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Parte prima Io gli giro intorno: con circospezione, con impazienza ...

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Dev’essere vero che si dimenticano certe cose che non si vo<strong>gli</strong>ono ricordare. ‑ Non ti fa un po’<br />

compassione adesso, pensare che mi riducevo a quello? ‑ Questo sí, ‑ ammette lui obbiettivo.<br />

Gliel’ho domandato non perché vo<strong>gli</strong>o compassione ormai. Perché mi vergogno. « Sono quasi<br />

disperata. Non posso infischiarmene, non posso. So che ti faccio male, che tu non puoi aiutarmi. Lui<br />

è né piú né meno che un incosciente. Quello che temo di non poter durare è la vita di tutti i giorni.<br />

<strong>Io</strong> non so essere severa, e poi non serve tormentarlo. Perdonami, tu capisci. Sono tanto scoraggiata<br />

e soprattutto sperduta. Non arrovellarti, non c’è niente da fare. Scusami e abbi pazienza. Non<br />

dovevo aver fi<strong>gli</strong> io, per prender le cose a questo modo. La mia testa se ne va, e doveva ancora<br />

servirmi a qualcosa. Se almeno <strong>gli</strong> volessi meno bene. Questa è la disgrazia peggiore, e so che è<br />

cosí anche per te. Ancora ti chiedo scusa. Ti abbraccio, questi poveri abbracci da lontano sono ben<br />

tristi e stavo per dire inutili. Non serve che tu <strong>gli</strong> scriva, non serve assolutamente ». Seguiva, senza<br />

nemmeno un saluto, la firma. Se ero tanto disperata, avrò fatto davvero quelle scene di cui lui<br />

soffre ancora adesso. Erano momenti, siccome ‑ lo dico in un’altra lettera ‑ andavo « a periodi,<br />

come tutte le matte ». « Siamo i soliti tre matti (io lui e Maria) guidati da un savio »: cosí già<br />

scrivevo (a Turin); ma allora si trattava di pazzia allegra. « ... è nella sua natura, come del resto<br />

nella mia, avere quei momenti di violenza ». Certo dalle stelle ‑ o dal nostro profondo, che è lo<br />

stesso ‑ provenivano i nostri sintonismi e sincronismi, come <strong>gli</strong> s<strong>con</strong>tri e le <strong>con</strong>flagrazioni. « Mi<br />

sono decisa per le iniezioni. Ma se lui cominciasse a capire che tormentandomi mi fa ammalare,<br />

sarebbe piú utile di tutte le cure ». « Se lui è buono, io sto bene ». Tale era il nostro legame. « Non<br />

posso star lontana da lui e la sua presenza mi agita ». Nec tecum nec sine te! « Sono tanto<br />

addolorata di averti cosí turbato parlandoti della sua insolenza. Se lui è cosí, la colpa è mia, e non<br />

bisogna esagerare nell’accusarlo ». Dopo, mi vergognavo di essere ricorsa alla compassione di C.<br />

La colpa era mia perché « per lui ci sarebbe voluta una madre meno sensibile e piú forte ». Ginetta,<br />

quando lo rivide subito dopo la guerra, lo trovò inquieto e lo giudicò « infelice e pieno di rancore ».<br />

« Rancore verso di te per qualcosa che si aspetta: una fermezza, un ordine ‑ un comando ‑ di cui ha<br />

bisogno e che tu non <strong>gli</strong> puoi dare ». Rimasi molto colpita. Si trattava della mia nota insufficienza.<br />

Ma era poi vero? Con una madre piú severa lui sarebbe stato molto piú infelice; magari sarebbe<br />

diventato un poeta, vo<strong>gli</strong>o dire scrittore: come Pavese, come Rimbaud, che ebbero madri durissime.<br />

Seguiva, da parte di Ginetta, il <strong>con</strong>si<strong>gli</strong>o di metterlo in collegio, e di preti (lei ebrea!) Conclusi che<br />

Ginetta sba<strong>gli</strong>ava. Sempre Ginetta mi aveva altre volte, quando lui era piccolo, rinfacciato<br />

l’eccessivo accordo tra noi ‑ me e C. ‑ quale fonte di infelicità per nostro fi<strong>gli</strong>o. Tale motivo si trova<br />

anche nei testi: « come la mancanza di intesa, la troppo perfetta intesa dei parenti è causa di<br />

squilibrio per i fi<strong>gli</strong> ». (Fa quasi ridere). <strong>Io</strong> avevo però una colpa, piú remota ma anche piú precisa, a<br />

cui rifarmi. In uno di quei fo<strong>gli</strong>etti-lettera a C., che coprivo di caratteri minuti, sottili, quasi<br />

indecifrabili, compare la frase « forse sono stata castigata per aver voluto un solo fi<strong>gli</strong>o ». Non so se<br />

la dimensione biblica si addicesse alle mie difficoltà. Indubbiamente ero sincera: non avevo certo<br />

vo<strong>gli</strong>a di scherzare, né di atteggiarmi. Ma pare piú sensata l’ammissione della mia scarsa vocazione<br />

materna. « Sono sempre col suo diario in mano ». Lo sfo<strong>gli</strong>avo in cerca di un’indicazione <strong>intorno</strong><br />

ai compiti da fare; qualche volta finivo col trovarla chissà dove, segnata magari in agosto, e come<br />

esser sicuri che fosse quella dell’indomani? Allora uscivo, correvo alla casa di un compagno di<br />

scuola. Lui guardava ironicamente la mia agitazione: se guardava, perché lo disturbavo dai suoi<br />

disegni o dai giochi <strong>con</strong> Reno. (Onestamente devo aggiungere che anch’io non ho mai saputo tenere

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