07.06.2013 Views

I MALAVOGLIA : il senso del progresso nella prefazione, i valori del ...

I MALAVOGLIA : il senso del progresso nella prefazione, i valori del ...

I MALAVOGLIA : il senso del progresso nella prefazione, i valori del ...

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

I <strong>MALAVOGLIA</strong> : <strong>il</strong> <strong>senso</strong> <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> <strong>nella</strong> <strong>prefazione</strong>, i <strong>valori</strong> <strong>del</strong> capitolo 1, <strong>il</strong> finale problematico.<br />

Nella <strong>prefazione</strong> ai Malavoglia Verga espone la sua concezione <strong>del</strong> <strong>progresso</strong>, ponendo in risalto coloro che vengono sopraffatti<br />

dalla fiumana <strong>del</strong> <strong>progresso</strong>: i vinti. Questo perché Verga stesso risulta un vinto in quanto le sue opere, le opere di un<br />

intellettuale, soggiacciono alle leggi di mercato. Rispetto a Zola ha <strong>il</strong> termine comune <strong>del</strong>la descrizione realistica, ma si distacca<br />

da questi poiché non si ha volontà di denuncia sociale inoltre si ha l’aspirazione all’eclissi <strong>del</strong>l’autore per rappresentare <strong>il</strong> mondo<br />

così com’è. Lo studio di cui si vuole far garante Verga è relativo ai vinti di ciascuna classe sociale, <strong>nella</strong> <strong>prefazione</strong> infatti dice<br />

“Questo è lo studio sincero e spassionato <strong>del</strong> come probab<strong>il</strong>mente devono nascere e sv<strong>il</strong>upparsi nelle più um<strong>il</strong>i condizioni le prime<br />

irrequietudini <strong>del</strong> benessere” .L’attenzione viene quindi rivolta da parte di Verga sul prezzo da pagare per <strong>il</strong> <strong>progresso</strong>, <strong>il</strong> cui<br />

motore nell’ambizione a voler stare meglio, ambizione che varia a seconda <strong>del</strong>le classi sociali in quanto può avere finalità<br />

materiali o di altra natura. Nel primo capitolo dei Malavoglia si ha un residuo di autenticità di <strong>valori</strong>, visti come primitivi,<br />

totalmente assenti <strong>nella</strong> società ut<strong>il</strong>itaristica, arrivista, borghese in cui <strong>il</strong> germe <strong>del</strong>la modernità risiedente <strong>nella</strong> volontà di voler<br />

star meglio al fine di migliorare la propria condizione sociale. I <strong>valori</strong> espressi in questo capitolo sono sotto la forma <strong>del</strong><br />

proverbio, <strong>il</strong> primo che si trova è riferito all’elemento positivo <strong>del</strong>la famiglia come valore di base in cui si ha ricerca di totale<br />

coesione “Padron ‘Ntoni soleva dire, mostrando <strong>il</strong> pugno chiuso, un pugno che sembrava fatto di legno di noce -­‐ Per menare <strong>il</strong><br />

remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro. Diceva pure – Gli uomini son fatti come le dita <strong>del</strong>la mano: <strong>il</strong> dito grosso<br />

deve fare da dito grosso e <strong>il</strong> dito piccolo deve fare da dito piccolo”. Dai proverbi emerge la struttura <strong>del</strong>la famiglia ormai solida in<br />

cui risiede la forza dei Malavoglia. Vengono inoltre posti in evidenza i “motti degli antichi” ben noti a Padron ‘Ntoni, che<br />

costituiscono un nucleo di <strong>valori</strong> permanenti quali:“Perché <strong>il</strong> motto degli antichi mai mentì – Senza p<strong>il</strong>ota la barca non cammina<br />

– Per far da papa bisogna saper far da sagrestano oppure Fa <strong>il</strong> mestiere che sai che se non arricchisci camperai”.<br />

Contravvenendo a quest’ultimo precetto sarà proprio Padron ‘Ntoni a condurre la famiglia verso una graduale disfatta, in<br />

quanto <strong>nella</strong> volontà di questo di diventare commerciante al fine di operare un avanzamento di classe sociale <strong>del</strong>la famiglia<br />

viene contaminato dalla mentalità <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> e così cede <strong>il</strong> baluardo, <strong>il</strong> centro nevralgico <strong>del</strong>la struttura fam<strong>il</strong>iare che verrà<br />

così condotta al degrado. Nell’ultimo capitolo dei Malavoglia viene presentato un finale problematico poiché alla riconquista<br />

<strong>del</strong>la casa <strong>del</strong> Nespolo viene controbattuto l’abbandono <strong>del</strong> paese da parte di ‘Ntoni. In virtù di questo finale vengono date<br />

diverse interpretazioni la prima è quella offerta da Luigi Russo secondo cui si coglie una particolare religione <strong>del</strong>la famiglia e <strong>del</strong><br />

lavoro, si ha quindi un finale positivo. Nella seconda interpretazione individuata da Barbari Squarotti si ha finale negativo perché<br />

ormai si ha passaggio ad un nuovo mondo, che costituisce un passaggio irrecuperab<strong>il</strong>e infatti la casa viene riconquistata, ma la<br />

famiglia è ormai dispersa; Padron ‘Ntoni perde la sua validità poiché muore in una casa di riposo senza più forze, mentre ‘Ntoni<br />

si sente limitato <strong>nella</strong> realtà <strong>del</strong> paese in cui non si può realizzare. Ultima interpretazione è quella <strong>del</strong> Luperini secondo cui la<br />

bramosia <strong>del</strong>l’avere ha preso <strong>il</strong> soppravvento per cui si ha opposizione fra <strong>il</strong> mondo arcaico che vive in un tempo ciclico e<br />

ripetitivo in contrasto con la figura di ‘Ntoni che con questo mondo ha ormai chiuso giungendo inevitab<strong>il</strong>mente ad una<br />

condizione di isolamento ed es<strong>il</strong>io per aver valicato i limiti <strong>del</strong> mondo arcaico, ottenendone in cambio solitudine che è la<br />

conseguenza <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> in quella specifica realtà. Il tentativo di mutare la propria condizione è come un tradimento che si<br />

paga con la perdita <strong>del</strong>l’innocenza; <strong>il</strong> ritorno al passato e agli antichi <strong>valori</strong> ideali non è più possib<strong>il</strong>e per cui ‘Ntoni è assim<strong>il</strong>ab<strong>il</strong>e<br />

al mare che come lui non ha paese.<br />

ANALISI SOCIOLIGICA E VARIANTISTICA DI ‘ROSSO MALPELO’<br />

Dal punto di vista sociologico la realtà che Verga analizza in “Rosso Malpelo” è la società borghese <strong>del</strong> meridione, afflitto dai<br />

problemi <strong>del</strong> brigantaggio e <strong>del</strong>l’arretratezza rispetto al Nord dopo l’Unità d’Italia.<br />

In questa novella si nota come, intorno al 1880, l’autore sia influenzato dalle idee di alcuni esponenti <strong>del</strong> gruppo <strong>del</strong>la Destra<br />

Storica. Nella rappresentazione infatti Verga attinge informazioni da due famose inchieste sul meridione: “Lettere meridionali”<br />

nel 1875 di Pasquale V<strong>il</strong>lari, <strong>il</strong> quale attribuisce la colpa <strong>del</strong>l’arretratezza <strong>del</strong> Sud all’incapacità <strong>del</strong>le istituzioni politiche e “La<br />

Sic<strong>il</strong>ia nel 1876 “ ad opera di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, docenti all’Università di Pisa e direttori <strong>del</strong>la rivista<br />

“L’<strong>il</strong>lustrazione italiana”, alla quale Verga aveva collaborato durante <strong>il</strong> suo soggiorno fiorentino, i quali denunciano inoltre la<br />

corruzione <strong>del</strong>la classe dominante, lo sfruttamento dei “carusi” e identificano <strong>il</strong> problema fondamentale <strong>del</strong> meridione <strong>nella</strong><br />

struttura latifondista <strong>del</strong>l’economia.<br />

Temi propri <strong>del</strong>la cosiddetta “Questione Meridionale” che si trovano in Rosso Malpelo, ma che già erano stati affrontati dalle<br />

suddette inchieste sono: la denuncia <strong>del</strong>la classe dominante, l’ambientazione <strong>del</strong>la novella in una cava di sabbia che ricorda <strong>il</strong><br />

capitolo “Il lavoro dei fanciulli nelle zolfare sic<strong>il</strong>iane” scritto da Franchetti e Sonnino ed infine la denuncia <strong>del</strong>lo sfruttamento dei<br />

bambini e ragazzi dagli 8 ai 18 anni con orari di lavoro insopportab<strong>il</strong>i ed ingiuste retribuzioni per <strong>il</strong> lavoro nelle cave.


Un altro elemento che lega <strong>il</strong> Verga alla fazione <strong>del</strong>la Destra Storica è la seconda pubblicazione di Rosso Malpelo, su una rivista<br />

vicina a questo schieramento politico.<br />

La novella viene prima pubblicata nell’agosto <strong>del</strong> 1878 in quattro puntate sul quotidiano romano”Fanfulla ”; a febbraio <strong>del</strong> 1880<br />

sempre sul romano “Patto di fratellanza”, rivista curata da una Società Operaie di Mutuo Soccorso vicina alla Destra Storica e<br />

diffusa presso gli ambienti operai; a fine 1880 è inserita <strong>nella</strong> raccolta “Vita dei campi” ed infine è ripubblicata nel 1897.<br />

L’edizione <strong>del</strong> 1880 rende chiaro come Verga in questo periodo si trovi vicino alle posizioni <strong>del</strong>la Destra Storica, ma soprattutto<br />

rivolga la sua opera ad un pubblico di operai e borghesi. Questo tentativo <strong>del</strong>lo scrittore sic<strong>il</strong>iano sarà però un fallimento poiché<br />

di Rosso Malpelo saranno acquistate pochissime copie.<br />

Nella novella <strong>del</strong> 1878-­‐80 lo spirito moderato-­‐riformista di Verga emerge dalla descrizione critica <strong>del</strong>l’ingegnere che è più colpito<br />

e interessato a seguire gli sv<strong>il</strong>uppi <strong>del</strong>la rappresentazione teatrale <strong>del</strong>la morte di Ofelia, un personaggio <strong>del</strong>l’Amleto, rispetto a<br />

quella di Mastro Misciu, morto per guadagnare soldi lavorando a cottimo <strong>nella</strong> cava. La critica nei confronti <strong>del</strong>la borghesia<br />

rappresentata dalla figura <strong>del</strong>l’ingegnere si fa aspra, tramite la tempistica <strong>del</strong>l’azione; passano infatti sei ore dal momento in cui<br />

apprende <strong>del</strong>la disgrazia di Mastro Misciu a quando poi giunge alla cava.<br />

Nell’edizione <strong>del</strong> 1897 invece la posizione <strong>del</strong> Verga subisce una variazione e con essa alcune parti <strong>del</strong>la novella. Lo scrittore<br />

catanese non vede più un lieve riscatto per i vinti dalla società e la sua visione muta in un cupo pessimismo.<br />

Il cambiamento si nota <strong>nella</strong> descrizione <strong>del</strong>l’ingegnere e nel comportamento tenuto da Rosso Malpelo dopo la morte <strong>del</strong> padre.<br />

Nel primo passo la critica si fa meno aspra, infatti <strong>il</strong> tempo che impiega a raggiungere la cava è dimezzato e la scena è curata<br />

meno nei dettagli, dando in questo modo meno importanza al comportamento vergognoso <strong>del</strong>l’ingegnere.<br />

Nel secondo si passa da un uso di toni compassionevoli e patetici proprio <strong>del</strong>l’edizione <strong>del</strong> 1878-­‐80 a toni distaccati e generali in<br />

quella <strong>del</strong> 1897 che fanno apparire come normale scena di vita quotidiana la vicenda <strong>del</strong> ragazzo.<br />

Em<strong>il</strong>io Praga:<br />

“La strada ferrata”<br />

Il tema <strong>del</strong> TRENO e <strong>del</strong> PROGRESSO<br />

E' un'intellettuale appartenente alla Scapigliatura per questo una <strong>del</strong>le tematiche più interessanti da lui affrontate è quella <strong>del</strong><br />

<strong>progresso</strong> in quanto questo è vissuto da tale gruppo di artisti in maniera ambivalente. Il <strong>progresso</strong> ed <strong>il</strong> positivismo, benché<br />

siano osteggiati dagli scapigliati, sono infatti <strong>il</strong> sostrato culturale su cui essi operano e grazie al quale si sv<strong>il</strong>uppa la loro<br />

immaginazione, sono la fonte <strong>del</strong>la loro ispirazione. Gli scapigliati, dunque, non sono intellettuali che negano <strong>il</strong> <strong>progresso</strong>: lo<br />

vivono in prima persona, anche se in maniera lacerante e dicotomica.<br />

E questo scaturisce evidente nel testo di Praga “La strada ferrata”. Il <strong>progresso</strong>, nel testo, è simboleggiato dal treno che è<br />

descritto a sua volta come un uragano, quindi come una forza prorompente e impetuosa. Praga si sofferma poi <strong>nella</strong> descrizione<br />

<strong>del</strong>le sensazioni, dei punti di vista e dei pensieri che la povera gente di campagna ha nei confronti di questo stesso <strong>progresso</strong>-­‐<br />

dalla descrizione di queste persone scaturisce inoltre la <strong>del</strong>usione scapigliata verso lo Stato unitario che non è stato in grado di<br />

migliorare le loro condizioni di vita arrivando addirittura a peggiorarle (“Che diran gli infelici cui preme la tremenda miseria <strong>del</strong><br />

pane?E cui nulla concede <strong>il</strong> diman, <strong>nella</strong> vita, che affanni e sudor?”)-­‐Questa povera gente,dunque, da una parte vive <strong>il</strong> <strong>progresso</strong><br />

con ammirazione e stupore in quanto la forza <strong>del</strong> treno è pensab<strong>il</strong>e solo come risultato di grande ingegno e ricchezza<br />

