La civiltà minoico-cretese - Corsoarcheologia.org
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<strong>La</strong> <strong>civiltà</strong> <strong>minoico</strong>-<strong>cretese</strong><br />
Dispensa 1: Lezioni dell’autunno 2010<br />
Miscellanea a cura di Sandro Caranzano , riservati<br />
ai fruitori del corso di archeologia presso<br />
l'Università Popolare di Torino 2010-2011<br />
1.1 – Carattere e cronologia della <strong>civiltà</strong> minoica.<br />
Secondo la datazione di Eratostene, la guerra di Troia ebbe luogo nel 1183<br />
a.C. e re Minosse visse tre generazioni prima. Quindi, per i Greci, il regno di<br />
Minosse conobbe il suo apice intorno al 1260 a.C., circa cento anni dopo la data<br />
in cui, come sostengono la maggior parte degli archeologi, fu abbandonata la<br />
presunta reggia di Cnosso. Come dice Thomson, forse è meglio accettare il<br />
contenuto generale delle storie greche, o comunque averle a mente, e lasciar<br />
perdere le date. Sicuramente i Greci accorciarono la durata cronologica dei primi<br />
eventi della preistoria egea.<br />
L'età <strong>cretese</strong> del bronzo fu un lungo periodo di crescita culturale che ebbe inizio<br />
intorno a 3.000 a.C. e terminò verso il 1000 a.C.<br />
Nel corso di quel lungo periodo si verificarono<br />
molti cambiamenti. In genere, quando<br />
identifichiamo determinati tratti come «minoici»,<br />
pensiamo alla cultura al suo apice, nei tre secoli<br />
precedenti l'abbandono del <strong>La</strong>birinto di Cnosso,<br />
avvenuto nel 1380 a.C., senza renderci conto che<br />
quell'apice fu frutto di un millennio di evoluzione.<br />
All'inizio si era formata una ricca rete di commerci<br />
terrestri e marittimi, e gli intensi scambi con i<br />
numerosi vicini stranieri si spingevano fino in<br />
Egitto. In quella fase la <strong>civiltà</strong> egizia era più<br />
avanzata di quella <strong>cretese</strong> e può darsi che i<br />
rapporti con una cultura più progredita abbiano<br />
stimolato i Cretesi. I contatti con l'Anatolia fecero<br />
loro conoscere mestieri, manufatti, materiali e<br />
idee provenienti dalla Mesopotamia, che<br />
contribuirono a stimolarne lo sviluppo; ad<br />
esempio, sembra che l'idea di far uso di sigilli sia<br />
nata da alcuni esemplari importati dall'oriente.<br />
Tra il 3000 e il 2200 a.C., durante il periodo<br />
Minoico Antico, i Cretesi svilupparono tutte le<br />
caratteristiche tipicamente minoiche, senza<br />
costruire però i «palazzi». <strong>La</strong> società<br />
«palaziale», affermatasi tra il 2000 e il 1380<br />
a.C. circa e assai avanzata nell'<strong>org</strong>anizzazione<br />
gerarchica e burocratica, mostrava un lato<br />
estremamente pratico e razionale ricco di tecnologie<br />
artigianali molto evolute, ma possedeva<br />
allo stesso tempo tutta la forza di immaginazione e<br />
la freschezza giovanile di una cultura nuova.<br />
II commercio si sviluppò su vasta scala, esclusivamente attraverso il baratto. Ad<br />
Amarna, in Egitto, è stata rinvenuta una corrispondenza concernente il baratto che<br />
risale al quattordicesimo secolo a.C., da cui risulta che il Faraone mandò «doni»<br />
d'oro al re di Babilonia e in cambio ricevette in regalo cavalli e lapislazzuli. Il re di<br />
Alasia, ovvero il re di Cipro, offrì 500 talenti di bronzo in cambio di argento,<br />
tessuti, letti e carri da guerra. Sono riportati persino scambi commerciali con i<br />
Minoici, «doni da parte dei principi (o condottieri) della Terra di Keftiù e delle<br />
1
isole che sono in mezzo al mare». Si trattava probabilmente di esportazioni in<br />
Egitto di manufatti provenienti dai templi cretesi. In cambio gli Egizi mandarono<br />
oro, avorio, tessuti, recipienti in pietra contenenti profumo, carri e forse scimmie e<br />
schiavi nubiani.<br />
1.2 – Ceramica ed evoluzione culturale.<br />
I vasai minoici producevano una stupefacente varietà di articoli. Uno degli stili più<br />
antichi di ceramica minoica risale al2700 a.C. ed è detto di Pirgos, dal nome di un<br />
sito sulla costa a nord-est di Cnosso. In genere, questo tipo di ceramica aveva una<br />
lucidatura a disegni geometrici su uno sfondo rosso, grigio o marrone chiaro, e<br />
veniva usata per calici con gambi stretti e lunghi o per piedistalli conici. Le<br />
ceramiche di Pirgos hanno una maggiore affinità con le ceramiche neolitiche<br />
greche e cicladiche piuttosto che con le loro progenitrici cretesi, e forse il loro stile<br />
fu importato.<br />
Subito dopo vennero prodotti vasi che su uno sfondo giallo pallido avevano<br />
semplici motivi lineari, néri, marroni o rossi. Questi recipienti del Minoico Antico<br />
II risalgono al 2500 a.C. circa e sono noti come ceramiche di Haghios<br />
Onoufrios, dal nome di un sito nei pressi di Festo. Nello stesso periodo apparvero<br />
altri due stili: quello dei vasi dalle forme insolite, di uccelli o animali, in cui<br />
potremmo includere il vaso della Dea di Myrtos, e quello delle ceramiche di<br />
Vasiliki, con cui si concluse la tecnica della lucidatura a disegni geometrici ed<br />
ebbe inizio un nuovo tipo di finitura, che consisteva nell'applicazione irregolare di<br />
una vernice marrone-rossiccia il cui scopo era simulare la superficie screziata dei<br />
vasi di pietra, a quel tempo molto di moda nella zona orientale di Creta. Fanno<br />
parte di questo stile singolari brocche e «teiere» con beccucci lunghi, dotati di<br />
caratteristici bordi rialzati e uniti al corpo principale del recipiente da una strana<br />
giuntura o articolazione.<br />
Fig. 2 - Ceramica tipo "Pyrgos" (AM I) 2700 a.C. / Fig. 3 - Ceramica "Aghios Onouphrios"<br />
(AM I, AM II) 2500 a.C. ca. / Fig. 4 - Ceramica tipo "Vassiliki" (AM II)<br />
Nella fase appena precedente alla costruzione dei grandi templi,<br />
contemporaneamente al rapido sviluppo delle città, anche l'arte dei vasai ebbe una<br />
decisiva evoluzione. Infatti essi iniziarono a utilizzare torni veloci, che permisero<br />
loro di creare forme nuove e ricercate, e di assottigliare lo spessore delle pareti dei<br />
vasi. Presero anche a cuocere i vasi in forni costruiti appositamente anziché in<br />
fuochi all'aperto, ottenendo una cottura più costante e uniforme, e quindi risultati<br />
più sicuri. Molte forme sviluppate durante il Minoico Antico continuarono a essere<br />
utilizzate.<br />
Le decorazioni policrome probabilmente furono inventate a Cnosso, dove ebbero<br />
un duraturo successo, prima di diffondersi in tutta la zona orientale di Creta.<br />
Le ceramiche di Kamares erano vasi di spessore sottile con decorazioni<br />
policrome. Le bellissime coppe dalla fragile struttura a guscio d'uovo erano fatte a<br />
imitazione di modelli originali in metallo. Stupendi per la fattura e per le<br />
decorazioni, i vasi di Kamares raggiunsero un livello qualitativo mai uguagliato nel<br />
2
mondo egeo. Tuttavia questo stile ebbe una vita relativamente breve, poiché nel<br />
Minoico Medio III, che iniziò nel 1700 a.C., era già in disuso tra i vasai. Dato che<br />
quello fu un periodo di grande opulenza, si presume che i ricchi clienti che<br />
commissionavano le coppe di Kamares, tra cui c'erano aristocratici e sacerdotesse,<br />
preferissero acquistare coppe di metallo prezioso.<br />
Alcuni vasi rinvenuti a Cnosso e Festo testimoniano che intorno al 1600 a.C. si<br />
verificò un nuovo e sorprendente sviluppo nello stile dei vasi, con disegni marini a<br />
rilievo che raffiguravano conchiglie, granchi, alghe, rocce e delfini. Verso il 1500<br />
a.C. apparve un altro stile ancora, con increspature a guscio di tartaruga.<br />
I templi furono distrutti e poi ricostruiti dopo il 1470 a.C. I vasai dei nuovi templi<br />
crearono altri stili ancora, le cui decorazioni traevano ispirazione dalla natura, ma<br />
erano stilizzate in modo da formare arditi motivi decorativi. Lo stile Floreale e lo<br />
stile Marino produssero esemplari davvero notevoli. Ciò nonostante, le decorazioni<br />
dei vasi fabbricati in questo periodo in tutta Creta, Cnosso compresa, erano<br />
eseguite con trascuratezza.<br />
Fig. 5/6 - Lo stile detto di “Kamares” si riferisce alla località di una grotta che si trova<br />
sul monte Ida, all’interno della quale furono effettuati i principali ritrovamenti. Dal<br />
punto di vista stilistico, sono caratterizzate da motivi geometrici e da sinuose figure<br />
stilizzate, riprendenti perlopiù motivi del mondo vegetale.<br />
Durante il Tardo Periodo Templare, quando si affermò il predominio di Cnosso su<br />
quasi tutta Creta, i vasai del tempio lavoravano con uno spirito diverso, e la<br />
produzione era più formale, simmetrica e pomposa. Al principio, le anfore nel<br />
