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PE 042011_Layout 1 - Unione delle comunità ebraiche italiane

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P30<br />

E` nota a tutti la storia della Torre<br />

di Babilonia, raccontata nella Genesi<br />

alla parashah di Noach, che portò<br />

alla differenziazione fra le lingue e<br />

alla diversificazione fra le diverse<br />

culture. Questa storia è il mito che<br />

sta alla base della cultura umana,<br />

diversa appunto da popolo a popolo<br />

e da nazione a nazione. Sennonchè<br />

adesso, ai nostri giorni, sembra di<br />

assistere esattamente a questo fenomeno<br />

ma in senso contrario, cioè al<br />

riavvicinamento fra le lingue e le<br />

culture del mondo. La tecnologia<br />

moderna, i mezzi di comunicazione<br />

e di trasporto hanno riavvicinato le<br />

genti e i popoli, e conoscendo l’inglese<br />

è possibile oggi farsi comprendere<br />

in tutto il mondo, dal Giappone<br />

fino all’Alaska. Questo sviluppo<br />

culturale, di per sè estremamente affascinante,<br />

coinvolge tutto il mondo<br />

e avviene che lo si voglia o no. Tuttavia<br />

questo fenomeno, chiamato generalmente<br />

“globalizzazione”, pone<br />

non pochi quesiti all’ebreo. Perché<br />

come si fa in un contesto simile a<br />

mantenere un’identità e una peculiarità<br />

ebraica? Quest’identità, diciamocelo<br />

francamente, è stata per<br />

secoli costruita fra l’altro in contrapposizione<br />

alla cultura circostante,<br />

quella cioè che i Maestri definivano<br />

come “huqqot hagoyym”, cioè<br />

le leggi dei popoli. Lo scopo era di<br />

distinguere l’ebreo, sicuramente dal<br />

punto di vista etico e culturale, ma<br />

anche da quello esteriore, dalle popolazioni<br />

circostanti qualunque<br />

queste siano state. Infatti le fonti<br />

tradizionali <strong>ebraiche</strong> hanno dedicato<br />

molte energie per cercare di definire<br />

quale fosse il senso della diversità e<br />

dell’identità ebraica. Questa diversità<br />

è sempre stata messa a confronto<br />

con i popoli con cui Israele si trovava<br />

in contatto. Ad esempio già nel<br />

EDITORIALI n. 4 | aprile 2011 pagine <strong>ebraiche</strong><br />

La torre di Babele si rovescia. E l’identità patisce<br />

ú–– Andrea<br />

Yaakov Lattes<br />

Università<br />

Bar Ilan<br />

Tel Aviv<br />

Pesach casher vesameach<br />

Levitico 18,3 viene detto: “Non farete<br />

come si fa nel paese d’Egitto dove<br />

avete abitato, né farete come si fa<br />

nel paese di Cànaan dove io vi conduco,<br />

né imiterete i loro costumi”.<br />

Anche i Maestri del Midrash hanno<br />

sviluppato ulteriormente questa<br />

concezione. Ecco quindi che nel Yalkut<br />

Shimoni, una raccolta di midrashim<br />

medievale ma che riporta fonti<br />

ben piu antiche, alla parashah di Bo<br />

(par. 190), riflettendo sulle diverse<br />

concezioni di misurazione del tempo<br />

e sui diversi calendari, viene detto:<br />

“Disse Rabbi Levi: tutte le azioni di<br />

Israele sono diverse da quelle degli<br />

altri popoli”; e poi si prosegue, per-<br />

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ché sempre nel Yalkut Shimoni, alla<br />

