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PE 042011_Layout 1 - Unione delle comunità ebraiche italiane

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P32<br />

ú– STORIA<br />

ú–– Roberto Jona<br />

Salvatore Jona nacque nel 1904<br />

ad Ancona dove il padre Emilio,<br />

(allievo del Collegio rabbinico<br />

di Livorno frequentato sotto la<br />

guida di Elia Benamozegh, insieme<br />

ad Alfredo Sabato Toaff, padre del<br />

futuro rabbino di Roma, Elio) era<br />

rabbino. Dopo pochi anni, forse per<br />

dissapori con la Comunità, la famiglia<br />

Jona si trasferì a Milano, dove Emilio<br />

si occupò prima di assicurazioni e<br />

poi, trasferendosi a Torino e successivamente<br />

a Genova, dell’allora astro<br />

nascente dell’”informatica”: le macchine<br />

da scrivere. La formazione culturale<br />

del giovane Salvatore fu decisamente<br />

classica e, malgrado la profonda<br />

preparazione ebraica del padre,<br />

la cultura e l’osservanza religiosa<br />

ebraica rimasero sostanzialmente<br />

emarginate dalla sua vita. La frequenza<br />

della sinagoga rimase limitata al<br />

giorno di Kippur e in casa l’osservanza<br />

della tradizione, a parte il divieto<br />

di introdurre carni taref voluto<br />

dalla madre Eugenia Verona, rimase<br />

limitata alla celebrazione del Seder<br />

di Pesach fatta dal padre. Con questo<br />

(scarno) bagaglio culturale, Salvatore,<br />

divenuto precocemente un brillante<br />

avvocato a Genova, si ritrovò a confrontarsi<br />

con le leggi razziste nel<br />

1938. Che costituirono per lui, come<br />

per la giovane consorte Emilia Pardo,<br />

un duplice dramma: da un lato occorreva<br />

ingegnarsi a evadere le nuove<br />

disposizioni oppressive del governo<br />

fascista, dall’altro si chiedeva perché<br />

mai fosse piovuta loro addosso una<br />

batosta del genere. Anche se non<br />

pensò mai di convertirsi, non riusciva<br />

a capacitarsi di essere fatto oggetto<br />

di tanto odio da parte di quella patria<br />

che egli amava e che, come avvocato<br />

serviva al meglio <strong>delle</strong> sue capacità,<br />

per il semplice fatto di frequentare<br />

(raramente) il Tempio invece della<br />

Chiesa. L’ impegno richiesto per superare<br />

la legislazione sempre più restrittiva<br />

dello Stato fascista, e portare<br />

a casa il pane per la famiglia, non gli<br />

lasciava comunque il tempo di approfondire<br />

la sua cultura ebraica.<br />

L’8 settembre 1943, dopo l’armistizio<br />

chiesto dall’Italia agli Alleati, il Paese<br />

fu invaso dai tedeschi e le cose cambiarono<br />

radicalmente in peggio. Non<br />

si trattava più solo di trovare il pane,<br />

occorreva sfuggire alla cattura per<br />

sopravvivere. Cosa non facile in tempo<br />

di guerra quando,<br />

per chi avesse contravvenuto<br />

alla legge che<br />

imponeva di consegnare<br />

ogni ebreo (dichiarato<br />

nemico della<br />

patria), la pena era la<br />

morte.<br />

Per fortuna sua e della<br />

famiglia Jona, nel suo<br />

peregrinare sui monti,<br />

incontrò un vecchio<br />

compagno di<br />

studi, l’avvocato<br />

Emanuele Custo -<br />

molti anni dopo riconosciuto<br />

Giusto<br />

tra le nazioni - che, per motivazioni<br />

evangeliche, gli aprì coraggiosamente<br />

la porta di casa e lo nascose con la<br />

famiglia fino alla Liberazione.<br />

Curiosamente (per noi oggi, ma molto<br />

meno allora) la famiglia Custo,<br />

che con tanto coraggio aveva sfidato<br />

CULTURA / ARTE / S<strong>PE</strong>TTACOLO<br />

la morte per salvare una famiglia di<br />

ebrei perseguitati, non riusciva a capacitarsi<br />

