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<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità 139<br />

<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong><br />

dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità<br />

alla pratica comunitaria <strong>della</strong> f<strong>il</strong>osofia<br />

di Roberto Franzini Tibaldeo<br />

I – Comunità di ricerca come pratica di libertà<br />

In questo articolo tenterò di sondare alcune possib<strong>il</strong>ità offerte dal fatto di<br />

intendere la f<strong>il</strong>osofia alla stregua di una “pratica sociale” e dall’ipotesi per cui<br />

<strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofare-con-altri è in grado di produrre risultati apprezzab<strong>il</strong>i anche al di<br />

fuori di contesti strettamente scolastici.<br />

Circa <strong>il</strong> significato del termine “f<strong>il</strong>osofia”, assumerei in via preliminare<br />

la distinzione proposta da Antonio Cosentino tra “f<strong>il</strong>osofia-come-pratica” e<br />

“f<strong>il</strong>osofia-come-disciplina”: 1 con ciò – d’accordo con l’autore – non intendo<br />

introdurre alcun dualismo, ma solo riconoscere che la recente vitalità delle<br />

cosiddette “pratiche f<strong>il</strong>osofiche” eccede in senso stretto <strong>il</strong> tradizionale ambito<br />

<strong>della</strong> cosiddetta riflessione teorico-f<strong>il</strong>osofica. Infatti, la domanda di f<strong>il</strong>osofia,<br />

che – non solo nel nostro paese – si intreccia a fenomeni culturali di ampia<br />

portata, presenta a ben vedere ragioni di carattere extrascientifico: ci si rivolge<br />

alla f<strong>il</strong>osofia non in quanto disciplina e non per riceverne in senso stretto un<br />

surplus di conoscenza teorica, ma con la speranza di derivare da essa un <strong>contributo</strong><br />

di senso per l’esistenza. La domanda di f<strong>il</strong>osofia non investe pertanto<br />

solamente la teoria, né la sola prassi, ma piuttosto l’articolazione teoricopratica<br />

stessa in cui consiste fin dalle proprie origini <strong>il</strong> “f<strong>il</strong>osofare”, in quanto<br />

esperienza di libertà e di riflessione su se stesso da parte dell’essere umano<br />

vivente ed esistente. 2 Dato <strong>il</strong> carattere intrinsecamente relazionale e interpersonale<br />

<strong>della</strong> razionalità e riflessività umane, si comprende come <strong>il</strong> “senso”<br />

ricercato dal “f<strong>il</strong>osofare” trascenda <strong>il</strong> singolo individuo e assurga a questione<br />

politica. Il moto riflessivo e autoriflessivo del “f<strong>il</strong>osofico” riscontrato a livello<br />

culturale e sociale rappresenta al tempo stesso un ammonimento e un’opportunità:<br />

l’ammonimento a che quell’attività non venga ridotta a mera faccenda<br />

teorico-disciplinare; l’opportunità di ridare vita a un’esperienza f<strong>il</strong>osofica in<br />

1<br />

A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come pratica sociale. Comunità di ricerca, formazione e cura di sé,<br />

Apogeo, M<strong>il</strong>ano 2008, p. X.<br />

2 Del f<strong>il</strong>osofare Cosentino afferma quanto segue: “quella che qui vogliamo evocare è la condizione<br />

in cui la f<strong>il</strong>osofia è ancora soltanto pensiero in azione, dislocamento riflessivo rispetto alla<br />

corrente di azioni abitudinarie e di routine, rispetto ai luoghi comuni del linguaggio, rispetto ai<br />

pregiudizi consolidati. [...] In questo senso, <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofare è un’attività che si sv<strong>il</strong>uppa in un contesto<br />

di vita, come emergenza che affiora e prende forma di fronte alla problematicità dell’esperienza e,<br />

nello stesso tempo, in virtù dell’orizzonte sociale, linguistico e simbolico in cui <strong>il</strong> corso dell’esperienza<br />

si dipana”. (Ivi, p. 4; cfr. anche ivi, p. 25.)


140<br />

Roberto Franzini Tibaldeo<br />

senso pieno. Ciò non può prescindere dall’assunzione preliminare del carattere<br />

intrinsecamente complesso, articolato e ambivalente di tale impresa.<br />

Ciò premesso, interroghiamoci più da vicino sul senso <strong>della</strong> “f<strong>il</strong>osofia in<br />

quanto pratica sociale”. Per come si configurano, da un lato, <strong>il</strong> dibattito teorico-culturale<br />

e, dall’altro, quello suscitato in sede sperimentale a partire dalla<br />

concreta esperienza del “f<strong>il</strong>osofare”, 3 quest’ultimo evidenzia un duplice volto.<br />

