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Treccani, il portale del sapere - Facolta' di Scienze Politiche

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Pacifismo<br />

Enciclope<strong>di</strong>a <strong>del</strong> Novecento - stampa<br />

Pacifismo<br />

<strong>di</strong> Mulford Q. Sibley<br />

sommario: 1. Introduzione. 2. Cenno storico. 3. Concetti <strong>di</strong> pacifismo. 4. Basi comuni. 5.<br />

Pacifismo non politico. 6. Pacifismo politico. 7. I punti <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> debolezza <strong>del</strong><br />

pacifismo. a) Critiche. b) Repliche pacifiste. □ Bibliografia.<br />

1. Introduzione<br />

Nell'accezione più ampia <strong>del</strong> termine, <strong>il</strong> pacifismo è una dottrina che propugna la<br />

pacificazione. Un pacifista è un pacificatore. In senso lato, essere pacifista significa<br />

perciò favorire la pacificazione o la composizione <strong>di</strong> conflitti violenti, come per esempio<br />

la guerra. Tutti i vincitori <strong>del</strong> premio Nobel per la pace potrebbero quin<strong>di</strong> essere<br />

considerati pacifisti, come sarebbe possib<strong>il</strong>e ravvisare dei pacifisti in tutti i negoziatori <strong>di</strong><br />

una conferenza internazionale, per esempio V. E. Orlando e W. W<strong>il</strong>son, che<br />

parteciparono alla conferenza per la pace che concluse la prima guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

Analogamente, infine, tutti coloro che tentano <strong>di</strong> por fine a <strong>di</strong>spute personali potrebbero<br />

essere collocati nella stessa categoria.<br />

Ma l'uso dei termini pacifismo e pacifista non è più molto frequente in quest'accezione<br />

generica. Durante <strong>il</strong> XX secolo questi termini sono venuti sempre più designando<br />

dottrine e persone che rifiutano la guerra e la violenza, qualunque ne sia <strong>il</strong> fine. In questo<br />

senso specifico, quin<strong>di</strong>, <strong>il</strong> pacifismo costituisce un complesso <strong>di</strong> idee miranti a <strong>di</strong>fendere<br />

o giustificare - con varie motivazioni - la tesi secondo la quale non è mai legittimo fare la<br />

guerra o usare la violenza nei conflitti tra uomini. Nella sua accezione positiva <strong>il</strong><br />

pacifismo tenta <strong>di</strong> elaborare strategie morali e politiche capaci <strong>di</strong> realizzare efficaci<br />

meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> lotta non violenta. Pacifista è dunque chi propugna, e cerca <strong>di</strong> realizzare, <strong>il</strong><br />

pacifismo nell'accezione sia negativa che positiva <strong>del</strong> termine.<br />

In questo articolo ci interesseremo essenzialmente <strong>del</strong> pacifismo nel senso specifico che<br />

<strong>il</strong> termine è venuto in genere assumendo nel XX secolo. Nel corso <strong>del</strong>la trattazione<br />

risulteranno evidenti i punti <strong>di</strong> contatto e <strong>di</strong> connessione tra <strong>il</strong> pacifismo e molte f<strong>il</strong>osofie,


concezioni e <strong>di</strong>scipline riguardanti la con<strong>di</strong>zione umana, come le credenze religiose, le<br />

teorie etiche, le strategie politiche e la sociologia <strong>del</strong> conflitto. Per prima cosa daremo un<br />

cenno storico, esporremo poi le formulazioni teoriche ed esamineremo infine i punti <strong>di</strong><br />

forza e <strong>di</strong> debolezza <strong>del</strong> pacifismo rispetto ai problemi che l'umanità dovrà affrontare nel<br />

futuro imme<strong>di</strong>ato.<br />

2. Cenno storico<br />

Sebbene <strong>il</strong> nostro interesse vada anzitutto alle teorie e alla prassi dei pacifisti <strong>del</strong> nostro<br />

secolo, <strong>il</strong> pacifismo moderno si fonda su numerose vicende e concezioni <strong>del</strong> passato, con<br />

le quali è inestricab<strong>il</strong>mente intrecciato. Una breve ricognizione <strong>di</strong> questo sfondo storico<br />

sembra quin<strong>di</strong> opportuna.<br />

Secondo alcuni, bisogna vedere un pacifista - o almeno un antim<strong>il</strong>itarista - nel faraone<br />

Ekhnaton, <strong>il</strong> quale durante <strong>il</strong> suo regno (1377-1358 a. C.) fondò una religione<br />

universalista e manifestamente pacifica, e ritirò le guarnigioni egiziane dal Vicino<br />

Oriente (v. Weigall, 1923, p. 202). Il saggio cinese Lao Tzŭ, con <strong>il</strong> suo appello per <strong>il</strong><br />

ritorno al Tao (la ‛Via') sembra a volte aver anticipato concezioni pacifiste. Buddha e<br />

l'imperatore Aśoka (m. 232 a. C.) - sebbene forse non esplicitamente pacifisti -<br />

sostennero idee che presentano affinità con talune concezioni <strong>del</strong> pacifismo o<strong>di</strong>erno. Nel<br />

Vecchio Testamento, vari profeti ammoniscono contro la fiducia riposta nella forza<br />

m<strong>il</strong>itare, giacché la vera forza viene da Dio: ‟Non con la potenza, nè con la forza, ma con<br />

<strong>il</strong> mio spirito", <strong>di</strong>ce <strong>il</strong> Signore (Zaccaria, IV, 6). Nel libro <strong>di</strong> Isaia c'è un passo famoso, nel<br />

quale si pre<strong>di</strong>ce la finale armonia <strong>del</strong> genere umano come <strong>del</strong> regno animale (Isaia, XI,<br />

1-9), e nei versetti <strong>del</strong> ‛servo sofferente' troviamo l'idea, spesso ripetuta in molti scritti<br />

pacifisti <strong>del</strong> Novecento, che attraverso la sofferenza collettiva (in questo caso <strong>del</strong> popolo<br />

d'Israele) <strong>il</strong> mondo raggiungerà la pace e l'armonia (LIII). Alcuni - forse erroneamente -<br />

hanno visto un pacifista anche in Geremia, quando esortava Giuda (v. in particolare<br />

XXVII) a non resistere a Bab<strong>il</strong>onia con la forza <strong>del</strong>le armi.<br />

Nella tra<strong>di</strong>zione greco-romana le idee apertamente pacifiste non occuparono certo un<br />

posto eminente. Non<strong>di</strong>meno Socrate, <strong>di</strong>scutendo con Polemarco, enunciò l'opinione che<br />

non è mai cosa giusta danneggiare un altro essere umano, sia questi amico o nemico<br />

(Repubblica, I, 335 e). La sua opinione che è meglio patire un'ingiustizia piuttosto che<br />

commetterla potrebbe essere fac<strong>il</strong>mente usata a sostegno <strong>di</strong> almeno una certa versione<br />

<strong>del</strong> pacifismo. Quest'insegnamento socratico ci rammenta l'affermazione <strong>di</strong> Camus,<br />

secondo cui è meglio essere vittima che carnefice. Pur non essendo pacifista, lo stoicismo<br />

- con la sua concezione <strong>di</strong> una città universale, nella quale siano superate tutte le<br />

<strong>di</strong>visioni razziali, nazionali e sociali - fornì un motivo importante al pensiero pacifista<br />

futuro (compreso quello <strong>del</strong> Novecento).<br />

I pacifisti religiosi moderni, come anche i non pacifisti, si sono interessati al problema se<br />

Gesù e <strong>il</strong> cristianesimo primitivo possano ricevere la qualifica <strong>di</strong> pacifisti (v. Macgregor,


1960; v. Brandon, 1967; v. Lasserre, 1953; v. Edwards, 1972). Sebbene non siano<br />

tramandati <strong>di</strong>vieti <strong>di</strong> Gesù ai suoi seguaci <strong>di</strong> partecipare a guerre, molti stu<strong>di</strong>osi<br />

ritengono che lo spirito globale <strong>del</strong> suo insegnamento sia avverso all'uso <strong>del</strong>la violenza,<br />

qualunque ne sia lo scopo. Ciò sembra essere particolarmente vero <strong>del</strong> Discorso <strong>del</strong>la<br />

montagna (Matteo, V, 43-44). I racconti <strong>del</strong>la tentazione, inoltre, narrano che Satana<br />

mostra a Gesù tutti i regni <strong>del</strong>la terra, <strong>di</strong>cendogli che possono essere suoi se si prostrerà e<br />

lo adorerà. Gesù ripu<strong>di</strong>a l'offerta, evidentemente perché i regni <strong>del</strong>la terra sono<br />

caratterizzati dalla lotta violenta per <strong>il</strong> potere e la ricchezza (Matteo, IV, 8-10). I pacifisti<br />

o<strong>di</strong>erni citano spesso un altro famoso passo, in cui Gesù riprende uno dei suoi seguaci<br />

per aver mozzato l'orecchio <strong>di</strong> un servo <strong>del</strong> sommo sacerdote: ‟Riponi la spada nel<br />

fodero, perché tutti coloro che prenderanno la spada, moriranno <strong>di</strong> spada" (Matteo,<br />

XXVI, 51-52).<br />

Secondo molti pacifisti moderni, san Paolo sosteneva vedute affini. Egli ammoniva, per<br />

esempio, i suoi contemporanei (ma in verità anche i cristiani <strong>del</strong> nostro tempo) a non<br />

rendere a nessuno male per male (Ai Romani, 7-21).<br />

Stu<strong>di</strong>osi moderni come A. Harnack e C. J. Cadoux hanno mostrato che nel primo e nel<br />

secondo secolo la maggior parte dei cristiani si rifiutava <strong>di</strong> entrare nell'esercito romano a<br />

causa dei suoi principi, adducendo che i soldati uccidevano altri esseri umani in guerra<br />

ed erano spesso obbligati a uccidere persone ree <strong>di</strong> <strong>del</strong>itti. Anche quando i cristiani<br />

cominciarono a prestare servizio m<strong>il</strong>itare, i gran<strong>di</strong> pensatori <strong>del</strong>la Chiesa continuarono a<br />

sostenere, sino al sec. IV, che l'etica pacifista era l'unica compatib<strong>il</strong>e con le credenze<br />

cristiane. Così Origene, nel rispondere allo scrittore pagano Celso, <strong>il</strong> quale aveva accusato<br />

i cristiani <strong>di</strong> rifiutarsi <strong>di</strong> entrare nell'esercito e <strong>di</strong> aiutare l'imperatore, ammetteva<br />

l'esattezza <strong>del</strong>l'accusa, ma <strong>di</strong>fendeva i cristiani nel loro atteggiamento verso <strong>il</strong> servizio<br />

m<strong>il</strong>itare (Contra Celsum).<br />

Dopo Costantino, tuttavia, molti scrittori cristiani cominciarono a respingere <strong>il</strong> vecchio<br />

pacifismo cristiano, e durante <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>oevo l'opinione prevalente era che potevano esserci<br />

<strong>del</strong>le guerre ‛giuste'. Soltanto movimenti come quello dei Valdesi conservarono le antiche<br />

concezioni pacifiste.<br />

Alcune versioni <strong>del</strong> pacifismo religioso <strong>del</strong> Novecento sono state profondamente<br />

influenzate dagli insegnamenti <strong>di</strong> certe sette protestanti, come i mennoniti (seguaci <strong>di</strong><br />

Menno Simons, 1496-1561) e gli ammanniti (seguaci <strong>di</strong> Jacob Amman, sec. XVII). I<br />

pacifisti <strong>del</strong> Novecento citano spesso anche gli scritti <strong>del</strong> cattolico Etienne de La Boétie<br />

(1530-1563) che, nel suo classico Discours de la servitude volontaire ou le Contr'un,<br />

insisté sul fatto che tutte le tirannie possono essere rovesciate senza violenza, facendo<br />

ricorso a una <strong>di</strong>ffusa non cooperazione non violenta.<br />

I pacifisti <strong>del</strong> Novecento sono stati profondamente influenzati dalla storia <strong>del</strong>la Società<br />

degli Amici (i quaccheri). Ra<strong>di</strong>cata in parte nella tra<strong>di</strong>zione mistica, la classica tesi contro<br />

la guerra fu formulata nel 1660, quando i quaccheri <strong>di</strong>chiararono <strong>di</strong> rifiutare ogni forma<br />

<strong>di</strong> conflitto armato e <strong>di</strong> voler seguire un modo <strong>di</strong> vita tale da escludere ogni occasione <strong>di</strong>


guerra. Il fondatore <strong>del</strong> movimento, George Fox (1624-1691), e uno dei suoi primi<br />

seguaci, W<strong>il</strong>liam Penn (1644-1718), contribuirono a gettare le basi <strong>del</strong>l'orientamento<br />

pacifista dei quaccheri, orientamento che si è mantenuto sino al nostro secolo (v.<br />

Sharpless, 1898; v. Tolles, 1956). Penn fondò la Pennsylvania, un commonwealth<br />

<strong>di</strong>sarmato che stab<strong>il</strong>ì con gli In<strong>di</strong>ani <strong>del</strong> Nordamerica rapporti interamente improntati<br />

alla non violenza (un esperimento spesso citato come un mo<strong>del</strong>lo dai pacifisti <strong>del</strong><br />

Novecento).<br />

Altre correnti <strong>del</strong> pensiero pacifista - anch'esse sfocianti nel fiume <strong>del</strong> pacifismo <strong>del</strong><br />

Novecento - derivano dall'<strong>il</strong>luminismo settecentesco. Si può citare al proposito W.<br />

Godwin (1756-1836) <strong>il</strong> quale, nella sua Political justice (1793), metteva in luce<br />

l'importanza <strong>del</strong>la pubblica opinione e insisteva sulla <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza non violenta come<br />

strumento per minare <strong>il</strong> potere dei tiranni. Su questo tema batté l'accento anche <strong>il</strong> poeta<br />

romantico Percy B. Shelley che agli inizi <strong>del</strong> secolo, nella poesia The mask of anarchy,<br />

esortava coloro che protestavano contro l'or<strong>di</strong>ne economico e sociale a fronteggiare<br />

risolutamente - sebbene pacificamente - gli attacchi <strong>del</strong>le truppe regie: rifiutandosi <strong>di</strong><br />

reagire con la violenza, avrebbero suscitato un vastissimo appoggio alla loro causa e<br />

avrebbero <strong>di</strong>strutto nel contempo l'ingiustizia e <strong>il</strong> m<strong>il</strong>itarismo. Essi non dovevano<br />

arrendersi ma essere pronti a morire, se necessario, piuttosto che sottomettersi.<br />

Con <strong>il</strong> suo saggio sulla <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza civ<strong>il</strong>e, H. D. Thoreau ha esercitato un influsso<br />

considerevole su pacifisti posteriori, come Tolstoj e altri.<br />

Lo scopo <strong>di</strong> questa breve rassegna <strong>del</strong> pacifismo prenovecentesco è quello <strong>di</strong> mettere in<br />

luce <strong>il</strong> fatto che gli orientamenti pacifisti moderni sono profondamente ra<strong>di</strong>cati in una<br />

storia più che bim<strong>il</strong>lenaria. I pacifisti <strong>del</strong> nostro secolo non hanno troncato - né<br />

avrebbero potuto farlo - i legami col passato. All'opposto, essi fanno continuo riferimento<br />

al passato e, quando scrivono dotti trattati sul pacifismo antico, <strong>il</strong> loro slancio deriva<br />

spesso dai problemi attuali connessi con <strong>il</strong> pacifismo e con la violenza. Si pensi per<br />

esempio alla <strong>di</strong>scussione o<strong>di</strong>erna sul pacifismo <strong>di</strong> Gesù: non si tratta <strong>di</strong> un problema <strong>di</strong><br />

interesse principalmente eru<strong>di</strong>to, ma piuttosto <strong>del</strong> problema - per le persone religiose -<br />

