Tito Perlini - Walter Benjamin 0.2
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forte influsso, oltre che della mistica giudaica, di tradizioni di pensiero neo-platoniche. Il<br />
punto estremo della speranza è per <strong>Benjamin</strong> il ritorno delle cose a se stesse, nella loro<br />
irriducibile ed irripetibile singolarità. È per questo che egli tale singolarità rispetta e venera.<br />
Perciò tende a privilegiare l'immediatezza e a considerare l'esercizio della mediazione<br />
quasi come un atto di profanazione. Il sacro è indissolubilmente legato alla singolarità e<br />
all'immediatezza. Nel difendere la singolarità degli esistenti, la loro unicità, dalle pretese<br />
universali del concetto è ravvisabile il pathos, l'inconfondibile timbro della meditazione, in<br />
fondo essenzialmente teologica, di <strong>Benjamin</strong>. Egli è in sostanza un pensatore di impronta<br />
religiosa che ha cercato il riscatto nella sfera della prassi politica. Il suo gusto micrologico-<br />
filologico, come proiezione di uno strenuo amore per la singolarità degli esistenti, lo<br />
rendeva fondamentalmente estraneo all'esercizio rettamente inteso della dialettica, la<br />
quale è o sforzo di totalizzazione o a rigore non è. La totalità in <strong>Benjamin</strong> tende<br />
inesorabilmente a prospettarsi in termini di trascendenza. Hegel e Marx gli sono rimasti in<br />
fondo sempre estranei, anche se per un certo periodo sembra aver meditato sugli scritti<br />
giovanili del primo e se nell'ultimo quindicennio della sua vita s'è sforzato onestamente,<br />
con tutte le sue forze intellettuali, di diventare un marxista.<br />
Saggismo e filosofia<br />
Ciò che ossessiona <strong>Benjamin</strong> è il soffocamento della concretezza del vivente<br />
sotto la crosta di un'astrattezza consolidata che le si è sovrapposta. Egli aspira a<br />
svegliare i dormienti, a liberarli dalla caverna, prigionieri della quale sono in preda ad<br />
allucinazioni e a vacui deliri. Il capitalismo rappresenta per lui il funereo dominio di<br />
apparenze feticizzate che si sono insediate al posto dell'essenza conculcata ed<br />
occultata. Bisogna riconquistare i nomi delle cose o meglio far sì che le cose<br />
riconquistino il proprio nome, tornando a congiungersi alla propria essenza nascosta e<br />
dimenticata, cioè a se stesse. <strong>Benjamin</strong> instancabilmente, tastando amorosamente i<br />
particolari, cerca di riattivare nelle cose ciò che in loro palpita sotterraneamente,<br />
impedito a manifestarsi, affinché esse possano lasciar liberamente sgorgare da sé il<br />
proprio senso intimo capace di rivelarle per quel che veramente sono.<br />
L'astrazione filosofica gli sembra tradire la povera immediatezza dei singoli<br />
esistenti, nei quali si celano i tesori più preziosi che non bisogna rinunciare a riportare<br />
alla luce. La mediazione si mostra a <strong>Benjamin</strong> come rinuncia all'immediatezza e suo<br />
sacrificio nel pensiero; la totalità gli sembra miri ad affermarsi a scapito delle parti;<br />
l'universale egli teme possa risolvere in sé e dissolvere il particolare privandolo della