Per un verso (pars destruens), si presenta come esperienza decostruttiva in grado<br />

di scardinare automatismi, comportamenti e abitudini individuali e sociali<br />

consolidati e assunti in maniera irriflessa. Sotto questo aspetto, <strong>il</strong> primo passo<br />

del f<strong>il</strong>osofare non consiste in un “fare” o in una “strategia” da reperire, quanto<br />

piuttosto in un “lasciar essere”, un “sospendere” e un “dubitare”; operazione<br />

che la natura in quanto tale interrogativa dell’atteggiamento f<strong>il</strong>osofico consente<br />

di realizzare con relativa fac<strong>il</strong>ità. Il secondo aspetto mi sembra invece<br />

più arduo da esplorare. Si tratta di vedere se e come la pratica f<strong>il</strong>osofica possa<br />

anche dirsi “construens”, vale a dire in che modo si configuri come prassi di ricerca<br />

interessata e orientata a un prodotto. 4 Significa interrogarsi anche sullo<br />

specifico del f<strong>il</strong>osofare rispetto a una prassi non-f<strong>il</strong>osofica, e interrogarsi sulla<br />

riconoscib<strong>il</strong>ità o meno di tale specificità, così come sulla possib<strong>il</strong>ità di oggettivare<br />

e istituzionalizzare la ricerca f<strong>il</strong>osofica, o sulla replicab<strong>il</strong>ità, valutab<strong>il</strong>ità e<br />

prevedib<strong>il</strong>ità dei suoi risultati, ecc. Sempre che, circa la prassi f<strong>il</strong>osofica, abbia<br />

senso porre questi quesiti, che attengono tradizionalmente al fare umano. 5<br />

Mi pare che l’interrogativo circa questo secondo aspetto vada affrontato in<br />

tutta la sua serietà, al fine di allontanare dalla pratica sociale <strong>della</strong> f<strong>il</strong>osofia <strong>il</strong><br />

sospetto di ridursi a una forma di spontaneismo fine a se stesso. Riflettere su<br />

questo aspetto significa, credo, ragionare non solo sulla questione <strong>della</strong> “forma”<br />

che tale pratica può assumere, ma anche sul suo carattere intrinsecamente<br />

etico. La pratica <strong>della</strong> f<strong>il</strong>osofia è infatti pratica <strong>riflessiva</strong> di libertà, una pratica<br />

che peraltro si esercita “con-altri”. Come tale pratica si rivela potenzialmente<br />

feconda per la propria formazione personale e per <strong>il</strong> surplus di capacità critica,<br />

autocritica e auto<strong>riflessiva</strong> ut<strong>il</strong>e a “mettere in forma” la propria esistenza, così<br />

potrebbe accadere anche a livello di una “Comunità di Ricerca” (CdR) che si<br />

fosse consapevolmente assunta un sim<strong>il</strong>e compito f<strong>il</strong>osofico. In questo senso,<br />

la pratica del “con-f<strong>il</strong>osofare” si presenterebbe come un processo autoriflessivo<br />

di “messa in forma” <strong>della</strong> CdR stessa. Ritengo che questi aspetti eticamente<br />

r<strong>il</strong>evanti <strong>della</strong> pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare possano esplicitarsi a partire da una<br />

sua lettura nei termini di una teoria etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità.<br />

3 In merito al primo, si veda la disputa suscitata a livello pubblico dalle pratiche f<strong>il</strong>osofiche, in<br />

primis, dalla consulenza f<strong>il</strong>osofica (cfr. ad es. A. DAL LAGO, Il business del pensiero. La consulenza<br />

f<strong>il</strong>osofica tra cura di Sé e terapia degli altri, Manifesto Libri, Roma 2007). In merito a discussioni<br />

e approfondimenti a partire dalla sperimentazione <strong>della</strong> pratica sociale <strong>della</strong> f<strong>il</strong>osofia in svariati<br />

contesti (scolastico, comunitario, socio-assistenziale, culturale, ecc.), è proprio l’aspetto su cui si<br />

sono concentrati gli sforzi dei ricercatori coinvolti nel progetto “Pensiero in formazione”.<br />

4 Per <strong>il</strong> “prodotto <strong>della</strong> ricerca”, cfr. M. LIPMAN, Educare al pensiero, Vita e Pensiero, M<strong>il</strong>ano<br />

2005, p. 97.<br />

5<br />

La questione teorica di fondo è la legittimità <strong>della</strong> specificità <strong>della</strong> prassi rispetto a ciò che<br />

si può denominare fare.