<strong>di</strong> determinare che cosa <strong>il</strong> Cristo ‛vivente' <strong>di</strong>rebbe nel sec. XX.<br />

Il pacifismo <strong>del</strong> nostro secolo si fonda quin<strong>di</strong> su certe correnti <strong>del</strong>l'antica tra<strong>di</strong>zione<br />

cristiana, sulle teorie ‛secolari' e <strong>il</strong>luministiche <strong>di</strong> impronta pacifista, sugli autori classici<br />

che hanno sostenuto la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> una resistenza non violenta alla tirannia, e infine su<br />

una sorta <strong>di</strong> sincretismo, che cerca <strong>di</strong> combinare <strong>il</strong> pensiero storico <strong>del</strong>l'Occidente e <strong>il</strong><br />

pensiero religioso <strong>del</strong>l'Oriente con impostazioni razionalistiche e ut<strong>il</strong>itaristiche. Le<br />

<strong>di</strong>verse tra<strong>di</strong>zioni pacifiste vengono applicate e mo<strong>di</strong>ficate nel contesto <strong>del</strong>le con<strong>di</strong>zioni<br />

sociali e politiche <strong>del</strong> Novecento.<br />

Un buon esempio - nella storia <strong>del</strong> Novecento - <strong>di</strong> quello che potremmo chiamare<br />

pacifismo sincretico è rappresentato dalla teoria <strong>di</strong> Mohandas K. Gandhi (1869-1948).<br />

Ispirandosi a una propria interpretazione <strong>del</strong>le scritture sacre in<strong>di</strong>ane, alla tra<strong>di</strong>zione<br />

pacifista cristiana, agli insegnamenti <strong>di</strong> Tolstoj, a Thoreau e a certi aspetti <strong>del</strong> pensiero


pacifista ‛secolare', egli elaborò una concezione <strong>del</strong> pacifismo che cerca <strong>di</strong> combinare i<br />

principi religiosi con <strong>il</strong> ‛pragmatismo' politico. Sin dalla fine <strong>del</strong>l'Ottocento Gandhi<br />

cominciò a riflettere sugli elementi che dovevano in seguito costituire le nozioni <strong>di</strong><br />

ahiṃsā e <strong>di</strong> satyāgraha (la vera e propria elaborazione teorica doveva occupare molti<br />

anni). Egli fece le sue prime prove in Sudafrica e più tar<strong>di</strong> combatté la lunga lotta per<br />

l'emancipazione <strong>del</strong>l'In<strong>di</strong>a dal dominio britannico. Ahiṃa significa ‛<strong>il</strong> non nuocere' e<br />

satyagraha (un termine coniato da Gandhi) ‛insistenza per la verità'. Gandhi sosteneva<br />

che <strong>il</strong> principio <strong>del</strong>la non violenza era fondamentale per le sue concezioni religiose così<br />

come lo era per quelle dei pacifisti cristiani tra<strong>di</strong>zionali. Il principio <strong>del</strong> satyāgraha esige<br />

che ogni essere umano <strong>di</strong>fenda le proprie concezioni morali e politiche fondamentali,<br />

anche se debba patire sofferenze per questo. Ma, nella ricerca <strong>del</strong>la giustizia e<br />

nell'impegno per correggere le ingiustizie sociali, al seguace <strong>del</strong> satyagraha non è<br />

consentito <strong>il</strong> ricorso alla violenza, neppure nel caso che si usi violenza nei suoi confronti.<br />

Il satyāgraha era nel contempo un elevato principio etico-politico e una strategia da<br />

usare nei conflitti sociali. Gandhi cercava <strong>di</strong> conc<strong>il</strong>iare l'integrità morale dei primi<br />

pacifisti cristiani con la capacità <strong>di</strong> muoversi nella sfera <strong>del</strong>la politica pratica. Egli<br />

conseguì con <strong>il</strong> satyāgraha notevoli successi politici sia in Sudafrica (dove riven<strong>di</strong>cava i<br />

<strong>di</strong>ritti <strong>del</strong>la comunità in<strong>di</strong>ana contro restrizioni oppressive) sia in In<strong>di</strong>a contro <strong>il</strong> dominio<br />

britannico. I pacifisti occidentali, tanto <strong>di</strong> orientamento religioso che non religioso,<br />

furono colpiti dallo sforzo gandhiano <strong>di</strong> conc<strong>il</strong>iare l'elevatezza morale con l'efficacia<br />

pratica.<br />

Approcci <strong>di</strong> tipo gandhiano ai problemi <strong>del</strong>le riforme e <strong>del</strong>lo sv<strong>il</strong>uppo sociale sono stati<br />

elaborati da uomini come D. Dolci in Italia e da M. L. King nel corso <strong>del</strong>la lotta per i<br />

<strong>di</strong>ritti civ<strong>il</strong>i negli Stati Uniti.<br />

Coloro che, come B. De Ligt (v., De overwinning..., 1934), hanno insistito sulle<br />

possib<strong>il</strong>ità pratico-politiche <strong>di</strong> un orientamento pacifista, citano a volte l'esempio <strong>del</strong>le<br />

rivoluzioni russe <strong>del</strong> 1905 e <strong>del</strong> febbraio 1917. Si sostiene cioè, in sostanza, che gli eventi<br />

<strong>del</strong> 1905 costituirono essenzialmente una forma non violenta d'insubor<strong>di</strong>nazione che<br />

costrinse lo zar ad apportare mutamenti fondamentali nella struttura politica.<br />

L'anarchico americano B. Tucker (1854-1939) fu particolarmente colpito dalla forza<br />

politica generata dalla non cooperazione non violenta in Russia.<br />

In epoca moderna, con l'adozione <strong>di</strong>ffusa <strong>del</strong>la coscrizione come metodo <strong>di</strong> reclutamento<br />

per <strong>il</strong> servizio m<strong>il</strong>itare, è stato spesso posto <strong>il</strong> problema <strong>del</strong>l'obiezione <strong>di</strong> coscienza. I non<br />

pacifisti professanti principi ‛liberali' sono stati sfidati a riconoscere <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto degli<br />

obiettori <strong>di</strong> coscienza a non prestare servizio m<strong>il</strong>itare. In molte nazioni è stato <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e<br />

ottenere <strong>il</strong> riconoscimento giuri<strong>di</strong>co <strong>del</strong>l'obiezione <strong>di</strong> coscienza, e anche quando ciò è<br />

avvenuto, i criteri usati sono stati spesso molto restrittivi. Così nella prima guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale gli Stati Uniti hanno riconosciuto solo i <strong>di</strong>ritti degli appartenenti a talune<br />

‛chiese pacifiste' come i mennoniti e i quaccheri; e anche in tali casi gli obiettori furono<br />

costretti a entrare nell'esercito per prestare servizi non armati. Il risultato fu che molti


obiettori, che non rientravano nei casi previsti dalla legge, incontrarono gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà<br />

e alcuni subirono perfino torture fisiche (v. Thomas, 1927).<br />

Durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale la legge americana fu un po' più liberale, sebbene<br />

anche allora continuasse a escludere gli obiettori non legati da <strong>di</strong>vieti religiosi e molte<br />

critiche fossero avanzate contro <strong>il</strong> servizio civ<strong>il</strong>e sostitutivo previsto per gli obiettori<br />

riconosciuti (v. Sibley e Jacob, 1952). In Gran Bretagna, durante la seconda guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale, la legge fu piuttosto liberale. Ma nel continente europeo <strong>il</strong> riconoscimento<br />

giuri<strong>di</strong>co è stato lento a venire (in Austria, per esempio, durante la prima guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale molti obiettori erano inviati in manicomio). In Francia - sin dopo la seconda<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale - non esisteva alcuna <strong>di</strong>sposizione riguardante l'obiezione <strong>di</strong> coscienza.<br />

Nell'Unione Sovietica venne spesso affermato che non vi era necessità <strong>di</strong> riconoscere<br />

l'obiezione <strong>di</strong> coscienza poiché non vi erano obiettori! In realtà sembra che gli obiettori<br />

non siano mancati e che siano stati spesso assegnati senza clamore a servizi civ<strong>il</strong>i come<br />

alternativa al servizio m<strong>il</strong>itare.<br />

Nella prima metà <strong>del</strong> secolo, fra i leaders <strong>del</strong> pacifismo attivo si annoverano uomini quali<br />

A. J. Muste (1885-1967) negli Stati Uniti, <strong>il</strong> politico G. Lansbury (1858-1940) in Gran<br />

Bretagna e H. Camara in Bras<strong>il</strong>e.<br />

Il periodo successivo alla prima guerra mon<strong>di</strong>ale fu caratterizzato dai tentativi dei<br />

pacifisti <strong>di</strong> creare organizzazioni internazionali <strong>di</strong> vario genere. Così la War Resisters<br />

Internationai ha avuto ramificazioni in molti paesi <strong>del</strong> mondo occidentale. Anche la<br />

International Fellowship of Reconc<strong>il</strong>iation ha cercato <strong>di</strong> riunire obiettori <strong>di</strong> varia origine,<br />

particolarmente i pacifisti per motivi religiosi. Uno dei suoi capi più importanti fu <strong>il</strong><br />

pastore protestante francese A. Trocmé. Stretti rapporti con l'associazione ha avuto<br />

anche D. Dolci.<br />

Dopo la prima guerra mon<strong>di</strong>ale, l'enorme aumento <strong>del</strong>la potenza <strong>di</strong>struttiva degli<br />

armamenti e <strong>il</strong> <strong>di</strong>ffuso sentimento <strong>del</strong>la sua vanità indussero molti che fin allora<br />

avevano, sebbene con r<strong>il</strong>uttanza, accettato la guerra a metterla ra<strong>di</strong>calmente in<br />

questione. Taluni esponenti <strong>del</strong>la teoria tra<strong>di</strong>zionale cattolica <strong>del</strong>la ‛guerra giusta'<br />

giunsero quin<strong>di</strong> alla conclusione che nessuna guerra moderna poteva sod<strong>di</strong>sfare i<br />

requisiti richiesti dalla teoria: accadde così che alcuni cattolici abbracciarono <strong>il</strong> pacifismo<br />

per <strong>il</strong> tramite <strong>del</strong>la dottrina <strong>del</strong>la guerra giusta (v. Rommen, 1947, p. 666). Il periodo tra<br />

la prima e la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale fu l'epoca <strong>del</strong> cosiddetto giuramento <strong>di</strong> Oxford,<br />

quando migliaia <strong>di</strong> giovani s'impegnarono a non farsi mai sostenitori <strong>di</strong> un'altra guerra.<br />

Le vicissitu<strong>di</strong>ni <strong>del</strong>la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale indussero molti pacifisti a mo<strong>di</strong>ficare le<br />

loro opinioni. Ma dopo la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale la minaccia <strong>di</strong> un olocausto nucleare<br />

indusse moltissimi a <strong>di</strong>venire ‛pacifisti attivi'. Sebbene la stragrande maggioranza degli<br />

esseri umani pensasse ancora che la guerra avrebbe potuto rendersi necessaria come<br />

‛estremo rime<strong>di</strong>o', negli anni sessanta e settanta si è fatto evidente che l'alone romantico,<br />

che in passato spesso si accompagnava al servizio m<strong>il</strong>itare, è in gran parte svanito. La<br />

<strong>di</strong>ffusa opposizione in Francia alla guerra algerina e negli Stati Uniti alla guerra


vietnamita, pur se non ebbe un carattere in primo luogo pacifista, aggravò la <strong>del</strong>usione <strong>di</strong><br />

molti rispetto all'intero sistema <strong>del</strong> conflitto armato. I pacifisti, naturalmente, asserivano<br />

che perfino le guerre <strong>di</strong> ‛liberazione' - così caratteristiche <strong>del</strong> Terzo Mondo - sono<br />

<strong>il</strong>legittime sul piano morale e inefficaci sul piano pratico.<br />

3. Concetti <strong>di</strong> pacifismo<br />

Sebbene tutti i pacifisti concor<strong>di</strong>no nel respingere la guerra e la violenza, essi esprimono<br />

i motivi <strong>del</strong> loro agire in modo notevolmente <strong>di</strong>verso, come assai <strong>di</strong>versi sono i loro<br />

giu<strong>di</strong>zi sui risultati <strong>del</strong>la posizione pacifista. Mentre storicamente <strong>il</strong> pacifismo ha avuto in<br />

larga misura carattere religioso, nel XX secolo è sorto un pacifismo ut<strong>il</strong>itario e non<br />

religioso. I confini fra pacifismo religioso e non religioso si fanno spesso molto sfumati,<br />

tanto che la <strong>di</strong>stinzione sembra quasi scomparire. In senso lato, <strong>il</strong> pacifista religioso trova<br />

la base <strong>del</strong>le sue convinzioni in una qualche autorevole scrittura religiosa o in<br />

un'intuizione personale che egli ritiene sia la voce <strong>di</strong> Dio. Il pacifista non religioso si<br />

riferirà invece a principi generali <strong>di</strong> moralità, appellandosi spesso, anche se non sempre a<br />

considerazioni ut<strong>il</strong>itarie. Naturalmente vi saranno anche pacifisti religiosi che mettono<br />

energicamente l'accento sull'ut<strong>il</strong>ità, e pacifisti non religiosi la cui profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong><br />

convinzione, comunque espressa, ha una connotazione religiosa.<br />

Per <strong>il</strong> XX secolo, la <strong>di</strong>visione significativa sembrerebbe essere non quella tra pacifismo <strong>di</strong><br />

carattere religioso e pacifismo non religioso, ma piuttosto quella tra un pacifismo non<br />

inteso in primo luogo a una trasformazione politica e sociale e un altro volto invece a<br />

porre l'accento sulla politica. Chiameremo <strong>il</strong> primo ‛pacifismo non politico' e <strong>il</strong> secondo<br />

‛pacifismo politico'.<br />

Entrambi potranno affondare le loro ra<strong>di</strong>ci in credenze sia religiose che non religiose. Le<br />

<strong>di</strong>fferenze vertono su ciò che essi si attendono dall'azione pacifista e, in un certo grado,<br />

sul modo - più o meno approfon<strong>di</strong>to - <strong>di</strong> considerare le implicazioni <strong>di</strong> una concezione<br />

pacifista per l'interpretazione <strong>del</strong>la storia e degli interessi collettivi <strong>del</strong>l'umanità. Come in<br />

ogni tentativo <strong>di</strong> classificazione, è ovvio che la nostra caratterizzazione dovrà spesso<br />

<strong>del</strong>ineare tendenze e sfumature anziché <strong>di</strong>stinzioni precise.<br />

Ma prima <strong>di</strong> cercare d'in<strong>di</strong>care le <strong>di</strong>fferenze tra pacifismo non politico e pacifismo<br />

politico, accenneremo alle credenze che essi sembrano avere in comune.<br />

4. Basi comuni<br />

Molti sono i concetti etici che accomunano <strong>il</strong> pacifismo politico e quello non politico: <strong>il</strong><br />

rapporto organico tra mezzi e fini, l'altissimo valore attribuito alla vita umana, <strong>il</strong> generale<br />

rifiuto <strong>del</strong>la violenza, l'affermazione che esistono alternative alla violenza, l'esortazione a<br />

usare solo meto<strong>di</strong> non violenti.<br />

Il concetto <strong>del</strong>la connessione organica tra fini e mezzi è naturalmente molto antico. Nel


pacifismo religioso lo troviamo espresso in vari mo<strong>di</strong>. Nel Nuovo Testamento è detto, per<br />

esempio, che non ci si può aspettare <strong>di</strong> cogliere fichi dai rovi (Matteo, VII, 16); altrove<br />

viene affermato che ‟non si può beffarsi <strong>di</strong> Dio, poiché quello che l'uomo avrà seminato<br />

quello pure mieterà" (Ai Galati, VI, 7); o che se si semina vento si mieterà tempesta<br />