(“Veh!Coll'ora si fabbrica l'ale!Veh, se i ricchi le sanno pensar!); ma dall'altra questa se ne sente violentata perchè esso è sentito<br />

come qualcosa di innaturale in quanto porta l'inquinamento e la distruzione <strong>del</strong>la natura. Ciò scaturisce in Praga attraverso<br />

l'effetto <strong>del</strong> fumo <strong>del</strong> treno sulla campagna e sul raccolto (“Sì,che è fumo,e ai vigneti fatale:la campagna di un soffio letale può<br />

colpir tutta vasta quant'è”). Il poeta non assume però un atteggiamento di derisione sprezzante verso queste manifestazioni di<br />

ignoranza: lui vuole infatti investirsi di una funzione pedagogica verso i contadini spiegando loro che <strong>il</strong> treno:


1. Rappresenta <strong>il</strong> <strong>progresso</strong><br />

2. Affratella le genti (“Questo fischio fugace gira <strong>il</strong> mondo e affratella a le genti”)<br />

3. Porta la pace (“Esso è l'arca novella di pace,che i futuri destini rinserra, non più stragi di popoli in guerra”)<br />

4. E' la liberazione dalla schiavitù <strong>del</strong> lavoro (“Non più schiavi di avaro lavor”)<br />

Il messaggio di <strong>progresso</strong> <strong>del</strong> poeta contiene inoltre un'utopia interclassista in quanto ricchi e poveri si daranno la mano<br />

nell'innalzare l'edificio <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> ( “Cultore e artigiano stesa ai ricchi la nob<strong>il</strong>e mani insiem l'almo edificio alzeran”). Praga<br />

ritiene importantissima questa missione di propaganda alle plebi contadine perchè avrà tra i suoi effetti quello di portare<br />

all'emancipazione <strong>del</strong>la “madri indifese” che saranno protette dalla legge.<br />

Ma a questo punto emerge l'ambivalenza <strong>del</strong> poeta di fronte al <strong>progresso</strong> e all'industria perchè propagandarli è un obolo che<br />

egli deve pagare, un dovere che deve compiere in nome di un ideale<br />

progressista astrattamente professato e in obbedienza ai miti correnti <strong>del</strong>la sua età:l'inno alla società moderna è l'unico mezzo<br />

perchè <strong>il</strong> poeta non ne sia lasciato ai margini e non sia cancellato dal <strong>progresso</strong> in quanto negli anni successivi l'Unità d'Italia gli<br />

intellettuali hanno perso <strong>il</strong> loro ruolo primario di uomini impegnati in politica come lo erano nel periodo Risorgimentale. Il<br />

positivismo ed <strong>il</strong> <strong>progresso</strong> hanno infatti creato nuovi <strong>valori</strong>, quelli <strong>del</strong>le leggi di mercato e <strong>del</strong> denaro così che anche l'opera<br />

d'arte è diventata un oggetto da commercializzare e che si sv<strong>il</strong>uppa in linea alle leggi <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong>l'offerta. Quindi <strong>il</strong><br />

poeta non è più <strong>il</strong> vate <strong>del</strong>la società, l'intellettuale portatore di <strong>valori</strong> e di ideali, ma un uomo per <strong>il</strong> quale la scrittura è diventata<br />

un lavoro da dover fare per vivere. Nel testo si legge infatti: “Ma poi pagato l'obolo”.<br />

Il poeta dentro di sé risulta quindi lacerato perchè <strong>il</strong> suo cuore è altrove rispetto al <strong>progresso</strong>: affiora irresistib<strong>il</strong>mente la<br />

nostalgia <strong>del</strong>le bellezze naturali e artistiche <strong>del</strong> passato che la macchina sta distruggendo. E' scomparsa la figura <strong>del</strong>l'intellettuale<br />

umanista perchè non c'è più posto <strong>nella</strong> realtà per <strong>il</strong> bello disinteressato in quanto l'unico valore è l'economicità e la<br />

produttività. Il mondo moderno è solo bruttezza e squallore e ciò significa negare la vita stessa perchè <strong>il</strong> <strong>progresso</strong> distrugge<br />

anche tradizioni e costumi livellando indifferenziatamente tutti gli uomini. La bruttezza e lo squallore non sono rappresentati<br />

solo però come simbolo di realismo, ma anche per polemizzare contro <strong>il</strong> mondo borghese perbenista che pred<strong>il</strong>ige i canoni<br />

accademici di equ<strong>il</strong>ibrio e bellezza. I letterati scapigliati al fondo hanno quindi paura <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> perche sentono che esso nega<br />

la loro stessa esistenza, se ne ritraggono inorriditi,fuggendo verso <strong>il</strong> passato,sede di <strong>valori</strong> che sono divenuti impossib<strong>il</strong>i, e verso<br />

la natura incontaminata. Scomparsa la bellezza è scomparsa la poesia e quindi a questi poeti non resta che cantare la “fisica<br />

applicata”, cioè adattarsi al prosaico ut<strong>il</strong>itarismo dominante. Questo è <strong>il</strong> motivo per cui nel testo <strong>il</strong> poeta si scusa con la Musa: lui<br />

non può più fare poesia aulica come si legge in “O musa mia perdonami se ti ho cosrtetta a far da moralista....La mission<br />

sacrosanta o musa è questa...Musa!E noi pingerem carta bollata e cantrem la fisica applicata” .<br />

La contraddizione lacerante dei poeti scapigliati è data quindi da una parte dall'adesione forzata ai miti ufficiali <strong>del</strong>la società<br />

presente, e dall'altra dal rifugio nei miti passatisti. E questo emerge nel testo anche sul piano metrico: la parte celebrativa e<br />

propagandistica <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> è infatti in decas<strong>il</strong>labi-­‐verso caro alla poesia civ<strong>il</strong>e <strong>del</strong> Romanticismo-­‐; la parte in cui si esprime<br />

l'ambivalenza verso <strong>il</strong> presente e la nostalgia verso <strong>il</strong> passato è invece in un metro bizzarro e irregolare, più personale.<br />

Giusue Carducci:<br />

” Inno a Satana” e “Alla stazione in una mattina d'Autunno”<br />

Affonda le proprie radici <strong>nella</strong> crisi storica <strong>del</strong>l'Italia postunitaria a cui lui reagisce però, anzi che con la drammatizzazione<br />

scapigliata o con <strong>il</strong> realismo verista, con <strong>il</strong> tentativo di colmare questo vuoto di <strong>valori</strong>, erigendosi a poeta-­‐vate <strong>del</strong>la società. Lui si<br />

è assunto <strong>il</strong> ruolo <strong>del</strong> restauratore ufficiale <strong>del</strong>la cultura classicista, <strong>del</strong> rifondatore <strong>del</strong>le perdute tradizioni patrie, richiamandosi<br />

al patrimonio risorgimentale e dando alimento alle nostalgie di grandezza <strong>del</strong>l'Italia. Cantando <strong>il</strong> passato mitico e luminoso che<br />

rende orgogliosi gli Italiani <strong>del</strong>la loro origine, Carducci cerca cioè di stimolarli a più degne e grandi imprese. Per questo lui si<br />

definisce l'alfiere dei classici.<br />

Ma nonostante questo anche in lui <strong>il</strong> tema <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> appare presentato in maniera ambivalente come emerge chiaramente<br />

dal confronto tra “Inno a Satana” e “Alla stazione in una mattina d'Autunno”.<br />

Il primo dei due brani appartiene alla fase giovan<strong>il</strong>e <strong>del</strong>la produzione <strong>del</strong> Carducci, fase interessata da un indirizzo giacobino e<br />

anticlericale. Nel testo Satana non rappresenta una nuova divinità ma <strong>il</strong> <strong>progresso</strong> e questo perchè qui Carducci analizza questo<br />

tema a partire dalla definizione che la Chiesa ufficiale ne dava in quegli anni. Con <strong>il</strong> S<strong>il</strong>labo <strong>del</strong> 1864, infatti, Papa Pio IX aveva<br />

condannato ogni aspetto <strong>del</strong>la modernità come prodotto di Satana. Così Carducci, fortemente anticlericale nei suoi anni


giovan<strong>il</strong>i, adotta questa definizione ma rovesciandone polemicamente <strong>il</strong> significato. E qui dunque <strong>il</strong> poeta celebra Satana assunto<br />

in positivo come simbolo <strong>del</strong>le gioie terrene, <strong>del</strong>le bellezze naturali e artistiche, <strong>del</strong>la libertà di pensiero, <strong>del</strong>la ribellione ad ogni<br />

forma di dogma e dispotismo, <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> <strong>del</strong>la scienza. Si legge infatti nel testo: “Satana, re <strong>del</strong> convito”, “gitta i tuoi<br />

vincoli,uman pensier, Satana ha vinto”, “Passa benefico di loco in loco”. Questa concezione è contrapposta da Carducci a quella<br />

<strong>del</strong> Cristianesimo che negava la libertà, <strong>il</strong> <strong>progresso</strong>,mortificava la ragione con <strong>il</strong> dogmatismo e la gioia di vivere con l'ascesi. Nel<br />

testo <strong>il</strong> poeta mostra dunque come Satana trionfasse nel mondo pagano, come sia stato scacciato dal cristianesimo, tenuto in<br />

vita dagli eretici ed ora come abbia con <strong>il</strong> <strong>progresso</strong> di nuovo trionfato. Ed <strong>il</strong> trionfo <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> è simboleggiato nel testo dalla<br />

locomotiva, motivo molto caro alla retorica <strong>del</strong> tempo (“L'irrefrenab<strong>il</strong>e carro). Il <strong>progresso</strong> in questa fase <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> poeta è<br />

visto quindi come qualcosa di decisamente positivo e ciò risulta ancora più evidente analizzando la grammatica cromatica <strong>del</strong><br />

testo. Motivo fondamentale <strong>del</strong>la poetica carducciana, infatti, è quello <strong>del</strong> contrasto tra luce e buio,tra calore e gelo, opposizioni<br />

che rappresentano la dicotomia tra vita e morte. La vita, sentita pienamente dal poeta, è identificata con <strong>il</strong> sole,invece la morte ,<br />

affrontata energicamente, con <strong>il</strong> buio. Così <strong>il</strong> fatto che nel teso analizzato <strong>il</strong> treno sia accompagnato da aggettivi e sintagmi<br />

connessi a colori caldi e luminosi dimostra ancor più la visione positiva che <strong>il</strong> tale momento <strong>il</strong> Carducci aveva <strong>del</strong> <strong>progresso</strong>. Si<br />

legge infatti:”Corrusco e fumido come i vulcani..L'infrenab<strong>il</strong>e carro <strong>del</strong> fuoco”.<br />

In “Alla stazione in una mattina d'Autunno”, invece, la prospettiva è totalmente cambiata. L'opera è <strong>del</strong> 1876 e <strong>il</strong> Carducci ora è<br />

diventato gradualmente f<strong>il</strong>omonarchico, f<strong>il</strong>oclericale e crispino. Adesso <strong>il</strong> poeta non esalta più la modernità in tutti i suoi<br />

elementi positivi, ma bensì ne presenta l'altra faccia, quella <strong>del</strong>l'alienazione <strong>del</strong>l'individuo <strong>nella</strong> società borghese, <strong>del</strong>la perdita<br />

d'identità <strong>del</strong>l'uomo moderno che si muove come un'automa tra macchine e ingranaggi, le persone sono come larve prive di<br />

personalità come fossero anime traghettate da un moderno Caronte (“Questa ravvolta e tacita gente? A che ignoti dolori e<br />

tormenti di speme lontana”, “I vig<strong>il</strong>i com'ombre”). Il <strong>progresso</strong> rimane anche in questo testo simboleggiato dal treno (“Fischia la<br />

vaporiera da presso”, “Carri”, “Convoglio”,ecc) ma cambia la connotazione <strong>del</strong>la simbologia: <strong>il</strong> treno è qui simbolo <strong>del</strong>la<br />

modernità ma nei suoi aspetti negativi. Il treno è anche qui poi rappresentato come un mostro, ma invece di essere come nel<br />

testo precedente un “bello e orrib<strong>il</strong>e mostro..la forza vindice..” cioè un mostro ma in quanto potenza benefica,qui risulta essere<br />

un mostro che “sbuffa,crolla,ansa”, “un empio mostro”. Ora la modernità ha ucciso la bellezza, tutto è stato ridotto a banalità, <strong>il</strong><br />

treno è diventato un simbolo inquietante perchè la modernità è arrivata tanto rapidamente da distruggere i <strong>valori</strong> tradizionali. E<br />

questo prende forza dal fatto che le figure sono presentate come pallide e quindi risultino spiritualizzate e collocate così in una<br />

dimensione di oltretomba, in una dimensione spettrale che si fonde con quella <strong>del</strong>l'Inferno dantesco che <strong>il</strong> testo recupera<br />

(“bianca faccia”, “candida fronte”, “pallor roseo”). Il fatto che nel testo <strong>il</strong> <strong>progresso</strong> sia visto negativamente prende poi forza<br />

dalla grammatica cromatica in quanto al treno sono accostati aggettivi e sintagmi scuri,bui (“La luce nel fango”-­‐quindi la luce dei<br />

fanali si annulla nel fango-­‐, “plumbeo <strong>il</strong> cielo”, “i carri foschi”., “nero convoglio”, “fioca lanterna, lugubre rintocco”, “immane pe'l<br />

buio”,”scompar <strong>nella</strong> tenebra”, “per tutto nel mondo è novembre”) mentre i toni chiare luminosi sono relegati al momento <strong>del</strong><br />

ricordo,<strong>del</strong>le gioie passate e ormai perdute (“La bianca faccia”, “pallor roseo”, “fremea l'estate”, “giovine sole di giugno”, “baciar<br />

luminoso”, “sole”).<br />

Dal confronto tra i due testi, soprattutto grazie al motivo <strong>del</strong>la grammatica cromatica,e dalla lettura di “San Martino”, emerge<br />

così che la vera indole <strong>del</strong> Carducci non sia quella di essere l'alfiere dei classici, ma bensì quella Romantica. Il poeta sente<br />

romanticamente l'urgere di oscure inquietudini e angosce, che si incentrano intorno alla sua ossessione <strong>del</strong>la morte, e per<br />

scacciarla evoca, come in una sorta di esorcismo, immagini solari, ma <strong>il</strong> tentativo risulta vano e l'angoscia <strong>del</strong>la morte trionfa.<br />

