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annali di ca' foscari, xlv, 3, 2006<br />

iconicità, cioè di un carattere di immediatezza e di autonomia di<br />

significazione che è proprio del visivo più che della parola scritta.<br />

D’altro canto è noto che la scrittura come processo, cioè come<br />

cosa in movimento che segue la vocazione dettata dalla propria<br />

natura, dopo esser stata discussa a livello teorico e dopo essere<br />

stata proposta da molte avanguardie novecentesche, diviene realtà<br />

oggettiva nella letteratura grazie anche al genere cinematografico<br />

di avanguardia. 45<br />

L’evento centrale della storia racchiusa in Dunyaz¡d è presto<br />

disegnato: la protagonista-narratrice perde la propria figlia,<br />

Dunyaz¡d appunto, nel ventre per un distacco totale della placenta.<br />

La famiglia ed il marito cercano di proteggere la madre<br />

facendole credere che la morte non è stata intrauterina e regalando<br />

così alla piccola un giorno di vita immaginario. La protagonista,<br />

tuttavia, ormai dimessa dall’ospedale, scopre che la figlia<br />

è nata morta. Il romanzo racconta quindi il travaglio psicologico<br />

che fa seguito a questa nascita-morte, al termine del quale la<br />

protagonista sarà di nuovo in grado di dare la vita ad un altro<br />

figlio. Il racconto assume una forma ibrida che è insieme scritto<br />

autobiografico, diario, finzione, per cui risulta difficile stabilire<br />

dove termini un genere e dove inizi l’altro e in che direzioni<br />

vadano le contaminazioni. La scrittura di May al-Tilmis¡n£, questo<br />

è evidente, si rivela fin dall’inizio come una registrazione della<br />

perdita fisica della figlia, in cui tutti i canali sensoriali sono coinvolti.<br />

Il brano in seguito riportato, l’incipit del romanzo, fornisce<br />

un esempio chiaro di quella che è la presenza delle percezioni<br />

fisiche nel testo.<br />

Dunyaz¡d è arrivata per la prima volta e l’ultima nella stanza 401, a<br />

salutarmi nel suo piccolo sudario bianco. Infagottata in un lenzuolo pulito,<br />

tre giri di garza sterilizzata le fasciavano la testa, i piedi, la vita, e il lenzuolo<br />

raddoppiava le dimensioni del suo corpo minuscolo.<br />

Dalla garza, a fatica usciva il suo viso. Ho chiesto all’infermiera di illuminare<br />

la stanza. Che comunque resta buia. Ho guardato il viso rotondo,<br />

tendente all’azzurro. Gli occhi chiusi, il naso piccolo e la bocca come a<br />

forma di piramide, di un blu violento. [...].<br />

Questa volta ho pianto alta voce e ho detto «Era bella». Non riuscivo<br />

a chiamarla per nome. Il suo nome non riusciva ad evocare quel corpo minuscolo<br />

e già senza vita, né il suo odore che ancora riempie la stanza. 46<br />

La descrizione fisica, realistica in un primo momento, diventa<br />

45 Ibidem, 57-60.<br />

46 Dunyaz¡d, 7.<br />

84

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