(Osea, VIII, 7).<br />

Chi usa un linguaggio non religioso - nel senso tra<strong>di</strong>zionale <strong>del</strong> termine - fa notare che<br />

non è possib<strong>il</strong>e separare realmente i fini dai mezzi. Quando si opta per un dato mezzo si<br />

scelgono anche i fini impliciti in quel mezzo. Intraprendendo una guerra, dunque,<br />

bisogna essere preparati a tutti i fenomeni che, a quanto pare inevitab<strong>il</strong>mente, alla guerra<br />

si accompagnano o ne sono le conseguenze: <strong>di</strong>sorganizzazione sociale, <strong>di</strong>sprezzo <strong>del</strong>la<br />

vita umana, impoverimento, tendenza alla polarizzazione economica, spinta verso la<br />

centralizzazione e l'autocrazia, ecc. Coloro che appoggiarono la guerra americana nel<br />

Vietnam potevano <strong>di</strong>fenderla solo asserendo - contro ogni esperienza storica - che<br />

l'ecci<strong>di</strong>o su vasta scala e lo sra<strong>di</strong>camento <strong>di</strong> vaste masse si sarebbero - a lunga scadenza -<br />

tramutati in ‛democrazia' e in rispetto per la vita e per i <strong>di</strong>ritti umani. Ma i fautori <strong>del</strong>la<br />

guerra incontrarono gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà nel mostrare come tutto questo potesse<br />

effettivamente avvenire. In realtà, affermano i pacifisti, con la guerra o con meto<strong>di</strong><br />

analoghi non si raggiungono mai obiettivi incompatib<strong>il</strong>i con tali meto<strong>di</strong>: se mai si potrà<br />

raggiungere la pace e la ‛democrazia', ciò avverrà malgrado la guerra e non in virtù <strong>del</strong>la<br />

guerra. Il f<strong>il</strong>osofo americano J. Dewey si <strong>di</strong>stinse per lo sv<strong>il</strong>uppo dato all'idea che mezzi e<br />

fini sono strettamente connessi, e che quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> carattere dei mezzi informa la natura dei<br />

fini. Autori quali A. Huxley sostennero concezioni analoghe facendo spesso uso <strong>di</strong> un<br />

linguaggio sia religioso che non religioso (v. Huxley, 1937).<br />

Che si consideri <strong>il</strong> principio <strong>del</strong>la connessione tra fini e mezzi come religiosamente<br />

ispirato - quasi fosse <strong>il</strong> frutto <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> rivelazione - ovvero come una specie <strong>di</strong><br />

generalizzazione fondata sull'esperienza, esso è ovviamente in conflitto con le opinioni <strong>di</strong><br />

quanti ritengono che la guerra, con tutte le sue <strong>di</strong>struzioni, possa non<strong>di</strong>meno essere uno<br />

strumento per la protezione e la promozione <strong>del</strong>la vita umana. E anche in contrasto con<br />

quanto sembra implicito nella posizione <strong>di</strong> molti rivoluzionari, cioè che si può mostrare<br />

<strong>di</strong>sprezzo per la vita umana durante <strong>il</strong> periodo <strong>del</strong>la violenza rivoluzionaria purché ciò<br />

avvenga in nome <strong>di</strong> un mondo postrivoluzionario, nel quale <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto alla vita sarà tenuto<br />

nel massimo onore.<br />

I pacifisti <strong>di</strong> ogni corrente attribuiscono un grande valore alla vita umana, anzi un valore<br />

che è quanto <strong>di</strong> più vicino all'assoluto essi possano concepire. Di fronte a tutti i grovigli<br />

<strong>del</strong>l'esistenza umana, e alle complicazioni e oscurità insite in slogan o problemi politici<br />

quali l'‛onore nazionale', gli ‛interessi vitali' o la <strong>di</strong>rezione <strong>del</strong>l'economia, <strong>il</strong> pacifista si<br />

chiede sempre: questa misura servirà a promuovere la vita umana o a <strong>di</strong>struggerla? Egli<br />

asserisce che nessuno ha <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> togliere <strong>del</strong>iberatamente la vita ad altri anche se così<br />

gli viene or<strong>di</strong>nato dalle autorità <strong>del</strong>lo Stato e in conformità al <strong>di</strong>ritto positivo. Molti<br />

pacifisti considerano <strong>il</strong> <strong>di</strong>vieto <strong>del</strong>la <strong>di</strong>struzione <strong>del</strong>iberata <strong>del</strong>la vita umana come


implicante anche <strong>il</strong> <strong>di</strong>vieto <strong>del</strong>l'eliminazione <strong>del</strong>l'embrione o <strong>del</strong> feto per mezzo<br />

<strong>del</strong>l'aborto.<br />

Ora, i pacifisti sono consapevoli che può accader loro <strong>di</strong> dover soffrire o perfino morire<br />

per restar fe<strong>del</strong>i ai loro principi. Così Tolstoj consigliò una volta a un giovane tedesco <strong>di</strong><br />

rifiutarsi <strong>di</strong> prestare servizio m<strong>il</strong>itare anche se la legge tedesca contemplava la pena <strong>di</strong><br />

morte per tale rifiuto. Ma se, in conseguenza <strong>del</strong> proprio rifiuto <strong>di</strong> uccidere, si deve a<br />

volte morire, non si <strong>di</strong>mostra con ciò <strong>di</strong>sprezzo per la propria vita ? Se si compie un atto<br />

che quasi sicuramente comporterà la propria morte, non rappresenta tale atto un<br />

suici<strong>di</strong>o virtuale ? I pacifisti sono ben consci <strong>di</strong> questi interrogativi. In linea <strong>di</strong> massima,<br />

rispondono che esiste un importante <strong>di</strong>stinzione etica fra l'uccidere e l'accettare la morte<br />

per mano altrui per fe<strong>del</strong>tà a un principio. È meglio essere uccisi che uccidere, se questa<br />

è proprio l'unica alternativa.<br />

Il paradosso <strong>del</strong> rapporto tra <strong>il</strong> pacifista e lo Stato sotto questo aspetto è <strong>il</strong>lustrato dalle<br />

esperienze degli obiettori <strong>di</strong> coscienza. Quando erano messi in prigione per essersi<br />

rifiutati <strong>di</strong> uccidere (così essi pensavano), poteva capitare a volte che si trovassero<br />

rinchiusi in celle vicine a quelle <strong>di</strong> condannati per omici<strong>di</strong>o. La legge, quin<strong>di</strong>, condannava<br />

sia coloro che per ragioni <strong>di</strong> coscienza si rifiutavano <strong>di</strong> uccidere sia coloro che -<br />

coscientemente o no - avevano trucidato i loro sim<strong>il</strong>i. Per molti pacifisti, ciò la <strong>di</strong>ce lunga<br />

sulla natura <strong>del</strong>lo Stato moderno: palesemente costituito per proteggere la vita, esso è nel<br />

contempo uno dei maggiori strumenti per l'ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> massa.<br />

Sebbene la tesi pacifista ponga l'accento anzitutto sull'<strong>il</strong>legittimità <strong>del</strong>la guerra, i pacifisti<br />

s'impegnano anche a rinunciare, in generale, a ogni forma <strong>di</strong> violenza. L'uccisione <strong>di</strong><br />

esseri umani può essere la forma più drammatica assunta dalla violenza, ma devono<br />

essere ripu<strong>di</strong>ate anche le forme <strong>di</strong> violenza che non ricorrono all'eliminazione fisica.<br />

Indubbiamente, i pacifisti sono a volte piuttosto imprecisi - quando affrontano <strong>il</strong><br />

problema - nel tracciare le loro <strong>di</strong>stinzioni tra forza legittima e forza <strong>il</strong>legittima, ma sono<br />

almeno pronti a condannare non solo la guerra e la pena capitale ma anche ogni specie <strong>di</strong><br />

danno irreparab<strong>il</strong>e. Molti pacifisti ritengono in particolare che esista una violenza<br />

‛spirituale' in grado <strong>di</strong> danneggiare in modo permanente altri esseri umani più<br />

gravemente <strong>di</strong> talune forme <strong>di</strong> violenza fisica: per esempio, molti classificherebbero sotto<br />

l'etichetta generale <strong>di</strong> violenza <strong>il</strong> mentire, <strong>il</strong> nascondere informazioni alla pubblica<br />

opinione, e ogni atteggiamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzo. Gandhi, per esempio, riconosceva <strong>il</strong><br />

problema <strong>del</strong>la violenza spirituale quando sottolineava insistentemente la necessità <strong>del</strong><br />

riserbo e <strong>del</strong>la cortesia in qualsiasi polemica sia scritta che verbale, e quando <strong>di</strong>chiarava<br />

che, trattando con avversari politici, si doveva cercare sempre <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere fra gli<br />

uomini e <strong>il</strong> male da loro commesso. Gandhi, come anche altri, è stato inoltre<br />

profondamente consapevole <strong>del</strong>le ra<strong>di</strong>ci psicologiche <strong>del</strong>la violenza nella personalità<br />

umana e <strong>del</strong>la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> prevenire l'azione violenta in situazioni <strong>di</strong> conflitto. Molti<br />

pacifisti parlano anche <strong>del</strong>la violenza ‛occulta' insita nei sistemi <strong>di</strong> sfruttamento<br />

economico.


Riconoscendo la tentazione, cui tutti gli esseri umani (pacifisti compresi) sono soggetti,<br />

cioè <strong>di</strong> reagire alla violenza con la violenza, i pacifisti hanno sottolineato l'importanza<br />

<strong>del</strong>la preparazione e <strong>del</strong>la <strong>di</strong>sciplina ai fini <strong>del</strong>l'esercizio <strong>del</strong>la non violenza. Da un punto<br />

<strong>di</strong> vista religioso questo implica una costante consapevolezza <strong>del</strong>l'inclinazione <strong>del</strong>l'uomo<br />

a peccare e ad allontanarsi dalle vie <strong>del</strong> Signore. In linguaggio non religioso implica una<br />

consapevolezza dei fattori biologici e psicologici che spingono molti <strong>di</strong> noi ad accettare la<br />

rappresaglia come una norma <strong>del</strong>la condotta umana. Molti pacifisti sostengono che non è<br />

fac<strong>il</strong>e <strong>di</strong>ventare non violenti e applicare l'etica <strong>del</strong>l'amore in tutte le circostanze: in verità<br />

l'uomo ‛naturale' è spesso propenso, a onta <strong>di</strong> tutte le sue professioni <strong>di</strong> fede, alla<br />

brutalità e alla violenza. Ma questo è solo un ulteriore motivo, affermano i pacifisti, per<br />

chiarire nel miglior modo possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> significato <strong>del</strong>la non violenza, così che, in situazioni<br />

<strong>di</strong> crisi, si possa avere una guida per l'azione. Inoltre, nonostante tutta la violenza<br />

esistente nel mondo moderno, i rapporti umani sono, in massima parte, improntati alla<br />

non violenza. Normalmente, gli esseri umani vivono insieme senza danneggiarsi<br />

reciprocamente e si comportano così non perché temano la polizia (che in ogni caso<br />

costituisce una frazione minima <strong>del</strong>la comunità), ma perché nel complesso, a <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong><br />

molte manchevolezze e ribellioni contro la giustizia, ricercano spontaneamente una<br />

convivenza sociale pacifica e giusta. Sembra che <strong>il</strong> problema centrale consista nella<br />

possib<strong>il</strong>ità che gli uomini apprendano a reagire ad azioni violente soltanto in modo non<br />

violento.<br />

Molti pacifisti, pur essendo coscienti che gli esseri umani trovano spesso estremamente<br />

<strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e agire secondo l'etica pacifista o non violenta, credono però anche che esistano<br />

effettivamente alternative alla violenza, perfino in gravi situazioni <strong>di</strong> conflitto. Sebbene i<br />

pacifisti <strong>del</strong>l'‛isolamento' o pacifisti non politici <strong>di</strong>fferiscano dai pacifisti politici circa la<br />

valutazione <strong>del</strong>la possib<strong>il</strong>ità che tali alternative siano abbracciate da un gran numero <strong>di</strong><br />

persone, i due gruppi convengono sull'esistenza <strong>di</strong> almeno ‛alcuni' in<strong>di</strong>vidui in grado <strong>di</strong><br />

scoprire e attuare le alternative non violente. In termini teologici, i più pessimisti<br />

<strong>di</strong>rebbero che solo con l'aiuto <strong>del</strong>la grazia <strong>di</strong> Dio si può vincere la tendenza a rispondere<br />

alla violenza con la violenza, e che la grazia è concessa a pochi. I più ottimisti, invece,<br />

obiettano che gli esseri umani, anche se naturalmente e culturalmente tentati <strong>di</strong><br />

rispondere alla violenza con la violenza, possono non<strong>di</strong>meno far molto per superare<br />

questa tentazione.<br />

In termini religiosi, le alternative alla violenza vengono spesso raggruppate dai pacifisti<br />

sotto la rubrica generale <strong>del</strong>l'etica <strong>del</strong>l'amore. Al convertito sarà presumib<strong>il</strong>mente<br />

elargito <strong>il</strong> dono <strong>del</strong>la carità, la quale, come <strong>di</strong>ce san Paolo, ‟soffre ogni cosa" e ‟non verrà<br />

mai meno" (I ai Corinzi, XIII, 7, 8). Un'altra massima <strong>del</strong>la Sacra Scrittura ci ricorda che<br />

‟la risposta dolce calma <strong>il</strong> furore" (Proverbi, XV, 1). E presumib<strong>il</strong>mente una persona<br />

religiosa può imparare a rispondere con la non violenza e con la carità al ‛furore' e alla<br />

violenza. La violenza dev'essere sempre identificata con <strong>il</strong> male, e <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> vincere la<br />

violenza e l'ingiustizia associata alla violenza è quin<strong>di</strong> quello non già <strong>di</strong> rispondere con la


violenza (giacché ciò non farebbe che perpetuare la violenza), ma piuttosto <strong>di</strong> evitarla<br />

operando <strong>il</strong> bene anche verso i propri avversari. Anche in larga parte <strong>del</strong>la letteratura<br />

pacifista religiosa si pone energicamente l'accento sulla forza <strong>del</strong>la sofferenza che<br />

rinuncia alla rappresaglia, sia nei rapporti personali che in quelli politici. I pacifisti<br />

occidentali citano spesso i passi <strong>di</strong> Isaia sul ‛servo <strong>di</strong> Yahweh'.<br />

Secondo molti pacifisti religiosi e non religiosi l'esperienza tende a mostrare che <strong>il</strong> rifiuto<br />

<strong>del</strong>la violenza e la <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità a usare solo meto<strong>di</strong> non violenti possono in realtà<br />

ottenere spesso l'effetto <strong>di</strong> convertire l'avversario in un amico.<br />

La condotta ‛<strong>di</strong>sarmante', come alcuni psicosociologi sembrano suggerire, è quel tipo <strong>di</strong><br />

atteggiamento che per l'onestà, la semplicità, e <strong>il</strong> rispetto <strong>del</strong>la controparte, sorprenderà<br />

talmente l'avversario - <strong>il</strong> quale si aspetta la rappresaglia - che egli sarà letteralmente<br />

indotto a trattare e a vedere i lati positivi <strong>di</strong> proposte che altrimenti avrebbe respinto.<br />