Quindi l'ispirazione classica risulta essere solo un tentativo vano di esorcizzare <strong>il</strong> suo dissidio interiore ed è possib<strong>il</strong>e supporre<br />

che tale classicismo sia presente in lui forse solo perchè era un professore universitario.<br />

Verga<br />

e <strong>il</strong> <strong>progresso</strong><br />

Esponente <strong>del</strong> Verismo italiano, non nega l'esistenza <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> <strong>nella</strong> società ma non ha verso di esso la fiducia dei<br />

Naturalisti francesi, né la fede <strong>nella</strong> possib<strong>il</strong>ità di un miglioramento <strong>del</strong>la società dovute nei francesi all'adesione alla corrente<br />

f<strong>il</strong>osofica <strong>del</strong> Positivismo. Come scaturisce evidente nelle “Prefazione ai Malavoglia”, <strong>il</strong> Verga non critica l'idea di <strong>progresso</strong> in sé<br />

che, anzi, condivide e considera come un cammino fatale e necessario, riconoscendo che <strong>nella</strong> società l'uomo è teso alla ricerca<br />

<strong>del</strong> meglio, dalle elementari esigenze di “ricerca <strong>del</strong> benessere” fino “alle più elevate ambizioni” in un “movimento incessante”<br />

che porta alla “conquista <strong>del</strong> <strong>progresso</strong>”. Il Verga ritiene che <strong>il</strong> <strong>progresso</strong>, visto da lontano e lento e inesorab<strong>il</strong>e, sia un'ottima<br />

cosa; però lui non ne condivide l'ottimismo che gli si è costruito intorno: lui ne dà per contro un giudizio polemico e negativo in<br />

quanto ne analizza <strong>il</strong> lato oscuro, cioè quello che riguarda i suoi danni e le sue vittime. Il poeta costata che la ricerca <strong>del</strong>


enessere ha rivoluzionato ogni ordine di <strong>valori</strong> lungo tutta la scala sociale. Neppure la campagna ne è rimasta esente: <strong>il</strong> suo<br />

patrimonio di saggezza arcaica e di <strong>valori</strong> ideali è stato messo irrimediab<strong>il</strong>mente in crisi dai nuovi imperativi <strong>del</strong> guadagno, <strong>del</strong>la<br />

roba, <strong>del</strong> potere ed è così scaturita una convivenza feroce fondata sulla sopraffazione, su gerarchie determinate dal potere <strong>del</strong><br />

denaro, norma a cui sottostanno anche gli affetti.<br />

I protagonisti <strong>del</strong>le novelle <strong>del</strong>le raccolte “Vita dei campi” e “I Malavoglia” risultano così essere eroi rimasti ancorati agli antichi<br />

<strong>valori</strong>, ormai isolati nel contesto sociale e destinati alla sconfitta. I protagonisti <strong>del</strong>le opere <strong>del</strong> Verga risultano dunque essere i<br />

Vinti <strong>del</strong>la società, cioè tutti coloro che <strong>il</strong> <strong>progresso</strong> ha sconfitto, a qualsiasi livello sociale. E di questa volontà è emblema la<br />

raccolta, mai terminata, de “ Il ciclo dei vinti”. Questa volontà, <strong>del</strong> resto, è l'inevitab<strong>il</strong>e motivo che <strong>il</strong> poeta può cantare in quanto<br />

è egli stesso un vinto,in quanto le leggi di mercato hanno fatto si che le opere d'arte venissero mercificate e che l'intellettuale<br />

perdesse <strong>il</strong> suo ruolo di primo piano nelle società in quanto non più poeta-­‐vate portatore di ideali. Quelle che <strong>il</strong> Verga<br />

rappresenta sono quindi le conseguenze negative <strong>del</strong> <strong>progresso</strong>, che risultano essere l'avidità, l'egoismo, le passioni meschine,<br />

una lotta spietata in cui i deboli soccombono. Ciò emerge fortemente <strong>nella</strong> novella “La roba” dove la smania di ricchezza e di<br />

potere <strong>del</strong> protagonista lo portano ad una sconfitta sul piano umano data dall'aridità interiore, dalla perdita di umanità,<br />

dall'impossib<strong>il</strong>ità di vivere autentici rapporti personali e affetti sinceri.<br />

Alla base di queste idee <strong>del</strong> Verga è necessario ricordare:<br />

1. Il materialismo naturalista <strong>del</strong>l'accademia catanese da lui frequentata per tutta la vita<br />

2. Gli studi <strong>del</strong> francese Bernard relativi al metodo sperimentale, la cui applicazione successivamente i naturalisti avevano<br />

allargato a tutti gli aspetti <strong>del</strong>la società<br />

3. Il determinismo sociale di Taine che riteneva che <strong>il</strong> comportamento umano dipendesse necessariamente <strong>del</strong>la<br />

compenetrazione tra tre fattori: ambiente, razza, momento storico. Bernard e Taine hanno portato così al materialismo<br />

sociale<br />

4. Le teorie evoluzionistiche di Darwin che hanno portato al darwinismo sociale causa in Verga <strong>del</strong> fatalismo e <strong>del</strong>la<br />

rassegnazione: la selezione naturale è inesorab<strong>il</strong>e e permette la sopravvivenza dei solo elementi più forti. Tale pensiero<br />

si radicalizza poi <strong>nella</strong> convinzione che le leggi di natura siano come le leggi <strong>del</strong>la società e quindi ad esempio le tasse<br />

non diventano una colpa di chi le mette ma una sventura come se ci fosse stato un temporale. Per questo <strong>il</strong> poeta ha la<br />

convinzione che le rivoluzioni non possano avvenire, siano una mistificazione e siano inut<strong>il</strong>i: in natura, infatti, non ci<br />

sono rivoluzioni.<br />

5. Ma <strong>il</strong> pessimismo <strong>del</strong> Verga scaturisce, oltre che dal Darwinismo sociale, anche dall'influenza che la corrente f<strong>il</strong>osofica<br />

<strong>del</strong> Positivismo ha avuto sul poeta. I Positivisti, infatti, da una parte hanno sì un elemento ottimistico dato dalla fiducia<br />

<strong>nella</strong> scienza che avrebbe avviato un'evoluzione <strong>del</strong>la specie più rapida e incisiva, quindi più adatta a far sì che l'uomo si<br />

adattasse meglio all'ambiente. Però gli stessi prospettavano anche un periodo in cui la forza avrebbe dominato sul<br />

diritto, la legge <strong>del</strong> più forte avrebbe dominato sulle leggi civ<strong>il</strong>i. Quindi , come si legge in De Sanctis, quando i positivisti<br />

esortavano ad essere realisti intendevano dire che era necessario imparare a vivere in un'epoca in cui la forza prevale<br />

sul diritto. E Verga è convinto che i positivisti abbiano ragione, quindi che sia necessario diventare integralmente<br />

pessimisti: <strong>il</strong> suo sforzo è quello di cancellare ogni traccia romantica dentro di sé e per far questo è necessario eliminare<br />

ogni traccia di ottimismo e criticare ogni ideologia, anche quella positivista.<br />

Il pensiero <strong>del</strong> poeta relativamente al <strong>progresso</strong> risulta essere quindi legato strettamente al suo pessimismo.<br />

Le correnti f<strong>il</strong>osofiche e culturali<br />

La cultura europea <strong>del</strong> secolo Ottocento è dominata dalla corrente f<strong>il</strong>osofica <strong>del</strong> Positivismo, nata in Francia già <strong>nella</strong> prima metà<br />

<strong>del</strong> secolo ,che si contraddistingue per l’esaltazione <strong>del</strong> positivo( ovvero tutto ciò che è reale,effettivo; in opposizione al<br />

metafisico e astratto) e la celebrazione <strong>del</strong>la scienza. Le idee-­‐guida <strong>del</strong> Positivismo mantengono <strong>il</strong> primato politico e culturale<br />

<strong>del</strong>la borghesia, classe sociale consapevole di essere la protagonista in un processo storico dettato dall’interazione tra scienza e


lavoro umano. Tra i maggiori esponenti <strong>del</strong>la corrente, emerge la figura <strong>del</strong> f<strong>il</strong>osofo Auguste Compte che considera la scienza<br />

come guida <strong>del</strong>la storia e <strong>del</strong>la civ<strong>il</strong>tà. L’ idea fondante <strong>del</strong> suo sistema consiste nel prendere atto dei successi <strong>del</strong>la scienza e<br />

nell’assumerla a mo<strong>del</strong>lo per qualsiasi altra conoscenza. Egli afferma che non c’è altra ragione valida, se non quella <strong>del</strong>la scienza.<br />

I capisaldi <strong>del</strong> Positivismo sono:<br />

1) la fiducia incondizionata <strong>nella</strong> scienza, vista come unica possib<strong>il</strong>e conoscenza esatta nel mondo;<br />

2) l’efficacia <strong>del</strong> metodo sperimentale, applicab<strong>il</strong>e non solo ai fenomeni naturali, ma anche ai fatti storici,sociali e<br />

psicologici,perché permette di studiare razionalmente i rapporti di causa-­‐effetto che li determinano per poi giungere alla<br />

formulazione di leggi e meccanismi e quindi spiegarne i risultati che ne conseguono;<br />

3) la fede nel <strong>progresso</strong> economico e sociale.<br />

Nell’ottica positivista, la vita interiore e spirituale <strong>del</strong>l’uomo risponde ad un principio deterministico ovvero le stesse attività<br />

spirituali <strong>del</strong>l’uomo sono determinate da fattori fisici esterni, sono <strong>il</strong> prodotto necessario di forze materiali, secondo un rapporto<br />

meccanicistico di causa-­‐effetto. Il più importante esponente è Hyppolite Taine. Egli afferma che <strong>il</strong> comportamento <strong>del</strong>l’uomo è<br />

determinato da tre fattori: <strong>il</strong> m<strong>il</strong>ieu ovvero l’ambiente in cui agisce; la race ovvero la razza a cui appartiene e infine <strong>il</strong> moment<br />

ovvero <strong>il</strong> momento storico in cui vive. Le teorie di Taine troveranno applicazione in campo letterario nell’opera dei naturalisti<br />

francesi,che ne derivano che lo scrittore debba comportarsi nei confronti dei suoi personaggi e <strong>del</strong>la loro psicologia come uno<br />

scienziato,rigorosamente obiettivo e imparziale nell’osservare e descrivere un fenomeno naturale.<br />

A rinforzare l’ideologia di Taine vi è quella <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>l’evoluzione prima intrapresa da Lamarck e dopo da Darwin.<br />

Il darwinismo rappresenta una svolta epocale,perché liquida l’immagine statica <strong>del</strong>la natura e suscita una riflessione profonda<br />

sulla posizione <strong>del</strong>l’uomo nel mondo. Risulta scandaloso perché:<br />

1) ridimensiona l’intervento divino <strong>nella</strong> creazione e individua come leggi <strong>del</strong>la natura la lotta per la vita e la selezione naturale;<br />

2)indica che l’uomo deriva da esseri inferiori e ha antenati comuni con le scimmie.<br />

ROSSO MALPELO: tecniche narrative: impersonalità, narratore popolare, meccanismo <strong>del</strong>la regressione, st<strong>il</strong>e mimetico-­‐<br />

parlato, discorso indiretto libero<br />

Tecnica <strong>del</strong>l’impersonalità<br />

Con Verga viene superata la funzione guida <strong>del</strong>lo scrittore all’interno <strong>del</strong>la società , adesso <strong>il</strong> suo compito è quello di osservare<br />

disincantatamene le cose come sono per poterle ritrarle in maniera oggettiva. È come se l’autore si nascondesse dietro le quinte in<br />

modo che tutto risulti impersonale e pienamente autonomo dalla sua persona. Nella <strong>prefazione</strong> de “L’amante di Gramigna” Verga<br />

spiega l’ut<strong>il</strong>izzo <strong>del</strong>l’impersonalità <strong>del</strong>l’opera: egli infatti dice che adottando questa tecnica tutto sarà così perfetto e realistico che<br />

l’opera sembrerà “fatta da sé” , come se fosse nata spontaneamente dalla natura.