<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità 141<br />

I.1 – Crisi del moderno, riflessività e gestione <strong>della</strong> complessità<br />

Per molteplici ragioni i processi di civ<strong>il</strong>izzazione in atto a livello globale si caratterizzano<br />

per un grado di crescente complessità. In effetti, la complessità si<br />

presenta probab<strong>il</strong>mente come la cifra più eloquente e sintetica <strong>della</strong> contemporaneità,<br />

essendo in grado di unificarne caratteri essenziali, quali l’epistemologia,<br />

la scienza, la tecnologia, la politica, l’economia, la cultura, la società, e così<br />

via. La complessità può essere letta come l’effetto <strong>della</strong> modernità o come la<br />

sua più grande creazione. Eppure, proprio la complessità ha anche evidenziato<br />

i limiti intrinseci <strong>della</strong> stessa modernità. 6 Penso all’inadeguatezza del metodo<br />

scientifico moderno, che tra <strong>il</strong> XIX e <strong>il</strong> XX secolo ha dato origine a un processo<br />

di profonda revisione delle scienze naturali; penso all’accantonamento delle<br />

pretese gnoseologiche <strong>della</strong> modernità improntate a chiarezza, distinzione,<br />

semplicità, astrazione e riduzionismo, pretese rivelatesi tristemente velleitarie<br />

e incapaci di gestire efficacemente macrofenomeni di portata mondiale evidenziatisi<br />

nel corso secolo scorso, quali la globalizzazione, le crisi finanziarie,<br />

tensioni ideologiche e geopolitiche, la crisi ecologica, <strong>il</strong> sottosv<strong>il</strong>uppo di parte<br />

del pianeta, sfide bioetiche, ecc. A lungo è poi mancata un’adeguata riflessione<br />

critica circa <strong>il</strong> ruolo giocato in tali questioni dall’estensione <strong>della</strong> capacità<br />

tecnologica umana.<br />

Da un punto di vista politico, l’avvento <strong>della</strong> complessità ha messo in crisi<br />

<strong>il</strong> tradizionale paradigma del government e ha indotto a sperimentare nuove<br />

forme di governab<strong>il</strong>ità riassumib<strong>il</strong>i nel concetto di governance. Nonostante<br />

l’apparente somiglianza lessicale, un vero abisso corre tra questi concetti, così<br />

come tra le relative pratiche politico-gestionali. “Il concetto di ‘governance’<br />

– recita <strong>il</strong> Libro bianco <strong>della</strong> governance europea – designa le norme, i processi<br />

e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate<br />

a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura,<br />

partecipazione, responsab<strong>il</strong>ità, efficacia e coerenza”. 7 La governance indica<br />

dunque una prassi gestionale delle problematiche contemporanee improntata<br />

all’efficacia (di contro alle inefficienze di pratiche di governo calate astrattamente<br />

“dall’alto”) e che intende realizzarsi secondo modalità improntate alla<br />

sussidiarietà e alla multiscalarità (vale a dire con <strong>il</strong> coinvolgimento e <strong>il</strong> concorso<br />

di realtà politiche non necessariamente dello stesso livello). Altro obiettivo è<br />

6 Cfr. E. MORIN, Introduzione al pensiero complesso (1991), Sperling & Kupfer, M<strong>il</strong>ano 1995.<br />

7 COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE (CCE), Libro bianco sulla governance europea, 2001, p. 8. Si veda<br />

anche la seguente definizione proposta dai sociologi Ciaffi e Mela: <strong>il</strong> concetto di governance sta a<br />

indicare “un’attività di coordinamento dell’azione di diversi soggetti istituzionali e non istituzionali<br />

(portatori di interessi, associazioni, reti di cittadini, ecc.), messa in atto in modo mult<strong>il</strong>aterale dagli<br />

stessi soggetti interessati e orientata da una visione condivisa del futuro (ad esempio, del possib<strong>il</strong>e<br />

modello di sv<strong>il</strong>uppo di un’area). Così intesa [...] la governance tende a raccordare l’esercizio del<br />

potere da parte degli organismi elettivi e delle agenzie pubbliche con le esigenze e le aspirazioni<br />

diffuse; dunque non sottrae in alcun modo legittimazione al governo ma, semmai, contribuisce ad<br />

accrescerla, riattualizzando – per così dire – <strong>il</strong> significato del mandato elettorale anche nelle fasi<br />

successive al voto” (D. CIAFFI e A. MELA, La partecipazione. Dimensioni, spazi, strumenti, Carocci,<br />

Roma 2006, pp. 49-50).


