l’invisibile. La nostra riflessione va a confrontarsi con il livello massimo della trattazione, ossia con il tema della Visione per eccellenza, la visione beatifica della teologia cristiana, e di quella scolastica in particolare, enucleando i punti temati<strong>ci</strong> prin<strong>ci</strong>pali presenti nelle opere di Tommaso d’Aquino per mostrare come Dante li ha ripresi in alcune visioni selezionate in canti del Paradiso. Per entrare nel primo passaggio della nostra riflessione, che muove da Tommaso d’Aquino, ritengo utile partire dal richiamo dell’affermazione alla fine del Prologo al Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha mai visto Dio; il Figlio Unigenito che è FILOSOFIA Alessandro Ghisalberti Docente di Ontologia all'Università Cattolica di Milano e di Storia della filosofia medievale all'Università di Bergamo. nel seno del Padre, egli ce l’ha rivelato” (Gv 1,18). Nel Commento di Tommaso a questa pericope, l’affermazione dell’Evangelista, secondo la quale nessuno ha mai veduto Dio, è spiegata con la previa distinzione <strong>ci</strong>rca tre modi di vedere Dio: a) attraverso una creatura sottomessa a Dio, che si rende visibile alla vista corporea, come nella teofania dei tre uomini-angeli ad Abramo; b) mediante una visione immaginaria, come quelle concesse ad Isaia e ad altri profeti; c) mediante delle spe<strong>ci</strong>e intelligibili, ricavate astraendo dai referti sensibili, le quali, attraverso la riflessione sulla bellezza e la magnificenza del creato, fanno risalire al suo Creatore. Tutti questi diversi modi di conoscere Dio <strong>non</strong> raggiungono mai la visione diretta dell’essenza divina, la quale <strong>non</strong> può essere rappresentata in sé stessa da un’immagine finita, definita, <strong>ci</strong>rcoscritta, essendo l’essenza divina infinita; ogni spe<strong>ci</strong>e intelligibile che opera in un’intelligenza creata è finita. Tommaso evidenzia come, di fronte all’impossibilità di vedere Dio per l’uomo viatore, <strong>ci</strong>oè che vive ancora sulla terra, sia urgente individuare un percorso che consenta di superare questo ostacolo, dal momento che la conoscenza di Dio raggiungibile attraverso le creature <strong>non</strong> è una conoscenza propria della sua essenza, ma è una conoscenza enigmatica, confusa e indiretta. Questo atteggiamento, che globalmente possiamo chiamare di teologia apofatica (o negativa), è lo stesso che porta Tommaso ad escludere che noi possiamo “dimostrare” l’esistenza di Dio attraverso una vera e propria deduzione dimostrativa, dalla causa agli effetti, nell’ordine dell’evidenza di <strong>ci</strong>ò che Dio è; <strong>ci</strong> si deve arrestare a una dimostrazione a-posteriori, dagli effetti alla causa. Passando al più impegnativo discorso del «vedere l’essenza divina», per l’Aquinate solo dopo la separazione dal corpo sensibile, o attraverso la morte, oppure attraverso l’estasi, nella quale l’intelletto si separa totalmente dal corpo in un attimo <strong>non</strong> misurabile, è concesso all’anima intellettiva di vedere Dio, di accedere alla «visione beatifica». L’accesso <strong>non</strong> è però dato all’intelletto costituito nelle potenze naturali, che possiede nella sua unione col corpo; Tommaso, soprattutto nella Somma teologica (I, q. 12), riflette sulla necessità che, per vedere l’essenza di Dio, l’intelletto umano ha bisogno dell’acquisizione di una peculiare similitudine con Dio costituita dalla luce della gloria (lumen gloriae), un lume intellettuale che corrobori l’intelletto rendendolo adeguato alla Visione della divina essenza così come è in sé stessa. Viene poi 5
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