Narratore popolare<br />

Prima <strong>del</strong> Verga le principali tipologie narrative erano state quelle <strong>del</strong> narratore interno soggettivo, dove <strong>il</strong> narratore coincide con un<br />

personaggio <strong>del</strong>la vicenda, e quella <strong>del</strong> narratore onnisciente (come nei promessi sposi) in cui <strong>il</strong> narratore è come un Dio che ha creato<br />

l’ambiente <strong>del</strong>la narrazione ed è <strong>il</strong> regista che guida <strong>il</strong> lettore.<br />

Verga invece preferisce la figura <strong>del</strong> narratore popolare <strong>il</strong> quale appartiene al solito piano sociale dei personaggi descritti e ne<br />

condivide le credenze e i pensieri.<br />

Anche la lingua cambia in quanto assume la connotazione locale, con toni e costrutti ripresi dal parlato.<br />

Secondo Verga questa tipologia è quella che rende meglio l’<strong>il</strong>lusione <strong>del</strong> reale, poiché è come se i personaggi si raccontassero da sé<br />

senza passare dall’intervento <strong>del</strong> narratore, e di conseguenza sta al lettore individuare la morale.<br />

Nella novella di Rosso Malpelo possiamo notare le caratteristiche <strong>del</strong> narratore popolare <strong>nella</strong> presentazione <strong>del</strong> protagonista in cui la<br />

voce narrante ha gli stessi pregiudizi e la stessa credenza popolare che accosta ai capelli rossi un carattere malvagio. Queste<br />

caratteristiche si possono riscontrare anche quando Malpelo mostra i suoi sentimenti nei confronti <strong>del</strong> padre e di Ranocchio, i quali<br />

vengono visti come un raffinamento di malvagità; oppure si possono individuare anche nel fatto che non viene mai nominato <strong>il</strong> vero<br />

nome <strong>del</strong> protagonista.<br />

Meccanismo <strong>del</strong>la regressione<br />

Per regressione si intende <strong>il</strong> ritorno a stati d’animo risalenti a un periodo meno maturo <strong>del</strong>la propria vita.<br />

In Rosso Malpelo questo meccanismo lo si può riscontrare nel finale, quando <strong>il</strong> protagonista entra dentro la grotta <strong>del</strong>la miniera e non<br />

ne fa più ritorno.<br />

Questa regressione simboleggia <strong>il</strong> ritorno all’utero materno. Infatti la miniera era per Rosso Malpelo una sorta di madre in quanto ci<br />

aveva passato la maggior parte <strong>del</strong>la sua vita, in più aveva questo sentimento nei confronti <strong>del</strong>la miniera anche perché i rapporti con la<br />

sua vera madre non erano dei migliori.<br />

Ma la regressione la si può riscontrare anche ne “L’amante di Gramigna”, poiché nell’impersonalità l’autore si estranea dalla narrazione<br />

e sparisce, affidando <strong>il</strong> ruolo di raccontare la vicenda a una voce interna, quella <strong>del</strong> narratore popolare. Così facendo l’autore<br />

regredisce dal mondo che lui stesso va a rappresentare<br />

St<strong>il</strong>e mimetico-­‐parlato<br />

Ut<strong>il</strong>izzando <strong>il</strong> narratore popolare, l’autore è costretto a lasciare alle spalle la lingua letteraria per favorire uno st<strong>il</strong>e più realistico che<br />

imiti quello parlato nell’ambiente descritto.<br />

Un esempio è quello che spesso, all’inizio di un nuovo capoverso, si riprendono parole che sono state usate per concludere <strong>il</strong> capoverso<br />

precedente.<br />

Inoltre <strong>il</strong> vocabolario ut<strong>il</strong>izzato dal narratore è quello proprio <strong>del</strong> popolo ed adotta esclamazioni enfatiche, o modi di dire proverbiali<br />

derivati dalla propria esperienza.<br />

Discorso indiretto libero<br />

Il discorso indiretto libero, già ut<strong>il</strong>izzato da Flaubert e Manzoni, è un elemento caratterizzato dallo st<strong>il</strong>e di Verga. Questo artificio<br />

letterario è una via di mezzo tra <strong>il</strong> discorso diretto e quello indiretto , consiste <strong>nella</strong> parafrasi di un discorso fatto da un protagonista in<br />

terza persona, rimanendo fe<strong>del</strong>e alle espressioni usate dal protagonista stesso. Un esempio in Rosso Malpelo può essere : “gliela<br />

dessero a lui sul capo la zappa”. L’ indiretto libero crea un ambiguità tra ciò che dice <strong>il</strong> narratore e ciò che pensa <strong>il</strong> personaggio<br />

descritto. Dunque questo movimenta <strong>il</strong> racconto e lo arricchisce.


Nella novella presa in considerazione l’indiretto libero viene usato per <strong>il</strong>lustrar <strong>il</strong> punto di vista di Malpelo nel racconto, <strong>il</strong> quale esprime<br />

i suoi sentimenti e i suoi sogni( come quando parla dei lavori che avrebbe preferito fare). Ma anche i commenti di disprezzo dei<br />

minatori nei confronti di mastro Misciu sono espressi con questa forma.<br />

DIVISIONE IN SEQUENZE ROSSO MALPELO<br />

1° Sequenza (Descrizione fisiognomica): A causa <strong>del</strong>la capigliatura rossa, simbolo popolare di cattiveria e maliziosità, viene<br />

chiamato col nomignolo Malpelo. Presentato come un monello, così isolato da diventare quasi selvatico come un’animale<br />

(“un can rognoso”)è costantemente picchiato (“lo accarezzavano coi piedi”) e sfruttato (“si lasciava caricare meglio<br />

<strong>del</strong>l’asino grigio”). Conserva <strong>il</strong> posto <strong>nella</strong> cava di rena rossa perché <strong>il</strong> padre era morto sul lavoro.<br />

2°Sequenza(Morte <strong>del</strong> padre) :Il padre di Malpelo, detto Misciu Bestia perché svolgeva i lavori peggiori (“l’asino da basto”),<br />

aveva preso a cottimo un lavoro pericoloso <strong>nella</strong> cava (“un magro affare”)e svolgendolo una grande quantità di rena era<br />

crollata e l’aveva sommerso. Chiamato l’ingegnere che dirigeva i lavori (che si trovava a teatro) e arrivati sul posto, i<br />

minatori avevano constatato che ci sarebbero volute settimane per sgombrare la zona e se ne andarono(“l’ingegnere se ne<br />

tornò a veder seppellire Ofelia”). Alcuni si accorsero di Malpelo che scavava <strong>nella</strong> terra a mani nude (“le unghie gli si erano<br />

strappate”) stravolto,tanto che “dovettero tirarlo via a viva forza”.<br />

3°Sequenza(Atteggiamento dopo la morte) :Dopo la morte <strong>del</strong> padre Malpelo ritorna alla cava accompagnato dalla madre,<br />

più triste (“non mangiava quasi”) e più cattivo (“pareva che gli fosse entrato <strong>il</strong> diavolo in corpo”), non soltanto con l’asino<br />

grigio (“sopportava tutto lo sfogo <strong>del</strong>la cattiveria di Malpelo”),ma anche nei confronti degli altri ragazzi (“era addirittura<br />

cru<strong>del</strong>e”).<br />

4°Sequenza(Rapporto con Ranocchio) :Stringe un legame ambiguo con un nuovo ragazzo, soprannominato Ranocchio per <strong>il</strong><br />

suo arrancare (“sembrava ballasse la tarantella”) dopo caduta che, fratturandogli <strong>il</strong> femore,gli aveva impedito di continuare<br />

a fare <strong>il</strong> manovale. Malpelo gli trasmette insegnamenti di vita attraverso proverbi (“L’asino va picchiato perché non può<br />

picchiar lui”) e con un comportamento duro (“lo tormentava in cento modi”). Malpelo <strong>nella</strong> cava viene picchiato e vive in<br />

condizioni disumane (“colle braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro”).<br />

5°Sequenza(Rapporto con i fam<strong>il</strong>iari):Ritorna a casa solo <strong>il</strong> sabato sera per portare la paga,sporco e malmesso;la<br />

sorella,spaventata dall’impatto che può avere sul suo fidanzato lo scaccia e la madre si trova sempre da una vicina. La<br />

domenica non va a messa,ma evita gli altri ragazzi (“le beffe e le sassate non gli piacevano”) e vaga per gli orti da solo.<br />

L’ambiente <strong>del</strong>la cava è quello che più gli si adatta (“sembrava fatto apposta per quel mestiere”).<br />

6°Sequenza(Volontà di Malpelo) :Per Malpelo la cava è un “intricato labirinto di gallerie”.Fin da bambino aveva conosciuto<br />

“quel buco nero” grazie al padre e proprio perché quello era <strong>il</strong> mestiere <strong>del</strong> genitore,anche lui era nato per quel lavoro. In<br />

realtà avrebbe voluto “fare <strong>il</strong> manovale e lavorare cantando sui ponti”,oppure <strong>il</strong> carrettiere o <strong>il</strong> contadino “che passa la vita<br />

fra i campi,in mezzo al verde”.<br />

7°Sequenza(Ritrovamento <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong> padre) :Viene ritrovata una scarpa di Mastro Misciu e <strong>il</strong> ragazzo con “la paura di<br />

veder comparire anche <strong>il</strong> piede nudo <strong>del</strong> babbo” va a lavorare in un altro punto <strong>del</strong>la galleria. Qualche giorno dopo viene<br />

rinvenuta la salma e i minatori scoprono che l’uomo “aveva le mani lacerate e le unghie rotte”,segno che non era morto<br />

subito. Il cadavere viene tolto dalla cava (“al modo istesso che lo sbarazzava dalla rena caduta”)e i vestiti adattati dalla<br />

madre a Malpelo.<br />

8°Sequenza(Rapporto con gli oggetti <strong>del</strong> padre) :Malpelo instaura un rapporto particolare con gli oggetti <strong>del</strong> padre: liscia i<br />

calzoni di fustagno “dolci e lisci come le mani <strong>del</strong> babbo”; tiene le scarpe lucidate appese a un chiodo. Ut<strong>il</strong>izza la zappa e <strong>il</strong><br />

piccone,”quantunque fossero troppo pesanti per l’età sua” e non vuole venderli.<br />

9°Sequenza(Morte <strong>del</strong>l’asino grigio):Muore l’asino grigio e Malpelo porta Ranocchio a vedere <strong>il</strong> cadavere <strong>nella</strong> sciara dove<br />

era stato buttato; l’asino non soffre più anche se i cani ne spolpano le carni e “se ne ride dei colpi”dei minatori. Per <strong>il</strong><br />

ragazzo “se non fosse mai nato sarebbe stato meglio”.


10°Sequenza(Confronto con Ranocchio):Malpelo si confronta con Ranocchio;<strong>il</strong> primo,in quanto minatore, preferisce <strong>il</strong> buio<br />

e critica la paura <strong>del</strong> secondo per i pipistrelli,legata al lavoro all’aperto di manovale.Inoltre si scontrano la visione religiosa<br />

di Ranocchio(“lassù c’era <strong>il</strong> paradiso,dove vanno a stare i morti”) e quella atea di Malpelo.<br />

11°Sequenza(Morte di Ranocchio): Ranocchio si ammala;Malpelo “rubò dei soldi dalla paga per comperargli <strong>del</strong> vino e <strong>del</strong>la<br />

minestra” e lo aiuta nei momenti in cui sputa sangue e è colto dalla febbre. Al momento che <strong>il</strong> ragazzo non viene più a<br />

lavorare lo va a trovare ed è stupito <strong>del</strong>la disperazione <strong>del</strong>la madre per un figlio che “da due mesi non guadagnava<br />

nemmeno quel che si mangiava”. Muore Ranocchio.<br />

12°Sequenza(Episodio <strong>del</strong>l’evaso): Arriva <strong>nella</strong> cava un evaso che incuriosisce Malpelo e che dopo poco tempo “dichiarò<br />

chiaro e tondo che era stanco di quella vitaccia da talpa” ,preferendo ritornare in prigione. Un minatore prevede per<br />

Malpelo che <strong>nella</strong> cava “ci lascerai le ossa”.<br />

13°Sequenza(Scomparsa di Malpelo): Viene deciso di esplorare un passaggio che avrebbe velocizzato <strong>il</strong> lavoro,ma la cui<br />

perlustrazione era pericolosa,tanto che “nessun padre di famiglia voleva avventurarvisi”. Malpelo si offre volontario,rimasto<br />

solo dopo i matrimoni <strong>del</strong>la madre e <strong>del</strong>la sorella e <strong>il</strong> loro trasferimento in altre città(“ s’ei non aveva riguardo alcuno,gli<br />

altri non ne avevano certamente per lui”). Perciò “prese gli arnesi di suo padre…e se ne andò:né più si seppe nulla di lui”.<br />

Malpelo diventerà una leggenda <strong>del</strong>la cava.<br />

INTERPRETAZIONE SIMBOLICO PSICANALITICA DI ROSSO MALPELO<br />

L’interpretazione simbolico-­‐psicanalitica di Rosso Malpelo si articola in vari punti<br />

fondamentali, primo fra tutti <strong>il</strong> comportamento di Malpelo che subisce un’evidente<br />

evoluzione nel corso <strong>del</strong>la novella. Inizialmente <strong>il</strong> protagonista è vittima di un forte<br />

straniamento rispetto al resto <strong>del</strong>la collettività, r<strong>il</strong>evato dalla figura <strong>del</strong> narratore popolare<br />

che appunto esprime <strong>il</strong> punto di vista <strong>del</strong>la comunità nel raccontare la vicenda. In seguito si<br />

riconosce <strong>il</strong> coinvolgimento diretto <strong>del</strong> protagonista i cui pensieri sono espressi con <strong>il</strong> discorso<br />

diretto (“Anche con me fanno così!..ei non faceva così!") che diventa un mezzo fondamentale<br />

per comprendere l’evolversi <strong>del</strong> pensiero di Malpelo. Questo parte dall’affermazione<br />

<strong>del</strong>l’ideologia materialistica, che prevede la concezione <strong>del</strong>la vita ridotta a lotta per la<br />

sopravvivenza (riscontrab<strong>il</strong>e nel comportamento di Malpelo nei confronti di Ranocchio; <strong>il</strong><br />

primo cerca di educarlo alla sopravvivenza attraverso la aggressività) e che giustifica l’uso<br />

<strong>del</strong>la violenza, che è percepita, oltre che necessaria per la sopravvivenza, efficiente come<br />

metodo per farsi rispettare (“se ti accade di dar <strong>del</strong>le busse, procura di darle più forte che<br />

puoi: così gli alti ne avranno conto, e ne avrai tanti di meno addosso”). Man mano che <strong>il</strong><br />

rapporto con Ranocchio si rafforza, Malpelo sembra diventare sempre più consapevole <strong>del</strong>la<br />

sua condizione e si volge sempre di più a figura d’intellettuale fino a sv<strong>il</strong>uppare una chiara<br />

concezione <strong>del</strong>la morte, percepita come unica alternativa <strong>del</strong>l’uomo nei confronti <strong>del</strong>la<br />

sofferenza <strong>del</strong>la vita (“ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio”). La f<strong>il</strong>osofia di<br />