cosiddetto «Stile Palaziale» furono prodotte e utilizzate soltanto a Cnosso, e quindi<br />
è probabile che fossero fabbricate solo per la classe dominante. Sinclair Hood ha<br />
notato che in quel periodo ci furono molti segni di un'influenza proveniente dalla<br />
terraferma. Dalla Grecia furono introdotte a Creta nuove forme, tra cui calici con<br />
gambo alto decorati secondo lo stile efireo. In quel periodo, alcuni motivi<br />
decorativi tradizionali dell'artigianato <strong>minoico</strong> divennero simmetrici, formali e<br />
convenzionali. I papiri e persino i polpi furono ridotti a forme simmetriche. I<br />
soggetti si ispiravano al mondo marino e vegetale, a elmi, scudi, doppie asce e, per<br />
la prima volta, a uccelli. <strong>La</strong> vitalità e il forte senso di movimento scomparvero dalle<br />
ceramiche minoiche, per essere sostituiti da forme rigide e controllate estranee allo<br />
spirito <strong>minoico</strong>.<br />
Nel XIV secolo a.C., i motivi decorativi divennero più schematici. I tentacoli dei<br />
polpi, talvolta ridotti da sei a quattro, divennero lunghi in modo sproporzionato, i<br />
fiori di papiro persero ogni grazia, e per la prima volta si diffusero motivi<br />
decorativi con uccelli. Nel tredicesimo secolo, la qualità tecnica dei vasi mantenne<br />
un livello generale buono, sia per quanto riguarda la cottura che per il fondo<br />
marrone-rossiccio, ma continuò il graduale impoverimento delle decorazioni, con i<br />
polpi ormai divenuti semplici linee ondulate che cingevano il vaso. Fu in quel<br />
periodo che l'influenza micenea sul mondo egeo raggiunse l'apice. Infine, nel<br />
dodicesimo secolo a.C., le decorazioni si ridussero a sterili fasce orizzontali o a di-<br />
3
segni orlati da margini compatti, fasce e bordi multipli. L'eccessivo affollamento di<br />
decorazioni rende difficile l'interpretazione dei disegni. Su un vaso ritrovato nella<br />
Caverna Dittea, a stento si riesce a riconoscere un polpo con dodici tentacoli.<br />
I segni della decadenza sono evidenti in queste figurine più che in qualsiasi altro<br />
manufatto. Sul rifugio montano di Karfi, un manipolo di sopravvissuti cercava di<br />
tener vivo lo stile di vita <strong>minoico</strong>, riuscendo però a creare solo inerti stereotipi. <strong>La</strong><br />
<strong>civiltà</strong> minoica era giunta al termine.<br />
1.3 – Il palazzo di Cnosso.<br />
I primi insediamenti neolitici nel sito di Cnosso forse erano costituiti da capanne<br />
di legno, che hanno lasciato come uniche tracce archeologiche le buche per i pali.<br />
Allo strato 9, cioè verso il 6000 a.C., le case di Cnosso erano fatte di fango; in esso<br />
infatti si trovano mattoni che sembrano essere stati induriti col fuoco, secondo una<br />
pratica mai più utilizzata nella Creta neolitica o dell'età del bronzo. Queste case,<br />
che alloggiavano i primi vasai cretesi, avevano stanze rettangolari ed erano<br />
costruite senza basamenti in pietra. In seguito, le case neolitiche cominciarono a<br />
essere costruite su basamenti di pietra, e questo sistema di costruire in pietra la<br />
parte inferiore dei muri e in mattoni di fango quella superiore, divenne la regola<br />
durante l'età del bronzo. Intorno al neolitico tardo, le case di Cnosso erano<br />
divenute assai sofisticate, con caminetti quadrati posti contro una parete o al<br />
centro della stanza, ed erano collocate l'una accanto all'altra secondo una<br />
disposizione cellulare tipica dei villaggi<br />
del Minoico Antico come Fornou Korifi<br />
(Myrtos) e dei templi del Minoico<br />
Medio<br />
Cnosso, divenne un florido centro della<br />
<strong>civiltà</strong> minoica verso il 2000 a.C., epoca<br />
della costruzione del grande palazzo che,<br />
privo di mura difensive, era sintomo<br />
dell'egemonia <strong>cretese</strong> sul mar Egeo.<br />
Verso il 1700 a.C. un cataclisma, forse<br />
un terremoto provocato dall'eruzione del<br />
vulcano dell'isola di Thera (l'odierna<br />
Santorini), distrusse tutti i palazzi<br />
dell'isola, incluso quello di Cnosso.<br />
Durante il pe riodo neopalaziale (1700<br />
a.C.-1500 a.C.) il palazzo venne<br />
ricostruito ancora più sontuoso di quello<br />
di epoca palaziale, ancora una volta<br />
privo di mura difensive. Verso il 1450<br />
a.C. Cnosso fu devastata dai micenei,<br />
popolazione proveniente dal<br />
Peloponneso, come testimoniano i testi<br />
in lineare B rinvenuti nel palazzo, finché<br />
verso la metà del XIV secolo a.C. la città<br />
iniziò a decadere.<br />
Il primo ad intraprendere gli scavi a<br />
Cnosso fu Minos Kalokairinos, un<br />
amatore, commerciante di Iraklion, che<br />
nel 1878 scoprì due dei magazzini del<br />
palazzo. I turchi, padroni del terreno, lo<br />
costrinsero a fermare le ricerche.<br />
Fallirono pure i tentativi di Heinrich<br />
Schliemann nel comprare la collina di<br />
"Kefala" a causa delle eccessive pretese<br />
dei turchi. Infatti volevano vendere al<br />
ricercatore molti più ulivi di quanti non<br />
ce ne fossero sulla collina costringendolo<br />
a pagare un ingente somma che il<br />
tedesco rifiutò indignato.<br />
<strong>La</strong> fortuna aiutò invece Sir Arthur<br />
4
Evans, archeologo e in quel periodo direttore dell'Ashmolean Museum di Oxford,<br />
che incominciò scavi sistematici nel 1900, seguito dal suo assistente, l'archeologo<br />
inglese D. Mackenzie, che teneva anche il diario di scavo, dopo la proclamazione<br />
dell'autonomia dell'isola. Verso la fine del 1903 quasi tutto il palazzo era scoperto e<br />
la ricerca procedette nei dintorni. Evans continuò così fino al 1931, con<br />
un'interruzione durante la prima guerra mondiale. Più tardi pubblicò la sua opera<br />
The Palace of Minos at Knossos, in quattro volumi.<br />
Fin dall'inizio i monumenti scoperti avevano bisogno di restauro. Così certe parti del<br />
palazzo sono state restaurate e in questi lavori fu usato il cemento armato in<br />
abbondanza. Le parti che corrispondevano a costruzioni in legno furono all'inizio<br />
dipinte in giallo (oggi il colore giallo è sostituito). Inoltre, copie dei meravigliosi<br />
affreschi trovati durante gli scavi sono<br />
state collocate ai posti originali.<br />
Questo metodo di restauro è stato<br />
criticato da molti a causa dell'utilizzo<br />
di materiali estranei all'architettura<br />
minoica. Altri scienziati hanno<br />
contestato certi risultati di Evans. A<br />
parte tutto ciò, la intuizione,<br />
l'immaginazione creativa e la profonda<br />
conoscenza scientifica di Evans sono<br />
sempre state ammirate. In<br />
grandissima parte si deve a lui la<br />
scoperta dello splendore del mondo<br />
<strong>minoico</strong>, che fino alla sua epoca si<br />
rifletteva solo nella mitologia greca.<br />
Dopo la sua morte, gli scavi di Cnosso,<br />
che continuano fino a oggi, sono stati<br />
intrapresi dalla Scuola Archeologica<br />
Inglese.<br />
Come gli altri palazzi di Creta, anche<br />
quello di Cnosso costituiva il centro<br />
politico, religioso ed economico<br />
dell'impero marittimo <strong>minoico</strong> e<br />
possedeva inoltre un carattere sacro. Il<br />
palazzo ricopriva una superficie di<br />
22.000 m 2 , era a più piani e a pianta<br />
molto complessa ed intricata.<br />
5<br />
Fig. 8/9 – Ricostruzione della cosiddetta<br />
sala del Trono del palazzo di Cnosso<br />
come si presentava nella fase micenea;<br />
Affresco dal palazzo di Cnosso con<br />
taurocapsia.<br />
Il "secondo palazzo" fu costruito all'inizio del XVI secolo a.C. Il palazzo di Cnosso era<br />
costruito intorno ad un cortile in terra battuta dove si esibivano dei gin nasti che<br />
volteggiavano sui tori, animale sacro per i cretesi, sfidando la morte come i<br />
gladiatori del Colosseo. Il palazzo era così grande e la trama era così complessa che<br />
viene menzionato come labirinto nel mito del filo di Arianna.<br />
<strong>La</strong> zona più famosa della città è la cosiddetta «Strada Reale», che va dall'Area del<br />
Teatro, nell'angolo nord-occidentale del tempio, al Santuario della Testa Taurina<br />
(o «Piccolo Palazzo»), che si trova a 200 metri di distanza in direzione ovest nordovest.<br />
E una tipica strada minoica di Cnosso, con una corsia centrale, larga 1,4<br />
metri, composta da due file di grandi lastre rettangolari di pietra. Ai lati ci sono<br />
due corsie di livello leggermente inferiore, più strette e fatte di pietre di minori dimensioni<br />
prive di una forma definita. Non sappiamo come venissero utilizzate le<br />
tre corsie durante il periodo <strong>minoico</strong>, ma la differenza di livello potrebbe indicare<br />
che la corsia centrale era mantenuta asciutta quando pioveva, facendo defluire<br />
l'acqua verso le corsie laterali.
