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San Leonardo degli Slavi - Dott. Faustino Nazzi

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Un contrasto di giurisdizione è sollevato da pre Antonio Penuria contro il confratello pre<br />

Gregorio Iariz, vicario di <strong>San</strong> Pietro. Quest’ultimo si era permesso di celebrare nelle chiese di<br />

<strong>San</strong> Bartolomeo di Clastra e di Brizza, "*filiali ed annesse alla loro chiesa di <strong>San</strong> <strong>Leonardo</strong>".<br />

Pre Iariz si era visto convocare dal sostituto vicario patriarcale, rev.do <strong>Leonardo</strong> Strayneri,<br />

scavalcando la competenza di prima istanza propria del capitolo. Alle lamentele di questo pre<br />

Penuria si scusa dicendo che "*lui ha fatto emanare questo mandato dall’ufficio del vicario<br />

patriarcale per distrazione". Riconoscendo la competenza del capitolo, "*si ritrasse dal<br />

tribunale del vicario patriarcale, accontentandosi di procedere di fronte al capitolo, come se<br />

il mandato di convocazione fosse stato emanato dallo stesso tribunale di prima istanza, come<br />

loro giudice competente, di fronte al quale s’intendano devolute la presente causa e la<br />

procedura per ambe le parti". L’udienza è fissata per il primo lunedì di quaresima 133 .<br />

L’episodio è significativo non tanto per gli equivoci tra i due vicari, quanto per la tensione<br />

fortissima esistente tra il capitolo di Cividale e la curia patriarcale intenta ad avocare a sé le<br />

giurisdizioni ecclesiastiche dei capitoli. Lo spirito "sbrigativo" del Concilio di Trento aveva<br />

esasperato tutti i rapporti istituzionali. I privilegi dei capitoli, sorti per benigna concessione di<br />

imperatori, patriarchi, aristocratici e a più riprese riconfermati nei secoli da solenni pronunce<br />

pontificie, ora venivano messi in discussione nello sconcerto generale. Sotto la pressione delle<br />

autorità intermedie, come la curia patriarcale, fattasi docile strumento di strategie di vertice<br />

magari a lungo termine, si muovevano contenziosi a non finire, la cui enorme dispendiosità<br />

permetteva ai vertici romani di assistere sornionamente alla dissoluzione dell’intero apparato<br />

tradizionale a proprio vantaggio. La strategia più sofisticata era quella di dar ragione spesso<br />

alle rivendicazioni <strong>degli</strong> enti inferiori contro gli intermedi. Il capitolo di Cividale erigerà<br />

solenni lapidi marmoree ad perpetuam rei memoriam, ancor oggi bene in vista, per qualcuna<br />

di queste sue "pietose" vittorie. I punti contestati sono: l’esame dell’idoneità e sufficienza del<br />

clero per la cura d’anime, la giurisdizione sui "matrimonialia et criminalia cleri", sulle visite<br />

alle cure soggette, sul controllo dei libri contabili dei camerari, sull’amovibilità ed<br />

inamovibilità dei vicari, sul foro competente ecc. Per i prestigiosi capitolari si apriva un<br />

tenebroso ripiegamento conventuale, un cul-de-sach contemplativo, quasi eremitico, senza<br />

alcuna vocazione. Ci vorranno decenni di lotte, contrasti, ricorsi presso tutte le sedi civili e<br />

canoniche: Cividale, Udine, Venezia, Roma, Gorizia, Graz, Vienna ecc. pur dir salvare il<br />

salvabile. Di fronte a momenti di comprensibile debolezza e sbandamento si allerterà la stessa<br />

comunità di Cividale che nel prestigio del suo capitolo vedeva riflessa la dignità dell’intera<br />

Città. L’equivocità <strong>degli</strong> indirizzi, le diverse ragioni e torti distribuiti ora all’uno ora all’altro<br />

dei contendenti spesso senza logica coerente, sfiancherà i contendenti dal punto di vista fisico,<br />

economico e spirituale, secondo il classico divide et impera! Tutti, fino al popolino del più<br />

sperduto villaggio, cadranno nella trappola dei Giubilei proclamati ripetutamente dalla curia<br />

romana, dando con le loro sprovvedute delazioni materia al tribunale dell'Inquisizione di<br />

destabilizzare ogni tradizione locale per l'affermazione di un "ordine" sempre più<br />

sopraffattore su enti, istituti e coscienze.<br />

Una delle tante novità si riflette subito nella nomina dei cappellani. Pre Antonio Penuria,<br />

vicario di <strong>San</strong> <strong>Leonardo</strong>, deve venire in capitolo a presentare pre Urbano, "*da lui scelto<br />

come suo cooperatore, per essere esaminato ed approvato dal capitolo e ciò in esecuzione di<br />

un mandato fattogli altre volte". Ma pre Urbano "*era già stato approvato precedentemente"<br />

dal vicario patriarcale, per cui al capitolo, per non soccombere, ripiega sulla ripetizione<br />

dell'esame, magari pro forma 134 .<br />

Nel 1578 abbiamo una visita di sfuggita ad una filiale di <strong>San</strong> <strong>Leonardo</strong>, <strong>San</strong>t'Andrea di<br />

Cravero. L'arcid. Bartolomeo Portulano "*trovò una bella pala ornata collocata sull’altare<br />

maggiore e tre buone tovaglie d’altare"; altri due altari laterali con tre mantili buoni ciascuno.<br />

133 AMC Def n. 31, 1-2-1578, p. 77. "filiabus et adnexis eius ecclesiae <strong>San</strong>cti Leonardi... se inadvertenter dictum<br />

mandatum levasse ab officio prefati reverendi domini vicarii patriarchalis… se amovit ab ipso tribunali, se contentans<br />

procedere coram hoc reverendo capitulo tamquam emanatum fuisset mandatum ab hoc officio primario, uti eorum<br />

judice competenti, coram quo intelligatur devoluta causa et actio sua et partes ambae".<br />

134 AMC Def n. 31, 11-5-1578, p. 86. "per eum electum in capellanum suum ad hoc ut examinetur et approbetur per<br />

reverendum capitulum et hoc in executione mandati sibi alias facti... fuit alias approbatus".<br />

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