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Marzo 2010 - n. 1 - Anno 20° - Centro Orientamento Educativo

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The projet<br />

Cortometraggi africani<br />

Alcuni film, selezionati nell’ultimo Festival,<br />

distribuiti in Italia dal COE<br />

E’ un’opera prima il cortometraggio di Mohamed Ali<br />

Nahdi, The projet, vincitore del premio CEM-Mondialità.<br />

Le monologue de la muette<br />

Questo documentario della senegalese Khady Silla e<br />

del belga Charlie Van Damme, vincitore del Premio<br />

CUMSE, ci porta nel mondo di Amy, “bonne”, cioè<br />

collaboratrice domestica, “politicaly correct” parlando,<br />

o serva, realisticamente parlando, presso una<br />

famiglia di Dakar .<br />

Il mondo di Amy è un mondo chiuso tra le quattro<br />

mura della casa in cui lavora duramente, avvolto in<br />

un remissivo silenzio. Non c’è comunicazione con<br />

la padrona, che le rivolge la parola solo per impartire<br />

ordini o muovere rimproveri e a cui deve un’ossequiosa<br />

ubbidienza e non c’è più comunicazione con<br />

Un viaggio nelle scorribande notturne dei giovani tunisini<br />

di un quartiere degradato, di cui è protagonista il<br />

giovane Sami che passa il tempo tra risse, furti e incomprensioni<br />

familiari, finché non viene arrestato.<br />

Una Tunisi, poco riconoscibile, ma uniformata a tutte le<br />

metropoli per la piccola delinquenza che la abita, che<br />

scorre davanti ai nostri occhi a ritmo forsennato.<br />

Lo sguardo dell’autore è severo, grazie anche a una fotografia<br />

plumbea e a dialoghi secchi: non ammette scusanti<br />

neanche quando entra in gioco l’escamotage della<br />

finzione filmica, perché la critica alla sovrastruttura è<br />

più severa di quella alla struttura.<br />

Si accenna, in conclusione, a una garbata censura che<br />

mina, con una terribile naturalezza, il mondo culturale<br />

e per la quale lo sguardo sconcertato del regista nel<br />

finale non sembra ammettere possibilità di soluzione.<br />

la casa, la famiglia che è rimasta al villaggio, lasciato<br />

come molte altre coetanee, insieme agli studi, per cercare<br />

un po’ di fortuna in città.<br />

Amy, dal volto fiero, ma triste, che porta tutti i segni dei<br />

sogni che non ci sono più e del dolore con cui convive,<br />

nella sua solitudine, tace, ma parlano i suoi pensieri,<br />

che viaggiano malinconicamente verso casa, in modo<br />

da non annullare completamente dentro di sé il legame<br />

affettivo, spezzato nella realtà.<br />

Invece, parlano in macchina, intervistate, altre ragazze<br />

come lei, costrette alla stessa scelta, che, con umiltà e<br />

un velo di tristezza, ammettono le rinunce e le speranze<br />

accantonate.<br />

E parlano anche i due autori attraverso una drammatizzazione<br />

rap al femminile di quelli che sono i voli<br />

dell’anima di queste donne che vivono sfruttate, in una<br />

forma di schiavitù socialmente accettata, per la quale<br />

raramente conoscono ribellione e solidarietà dall’esterno.<br />

E ne esce così un monito duro, fermo contro lo sfruttamento<br />

tanto del corpo quanto dell’anima di coloro che<br />

non hanno voce o, meglio, che hanno rinunciato ad<br />

averla, nella convinzione che il loro destino non possa<br />

essere che quello.<br />

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