Proprio perché è ‛naturale' rispondere alla violenza con la violenza, è spesso vero che una<br />

reazione assolutamente non violenta eleverà <strong>il</strong> livello <strong>del</strong> conflitto per entrambe le parti<br />

contendenti, aprendo la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> una riconc<strong>il</strong>iazione altrimenti impensab<strong>il</strong>e. I<br />

violenti sanno come rispondere alla rappresaglia (vi sono preparati), ma quando<br />

incontrano invece serenità, appelli alla ragione e <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità a soffrire senza infliggere<br />

sofferenze, sono presi alla sprovvista e restano perplessi: vengono essi stessi <strong>di</strong>sarmati<br />

dall'atteggiamento <strong>di</strong>sarmante dei loro avversari.<br />

La conclusione <strong>di</strong> quanto abbiamo detto è che <strong>il</strong> pacifista, comunque esprima la sua<br />

concezione (sia in linguaggio religioso tra<strong>di</strong>zionale che in linguaggio non religioso),<br />

sostiene che la non violenza, essendo migliore <strong>del</strong>la violenza sul piano morale, è<br />

tendenzialmente migliore anche sul piano dei risultati pratici. Non già che sia giusta<br />

perché ottiene buoni risultati; piuttosto, ottiene buoni risultati perché è giusta. In altre<br />

parole, per <strong>il</strong> pacifismo l'esortazione alla non violenza è non solo un principio etico al<br />

quale ci si deve conformare perché valido in se stesso; ma è anche una norma che <strong>il</strong> più<br />

<strong>del</strong>le volte può dar luogo a risultati che trasformano l'intera situazione e consentono agli<br />

interessati <strong>di</strong> conseguire un livello più alto e più profondo <strong>di</strong> vita in comune.<br />

5. Pacifismo non politico<br />

Avendo <strong>del</strong>ineato alcune tesi generali che la maggior parte dei pacifisti sembra<br />

con<strong>di</strong>videre, parleremo ora <strong>del</strong> pacifismo proclive a sottolineare l'opportunità <strong>di</strong> non<br />

lasciarsi coinvolgere nella politica. Il pacifista non politico, dunque, pur convenendo con<br />

<strong>il</strong> pacifista politico su taluni principi generali, è dubbioso a proposito dei tentativi <strong>di</strong><br />

trasformare <strong>il</strong> mondo avvalendosi <strong>di</strong> mezzi quali i partiti politici, la macchina statale e le<br />

gran<strong>di</strong> organizzazioni.<br />

Tutti questi mezzi, egli sembra affermare, recano in sé i semi <strong>del</strong>la violenza. Un eccessivo<br />

coinvolgimento nelle complicazioni <strong>del</strong>la sfera economica è anch'esso pericoloso,<br />

giacché, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> un regime <strong>di</strong> scambi relativamente semplice, tendono a emergere


elementi <strong>di</strong> coercizione e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> vera e propria violenza. L'in<strong>di</strong>viduo viene a <strong>di</strong>pendere<br />

per la sua sussistenza dall'organizzazione economica e politica nel suo complesso e, in<br />

situazioni <strong>di</strong> crisi, è tentato <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>re i suoi principi <strong>di</strong> non violenza o quanto meno a<br />

comprometterli.<br />

Il pacifismo non politico, <strong>di</strong> cui stiamo tratteggiando le caratteristiche, implica quella che<br />

potrebbe essere chiamata un'etica <strong>del</strong>l'isolamento, come anche un'etica <strong>del</strong>la semplicità.<br />

Il pacifista non dovrebbe mai lasciarsi coinvolgere troppo intimamente nel complesso<br />

mondo <strong>del</strong>la politica e <strong>del</strong>l'economia e, per evitare appunto tale coinvolgimento, deve<br />

limitare le sue esigenze economiche e spesso vivere in comunità separate dai centri<br />

commerciali e industriali e dalla vita urbana.<br />

Sul piano religioso, questo punto <strong>di</strong> vista può essere rappresentato dalle concezioni dei<br />

primi cristiani e <strong>di</strong> sette <strong>del</strong> genere dei mennoniti. I pacifisti non politici e insieme non<br />

religiosi sono propensi a porre l'accento sull'etica <strong>del</strong> <strong>di</strong>stacco dalle complicazioni <strong>del</strong><br />

mondo, sull'impegno in<strong>di</strong>viduale nell'attuazione <strong>del</strong>l'etica pacifista, e sulla rinuncia ai<br />

frutti <strong>del</strong>la violenza. L'interesse primario sia dei pacifisti religiosi sia <strong>di</strong> quelli non<br />

religiosi e non politici non verte sulla trasformazione <strong>del</strong>l'or<strong>di</strong>ne politico ed economico;<br />

molti <strong>di</strong> essi <strong>di</strong>spererebbero <strong>di</strong> raggiungere una sim<strong>il</strong>e meta in qualunque circostanza.<br />

La concezione dei primi cristiani <strong>il</strong>lustra <strong>il</strong> pacifismo religioso non politico. Era un<br />

pacifismo fondato sull'attesa <strong>del</strong> ritorno imminente <strong>di</strong> Cristo. Frattanto, <strong>il</strong> fe<strong>del</strong>e doveva<br />

vivere nella cultura pagana come un pellegrino. Quella cultura era violenta, cupida e<br />

tirannica, e <strong>il</strong> cristiano non sperava <strong>di</strong> cambiarla. Dio avrebbe presto giu<strong>di</strong>cato <strong>il</strong> mondo.<br />

In attesa <strong>di</strong> questo momento <strong>il</strong> cristiano doveva seguire un Cristo che gli chiedeva <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>videre con <strong>il</strong> prossimo i beni terreni, gli chiedeva semplicità, amore, obbe<strong>di</strong>enza<br />

all'autorità politica purché questa non or<strong>di</strong>nasse atti contrari allo spirito <strong>di</strong> Cristo, e una<br />

paziente accettazione - scevra <strong>di</strong> volontà <strong>di</strong> rappresaglia - <strong>del</strong>le inevitab<strong>il</strong>i ingiustizie <strong>del</strong><br />

mondo.<br />

L'idea è che la comunità cristiana è una comunità isolata dal mondo esterno, col quale ha<br />

solo legami piuttosto tenui. I cristiani non debbono compiere alcuna azione positiva che<br />

possa portare all'uccisione <strong>di</strong> altri esseri umani. Pertanto essi devono rifiutare <strong>il</strong> servizio<br />

m<strong>il</strong>itare come anche qualsiasi funzione che implichi l'uso <strong>del</strong>la violenza, per esempio la<br />

magistratura. I cristiani dovevano, certamente, onorare l'imperatore e pregare per lui e<br />

per tutti i sovrani, i cui atti avessero una qualche relativa giustificazione in un mondo<br />

non cristiano (Ai Romani, XIII, 7; I <strong>di</strong> Pietro, II, 17); ma la partecipazione attiva<br />

nell'opera <strong>di</strong> governo coinvolgerebbe imme<strong>di</strong>atamente in un'inevitab<strong>il</strong>e violenza.<br />

Pertanto <strong>il</strong> cristiano poteva pagare i suoi tributi, come Cristo aveva comandato (Matteo,<br />

XXII, 21), ma non poteva fare l'esattore d'imposte.<br />

Questa concezione sembrerebbe implicitamente suggerire che tutto <strong>il</strong> mondo, con<br />

rarissime eccezioni, è soggetto al giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Dio che presto annienterà le opere dei<br />

malvagi. Frattanto Id<strong>di</strong>o tollera l'esistenza <strong>del</strong>le istituzioni politiche acciocché<br />

provvedano a stab<strong>il</strong>ire un qualche or<strong>di</strong>ne anche tra i malvagi. Nell'interesse <strong>di</strong> una,


enché incerta, pace terrena, i cristiani si conformeranno a tali istituzioni ma solo in<br />

modo passivo. Senza dubbio molti cristiani erano ben consci che una gran parte <strong>del</strong>le<br />

entrate fiscali <strong>di</strong> Roma veniva destinata alla guerra o ai preparativi <strong>di</strong> guerra. Nonostante<br />

ciò, essi pagavano i loro tributi, come Cristo e san Paolo esigevano.<br />

La maggior parte dei primi cristiani, per quanto possiamo capire, non concepivano <strong>il</strong> loro<br />

rifiuto <strong>del</strong>la guerra e <strong>del</strong>la violenza come un fattore tendente a trasformare la natura<br />

<strong>del</strong>l'Impero romano. Consideravano <strong>il</strong> loro atteggiamento come un fatto <strong>di</strong> coscienza<br />

in<strong>di</strong>viduale, una testimonianza <strong>del</strong>la fede. Sicuramente gli intellettuali come Origene<br />

immaginavano quello che sarebbe potuto succedere se un autentico spirito cristiano si<br />

fosse <strong>di</strong>ffuso fra Romani e Barbari: l'imperatore non avrebbe avuto più bisogno <strong>di</strong><br />

eserciti per proteggersi contro i bellicosi barbari, giacché i barbari stessi sarebbero<br />

<strong>di</strong>ventati pacifisti. Ma non sembra che tali considerazioni abbiano avuto un'importanza<br />

centrale nel pensiero pacifista dei primi cristiani.<br />

La rigorosa concezione mennonita rappresenta una versione moderna <strong>del</strong> pacifismo<br />

cristiano <strong>del</strong>le origini e, sebbene molti mennoniti l'abbiano abbandonata nel XX secolo, è<br />

importante comprenderne le implicazioni per la teoria pacifista. Ra<strong>di</strong>cata nel<br />

comandamento <strong>del</strong>la Scrittura <strong>di</strong> ‟non contrastare al malvagio" (Matteo, V, 39), questa<br />

prospettiva è acutamente consapevole <strong>del</strong>la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> mantenere la sua purezza<br />

rispetto al ‛rifiuto <strong>del</strong>la violenza'. Nella dottrina è implicito <strong>il</strong> riconoscimento <strong>del</strong> fatto che<br />

a mano a mano che l'economia e la società <strong>di</strong>vengono più complesse, l'in<strong>di</strong>viduo viene<br />

quasi inevitab<strong>il</strong>mente a essere coinvolto nei conflitti derivanti dalla <strong>di</strong>visione <strong>del</strong> lavoro e<br />

dalla struttura <strong>di</strong> classe. Da ciò <strong>di</strong>scende che coloro i quali desiderano conservare intatto<br />

<strong>il</strong> loro pacifismo devono abbracciare una sorta d'isolamento, vivendo insieme in<br />

comunità agricole largamente autosufficienti. Il mennonita tra<strong>di</strong>zionale non votava, non<br />

serviva nell'esercito, non svolgeva la funzione <strong>di</strong> magistrato. Come i primi cristiani, egli<br />

versa però i tributi, in obbe<strong>di</strong>enza ai suoi stessi principi religiosi (v. Hershberger, 1944).<br />

Analoghe sono le concezioni sostenute dagli hutteriani.<br />

Anche Tolstoj, pur se in modo leggermente <strong>di</strong>verso, può <strong>il</strong>lustrare lo spirito <strong>del</strong> pacifismo<br />

non politico. Durante l'ultimo periodo <strong>del</strong>la sua vita, egli <strong>di</strong>venne quel che potrebbe esser<br />

definito un pacifista anarchico, con la sua insistenza sulla semplicità, sulla necessità <strong>del</strong><br />

duro lavoro manuale, e sul rifiuto <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re allo Stato quando esige tributi e la<br />

prestazione <strong>del</strong> servizio m<strong>il</strong>itare. A volte sembra esser stato molto vicino al pacifismo<br />

politico, in quanto riteneva che se m<strong>il</strong>ioni d'in<strong>di</strong>vidui avessero seguito <strong>il</strong> suo<br />

insegnamento lo Stato si sarebbe inevitab<strong>il</strong>mente <strong>di</strong>ssolto.<br />

I principî cosiddetti non religiosi <strong>del</strong> pacifismo non politico rassomigliano moltissimo a<br />

quelli <strong>del</strong>le concezioni religiose, sebbene <strong>il</strong> linguaggio adoperato possa <strong>di</strong>fferire. Si<br />

riscontra una tendenza a <strong>di</strong>sperare <strong>di</strong> una trasformazione generale <strong>del</strong> mondo, un<br />

atteggiamento <strong>di</strong> sospetto verso aspetti a quanto pare inevitab<strong>il</strong>i <strong>del</strong>la politica, quali<br />

l'organizzazione su vasta scala, e <strong>di</strong> dubbio riguardo alle complicazioni <strong>del</strong>la sfera<br />

tecnologica ed economica. Orientamenti <strong>di</strong> questo tipo non ricorrono a formulazioni


tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> stampo religioso, ma le implicazioni sono affini. Anch'essi vedono con<br />

sospetto qualsiasi tipo <strong>di</strong> ‛politica', che associano alla violenza, all'inganno e a<br />

compromessi inaccettab<strong>il</strong>i.<br />

Per esempio, molte <strong>del</strong>le cosiddette comuni che sono fiorite negli Stati Uniti negli anni<br />

sessanta e settanta sono <strong>di</strong> orientamento pacifista (spesso ‛non religioso'), molto<br />

scettiche circa l'attività politica in genere, che considerano una perenne fonte <strong>di</strong><br />

corruzione.<br />

Sebbene i pacifisti non politici siano talvolta chiaramente consapevoli <strong>del</strong> fatto che la<br />

loro posizione comporta implicazioni notevoli per la politica in generale, continuano<br />

non<strong>di</strong>meno a proclamare che <strong>il</strong> pacifismo non deve impegnarsi <strong>di</strong>rettamente nella<br />

mo<strong>di</strong>ficazione <strong>del</strong>le istituzioni politiche o sociali. Anche se l'attività politica come tale<br />

può non essere violenta, ha però la tendenza a condurre a gravi compromessi, compresi<br />

quelli che comportano la violenza, occulta o manifesta. Il pacifismo <strong>di</strong> questo tipo,<br />

dunque, non è interessato a strategie politiche, teorie <strong>del</strong> potere, problemi sociali, e così<br />

via, ma è essenzialmente rivolto a <strong>il</strong>lustrare i fondamenti <strong>del</strong>la posizione pacifista e a<br />

indagare in qual modo i singoli pacifisti possano meglio conservare la loro integrità<br />

personale <strong>di</strong> fronte a un mondo <strong>di</strong> potere e <strong>di</strong> violenza. Nelle sue tonalità più<br />

pessimistiche, tale tipo <strong>di</strong> pacifismo sembra dubitare che <strong>il</strong> mondo politico potrà mai<br />

essere trasformato nella sua natura essenziale.<br />

6. Pacifismo politico<br />

Per converso, <strong>il</strong> pacifismo politico - pur non ignorando l'importanza <strong>del</strong>l'integrità<br />

personale e la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> violenza implicita in ogni attività politica - tende a porre<br />

l'accento sull'importanza <strong>del</strong>le valutazioni politiche e a sostenere che è certamente<br />

possib<strong>il</strong>e trasformare <strong>il</strong> mondo me<strong>di</strong>ante l'azione politica non violenta. Accetta molti<br />

aspetti <strong>del</strong>l'attività politica moderna (inclusa la politica parlamentare) e si sforza <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stinguere tra coercizione non violenta e coercizione violenta. Potrebbe anche esser<br />

definito <strong>il</strong> pacifismo <strong>del</strong>la trasformazione.<br />

Vogliamo innanzi tutto tratteggiare qui l'atteggiamento dei pacifisti politici nei confronti<br />

<strong>del</strong>la storia; parleremo poi dei fini ch'essi considerano desiderab<strong>il</strong>i, ed esamineremo<br />

infine le strategie <strong>di</strong> azione sociale e politica ritenute accettab<strong>il</strong>i.<br />

1. Si afferma che la storia sia, almeno in parte, una storia <strong>di</strong> guerre e <strong>di</strong> violenze che, a<br />

<strong>di</strong>spetto degli apologeti, non hanno portato alcun vantaggio all'umanità. Nella grande<br />

maggioranza - se non nella totalità - dei casi le guerre, se le ve<strong>di</strong>amo in prospettiva, non<br />

solo hanno rappresentato <strong>il</strong> colmo <strong>del</strong>la malvagità ma si sono anche <strong>di</strong>mostrate stolte.<br />