Malpelo raggiunge l’apice alla fine <strong>del</strong>la novella, quando egli approda a una visione atea e<br />

antireligiosa <strong>del</strong>la vita (Malpelo contraddice la convinzione di Ranocchio <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong><br />

paradiso). E’ da sottolineare che l’evoluzione <strong>del</strong> protagonista è causata in primis dalla<br />

volontà di razionalizzare la sua esclusione affettiva e sociale. Il rapporto con <strong>il</strong> padre è un altro<br />

punto fondamentale di quest’interpretazione e anch’esso subisce una trasformazione; <strong>il</strong><br />

legame tra i due è ottimo fino alla morte <strong>del</strong> padre che accresce in Malpelo <strong>senso</strong> di colpa<br />

giacché lui, contrariamente a mastro Misciu, riesce a salvarsi. Il <strong>senso</strong> di colpa viene digerito<br />

in seguito con la rielaborazione <strong>del</strong> lutto riscontrab<strong>il</strong>e nel rapporto feticista <strong>del</strong> ragazzo con gli<br />

oggetti <strong>del</strong> padre (“Malpelo se li lisciava sulle gambe quei calzoni di fustagno…se ci avesse<br />

lavorato cento e poi cento anni”); la rielaborazione porta all’identificazione <strong>del</strong> primo con<br />

quest’ultimo, un’identificazione non priva di contraddizione. Difatti i due discostano da un<br />

punto di vista ideologico: Malpelo non sopporta la sottomissione <strong>del</strong> padre nei confronti dei<br />

superiori e ciò si riscontra nel suo interesse ad educare Ranocchio affinché possa, seppur<br />

attraverso la violenza, imporsi sugli altri, cosa che Mastro Misciu non aveva intrapreso con lui.<br />

Si evidenzia quindi un rapporto d’identificazione ma al contempo di distacco tra di due


personaggi. Se <strong>il</strong> rapporto col padre risulta essere quello più evidente <strong>nella</strong> novella, non meno<br />

importanti sono i rapporti di Malpelo con altri personaggi, fra cui quello con la madre, con la<br />

sorella e con Ranocchio, che sono stati analizzati da Carlo Muscetta; egli evidenzia come<br />

Malpelo creda <strong>nella</strong> cattiveria <strong>del</strong>la madre visto la sua mancanza d’affetto (l’unico gesto<br />

affettuoso <strong>del</strong>la madre è legato all’interesse per <strong>il</strong> denaro) verso cui nutre <strong>del</strong>usione ma<br />

anche <strong>senso</strong> di colpa che cerca di combattere dandole <strong>il</strong> proprio salario. Con la sorella c’è<br />

invece rapporto di amore-­‐odio combattuto tra la rivalità per l’affetto dei genitori e lo<br />

spiazzamento di fronte al suo interesse per lui che lo portano a sentirsi ancor più solo<br />

quando lei si sposa. Soprattutto nel rapporto con Ranocchio si identifica una sorta di<br />

masochismo morale caratteristico <strong>del</strong> protagonista; egli sembra incapace di non provare<br />

altro che odio verso di sé e questa volontà di sofferenza si trasforma in orgoglio che lo porta<br />

ad accettare <strong>il</strong> ruolo di cattivo che gli viene affibbiato visto che non è in grado di provare altro<br />

che abiezione e sofferenza per la propria persona. Digerisce <strong>il</strong> rapporto con la madre come<br />

fosse conseguenza di una propria scelta, e tramuta in disprezzo per la madre di Ranocchio<br />

l’invidia che in realtà prova per <strong>il</strong> rapporto che c’è tra i due. Ma alla morte di Ranocchio<br />

qualcosa si spezza, perché <strong>il</strong> ragazzo era l’unico su cui aveva riversato quel poco d’amore che<br />

era capace di provare (oltre che per gli oggetti <strong>del</strong> padre) e ciò, aggravato dalla piena<br />

coscienza di Malpelo sia <strong>del</strong>la sua inferiorità sociale (dopo <strong>il</strong> dialogo con l’evaso), sia<br />

<strong>del</strong>l’impossib<strong>il</strong>ità di cambiare la propria condizione, secondo Muscetta, lo porta ad accettare<br />

<strong>il</strong> lavoro, che termina con la sua scomparsa, come volontà di autodistruzione. Sul finale <strong>del</strong>la<br />

novella ci sono varie interpretazioni: la prima considera la scelta di accettare la missione<br />

come sconfitta (morte come unica alternativa alla sofferenza <strong>del</strong>la vita), la seconda sottolinea<br />

l’eroismo <strong>del</strong>la scelta che ha come conseguenza la denuncia e la ribellione nei confronti <strong>del</strong>la<br />

propria condizione, l’ultima ipotizza <strong>il</strong> proposito di rientrare nell’utero materno, in una<br />

situazione di vita pre-­‐natale. Altro punto <strong>del</strong>l’interpretazione simbolico-­‐psicanalitica è <strong>il</strong><br />

meccanismo <strong>del</strong>l’antifrasi, traslazione retorica <strong>del</strong> “Verneinung” Freudiano. Questo consiste<br />

<strong>nella</strong> “negazione”, che Freud interpreta come una forma di rimozione la quale provvede a<br />

eliminare l’emergere di una verità inconscia che la razionalità sente <strong>il</strong> bisogno di negare. La<br />

verità sta quindi in ciò che viene negato in modo risoluto. In Rosso Malpelo l’antifrasi è molto<br />

presente e porta a percepire <strong>il</strong> personaggio di Malpelo come un personaggio buono, seppur<br />

l’autore sembra volerlo passare per una figura <strong>del</strong> tutto negativa (“Malpelo, un mo<strong>nella</strong>ccio<br />

che nessuno avrebbe voluto vedersi davanti”, “Egli era davvero un brutto ceffo, torvo,<br />

ringhioso e selvatico”). La verità che <strong>il</strong> Verga voleva reprimere è stata da molti percepita in<br />

una sorta di masochismo <strong>del</strong>l’autore, al contempo impaurito dal personaggio di Malpelo,<br />

poiché consapevole <strong>del</strong>la sua portata rivoluzionaria da un punto di vista sociale (vicina al<br />

nascente socialismo da cui Verga si distaccava), ma anche attratto dallo stesso, che raffigura<br />

lo spirito romantico <strong>del</strong>la sua età giovan<strong>il</strong>e. Ultimo punto fondamentale di questa<br />

interpretazione è <strong>il</strong> rapporto tra colori e personaggi; i colori principali sono <strong>il</strong> rosso, <strong>il</strong> grigio e<br />

<strong>il</strong> nero. Naturalmente <strong>il</strong> rosso rappresenta <strong>il</strong> personaggio di Malpelo e soprattutto la<br />

trasgressione e la passione che lo caratterizzano, <strong>il</strong> nero raffigura l’oscurità <strong>del</strong>le gallerie <strong>del</strong>la<br />

cava, (nero come anti-­‐morte); infine <strong>il</strong> grigio, <strong>il</strong> non colore per eccellenza rappresentativo <strong>del</strong><br />

nulla, che distingue l’asino (“<strong>il</strong> Grigio”) e anche gli occhi di Malpelo quasi a significare la<br />

medesima condizione di entrambi, alla fine, ossia un’inesistenza sia fisica che spirituale.<br />

Quadro storico-­‐economico <strong>del</strong>l’Europa e <strong>del</strong>l’Italia nel secondo ‘800<br />

Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta <strong>del</strong>l'Ottocento l'Europa fu coinvolta dalla seconda rivoluzione industriale, causata<br />

soprattutto dalle nuove scoperte tecnologiche, e fu quindi protagonista di un periodo di sv<strong>il</strong>uppo economico. Tuttavia a partire<br />

dagli anni settanta <strong>il</strong> mercato non riuscì ad assorbire le enormi produzioni <strong>del</strong>le industrie provocando una sovrapproduzione che<br />

portò alla crisi <strong>del</strong>le aziende. La seconda rivoluzione industriale fu caratterizzata dallo sv<strong>il</strong>uppo dei settori meccanico e<br />

siderurgico. L'imprenditore fu sostituito da società che fornivano i grandi capitali necessari allo sv<strong>il</strong>uppo industriale. Crebbe <strong>il</strong>


uolo strategico <strong>del</strong>le banche in quanto erano in grado di procurare enormi investimenti per lo sv<strong>il</strong>uppo <strong>del</strong>le imprese. Inoltre la<br />

seconda rivoluzione industriale portò l'Europa ad una nuova organizzazione <strong>del</strong> lavoro facendo nascere la produzione a<br />

catena,dove <strong>il</strong> singolo lavoratore eseguiva le minime operazioni sempre uguali per molte ore. In questo modo aumentarono le<br />

produttività <strong>del</strong>le industrie, ma al tempo si provocò l'alienazione dei lavoratori. Lo sv<strong>il</strong>uppo industriale <strong>del</strong>l'Europa scaturì<br />

innanzitutto dallo sv<strong>il</strong>uppo tecnologico che rendeva possib<strong>il</strong>e l'ut<strong>il</strong>izzo di nuove materie prime, in particolare l'acciaio, e inoltre<br />

consentiva lo sfruttamento di energia elettrica e <strong>del</strong> petrolio. Tuttavia la ripresa economica fu anche prodotta dall'espansione<br />

coloniale intrapresa dai paesi europei, gli Stati Uniti e <strong>il</strong> Giappone tra la fine <strong>del</strong>l'Ottocento e l'inizio <strong>del</strong> Novecento con lo scopo<br />

di ampliare <strong>il</strong> mercato e di acquisire materie prime necessarie alle industrie a basso costo.<br />

L'industrializzazione e l'affermarsi <strong>del</strong> sistema capitalistico causarono la nascita di conflitti tra borghesia e proletariato. I<br />

lavoratori erano costretti a condurre un'esistenza ai limiti <strong>del</strong>l'indigenza e progressivamente divennero coscienti di poter<br />

assumere una condizione autonoma <strong>nella</strong> gestione dei contrasti politici e sociali. I proletari quindi iniziarono a coalizzarsi in<br />

associazioni sindacali o partitiche nel tentativo di opporsi ad un potere politico ed economico visto come un nemico.<br />

Nel secondo Ottocento in Europa si modificano gli equ<strong>il</strong>ibri politici: L'Ingh<strong>il</strong>terra, sotto <strong>il</strong> comando <strong>del</strong>la regina Vittoria dal 1837<br />

al 1901 rafforzò la sua potenza economica e politica diventando lo stato più potente <strong>del</strong> mondo; La Germania, unita sotto la<br />

guida <strong>del</strong> cancelliere Bismarck nel 1871, diventç la potenza egemonica <strong>del</strong>l'Europa continentale. L'Italia, ottenuta l'unità nel<br />

1861, dovette affrontare gravi problemi connessi all'organizzazione di un territorio che per secoli fu caratterizzato dalla<br />

frammentazione e dall'arretratezza economica. In particolare si fece evidente <strong>il</strong> divario tra <strong>il</strong> Nord, più avanzato<br />

economicamente e avviato in un processo di industrializzazione, e <strong>il</strong> Sud, ancora esclusivamente agricolo. L'Italia sul piano<br />

economico era uno stato prevalentemente agricolo, infatti le industrie erano ancora poco sv<strong>il</strong>uppate e concentrate al nord Italia,<br />

e tuttavia la stessa agricoltura mostrava segni di arretratezza. Inoltre le infrastrutture erano inadeguate: le reti ferroviarie, le<br />

strade, le strutture sanitarie e le scuole erano carenti in tutta l'Italia, ma in particolare tali strutture erano più insufficienti al Sud<br />

rispetto che al Nord. L'80% <strong>del</strong>la popolazione italiana era analfabeta e sia a Nord che a Sud gli italiani erano esposti a malattie e<br />

denutrizione. L'introduzione <strong>del</strong> servizio m<strong>il</strong>itare obbligatorio per tutti i cittadini maschi aggravò le condizioni <strong>del</strong> Meridione in<br />

quanto le famiglie venivano private dei giovani indispensab<strong>il</strong>i nel lavoro dei campi. Il malcontento <strong>del</strong>la grave situazione italiana<br />

sfociò nel sud con <strong>il</strong> fenomeno <strong>del</strong> brigantaggio con risultati negativi in quanto invece <strong>del</strong>la risoluzione dei problemi si accentuò<br />

la divisione tra Nord e Sud. Nel 1876 la sinistra storica, sostituendo la destra, attuò un programma più audace, in quanto<br />

l'istruzione elementare divenne obbligatoria con la legge Coppino, <strong>il</strong> diritto di voto fu ampliato a tutti i cittadini maschi alfabeti e<br />

dotati <strong>del</strong> reddito minimo stab<strong>il</strong>ito dalla legge.<br />

ROSSO MALPELO Rosso Malpelo è un ragazzo che lavora in misere condizioni in una<br />

cava di rena catanese con <strong>il</strong> padre e viene descritto sin dal principio come un “mo<strong>nella</strong>ccio”, un<br />

“brutto ceffo, torvo, ringhioso e selvatico” dato che aveva i capelli rossi e gli occhi (occhiacci)<br />

grigi. In realtà non aveva cattive intenzioni ma si era immedesimato <strong>nella</strong> figura di cattivo ragazzo e<br />

si comportava di conseguenza: malgrado la giovane età lavorava come gli adulti senza lamentarsi<br />

per le percosse subite e a modo suo traeva le sue personali leggi <strong>del</strong>la vita. La morte <strong>del</strong> padre<br />

Misciu, anch’egli gran lavoratore e unica persona che realmente voleva bene al ragazzo, provoca un<br />

incupimento di Malpelo verso le altre persone e un’ossessione verso gli oggetti che aveva ereditato<br />

(i calzoni, la camicia e le scarpe) fino ad arrivare a una sorta di identificazione <strong>nella</strong> vita di suo<br />

padre. Alla cava era arrivato un altro ragazzo soprannominato Ranocchio, molto più debole di lui<br />

che cercava di spronare anche con le percosse e di inserirlo al meglio <strong>nella</strong> realtà <strong>del</strong>la cava che non<br />

lasciava spazio alle persone troppo deboli. Gli insegnamenti di Malpelo riflettono la sua visione<br />

