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Parte prima Io gli giro intorno: con circospezione, con impazienza ...

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leggere in un messale, aveva l’aria distrutta. Lo osservavamo <strong>con</strong> lo stesso pensiero. Ce lo siamo<br />

detto fuori, però non ci siamo detti tutto. Cioè che anche nostro fi<strong>gli</strong>o poteva ‑ ma noi avevamo<br />

addirittura pensato doveva ‑ venire cosí. Ce ne siamo ricordati anni dopo, quando anche lui diventò<br />

tormentoso. Il mutamento avvenne quando eravamo a Torino, e lui aveva compiuto l’anno. Prima<br />

era agitato, ma appunto <strong>con</strong> allegria. Sul viale dove lo portavamo nella carrozzina, dava spettacolo:<br />

si buttava fuori, voleva scavalcare i bordi. A camminare imparò presto. Esplorava in <strong>giro</strong>, sollevava<br />

<strong>con</strong> le mani forti certi sassi grossi come la sua testa. <strong>Io</strong> lo <strong>con</strong>sideravo quasi <strong>con</strong> distacco, come un<br />

futuro uomo pratico. Scrissi a suo padre: « ... stamattina ha trasportato tutta la legna dalla cesta in<br />

mezzo al corridoio e viceversa, poi tutte le scarpe dall’armadio alla cucina. Mi fa una certa<br />

impressione un fi<strong>gli</strong>o cosí diverso da me, cosí estroverso ... » Mi permettevo questo lusso, questo<br />

spreco, sicura di aver generato un forte. Il rammarico non era poi tanto snob: se lui fosse stato<br />

l’altro, l’introverso, sarebbe diventato un uomo di studio, di pensiero, qualcuno cioè di noto, di<br />

fraterno, anche se certamente piú scomodo. Ma io ero beata: vedevo crescere un dominatore, un<br />

padrone: uno che si sarebbe staccato da noi trionfalmente. Non del tutto simpatico a dirla cosí, ma<br />

per lui doveva pur essere una bella vita. La incomprensibile vita dei destinati al successo. Quasi lo<br />

sentivo già un po’ estraneo: non fosse stato il suo aspetto comico di passerotto, il suo patetico<br />

farsela addosso.<br />

C’era in lui un disdegno a questo riguardo, per il disagio suo e l’imbarazzo nostro, che aveva<br />

dell’aristocratico. Si lasciava cambiare <strong>con</strong>tinuando a giocare o a parlare come se l’operazione non<br />

lo riguardasse; se noi non avessimo notato il sacchettino appeso dietro, l’avrebbe <strong>con</strong> dignità recato<br />

in <strong>giro</strong>: senza avvertirlo? Ce lo chiedevamo. Dovevamo uscire <strong>con</strong> mutandine di ricambio, che<br />

sostituivamo appoggiati a un albero lungo i viali o sotto un portone, vergognosi, sbrigandoci,<br />

siccome eravamo i soli fermi per questa bisogna; <strong>gli</strong> altri si tiravano dietro bambini piú o meno<br />

compassati, evidentemente all’asciutto. Pare che il rifiuto della « educazione dello sfintere »<br />

significhi il rifiuto dell’Educazione; e ne <strong>con</strong>segua che la medesima Educazione risulta insufficiente,<br />

debole, ecc. Non ho difficoltà ad ammetterlo. In articoli di giornale un pediatra ironizzava sulle<br />

madri che <strong>gli</strong> domandavano a quale età deve incominciare l’educazione: se a quattro anni, per<br />

esempio. Noi avevamo riso di compatimento. Ma ci trovammo a non poterla ‑ o saperla ‑<br />

intraprendere, né a quattro mesi né a quattro anni. Per incompatibilità e intolleranza del soggetto.<br />

Era immaturità? La nostra, anzi, la mia era fuor di dubbio. Quella di lui, piuttosto, era discutibile.<br />

Infatti acco<strong>gli</strong>eva, o me<strong>gli</strong>o ignorava i nostri tentativi come uno che non può mutarsi. È vero che su<br />

un punto non eravamo d’accordo, io e il padre. C. giudicava salutare la sculacciata rapida e<br />

tempestiva. <strong>Io</strong> che avevo ricevuto un solo ceffone da mio padre (padre di sole fi<strong>gli</strong>e, mi faceva<br />

notare C.) e quell’umiliazione mi cuoceva ancora, provavo un (isterico) orrore delle punizioni<br />

corporali. Mi avventavo, se C. si accingeva a menare l’ostinato. Citavo anche san Paolo: Non<br />

irritate i vostri fi<strong>gli</strong>! E il bello era che in realtà io, lo irritavo: <strong>con</strong> <strong>gli</strong> urli, le implorazioni, i baci.<br />

Tutto quello che lui da grande ha chiamato poi Melodramma.<br />

Gli dedicavo un modo e un tempo esclusivamente mio, al quale attribuivo un’influenza calmante e<br />

persino educativa. Era un’usanza molto vecchia, in sé, un’usanza delle antiche balie e madri<br />

<strong>con</strong>tadine, <strong>con</strong>nessa al moto delle culle. Mentre lui non fu mai cullato: aveva dormito <strong>prima</strong> in una<br />

grossa cesta a ruote, e poi in un lettino di metallo. Consisteva nel sedermi accanto a lui e cantare

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