Il Palazzo di Cnosso (come tutti i grandi palazzi scoperti sino ad oggi a Creta)<br />
disponeva di una grande Corte Centrale rettangolare, orientata grossomodo da<br />
nord a sud e lunga 45 metri per 25. Le testimonianze spingono a ritenere che la<br />
Corte Centrale fosse il luogo destinato alla taurocatapsia, Doveva esistere un<br />
gruppo di atleti-danzatori che eseguiva una serie di esercizi spettacolari e<br />
pericolosi a beneficio di un vasto pubblico. <strong>La</strong> folla di spettatori raffigurata<br />
nell'affresco della Tribuna sta quasi sicuramente assistendo a una rappresentazione<br />
di taurocatapsia, e nel Santuario Tripartito ci sono testimonianze<br />
inequivocabili sul fatto che era la Corte Centrale il luogo deputato a tali cerimonie.<br />
Alcuni atleti distraevano il toro facendo salti mortali nella corte lastricata. Mentre<br />
l'attenzione dell'animale era sviata, un acrobata poteva accostarsi a un fianco del<br />
toro e saltare dall'altra parte. Altri membri del gruppo, si precipitavano sulle corna<br />
del toro, coprendole con il proprio corpo e facendo abbassare il capo all'animale.<br />
A quel punto un altro atleta, il saltatore, poteva tuffarsi tra le corna atterrando con<br />
le mani e la testa sulla schiena del toro, la spinta del salto gli faceva poi compiere<br />
l'ultimo movimento della giravolta, e l'acrobata atterrava in piedi alle spalle del<br />
toro.<br />
Non sappiamo se anche le gare di lotta e di pugilato raffigurate sul rhyton di<br />
Haghia Triada, in un affresco in miniatura di Tilisso e su alcuni sigilli, facessero<br />
parte o meno dello stesso tipo di festa. A giudicare dal contesto in cui appaiono,<br />
hanno tutte le caratteristiche di lotte rituali. Le taurocatapsie minoiche sono<br />
sempre state oggetto di controversia, e secondo molti studiosi non ebbero mai<br />
realmente luogo. Tuttavia, se interpretate in un certo modo, le opere d'arte ci<br />
permettono di ricostruire una serie di esercizi acrobatici credibili.<br />
Piuttosto significative sono poi le sale a pilastri; sotto il pavimento delle cripte a<br />
pilastri dell'Ala Occidentale di Cnosso erano depositate le ceneri di animali<br />
sacrificati, mentre sui pilastri stessi era inciso varie volte il simbolo della doppia<br />
ascia. Le cripte erano troppo piccole per richiedere un pilastro centrale a sostegno<br />
del soffitto, perciò l'unica ipotesi possibile per giustificare la sua presenza è il<br />
significato simbolico. Secondo Ferguson il pilastro era una<br />
rappresentazione stilizzata dell'albero sacro. Le pietre<br />
erano oggetto di culto in antichità, e forse in esse echeggia<br />
il ricordo di credenze ancora più antiche di quelle dei<br />
costruttori di megaliti. L'Antico Testamento racconta che<br />
Giacobbe innalzò una pietra nel punto dove aveva avuto<br />
una visione mistica, poi la venerò e la unse d'olio. I<br />
pavimenti sottostanti molti pilastri presentano incavature<br />
rettangolari, segni di una probabile offerta di liquidi per<br />
libagioni.<br />
Una vasta area del palazzo era occupata da un complesso<br />
di magazzini, utilizzati per contenere l'enorme volume di<br />
offerte e tributi donati dai cittadini e dagli abitanti delle<br />
campagne circostanti. Infatti, una delle funzioni principali<br />
dei templi minoici era l'amministrazione e la<br />
ridistribuzione di tali tributi.<br />
Nei palazzi vi erano inoltre piccole sagrestie e camere di sicurezza<br />
dove venivano conservati gli articoli di culto<br />
preziosi; vestiboli dove le sacerdotesse si preparavano alle<br />
cerimonie indossando le vesti rituali; refettori per<br />
sacerdoti, sacerdotesse, iniziandi e inservienti del tempio;<br />
aree dove veniva servito il cibo; e cucine.<br />
Di fronte alla Corte Occidentale, e davanti alla quale<br />
avevano luogo grandi feste religiose pubbliche che univano<br />
Fig. 10 – Il famoso rython a testa il tempio alla città. Come ha intuito con perspicacia Nanno<br />
taurino scoperto nel palazzo di Cnosso<br />
Marinatos, le caratteristiche architettoniche comuni delle<br />
Corti Occidentali di Cnosso, Festo e Mallia evidenziano un<br />
utilizzo di tali aree per le feste agricole. Ciascuna Corte Occidentale era dotata di<br />
grossi granai cilindrici e, a giudicare dal singolare schema di strade rialzate e<br />
lastricate, i granai e l'ingresso del tempio erano molto importanti.<br />
Le entrate dei palazzi non davano molto nell'occhio. Cnosso aveva setto o otto<br />
ingressi, tutti diversi tra loro, e tutti poco appariscenti. Gli ingressi portavano a<br />
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corridoi che, seguendo percorsi più o meno tortuosi, arrivavano alla Corte Centrale.<br />
Forse nelle svolte e nelle deviazioni di questi corridoi era celato un senso magicoreligioso.<br />
Gli architetti minoici intendevano produrre un effetto di sconcerto,<br />
solennità e disorientamento. <strong>La</strong> loro intenzione era creare un'esperienza narrativa in<br />
cui il pellegrino 0 l'iniziando si ritrovava a percorrere un cammino ricco di sorprese<br />
e incontri inquietanti.<br />
L'approvvigionamento idrico durante le torride estati cretesi deve essere sempre<br />
stato un problema per le città. I Minoici costruivano cisterne o vasche per l'acqua,<br />
che ricoprivano di stucco impermeabile. <strong>La</strong> loro forma era spesso circolare e<br />
avevano, come a Zakro e a Tilisso, rampe di scale per accedere all'interno. Non<br />
sappiamo se oltre a servire per il rifornimento idrico, avessero anche una funzione<br />
rituale. Le città minoiche erano dotate di complessi impianti idraulici. A Cnosso<br />
c'erano fognature coperte per trasportare via i liquami, costruite con lastre di<br />
pietra. Le acque piovane venivano portate giù dal tetto attraverso i pozzi di luce in<br />
modo da spazzare via i liquami dai tre gabinetti dell'Ala Orientale. Il manufatto<br />
della sala per le vestizioni era probabilmente un supporto per caraffe d'acqua.<br />
L'acqua veniva versata attraverso il foro nel pavimento vicino alla porta d'ingresso<br />
del gabinetto. Un canale sotterraneo collegava il foro al tubo di scarico verticale<br />
che si trovava sotto il sedile del gabinetto. In questo modo<br />
chi utilizzava il gabinetto o un servo fuori della porta<br />
potevano far sì che i liquami fossero spazzati via persino<br />
d'estate in assenza di piogge.<br />
C'erano anche tubature d'argilla, formate da singoli tubi<br />
conici con sp<strong>org</strong>enze laterali che potevano essere collegati<br />
l'uno all'altro. Era un sistema molto ingegnoso che<br />
permetteva di posare le tubature in linea retta o formando<br />
curve, in modo non dissimile dagli scivoli per i detriti<br />
dell'edilizia moderna. Secondo Evans i tubi d'argilla<br />
venivano utilizzati per portare l'acqua all'interno del<br />
palazzo di Cnosso. Tuttavia è molto improbabile che sia<br />
così, poiché il sito si trova su una collinetta ed era<br />
necessario superare una pendenza contraria. Si è ipotizzata<br />
anche la presenza di un effetto sifone, ma in tal caso tutte le<br />
tubature avrebbero dovuto essere a tenuta d'aria, cosa<br />
estremamente improbabile. In alternativa, forse le tubature<br />
attraversavano le valli provenendo da zone più elevate e<br />
lontane per mezzo di acquedotti alti, di cui non è rimasta<br />
traccia.<br />
Evans ricostruì nell’entrata Est un complesso sistema di<br />
scarico delle acque pluviali. Un canale scoperto di argilla<br />
scendeva da un lato della scalinata del labirinto. Su ciascun<br />
pianerottolo una piccola vasca di decantazione rettangolare<br />
fungeva da pozzetto. Canali di scolo più consistenti erano<br />
installati in pozzi di luce, cantine o cortili, noti come la<br />
Stanza dello Scolo di Pietra e la Corte della Grondaia di<br />
Pietra. L'acqua attraversava scoli in pietra scoperti per una<br />
lunghezza totale di 25 metri, e da lì defluiva in uno scarico verticale<br />
In molti punti del <strong>La</strong>birinto di Cnosso l'ossatura di rinforzo in legno era adottata<br />
sia nei muri in pietra che in quelli in pietrisco, perciò probabilmente davvero<br />
serviva ad aumentare la resistenza ai terremoti.<br />
Negli edifici più importanti, come i templi, venivano utilizzati pezzi di pietra<br />
levigata, tagliati con lunghe seghe di bronzo, soprattutto per le sezioni di muro a<br />
vista. Sulla Facciata Occidentale di Cnosso e Festo vi era un'ulteriore rifinitura<br />
muraria, costituita da una fila di grossi blocchi alla base. Il resto del muro<br />
rientrava di uno o due centimetri in modo da mettere in evidenza la rifinitura. A<br />
Mallia, la fila inferiore sp<strong>org</strong>eva a tal punto dal resto del muro da formare un<br />
gradino che poteva essere usato come panca. <strong>La</strong> struttura muraria arrivava fino<br />
alla sommità del piano terra, mentre i piani superiori, qualunque fosse il loro<br />
numero, probabilmente erano costruiti con mattoni di fango. Talvolta i mattoni di<br />
fango misuravano 50 x 40 x 12 centimetri e venivano utilizzati per costruire intere<br />
case, ma di solito il piano terra era in pietra e con i mattoni si facevano i piani<br />
superiori e le pareti divisorie (tav. 8) .<br />
Fig. 11 – Riproduzione di rilievo su sigillo<br />
<strong>minoico</strong> con rappresentazione di sacra<br />
processione in prossimità di un corridoio di<br />
palazzo con merlatura a corno taurino.<br />
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Le colonne sostenevano pesanti soffitti o<br />
travi di legno, che talvolta arrivavano a 5 metri<br />
di lunghezza, ma in genere erano più corte. Ad<br />
esempio, alcune travi della Tomba dèl Tempio<br />
avevano una sezione di 50 centimetri quadrati.<br />
Creta era ricca di legname, che veniva<br />
utilizzato in abbondanza nelle case e nei<br />
templi. I Minoici costruivano i tetti piatti<br />
stendendo rami e arbusti trasversalmente alle<br />
travi e aggiungendovi strati di terra e di argilla<br />
pressata. I tetti degli edifici più prestigiosi invece<br />
venivano rivestiti col cemento.<br />
I pavimenti potevano essere anche in terra<br />
battuta, oppure fatti con assi di legno o con<br />
lastre di pietra. C'erano anche camere i cui<br />
pavimenti erano rivestiti con tecniche miste,<br />
con un bordo in pietra, pannelli di stucco<br />
Fig. 12 – Il famoso disco di Kernos venuto in luce presso dipinto e un affresco al centro.<br />
il cortile del Palazzo di Festo<br />
A Cnosso anche le pareti e il soffitto di alcune<br />
stanze erano stuccati con forme in rilievo,<br />
talvolta astratte, come le spirali del Settore Nord, talvolta figurative, come quelle<br />
della Liberazione del Toro nel Corridoio di Ingresso Nord o dell'affresco della<br />
Tauromachia nell'Ala Orientale.<br />
1.4 - Il palazzo di Màllia.<br />
Il primo palazzo di Malia fu costruito tra il 2000 a.C. e il 1900 a.C. Questo fu<br />
distrutto nel 1700 a.C. e ricostruito nel 1650 a.C. nello stesso luogo del precedente e<br />