Pur se incidentalmente possono esser state <strong>di</strong> qualche ut<strong>il</strong>ità, <strong>il</strong> costo morale, sociale e<br />

politico ha <strong>di</strong> gran lunga ecceduto i presunti benefici. Inoltre, a proposito <strong>di</strong> molte guerre<br />

si può affermare che non esiste neanche la minima parvenza <strong>di</strong> prova a loro favore. E per<br />

esempio incontestab<strong>il</strong>e - si è detto - che la guerra ha notevolmente stimolato lo sv<strong>il</strong>uppo


<strong>del</strong>la scienza chirurgica, e questo può anche essere esatto. Ma anche se è esatto, <strong>il</strong> prezzo<br />

pagato in felicità e vite umane è stato così enorme che da un punto <strong>di</strong> vista strettamente<br />

ut<strong>il</strong>itario <strong>il</strong> costo dei supposti progressi raggiunti in chirurgia è stato chiaramente<br />

sproporzionato agli eventuali vantaggi. Anche se molte guerre sono state combattute in<br />

nome <strong>del</strong>la libertà, è dubbio che vi sia stata una qualche guerra che, tutto considerato,<br />

abbia fatto progre<strong>di</strong>re la causa <strong>del</strong>la libertà umana per l'umanità nel suo complesso.<br />

In altre parole, considerando la storia universale, <strong>il</strong> pacifista giu<strong>di</strong>ca la guerra e la<br />

violenza sempre <strong>del</strong>eterie per la promozione <strong>di</strong> traguar<strong>di</strong> quali l'istruzione, lo sv<strong>il</strong>uppo<br />

<strong>del</strong>le arti, <strong>il</strong> rispetto <strong>del</strong>la vita, l'umanitarismo, la democrazia e la cultura; e se, in talune<br />

circostanze, può sembrare che la guerra sia <strong>di</strong> stimolo a un progresso così concepito,<br />

un'approfon<strong>di</strong>ta valutazione deve far sorgere gravi dubbi al riguardo.<br />

Questi concetti potranno forse risultare più chiari se li <strong>il</strong>lustriamo in relazione a<br />

determinate guerre.<br />

Innanzi tutto considereremo le guerre sulla cui dubbia ut<strong>il</strong>ità potrebbero concordare<br />

persino i non pacifisti: quelle cioè meno <strong>di</strong>fen<strong>di</strong>b<strong>il</strong>i. Passeremo poi a considerare taluni<br />

conflitti che invece vengono spesso <strong>di</strong>fesi dai non pacifisti.<br />

Che cosa si può <strong>di</strong>re - potrebbe chiedere <strong>il</strong> pacifista - a <strong>di</strong>fesa <strong>del</strong>la lunga guerra <strong>del</strong><br />

Peloponneso? Il conflitto fu condannato perfino da conservatori quali Aristofane, e molti<br />

uomini <strong>del</strong>l'epoca - certamente non pacifisti - erano ben consapevoli <strong>del</strong>le sue<br />

conseguenze spaventosamente <strong>di</strong>struttive per la civ<strong>il</strong>tà greca. Da parte <strong>di</strong> Atene fu<br />

essenzialmente un conflitto mirante a salvaguardare l'imperialismo greco scaturito dalle<br />

guerre persiane, un imperialismo che sotto taluni aspetti fu altrettanto pernicioso <strong>di</strong><br />

qualsiasi altro. Le pretese <strong>di</strong> Sparta contro Atene non erano migliori <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong> Atene<br />

contro Sparta. Ma <strong>il</strong> fatto capitale <strong>del</strong>la guerra fu che gli obiettivi originari <strong>del</strong> conflitto<br />

furono presto <strong>di</strong>menticati, e la contesa continuò quasi fine a se stessa, <strong>di</strong>struggendo,<br />

anche in seguito al <strong>di</strong>ffondersi <strong>di</strong> epidemie, <strong>il</strong> fiore <strong>del</strong>la gioventù greca e, alla fine,<br />

sonando la campana a morto per la polis.<br />

Oppure si considerino le varie guerre romane <strong>di</strong> conquista, i conflitti contro Cartagine,<br />

per esempio, in Italia e in Oriente. Essi contribuirono a unificare una vasta parte <strong>del</strong><br />

mondo conosciuto, e questo potrebbe <strong>di</strong>rsi un vantaggio. Come riconobbe <strong>il</strong> grande<br />

apologista cristiano Origene, l'unità <strong>del</strong> mondo romano contribui a fac<strong>il</strong>itare <strong>il</strong><br />

<strong>di</strong>ffondersi <strong>del</strong> cristianesimo, <strong>il</strong> che, dal suo punto <strong>di</strong> vista, fu un bene. Ma in che modo lo<br />

stato <strong>di</strong> guerra - pressochè ininterrotto prima <strong>di</strong> Augusto - influi sul carattere dei Romani<br />

e sulle loro istituzioni politiche? Esso contribuì grandemente al <strong>di</strong>ffondersi <strong>del</strong>la<br />

schiavitù, allo spopolamento <strong>del</strong>le campagne, alla formazione <strong>del</strong>le gran<strong>di</strong> proprietà<br />

terriere, alla <strong>di</strong>struzione dei piccoli coltivatori, e al sorgere <strong>del</strong> problema <strong>del</strong>le masse<br />

urbane <strong>di</strong>soccupate e proletarizzate. I Romani acquistarono abitu<strong>di</strong>ni sempre più rozze.<br />

Inoltre, le loro istituzioni repubblicane andarono in <strong>di</strong>sfacimento come <strong>di</strong>retto risultato<br />

<strong>del</strong>le guerre sia esterne che intestine. Pur se si devono riconoscere con franchezza i<br />

benefici che dovevano derivare dalla fondazione <strong>del</strong>l'impero, chi può sinceramente <strong>di</strong>re


ch'essi abbiano maggior peso <strong>del</strong>l'enorme prezzo pagato?<br />

In epoca moderna, chi potrebbe <strong>di</strong>fendere oggi le svariate guerre <strong>di</strong>nastiche scatenate per<br />

la successione a questo o quel trono? Si prenda, per esempio, la guerra <strong>di</strong> successione<br />

spagnola, che terminò con l'asserita vittoria <strong>del</strong>la Gran Bretagna e dei suoi alleati. Alla<br />

fine fu proprio <strong>il</strong> Borbone, le cui pretese al trono <strong>di</strong> Spagna erano state contestate dalla<br />

Gran Bretagna, a essere inse<strong>di</strong>ato come re. Migliaia <strong>di</strong> uomini morirono da entrambe le<br />

parti; ora chi, guardando retrospettivamente, può veramente affermare che quella guerra<br />

abbia apportato un qualche vantaggio all'umanità o anche soltanto alle nazioni<br />

interessate?<br />

Ma, riba<strong>di</strong>rà <strong>il</strong> non pacifista, vi sono state certo guerre legittime, guerre che realmente<br />

<strong>di</strong>fesero la vita umana o altri valori preziosi. Il pacifista lo negherà, anche nei confronti<br />

dei conflitti presumib<strong>il</strong>mente più <strong>di</strong>fen<strong>di</strong>b<strong>il</strong>i. Si potrebbe affermare che quando gli<br />

eserciti musulmani furono sconfitti dai cristiani nella battaglia <strong>di</strong> Poitier (733) questa fu<br />

una vittoria per la ‛civ<strong>il</strong>tà'. Anche lasciando da parte la brutalità <strong>del</strong> conflitto e le preziose<br />

vite sacrificate, <strong>il</strong> pacifista asserirà invece che la battaglia non fece progre<strong>di</strong>re <strong>di</strong> un iota<br />

la civ<strong>il</strong>tà. In effetti si potrebbe sostenere che se i cristiani non avessero resistito con le<br />

armi ai musulmani la civ<strong>il</strong>tà ne avrebbe beneficiato: la cultura musulmana era, infatti,<br />

assai più progre<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> quella cristiana. Si può immaginare che se i musulmani non<br />

avessero incontrato opposizione ‛i secoli bui' avrebbero avuto vita più breve, non si<br />

sarebbero mai sv<strong>il</strong>uppate istituzioni quali l'Inquisizione, e molte guerre future tra<br />

musulmani e cristiani sarebbero state evitate.<br />

Il non pacifista potrebbe naturalmente obiettare che certe guerre moderne, come la<br />

guerra <strong>di</strong> secessione americana (1861-1865), costituiscono ovvi esempi atti a sconcertare<br />

<strong>il</strong> pacifista. Si potrebbe argomentare che la guerra <strong>di</strong> secessione liberò gli schiavi<br />

americani e che questo fu un beneficio che controb<strong>il</strong>ancia largamente la brutalità <strong>del</strong>la<br />

guerra e l'uccisione <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> esseri umani. Ma <strong>il</strong> pacifista <strong>di</strong>mostrerà che la guerra<br />

influì molto scarsamente sulla reale emancipazione degli schiavi negri. Certo, sul piano<br />

formale l'emancipazione fu ottenuta. Ma le conseguenze <strong>del</strong>la guerra, i rancori da essa<br />

generati e <strong>il</strong> caos sociale ed economico creato dal conflitto contribuirono grandemente a<br />

rendere quasi lettera morta l'emancipazione formale. Nuovi meto<strong>di</strong> furono escogitati per<br />

tenere i Negri in catene; fu attuata la loro segregazione dai Bianchi e vennero loro negate<br />

anche quelle misure <strong>di</strong> protezione che esistevano in regime <strong>di</strong> schiavitù. La guerra civ<strong>il</strong>e,<br />

in effetti, ritardò la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> una vera libertà ed eguaglianza per i Negri.<br />

Vi sono naturalmente coloro che sosterranno che, sebbene molte guerre debbano essere<br />

condannate, la prima e la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale costituiscono ovvie eccezioni alla<br />

regola generale. Ma anche su questo <strong>il</strong> pacifista <strong>di</strong>ssentirà fermamente. Più si stu<strong>di</strong>ano le<br />

origini e i risultati <strong>del</strong>la prima guerra mon<strong>di</strong>ale, più si deve dubitare che abbia fatto<br />

qualcosa d'altro che sterminare esseri umani e minare sistemi sociali relativamente<br />

stab<strong>il</strong>i. Naturalmente gli alleati affermavano <strong>di</strong> combattere per ‟salvare <strong>il</strong> mondo per la<br />

democrazia" (secondo le parole <strong>di</strong> W<strong>il</strong>son, sottoscritte da Orlando, Lloyd George e altri


statisti). La guerra, è vero, portò al rovesciamento <strong>del</strong>la monarchia tedesca, ma dopoche<br />

m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> esseri umani erano stati massacrati. Si può anche riconoscere <strong>il</strong> suo contributo<br />

all'indebolimento e quin<strong>di</strong> alla liquidazione <strong>del</strong>l'autocrazia russa. Ma fu anche<br />

responsab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ffusa <strong>di</strong>sorganizzazione sociale, dalla quale scaturirono molte<br />

guerre civ<strong>il</strong>i. Fu inoltre la causa <strong>di</strong>retta <strong>del</strong>la <strong>di</strong>ssoluzione <strong>del</strong>la monarchia<br />

austroungarica e nulla fece per fermare lo sv<strong>il</strong>uppo <strong>del</strong> nazionalismo sciovinistico. I<br />

trattati <strong>di</strong> pace che posero fine alla guerra contenevano in sé molti dei germi dei futuri<br />

conflitti, seconda guerra mon<strong>di</strong>ale inclusa. L'enorme <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> risorse naturali<br />

durante la guerra fu la premessa per l'impoverimento <strong>di</strong> m<strong>il</strong>ioni d'in<strong>di</strong>vidui. In Italia, in<br />

parte come risultato <strong>del</strong>le con<strong>di</strong>zioni generate dalla guerra, fu preparato <strong>il</strong> terreno per<br />

l'avvento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>ttatura fascista. Negli Stati Uniti, che erano nati in un clima - tipico <strong>del</strong><br />

sec. XVIII - <strong>di</strong> antim<strong>il</strong>itarismo e <strong>di</strong> ost<strong>il</strong>ità agli eserciti permanenti, gli organici<br />

<strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la marina non tornarono più ai livelli anteguerra, e <strong>il</strong> nazionalismo<br />

sciovinistico americano fu grandemente stimolato.<br />

E che <strong>di</strong>re <strong>del</strong>la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale? Per molti essa parve essere <strong>il</strong> conflitto che più<br />

<strong>di</strong> ogni altro s'avvicinava a una possib<strong>il</strong>e giustificazione. Eppure, neanche in questo caso i<br />

pacifisti giu<strong>di</strong>cano si possa fare un'eccezione al totale ripu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> ogni guerra e <strong>di</strong> ogni<br />

violenza. Se è vero che essa portò alla <strong>di</strong>struzione <strong>del</strong>l'hitlerismo, <strong>il</strong> prezzo pagato fu però<br />

enorme: l'espansione <strong>del</strong> potere <strong>di</strong> un'autocrazia altrettanto brutale, l'Unione Sovietica; <strong>il</strong><br />

deca<strong>di</strong>mento morale rappresentato da azioni quali <strong>il</strong> bombardamento <strong>di</strong> Dresda,<br />

Hiroshima e Nagasaki; e i processi ipocriti <strong>di</strong> Norimberga, nei quali vennero stab<strong>il</strong>iti<br />

precedenti <strong>di</strong> retroattività <strong>del</strong>la legge e <strong>di</strong> processi politici contro i vinti, istruiti da giu<strong>di</strong>ci<br />

provenienti da nazioni che avevano anch'esse commesso atrocità <strong>di</strong> massa. A una<br />

generazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalla conclusione <strong>del</strong>la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, una parte <strong>di</strong><br />

umanità altrettanto vasta che nell'anteguerra vive sotto autocrazie e governi che<br />

ricorrono alla tortura. In base a uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Amnesty International, nel 1973 circa metà<br />

<strong>del</strong>le nazioni <strong>del</strong> mondo (comprese alcune <strong>del</strong>le cosiddette democrazie) applicavano vari<br />

meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> tortura (v. Robertson, 1973). Quali che siano i risultati <strong>del</strong>la guerra, essa non<br />

ha gettato i semi <strong>del</strong>la ‛democrazia' e <strong>del</strong>lo ‛Stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto'. Al contrario, ha contribuito<br />

notevolmente a instaurare un clima avverso a quegli ideali.<br />

Viene talvolta affermato che quanti si opposero a Hitler con la guerra contribuirono a<br />

salvare gli Ebrei. Ma i pacifisti fanno notare come lo sterminio degli Ebrei fosse<br />

considerato da Hitler una misura <strong>di</strong> guerra. È <strong>del</strong> tutto possib<strong>il</strong>e che iniziative esplicite<br />

per lo sterminio degli Ebrei non sarebbero state prese se la coalizione antihitleriana non<br />

avesse fatto la guerra. Sebbene le misure antisemite fossero state in realtà adottate prima<br />

<strong>del</strong>la guerra, esse non contemplavano la <strong>di</strong>struzione fisica. Inoltre, l'antisemitismo aveva<br />

una solida base istituzionale (per esempio sotto forma <strong>di</strong> restrizioni nell'accesso<br />

all'istruzione) perfino in paesi che furono considerati vittime <strong>del</strong>l'‛aggressione' <strong>di</strong> Hitler,<br />

come la Polonia. E la coalizione antihitleriana avrebbe potuto fare - prima <strong>del</strong>la guerra -<br />

ben più <strong>di</strong> quel che fece per fornire un rifugio ai perseguitati. Infine può e deve essere


sottolineato che la violenza bellica salvò ben pochi Ebrei: la gran massa era stata uccisa<br />

nel corso <strong>del</strong>la guerra. Un successo assai maggiore ebbero i meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> salvataggio non<br />

violenti, come quelli messi in atto dalla Danimarca perfino durante l'occupazione<br />

m<strong>il</strong>itare tedesca.<br />

Sebbene le conseguenze peggiori <strong>di</strong> conflitti come la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale consistano<br />

nel massacro <strong>di</strong> vite umane - che si accompagna inevitab<strong>il</strong>mente alla guerra - i pacifisti<br />

pongono in r<strong>il</strong>ievo anche l'enorme quantità <strong>di</strong> risorse naturali andate <strong>di</strong>strutte. Paesi<br />

come la Gran Bretagna furono letteralmente costretti a indebitarsi fino al collo per<br />

proseguire la guerra, bruciando così le riserve accumulate da generazioni. Promettenti<br />

sistemi produttivi andarono in pezzi, ed esseri umani furono ridotti alla <strong>di</strong>sperazione<br />

dalla miseria, dalla deportazione forzata e da altre consim<strong>il</strong>i sciagure.<br />