che questi, dopo aver sperimentato<br />

in prima persona di cos’era<br />

capace l’”amore cristiano”, insistessero<br />

per restare nell’”errore”, che rinunciassero<br />

alla “salvezza dell’anima”<br />

che può essere<br />

propiziata “soltanto”<br />

dal battesimo.<br />

Li sconvolgeva e<br />

li deludeva che<br />

persone che da un<br />

lato manifestavano<br />

tanta gratitudine<br />

per il coraggioso<br />

aiuto ricevuto, insistessero<br />

per restare<br />

in una religione in<br />

cui si proclamava la<br />

dura giustizia dell’<br />

“occhio per occhio”,<br />

invece di passare alla<br />

religione dell’amore,<br />

proclamato da Gesù con il detto<br />

“ama il prossimo tuo come te stesso”<br />

e soprattutto insistessero per restare<br />

nella sparuta pattuglia dei “deicidi”<br />

che, continuando a non riconoscere<br />

la divinità di Gesù, lo uccidevano<br />

www.moked.it<br />

quotidianamente.<br />

Rientrato nella vita cittadina, Jona fu<br />

fatto oggetto di pressioni anche dall’<br />

alto: perfino il cardinale arcivescovo<br />

di Genova, Giuseppe Siri cercò di<br />

spingerlo alla conversione. L’avvocato<br />

non aveva però alcuna intenzione<br />

di cedere alle molteplici pressioni<br />

per una sua conversione, ma non era<br />

tipo da rispondere a una domanda<br />

“perché?” con un semplice “perché<br />

no.” D’altra parte non aveva la preparazione<br />

per una risposta più circostanziata<br />

e articolata. Fu così che cominciò<br />

a raccogliere documentazione<br />

e a studiare quegli aspetti specifici<br />

dell’ebraismo che meglio avrebbero<br />

potuto servire a ribattere i luoghi comuni<br />

che venivano usati per accusare<br />

gli ebrei. Il primo risultato di questo<br />

lavoro fu un opuscolo, L’amore nel<br />

Vecchio Testamento, nel quale documentava<br />

che l’amore non era stato<br />

inventato da Gesù, ma si trovava ben<br />

prima in tutta la Torah e poi nel Talmud.<br />

In quegli anni scrisse diversi<br />

altri opuscoli incoraggiato dalla moglie<br />

e aiutato da rav Schaumann, che<br />

in quel periodo era rabbino a Genova,<br />

tutti con l’intento pratico di aiu-<br />

n. 4 | aprile 2011 pagine <strong>ebraiche</strong><br />

Piemonte ebraico e Italia unita, gli appuntamenti<br />

“1861-2011. Sul contributo degli ebrei alla costruzione<br />

dell’Italia unitaria”. Nell’anniversario<br />

dei 150 anni dell’Unità, le Comunità<br />

<strong>ebraiche</strong> di Torino e del Piemonte, in collaborazione<br />

con l’<strong>Unione</strong> <strong>delle</strong> Comunità Ebraiche<br />

Italiane, propongono un’ampia rassegna di<br />

eventi e incontri che testimoniano il grande<br />

contributo dato dell’ebraismo italiano alla storia<br />

del Paese. Insieme a Torino, sono coinvolte<br />

nel progetto la Comunità di Casale Monferrato<br />

e di Vercelli. “Considerare lo sviluppo dei rapporti<br />

fra ebrei e società di maggioranza – si<br />

legge nel programma – può dire molto non solo<br />

sugli ebrei, ma anche sui caratteri della<br />

società e della politica italiana<br />

nello stesso arco di tempo, riguardo<br />

a un tema cruciale<br />

ancor oggi attuale come<br />

quello della relazione fra maggioranze<br />

e minoranze”.<br />

Molte iniziative gravitano attorno<br />

a una <strong>delle</strong> figure più care all’ebraismo<br />

torinese: Emanuele Artom. All’indimenticato<br />

partigiano, ucciso dai fascisti a soli 29<br />

anni, è infatti dedicato il film del regista Francesco<br />

Momberti, Emanuele Artom, il ragazzo<br />

di via Sacchi. La pellicola, che<br />

rende omaggio al valore<br />

umano e politico dell’intellettuale<br />

