GUASTALLA CITTA' DELLE CHIESE - Aicod
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Su un territorio certamente non molto esteso sono state edificate qualcosa come più di quaranta tra chiese ed<br />
oratori.<br />
Pare evidente che si possa da ciò riscontrare la presenza di una diffusa religiosità, ma anche di una<br />
distribuzione della popolazione davvero polverizzata tra centro e campagne. Oltre all’abitato principale, una<br />
volta cinto da mura, si possono contare otto centri popolati, corrispondenti alle odierne frazioni o a ben<br />
precisi quartieri, in qualche modo territorialmente delimitabili anche a prescindere dai teorici confini<br />
amministrativi. Si tratta di agglomerati ben diversi tra loro ma che hanno lo stesso comune denominatore:<br />
l’esigenza di raccogliere una presenza umana distribuita in modo non centralizzato, bensì molto dispersa<br />
nelle campagne. Da qui la funzione di un centro aggregatore per ogni frazione, che in modo fisico era<br />
sempre rappresentato dalla localizzazione di un tempio religioso cui convergere nei giorni di festa o durante<br />
ricorrenze particolari, non sempre religiose.<br />
S. Giorgio, S. Martino, S. Rocco, S. Girolamo, S. Giacomo, Solarolo, Pieve, Baccanello rappresentano<br />
quindi l’esigenza di un riferimento unitario per gente abituata al silenzio dei campi ed alla monotonia di una<br />
vita sociale altrimenti relegata al rapporto con gli abitanti della casa colonica più vicina o poco più. Antidoto<br />
quindi contro il senso d’isolamento che la vita agricola comportava e che la povertà dei mezzi di trasporto<br />
accentuava, ma anche momento di ricerca di contatto umano e del comune sentimento religioso.<br />
L’innalzamento del campanile deve quindi essere letto in un’ottica di rafforzamento del sentimento di<br />
gruppo e di comunità.<br />
Per il centro l’idea di erigere nuovi templi rispondeva a esigenze diverse. Con il crescere dell’importanza del<br />
nucleo cittadino, a partire dal ‘500 venne maturando l’esigenza di ospitare famiglie religiose che con la loro<br />
presenza avrebbero, di fatto, elevato l’immagine della città nei confronti dei vicini potentati e di Mantova in<br />
particolare. L’esigenza di ogni buona contea e ancor più, dal 1622, di ogni buon ducato era quella di poter<br />
palesare tutti gli elementi del fasto. Tra questi certamente l’aspetto urbano, i palazzi, le chiese e i conventi.<br />
Non più quindi piccolo borgo rurale, ma capitale di uno stato sovrano.<br />
Gli stessi ordini monastici che occuparono o costruirono conventi in Guastalla rappresentano la gran parte di<br />
quelli presenti in territori di ampiezza assolutamente maggiore ed in città grandi e popolose.<br />
Francescani, Cappuccini, Teatini, Servi di Maria e Gesuiti, Agostiniane, Cappuccine e Mantellate si<br />
adunarono in Guastalla, con alterna fortuna, chi per pochi anni, chi per secoli seguendo gli uffici religiosi<br />
dettati dalle proprie regole e lasciando in ogni caso un profondo segno nella vita della comunità.<br />
Entrando nel merito, si può certo affermare che il motivo di quest’espansione di architetture ecclesiastiche<br />
fu un “mix” di fattori concomitanti.<br />
Da un lato il profondo sentimento religioso che animò alcuni dei principali esponenti di casa Gonzaga, la<br />
loro volontà di tenersi ben vicini i figli, fossero essi stati destinati a divenire frati o suore, da un altro lato la<br />
vicinanza a S.Carlo Borromeo e l’aderenza ai suoi dettami religiosi, da un altro lato ancora l’esistenza di<br />
varie comunità rurali riunite sotto campanili distanti tra loro e gelose della propria autonomia nel culto di<br />
Dio.<br />
Nel nascere del XVI secolo ben pochi sono i luoghi deputati agli uffici religiosi presenti in questa terra, con<br />
netta predominanza numerica delle chiese poste nel territorio al di fuori della città. E’ dalla fine del suddetto<br />
secolo, ma soprattutto dal successivo che vediamo Guastalla trasformarsi in cantiere generoso di templi<br />
cristiani. Le campagne risentono del medesimo impulso e concorrono a quell’impeto edificatorio che porterà<br />
a quel fenomeno che qualcuno ha voluto denominare come “seicento guastallese”. Fu un’epoca d’oro in<br />
realtà iniziata già con Cesare I Gonzaga, grande collezionista di opere d’arte e mecenate e proseguita col<br />
figlio Ferrante II, amante delle arti anch’esso e architetto per passione che ha lasciato due suoi lavori alla<br />
città: la chiesa dei Teatini (non più esistente) e quella di S. Francesco.<br />
Nello scrivere questo libro sono emersi tali e tanti argomenti degni di notevole interesse che però, se<br />
sviluppati, avrebbero snaturato la natura del lavoro nel suo complesso. Tuttavia sarebbe auspicabile che,<br />
dalla lettura di queste pagine, nascesse l’idea di affrontare lo studio del rapporto tra la città e la campagna,<br />
della vita religiosa a Guastalla nei secoli, con particolare riguardo verso le figure storiche dei Gonzaga, di S.<br />
Carlo Borromeo, di Lodovica Torello, dei religiosi come Lorenzo da Zibello (di cui qualche vecchio ancora<br />
ricorda il nome come “Beàt Lurèns”). Il culto mariano nella nostra città, il significato delle visite pastorali,<br />
la vita delle confraternite, ma anche la biografia dei due grandi storici locali, il Benamati e l’Affò, sarebbero<br />
spunti di sicuro valore.<br />
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