seguendone fedelmente il piano. Nel 1450 a.C. anche il nuovo palazzo fu distrutto<br />
insieme agli altri centri minoici di Creta forse in occasione di una penetrazione<br />
micenea. Il sito fu occupato per un breve periodo nel XIII secolo a.C.<br />
Gli scavi furono intrapresi dall'archeologo Chatzidakis nel 1915 sulla collina Azymo<br />
ed ebbero il merito di portare alla luce l'ala occidentale del palazzo e tombe lungo la<br />
costa. Più tardi fu la scuola archeologica francese di Atene ad iniziare ricerche<br />
accentrate nella zona del palazzo, del villaggio circostante e nelle necropoli della<br />
costa. I reperti sono esposti al museo archeologico di Iraklion ma una piccola parte<br />
di essi si trova al museo archeologico di Aghios Nikolaos. Le rovine del Nuovo<br />
palazzo, cui si accede attraverso una strada pavimentata intersecata da numerosi<br />
sentieri, le cosiddette vie processionali, sono oggi le meglio conservate.<br />
Ogni fianco del palazzo aveva un'entrata. Il cortile centrale del palazzo aveva un<br />
altare al centro e portici ai lati. L'ala occidentale del palazzo era dedicata al culto e vi<br />
si trovavano gli appartamenti dei dignitari e i magazzini. Il cortile era dominato da<br />
una loggia.<br />
A sud e a sud ovest si trovavano i diversi ambienti del tesoro reale. Ad est le cucine e<br />
i magazzini dove venivano riposte le<br />
giare dell'olio e del vino.<br />
Al lato nord che era quello più corto<br />
del cortile c'era la sala ipostila a due<br />
fila di tre colonne preceduta da<br />
un'anticamera. Sopra vi era una sala<br />
di uguali dimensioni che forse era<br />
adibita a banchetti. Ad est vi era un<br />
corridoio che connetteva il cortile<br />
centrale con quello nord circondato<br />
da laboratori e magazzini.<br />
Il cimitero del palazzo era dislocato<br />
in grotte della costa a nord est. <strong>La</strong><br />
più importante di queste grotte era<br />
quella di Chrysolakko che ha<br />
Fig. 13 – Ricostruzione grafica della rampa di scale che dava accesso al<br />
Palazzo di Màllia. Si notino i basamenti lapidei delle mura in mattoni<br />
con traverse lignee e la presenza di un propileo colonnato all’accesso.<br />
8<br />
restituito il famoso gioiello delle api<br />
sulla goccia di miele, oggi esposto al<br />
museo archeologico di Iraklio.<br />
I Minoici facevano sempre offerte
alle loro divinità, poiché l'offerta era parte integrante del loro sistema di credenze.<br />
Talvolta i tavoli delle offerte avevano diversi tipi di incavi sulla superficie. Tra<br />
questi kernoi, il più famoso è quello rotondo di pietra rinvenuto proprio nel<br />
tempio di Mallia, che veniva utilizzato per la panspermia, cioè la mescolanza di<br />
semi di vario tipo offerti alla divinità insieme ad altri prodotti agricoli. Anche<br />
durante il periodo classico vigeva una pratica simile: minime quantità di grano,<br />
orzo, avena, lenticchie, fagioli, olio, latte, vino, miele, semi di papavero e lana di<br />
pecora erano offerte all'interno di piccole tazze. Probabilmente nella cavità centrale<br />
del kernos di Mallia veniva posto un dolce fatto con vari tipi di frutta.<br />
Talvolta nei vecchi monasteri cretesi si trova ancora un oggetto di concezione<br />
simile a quella del kernos <strong>minoico</strong>, costituito da un candeliere e da boccette in cui<br />
si mettono grano, vino e olio. Alcune pratiche minoiche sono sopravvissute fino in<br />
tempi moderni, ma l'uso del kernos era già antico quando fu adottato dai Minoici,<br />
che lo ereditarono dai loro avi neolitici.<br />
1.5 - Abitazioni comuni. Conosciamo la forma e l'altezza delle case delle città<br />
minoiche grazie a svariate piastre in avorio e in ceramica. Forse in origine le<br />
placche di ceramica scoperte da Evans nell'Ala Orientale del <strong>La</strong>birinto di Cnosso<br />
erano unite a incastro, in modo da raffigurare una città attaccata dagli invasori,<br />
come quella del rhyton dell'assedio ritrovato a Micene. Grazie a esse possiamo<br />
farci un'idea dell'aspetto delle case di Cnosso nel diciassettesimo secolo a.C. Sul<br />
tetto piatto avevano una stanza, che forse fungeva da camera da letto nelle calde<br />
notti d'estate e ricorda quelle simili presenti in alcune case egizie. II primo piano<br />
era dotato di finestre, mentre il piano terra ne era sprovvisto. Partendo dall'ipotesi<br />
che l'immagine nel suo insieme rappresenti un attacco nemico, secondo Evans le<br />
case raffigurate facevano parte di mura difensive esterne, e per questo erano<br />
sprovviste di porte o finestre al piano terra. In effetti,<br />
in varie piastre le case hanno porte ma non finestre<br />
al piano terra. Forse l'assenza di finestre era una<br />
semplice misura di sicurezza, una precauzione<br />
contro i furti. Su una piastra di avorio di periodo<br />
posteriore è raffigurata una casa con strette finestre<br />
a feritoia ai lati della porta.<br />
Le pareti delle case e dei templi avevano un'ossatura<br />
di travi orizzontali, collegate a intervalli regolari da<br />
piedritti e traversine, e fissate alle pareti e<br />
probabilmente tra loro per mezzo di paletti di legno.<br />
Questa era una tecnica comune nella Creta minoica,<br />
come si vede nelle piastre in ceramica e nelle rovine<br />
degli edifici stessi, ad esempio sul muro<br />
settentrionale del cosiddetto «Atrio del Seggio di<br />
Pietra» nel <strong>La</strong>birinto di Cnosso e nella Stanza 11<br />
della Casa A, a Tilisso. Secondo alcuni, grazie a<br />
Fig. 14 – Ricostruzione grafica del tipico<br />
ambiente abitativo regale di età micenea, il<br />
“megaron”. Ambienti di questo tipo sono stati<br />
identificati nelle fasi di ristrutturazione del<br />
Palazzo di Festo e di Mallia.<br />
questa ossatura di legno, di cui non conosciamo lo<br />
scopo esatto, le mura acquisivano quella combinazione<br />
di forza e flessibilità necessaria per<br />
sopportare i terremoti.<br />
1.6 - Il Pantheon <strong>minoico</strong>-miceneo.<br />
Potnia Thèron (Athena): Nelle tavolette degli archivi, la Magna Mater viene<br />
chiamata Potnia, cioè la Signora. A Cnosso ci sono offerte dedicate alla Signora del<br />
<strong>La</strong>birinto. In seguito, durante il periodo classico, il nome divenne un titolo<br />
onorifico attribuito a donne di alto rango, ma in origine era il nome proprio della<br />
principale dea minoica.<br />
Potnia sopravvisse nel suo aspetto di dea domestica, protettrice di famiglie e città,<br />
trasformandosi in Atena, Rea ed Era. A Cnosso, c'è addirittura un caso in cui il<br />
nome Potnia è connesso all'epiteto a-ta-na. Nella tavoletta incompleta<br />
V52+52b+8285, che è stata riassemblata unendo tre frammenti, vi è una serie di<br />
dediche, tra cui quelle di offerta agli dei Posidone e Paiawon, che era un<br />
antesignano di Apollo. Non sappiamo quale fosse il significato dell'epiteto a-ta-na,<br />
9
ma è probabile che uno degli appellativi della dea minoica fosse appunto Atena.<br />
Secondo John Chadwick, la forma della parola Atena fa pensare a un nome<br />
geografico pregreco, perciò può darsi che Atena fosse la dea Potnia adorata in un<br />
luogo chiamato Atene, o con un altro nome simile. Durante il periodo classico,<br />
Atena divenne la dea guerriera, protettrice della città greca che portava il suo<br />
nome. E presumibile che un millennio prima la sua personalità e il suo ruolo<br />
fossero meno definiti.<br />
Probabilmente il simbolo di Potnia era la doppia ascia, mentre altri suoi simboli<br />
forse erano il pilastro e il serpente, che ha la propria tana nelle crepe del terreno e<br />
quindi era un simbolo naturale della madre Terra.<br />
Zeus: Dato che la dea non poteva morire, chi rappresentava la morte annuale e la<br />
rinascita era un giovane spirito simbolo, una divinità minore che assumeva il ruolo<br />
di figlio e consorte della dea, e incarnava l'importante principio di discontinuità<br />
presente nella natura. In epoca minoica, questo dio rimase subordinato alla sua<br />
dea, ma alla fine divenne molto più importante con il nome di Zeus. Sembra che il<br />
suo nome <strong>minoico</strong> originario, Velcanos, si sia preservato fino al periodo classico<br />
come uno dei titoli attribuiti a Zeus sull'isola di Creta, dove Zeus Velcanos era<br />
conosciuto anche come Curos, il Fanciullo. Velcanos era soggetto alla dea e veniva<br />
sempre raffigurato in atteggiamento di venerazione.<br />
Dea del mare: Un anello aureo ritrovato nel Porto di Mochlos mostra una dea<br />
che naviga su una barca, con un altare sul ponte di poppa alle sue spalle, ma<br />
potrebbe anche trattarsi di una sacerdotessa che portava un santuario<br />
trasportabile da una località costiera a un'altra.<br />
L’anello di Minosse offre un'ulteriore testimonianza a sostegno della tesi secondo<br />
cui esisteva un culto costiero, per il quale erano necessari santuari fissi e santuari<br />
trasportabili, traghettati lungo la costa dalle sacerdotesse. Forse le divinità<br />
venivano trasportate da navi che circumnavigavano l'isola, in modo da descrivere<br />
un cerchio magico di protezione divina attorno ad essa. Può darsi che l'idea di<br />
queste dee che navigavano per i mari abbia dato origine alla più antica versione<br />
conosciuta della leggenda di Arianna, secondo la quale ella fu rapita e portata nella<br />
lontana isola di Dia, dove poi morì.<br />
Signora degli animali o Artemide: <strong>La</strong> Signora degli<br />
Animali Selvatici o Regina delle Belve Feroci era una dea<br />
cacciatrice libera e casta, un'antesignana preclassica di<br />
Artemide e Diana. Il suo dominio era terrestre ed era<br />
costituito dalle colline e dalle montagne dove gli animali<br />
selvatici per sfamarsi dipendevano dalla sua protezione.<br />
Forse la dea era adorata nei santuari di montagna, in cui,<br />
come sappiamo, venivano accese delle pire. In periodo<br />
posteriore anche per il culto di Artemide sulle montagne si<br />
accendevano falò. Nel panteon classico, questa dea<br />
sopravvisse con pochi cambiamenti. Persino il suo nome<br />
<strong>minoico</strong>, Britomarti, ossia «Dolce Vergine», sembra<br />
risuonare in forma leggermente semplificata nel nome<br />
greco di Artemide.<br />
Britomarti aveva un compagno maschio chiamato il<br />
Signore degli Animali, che non sappiamo se fosse il<br />
figlio, il fratello 0 il consorte. Nell'iconografia, sia il<br />
Fig. 15 – Gemma minoica rappresentante la Signore che la Signora degli Animali sono serviti da una<br />
“Signora del Animali”<br />
coppia di animali, oppure camminano accompagnati da un<br />
leone o da una leonessa.<br />
<strong>La</strong> Dea delle Caverne minoica era associata alla nascita dei bambini e agli<br />
inferi. Forse nel suo ruolo di madre Terra era il prototipo di Rea, ma nel<br />
quattordicesimo secolo a.C., i Minoici la chiamavano Ilitia. Negli archivi del<br />
tempio di Cnosso si fa riferimento a lei, ma, per quanto ne sappiamo, il suo<br />
santuario più vicino era la Caverna di Eileithyia ad Amnisos.<br />