<strong>del</strong>la vita dove <strong>il</strong> più forte domina sul più debole e non vi è possib<strong>il</strong>ità di <strong>progresso</strong> dato che tutto<br />

confluisce sempre <strong>nella</strong> morte. Nella cava era morto un asino grigio che era stato gettato in un<br />

burrone lasciandone i resti in pasto ai cani. A Malpelo piaceva osservare nelle notti senza luna la<br />

campagna dove i canti <strong>del</strong>le civette lo avvicinavano col pensiero ai morti sepolti sotto la rena<br />

(l’asino, <strong>il</strong> padre e tanti altri) e da questo traeva i suoi pensieri. La salute di Ranocchio peggiorò<br />

velocemente e lo portò in poco tempo alla morte nonostante i tentativi generosi di Malpelo che gli


aveva comprato con la sua paga <strong>il</strong> vino e le minestre calde per aiutarlo a sopportare meglio la<br />

febbre. Malpelo non aveva più famiglia (<strong>il</strong> padre era morto, la madre risposata e la sorella, sposata<br />

anch’essa, non lo faceva nemmeno entrare in casa) e quindi accettava di esplorare i sotterranei <strong>del</strong>la<br />

cava dove vi era maggior pericolo: morì così sepolto chissà dove sottoterra insieme agli attrezzi per<br />

<strong>il</strong> lavoro che erano appartenuti al padre.<br />

LA ROBA Mazzarò era <strong>il</strong> proprietario di un enorme latifondo che si estendeva nelle piane<br />

sic<strong>il</strong>iane a perdita d’occhio: fisicamente era un uomo piccolo, dalla pancia grassa ma dal grande<br />

ingegno. Era stato infatti un contadino e aveva accumulato tanta ricchezza con <strong>il</strong> continuo lavoro,<br />

senza mai spendere in vizi e senza mai avere una donna. Per tutta la sua vita aveva lavorato, non<br />

aveva dormito la notte, e non si era mai fermato un attimo perchè la sua logica era quella<br />

<strong>del</strong>l’arricchimento. Non era istruito e non sapeva nemmeno leggere ma era riuscito ad accumulare<br />

tanta ricchezza anche con l’astuzia <strong>del</strong> comprare e vendere terre a proprio vantaggio e a discapito<br />

degli altri. Mazzarò non era interessato al denaro ma solamente ai beni materiali perchè voleva<br />

accumularne più <strong>del</strong> re per incrementare <strong>il</strong> proprio potere e salire quindi <strong>nella</strong> scala sociale. Con <strong>il</strong><br />

passare degli anni, sopraggiungendo la vecchiaia, si rendeva conto che la sua “roba” doveva<br />

lasciarla sulla terra ma non voleva ammetterlo e per questo si agitava come un pazzo.<br />

LIBERTA’ Nelle strade di Bronte in Sic<strong>il</strong>ia un sabato alla notizia <strong>del</strong>l’acquistata libertà dal<br />

dominio Borbonico grazie all’impresa di Garibaldi le masse contadine e popolari si erano riversate<br />

in piazza uccidendo, per la foga <strong>del</strong>le nuove sperate conquiste sociali e per <strong>il</strong> protrarsi <strong>del</strong>le<br />

ingiustizie subite da parte dei galantuomini ma comunque irrazionalmente, tutti i potenti <strong>del</strong> paese<br />

compresi le loro mogli e i bambini. La folla agisce infatti per la sete di vendetta uccidendo baroni,<br />

preti, ricchi, poliziotti, guardiaboschi, notai. La domenica seguente i carnefici si ritrovarono sulla<br />

piazza <strong>del</strong>la chiesa rendendosi conto di non essere autonomi dai galantuomini di cui avevano fatto<br />

strage perchè non potevano fare niente senza gli ordini dei padroni e nemmeno potevano andare a<br />

messa perchè avevano ucciso tutti i preti. Tutti si vedevano tra loro come possib<strong>il</strong>i nemici che si<br />

dovevano contendere con la forza le terre che secondo loro dovevano essere ridistribuite a seguito<br />

<strong>del</strong>la liberazione. Ma invece venne a fare giustizia <strong>il</strong> generale Bixio che dapprima uccise le prime<br />

cinque persone che gli capitarono; gli altri accusati vennero sottoposti per tre anni a processi e <strong>il</strong><br />

resto fece ritorno al paese per lavorare le terre dei galantuomini: erano necessari infatti sia i<br />

galantuomini che governassero, sia i contadini che lavorassero le terre altrui per mandare avanti la<br />

società.<br />

I <strong>MALAVOGLIA</strong> I Malavoglia sono una famiglia di pescatori di Aci-­‐Trezza che vivono <strong>nella</strong><br />

casa <strong>del</strong> Nespolo grazie alla rendita che gli porta l’attività di pesca con la barca Provvidenza. Il<br />

nipote di padron ‘Ntoni, figlio di Bastianazzo, <strong>il</strong> “giovane” ‘Ntoni parte per <strong>il</strong> servizio m<strong>il</strong>itare<br />

lasciando la famiglia in grave difficoltà dato che mancava la sua forza lavoro e l’annata di pesca<br />

scarsa causava problemi finanziari anche perchè la figlia Mena necessitava di una dote per sposarsi.<br />

Padron ‘N decide quindi di comprare a credito un carico di lupini per rivenderli in un porto vicino


ma durante una tempesta muore B e la barca affonda. La casa viene quindi pignorata per saldare <strong>il</strong><br />

debito, muoiono <strong>il</strong> secondogenito Luca <strong>nella</strong> battaglia di Lissa e la madre Maruzza ed affonda<br />

nuovamente la barca Provvidenza che era stata riparata. Tornato ‘N dal servizio di leva, ormai<br />

abituatosi alla vita di città, non vuole più faticare per lavorare e finisce in un giro di contrabbando;<br />

in seguito viene processato e incarcerato per una coltellata inferta alla guardia doganale sia per<br />

motivi legati allo stesso contrabbando ma anche perchè la guardia aveva mostrato interesse nei<br />

confronti <strong>del</strong>la sorella minore di ‘N, Lia la quale di li a poco finirà in case di malaffare in città e<br />

<strong>del</strong>la quale si perderanno le tracce. L’altra sorella Mena non si può più sposare a causa la crisi<br />

finanziaria che coinvolge la famiglia. Il vecchio Padron ‘N muore e da lui <strong>il</strong> nipote Alessi eredita <strong>il</strong><br />

valore <strong>del</strong> mestiere di pescatore e grazie a questo riuscirà a ricomprare la casa <strong>del</strong> nespolo, simbolo<br />

<strong>del</strong>la famiglia ormai disgregata. Il ritorno di ‘Ntoni dalla prigione segna definitivamente <strong>il</strong> suo<br />

allontanamento dalla famiglia e dalla realtà di miseria sic<strong>il</strong>iana dalla quale fugge senza farvi ritorno.<br />

Vari f<strong>il</strong>oni <strong>del</strong> romanzo <strong>del</strong>l’800 – Dickens<br />

Il romanzo rappresenta nel secondo 800 <strong>il</strong> genere letterario dominante. Il suo trionfo mostra due ragioni. La prima è di tipo<br />

letterario: <strong>il</strong> romanzo costituisce l’unico genere letterario in grado di rappresentare in modo oggettivo e scientifico la realtà,<br />

secondo le esigenze <strong>del</strong> Naturalismo e <strong>del</strong> Verismo. Inoltre vi è anche una ragione di natura sociale: <strong>il</strong> rapporto tra <strong>il</strong> romanzo e <strong>il</strong><br />

pubblico, tra l’autore e <strong>il</strong> lettore, è particolarmente stretto. Il romanzo diviene infatti specchio realistico <strong>del</strong>la società e la<br />

borghesia,attraverso un’autoanalisi individuale e collettiva, si nutre dei suoi stessi squallori, <strong>del</strong>le sue stesse paure e<br />

contraddizioni. Mostrando la vita di tutti i giorni, <strong>il</strong> romanzo svela la crisi <strong>del</strong>l’istituzione matrimoniale sia <strong>nella</strong> piccola borghesia<br />

che nell’alta società come in Madame Bovary di Flaubert o in Anna Karenina di Tolstoj.<br />

Dostoevskij esplora le inquietudini e i tormenti <strong>del</strong>la classe borghese che si trova stretta tra le rivendicazioni <strong>del</strong> Quarto stato e<br />

la noia <strong>del</strong>la vita fam<strong>il</strong>iare. La borghesia è posta infatti di fronte agli esiti <strong>del</strong>l’industrializzazione. Questa, se da un lato ha portato<br />

comfort e vita lussuosa, dall’altro ha condotto <strong>il</strong> popolo, gli operai <strong>del</strong>le industrie o <strong>del</strong>le miniere di carbone, a far sentire sempre<br />

di più la propria voce, attraverso scioperi e rivendicazioni sociali che indicano condizioni di vita disumane, di miseria e di dolore<br />

come appaiono dalle pagine di Dickens e di Zola.<br />

La rappresentazione <strong>del</strong> mondo dei poveri, dei così detti “Miserab<strong>il</strong>i”, costituisce quindi uno dei grandi temi <strong>del</strong>la letteratura<br />

europea di questo periodo. Precedentemente la loro rappresentazione era sempre stata di tipo comico-­‐umoristico; già nel 700<br />

con Daniel Defoe viene data voce agli um<strong>il</strong>i, ma tale tipo di letteratura, seppur molto più realista, costituisce un genere di<br />

intrattenimento o di consumo. Con Balzac e la sua Commedia Umana si raggiunge un perfetto ritratto realistico <strong>del</strong>la società<br />

francese e con Dickens viene data una rappresentazione in modo critico <strong>del</strong>la società inglese. Nasce infatti <strong>il</strong> romanzo sociale, un<br />

misto tra la cronaca giornalistica,<strong>il</strong> melodramma,l’analisi e la denuncia. Della società, descritta con tono sarcastico, sono<br />

evidenziate le aspre contraddizioni e i problemi di miseria <strong>del</strong>le realtà subalterne, rispetto alla prosperità <strong>del</strong>l’aristocrazia. La<br />

realtà urbana di Londra,<strong>il</strong> centro <strong>del</strong>la rivoluzione industriale, e di Parigi,capitale <strong>del</strong> divertimento, fanno da sfondo alla narrativa


di questo periodo; sono studiate come veri e propri microcosmi e sono esplorate in tutti i loro aspetti : gerghi e accenti sono<br />

registrati a seconda dei quartieri <strong>del</strong>la città e <strong>del</strong> livello sociale e sono caratterizzate le diverse categorie sociali e professionali.<br />

In Tempi diffic<strong>il</strong>i Dickens descrive la città industriale di Coketown : la “civ<strong>il</strong>tà dei fatti” ha ormai cancellato qualsiasi aspetto<br />

naturale, ogni cosa è sostituita da macchine che producono solamente fumo e cenere. Persino i colori sono artificiali : <strong>il</strong> rosso<br />

dei mattoni, <strong>il</strong> nero <strong>del</strong> canale e <strong>il</strong> fiume violaceo. Si assiste ad una vera e propria massificazione e perdita di identità : “c’erano<br />

tante strade larghe,tutte uguali tra loro e tante strade strette ancora più uguali fra loro; ci abitavano persone altrettanto uguali<br />

fra loro..”. A tutto ciò si contrappongono gli “agi <strong>del</strong> vivere”, “la raffinatezza e la grazia <strong>del</strong> vivere” <strong>del</strong>l’altra parte <strong>del</strong>la società :<br />

quella <strong>del</strong>l’alta borghesia.<br />

In questo contesto anche la morte assume un ruolo <strong>del</strong> tutto nuovo : viene calata nel quotidiano mettendone in mostra la<br />

fenomenologia in modo quanto più razionale possib<strong>il</strong>e. Dickens con atteggiamento di paternalismo mette in luce la “cattiva<br />

morte” dei poveri e degli orfani, facendo assumere alla fine <strong>del</strong>la vita umana una fisionomia sociale e di denuncia <strong>del</strong>le<br />

ingiustizie di classe. Nella seconda fase <strong>del</strong>la narrativa <strong>del</strong>l’autore ,successiva ad un ottimismo dei primi romanzi (basti pensare<br />

ad Oliver Twist,dove un trovatello che vive <strong>nella</strong> malavita riesce a superare le peggiori vicissitudini), si fa più violenta la satira<br />

<strong>del</strong>la borghesia. Dickens polemica contro l’avidità,<strong>il</strong> capitalismo e ritiene che la classe borghese non possa assumere un ruolo<br />

positivo all’interno <strong>del</strong>la società : i veri <strong>valori</strong> si trovano negli ambienti dei diseredati.<br />

IL PROBLEMA DELLA LINGUA IN ITALIA AL 1861<br />

• Nel periodo che va dagli inizi <strong>del</strong> XIX secolo alla conquista <strong>del</strong>l’Unità d’Italia (1861) <strong>il</strong> problema di identificare una lingua<br />

come eleggib<strong>il</strong>e a idioma nazionale si fece particolarmente pressante; ciò avvenne in quanto la questione linguistica,<br />

legata a doppio f<strong>il</strong>o con le problematiche socio-­‐politiche di un territorio, si allacciava alle tensioni <strong>del</strong> periodo. Furono<br />

