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Argentovivo - dicembre 2009 - Spi-Cgil Emilia-Romagna

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via Dolorosa e lui mi parlava delle stazioni<br />

della croce, in quel momento questo Cristo<br />

è diventato molto presente, dentro, come<br />

se questa figura della mia infanzia poi<br />

venisse fuori in un modo incredibilmente<br />

vivo. Non so come dire. Molto presente,<br />

molto pregnante.<br />

In realtà questa cosa mi ha sconvolto. Questa<br />

sorta di illuminazione spirituale mi ha<br />

sconvolto e ho detto: “Questo è il mio prossimo<br />

progetto perché adesso voglio capire<br />

dove sto io, qual è il rapporto dell’uomo<br />

con Dio”. Volevo capire dove stavo. Per la<br />

Chiesa, per tutto quello che significa in<br />

termini di riti, ho sempre avuto un po’<br />

un rifiuto e continuo ad averlo, nel senso<br />

che adesso mi ritengo cristiana ma molto<br />

a modo mio. Però la figura del Cristo per<br />

me, concretamente (fra l’altro mi chiamo<br />

Cristina), è essenziale. È una cosa molto<br />

intima mia, non la condivido con nessuno.<br />

Quello che importa è ciò che mi comunica<br />

questa figura (non per forza deve essere<br />

esistito). Non ho bisogno di pregare, non<br />

ho bisogno di pensare al Cristo perché in<br />

realtà il Cristo, in qualche modo, agisce su<br />

di me. Possiamo dirlo in un altro modo: il<br />

Cristo mi ispira a fare il mio lavoro. Il mio<br />

lavoro è il Cristo, è la mia spiritualità. Non<br />

posso separare le due cose e non mi interessa<br />

neanche.<br />

Recentemente poi ho scoperto che in realtà<br />

l’artista è una sorta di Cristo, nel senso<br />

che utilizza la sua sofferenza per il bene<br />

della comunità. La figura del Cristo, per<br />

l’artista, è dunque una figura essenziale.<br />

Infatti non a caso molti pittori si sono raffigurati<br />

nella veste di Cristo.<br />

Io non ho bisogno di mettermi a pregare<br />

e fare un rituale. Io ho bisogno di essere<br />

a contatto con la gente e lì trovo il Cristo,<br />

lì trovo tutto quanto. Ti faccio un esempio:<br />

quando vado a fare dei laboratori in carcere,<br />

sento che mi è facile seguire quelle parole<br />

dei Vangeli che, ogni tanto, mi metto a<br />

leggere. Ma non ne ho neanche bisogno. Il<br />

Cristo c’è e basta.<br />

Oltre tutto, vedi, porto questa cosa al collo:<br />

sono preghiere musulmane, è una sorta<br />

di … non dico portafortuna, è di mia figlia<br />

in realtà. Mia figlia è musulmana perché<br />

I temi della memoria<br />

suo padre è senegalese musulmano e io<br />

sono stata… non sposata (non ci siamo<br />

mai sposati), però ero come la seconda<br />

moglie e questo in quel momento mi stava<br />

bene (…).<br />

Inoltre ho scoperto di avere anche radici<br />

ebraiche, quindi questa separazione tra<br />

le religioni, delle persone in base alla religione,<br />

proprio non la capisco. Penso che<br />

sia una separazione che si sono inventati i<br />

potenti, le persone che vogliono separarci<br />

gli uni dagli altri. E renderci ostili. Non la<br />

capisco proprio perché in realtà tutte le<br />

religioni hanno la loro poetica e, se leggi i<br />

testi che parlano di spiritualità, che siano<br />

ebraici, o cristiani, o musulmani, o induisti,<br />

o buddisti … tutte le religioni hanno<br />

qualcosa di speciale, hanno qualcosa da<br />

dirti. L’essenza è solo positiva. Io, davvero,<br />

non capisco la separazione tra religioni.<br />

Anzi, sull’Islam … io porto questo ciondolo<br />

al collo, questo libro di preghiere, proprio<br />

perché l’Islam è etichettato come qualcosa<br />

di negativo. Io porto questo non perché io<br />

condivida concretamente quella religione,<br />

infatti su molte cose non sono d’accordo.<br />

Vedo ad esempio che le donne in Senegal<br />

non possono guardare l’uomo più grande<br />

negli occhi e certo questo non posso condividerlo.<br />

Non le condivido, però lo porto<br />

proprio perché è una religione dannata da<br />

tutto il nostro mondo. Se io fossi andata in<br />

Iran avrei portato una croce. Non è tanto<br />

una questione di provocazione, ma una<br />

Kelly Benaim Ishaoula con il marito<br />

questione di unione e di stimolo a pensare,<br />

a riflettere.<br />

Io sento che il mio compito, come artista,<br />

è anche quello di stimolare e di portare<br />

una possibilità di conoscenza, cioè lottare<br />

contro la stagnazione, contro l’ignoranza.<br />

E contro gli steccati. Questa è la mia storia<br />

spirituale, è un lavoro sociale ed è solo un<br />

lavoro sociale. Poi la fonte di questo lavoro<br />

sociale è una relazione particolare con il<br />

Cristo, concretamente, ma anche con tutti<br />

i percorsi spirituali dell’uomo (…).<br />

Per questo vado in carcere a lavorare, perché<br />

queste persone hanno una saggezza<br />

che io non ho. Stanno vivendo un’esperienza<br />

che io non ho mai vissuto, pur avendo<br />

vissuto esperienze estreme. È una esperienza<br />

estrema che le fa estremamente<br />

accoglienti verso la conoscenza. È fantastico.<br />

Le loro reazioni, come loro fanno<br />

… è veramente bello avere a che fare con<br />

loro. Capisco Cristo che va a parlare con i<br />

pubblicani.<br />

Testimonianza raccolta<br />

da Anna Maria Pedretti<br />

Come un giardino colorato<br />

Kelly<br />

Kelly Benaim Ishaoula, nata a Casablanca<br />

(Marocco) nel 1963. È venuta<br />

in Italia nel 1990 per seguire il<br />

<strong>Argentovivo</strong> <strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong><br />

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