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Tito Perlini - Walter Benjamin 0.2

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essere più crudele, ha messo in luce tutte le contraddizioni insite in tale posizione e la sua<br />

fondamentale fragilità. Il politicismo di <strong>Benjamin</strong>, del resto, negli ultimi dieci anni della sua<br />

vita, è diventato via via sempre più astrattamente volontaristico e disperato.<br />

Il politicismo di <strong>Benjamin</strong> rappresentava uno dei due poli congelati, agli antipodi del<br />

quale si trovava la sua inclinazione teologica. Incapace di un superamento dialettico,<br />

<strong>Benjamin</strong> è rimasto imprigionato nella contraddittorietà e il suo pensiero ha continuato ad<br />

essere avvolto nell'ambiguità. Tale ambiguità è visibile nel modo benjaminiano d'intendere<br />

l'arte e la tecnica ed è ravvisabile anche nel suo atteggiamento verso Brecht. Si pensi al<br />

commento delle poesie di questi, a proposito del quale Ivernel ha giustamente osservato<br />

che esso è profondamente ironico, pur nel suo apparente impegno apologetico, verso<br />

Brecht. Usando, infatti, la forma del commentario, che di per sé non può non appoggiarsi<br />

ad un'autorità e trar forza dalla sfera del sacro, <strong>Benjamin</strong> ha fatto ricorso proprio a quella<br />

tradizione di cui il lirismo critico brechtiano voleva essere la totale demolizione.<br />

Riaffermando ciò che Brecht nega, proprio nel momento in cui sembra celebrare l'apologia<br />

di costui, <strong>Benjamin</strong> in effetti ci fornisce una lucida ed ironica confutazione<br />

dell'«illuminismo» brechtiano. Ivernel nota acutamente come l'apologia finisca per rivelarsi<br />

parodia quando <strong>Benjamin</strong>, volendo privilegiare Brecht, lo presenta nelle vesti di un<br />

classico, di un autore consacrato, immettendolo in una tradizione di cui Brecht stesso<br />

avrebbe voluto essere il distruttore.<br />

La politicizzazione dell'arte si rivela sempre più come un grosso equivoco e come<br />

una via da non percorrere assolutamente. Le ragioni portate a tale proposito, sia pur sulla<br />

base di diversissime ed anzi opposte impostazioni di pensiero e con sviluppi divergenti, sia<br />

da Lukács sia da Adorno ci sembrano assolutamente inconfutabili. L'engagement si sta<br />

dimostrando sempre più, con tutte le sue pretese di demistificazione, una grossa<br />

mistificazione. L'imbalsamazione del teatro di Brecht, il suo ingresso trionfale nel Museo e<br />

l'involuzione crescente del brechtismo che ha trovato il suo ultimo sbocco nei polpettoni<br />

documentari pseudo-politici di quel mediocre epigono che è Peter Weiss, dimostrano<br />

chiaramente l'equivocità di una tale via. E l'engagement certamente non ha raggiunto esiti<br />

migliori in altri filoni di arte politicizzata, non potendosi certamente definire un risultato<br />

persuasivo i melodrammi ideologici di Sartre, capaci solo di rammodernare alla meglio<br />

Victor Hugo con l'adozione di motivi ricavati dal giornalismo.

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