,questi, anni di grande fermento; nei decenni iniziali <strong>del</strong> Secolo mossero i primi passi le aspirazioni unitarie figlie <strong>del</strong><br />

clima patriottico covato in seno al Romanticismo. L’esigenza di individuare una lingua nazionale fu alimentata sempre<br />

più dallo scenario politico che mutava anche repentinamente passando dai moti degli anni ’20-­‐’21 a quelli <strong>del</strong> ’48-­‐’49,<br />

fino ad approdare alla Seconda guerra d’indipendenza prima e all’Unità poi. La lingua è un elemento che marca<br />

fortemente la cultura e l’identità di un popolo e la ricerca di una lingua comune fu per gli intellettuali di inizio Ottocento<br />

anche la ricerca di una legittimazione culturale alle aspirazioni unitarie ed indipendentiste. La riflessione sulla lingua<br />

italiana, che ebbe inizio con Dante, giunse, carica di tutti i suoi problemi, al XIX secolo attraverso <strong>il</strong> Rinascimento e<br />

l’Illuminismo. La situazione politica <strong>del</strong>la penisola, divisa per secoli, l’analfabetismo d<strong>il</strong>agante ed <strong>il</strong> particolarismo<br />

municipalistico avevano impedito la formazione di una lingua nazionale di uso comune.<br />

• Tullio De Mauro analizza <strong>nella</strong> sua “Storia linguistica <strong>del</strong>l’Italia unita” la situazione linguistica <strong>del</strong>la penisola così come si<br />

presentava nel 1861. L’analfabetismo faceva registrare un tasso complessivo <strong>del</strong>l’80% circa; per quanto riguarda <strong>il</strong><br />

restante 20% e d’obbligo tenere presente come in Italia non si sia distinto, in fase di censimento, fra semianalfabeti ed<br />

alfabeti che dal 1951. Ciò significa che <strong>nella</strong> suddetta percentuale di alfabeti furono annoverati anche coloro i quali<br />

erano in grado soltanto di disegnare la propria firma. Si restringe così <strong>il</strong> numero degli “alfabeti a pieno titolo” cioè di<br />

coloro i quali avrebbero potuto entrare concretamente in contatto con la lingua italiana scritta, unica possib<strong>il</strong>ità di<br />

contatto con l’Italiano in generale, vista l’assenza <strong>del</strong>l’uso orale. Per riuscire a comprendere quanti fra questi potenziali<br />

possessori <strong>del</strong>la lingua vi fossero realmente entrarti in contatto, De Mauro analizza quale tipo di preparazione potesse<br />

offrire in questa prospettiva la sola istruzione elementare. Ne risulta che nelle scuole preunitarie, spesso osteggiate dai<br />

governi, i dialetti locali fossero usati come lingua <strong>del</strong>l’istruzione elementare dato che l’italiano era sconosciuto ai<br />

maestri o veniva mal parlato e corredato di storpiature dialettali. La situazione, nonostante i progressi dei primissimi<br />

anni postunitari, continuò a presentarsi come generalmente disastrosa nell’inchiesta condotta da Carlo Matteucci negli<br />

anni 1864-­‐1865. L’istruzione elementare non garantiva, quindi, alcun contatto duraturo con la lingua nazionale la cui<br />

conoscenza era riservata a coloro i quali procedevano oltre con gli studi. Nel 1862-­‐1863 l’istruzione post-­‐elementare<br />

era impartita al 9 per m<strong>il</strong>le circa <strong>del</strong>la popolazione fra gli 11 ed i 18 anni. Questo dato non basta ad essere proiettato


sull’intera popolazione per due motivi: la percentuale degli adulti <strong>del</strong> 1862-­‐63 che avessero frequentato nei decenni<br />

anteriori la scuola post-­‐elementare era sicuramente molto inferiore, ed inoltre la percentuale <strong>del</strong> 9 per m<strong>il</strong>le tiene di<br />

conto degli iscritti e non dei frequentanti (<strong>il</strong> dato quindi non da informazione alcuna sul profitto e sul grado di<br />

apprendimento <strong>del</strong>la lingua da parte degli studenti). Con criteri molto larghi si può arrivare a stimare che la percentuale<br />

<strong>del</strong>la popolazione che avesse appreso l’Italiano (fuori da Roma e dalla Toscana) fosse circa l’8 per m<strong>il</strong>le, vale a dire<br />

160.000 persone su 20 m<strong>il</strong>ioni. La Toscana e Roma costituirono un caso particolare nel panorama nazionale vista la<br />

vicinanza fonologica, morfologica e lessicale dei dialetti locali alla lingua comune. Roma costituiva, rispetto all’arretrato<br />

sistema scolastico pontificio, un’isola in cui l’istruzione di base era particolarmente diffusa ed efficiente. Si può<br />

concludere che in queste zone la percentuale (e quindi <strong>il</strong> numero) degli alfabeti coincidesse interamente con quella di<br />

quanti fossero venuti in contatto duraturo con la lingua comune, si trattava di circa 400.000 toscani e 70.000 romani.<br />

Negli anni attorno al 1861 gli italofoni erano, quindi, poco più di 600.000 su una popolazione totale di più di 25 m<strong>il</strong>ioni<br />

di abitanti, circa <strong>il</strong> 2,5%.<br />

• La lingua letteraria presentava invece un buon grado di uniformità grazie alla codificazione <strong>del</strong> fiorentino trecentesco<br />

dovuta all’influenza dei tre grandi scrittori toscani <strong>del</strong> secolo (Dante, Petrarca e Boccaccio) e a chi dopo di loro ne aveva<br />

seguito le orme (da Ariosto a Tasso, dal Bembo all’abate Cesari). Nei primi anni <strong>del</strong>l’Ottocento si sv<strong>il</strong>uppò la coscienza<br />

che l’aspirazione all’unità politica <strong>del</strong> Paese richiedeva la fioritura di una letteratura nazionale moderna e che ciò aveva<br />

come condizione lo sv<strong>il</strong>uppo di una lingua nazionale moderna dutt<strong>il</strong>e e comunicativa, in grado di raggiungere un vasto<br />

pubblico. Le proposte erano essenzialmente tre: <strong>il</strong> purismo, <strong>il</strong> classicismo ed <strong>il</strong> fiorentinismo. Puoti e Cesari furono i<br />

maggiori esponenti <strong>del</strong> Purismo di inizio Ottocento, sostennero la necessità di f<strong>il</strong>trare e selezionare la lingua in modo<br />

che rispondesse ad un unico mo<strong>del</strong>lo: quello trecentesco. Innovativa era ,però, l’intenzione di aprire la lingua anche<br />

all’uso che nel XIV secolo ne facevano le classi inferiori, non solo quindi l’idioma <strong>del</strong>le “Tre Corone” ma quello<br />

<strong>del</strong>l’intera società in cui i tre grandi scrittori si erano formati e da cui avevano attinto per le proprie opere. Questo era<br />

un punto che distanziava alquanto i puristi dai classicisti i quali sostenevano l’origine strettamente letteraria <strong>del</strong>la<br />

lingua cui attingere. Fra i maggiori sostenitori <strong>del</strong> classicismo vi fu <strong>il</strong> poeta Vincenzo Monti <strong>il</strong> quale propose una lingua<br />

che non fosse “<strong>del</strong>la sola Toscana” ma che attingesse ad un fondo linguistico comune a tutta la penisola, elemento da<br />

ricercarsi negli scrittori moderni (Alfieri e Parini in primis) e non nei trecentisti. Originale <strong>del</strong>la proposta montiana era<br />

l’apertura ai neologismi ed ai modernismi nonché ai termini stranieri. A fianco di Monti vi era Pietro Giordani , amico di<br />

Leopardi, che proponeva come fonte “i migliori ed i più colti scrittori d’ogni tempo”. Giordani guardava ai dialetti come<br />

a strumenti <strong>del</strong>la comunicazione quotidiana orale che sarebbero stati soppiantati ,col tempo, dalla lingua nazionale<br />

comune. Il mo<strong>del</strong>lo che risultò storicamente vincente fu,invece, quello <strong>del</strong> fiorentino contemporaneo parlato dalle<br />

persone colte proposto, dopo un lungo travaglio linguistico, da Alessandro Manzoni e che si impose soprattutto grazie<br />

allo straordinario successo editoriale de “I Promessi Sposi” (dopo la “risciacquatura dei panni in Arno” l’edizione <strong>del</strong><br />

1840-­‐1842 era stata stesa proprio nell’idioma fiorentino). Il motivo che spinse lo scrittore m<strong>il</strong>anese a questa scelta era<br />

la pragmaticità di una lingua viva equidistate dalle parlate meridionali e da quelle settentrionali. Si trattava di una<br />

soluzione fortemente innovativa che era indipendente dalla retorica letteraria e che nel contempo non soggiaceva alle<br />

spinte dialettali. Il fiorentinismo manzoniano si propose quale mo<strong>del</strong>lo dominante anche se non mancarono voci<br />

discordanti come quella di Giacomo Leopardi e , negli anni successivi all’Unità, di Grazaidio Ascoli.<br />

Di Giosuè Carducci (1835-­‐1907) sono state viste varie prospettive durante la storia italiana. Durante <strong>il</strong> fascismo viene visto come<br />

un grande nazionalista, mentre nel dopoguerra viene considerata e messa in risalto la sua parte intima, malinconica, inquieta, la<br />

parte che lo ha aperto di più alle suggestioni francesi: così, viene considerato un poeta minore fino al 2007, quando, in occasione<br />

<strong>del</strong> centenario <strong>del</strong>la morte, vengono fatte varie conferenze e manifestazioni nel tentativo di rivalutarlo.<br />

Carducci si inserisce nel periodo <strong>del</strong>la scapigliatura quasi come un alfiere dei classici, avente un impeto che lo porta a voler<br />

cambiare le sorti <strong>del</strong>l’Italia e voler combattere contro monarchia, borghesia e chiesa: dunque, la sua posizione sembrerebbe<br />

antitetica rispetto alla scapigliatura. In realtà, leggendo più attentamente la sua opera, ci si può rendere conto di quanto essa sia<br />

all’interno <strong>del</strong>la scapigliatura: in primo luogo, questa ribellione è simbolo di un disagio nei confronti <strong>del</strong>la realtà, ed in secondo<br />

luogo questa ribellione viene espressa attraverso un amore per la classicità, che diventa anche <strong>il</strong> recupero di situazioni medievali


ormai irrecuperab<strong>il</strong>i ed irraggiungib<strong>il</strong>i, tentando così una sorta di fuga dal presente, che è visto come negativo. Questo amore<br />

per la classicità è testimoniato da testo “Il comune rustico”, dove <strong>il</strong> poeta racconta di una riunione di un v<strong>il</strong>laggio dopo la messa<br />

per prendere <strong>del</strong>le importanti decisioni, discusse da tutto <strong>il</strong> popolo con forte partecipazione alla vita politica e spiccati <strong>senso</strong> <strong>del</strong><br />

dovere, dedizione, amor di patria e coraggio: ecco quindi che <strong>il</strong> medioevo rappresentato da Carducci non è l’età tenebrosa cara<br />

al Romanticismo, ma un’età luminosa e tranqu<strong>il</strong>la (come suggerito dalla descrizione <strong>del</strong> paesaggio, quasi sospeso in un sogno).<br />

Inizialmente, dunque, Carducci si pone come uno scrittore fortemente anticlericale e giacobino, antimonarchico: questo è<br />

testimoniato dalla sua più grande opera giovan<strong>il</strong>e, l’Inno a Satana. Questa opera, pubblicata nel 1865, arriva un anno dopo la<br />

pubblicazione <strong>del</strong> S<strong>il</strong>labo di Pio IX, nel quale la modernità e l’antidogmatismo erano condannati come prodotto di Satana.<br />

Carducci, allora, rovescia questa definizione e, celebrando la modernità (rappresentata dalla figura <strong>del</strong> treno), inneggia al Satana<br />

tanto allontanato dai benpensanti e dai clericali. Satana viene ad essere <strong>il</strong> rappresentante <strong>del</strong>la modernità: nell’inno a Satana c’è<br />

la rivalutazione <strong>del</strong>la forza <strong>del</strong>la ragione, la valutazione piena <strong>del</strong> <strong>progresso</strong>, la rivalutazione <strong>del</strong>le gioie <strong>del</strong>la vita, la gioia <strong>del</strong><br />

convito, <strong>il</strong> rifiuto <strong>del</strong>la superstizione. È da notare come in questo punto di partenza, a rappresentare le ideologie di forte libertà<br />

proprie <strong>del</strong> primo Carducci, vi sia una forma fortemente classicheggiante: <strong>il</strong> poeta ut<strong>il</strong>izza un lessico aulico, sintassi latineggiante<br />

e vi sono molti riferimenti dotti ed eruditi.<br />

Successivamente, in Carducci si realizza un’involuzione per quanto riguarda l’ideologia, contemporaneamente ad un’evoluzione<br />

<strong>nella</strong> forma. Il poeta, infatti, in anni più maturi, tenderà a convergere con la mentalità <strong>del</strong> suo tempo, divenendo f<strong>il</strong>o monarchico<br />

e lasciando da parte le condanne verso la chiesa, fonte d’ispirazione principale <strong>del</strong>l’Inno a Satana, che infatti sarà oggetto di un<br />

giudizio molto severo da parte <strong>del</strong> proprio stesso autore (che lo definirà una “chitarronata”). Per quanto riguarda invece la<br />

forma ed <strong>il</strong> modo di scrivere, Carducci sarà <strong>il</strong> protagonista ed <strong>il</strong> fautore di una grandissima innovazione: <strong>nella</strong> sua opera “Odi<br />

barbare”, Carducci riprende la metrica latina, basata su brevi e lunghe e non sul numero di s<strong>il</strong>labe, e cerca di portare i ritmi <strong>del</strong>la<br />

poesia latina all’interno <strong>del</strong> verso italiano, che acquista un ritmo <strong>del</strong> tutto nuovo ed innovativo rispetto al passato: sono versi<br />

