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Tito Perlini - Walter Benjamin 0.2

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miseria e può evitare così di mitizzare se stessa e di feticizzare un'autonomia che vale,<br />

non in sé, ma come reazione all'appiattimento messo in atto spietatamente dalla<br />

reificazione universale. È ciò che Adorno è venuto, negli ultimi vent'anni, lucidamente<br />

sostenendo sia contro i fautori del famigerato realismo socialista (al cui idolo anche<br />

Lukács s'è indotto, degradandosi, a render omaggio) sia contro la genia degli epigoni<br />

brechtiani che, nel ridurre l'arte a strumento didattico agitatorio, non si sono accorti di<br />

fornire un non disprezzabile aiuto a quella industria culturale, dalla quale invece l'arte deve<br />

oggi con tutte le sue forze mirare a distinguersi e a contrapporsi. Non Brecht, ma Kafka e<br />

Beckett sono gli autori che, nell'attuale momento, conviene porre come modello.<br />

È sintomatico che <strong>Benjamin</strong> venga oggi contrapposto, come più «moderno» ed<br />

avanzato, ad Adorno proprio dai fautori di un formalismo estetico reificato che si pone<br />

come l'equivalente del potere tecnologico. Il recente intervento del «Times Litterary<br />

Supplement» esaltante <strong>Benjamin</strong> come una sorta di antesignano dello strutturalismo,<br />

impegnato a por le basi di una nuova teoria del linguaggio, nella quale linguistica e<br />

sociologia tendono a saldarsi insieme in un metodo funzionale di indagine delle opere,<br />

è in tal senso estremamente significativo.<br />

Va risolutamente respinta l'idea secondo la quale <strong>Benjamin</strong> sarebbe oggi più<br />

«attuale» di Adorno. La posizione di <strong>Benjamin</strong> non voleva spianare la strada a teorie<br />

formalistiche pseudo-rivoluzionarie (in realtà conservatrici) dell'arte. La posizione di<br />

<strong>Benjamin</strong> era dettata da preoccupazioni essenzialmente politiche, che l'hanno spinto,<br />

per eccesso di generosità, in una strada senza sbocco. In tale tensione sta la sua<br />

dignità ed è ravvisabile ciò per cui la sua posizione – nonostante gli errori anche vistosi<br />

che ha provocato – merita rispetto. <strong>Benjamin</strong>, come tanti altri intellettuali di sinistra, è<br />

stato vittima di una immane tragedia storica, delle cui conseguenze stiamo ancora tutti<br />

pagando il prezzo: del fallimento della rivoluzione tedesca ed europea e della paurosa<br />

involuzione cui è andata soggetta l'esperienza rivoluzionaria sovietica. Altro che<br />

elaborazione di una coerente teoria formalistica, altro che mattoni recati alla<br />

costruzione di una mitologica scienza dell'arte! I «falsi amici» di <strong>Benjamin</strong> non sono<br />

quelli di cui blatera il «Supplement», ma coloro che, prendendo alla lettera e<br />

feticizzando, al di fuori del loro contesto storico, i tormentosi interventi sull'arte e la<br />

tecnica, da lui compiuti in nome di una disperata, tenace speranza nell'ineluttabilità<br />

della rivoluzione, vogliono farne uno scadente precursore della tecnolatria di moda oggi<br />

presso i rappresentanti di un illuminismo da strapazzo.

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