Secondo Nilsson, doveva esserci anche una Dea degli Alberi. Probabilmente<br />
erano considerate sacre varie specie di alberi. Alexis ritiene che l'albero sacro del<br />
Sarcofago di Haghia Triada fosse un ulivo. L'ulivo è un albero che vive a lungo e<br />
sembra indistruttibile, poiché germoglia su un tronco secco, contorto e in<br />
apparenza inerte, che riprende vita ogni anno per la fruttificazione. Forse i Minoici<br />
consideravano sacri determinati alberi sui cui rami si posavano gli uccelli, che<br />
10
itenevano manifestazioni delle divinità. Vi era<br />
probabilmente un legame tra il culto degli alberi e<br />
il carattere sacro dei pilastri.<br />
Sovente, i fedeli minoici tagliavano rami dagli<br />
alberi sacri e li veneravano sugli altari, oppure li<br />
piantavano nell'incavo interposto tra le corna di<br />
consacrazione. Talvolta attorno agli alberi sacri<br />
costruivano dei santuari, salvaguardati da steccati<br />
di legno o da un muro di pietra, e ai quali si<br />
accedeva per mezzo di porte doppie. Durante<br />
alcune cerimonie, un servo, sovente di sesso<br />
maschile, tagliava un ramo dall'albero sacro,<br />
accompagnato dai lamenti della sacerdotessa e<br />
delle altre persone presenti. Questa scena di<br />
lamentazione è raffigurata su svariati anelli e forse<br />
simboleggiava la morte del giovane dio, pertanto<br />
poteva essere seguita dal sacrificio del giovane<br />
servo, che rappresentava il dio. L'anello di Mochlos<br />
mostra un albero sacro che fuoriesce dal santuario<br />
traghettato sulla nave della sacerdotessa.<br />
Un'altra divinità degli inferi minoici era la Dea dei Serpenti. I serpenti vivono<br />
nelle crepe del terreno, perciò simboleggiano in modo semplice e intuitivo la vita<br />
sotterranea. Due figurine ritrovate a Cnosso rappresentano la dea che brandisce i<br />
suoi serpenti. Le figurine della Dea dei Serpenti, ritrovate in un santuario a<br />
Kannia, avevano serpenti attorcigliati attorno alla corona; in una di esse la dea<br />
aveva i serpenti anche sulle braccia, oltre ad avere una colomba sulla guancia. Se,<br />
come suggerisce questa testimonianza, le divinità minoiche tendevano a fondersi<br />
tra loro, identificarle con sicurezza è ancora più difficile.<br />
Poteidon (Poseidone): Durante il periodo miceneo, in Grecia il dio principale<br />
era Posidone, un nome derivato da una forma<br />
più antica, forse di origine minoica: Poteidan<br />
o Potidas. In quel periodo, il potere di<br />
Posidone era di gran lunga maggiore rispetto<br />
a quello di Velcanos: il dio riceveva offerte<br />
sacrificali su vasta scala a Pilo, e forse anche<br />
nella Creta minoica era una delle divinità<br />
principali. In una tavoletta di Cnosso sono<br />
elencate varie divinità tra cui Potnia ed<br />
Enialio, nome che in seguito venne utilizzato<br />
come epiteto di Ares, il dio della guerra greco.<br />
E presente anche la prima parte del nome di<br />
Posidone, po-se-da, ma purtroppo ne manca<br />
la fine, poiché la tavoletta è rotta. <strong>La</strong><br />
manifestazione sotterranea di Posidone<br />
prendeva la forma di terremoti e maremoti;<br />
l'aspetto terrestre aveva la forma di un toro;<br />
quello celeste erano il sole e la luna. Di tanto<br />
in tanto si trovano riuniti gli ultimi due<br />
aspetti. A Micene è stato rinvenuto un rhyton<br />
a forma di testa taurina, con sulla fronte una<br />
Fig. 16 – Sigillo aureo di età minoica<br />
rappresentante le sacerdote del tempio presso un<br />
virgulto vegetale (a sinistra) e in compianto presso<br />
un altare (A destra).<br />
borchia aurea o un sole raggiato. Il rhyton a<br />
testa taurina ritrovato a Cnosso aveva<br />
intagliato sulla fronte, nella pietra nera, un<br />
disco di minori dimensioni, che forse<br />
simboleggiava anch'esso il disco solare. Il Dio<br />
Toro era il Dio del Sole, ed era anche colui che scuoteva la Terra. Nelle tavolette<br />
era chiamato Poteidan, e talvolta re Posidone, Signore della Terra. Poteva<br />
assumere forme differenti e aveva svariate identità diverse<br />
Dioniso: Come abbiamo già visto, le danze erano parte integrante di cerimonie<br />
che portavano alla manifestazione delle divinità. Su alcuni anelli è raffigurato il<br />
completo abbandono delle sacerdotesse alla danza, che quindi veniva utilizzata per<br />
indurre uno stato di estasi mistica, proprio come le danze dei dervisci. Sappiamo<br />
11<br />
Fig. 17 – Statua in terracotta<br />
restaurata scoperta nel santuario<br />
della dea dei Serpenti di Cnosso<br />
(oggi al Museo di Iraklion)
che poco dopo la fine del periodo <strong>minoico</strong> <strong>cretese</strong>, a Pilo vigeva il culto di Dioniso,<br />
perciò è possibile che questo culto <strong>org</strong>iastico sia stato preceduto a Creta da un<br />
culto protodionisiaco.<br />
Forse lo stato euforico veniva indotto dall'uso di birra, vino o droghe. Sin da tempi<br />
molto antichi in Anatolia si coltivava il papavero, che fu senza dubbio introdotto<br />
anche a Creta in epoca minoica. Su un sigillo <strong>minoico</strong> è raffigurata una dea con in<br />
mano tre capsule di papavero. <strong>La</strong> famosa figurina di dea ritrovata in un piccolo<br />
santuario rurale a Gazi porta un diadema decorato con tre capsule di papavero rese<br />
con grande precisione, e tagliate proprio come si fa per l'estrazione dell'oppio.<br />
Questa figurina, opportunamente soprannominata «<strong>La</strong> Dea dei Papaveri», risale al<br />
1350 a.C. L'alcol doveva essere usato per stimolare le danze <strong>org</strong>iastiche, mentre<br />
l'oppio serviva a intensificare gli stati meditativi ottenenti nei lunghi periodi di<br />
veglia e di preghiera che gli antichi chiamavano «incubazione». Forse queste<br />
trance indotte dall'oppio portavano a stati di coscienza ispirati, che in parte<br />
possono spiegare il linguaggio visionario dell'arte religiosa minoica, oltre a<br />
chiarire fino a un certo punto le incredibili realizzazioni architettoniche dei<br />
costruttori dei templi.<br />
1.7 - Simboli sacri.<br />
Corna di toro: Grazie al grado di stilizzazione raggiunto, le corna di<br />
consacrazione potevano essere poste da sole su un altare e fungere da fulcro rituale<br />
del luogo, oppure essere disposte in fila sul cornicione del tetto di un tempio,<br />
formando un parapetto ornamentale di guglie.<br />
I rhyton di periodo successivo, a forma di testa taurina, probabilmente erano usati<br />
per le libagioni del sangue di tori sacrificati. Ed è l'attenzione rivolta al sangue, allo<br />
spargimento di sangue, la caratteristica più inquietante della personalità minoica.<br />
Bipenne: Il simbolo religioso che si associa maggiormente alla cultura minoica è<br />
probabilmente la doppia ascia. Alcune<br />
erano costruite con una lamina bronzea<br />
molto sottile, altre in piombo o in pietra<br />
morbida, talvolta avevano dimensioni molto<br />
grandi, talvolta molto piccole. Le lame<br />
potevano essere decorate in modo<br />
elaborato, e in alcuni casi avevano un filo<br />
doppio che le trasformava in asce<br />
quadruple. Esse fecero per la prima volta la<br />
loro apparizione a Mochlos durante il<br />
Minoico Antico II, intorno al 2500 a.C. Può<br />
sembrare strano che né a Cnosso né a Festo<br />
siano state ritrovate doppie asce bronzee di<br />
grande dimensioni, ma ciò probabilmente è<br />
dovuto ai saccheggi subiti da queste città in<br />
tempi antichi. Tuttavia, nel <strong>La</strong>birinto sono<br />
Fig. 18 – Sigillo <strong>minoico</strong> rappresentante sacerdotesse<br />
presso un albero sacro (una porta un virgulto) in<br />
corrispondenza di un altare c on ascia bipenne. In alto si<br />
riconoscono il disco del sole e della luna, simboli di Potedon.<br />
state ritrovate basi in pietra di forma<br />
piramidale che venivano utilizzate per<br />
doppie asce di medie dimensioni, e ciò<br />
dimostra che erano disposte in ogni parte<br />
dell'edificio, proprio come i crocifissi in una<br />
chiesa.<br />
Un affresco rinvenuto nell'angolo nord-occidentale del <strong>La</strong>birinto di Cnosso ci offre<br />
la testimonianza di una pratica votiva in cui piccole doppie asce venivano infisse ai<br />
lati di colonne lignee. Secondo Evans era una pratica analoga a quella compiuta<br />
nella caverna inferiore di Psychrò, dove le doppie asce venivano infisse nelle<br />
fenditure delle stalattiti. Questa tesi ha dei risvolti interessanti. Infatti gli affreschi<br />
e gli arredi del Santuario del Trono servivano a creare un'atmosfera e un ambiente<br />
simili a quelli del santuario di montagna del Monte Iouktas, e forse anche i pilastri<br />
che sostenevano il soffitto volevano imitare le stalattiti della caverna sacra di<br />
Skotino . E come se le sacerdotesse avessero voluto accogliere nel labirinto l'intero<br />
panteon <strong>minoico</strong>, attraendovi anche le divinità che dimoravano in santuari di zone<br />
remote.<br />
12
Non sappiamo quale fosse il significato della doppia ascia. Talvolta sulle ceramiche<br />
minoiche, la doppia ascia è dipinta sopra la testa di un toro, perciò è possibile che<br />
venissero utilizzate per il sacrificio dei tori.<br />
Pilastri: Evans fu uno dei primi a comprendere che i pilastri isolati venivano<br />
ritenuti idoli. Esistono varie immagini, che sono senza alcun dubbio icone, nelle<br />
quali è raffigurato un pilastro isolato protetto da una coppia di animali araldici. A<br />
Micene, accanto al pilastro ci sono i grifoni, che nella Creta minoica erano i servi<br />
della dea Potnia. Sempre a Micene si trova il famoso Cancello dei Leoni, su cui è<br />
raffigurato un pilastro ai cui lati stanno i leoni, installato su un<br />
altare in stile <strong>minoico</strong>. A Creta, i servi di Potnia erano leoni o<br />
grifoni, perciò il pilastro rappresenta la dea Potnia, la Signora<br />
degli Animali.<br />
Nodo sacro: Un altro importante simbolo religioso era il nodo<br />
sacro, costituito da una striscia di tessuto decorato, con un<br />
vistoso nodo al centro, e due estremità sfrangiate che<br />
pendevano in modo simile alle moderne cravatte. Ne sono stati<br />
ritrovati modelli in avorio o in faenza a Cnosso, Zakro e Micene.<br />
Il nodo sacro è raffigurato pure in un affresco del tempio di<br />
Niru Khani, oltre che sulla cosiddetta «Parigina», un frammento<br />
di affresco ritrovato a Cnosso. <strong>La</strong> sacerdotessa,<br />
probabilmente una delle officianti di un rito di sacra comunione,<br />
porta il nodo dietro la nuca. Altri frammenti di questo<br />
affresco mostrano alcune officianti in piedi, che offrono il calice<br />
della comunione ad altre sedute.<br />
Secondo Mark Cameron, il nodo sacro indicava l'appartenenza<br />
della donna a un uomo, era un simbolo del matrimonio sacro<br />
collettivo cui dovevano sottoporsi tutti i giovani per concludere<br />
la propria iniziazione. Forse era così, ma l'iconografia di cui<br />
disponiamo non ci fornisce un numero sufficiente di testimonianze<br />
a sostegno di questa tesi. Più probabilmente il<br />
