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Parte prima Io gli giro intorno: con circospezione, con impazienza ...

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Domandò: ‑ L’arte è ciò che piace, o esiste in sé? Lo domandava a se stesso; anzi, semplicemente<br />

formulava la domanda, anche se la rivolgeva a me. Ciò fu poi sepolto sotto tale cumulo di<br />

estraneità, di silenzi, di rivolte, che avevo dimenticato tutto; forse avrei ricordato solo l’aria assorta<br />

che aveva lui in quei momenti, e che c’erano stati momenti in cui usciva <strong>con</strong> proposizioni come<br />

questa: la cui formulazione è tecnicamente filosofica. Non posso non domandarmi come ciò fosse<br />

possibile. D’arte sentiva parlare da me, <strong>con</strong> Casorati, <strong>con</strong> Paola, magari al telefono. « Mia madre ha<br />

il telefono a tracolla ». Già allora mi trovava ridicola, vedeva nel mio aspetto appassionato qualcosa<br />

di teatrale. L’ho capito dopo, da come mi ha giudicata in seguito. Allora lo trovavo spiritoso, in<br />

fondo pensavo che la sua limitazione infantile <strong>gli</strong> impedisse di ri<strong>con</strong>oscere la mia parte seria. « Mia<br />

madre discorre sempre di nature morte ». Ricordo queste frasi delle quali si rideva, mentre ho<br />

dimenticato quelle piú importanti: che dovevano pur avermi colpita, se le ho <strong>con</strong>servate. « E se la<br />

filosofia mi domandasse perché siamo nati? <strong>Io</strong> <strong>prima</strong> ho risposto <strong>con</strong> la religione: perché ci ha creati<br />

Dio. Poi ho <strong>con</strong>tinuato a pensare da me e mi sono domandato: perché c’è Dio? e non sapevo<br />

rispondere ». « Pensare da me »: è lo stacco, rischioso, di uno che si avventura nella ricerca; « non<br />

sapevo rispondere »: scopriva il limite del pensiero (come Emmanuele Kant nei Prolegomeni ad<br />

ogni metafisica futura). Certe volte le sue riflessioni erano piú circoscritte o per lo meno <strong>con</strong>osco<br />

l’occasione. Gli osservavo le linee della mano e lui disse: ‑ Ma non è una superstizione? ‑ Forse sí. ‑<br />

L’hanno inventata quelli che scrivono le fiabe. Aveva intuito (come Goethe) che la superstizione è<br />

fantasia, e che le fiabe sono legate al sacro. Quando ragionava il bambino, vale a dire in modo<br />

diretto, immediato, non astratto, era di nuovo poeta: « Se non ci fossero i bambini, <strong>gli</strong> altri<br />

invecchierebbero e morirebbero e poi tutto sarebbe finito e la terra diventerebbe un pianeta<br />

qualunque ». Quel qualunque vuol soltanto dire « come tutti <strong>gli</strong> altri »; ma ha una punta spregiativa,<br />

un po’ comica. Comico e insieme patetico il pianeta che è « qualunque », e il bambino che<br />

<strong>con</strong>sidera l’universo. Non <strong>con</strong>osceva il rimorso. Non aveva la sensibilità morale proprio perché era<br />

un teoretico. Come me del resto: da ragazza io avevo pensato questo di me. Ora soprattutto amavo<br />

dipingere; e se avessi potuto sce<strong>gli</strong>ere per lui una vita, avrei voluto quella del pittore. Quella vita<br />

avrebbe avuto poco a che fare <strong>con</strong> la morale: nel senso che sarebbe stata spontaneamente ‑ non<br />

tormentosamente ‑ morale. Senonché, mentre ri<strong>con</strong>oscevo in lui fraternamente l’attitudine<br />

anarchica, avrei voluto come tutte le madri che diventasse un rispettato homme de bien. In realtà<br />

detestavo l’homme de bien; però mi sorprendevo a <strong>con</strong>siderarlo comodo. Lo desideravo per lui:<br />

perché era come immaginarlo uomo pratico, autorevole. Immagine subito dopo odiosa, e del tutto<br />

irreale comunque. E suo padre non lo era, un right man? Lo era anzi in modo quasi eroico,<br />

disturbatore de<strong>gli</strong> altri <strong>con</strong> l’esempio silenzioso: cosí che risultava scandaloso anche lui per un altro<br />

verso. Non mi aspettavo che nostro fi<strong>gli</strong>o <strong>gli</strong> assomi<strong>gli</strong>asse. Prendevo su di me l’ereditarietà di tutte<br />

le debolezze. Temo che il fatto dei rimorsi riguardasse per esempio un certo suo comportamento<br />

crudele nei miei riguardi. C’era tutta una gamma di tali crudeltà che variavano se<strong>con</strong>do che erano<br />

immaginarie cioè innocenti anzi inesistenti, oppure nascevano da una vena di sadismo, e come tali<br />

potevano essere non del tutto innocenti. Il medico aveva <strong>con</strong>si<strong>gli</strong>ato per lui l’aria di mare. Ma il<br />

mare lo rendeva infelice e perciò cattivo. Sulla spiaggia invece di fare come <strong>gli</strong> altri bambini i soliti<br />

castelli di sabbia umida, <strong>con</strong> la sua paletta lanciava in aria la rena asciutta che il vento soffiava ne<strong>gli</strong><br />

occhi a me e alla gente. <strong>Io</strong> lo scuotevo <strong>con</strong> rabbia, dalle tende <strong>intorno</strong> protestavano. Lui non<br />

reagiva. Magro, il faccino pallido stranito, increspato in tutta quella luce, era insieme odioso e<br />

pietoso. Il primo anno al Forte eravamo lui e io <strong>con</strong> le mie sorelle; alloggiavamo in una pensione, e

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