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Donne per l'Europa Atti delle prime tre Giornate per Ursula ... - AperTo

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22<br />

<strong>Donne</strong> europee<br />

stato espulso, dopo essere stato malmenato, nel luglio 1933, <strong>per</strong>ché ebreo e<br />

sospettato di essere marxista. A Torino finì i suoi studi, si specializzò in<br />

psichiatria e in<strong>tre</strong>cciò una corrispondenza e poi una relazione con Giorgina<br />

Levi. Nel corso di questa relazione amorosa, entrambi svilupparono la<br />

consapevolezza della loro appartenenza all’Europa. L’europeità fu anzi<br />

costitutiva del rapporto, innanzitutto grazie alla molteplicità <strong>delle</strong> lingue e<br />

<strong>delle</strong> culture che i due adottarono nelle lettere e nello scambio: non solo<br />

l’italiano e il tedesco, ma anche lo yiddish, l’ebraico, il latino, l’inglese, lo<br />

spagnolo, il francese, e infine il piemontese, di cui Heinz prese lezioni da<br />

Giorgina nei caffè torinesi.<br />

Nel 1938 le leggi razziali costrinsero la coppia a sposarsi <strong>per</strong> poter<br />

emigrare in Bolivia, verso la quale salparono da Genova nel giugno 1939.<br />

La nave fece scalo a Barcellona, di dove Giorgina scrisse ai parenti di<br />

Torino: «Resta solo il grande dolore dell’addio alla Patria Europa, che riceve<br />

una degna cornice dall’aspetto di Barcellona» gravemente bombardata,<br />

un’affermazione che colpisce in un momento in cui i nazisti rivendicavano<br />

un’Europa del futuro purgata dagli ebrei. In Bolivia Enzo lavorò come<br />

medico, e Giorgina insegnò in ogni ordine di scuola, dalle elementari (dove<br />

ebbe come allievi i figli dei minatori indios) alle scuole secondarie e infine<br />

all’università. La loro vita fu spesso assai dura, con scarsissime comodità<br />

materiali; rimasero in Bolivia <strong>per</strong> ben sette anni, prima di poter tornare in<br />

Europa.<br />

In quegli anni Giorgina imparò ad apprezzare i vasti paesaggi<br />

dell’America Latina: «In Europa non conosciamo spazi così ampi. Tutto è<br />

grandioso, tutto è imponente, tutto è infinito, molto bello. È un’emozione<br />

nuova», come disse in un’intervista concessa molti anni dopo a Marcella<br />

Filippa. Non solo rifletté sul colonialismo e lo sfruttamento degli indios, ma<br />

riconobbe anche i propri pregiudizi eurocentrici e riuscì a modificarli, come<br />

ricorda a proposito dei «meticci: sbagliavo a vederli dal mio punto di vista<br />

di europea e non mi inserivo nel loro mondo, <strong>per</strong> poter capire atteggiamenti<br />

di menzogna, impuntualità, indolenza». Nelle lettere dell’esilio boliviano<br />

compaiono spesso riferimenti al continente che la coppia è stata cos<strong>tre</strong>tta a<br />

lasciare: «pensiamo più di prima alla bella Europa e a Torino» (2.11.39);<br />

«quando po<strong>tre</strong>mo rivedere noi la nostra cara Europa?» (11.8.41); «quando<br />

torneremo in Europa, quante cose avremo da raccontare!» (4.11.42).

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