E la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale non fece eccezione neppure alla regola secondo la quale <strong>il</strong><br />

deterioramento morale sembra sempre accompagnarsi alla guerra. Prostituzione,<br />

saccheggio, <strong>di</strong>sprezzo <strong>del</strong>la vita in generale sono <strong>il</strong> retaggio non solo <strong>del</strong>la guerra ma <strong>del</strong><br />

mondo postbellico. La guerra per sua stessa natura incoraggia molte forme <strong>di</strong> declino<br />

morale, come anche molti non pacifisti sono <strong>di</strong>sposti ad ammettere. Durante la seconda<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale da entrambe le parti si verificarono ecci<strong>di</strong> <strong>di</strong> prigionieri, e l'assenta<br />

protezione <strong>del</strong>la popolazione civ<strong>il</strong>e, che si presumeva fosse stata ottenuta con i progressi<br />

<strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto internazionale, fu minata alla base dal <strong>di</strong>ffuso ricorso a bombardamenti<br />

in<strong>di</strong>scriminati.<br />

2. Sotto un prof<strong>il</strong>o positivo, <strong>il</strong> pacifismo politico crede che sia possib<strong>il</strong>e concepire una<br />

società in cui la violenza venga ridotta a livelli relativamente bassi e ove le tendenze alla<br />

violenza possano essere tenute sotto controllo con mezzi non violenti. Molti <strong>di</strong> questi<br />

obiettivi sono stati già incorporati come ideali in sistemi giuri<strong>di</strong>ci e politici e altri sono da<br />

molti anni oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito. Non solo, ma l'ideale pacifista è già stato parzialmente<br />

messo in pratica da m<strong>il</strong>ioni d'in<strong>di</strong>vidui, che nella loro vita quoti<strong>di</strong>ana agiscono<br />

normalmente in modo non violento e spesso reprimono qualsiasi eventuale impulso alla<br />

rappresaglia.<br />

Quella <strong>del</strong>ineata dai pacifisti è una società mon<strong>di</strong>ale, in cui poche decisioni essenziali<br />

sarebbero prese dal centro - per esempio quelle riguardanti l'allocazione <strong>del</strong>le risorse su<br />

una base equa -, ma in cui l'amministrazione sarebbe altamente decentrata.<br />

Naturalmente lo Stato nazionale sovrano dovrebbe scomparire.<br />

Fra le altre caratteristiche <strong>di</strong> una siffatta società non violenta dovrebbero essere<br />

contemplate: limitazioni all'espansione <strong>del</strong>le città; forze <strong>di</strong> polizia <strong>di</strong>sarmate; una più<br />

equa <strong>di</strong>stribuzione <strong>del</strong> red<strong>di</strong>to nell'ambito <strong>di</strong> ogni nazione; una <strong>di</strong>minuzione <strong>del</strong> <strong>di</strong>vario<br />

fra i paesi economicamente depressi e quelli altamente sv<strong>il</strong>uppati; l'eliminazione o la<br />

mo<strong>di</strong>ficazione drastica dei sistemi carcerari; e, possib<strong>il</strong>mente, un modo <strong>di</strong> ut<strong>il</strong>izzare la<br />

tecnologia molto più oculato <strong>di</strong> quello in genere abituale nelle società altamente<br />

industrializzate.<br />

Molte sono, naturalmente, le ra<strong>di</strong>ci <strong>del</strong> comportamento violento, ed è da sperare che gli


ideatori <strong>del</strong>le istituzioni <strong>di</strong> una società non violenta ne terranno <strong>il</strong> debito conto. In certi<br />

casi la violenza è frutto <strong>del</strong>la frustrazione personale nel raggiungimento <strong>di</strong> traguar<strong>di</strong><br />

legittimi. Altri tipi <strong>di</strong> violenza possono essere attribuiti alla <strong>di</strong>scriminazione razziale, al<br />

risentimento dovuto a inique <strong>di</strong>visioni <strong>di</strong> classe, e ad altre cause analoghe. I pacifisti sono<br />

propensi a credere che sia possib<strong>il</strong>e progettare istituzioni politiche le quali esaltino le<br />

funzioni eminentemente positive e <strong>di</strong> pianificazione, riducendo drasticamente i compiti<br />

meramente repressivi. La pianificazione <strong>del</strong>l'impiego e <strong>del</strong>l'equa <strong>di</strong>stribuzione <strong>del</strong>le<br />

risorse naturali, per esempio, potrebbe evitare un eccessivo controllo <strong>di</strong>retto sugli esseri<br />

umani. Le funzioni d'istituzioni come la polizia dovrebbero consistere anzitutto nella<br />

prevenzione <strong>del</strong>la violenza me<strong>di</strong>ante un intelligente uso <strong>di</strong> strumenti quali la<br />

pianificazione, un regolare servizio <strong>di</strong> vig<strong>il</strong>anza, un'assistenza <strong>di</strong> emergenza <strong>di</strong> ogni tipo a<br />

chiunque si trovi in stato <strong>di</strong> bisogno, e un'opera <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento generale.<br />

Dovrebbe tuttavia essere sottolineato che <strong>il</strong> pacifismo politico non contempla<br />

l'eliminazione <strong>del</strong> conflitto. Anche se potesse realizzarsi, un tale obiettivo non sarebbe<br />

desiderab<strong>il</strong>e. Taluni tipi <strong>di</strong> conflitto e <strong>di</strong> tensione fanno emergere le qualità migliori in un<br />

essere umano e stimolano la riflessione, l'indagine e l'azione. Solo i tipi <strong>di</strong>struttivi <strong>di</strong><br />

conflitti connessi con la violenza dovrebbero essere <strong>di</strong>chiarati inammissib<strong>il</strong>i.<br />

Non è questa la sede per descrivere nei particolari le istituzioni <strong>di</strong> una società pacifista.<br />

Ne abbiamo <strong>del</strong>ineate alcune caratteristiche, su molte <strong>del</strong>le quali, se non su tutte, i non<br />

pacifisti certamente concorderanno.<br />

3. I mezzi cui <strong>il</strong> pacifista ricorre sono forse più caratterizzanti dei suoi fini: egli insiste su<br />

certi particolari processi <strong>di</strong> mutamento sociale. Come è stato precedentemente<br />

accennato, <strong>il</strong> pacifista pone costantemente in risalto lo stretto rapporto tra mezzi e fini.<br />

Non ci si può aspettare <strong>di</strong> costruire una società non violenta se si ricorre come mezzo alla<br />

violenza. Se <strong>il</strong> pacifista respinge la guerra e la violenza come mezzi per estendere la<br />

‛libertà', l'‛eguaglianza' e la ‛fraternità', nonché per proteggere l'integrità <strong>del</strong> gruppo, quali<br />

mezzi alternativi propone?<br />

Egli ritiene che i mezzi <strong>di</strong>pendano dalla sua concezione <strong>del</strong> potere. Potere è la capacità <strong>di</strong><br />

attuare o <strong>di</strong> fare. Il potere politico è la capacità che alcuni hanno d'influenzare le azioni <strong>di</strong><br />

altri, siano essi in<strong>di</strong>vidui o gruppi. Questi ultimi, tuttavia, hanno pur sempre la capacità<br />

d'influenzare e <strong>di</strong> frustrare coloro che cercano <strong>di</strong> controllarli. Esiste un rapporto<br />

reciproco fra gli aspiranti controllori e coloro che essi cercano <strong>di</strong> controllare.<br />

Il pacifista è convinto che in qualsiasi analisi <strong>del</strong> potere <strong>il</strong> ruolo <strong>del</strong>la ragione e <strong>del</strong>la<br />

persuasione non debba essere trascurato. Enorme è <strong>il</strong> potere <strong>del</strong>la parola stampata:<br />

altrimenti non si potrebbe spiegare <strong>il</strong> fatto che tutti i despoti (come anche molti regimi<br />

non <strong>di</strong>spotici) cerchino <strong>di</strong> censurare la stampa. Ma i governi, e in particolare le tirannie,<br />

hanno sempre paura anche <strong>del</strong>la parola parlata e <strong>di</strong> ciò che da essa può scaturire quando<br />

gli uomini parlano tra loro; per questo i governi sono propensi a vedere la ‛cospirazione'<br />

come una minaccia perpetuamente incombente. Per tutto l'arco <strong>del</strong>la storia politica le<br />

classi dominanti hanno sempre cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>stogliere la pubblica opinione dalle questioni


politiche e <strong>di</strong> scaricare le energie degli in<strong>di</strong>vidui negli sport, o nei giochi gla<strong>di</strong>atori, o in<br />

una sovrabbondanza <strong>di</strong> agi materiali. Se la forza virtuale <strong>del</strong>la pubblica opinione si<br />

attualizzasse, nulla sarebbe più potente.<br />

Le stesse classi dominanti possono essere <strong>di</strong>rettamente influenzate da appelli ai valori da<br />

esse professati e da tentativi volti a persuaderle a mutare la loro condotta. Sebbene<br />

l'entità <strong>del</strong>l'influsso che si potrà esercitare sulle classi dominanti <strong>di</strong>penda in una certa<br />

misura dal particolare contesto economico o sociale e dalla natura <strong>del</strong>la classe <strong>di</strong> governo<br />

in questione, non si dovrebbe comunque trascurare <strong>il</strong> potere <strong>del</strong>la razionalità. Se membri<br />

influenti <strong>di</strong> una data classe dominante sono convinti che la loro condotta è sbagliata o<br />

inefficace, si verificherà una <strong>di</strong>visione all'interno <strong>del</strong>la classe stessa, e in tale situazione,<br />

com'è noto, la via è aperta all'emergere <strong>di</strong> nuove classi dominanti.<br />

Anche se una classe <strong>di</strong>rigente resta unita, può essere ridotta all'impotenza da<br />

un'opposizione non violenta. Se, per esempio, non è più in grado <strong>di</strong> reclutare forze <strong>di</strong><br />

polizia o soldati, o se i poliziotti e i soldati cominciano a <strong>di</strong>sertare, essa s'indebolisce<br />

sempre più. Ma l'incapacità <strong>di</strong> reclutare soldati o la <strong>di</strong>serzione possono anche essere<br />

determinate da un sentimento generale <strong>di</strong> ost<strong>il</strong>ità al regime. In Russia, i governi zaristi<br />

<strong>del</strong> 1905 e <strong>del</strong> 1917 s'indebolirono non tanto perché i loro funzionari venivano uccisi dai<br />

rivoluzionari, ma piuttosto perché l'opirnone pubblica era <strong>di</strong>venuta ost<strong>il</strong>e al regime e<br />

perché avevano perduto la simpatia <strong>del</strong>le forze armate.<br />

È anche possib<strong>il</strong>e che forze armate e polizia restino fe<strong>del</strong>i e non abbiano tuttavia <strong>il</strong> potere<br />

<strong>di</strong> costringere gli in<strong>di</strong>vidui ad agire in dati mo<strong>di</strong>. L'impegno e i valori degli in<strong>di</strong>vidui<br />

determineranno la misura in cui essi saranno aperti all'influenza <strong>del</strong> potere altrui o <strong>del</strong>le<br />

istituzioni. Un vegetariano è meno soggetto ai capricci dei prezzi <strong>del</strong>la carne <strong>di</strong> quanto<br />

possa esserlo un carnivoro. Colui che ha poche necessità materiali subirà l'influsso <strong>del</strong>la<br />

pubblicità assai meno <strong>di</strong> colui che ha molte esigenze. Il cristiano che attribuiva maggior<br />

valore alla religione - la quale proibiva l'idolatria - che alla vita stessa non poteva essere<br />

costretto neppure da tutte le legioni romane a rendere onori <strong>di</strong>vini all'imperatore. I<br />

moderni obiettori <strong>di</strong> coscienza che non temano la prigione o altri <strong>di</strong>sagi e neppure la<br />

morte non possono venir obbligati - quale che sia <strong>il</strong> presunto potere <strong>del</strong>lo Stato - a<br />

entrare nell'esercito.<br />

Come de La Boétie fece osservare nel XVI secolo, la ra<strong>di</strong>ce <strong>del</strong>la tirannia sta nella<br />

tendenza <strong>del</strong>la maggior parte degli uomini a <strong>di</strong>ventare schiavi ‛volontari'. Troppo spesso<br />

essi hanno paura perché temono la libertà e la responsab<strong>il</strong>ità; oppure cercano vantaggi<br />

imme<strong>di</strong>ati sottomettendosi a coloro che possono sod<strong>di</strong>sfare i loro desideri <strong>del</strong> momento.<br />

In questo modo si assoggettano alla violenza <strong>del</strong> tiranno, domestico o straniero che sia.<br />

Spesso la loro schiavitù è in parte dovuta alla tendenza ad accettare <strong>il</strong> mito secondo cui la<br />

violenza può portare all'emancipazione umana. Non capiscono che la violenza si associa<br />

sempre alla tirannia e alla schiavitù, e che l'unica speranza <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> pieno sv<strong>il</strong>uppo<br />

<strong>del</strong>la personalità sta nel rifiuto <strong>del</strong>la violenza e nell'uso <strong>di</strong>sciplinato <strong>di</strong> un potere non<br />

violento.