nodo simboleggiava il legame tra la sacerdotessa evocatrice e la<br />
divinità o era un mezzo magico per legare a sé gli dèi.<br />
Scudi: Talvolta le divinità portano la spada, la lancia o lo<br />
scudo. Altre volte questi oggetti appaiono da soli, come a<br />
indicare la presenza simbolica della divinità. Sulle pareti<br />
dell'Ala Orientale del <strong>La</strong>birinto erano raffigurati grossi scudi a<br />
forma di otto, forse per indicare la protezione divina che<br />
avvolgeva l'edificio. Le pelli chiazzate degli scudi erano con<br />
tutta probabilità pelli di toro, l'animale sacro, e tale origine ne<br />
accresceva il potere protettivo. Su alcuni vasi rituali erano infatti dipinti scudi. Un<br />
simbolo meno importante era la croce, con le sue varianti, come la stella, la ruota e<br />
la svastica.<br />
Uccelli: Sembra che anche altre divinità avessero lo stesso potere, e tra esse ce<br />
n'era almeno una che si manifestava con la forma di un uccello. Sul sarcofago di<br />
Haghia Triada sono raffigurati uccelli posati su una doppia ascia, segno della<br />
presenza di una divinità. Anche il modello in argilla della sacerdotessa<br />
sull'altalena, sempre proveniente da Haghia Triada, mostra degli uccelli sui pali<br />
dell'altalena, come se l'atto stesso del dondolio meditativo avesse portato alla<br />
manifestazione della divinità. In un santuario di Haghia Triada, insieme a gli idoli<br />
della dea furono rinvenuti svariati uccellini di terracotta. <strong>La</strong> figurina ritrovata nel<br />
Santuario della Dea delle Colombe, a Cnosso, mostra un uccello posato sulla testa<br />
della dea.<br />
Forse c'era un collegamento tra l'idea dell'apparizione divina in forma di uccello e<br />
il culto degli alberi sacri: gli uccelli discendevano dal cielo come manifestazioni o<br />
messaggeri degli dèi e si posavano sugli alberi, rendendoli sacri, poiché l'atto<br />
implicava che gli dèi stessi avevano scelto l'albero come proprio santuario.<br />
Fig. 19 – affresco dal Palazzo di<br />
Cnosso rappresentate una<br />
fanciulla con il caratteristico nodo<br />
in stoffa sulla schiena Per la sua<br />
bellezza, l’immagine è stata<br />
battezzata “la parigina”.<br />
1.8 – Templi.<br />
Piccoli templi attorno agli alberi: È probabile che i luoghi sacri di minor<br />
importanza avessero contorni piuttosto indistinti: si trattava di pretino santificati<br />
da un'antica apparizione divina, ormai persa nella memoria, che non erano<br />
separati in modo visibile dal paesaggio circostante. Possiamo immaginare che<br />
13
talvolta il bordo del precinto fosse segnato da bassi e rozzi muretti a secco, oppure<br />
da cippi confinari o da mucchietti di pietre di delimitazione. I precinti sacri più<br />
importanti, invece, dovevano essere delimitati da mura più imponenti.<br />
Probabilmente è uno di questi ad essere raffigurato sul rhyton di Gypsades. Il culto<br />
degli alberi sacri, di cui abbiamo parlato prima, portò alla costruzione di mura di<br />
recinzione attorno a singoli alberi o a gruppi di alberi che si riteneva fossero stati<br />
visitati dalle divinità. Ci sono vari anelli e impronte di sigilli su cui è raffigurato un<br />
muro alto con doppio cornicione sormontato da corna di consacrazione, oppure<br />
uno steccato alto che circonda un albero. Talvolta all'interno dei recinti, che<br />
potevano essere di dimensioni molto piccole, s<strong>org</strong>evano edifici adibiti al culto.<br />
I Minoici volevano soprattutto vedere i loro dèi. In qualche modo si doveva riuscire<br />
a far apparire le divinità davanti ai fedeli, e tale apparizione poteva assumere<br />
molte forme diverse. Gli dèi e le dee potevano apparire in forma di massi, alberi,<br />
uccelli, serpenti o pilastri, ma di sicuro l'apparizione di maggior impatto emotivo<br />
era quella in forma umana. In epoca posteriore,<br />
i fedeli attendevano fiduciosi che<br />
Artemide di Efeso apparisse all'interno di<br />
finestre costruite a questo scopo nella parte<br />
alta del frontone del tempio. Probabilmente<br />
una sacerdotessa assumeva il ruolo di<br />
Artemide, divenendo una manifestazione<br />
della dea. All'epoca in cui fu costruito il<br />
famoso Tempio di Artemide, intorno al 600<br />
a.C., questo rito era già in uso da molto<br />
tempo, essendo stato pratica corrente in<br />
Anatolia, Siria, Mesopotamia ed Egitto.<br />
Secondo la persuasiva ipotesi di Nanno<br />
Marinatos, le finestre per le apparizioni<br />
venivano utilizzate durante i riti minoici ad<br />
Akrotiri, sull'isola di Tera, perciò è molto<br />
probabile che fossero in uso anche nella<br />
stessa Creta. Inoltre, gli architetti che<br />
Fig. 20 – Sarcofago in calcare stuccato e dipinto dal sito di<br />
Haghia Triada. Tre sacerdotesse (una forse un eunuco)<br />
portano offerte a sinistra presso due piloni sormontati dal<br />
labrys presso un cratere; a destra ulteriori offerte sono<br />
condotte verso un tempio davanti a cui sembra di poter<br />
riconoscere l’epifania di una divinità avvolta in un pesante<br />
mantello di lana.<br />
progettarono il tempio di Artemide ad Efeso<br />
erano originari di Cnosso. Chersifrone e suo<br />
figlio Metagene erano cresciuti con le mura<br />
cadenti del <strong>La</strong>birinto di Cnosso davanti agli<br />
occhi. Al primo piano dei templi minoici<br />
probabilmente c'erano finestre per le<br />
apparizioni, che si aprivano sulla Corte<br />
Centrale e sulla Corte Occidentale.<br />
1.8.2 - Il tempietto di Anemospilia e i sacrifici umani.<br />
Il tempietto di Anemospilia s<strong>org</strong>eva sulle pendici settentrionali del Monte Iouktas,<br />
sulla punta della cresta che sovrasta l'area di Cnosso. I suoi tre santuari<br />
rettangolari erano disposti sul lato a monte di una sala lunga 10 metri, in cui<br />
venivano preparati i sacrifici e dove si trovavano altri altari. Nel santuario centrale,<br />
su un piccolo altare era installato un idolo ligneo a grandezza naturale. Ai suoi<br />
piedi, una bassa protuberanza rocciosa usciva dal pavimento. Probabilmente era<br />
una roccia sacra su cui veniva versato il sangue delle libagioni. Nel santuario a<br />
nord, su un altare cubico che fungeva da tavolo sacrificale sono stati ritrovati i resti<br />
di un ragazzo diciassettenne con le gambe tirate su. L'analisi delle ossa ha<br />
dimostrato che dalla parte superiore del corpo era stato fatto defluire il sangue.<br />
Accanto a lui è stato rinvenuto un lungo pugnale bronzeo con incisa una testa di<br />
cinghiale, adesso esposto nel museo di Iraklion, con cui probabilmente gli era stata<br />
tagliata la gola.<br />
Nei pressi sono stati trovati gli scheletri di tre persone coinvolte nell'omicidio<br />
rituale del ragazzo. Una di loro forse stava trasportando un recipiente con dipinto<br />
sul lato un toro chiazzato di giallo. I resti di questo scheletro, maschile o<br />
femminile, erano nella sala, all'esterno della porta del santuario centrale dove<br />
stavano l'idolo e la roccia sacra. Forse si trattava di un inserviente del tempio, che<br />
recava nel santuario centrale un vaso col sangue del ragazzo appena sacrificato, in<br />
modo da fare una libagione di sangue. Tuttavia proprio in quell'attimo l'edificio<br />
14
crollò, seppellendo la vittima e i suoi assassini. Un altro uomo, di costituzione<br />
robusta, sui trent'anni, era steso supino accanto al ragazzo, sul pavimento. Era un<br />
uomo d'alto rango, a giudicare dall'anello d'oro e d'argento, forse un sacerdote, che<br />
aveva appena sacrificato il ragazzo, pochi minuti prima che crollasse l'edificio.<br />
Nelle vicinanze c'era anche il corpo di una donna anemica, probabilmente una<br />
sacerdotessa.<br />
Fig. 21/22 – Ricostruzione proposta dagli archeologi dell’ultima fase di abbandono del<br />
tempio di Anemospilia distrutto da un potente evento sismico / vduta delle rovine<br />
archeologiche.<br />
Gli autori del ritrovamento, Yannis ed Efi Sakellarakis, hanno tratto l'inevitabile<br />
deduzione che una catastrofe imminente avesse spinto sacerdoti e sacerdotesse del<br />
Santuario di Anemospilia a offrire un sacrificio umano. Stavano cercando di<br />
propiziare le divinità degli inferi, forse lo stesso Poteidan, quando un forte<br />
terremoto fece crollare il tetto del santuario. A giudicare dalla data, il 1700 a.C.<br />
circa, si doveva trattare dello stesso terremoto che causò la distruzione del Primo<br />
Tempio di Cnosso.<br />
Le gambe della vittima sono piegate, con i piedi attaccati alle natiche, e dovevano<br />
essere state legate in questa posizione. Non sappiamo in che modo il ragazzo abbia<br />
affrontato il proprio destino. Forse, come sostiene l'etnologo dr. Kostantinos<br />
Romaios, era figlio del sacerdote o della sacerdotessa e accettò il proprio fato per<br />
obbedienza filiale. Oppure era un fanatico religioso che si offrì volontario per il<br />
sacrificio, o era stato drogato, sopraffatto e sacrificato con la forza.<br />
Sacrifici umani probabilmente erano parte integrante dei riti religiosi minoici,<br />
anche se finora la scoperta di Anesmopilia è l'unica testimonianza archeologica a<br />
riguardo. Forse persino negli archivi del tempio sono registrati esseri umani offerti<br />
in sacrificio alle divinità. Sulla tavoletta di Cnosso Gg 713 c'è una dedica al dio<br />
seguita da un'offerta umana: «A Marineus, una serva». Altrove si trova un elenco<br />
di nomi di uomini, seguito dalla dedica: «Alla Casa (cioè al santuario) di Marineus,<br />
dieci uomini». Forse ricchi proprietari di schiavi offrivano come tributi uomini<br />
affinché servissero il tempio, ma è altrettanto possibile che offrissero persone da<br />
sacrificare su altari come quello di Anemospilia.<br />
1.9 – Struttura giuridica del mondo micoico-miceneo<br />
Le tavolette in scrittura lineare B offrono visioni fugaci di divinità, funzionari e<br />
burocrati del XIV secolo a.C. Dato che alcuni titoli di funzionari sono stati ritrovati<br />
sia a Pilo, in Grecia, sia a Cnosso, si può ipotizzare che la società minoica avesse<br />
una struttura abbastanza simile a quella di Pilo. L'esistenza a Pilo e a Cnosso di un<br />
re o wauax è riscontrabile per via di alcuni accenni sulle tavolette, ma al di là di<br />
questo si può dire ben poco. L'aggettivo «reale» viene utilizzato riferendosi a certi<br />
artigiani, quali un follature reale e un vasaio reale a Pilo, e persino a ceramiche e<br />
tessuti di Cnosso. A Micene non vi è alcun riferimento a un re o all'aggettivo<br />
«reale». Tuttavia, per quanto di rado, la parola «reale» era comunque in uso a<br />
Cnosso, il che ci porterebbe a presumere l'esistenza di un re, anche se forse si<br />
trattava di una figura in ombra, di una figura di secondo piano dominata dalla<br />
classe sacerdotale e da altri funzionari. I grandi complessi templari di Cnosso,<br />
Festo, Mallia e Zakro erano senza dubbio importanti centri amministrativi,<br />
15
economici e politici ed è probabile che ciascuno di essi avesse il proprio sovrano.<br />
Secondo la tradizione greca classica Minosse governava Creta insieme ai suoi<br />