combattente, sarà<br />

proiettata in aprile a Torre<br />

Pellice e al museo Carcere<br />

Le Nuove di Torino, l’ex prigione<br />

in cui lo stesso Artom<br />

fu detenuto. Il primo giugno<br />

sarà invece la sede torinese della<br />

Regione Piemonte a proiettare il documentario,<br />

presentando inoltre i famosi Diari di un partigiano<br />

ebreo. Gennaio 1940 - Febbraio 1944, a<br />

Un avvocato contro<br />

l’accusa di deicidio<br />

Nel 1963 Salvatore Jona pubblicava il libro Gli ebrei non<br />

hanno ucciso Gesù. Oggi Ratzinger riprende le stesse tesi<br />

cura di Guri Schwarz.<br />

La serata alla Comunità di Torino del 12 aprile<br />

sarà, invece, dedicata al poeta e politico chierese<br />

David Levi. Patriota prima vicino all’utopia<br />

socialista, poi convertitosi al democraticismo<br />

borghese, Levi sedette nel Parlamento unificato<br />

dal 1860 al 1880: vent’anni tra i banchi della<br />

Sinistra parlamentare a combattere e pianificare<br />

riforme sociali e politiche. I suoi testi saranno<br />

letti al pubblico da Daniel Lascar mentre<br />

introdurrà l’evento la professoressa Francesca<br />

Sofia.<br />

Al Teatro Gobetti, il 27 aprile andrà in scena lo<br />

tare chi avesse poca dimestichezza<br />

con i sacri testi ebraici a difendersi e<br />

a difendere l’ebraismo dalle accuse<br />

più comuni quanto più ingiuriose.<br />

Restava ancora un punto su cui la risposta<br />

non era semplice: la presunta<br />

complicità ebraica nel deicidio di Gesù<br />

e la responsabilità che, secondo<br />

l’apostolo Matteo, avrebbe dovuto ricadere<br />

su tutto il popolo ebraico per<br />

tutta l’eternità. Si trattava di stretta<br />

dottrina cristiana, da cui derivavano<br />

secolari sentimenti antiebraici, che<br />

annualmente veniva rappresentata in<br />

innumerevoli Via crucis, in cui il popolo<br />

ebraico veniva rappresentato nel<br />

modo più spregevole. E si trattava di<br />

dottrina che era servita nei secoli come<br />

motivazione a terribili pogrom e<br />

a orribili auto da fé che terminavano<br />

immancabilmente con il rogo dei<br />

malcapitati ebrei. Tante altre crudeltà<br />

anti<strong>ebraiche</strong> erano giustificate da questa<br />

aberrante dottrina del “deicidio”.<br />

Confutarla in modo accettabile e<br />

comprensibile da cristiani (argomenti<br />

della Halakhah o comunque rabbinici<br />

sarebbero stati inutili e al limite controproducenti)<br />

non era facile. Salvatore<br />

Jona si accinse dunque a questo<br />

lavoro come se avesse dovuto preparare<br />

una difesa in Cassazione.<br />

Iniziò a escludere il “deicidio” perché<br />

la natura divina di Gesù non era riconosciuta<br />

e quindi senza il dolo di<br />

“voler uccidere Dio”, non poteva sussistere<br />

il reato di deicidio, passò poi<br />

a valutare le dimensioni del “popolo”<br />

tumultuante che era contenuto nella<br />

(piccola) piazza del Pretorio di Gerusalemme<br />

e infine considerò l’aberrazione<br />

giuridica di trasferire la responsabilità<br />

di qualsivoglia eventuale<br />

malefatta di questo gruppetto di (forse)<br />

facinorosi a tutto il popolo<br />

d’Israele, presente e futuro. Infine<br />

analizzò la responsabilità oggettiva<br />

di chi aveva effettivamente promulgato<br />

ed eseguito la sentenza di morte:<br />

i romani.<br />

Svolse poi anche altre considerazioni<br />

per dimostrare l’infondatezza dell’accusa<br />

di responsabilità al popolo<br />

d’Israele per la morte di Gesù e concluse<br />

con una cronologia che raccoglieva<br />

un raccapricciante elenco di

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