Sono considerazioni <strong>di</strong> questo tipo che costituiscono <strong>il</strong> substrato <strong>del</strong>le alternative alla<br />

violenza offerte dal pacifismo politico. Per esempio, la teoria gandhiana <strong>del</strong> satyāgraha<br />

(l'insistenza per la verità') è in parte un'elaborazione <strong>del</strong>le strategie da adoperare nella<br />

formazione <strong>del</strong> potere non violento. In generale, afferma la teoria, i gruppi politici che<br />

cercano <strong>di</strong> attuare i mutamenti sociali ritenuti desiderab<strong>il</strong>i dovrebbero operare<br />

strenuamente per ut<strong>il</strong>izzare tutti i meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> persuasione e <strong>di</strong> convincimento pacifici e,<br />

ove esistano istituzioni parlamentari <strong>di</strong> un qualche tipo, dovrebbero senza dubbio<br />

ricorrere a strumenti parlamentari. Un movimento fondato sul satyāgraha dovrà<br />

innanzitutto avere ben chiari i propri obiettivi e li vaglierà alla stregua <strong>del</strong>la propria<br />

concezione <strong>del</strong>la giustizia. Una volta definite accuratamente le proprie proposte, le<br />

sottoporrà all'autorità (sia questa rappresentata da una persona o da un parlamento) e<br />

<strong>di</strong>mostrerà la giustezza dei fini propugnati. Sarà paziente ma anche fermo. Farà <strong>sapere</strong> al<br />

governo (o ad altri eventuali avversari politici) <strong>di</strong> esser <strong>di</strong>sposto a venire a compromessi<br />

su aspetti secondari, ma che rimarrà fermo sulle questioni essenziali prenderà in seria<br />

considerazione tutte le proposte alternative avanzate dal governo, non respingendole se<br />

non dopo una me<strong>di</strong>tata decisione.<br />

Gandhi, naturalmente, è consapevole che le classi governanti sono spesso assai <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i<br />

da persuadere. Sono psicologicamente prigioniere dei loro presunti interessi <strong>di</strong> classe, e<br />

la stessa forza d'inerzia che s'instaura dopo un lungo periodo <strong>di</strong> dominio rende inefficace<br />

qualsiasi appello alla ragione. Esiste nelle classi dominanti una tendenza a considerarsi<br />

<strong>di</strong>vinità immuni dalle normali considerazioni dettate dalla ragione e dal senso <strong>di</strong><br />

giustizia. Ciononostante, Gandhi insegna che bisogna fare ogni tentativo per incrinare le<br />

barriere psicologiche che separano i governanti dai governati.<br />

Se, dopo un certo periodo <strong>di</strong> tempo, sembrerà che questi appelli <strong>di</strong>ano scarsi risultati, <strong>il</strong><br />

movimento satyāgraha cercherà <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere <strong>il</strong> suo messaggio me<strong>di</strong>ante<br />

l'insegnamento, l'agitazione politica e un'organizzazione sempre più perfezionata.<br />

Addestrerà i suoi capi a sopportare sofferenze inusitate, giacché <strong>il</strong> pacifista considera la<br />

sofferenza accettata per una causa come un'importante fonte <strong>di</strong> potere in se stessa.<br />

Frattanto, <strong>il</strong> movimento continuerà naturalmente a lottare per giungere a un accordo con<br />

i suoi avversari politici e sarà r<strong>il</strong>uttante a interrompere i negoziati a meno che non appaia<br />

evidente che l'opposizione è assolutamente irremovib<strong>il</strong>e. Naturalmente, richiamerà<br />

l'attenzione dei suoi avversari sul crescere <strong>del</strong>la propria forza sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o <strong>del</strong>l'opinione<br />

pubblica e degli appoggi ottenuti.<br />

Verrà tuttavia <strong>il</strong> momento in cui questi sforzi <strong>di</strong> persuasione <strong>di</strong>retta dovranno<br />

probab<strong>il</strong>mente essere integrati con varie forme <strong>di</strong> non cooperazione. Naturalmente <strong>il</strong><br />

governo già da tempo sarà stato messo in guar<strong>di</strong>a, giacché, sempre che sia possib<strong>il</strong>e, <strong>il</strong><br />

satyāgraha esige onestà e franchezza. Esso impone anche <strong>il</strong> rispetto <strong>del</strong>la persona<br />

<strong>del</strong>l'avversario, anche se questi resta fermo nella sua opposizione. Alla fine si potranno<br />

adottare <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> non cooperazione, in conformità a piani scrupolosamente<br />

stu<strong>di</strong>ati.


Un esempio <strong>di</strong> non cooperazione è lo sciopero. Con questo termine ci si riferisce a<br />

un'azione volta non solo a imme<strong>di</strong>ati vantaggi economici, ma anche a scopi politici. Lo<br />

sciopero è una forma <strong>di</strong> pressione <strong>di</strong>retta a mo<strong>di</strong>ficare la politica <strong>del</strong>le pubbliche autorità.<br />

Una ben <strong>di</strong>sciplinata astensione non violenta dal lavoro può creare una situazione in cui<br />

coloro che erano stati sin allora relativamente impotenti possono negoziare su una base<br />

quasi paritaria con i detentori <strong>del</strong> potere. Ciò si <strong>di</strong>mostrò vero, per esempio, a Roma nel<br />

famoso ‛sciopero' dei plebei <strong>del</strong> 494 a. C. Fu questa la tattica ut<strong>il</strong>izzata nella rivoluzione<br />

russa <strong>del</strong> 1905; sempre a essa si fece ricorso per ottenere l'allargamento <strong>del</strong> suffragio in<br />

Belgio. In In<strong>di</strong>a le <strong>di</strong>missioni in massa <strong>di</strong> pubblici funzionari svolsero un ruolo<br />

importante nella lotta contro <strong>il</strong> governo britannico.<br />

Oltre allo sciopero, a volte può venir impiegato <strong>il</strong> boicottaggio. In tal caso non si tratta <strong>di</strong><br />

astensione dal lavoro, ma <strong>del</strong> fatto che i potenziali clienti lasciano inut<strong>il</strong>izzato <strong>il</strong> loro<br />

potere d'acquisto. Così Gandhi usò <strong>il</strong> boicottaggio dei tessuti <strong>di</strong> fabbricazione inglese<br />

come strumento per incrementare la produzione tess<strong>il</strong>e in<strong>di</strong>ana ed esercitare al<br />

contempo una pressione accuratamente calcolata sul governo britannico in In<strong>di</strong>a (v.<br />

Shridharani, 1939; v. Bondurant, 1958). Il boicottaggio fu anche ut<strong>il</strong>izzato dal<br />

movimento americano per i <strong>di</strong>ritti civ<strong>il</strong>i degli anni 1960 - in particolare con l'intento <strong>di</strong><br />

aprire la via alle trattative per garantire eguaglianza <strong>di</strong> opportunità in materia <strong>di</strong><br />

occupazione.<br />

Gandhi concepiva la <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza civ<strong>il</strong>e come una sorta <strong>di</strong> caso estremo <strong>del</strong>la non<br />

cooperazione. Poteva assumere la forma o <strong>del</strong>la <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza civ<strong>il</strong>e in<strong>di</strong>viduale (alcuni<br />

<strong>di</strong>rigenti erano incaricati <strong>di</strong> violare leggi particolarmente oppressive a rischio <strong>del</strong><br />

carcere), o <strong>del</strong>la <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza civ<strong>il</strong>e <strong>di</strong> massa, attraverso <strong>il</strong> rifiuto non violento <strong>di</strong><br />

migliaia <strong>di</strong> aderenti <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re a determinate <strong>di</strong>sposizioni. Nella <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza civ<strong>il</strong>e,<br />

insegnava Gandhi, si è sempre moralmente obbligati a infrangere la legge apertamente,<br />

in modo non violento e secondo coscienza. L'infrazione non doveva avere uno scopo<br />

egoistico e non doveva essere ambigua. Gandhi (e così molti altri pacifisti) ravvisa nella<br />

<strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza civ<strong>il</strong>e un metodo che <strong>di</strong>mostra rispetto per la legge in generale ma anche,<br />

al tempo stesso, un'aperta inosservanza <strong>di</strong> una particolare legge considerata oppressiva.<br />

M. L. King Jr. e i suoi seguaci nel movimento americano per i <strong>di</strong>ritti civ<strong>il</strong>i sostenevano<br />

una concezione analoga (v. King, 1964).<br />

Tra gli strumenti <strong>del</strong> satyāgraha può essere annoverato anche <strong>il</strong> <strong>di</strong>giuno, che però,<br />

sebbene venisse usato un certo numero <strong>di</strong> volte, fu sempre considerato da Gandhi una<br />

misura da adottarsi soltanto in casi eccezionali e previa una preparazione<br />

particolarmente accurata.<br />

La teoria <strong>del</strong> satyāgraha sostiene anche che è possib<strong>il</strong>e costruire l'apparato <strong>del</strong> governo<br />

alternativo già nel corso <strong>del</strong>la lotta. Gradualmente gruppi sempre più numerosi <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>vidui si abitueranno a vivere secondo i principi <strong>del</strong> movimento e, quando l'antica<br />

forma <strong>di</strong> governo s'indebolirà o declinerà, la nuova struttura sarà in grado <strong>di</strong> assumere <strong>il</strong><br />

controllo.


Che <strong>di</strong>re poi <strong>del</strong> sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa esterna e interna? I pacifisti sono propensi a sostenere<br />

che la ‛<strong>di</strong>fesa' m<strong>il</strong>itare, particolarmente in epoca moderna, non protegge nè la vita umana<br />

nè altri obiettivi e valori desiderab<strong>il</strong>i. Inoltre, esistono scarse prove (o nessuna) a<br />

sostegno <strong>del</strong>la credenza che le nazioni con alti livelli <strong>di</strong> armamento abbiano minori<br />

probab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> essere invase rispetto a nazioni con armamento scarso o nullo: nella<br />

seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, infatti, nazioni bene armate come la Polonia, la Francia, la<br />

Germania e l'Unione Sovietica furono tutte invase, proprio come lo fu la Danimarca che<br />

aveva un apparato m<strong>il</strong>itare assai modesto. L'ideologia <strong>del</strong>la ‛<strong>di</strong>fesa nazionale' m<strong>il</strong>itare è in<br />

massima parte fondata sull'<strong>il</strong>lusione.<br />

I pacifisti insisteranno sul fatto che lo sforzo <strong>di</strong> agire secondo giustizia costituisce la<br />

migliore ‛protezione' per una nazione. Se nella sua politica verso gli altri paesi una<br />

nazione mette a <strong>di</strong>sposizione le proprie risorse, agisce in modo non imperialistico e non<br />

aggressivo, e appoggia la cooperazione internazionale, è assai improbab<strong>il</strong>e che venga<br />

attaccata, anche nel caso che effettui un <strong>di</strong>sarmo un<strong>il</strong>aterale (e i pacifisti sono fautori <strong>del</strong><br />

<strong>di</strong>sarmo un<strong>il</strong>aterale). E se, a onta <strong>di</strong> tutto, tale nazione pacifista venisse invasa, meto<strong>di</strong><br />

<strong>del</strong> tipo satyāgraha risulteranno molto più efficaci, nei confronti <strong>del</strong>l'invasore, che non<br />

le tecniche <strong>del</strong>la violenza. Ora meto<strong>di</strong> siffatti, se non escludono che molti dei resistenti<br />

non violenti possano essere uccisi (come <strong>del</strong> resto accade in guerra), implicano però<br />

ch'essi rimangano immuni dalla colpa <strong>di</strong> aver ucciso altri uomini, e che la pace cui infine<br />

si giungerà avrà maggiori possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> essere una pace genuina e stab<strong>il</strong>e rispetto a una<br />

pace ottenuta dopo <strong>il</strong> ricorso alla violenza.<br />

Spesso i pacifisti richiamano l'attenzione su taluni esempi <strong>di</strong> resistenza non violenta<br />

molto efficace. Per esempio, durante i primi due anni <strong>del</strong>la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale i<br />

Norvegesi impe<strong>di</strong>rono all'occupante tedesco, me<strong>di</strong>ante la non cooperazione, <strong>di</strong><br />

controllare le scuole pubbliche o d'imporre la propria volontà nel settore <strong>del</strong>l'istruzione.<br />

E i Danesi, con un' azione accuratamente programmata, aiutarono l'intera popolazione<br />

ebraica a fuggire persino sotto gli occhi <strong>del</strong>le forze tedesche <strong>di</strong> occupazione. Nel XIX<br />

secolo meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> non cooperazione non violenta svolsero un ruolo importante<br />

nell'assicurare l'autonomia <strong>del</strong>l'Ungheria nell'ambito <strong>del</strong>la duplice monarchia.<br />

Moltissimi altri esempi potrebbero essere citati, compresi naturalmente quelli legati<br />

all'azione <strong>di</strong> Gandhi.<br />

Nessun pacifista vuole sostenere che esista una garanzia <strong>di</strong> ‛successo' nell'uso dei meto<strong>di</strong><br />

pacifisti in una qualsiasi contingenza storica data. E neanche vuol asserire che tutte le<br />

sofferenze umane possono essere evitate. Egli afferma però che sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o politico vi<br />

sono maggiori probab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> successo se si ricorre a meto<strong>di</strong> pacifisti anziché alla<br />

violenza: se <strong>il</strong> criterio <strong>del</strong> successo è dato da un mondo in cui regnino una maggior pace,<br />

un rispetto più autentico per la personalità umana e una più alta considerazione per la<br />

vita (v. Sibley, 1963; v. Sharp, 1973). Di nuovo, egli insisterà sull'intimo rapporto tra fini<br />

e mezzi e sulla r<strong>il</strong>evanza <strong>del</strong>la <strong>di</strong>stinzione tra azioni violente e azioni non violente.<br />

Il pacifista appoggerà ogni sincero sforzo per la creazione <strong>di</strong> istituzioni che rendano


meno probab<strong>il</strong>e la guerra, ma continuerà a proclamare che le guerre cesseranno solo<br />

quando m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> uomini e <strong>di</strong> donne si rifiuteranno puramente e semplicemente <strong>di</strong><br />

prestare servizio m<strong>il</strong>itare e <strong>di</strong> combattere.<br />

7. I punti <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> debolezza <strong>del</strong> pacifismo<br />

Che valutazione daremo <strong>del</strong>la tesi pacifista? Quali sono le ambiguità e le <strong>di</strong>fficoltà <strong>del</strong>la<br />

sua formulazione, e in quale misura dovremo considerarla valida?<br />

a) Critiche<br />

Vi è a volte ambiguità circa ciò che i pacifisti intendono con ‛violenza'. Con questo<br />

termine si deve intendere l'uso <strong>di</strong> ogni tipo <strong>di</strong> forza fisica in qualsiasi circostanza, oppure<br />

la forza fisica è legittima in talune occasioni? Il castigo sbrigativamente inflitto al<br />

bambino da una madre amorevole dev'essere equiparato al bombardamento <strong>di</strong> una città?<br />

Sebbene taluni pacifisti siano perfettamente consapevoli che da un punto <strong>di</strong> vista etico le<br />

due azioni non possono essere collocate nella medesima categoria, altri sono a questo<br />

proposito molto più vaghi.<br />

Analogamente, taluni non sono ben sicuri se <strong>il</strong> termine violenza possa venir usato per<br />

designare azioni che, pur non attinenti alla sfera fisica, sono capaci <strong>di</strong> ferire la<br />

personalità umana in modo altrettanto nocivo <strong>del</strong>la violenza fisica. È certo che Gandhi fu<br />

perentorio su questo punto specifico (anche se non si espresse nettamente in merito alla<br />

questione se un certo grado <strong>di</strong> forza fisica potesse essere giustificato in talune<br />

circostanze), in quanto riconosceva esplicitamente l'esistenza <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> violenza<br />

spirituale o intellettuale. Per lui, ogni tentativo <strong>di</strong> mascherare la ‛verità' era un atto <strong>di</strong><br />

violenza; ed è significativo che <strong>il</strong> termine satyāgraha venga a volte tradotto ‛forza <strong>del</strong>la<br />

verità'. E anche gruppi come la Society of friends (quaccheri) usano tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

l'espressione ‟dí la verità al potere". Cionon<strong>di</strong>meno, taluni pacifisti non sono così chiari<br />

come dovrebbero nel <strong>di</strong>scutere <strong>il</strong> problema <strong>del</strong>la violenza non fisica.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista tra<strong>di</strong>zionale <strong>del</strong>la ‛guerra giusta', <strong>il</strong> ripu<strong>di</strong>o pacifista <strong>di</strong> ogni guerra -<br />

qualunque sia l'obiettivo addotto - è troppo assoluto. Escludere incon<strong>di</strong>zionatamente<br />

certe modalità d'intervento senza prendere in considerazione le circostanze vuol <strong>di</strong>re -<br />

incalzano infatti i critici - semplificare eccessivamente problemi etici e politici assai<br />

complessi.<br />

Anche in talune prospettive teologiche l'accento pacifista sull'amore è sospetto. Certo,<br />

Dio è un Dio d'amore, ma è anche un Dio <strong>di</strong> giustizia, e in determinate circostanze,<br />

argomentano questi teologi, la relatività <strong>del</strong>le situazioni storiche consente <strong>di</strong> ottenere -<br />

nel migliore dei casi - solo una giustizia approssimativa, e solo se si faccia ricorso alla<br />

violenza. È la tesi sostenuta, per esempio, da R. Niebuhr.<br />

Taluni critici considerano <strong>il</strong> pacifismo un'etica <strong>del</strong>la sottomissione, che escluderebbe la<br />

lotta contro la tirannia o l'opposizione a un'invasione ingiusta. Il pacifismo - si afferma -


incoraggia un atteggiamento passivo <strong>di</strong> fronte al male, negando agli esseri umani <strong>il</strong><br />

