Tito Perlini - Walter Benjamin 0.2
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pazienza, la freddezza capace di fare, senza timori e tremori, i conti con la realtà data per<br />
trasformarla.<br />
Non per niente <strong>Benjamin</strong> è stato un grande saggista. In lui, come nel giovane<br />
Lukács, l'arte del saggio si poneva come sfera intermedia ambigua tra poesia e<br />
filosofia. Nella poesia era celata quella verità che il saggista doveva esplicitare e<br />
portare alla luce. Come per i suoi amati romantici, per <strong>Benjamin</strong> la poesia era la sede<br />
dell'Assoluto, era la vera filosofia racchiusa in simboli esoterici di cui i l saggista<br />
doveva essere l'esegeta. Attraverso il saggista la parola doveva rivelarsi, la verità<br />
rendersi evidente, la filosofia implicita nella poesia manifestarsi e articolarsi<br />
liberamente. Nel saggista il linguaggio poetico (sede della verità) doveva riflettere su se<br />
stesso, parlare di se stesso, porsi a se stesso come oggetto da rivelare pienamente. La<br />
delusione atroce provata alla vista della degradazione della poesia, messa in opera<br />
dalla razionalità basata sul calcolo vigente nella società capitalistica, e della sua<br />
mercificazione, è stata per <strong>Benjamin</strong> una ferita dalla quale non è stato capace di<br />
guarire. L'odio per la degradazione e massificazione dell'arte s'è rovesciato in lui in<br />
fiducia in tale processo degenerativo, quando gli è sembrato che, rinunciando a sé e<br />
riducendosi a strumento efficace di comunicazione, l'arte potesse politicamente<br />
contribuire a far esplodere le contraddizioni sotterranee di quella realtà alienata ed<br />
alienante che l'aveva radicalmente messa in crisi. Di fronte ad una realtà che smentiva<br />
le sue speranze, <strong>Benjamin</strong> ha voluto mantener fede all'utopia, fino in fondo, fino al<br />
rischio dell'accecamento, a costo di privilegiare una realtà che non lo meritava per<br />
volerci scorgere quei segni di speranza che essa non conteneva affatto. L'amore per<br />
l'immediatezza imprigiona <strong>Benjamin</strong> in un tragico insuperabile dualismo. Da un lato egli<br />
mira ad affermare assolutisticamente l'utopia a scapito della realtà, facendo divergere i<br />
due poli fino al punto della massima reciproca lontananza; dall'altro, nel tentativo di<br />
riempire in qualche modo l'abisso che s'è venuto a creare fra utopia e realtà, si<br />
industria, con disperata ostinazione, a far coincidere le tendenze oggettive di questa<br />
col senso di quella, non accorgendosi di trasformarsi, in tal modo, paradossalmente,<br />
per odio verso l'alienazione, in un apologeta di questa. La sintesi, resa impossibile<br />
dall'inesorabile divergere dei due poli contrapposti, viene così sostituita da quel<br />
surrogato di essa che è la mescolanza di due opposti destinati a restar tali.<br />
Il saggismo di <strong>Benjamin</strong> ha il grande merito di aver sottratto il pensiero alla<br />
trappola del sistema chiuso di nozioni che sancisce come totalità inconfutabile la realtà<br />
data. L'attenzione strenua al particolare, colto nella sua irriducibile singolarità,