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San Leonardo degli Slavi - Dott. Faustino Nazzi

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originaria della singola unità famigliare e solo in questo senso identifica il "fuoco". Non era<br />

possibile ampliarsi sul territorio circostante, bonificando ed invadendo ulteriormente i beni<br />

comunali né per iniziativa padronale né a vantaggio della famiglia lavoratrice. La struttura<br />

economica era "fissa", almeno finché le cose procedevano nell’ambito della consuetudine.<br />

Moltiplicare il dovuto dal fuoco originario per ogni nuovo nucleo famigliare da esso derivato<br />

avrebbe comportato la dissoluzione del patrimonio ed il depauperamento delle famiglie. La<br />

tassa "moltiplicata", detta ab antiquo, tendeva a dissuadere il formarsi di nuovi nuclei<br />

famigliari. Le famiglie originarie potevano riprodursi, ma non “espandersi”, tenute sotto<br />

minaccia dalla forbice malthusiana. La triade tragica: peste fame et bello avrebbe ripristinato<br />

l'equilibrio tra le bocche da sfamare ed il nutrimento disponibile, con qualche esagerazione.<br />

Questa realtà di fatto, di "maso chiuso", ha spinto le famiglie slave, come quelle del Tirolo<br />

e dovunque, a promuovere il matrimonio del primogenito con i fratelli "vedrans" in casa. Nel<br />

’500, le nuove tecniche di produzione, l'introduzione di coltivazioni inedite di provenienza<br />

americana ed una pluralità di attività produttive dipendenti e artigianali hanno portato ad un<br />

cambiamento della società, rendendo incomprensibili gli antichi criteri, compreso il concetto<br />

di "fuoco". Non sappiamo se l’appello del nostro Michele di Seuza abbia capovolto il<br />

giudicato arcidiaconale, ma è ragionevole supporre che a prevalere sia stata la ditta<br />

fondamento dell'unica tassa, non moltiplicata per i nuclei famigliari successivi. Un "fuoco"<br />

deve ben bruciare qualcosa, mentre un "incendio" avrebbe esaurito il combustibile.<br />

L'alienazione delle terre comunali da parte del demanio veneziano, "vendite che durarono dal<br />

1646 al 1790" 21 , permetteranno lo sviluppo della proprietà privata e l'espansione del terreno<br />

coltivato.<br />

Pre Andrea Lazzaro, vicario di <strong>San</strong> <strong>Leonardo</strong>, si accaparra il quartese della parrocchia nel<br />

1572, insieme al can. Antonio Calcaterra, notaio di Cividale e al sig. Tropina di Azzida 22 .<br />

L’economia antica era estremamente ristretta: ogni cittadina faceva piazza mercantile con i<br />

suoi prezzi. Per guadagnare bisognava indovinare il momento più favorevole per collocare il<br />

prodotto sul mercato. Le leggi impedivano di trasferire beni in piazze diverse, alla ricerca di<br />

un maggior guadagno: si doveva vendere sul posto o trasferire altrove solo con licenza del<br />

comune. Le date di consegna che il capitolo imponeva ai quartesari tendevano ad individuare<br />

il momento più neutrale per ovviare ai capricci del mercato o per lo meno il più opportuno. Il<br />

potere politico regolava il traffico commerciale a seconda dell’utilità della popolazione<br />

cittadina che era poi quella padronale di fronte alle crisi ricorrenti specie belliche.<br />

Il 1593 i parrocchiani di <strong>San</strong> <strong>Leonardo</strong> scrivono ai canonici. "Essendo noi, che sottoposti<br />

siamo alla Pieve di <strong>San</strong> <strong>Leonardo</strong> in Schiavonia, obbligati dare ogni anno al rev.do Vicario,<br />

che per tempo si ritrova esser in detta pieve, di elemosina per sostentamento suo ciascuna<br />

famiglia che si ritrova aver piante de viti doi secchie di vino e doi piatti di grano et quelle che<br />

non hanno viti la biada, né havendo potuto quest’anno suplire al debito nostro per la sterilità<br />

et penuria corsa notoriamente, parci che il rev.do pre Mathia Pirich, presente vicario, vogli<br />

lasciarci, il che ci dispiace non poco restando noi castigatti della persona et cura sua.<br />

Laonde affine che per tal mancamento egli non prendi occasione di partirci né sapendo<br />

quando noi o potendo prender altro partito di provedere ricorrendo questa alle VV. SS. molto<br />

Rev.de, supplicandole che ci facessino gratia di accomodare il detto rev.do pre Mathia loro<br />

creatura e vicario di ducati 25, li quali noi promettemo di restituire senza alcuna eccezione la<br />

metà a san Martino e l’altra metà a Natale prossimo venturo, contentandosi che VV. SS.<br />

molto Rev.de si elegano doi quali più piace nella detta pieve per principali di questo<br />

pagamento, i quali saranno relevati da tutta la pieve, supplicandole dal Dio piena felicità.<br />

Dev.mi servitori Luca Fantono et Urbano Paravano deputati di essa Pieve" 23 .<br />

Il grande amore per il proprio vicario, questa volta sincero e ben meritato, si accompagna<br />

ad una congiuntura disastrosa. Che le cose fossero davvero messe male lo confermano gli<br />

uomini ed il comune di Oborza: la biada è stata mangiata dai ratti e la tempesta ha portato via<br />

21 GASPARI 1976, p. 111<br />

22 AMC Def n. 30, 15-3-1572, p. 87.<br />

23 AMC Proc n. 03, 7-5-1593.<br />

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