fratelli Radamanto e Sarpedonte; re Minosse veniva associato a Cnosso, re<br />
Radamanto a Festo e re Sarpedonte a Mallia. E probabile che la Creta mediominoica<br />
fosse una libera confederazione di città-stato, ciascuna con il proprio<br />
sovrano e spesso con il proprio grande complesso templare. Dopo la distruzione<br />
del 1470 a.C., fu ricostruito solo il tempio di Cnosso, e ciò implica una<br />
concentrazione politica oltre che religiosa nel Nuovo Periodo Templare; sembra<br />
che il potere di Cnosso in quell'epoca si estendesse in tutta la parte centrale di<br />
Creta, lasciando indipendenti solo l'estremità occidentale e quella orientale.<br />
Una tavoletta rinvenuta a Cnosso elenca i nomi di uomini assegnati a due<br />
funzionari cui viene dato il titolo di ga-si-re-wija. Potrebbe trattarsi della parola<br />
guasileus, che in seguito sarebbe divenuta la parola omerica basileus, un altro<br />
nome per indicare il re. Ai tempi <strong>minoico</strong>-micenei, il guasileus doveva essere una<br />
figura meno elevata del re, ma comunque importante, forse un capo locale.<br />
Non è chiaro se questi capi fossero funzionari agli ordini di un re oppure re a loro<br />
volta. Nell'insieme viene da pensare che si trattasse di comandanti locali, meno<br />
importanti di un sovrano: probabilmente ogni centro minore, come Haghii Teodori,<br />
Kanli Kastelli, Arkhanes e Pyrgos-Myrtos aveva il proprio guasileus.<br />
Tuttavia, il leader di maggior rilievo, il lawagetas,<br />
letteralmente «il capo del popolo», apparteneva a<br />
una classe superiore a quella del guasileus. Come<br />
risulta dall'Iliade, la parola equivalente a «popolo»<br />
si riferisce spesso al «popolo schierato per la<br />
battaglia» o alla «milizia guerriera», quindi c'è chi<br />
ha dedotto che il titolo <strong>minoico</strong>-miceneo designasse<br />
il comandante dell'esercito. Tuttavia le tavolette<br />
non confermano questa interpretazione: non vi è<br />
nulla, eccetto la connotazione acquisita<br />
posteriormente dalla parola «popolo», che metta in<br />
relazione il lawagetas con il comandante<br />
dell'esercito. Egli potrebbe essere stato il<br />
comandante del popolo in senso politico anziché<br />
militare, una specie di primo ministro agli ordini<br />
del wanax o forse persino un presidente, nel caso in<br />
cui il wanax fosse un personaggio solo<br />
rappresentativo che appariva durante le cerimonie.<br />
Fig. 23 – Sigillo aureo <strong>minoico</strong> rappresentante una<br />
scena di Taurocapsia.<br />
A Pilo le proprietà del lawagetas erano<br />
considerevolmente più piccole di quelle del re,<br />
sebbene gli fossero assegnati o at tribuni dei<br />
fornitori.<br />
Per quanto riguarda le proprietà terriere, i telestai, dei quali sembra vi fosse un<br />
cospicuo numero, avevano la stessa importanza del lawagetas. Dapprincipio<br />
Ghadwick riteneva che il loro ruolo fosse cultuale, ma poi giunse alla conclusione<br />
che si trattava semplicemente di uomini in possesso di vaste estensioni di terra, e<br />
per questo motivo divenuti potenti politicamente. Ma nella Grecia di epoca più<br />
tarda, il telestes aveva a che fare con il culto e i riti, quindi si può supporre che anche<br />
i telestai minoici e micenei fossero importanti autorità religiose.<br />
Un altro funzionario che aveva un ruolo religioso di qualche tipo era il klawiphoros.<br />
Questo «portatore di chiavi», di cui abbiamo notizia da Pilo, era spesso o forse<br />
sempre una donna. Nella Grecia classica «reggitrice di chiavi» era sinonimo di<br />
sacerdotessa, quindi può darsi che anche i portatori di chiavi minoici e micenei<br />
fossero sacerdotesse. Data la dimensione e la complessità dei templi minoici e la<br />
grande quantità di oggetti di culto, c'è da pensare che i sacerdoti, le sacerdotesse e le<br />
altre autorità religiose avessero un ruolo preminente nella gerarchia sociale.<br />
Attorno al wanax di Pilo vi era un importante gruppo di cortigiani conosciuti come<br />
equetai (e-qe-to nelle tavolette) o «seguaci». Presumibilmente erano la cerchia di<br />
nobili prossimi al sovrano, cui fornivano sostegno, protezione e compagnia, ed è<br />
probabile che operassero anche a capo dell'amministrazione e come comandanti<br />
militari. Secondo le tavolette, i “seguaci” di Pilo avevano schiavi, abiti particolari e<br />
ruote, cioè carri, il che implica un rango elevato o un ruolo militare, o entrambi. I<br />
Seguaci di Cnosso, secondo J.T. Hooker, avevano un ruolo di supervisori, ad<br />
16
esempio nella produzione tessile, cosa che sicuramente implica un rango meno<br />
elevato. D'altra parte, la distinzione fatta nelle tavolette tra il «tessuto per<br />
l'esportazione» e il «tessuto per i seguaci» potrebbe essere interpretata ,in modo<br />
differente: può darsi che per via della loro alta qualità alcuni tessuti fossero<br />
riservati alla produzione di abiti per l'aristocrazia. In ogni caso le nostre<br />
conclusioni devono essere caute e provvisorie.<br />
A Pilo, e forse anche a Creta, c'era un altro gruppo di funzionari rurali: i coreteri o<br />
governatori. Non è chiaro in che cosa il ruolo del coretere differisse da quello del<br />
guasileus, ma forse il coretere era un funzionario nominato dall'amministrazione<br />
centrale e assegnato a un determinato distretto, laddove è dato pensare che il<br />
guasileus fosse emanazione del sistema dinastico del clan di un determinato<br />
distretto. Su alcune ceramiche ritrovate a Cnosso compare l'appellativo «reale»,<br />
che forse aveva la semplice accezione di «statale», o addirittura indicava che la<br />
fabbricazione era stata effettuata da vasai alle dipendenze dello Stato. Il re è citato<br />
solo di rado nelle tavolette dell'archivio, che si preoccupano di segnare soprattutto<br />
il tipo di offerte e il santuario o la divinità a cui erano dedicate. Quindi la dimora<br />
del re era situata altrove. Senz'altro esisteva un delicato equilibrio di relazioni tra<br />
la famiglia e l'amministrazione reale da una parte, e i sacerdoti e l'amministrazione<br />
del tempio dall'altra. Forse parte delle derrate offerte al tempio venivano dirottate<br />
con discrezione verso la casa reale. È anche possibile che l'autorità reale dovesse<br />
essere convalidata da quella religiosa, come è accaduto in seguito a molte<br />
monarchie.<br />
1.10 - Scrittura lineare A e lineare B; decifrazione delle tavolette<br />
monoiche.<br />
Le cosiddette tavolette in lineare B - il solo tipo rinvenuto nella Grecia continentale -<br />
sono pezzi d'argilla di forma grosso modo rettangolare, lunghi circa 8 cm. Alcuni<br />
sono molto più larghi, quasi quadrati; altri sono lunghi, stretti e affusolati come una<br />
foglia di palma. Nella polvere e nel fango dello scavo essi possono essere scambiati<br />
per frammenti di rozza ceramica, a parte il fatto che a chi le osservi con attenzione<br />
esse rivelano sopra una faccia alcuni segni incisi.<br />
Sir Arthur Evans fu pioniere che pose le basi per le ricerche sulla scrittura minoica,<br />
riuscendo a dimostrare le varie fasi di sviluppo della scrittura, dai segni geroglifici<br />
scoperti soprattutto sulle gemme e sulle pietre-sigillo cretesi della prima metà del II<br />
millennio (e anche su alcune tavolette), alla versione corsiva e semplificata degli<br />
stessi segni. A questa versione corsiva Evans diede il nome di lineare A: la si trova<br />
iscritta su tavolette, vasi, pietre e oggetti di bronzo. Vi era quindi una scrittura più<br />
recente e progredita, connessa strettamente alla lineare A, che Evans chiamò lineare<br />
B. Non si possono fissare termini cronologici precisi per i periodi in cui furono in uso<br />
queste scritture, ma si può dire che la lineare A fu contemporanea alla scrittura geroglifica<br />
ed iniziò ad essere usata probabilmente dal XVIII secolo, per poi cadere in<br />
disuso, come sembra, all'inizio del XV secolo. <strong>La</strong> lineare B, che è documentata quasi<br />
17
esclusivamente su tavolette, inizia nei primissimi anni del XIV secolo; le tavolette<br />
più recenti si possono datare intorno al 1200 a. C.<br />
Evans accertò alcuni punti fondamentali: che le tavolette erano elenchi o registri di<br />
conti; che si riconosceva chiaramente un sistema numerico; che alcuni segni erano<br />
ideogrammi (cioè raffigurazioni di oggetti), e che gli altri segni erano molto<br />
probabilmente sillabici. Questa affermazione si fondava sul fatto che alcuni gruppi di<br />
segni erano separati da altri con tratti verticali, per cui probabilmente ogni gruppo<br />
rappresentava una parola di altrettante sillabe. Evans non osò spingersi oltre a<br />
queste conclusioni generali.<br />
Fig. 25 – Una tavoletta di lineare B in cui si parla di tripodi e vasi<br />
Uno dei pochi studiosi che si affidò ad un rigoroso metodo di ricerca fu l'americana<br />
Alice E. Kober: Dopo aver accuratamente analizzato i segni della lineare B, la<br />
studiosa fu in grado di dimostrare che si trattava di una lingua flessiva, in cui cioè si<br />
aggiungevano alle parole vari suffissi per indicarne il genere, il numero, ecc. (come<br />
nel latina). <strong>La</strong> Kober noto, ad esempio, che la forma del collettivo per indicare<br />
persone di sesso maschile e una certa serie di articoli era differente da quella usata<br />
per le donne e per un'altra serie di articoli, e che ciò faceva supporre la distinzione di<br />
generi. Ma il suo maggiore contributo alla decifrazione della lineare B fu la<br />
dimostrazione che alcune parole formate da due, tre o più segni sillabici potevano<br />
avere due varianti per l'aggiunta di un segno diverso o la trasformazione del segno<br />
finale (come ad esempio nel latino orator, oratoris, oratori…Fra i linguisti queste<br />
variazioni sono conosciute come "Triadi della Kober”. Tra i pochi che seguirono un<br />
metodo rigoroso d'indagine vi fu anche Emntett L. Bennett. II suo maggior<br />
contributo, oltre che nel chiarimento del sistema di pesi e misure usato nella<br />
scrittura, consiste nella classificazione ordinata di tutti i segni della lineare B. <strong>La</strong><br />
divisione dei segni in due gruppi, ideografici e sillabici, fu perfezionata successivamente,<br />
dopo uno studio minuzioso delle varianti ortografiche (ben sappiamo<br />
che anche gli scribi commettevano errori), egli fu in grado di ridurre il numero dei<br />
segni sillabici a 90.<br />
C'era una traccia preziosa, ma anche il pericolo di commettere errori, nell'affrontare<br />
il problema della decifrazione. A Cipro si era trovata una scrittura simile che fu<br />
chiamata ciprominoica. Le tavolette ivi rinvenute sono poche e di esse la più antica si<br />
dice che risalga all'XI secolo e che riveli certe affinità con la lineare A. Di queste<br />
tavolette sono da notare soprattutto due caratteristiche: che erano state cotte in<br />
forno e che si era usato per la scrittura uno stilo non appuntito. <strong>La</strong> tecnica è perciò<br />
