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NOTIZIARIO DELL'ARCHIVIO OSVALDO PIACENTINI - CAIRE

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Sulla natura del patrimonio immobiliare<br />

pubblico<br />

Il patrimonio pubblico, specialmente quello dei<br />

Comuni, ha alcune particolarità. Una di esse è<br />

la riproducibilità, un’altra è la dimensione che<br />

solitamente, specie nelle residenze, è riscontrabile<br />

con volumi significativi. Un’altra ancora è il suo<br />

rapporto con le politiche di bilancio che l’Ente<br />

mette in campo o meno.<br />

Una ulteriore è data dalla particolarità delle reti,<br />

solitamente in capo alle (ex) municipalizzate,<br />

ma che la legislazione richiede di scorporare<br />

dalle gestioni. Vediamo alcune questioni, utili<br />

ai nostri ragionamenti. La riproducibilità del<br />

patrimonio è qui intesa come crescita continua e<br />

stabile dell’asset comunale a seguito di politiche<br />

urbanistiche che l’Ente mette in atto. Un Comune<br />

che abbia regolarità di strumenti urbanistici e di<br />

gestione corrente dell’edilizia privata (rilascio<br />

di permessi a costruire, approvazione di Piani<br />

urbanistici ecc.), può senz’altro impostare<br />

una politica di selezione e qualificazione del<br />

patrimonio ceduto ad esso in conto di oneri<br />

di urbanizzazioni, standards, di convenzioni<br />

e diritti e così via. In questo modo il Comune<br />

avrà una risorsa autonoma di riproduzione del<br />

proprio patrimonio. Ciò può consentire ipotesi<br />

di politiche di bilancio sul medio-lungo periodo.<br />

Una seconda caratteristica è la dimensione.<br />

Solitamente una città di medie dimensioni<br />

italiana (50.000/150.000 abitanti) si trova a<br />

disporre di qualche migliaio di alloggi (ex IACP<br />

ecc.), di aree dismesse, relitti vari e terreni.<br />

La dimensione di questi patrimoni può essere<br />

un fattore competitivo per l’impiego di una<br />

“massa critica” minima che valorizzata può a<br />

sua volta comportare una capacità di smobilizzo<br />

forse non sempre quantificabile, o comunque<br />

immaginabile della Amministazione. Una terza<br />

caratteristica delle capacità di accumulazione<br />

patrimoniale del Comune è l’uso dell’esproprio.<br />

Il Comune può espropriare aree per usi pubblici<br />

a prezzi (una volta agricoli) certamente di favore<br />

e soprattutto con elisione di rendite di posizione,<br />

ma a sua volta il Comune può reimpiegare<br />

quegli asset in politiche più complesse,<br />

dunque valorizzare i parametri di usabilità.<br />

L’apprezzamento dell’asset pubblico riceve così<br />

una spinta a contribuire al valore complessivo<br />

con montanti più consistenti di quanto esso<br />

sulla riforma urbnistica<br />

è costato per l’acquisizione. Una ulteriore<br />

caratteristica degli asset pubblici è il loro stretto<br />

legame con la storia amministrativa dell’Ente.<br />

Laddove il Comune (o il consorzio di comuni…)<br />

ha realizzato reti energetiche diverse, nel corso<br />

degli anni, il patrimonio che esse rappresentano<br />

può essere riclassificato in quanto detentore di<br />

possibili atti di concessione d’uso e dunque di<br />

cespiti per l’affitto a operatori (pubblici o privati)<br />

titolati alla gestione. Tali cespiti sono conferibili<br />

in fondi, ovvero in linee programmatiche di<br />

bilancio utili a garantire solviblità dell’Ente<br />

locale a fronte di investimenti di lungo periodo.<br />

Tutto quanto sopra può a sua volta essere<br />

impiegato e orientato a realizzare politiche<br />

di medio periodo per il recupero del debito<br />

pregresso che l’ente locale oggi sopporta con<br />

sempre più difficili condizioni finanziarie, e<br />

peraltro contribuire a una politica corrispondente<br />

di riduzione del carico fiscale su imprese locali<br />

e cittadini, sostenendo in tal modo i consumi e<br />

dunque realizzando politiche di sviluppo di PIL<br />

locale.<br />

Debito e sviluppo<br />

La finanza locale conosce oramai da qualche<br />

anno nel nostro paese una situazione di grave<br />

criticità, per il riflesso che le politiche di<br />

risanamento hanno generato, scaricando sui<br />

bilanci degli Enti locali parte cospicua delle<br />

manovre di contenimento della spesa pubblica<br />

e, contemporaneamente, per la domanda,<br />

incomprimibile ed anzi crescente, di servizi e<br />

prestazioni cui da luogo una società in rapida<br />

e profonda trasformazione come quella italiana<br />

dei primi anni del nuovo secolo.<br />

Una situazione sempre più stringente alla<br />

quale gli Enti locali cercano di far fronte<br />

con un complesso di manovre che agiscono,<br />

non sempre senza inconvenienti, sulle leve<br />

tariffarie e fiscali, ma anche sui processi di<br />

sviluppo urbano (alimentando i bilanci in parte<br />

corrente con quote crescenti di entrate per<br />

Oneri di Urbanizzazione) e sulle condizioni del<br />

patrimonio pubblico, con politiche di alienazioni<br />

e privatizzazioni. E’ tuttavia possibile intendere<br />

il patrimonio pubblico – frequentemente poco<br />

conosciuto, oltre che poco valorizzato, non solo<br />

come un’ancora di salvezza la cui dismissione<br />

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