<strong>di</strong>ritto naturale alla <strong>di</strong>fesa in<strong>di</strong>viduale e collettiva.<br />

Sebbene <strong>il</strong> marxismo nel suo complesso respinga gli atti <strong>di</strong> terrorismo in<strong>di</strong>viduale, è al<br />

tempo stesso critico verso <strong>il</strong> pacifismo (v. Lewis, 1940). Esso traccia una <strong>di</strong>stinzione tra la<br />

violenza usata a scopi rivoluzionari e la violenza impiegata a sostegno <strong>di</strong> or<strong>di</strong>namenti<br />

‛reazionari' o non socialisti. Distingue anche tra le guerre cosiddette <strong>di</strong> liberazione e le<br />

guerre capitalistiche o ‛imperialistiche'.<br />

Taluni critici, pur <strong>di</strong>fendendo <strong>il</strong> riconoscimento <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto dei pacifisti a rifiutare <strong>il</strong><br />

servizio m<strong>il</strong>itare (molti critici hanno <strong>di</strong>feso <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto morale <strong>del</strong>l'obiezione <strong>di</strong> coscienza,<br />

sollecitandone la regolamentazione giuri<strong>di</strong>ca), nel contempo sono però inclini a<br />

considerare ingenua la visione <strong>del</strong> mondo dei pacifisti. Una critica frequente è che <strong>il</strong><br />

pacifismo non comprende la politica e la natura umana. Il pacifismo è ‛utopistico' o ‛non<br />

realistico' nelle sue pretese verso gli esseri umani. Taluni critici, per esempio, hanno<br />

obiettato che la costituzione biologica e psicologica degli esseri umani è tale che, nella<br />

grande maggioranza dei casi, essi non possono trattenersi dal reagire alla violenza con la<br />

violenza.<br />

b) Repliche pacifiste<br />

Come replicheranno i pacifisti più riflessivi a critiche <strong>di</strong> questo tipo?<br />

All'accusa <strong>di</strong> mancare spesso <strong>di</strong> chiarezza nel definire la violenza, risponderanno<br />

ammettendo in larga misura la fondatezza <strong>del</strong>l'addebito. In effetti, i pacifisti non sono<br />

unanimi sul significato <strong>di</strong> ‛violenza'. Taluni, per esempio, applicano <strong>il</strong> termine solo all'uso<br />

esplicito <strong>di</strong> forza fisica contro altri esseri umani, escludendo la violenza ‛occulta' insita<br />

nei sistemi sociali. D'altro canto, un numero sempre crescente <strong>di</strong> pacifisti considera gli<br />

or<strong>di</strong>namenti sociali fondati sullo sfruttamento come esempi primari <strong>di</strong> violenza, anche<br />

quando sia raro l'uso aperto <strong>del</strong>la forza fisica. Secondo questi pacifisti bisogna in qualche<br />

modo elaborare strategie <strong>di</strong> azione non violenta per combattere tale violenza<br />

‛istituzionale'.<br />

Ben consapevoli che la coercizione è presente ovunque nella vita umana, molti pacifisti si<br />

sforzano però <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra coercizione violenta e coercizione non violenta. Sebbene<br />

<strong>il</strong> confine sia spesso <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e da tracciare, taluni atti sono così chiaramente violenti - la<br />

guerra, per esempio, o l'esecuzione capitale - che non dovrebbe esser <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e<br />

identificarli. Sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o etico esiste una considerevole <strong>di</strong>fferenza tra <strong>il</strong><br />

bombardamento in<strong>di</strong>scriminato <strong>di</strong> una città e, per esempio, l'uso <strong>del</strong>la forza per impe<strong>di</strong>re<br />

a una persona mentalmente <strong>di</strong>sturbata <strong>di</strong> gettarsi in un fiume.<br />

I pacifisti che riconoscono la possib<strong>il</strong>e legittimità <strong>di</strong> talune forme <strong>di</strong> coercizione sono<br />

propensi - nella loro definizione <strong>di</strong> violenza - a porre l'accento sull'idea <strong>di</strong> un danno<br />

irrime<strong>di</strong>ab<strong>il</strong>e o grave. Il danno incidentale o accidentale deve essere <strong>di</strong>stinto dal danno<br />

<strong>del</strong>iberatamente inferto o inevitab<strong>il</strong>e, o dal danno irrime<strong>di</strong>ab<strong>il</strong>e quale si realizza nella<br />

guerra, nella tortura, nell'esecuzione capitale, o in una <strong>di</strong>stribuzione dei red<strong>di</strong>ti


clamorosamente ingiusta. Talvolta perfino l'amore esige un certo grado <strong>di</strong> coercizione,<br />

come accade nelle limitazioni imposte alle azioni <strong>di</strong> un bimbo durante la crescita.<br />

Il criterio decisivo è dato dalla possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> mantenere la coercizione in posizione<br />

subor<strong>di</strong>nata rispetto all'obiettivo globale <strong>del</strong> benessere <strong>del</strong>la persona che <strong>del</strong>la<br />

coercizione è oggetto. Le forme pesanti <strong>di</strong> coercizione escludono la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong><br />

esercitare un controllo che vada a beneficio <strong>del</strong> controllato. Taluni pacifisti ad<strong>di</strong>teranno<br />

l'evoluzione <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto penale come un esempio atto a <strong>il</strong>lustrare la natura <strong>del</strong> loro<br />

obiettivo: idealmente, l'obiettivo <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto penale consiste infatti nell'evitare esiti letali<br />

nell'uso <strong>del</strong>la forza da parte <strong>del</strong>la polizia e nell'imporre limiti all'uso <strong>del</strong>la forza in<br />

generale. Molti criminologi e stu<strong>di</strong>osi dei sistemi carcerari saranno portati a escludere<br />

ogni metodo <strong>di</strong> trattamento che non contribuisca, oltre che al benessere <strong>del</strong>la società,<br />

anche a quello <strong>del</strong> cosiddetto criminale.<br />

Per quanto attiene alla forma <strong>di</strong> violenza rappresentata dalla guerra, <strong>il</strong> pacifista la<br />

considererà uno degli esempi più palesi <strong>del</strong>le azioni che egli ripu<strong>di</strong>a. La guerra tende a<br />

non fare <strong>di</strong>stinzioni nell'impiego <strong>del</strong>la forza fisica, uccide inevitab<strong>il</strong>mente esseri umani,<br />

non può essere controllata e finalizzata a scopi positivi ed è inevitab<strong>il</strong>mente<br />

accompagnata da altri atti che chiaramente violano la <strong>di</strong>gnità <strong>del</strong>la personalità umana,<br />

come <strong>il</strong> saccheggio, la menzogna <strong>del</strong>iberata (una forma <strong>di</strong> violenza psicologica o<br />

spirituale), la prostituzione, ecc.<br />

Le guerre devono essere rifiutate, sostengono molti pacifisti, anche dal punto <strong>di</strong> vista<br />

<strong>del</strong>la dottrina tra<strong>di</strong>zionale <strong>del</strong>la guerra giusta. In particolare, la guerra moderna non può<br />

sod<strong>di</strong>sfare i requisiti contemplati dalla teoria <strong>del</strong>la guerra giusta, e cioè che la guerra<br />

venga <strong>di</strong>chiarata da una pubblica autorità per un fine legittimo, che vi sia la fondata<br />

prospettiva <strong>di</strong> una situazione postbellica migliore <strong>di</strong> quella anteguerra, che siano<br />

adoperati mezzi capaci <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra combattenti e non combattenti, e che i mezzi<br />

siano proporzionati ai supposti giusti fini prospettati.<br />

Circa le vedute teologiche sul pacifismo, <strong>il</strong> pacifista respingerà l'idea che <strong>il</strong> Dio d'amore<br />

sia in contrasto con <strong>il</strong> Dio <strong>di</strong> giustizia. La guerra non può conc<strong>il</strong>iarsi con le esigenze <strong>di</strong><br />

giustizia più <strong>di</strong> quanto possa conc<strong>il</strong>iarsi con quelle <strong>del</strong>l'amore. Se tutte le guerre hanno <strong>il</strong><br />

carattere loro attribuito dalla dottrina pacifista, è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e concepire come esse possano<br />

conformarsi alle esigenze <strong>del</strong>l'amore o a quelle <strong>del</strong>la giustizia.<br />

Il pacifismo non è un'etica <strong>del</strong>la sottomissione; è piuttosto un'etica <strong>del</strong>la lotta contro le<br />

forze <strong>del</strong> male, con meto<strong>di</strong> però che non concedono nulla al male che si pretende <strong>di</strong><br />

contrastare. Quei pacifisti che mettono l'accento sulla trasformazione <strong>del</strong>la Società<br />

sostengono che un'azione volta a promuovere la giustizia sia all'interno degli Stati che sul<br />

piano internazionale contribuirà a eliminare la proclamata necessità <strong>del</strong>la violenza e<br />

<strong>del</strong>la guerra. Il pacifismo comporta un' azione che elimini l'occasione <strong>di</strong> guerre e <strong>di</strong> ogni<br />

altra sorta <strong>di</strong> violenza; si sforza inoltre <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>stribuire la ricchezza e <strong>il</strong> red<strong>di</strong>to, e <strong>di</strong><br />

riconoscere i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> tutti gli esseri umani a un'esistenza sod<strong>di</strong>sfacente. Se nonostante<br />

tutti questi sforzi vi saranno tiranni e invasori, i pacifisti politici non propugneranno la


passività ma piuttosto la non cooperazione col tiranno o con l'invasore. La non<br />

cooperazione nelle sue varie forme - esemplificate in taluni aspetti <strong>del</strong> satyāgraha -<br />

contiene in sé un'efficacia potenziale <strong>di</strong> gran lunga superiore a quella <strong>del</strong>la guerra o <strong>del</strong>la<br />

violenza <strong>di</strong> massa. Il rifiuto <strong>di</strong>sciplinato <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re può sra<strong>di</strong>care qualsiasi tirannia, sia<br />

interna che straniera. Se si ricorre alla violenza nella lotta contro la tirannia, non si fa<br />

altro che adoperare i mezzi che <strong>il</strong> tiranno pred<strong>il</strong>ige, correndo così gravi rischi <strong>di</strong> totale<br />

fallimento particolarmente in un'epoca come la nostra, caratterizzata dalle armi <strong>del</strong>la<br />

violenza <strong>di</strong> massa che i rivoluzionari non si possono permettere. La resistenza non<br />

violenta è <strong>di</strong> gran lunga l'arma più efficace dei poveri e dei più deboli.<br />

Circa l'assunto marxista, secondo <strong>il</strong> quale esiste una <strong>di</strong>stinzione tra violenza<br />

‛rivoluzionaria' e ‛non rivoluzionaria', <strong>il</strong> pacifista fa spesso riferimento, per confutarlo,<br />

all'effettiva esperienza storica. La violenza ha sempre la tendenza a corrompere i<br />

conclamati obiettivi rivoluzionari <strong>di</strong> ‛libertà, eguaglianza e fraternità', giacché esige un<br />

metodo che, implicando una rigida autorità gerarchica, mancanza <strong>di</strong> rispetto <strong>del</strong>la vita<br />

umana, <strong>di</strong>sprezzo <strong>del</strong> proprio avversario e noncuranza <strong>del</strong>la verità, costituisce <strong>di</strong> per sé<br />

un'offesa a quegli obiettivi. Queste tendenze sono <strong>il</strong>lustrate in tutte le cosiddette<br />

rivoluzioni moderne: quella francese, la russa, la spagnola e la cinese. Sebbene le cause<br />

connesse con la corruzione degli obiettivi rivoluzionari siano complesse, i pacifisti<br />

insistono sul fatto che l'uso <strong>del</strong>la violenza da parte dei rivoluzionari ha una responsab<strong>il</strong>ità<br />

centrale. Come ha detto un pacifista, ‟maggiore è la violenza, meno effettiva è la<br />

rivoluzione". Il risultato <strong>di</strong> ogni violenza politica è sim<strong>il</strong>e, sia essa etichettata come<br />

‛rivoluzionaria' o come ‛reazionaria'. La ‛violenza rivoluzionaria' <strong>di</strong>retta da un Napoleone<br />

o da un Trotzki o da un Mao Tse-tung contribuisce al <strong>di</strong>spotismo e alla schiavitù<br />

altrettanto sicuramente <strong>del</strong>la violenza ‛reazionaria' esercitata da un Luigi XVI o da un<br />

Nicola II o da un Chiang Kai-shek.<br />

Il pacifista, infine, sosterrà che la sua visione <strong>del</strong> mondo è lungi dall'essere ingenua. È<br />

invece <strong>il</strong> non pacifista, egli obietterà, che a onta <strong>di</strong> tutte le esperienze umane si aspetta i<br />

miracoli. Il non pacifista sembra credere che <strong>il</strong> <strong>di</strong>sprezzo per la vita e l'uccisione <strong>di</strong> esseri<br />

umani possano in qualche modo contribuire a determinare una situazione in cui gli<br />

esseri umani saranno rispettati e le loro vite rese più sicure. Nè la guerra moderna nè le<br />

moderne rivoluzioni violente legittimano queste speranze ‛utopistiche' <strong>del</strong> non pacifista.<br />

Il pacifismo - affermano i suoi <strong>di</strong>fensori - è realistico quando affronta i problemi <strong>del</strong>la<br />

guerra e <strong>del</strong>la violenza nella consapevolezza <strong>del</strong>la loro vanità ai fini <strong>del</strong> raggiungimento<br />

<strong>di</strong> traguar<strong>di</strong> quali la democrazia e la libertà.<br />

Nè d'altra parte <strong>il</strong> pacifista si <strong>di</strong>chiarerà d'accordo con quei critici secondo i quali sarebbe<br />

impossib<strong>il</strong>e per gli esseri umani rinunciare alla rappresaglia. L'esperienza <strong>di</strong> Gandhi in<br />

In<strong>di</strong>a <strong>di</strong>mostra che si può insegnare a m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> esseri umani a non reagire alla violenza<br />

con la violenza: in effetti, i Patan <strong>del</strong>l'In<strong>di</strong>a nord occidentale, sebbene cresciuti in una<br />

lunga tra<strong>di</strong>zione m<strong>il</strong>itare, <strong>di</strong>vennero fra i più vali<strong>di</strong> seguaci <strong>del</strong>la resistenza non violenta<br />

<strong>di</strong> Gandhi. E durante la lotta per i <strong>di</strong>ritti civ<strong>il</strong>i negli Stati Uniti migliaia <strong>di</strong> negri e <strong>di</strong>


ianchi furono addestrati con successo a non rispondere con la violenza ad atti violenti.<br />

Naturalmente, vi è senza dubbio una soglia, superata la quale pressoché chiunque può<br />

essere indotto a ricorrere alla violenza; ma l'addestramento e la <strong>di</strong>sciplina possono<br />

portare tale soglia a un livello così alto che a tutti i fini pratici uomini e donne non<br />

ricorreranno alla violenza neppure se minacciati <strong>di</strong> violenza.<br />

L'etica <strong>del</strong> pacifismo, concludono i suoi fautori, non è soltanto giusta ma anche pratica e<br />

avveduta; e riflette non una sorta d'innocenza ignara <strong>del</strong> mondo ma piuttosto una<br />

saggezza terrena fondata su esperienze spesso amare. Analogamente, la politica <strong>del</strong><br />

pacifismo, <strong>di</strong>versamente da quella <strong>di</strong> gran parte <strong>del</strong> conservatorismo, liberalismo e<br />

ra<strong>di</strong>calismo, affronta in modo franco e non evasivo uno dei problemi chiave <strong>del</strong>l'universo<br />

politico: l'organico rapporto tra i mezzi e i fini <strong>del</strong>la lotta politica.<br />

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