parashà di Beshallakh (paragrafo<br />

226), viene detto: “Per merito di<br />

quattro cose gli ebrei sono stati salvati<br />

dall’Egitto: perché non hanno<br />

cambiato i loro nomi, perché non<br />

hanno cambiato la loro lingua; perché<br />

non facevano maldicenze; e perché<br />

non avevano cattive abitudini<br />

sessuali”. Cioè nonostante gli ebrei<br />

si trovassero in Egitto, hanno mantenuto<br />

una lingua diversa, nomi diversi<br />

che li distinguevano, ed usanze<br />

diverse contrastanti con la cultura<br />

circostante. Vale a dire che la peculiarità<br />

ebraica viene costruita in<br />

qualche maniera (non solo ma an-<br />

I simboli religiosi e la Corte<br />

ú–– Gadi Polacco<br />

Consigliere<br />

della Comunità<br />

di Livorno<br />

Pur nell’attesa di approfondire il dispositivo<br />

della sentenza, il pronunciamento<br />

della Grande Camera europea<br />

di Strasburgo sulla vicenda<br />

del crocifisso nelle aule già dalla<br />

sintesi emersa dalle agenzie si presta<br />

a <strong>delle</strong> considerazioni che vanno<br />

ben oltre il plauso, per certi versi<br />

automatico e talvolta strumentale,<br />

di alcuni. Secondo la Corte “se è vero<br />

che il crocifisso è prima di tutto<br />

un simbolo religioso, non sussistono<br />

tuttavia nella fattispecie elementi<br />

attestanti l’eventuale influenza che<br />

l’esposizione di un simbolo di questa<br />

natura sulle mura <strong>delle</strong> aule scolastiche<br />

potrebbe avere sugli alunni”.<br />

Non pare clamorosa questa<br />

conclusione, anzi, come si pensa e si<br />

spera sarebbe stato anche nei confronti<br />

di altri simboli religiosi, mentre<br />

appare una bacchettata sulle mani<br />

di chi,in Italia, sostiene l’”universalità”<br />

del simbolo cattolico a<br />

prescindere, o se volete “erga omnes”.<br />

Ci dice infatti la Corte, cosa<br />

peraltro pacificamente ben nota a<br />

tanti, “che il crocifisso è prima di<br />

tutto un simbolo religioso”. E allora,<br />

a mio modesto parere, il problema<br />

non è mai stato quello di pensare<br />

a questo simbolo quale emanatore di<br />

negativi influssi bensì di non avere<br />

analogo rispetto ed altrettanta considerazione<br />

per i simboli “degli altri”.<br />

I giudici europei non erano chiamati<br />

ad esprimersi al riguardo e il problema,<br />

anche dopo la sentenza, rimane<br />

aperto.<br />

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che) in opposizione e in forma contraria<br />

alla cultura circostante.<br />

Ecco quindi che in un contesto globalizzato<br />

questa differenziazione e<br />

questa peculiarità chiaramente vengono<br />

a smussarsi e lentamente perdono<br />

il loro contenuto. Non sappiamo<br />

per adesso se sia questo un fenomeno<br />

dalle rilevanze positive o negative,<br />

sappiamo tuttavia che le problematiche<br />

e i quesiti che da questo<br />

processo emergono e vengono poste<br />

sono enormi. Come ad esempio: quale<br />

educazione dare ai figli? Un’educazione<br />

particolaristica o un approccio<br />

cosmopolita? Sottolineare l’importanza<br />

per la tradizione della lingua<br />

ebraica, oppure dar loro un<br />

apertura verso il mondo globalizzato<br />

con l’insegnamento dell’inglese?<br />

E` interessante notare a questo proposito,<br />

che proprio uno degli streotipi<br />

antisemiti diffusi per secoli era<br />

quello dell’ebreo per così dire “comopolita”,<br />

senza patria, e senza fissa<br />

dimora.<br />

In fin dei conti va detto che, per<br />

molti versi, questi quesiti non sono<br />

nuovi ma anzi si sono già presentati<br />

anche se non in maniera così forte e<br />

acuta anche nel passato, tant’è che<br />

le fonti tradizonali si pongono per<br />

l’appunto il problema. Anzi è proprio<br />

questa nuova realtà che potrebbe<br />

indicare anche una nuova prospettiva<br />

di interpretazione <strong>delle</strong> fonti<br />

stesse. Nonostante tutto è importante<br />

che l’ebreo moderno si confronti<br />

con questa nuova situazione.<br />

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