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Tito Perlini - Walter Benjamin 0.2

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guglielmino, <strong>Benjamin</strong> ravvisa nell'avvento della tecnica la garanzia di liberazione dai<br />

ceppi feudali e dalle vecchie bardature precapitalistiche cui a torto crede il capitalismo sia<br />

ineluttabilmente legato. Gli sfugge che, proprio per rammodernarsi e razionalizzarsi, il<br />

capitalismo non può non indursi a liquidare, esso stesso, i residui feudali, che impacciano<br />

la società, e i vecchi privilegi. La polemica contro l'estetismo va a vantaggio della volgarità<br />

nella quale l'appiattimento capitalistico tende ad immergere l'intera società. Ha scritto<br />

opportunamente, a questo proposito, Cesare Cases: «Nell'Opera d'arte c'è... quella<br />

sostanziale indistinzione tra l’anti-individualismo della nuova fase illiberale e<br />

monopolistica del capitalismo e l’anti-individualismo comunista che si riscontra anche<br />

nel Brecht dei tardi anni venti, o per meglio dire la constatazione di un fenomeno da cui<br />

sia capitalismo che comunismo potevano trarre vantaggio, ma che sarebbe stato per<br />

natura più consono al secondo che al primo».<br />

La concezione acritica della neutralità strumentale della tecnica acceca<br />

<strong>Benjamin</strong> e lo rende incapace di comprendere che la tecnica è segnata fin dal suo<br />

sorgere dal marchio del dominio e che essa reca in sé l'impronta della logica<br />

capitalistica. <strong>Benjamin</strong> e Brecht sono prigionieri di un'impostazione nella quale la<br />

critica della tecnica si mostra incapace di risolversi in critica dell'economia. Sfugge<br />

loro che affidandosi alla tecnica e alla massificazione da essa prodotta il socialismo,<br />

prima o poi, è destinato a risolversi in una forma di tecnocrazia rientrante pienamente<br />

nella logica tardo-capitalistica. La fiducia dimostrata da Brecht nel 1927, quando<br />

salutava con gioia la scomparsa del vecchio tipo d'uomo e si cullava nell'illusione che<br />

l'ipotetico «uomo nuovo» da lui auspicato sarebbe stato in grado di modificare le<br />

macchine a proprio vantaggio, invece di subirne il dominio, non poteva ricevere una più<br />

clamorosa ed umiliante smentita dalla storia. L'ottimismo di Brecht ha confutato se<br />

stesso, illudendosi di aver trovato la propria realizzazione politica non nella civiltà neo-<br />

umanistica a sfondo scientifico da lui un tempo sognata, ma nell'apparato repressivo<br />

della burocrazia staliniana e nelle tendenze revisionistiche e cripto-capitalistiche che ad<br />

esso sono seguite. L'anti-intellettualismo ostentato di Brecht, il suo mimare burbanzose<br />

pose plebee, il suo giocare a fare il rozzo popolano che sa dire pane al pane e spregia<br />

e deride le molli raffinatezze, la sua risata denigratoria al cospetto di ciò che ancora<br />

tendeva a mantenere un legame col passato, hanno trovato attuazione e conferma nel<br />

nichilismo del tardo capitalismo che tutto svaluta e deprezza perché tutto riduce a<br />

merce. Le tendenze che Brecht ha esaltato si sono rivelate, prima o poi, alleate a ciò<br />

che egli pure diceva di avversare. I suoi inni alla cultura di massa, alle macchine,

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