“barbari”, stranieri alle altre composizioni in italiano. Il risultato è quello di rompere la cantab<strong>il</strong>ità di una parte <strong>del</strong>la poesia<br />

italiana: saltano molte rime, viene ricomposta la struttura <strong>del</strong>la frase e c’è molta attenzione per <strong>il</strong> lessico. Dunque, l’ideologia ha<br />

un’involuzione nel <strong>senso</strong> che <strong>il</strong> poeta passa da idee di libertà ed antidogmatismo ad idee conformiste e monarchiche;<br />

l’evoluzione <strong>del</strong>la forma, invece, sta nel fatto che, dal punto di partenza <strong>del</strong> classicismo più conforme, Carducci inventa una<br />

nuova forma, cioè quella <strong>del</strong>le Odi barbare. Il poeta, in ogni caso, per tutta la sua carriera, si ritiene classicista ma in fondo è<br />

romantico per alcuni aspetti: innanzitutto, in ordine cronologico, per la ribellione alla società (vedere l’Inno a Satana), ma anche,<br />

e forse di più a livello quantitativo, per l’introspezione, la malinconia e l’ossessione per la morte, che lo accompagneranno<br />

durante tutte le sue opere, come nel “Comune Rustico”, dove insieme alla serenità <strong>del</strong> paesaggio c’è l’idea dei montanari che<br />

andranno a combattere e moriranno, in “Ballata dolorosa”, che si apre e si chiude con la “pallida faccia velata di nero”, che<br />

rappresenta Lidia morta, in “Traversando la Maremma Toscana”, pervaso da una forte malinconia, ed in “Alla stazione in un<br />

mattino d’autunno”, dove appare anche la visione negativa <strong>del</strong> treno, in perfetta antiteticità con l’Inno a Satana, a testimoniare<br />

l’evoluzione/involuzione che ha avuto luogo.<br />

Rosso Malpelo: formazione culturale catanese e darwinismo sociale, Verga: <strong>il</strong> positivismo e <strong>il</strong> <strong>progresso</strong> (fotocopia)<br />

In Verga si possono veder radicate due culture diverse, quella catanese e quella francese che si rifa alPositivismo diZola.<br />

Quella catanese si basava su un materialismo locale e fu fondata a Catania, alla fine <strong>del</strong> Settecento da Gioeni che aveva fondato un'accademia<br />

materialistica basata sullo studio <strong>del</strong>le scienze. Questo aspetto <strong>del</strong>la cultura di Verga emerge dal racconto Rosso Malpelo innanzitutto perché l'autore<br />

ambienta le vicende <strong>nella</strong> Sic<strong>il</strong>ia a lui contemporanea caratterizzata dalla vita di estrema povertà se non proprio miseria dei carusi, i lavoratori nelle<br />

miniere. Il materialismo ereditato da tale cultura si può vedere dalla visione stessa che l'autore ha nei confronti di tali persone che chiama "vinti"<br />

ovvero "vinti dalla fiumana <strong>del</strong> <strong>progresso</strong>".<br />

Verga descrive la realtà di povertà e sfruttamento <strong>del</strong>le classi disagiate in Sic<strong>il</strong>ia alla fine <strong>del</strong> diciannovesimo secolo, realtà che conosceva ma che<br />

emergeva anche dalle inchieste <strong>del</strong> Regno d'Italia da poco formatosi(1861).<br />

Non vede però per queste persone una via d'uscita o un modo per cambiare la propria vita perché non possono sottrarsi dal proprio destino come lo<br />

stesso Rosso Malpelo che sarà destinato a morire <strong>nella</strong> cova proprio come <strong>il</strong>padre.<br />

Questo determinismo è accompagnato dalla dottrina <strong>del</strong> darwinismo sociale sv<strong>il</strong>uppatasi <strong>nella</strong> seconda metà <strong>del</strong>l'Ottocento.


Darwin <strong>nella</strong> sua teoria <strong>del</strong>la selezione naturale sosteneva che dato che <strong>il</strong> numero degli organismi che nasce è superiore a quello che può vivere, esiste<br />

tra i vari individui una continua lotta per poter sopravvivere; in questa lotta prevalgono coloro che sono più adatti alle condizioni di vita in cui si trovano.<br />

Questa concezione trasportata in ambito letterario <strong>nella</strong> Seconda metà <strong>del</strong>l'Ottocento, vedeva la società umana regolata dalle stesse leggi <strong>del</strong> mondo<br />

naturale e animale e quindi dominata anch'essa dalla lotta per la vita che assicura la sopravvivenza e <strong>il</strong> dominio al più forte. Queste teorie sono la<br />

manifestazione <strong>del</strong>la crisi che la società borghese sta attraversando nel periodo: viene meno la sicurezza in un futuro in pace, di un equ<strong>il</strong>ibrio senza<br />

conflitti ma di benessere egiustizia.<br />

La rappresentazione <strong>del</strong>la società in Verga rientra in questo ambito <strong>del</strong> darwinismo sociale. Per l'autore la società a tutti i suoi livelli è dominata da un<br />

severo antagonismo tra individui, gruppi e classi: le leggi che la regolano sono la sopraffazione <strong>del</strong> più forte sul più debole e l'interesse individuale.<br />

Il padre di Malpelo non rispecchia la legge <strong>del</strong> più forte perché non capace di superare le sue condizioni e le sue debolezze muore da vinto.<br />

Nonostante questo l'atteggiamento che Malpelo ha nei confronti di Ranocchio non coincide con tale concezione perché gli insegna ciò che <strong>il</strong> padre<br />

non era stato capace di fare come una sorta di critica perché è <strong>il</strong> primo che non è riuscito a rispettare la legge <strong>del</strong> "più forte che prevale sul più<br />

debole".<br />

Verga aderendo anche al Positivismo ammetteva in linea teorica, come i positivisti, che la "fiumana <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> fosse positiva". Questa continua<br />

evoluzione <strong>del</strong>la società porta sempre a un miglioramento durante <strong>il</strong> quale però alcune specie spariscono, i deboli vengono sempre più esclusi e<br />

anche i vinti non hanno che davanti la morte, ma questo ciclo è ciò che permette alla società di organizzarsi sempre meglio e migliorarsi.<br />

Verga non nega mai <strong>il</strong> ruolo positivo <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> benché sia lento e inesorab<strong>il</strong>e ma nelle sue novelle vuole vedere e analizzare <strong>il</strong> rovescio ovvero<br />

che <strong>il</strong> <strong>progresso</strong> va avanti attraverso una terrib<strong>il</strong>e selezione naturale vedendo gli intellettuali come vinti, i deboli che cadono e le sue vittime. Rosso<br />

Malpelo, suo padre e ranocchio sono l'emblema dei vinti, <strong>del</strong>le vittime <strong>del</strong> <strong>progresso</strong> che a differenza degli altri positivisti Verga vuole prendere in<br />

considerazione per analizzare l'altra faccia e evidenziare quanto questo percorso sia doloroso.<br />

Poetica naturalista<br />

II naturalismo nasce in Francia <strong>nella</strong> seconda metà <strong>del</strong>l'ottocento e dura circa un trentennio. Come data d'inizio di tale corrente<br />

letteraria viene assunta la pubblicazione <strong>del</strong> romanzo Germinie Lacerteux dei fratelli de Goncourt (1865) mentre come data di fine<br />

l'inchiesta L'evolution litteraire di Jules Huret (1891).<br />

fl contesto culturale nel quale si afferma <strong>il</strong> naturalismo è quello <strong>del</strong> positivismo, quindi fiducia <strong>nella</strong> scienza e <strong>nella</strong> ragione umana.<br />

Una notevole influenza sulla poetica <strong>del</strong> naturalismo venne esercitata <strong>del</strong> f<strong>il</strong>osofo positivista Hyppolite Taine, dal biologo Charles<br />

Darwin e dal fisiologo francese Claude Bernard. Taine aveva elaborato una teoria deterministica per la quale sono tre i fattori<br />

condizionanti <strong>del</strong> comportamento umano: l'ambiente, la razza e <strong>il</strong> momento storico. Secondo Taine quindi lo scrittore deve<br />

analizzare i comportamenti dei propri personaggi come uno scienziato in modo rigoroso e imparziale, osservando e descrivendoli<br />

come fenomeni naturali regolati da un meccanicismo razionale di causa-­‐effetto. Darwin invece da <strong>il</strong> suo contributo alla poetica<br />

naturalistica con le sue teorie evoluzionistiche che introducono i concetti di lotta per la sopravvivenza, ereditarietà dei caratteri e<br />

selezione naturale applicate al comportamento degli animali ma che gli scrittori naturalisti applicheranno anche a quello<br />

<strong>del</strong>l'uomo. Bernard infine aveva applicato <strong>il</strong> metodo sperimentale alle scienze mediche <strong>nella</strong> sua celebre opera Introduction a l'elude<br />

de la medicine experimental <strong>del</strong> 1863, proprio come faranno i naturalisti che applicheranno <strong>il</strong> metodo sperimentale non alla natura<br />

ma al susseguirsi dei fenomeni sociali.<br />

Tra i maggiori esponenti <strong>del</strong> naturalismo vi sono i fratelli de Goncourt, e l'introduzione alla loro opera maggiore, Germinie Lacerteux<br />

(la storia è quella di una serva malata d'isteria con <strong>il</strong> resoconto <strong>del</strong>la sua progressiva degradazione fisica e morale), è considerata <strong>il</strong><br />

primo manifesto <strong>del</strong>la corrente. Il testo contiene alcuni punti essenziali <strong>del</strong>la poetica naturalistica. Innanzitutto gli autori<br />

presentono la loro opera come un fatto di cronaca reale e scrupolosamente documentato (parlano infatti di un "romanzo vero" in


opposizione a quelli "falsi" che <strong>il</strong> pubblico <strong>del</strong> tempo era abituato a leggere) e che ha per protagoniste per la prima volta le classi<br />

inferiori. Infine viene qui istituito per la prima volta <strong>il</strong> nesso tra arte (la narrazione romanzesca) e scienza (lo studio di un caso<br />

clinico) fondamentale <strong>nella</strong> poetica naturalistica.<br />

Il caposcuola indiscusso di tale corrente è pero Em<strong>il</strong>e Zola (1840-­‐1902). Costui trova le principali fonti d'ispirazione per la sua poetica<br />

in Bernard, per <strong>il</strong> metodo sperimentale applicato alla medicina, e in Taine, per <strong>il</strong> determinismo scientifico applicato alla psicologia<br />

<strong>del</strong>l'uomo. La sua opera più impegnativa è <strong>il</strong> ciclo di venti romanzi I Rugon-­‐Macquart, nei quali analizza i componenti di una famiglia, i<br />

Rougon appunto, nei loro rapporti con la società per più generazioni successive , documentando scientificamente la trasmissione di<br />

una patologia e l'evoluzione di ogni individuo a contatto con ambienti diversi. Nel 1880 invece Zola scrive Le roman experimental una<br />

dichiarazione di<br />

poetica che può essere considerato a tutti gli effetti <strong>il</strong> manifesto <strong>del</strong> naturalismo. I punti principali contenuti nel libro<br />

sono:<br />

• Riproduzione fe<strong>del</strong>e e oggettiva <strong>del</strong>la realtà, rifiutando così la letteratura romantica;<br />

• Narratore impersonale;<br />

• Rappresentazione di ciò che è vero e non di ciò che è bello;<br />

• Rivendicazione <strong>del</strong> carattere di moralità di tutto ciò che è vero, è quindi morale rappresentare anche gli aspetti più cru<strong>del</strong>i<br />

<strong>del</strong>la realtà;<br />

• Ut<strong>il</strong>izzo <strong>del</strong> metodo sperimentale <strong>nella</strong> narrazione<br />

• Primato <strong>del</strong> romanzo in quanto l'unico genere in grado di seguire un metodo scientifico;<br />

Poetica verista<br />

II verismo prende forma nell'Italia postunitaria sotto la diretta influenza <strong>del</strong> clima <strong>del</strong> positivismo, <strong>del</strong>la totale fiducia <strong>nella</strong> scienza<br />

e <strong>del</strong>la poetica <strong>del</strong> Naturalismo francese. In particolare si sv<strong>il</strong>uppa a M<strong>il</strong>ano, la città più feconda sul piano culturale, dove si<br />

ritrovano intellettuali di regioni diverse. I maggiori esponenti di tale corrente sono Giovanni Verga, Luigi Capuana, Madide Serao e<br />

Federico de Roberto,<br />

Elemento comune a tutti questi autori è una fede di rappresentare la realtà così com'è. Nel particolare la realtà è quella <strong>del</strong>le<br />

regioni <strong>del</strong> sud Italia, arretrate dal punto di vista socio-­‐economico e per molti versi terre ancora sconosciute. I veristi si propongono<br />

così di analizzare e capire le condizioni degli strati sociali disagiati. Si va per esempio dai pescatori sic<strong>il</strong>iani de I malavoglia (1861) di<br />

Verga al "II ventre di Napoli" (1887) di Mat<strong>il</strong>de Serao. Sullo sfondo di questa diffic<strong>il</strong>e situazione di arretratezza e divisione sociale, si<br />

capisce <strong>il</strong> tono polemico e di denuncia amara tipico degli scrittori veristi. Alle invenzioni <strong>del</strong>la fantasia si sostituisce così la<br />

testimonianza <strong>del</strong> documento naturale e umano che si presenta come riflessione ed indagine puntuale di figure e ambienti.<br />

Forte, come già detto, è <strong>il</strong> rapporto tra <strong>il</strong> Naturalismo francese e i veristi italiani dal quale infatti riprendono l'imparzialità <strong>del</strong>la<br />

narrazione e l'impegno di ritrarre oggettivamente la realtà. Molte sono però anche le differenze. Mentre in Zola si faceva soltanto<br />

una fotografìa <strong>del</strong>la realtà, nel Verismo è presente una regressione <strong>del</strong>l'autore a livello <strong>del</strong>la realtà rappresentata cioè i<br />

personaggi esprimono le loro opinioni su ciò con cui vengono a contatto. Viene ripresa l'impostazione scientifica di Zola ma in<br />

maniera meno rigorosa e rifiutando l'applicazione meccanica dei principi biologici e fisiologici alla letteratura. Infine l'idea di<br />

<strong>progresso</strong> e l'impegno politico <strong>del</strong>l'intellettuale tipici <strong>del</strong> Naturalismo sono estranei agli autori veristi.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!