favignana e la mattanza dei tonni (pdf 4,1 mb) - Geacoopsociale.Eu

“Ha quindi inizio la vera mattanza: i
pescatori, in piedi sulle barche,
arpionano furiosamente i tonni e
tutto il mare diventa rosso di sangue.
Questo spettacolo, drammatico e
folcloristico, è preceduto e
accompagnato da preghiere, canti e
urla dei pescatori e termina con una
preghiera recitata da tutti a capo
coperto” (AA.VV., “Civiltà del lavoro
sul mare”, Editalia 1984)
I canti della mattanza: le “cialome”
Ritmare lo sforzo dei tonnaroti durante la pesca era
un modo per alleviare la fatica e per creare
un’atmosfera “corale”, in qualche modo sacra, che
unisse tutti i pescatori nello sforzo per uccidere il
pesce. Esistevano diversi canti, uno per ogni fase
della pesca, dal momento dell’imbarco delle reti
sulle barche fino a dopo che la mattanza era
terminata. Durante le operazioni per intrappolare e
pescare i pesci, i tonnaroti erano soliti intonare “A
cialoma tunnarota”, una preghiera di origini
antichissime risalenti al periodo della dominazione
araba sull’isola, poi trasformatasi in un inno di
ringraziamento alla Madonna, a San Michele e a San
Pietro. A titolo d’esempio, alcune strofe delle
cialome recitavano: “Gesù Cristo e tutti i Santi e il
Santo Salvatore. Creasti la luna e il sole, creasti gli
uomini e i pesci nel mare, i tonni e le tonnare. L’hai
promesso e non mancare, questo Dio ci deve
aiutare… Forza tiriamo al meglio uomini belli, forza
con amore è stanca questa ciurma tutta quanta
cantiamo cantiamo San Pietro barba bianca…. Che
belle scarpe tiene la figlia del caporale, e che begli
occhi e che bei seni, e vediamo a chi la diamo la
figlia del caporale. Ce la diamo al solista
cialomatore della tonnara la figlia del caporale, e lui
se l’abbraccia la figlia del caporale…”. L’etimologia
del termine è incerta, forse riconducibile all’arabo
salam, formula di saluto e in questo caso anche di
ringraziamento a Dio per i frutti del lavoro.
Il marchio dell’industria Florio presso l’ex stabilimento sul porto.