diversa da quella delle altre tavolette e più strettamente legata a quella delle <strong>civiltà</strong><br />
orientali. Ciò non sorprende se si considera la posizione geografica di Cipro.<br />
Dall'VIII al III-lI secolo a.C. fu usata nell'isola un'altra scrittura, la cipriota classica,<br />
che è chiaramente in rapporto con la lineare B. Nella maggior parte dei casi, se non<br />
in tutti, la lingua era greca. Questo rendeva possibile la decifrazione. Sette dei detti<br />
segni sono simili o assimilabili alla lineare B; i valori fonetici del sillabario cipriota<br />
sono noti. I segni rappresentano una vocale o una consonante più vocale. Ma<br />
essendo questa una scrittura sillabica e non alfabetica, presentano delle difficoltà<br />
delle parole con due o più consonanti consecutive o una parola che termina per<br />
consonante. Secondo questa scrittura, "condor" si dovrebbe sillabare co-no-do-re.<br />
Procedendo nella lettura, la vocale finale di -re non si dovrebbe pronunciare, come<br />
anche la o di -no-; esse si dovrebbero infatti considerare come vocali "morte". Ma la<br />
scelta del segno sillabico -no (fra i cinque segni sillabici inizianti per n, e cioè: -na -<br />
no, -ni, -no, -nu) è dovuta - e si deve adattare - alla vocale del segno sillabico<br />
successivo: il questo caso la “o” di -do. Così la parola "stella" si dovrebbe sillabare.<br />
se-te-la-la. Un'altra complicazione del sillabario cipriota è che la N davanti a<br />
consonante non si scrive. "(Contralto" risulterebbe co-ta-ra-lo-do. Da questi esempi<br />
18
isulta chiaro che questo sillabario, che costituirebbe un sistema goffo di scrivere<br />
l'italiano, non è da meno per il greco. <strong>La</strong> parola anthropos (uomo) si scrive infatti ata-ro-po-se.<br />
Poiché in greco un gran numero di parole termina in s, e poiché il segno<br />
sillabico cipriota -co è identico ad uno dei segni della lineare B, si dimostra<br />
facilmente se quest' ultima poteva considerarsi o meno una lingua greca. Si vede<br />
però che nella scrittura lineare B il segno -se risultava di rado in fine di parola. <strong>La</strong><br />
conclusione naturale fu perciò che questa lingua non era il greco.<br />
L'essenziale lavoro già svolto dalla Kober e da Bennett fu di grandissimo aiuto a<br />
Ventris. A questo punto egli portò un nuovo elemento per affrontare il problema<br />
della decifrazione: una certa conoscenza della crittografia. In teoria si può penetrare<br />
il segreto di qualsiasi codice se si ha sufficiente materiale per lavorarvi. Un'analisi<br />
accurata dei dati rivelò una serie di motivi ricorrenti e di schemi dissimulati.<br />
Abbiamo già visto quelli rilevati dalla dottoressa Kober. Ventris riuscì ad aggiungere<br />
nuove preziose osservazioni. Sulla base del materiale a sua disposizione,<br />
notevolmente accresciuto in seguito alla pubblicazione (nel 1951) della trascrizione<br />
di Bennett delle tavolette rinvenute a Pilo nel 1939, lo studioso compilò una serie di<br />
tavole statistiche che segnalavano la frequenza assoluta di ciascun segno e quella<br />
relativa alla sua posizione. Poté dedurre - con la collaborazione, in usato caso, di<br />
Bennett e dello studioso greco Kristopoulos - che tre segni erano probabilmente<br />
vocali poiché ricorrevano soprattutto all'inizio di gruppi di segni. Un suffisso fu<br />
identificato (in via provvisoria) con la congiunzione "e" usato come il -que latino.<br />
Altre variazioni di flessione furono rilevate in parole identificabili come sostantivi.<br />
Poiché alcune di queste ricorrevano insieme con gli ideogrammi che indicavano<br />
uomo e donna, se ne concluse che in questi casi la flessione riguardava il genere<br />
anziché il caso.<br />
I dati relativi, messi insieme, furono sistemati da Ventris in una tavola, da lui<br />
chiamata "griglia" costantemente riveduta e modificata, che in una delle ultime<br />
stesure consisteva, in linea generale, in 15 righe di consonanti e in 5 colonne di vocali.<br />
Poiché non si conosceva né il valore delle consonanti né quello delle vocali,<br />
queste furono indicate semplicemente con numeri. Nelle 75 caselle che ne<br />
risultavano furono collocati i segni sillabici più frequenti della lineare B (51 su un<br />
totale di circa 90), secondo i dati statistici rilevati. Se il sistemi era corretto e i dati<br />
giustamente interpretati, i segni compresi nella stessa colonna dovevano avere la<br />
medesima vocale e quelli sulla stessa riga dovevano cominciare con la stessa<br />
consonante. Una volta stabiliti i valori fonetici, anche di pochi segni sillabici, la<br />
griglia avrebbe automaticamente rivelato anche il valore degli altri.<br />
Abbiamo già detto che sette segni del sillabario cipriota si possono paragonare a<br />
segni della lineare B; era lecito quindi fare una prova con il valore fonetico cipriota<br />
di questi segni. In una fase avanzata della ricerca, quando la decifrazione sembrava<br />
avvicinarsi a una soluzione, Ventris decise di provare le sue proposte sulla base del<br />
valore fonetico dei segni ciprioti. Da ciò concluse, in base alla posizione costante di<br />
alcuni gruppi di segni nelle tavolette, che tali gruppi rappresentavano nomi di<br />
località. Effettuo allora alcune prove con alcuni nomi di antichi centri. Per le<br />
tavolette di Crosso, scelse taluni nomi cretesi conosciuti in età classica o ricordati da<br />
19<br />
Fig. 26 - Confronto tra<br />
l’alfabeto cipriota classico<br />
e quello della scrittura<br />
lineare B <strong>cretese</strong>.
Omero, ossia Cnosso stessa, Amniso (una vicina città portuale) e Tilisso, che furono<br />
riconosciuti nelle seguenti ortografìe sillabiche: ko-no-so, a-mi-mi-so, tu-ri-so.<br />
Ventris si era già reso conto che r e l erano intercambiabili, come avviene in molte<br />
lingue, fra cui l'antico egizio. Rispetto al cipriota una sensibile differenza è<br />
rappresentata dalla .s finale, che qui non si scrive. Allo stesso modo l,m,n,r,s sono<br />
tralasciate in fine di parola o quando precedono un'altra consonante. Altre regole di<br />
ortografia, rilevate con la decifrazione, non corrispondono a cipriote.<br />
Fig. 27– la famose triplette della Kober<br />
Benché promettenti, i risultati di tali indagini non fornivano ancora nessun indizio<br />
circa la lingua che si celava dietro questa scrittura. Ventris ipotizzò che si trattasse<br />
dell'etrusco e sino alla fine tentò di risolvere il problema in questo senso. Fu soltanto<br />
per una frivola digressione (sono parole sue) che nella fase finale del processo di<br />
decifrazione provò con il greco. Con sua grande sorpresa tutte le tavolette<br />
interpretate con l'aiuto del greco acquistarono un senso. Quella attestata nello<br />
lineare B doveva esserne una forma molto arcaica perché in uso ben cinque secoli<br />
prima di Omero (e il greco di Omero è anch'esso arcaico). Se dunque la lingua era<br />
greca, quei testi in lineare B si dovevano cogliere molti di questi arcaismi omerici.<br />
Pressappoco nello stesso periodo in cui Ventris era giunto alla soluzione del<br />
problema della lineare B, a Pilo si era dissotterrata una tavoletta che avrebbe<br />
confermato in pieno la validità del suo sistema. Si trattava di una delle 400 tavolette<br />
scoperte durante gli scavi del 1952 da Blegen, e da lui ripulite ed esaminate ad Atene<br />
all'inizio dell'anno successivo. Egli provò il sillabario di Ventris su molte di queste<br />
tavolette, e ottenne, su una in particolare, risultati sorprendenti. Si trattava di una<br />
tavoletta contenente un inventario di tripodi e di vari tipi di vasi, alcuni con quattro<br />
anse, altri con tre, altri senza; i diversi ideogrammi usati nei vari casi ne rendevano<br />
evidente il significato. Ogni ideogramma era preceduto da una descrizione e, sebbene<br />
il significato di ogni parola non fosse di per sé evidente, ad alcuni, e non ad altri,<br />
si potevano dare, sulla base del sillabario di Ventris, i seguenti valori fonetici: ti-ripo,<br />
qu-to-ro-ve, ti-ri-o-ve. Soltanto la parola ti-ri-po appare con il segno del tripode.<br />
Secondo la regola ortografica già indicata, è chiaro che si tratta della parola greca<br />
tripo(tripode). O-ve che compare nelle altre parole citate, significa "fornito di<br />
orecchie" e la parola "orecchio", usata comunemente in greco per indicare l'ansa di<br />
un vaso, si trova più sopra associata con quetro (in greco tetra, in latino quattuor),<br />
tri (come in tripos), e an- , il prefisso negativo greco (cioè senza anse). Non poteva<br />
trattarsi di una semplice coincidenza se queste parole erano associate soltanto con<br />
gli ideogrammi a cui si riferivano. Con ciò si stabilì la fondamentale validità della<br />
decifrazione della lineare B come una forma arcaica del greco.<br />
Se oggi è comunemente accettato che la lingua della lineare B sia quella greca,<br />
dobbiamo peraltro ammettere che i documenti scritti fin qui disponibili sono limitati<br />
tanto nel numero come nel contenuto. Essi consistono per lo più di inventari ed<br />
elenchi: inventari di provvigioni, di bestiame e di prodotti agricoli; elenchi di<br />
uomini, donne e bambini. Per questi ultimi gruppi, gran parte del testo è colmo di<br />
nomi propri e di professioni. Almeno il 65% dei vari gruppi di segni è costituito da<br />
nomi propri, che si possono in parte confrontare con quelli noti nell'antichità<br />
classica. Circa 200 sono quasi certamente nomi di località, anche se molte di queste<br />
non sono più identificabili. Le tavolette fin qui studiate, circa 3500, ci hanno fornito<br />
complessivamente un vocabolario di 630 parole, di cui circa il 40% con una buona<br />
dose di sicurezza. Il numero di testi contenenti frasi abbastanza lunghe è limitato, e<br />
di conseguenza è limitata anche la nostra conoscenza della grammatica e della<br />
sintassi. Si tratta in genere di tavolette relative a carri, possedimenti terrieri e mobilio.<br />
Grazie alla loro interpretazione possiamo dire che, sebbene alcuni dettagli<br />
siano ancora oggetto di discussione, le linee generali dell'economia micenea sono<br />
abbastanza chiare.<br />
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Letture consigliate:<br />
- Alexiou S., Minoan Civilization, (sesta edizione)<br />
- Gordon Childe V., Il progresso nel mondo antico, (1949)<br />
- Logiadou Platonos S., Cnosso. <strong>La</strong> <strong>civiltà</strong> minoica, (senza indicazione di data)<br />
- Vassilakis A., Creta minoica. Dal mito alla storia, (2001)<br />
- Sakellaraki Eve, Creta minoica, Vision<br />
- Castleden Rodney, I giorni di Creta. Vita quotidiana nell'età minoica, ECIG<br />
- Facchetti Giulio M.; Negri Mario, Creta minoica. Sulle tracce delle più antiche scritture<br />
d'Europa, Olschki<br />
- Iozzo Mario, Il palazzo di Cnosso a Creta, Bonechi<br />
- Farnoux Alexandre, Cnosso e l'arte minoica, Electa Gallimard<br />
- Castleden Rodney, Il mistero di Cnosso, ECIG<br />
- Damiani Indelicato Silvia, Piazza pubblica e palazzo nella Creta minoica, Jouvence<br />
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