Rimini
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La professione avviata<br />
da Giulio Cumo<br />
prosegue oggi nello<br />
studio di famiglia. Con<br />
Silvia Cumo, Massimo<br />
Mori, Alessandro<br />
Mori e Rossella<br />
Roversi. Un’armoniosa<br />
commistione tra riminesi<br />
e fiorentini, fucina di idee<br />
e progetti.<br />
testo Graziella Biagetti - foto Riccardo Gallini<br />
Corso d’Augusto 126, <strong>Rimini</strong>. Elegante<br />
e rassicurante, è il palazzo<br />
in cui è situato lo studio degli architetti<br />
Cumo, Mori, Roversi. Silvia<br />
Cumo è figlia di Giulio, indimenticato<br />
geometra-pittore dei primi<br />
del secolo scorso che, per primo in<br />
famiglia, unì il suo lavoro all’arte.<br />
Si iscrisse all’ordine dei geometri<br />
dal 1930, fondò poi lo studio,<br />
al quale nel 1967 parteciparono<br />
la figlia Silvia, insieme al marito<br />
Massimo Mori, entrambi architetti.<br />
Come è stato per un giovane nato,<br />
vissuto, e laureato a Firenze, iniziare<br />
il lavoro a <strong>Rimini</strong>?<br />
“Il padre di Silvia era splendido - risponde<br />
Massimo Mori - e ci lasciava<br />
Costruire | Studio Cumo-Mori-Roversi<br />
Tradizione e innovazione<br />
alla base dell’Architettura<br />
molto spazio. Era molto conosciuto,<br />
e i clienti non lo ‘sganciavano’<br />
mai! Difficile proporre cose nuove:<br />
le figure tecniche dell’epoca erano<br />
il geometra o l’ingegnere, l’architetto<br />
era considerato un arredatore.<br />
La prima opera significativa<br />
fu “il Prisma”, commissionato nel<br />
1980 da tre fratelli di Santarcangelo,<br />
Alvaro, Aldo e Raffaello Biagetti.<br />
Purtroppo ci rendemmo subito<br />
conto che non sarebbe stato possibile<br />
continuare per quella strada: i<br />
clienti non erano pronti a recepire<br />
quel tipo di architettura.<br />
Tranne che per alcune banche<br />
l’esperienza è stata irripetibile.<br />
Ci dedicammo quindi al restauro<br />
IN Magazine | 57