142<br />

Roberto Franzini Tibaldeo<br />

l’attuazione di pratiche gestionali rispettose <strong>della</strong> complessità dei processi in<br />

atto e che prevedano la partecipazione attiva <strong>della</strong> cittadinanza. Sotto certi<br />

aspetti la rivoluzione culturale rappresentata dalla governance evidenzia un<br />

paradosso: avviata “dall’alto”, essa non può però affermarsi a prescindere da<br />

una fattiva compartecipazione “dal basso”. Detto altrimenti, <strong>il</strong> passaggio da<br />

logiche di government alla governance per un verso è stata una necessità imposta<br />

dalla complessità di fenomeni epocali di ampio respiro e dall’inefficienza<br />

dei tradizionali metodi di gestione di tale complessità, mentre per altro verso<br />

l’incisività e l’efficacia delle nuove pratiche di governance, nonché l’equità dei<br />

loro risultati a medio e lungo termine, richiedono la consapevolezza e la convinta<br />

adesione da parte di una pluralità di soggetti che spazia dai governanti<br />

per venire ai semplici cittadini.<br />

La tesi che sostengo è che questo metaforico crocevia, in cui una gestione<br />

politica efficiente <strong>della</strong> complessità si incontra con l’esigenza di interloquire<br />

con cittadini consapevoli e responsab<strong>il</strong>i, rappresenti uno dei luoghi eminenti<br />

del f<strong>il</strong>osofare. Riguardo alle sfide evidenziate, la pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare<br />

si colloca infatti come fecondo punto d’incontro tra fori privati e spazi pubblici.<br />

Inoltre, <strong>il</strong> potenziale critico e autocritico, riflessivo e autoriflessivo del<br />

f<strong>il</strong>osofare è in grado di fissare lo sguardo sulle opportunità e sui limiti offerti<br />

dalla situazione presente, in vista <strong>della</strong> costruzione di scenari esistenziali nuovi,<br />

alternativi, innovativi e condivisi.<br />

Un sim<strong>il</strong>e impiego <strong>della</strong> f<strong>il</strong>osofia non può prescindere da un plesso di questioni<br />

che si richiamano a vicenda. In primo luogo, poiché <strong>il</strong> “f<strong>il</strong>osofare” non<br />

investe solo ambiti teorico-formali, ma lascia emergere la relazione dinamica<br />

che lega reciprocamente teoria e prassi, ecco che <strong>il</strong> “pensiero f<strong>il</strong>osofico” non<br />

si riduce al solo scheletro logico-formale, ma presenta forme più articolate e<br />

complesse, connotandosi in senso “critico-creativo-affettivo/valoriale”. 8 In<br />

secondo luogo, <strong>il</strong> carattere interpersonale dell’esperienza del f<strong>il</strong>osofare apre a<br />

due ulteriori questioni: da un lato, al potenziale formativo e auto-formativo<br />

di tale esperienza; dall’altro, al suo potenziale politico. In entrambi i casi <strong>il</strong><br />

f<strong>il</strong>osofare si attesta come pratica di libertà. Nella prospettiva qui adottata, la<br />

libertà non si presenta però come un dato acquisito, ma è a sua volta intesa<br />

come un’esperienza formativa e relazionale. Pertanto, circa le precedenti<br />

questioni, per un verso, assumo che l’esperienza del f<strong>il</strong>osofare contribuisca<br />

alla costituzione di una personalità <strong>riflessiva</strong> e in grado di “mettere in forma”<br />

la propria esistenza, così come di dare <strong>il</strong> proprio insostituib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> in<br />

termini di accrescimento di consapevolezza alla comunità cui appartiene; 9 per<br />

8 M. SANTI, “Comunità di ricerca” e democrazia del pensiero: la “Ph<strong>il</strong>osophy for Ch<strong>il</strong>dren” come<br />

opportunità di internalizzazione del discorso euristico, in A. VOLPONE (a cura di), F<strong>il</strong>osofare, politica<br />

e società, Liguori, Napoli 2008, pp. 77-93: 80; con riferimento a M. LIPMAN, Educare al pensiero, cit.<br />

Sempre sulla scorta di Lipman, Cosentino ribadisce che l’esperienza non consiste in un processo<br />

soltanto cognitivo, essendo vivificata dalle emozioni (cfr. A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come pratica sociale.<br />

Comunità di ricerca, formazione e cura di sé, cit., p. 24).<br />

9 Per dirla con Marina Santi, “L’ipotesi è che la partecipazione a contesti didattici [...] che priv<strong>il</strong>egiano<br />

uno st<strong>il</strong>e di discorso collaborativo ed euristico/inquisitivo, favorisca l’internalizzazione<br />

delle dinamiche interpersonali, delle forme di interazione e delle regole comunicative proprie di


<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità 143<br />

altro verso, sottolineo che detta personalità <strong>riflessiva</strong> non si dà per natura e a<br />

prescindere dal contesto interpersonale di riferimento, ma richiede un’attenta<br />

formazione e <strong>il</strong> preliminare appello alla riflessione da parte di quest’ultimo.<br />

Circa tale contesto “politico”, occorre ancora proporre un paio di notazioni introduttive.<br />

In questo articolo se ne parlerà nei termini <strong>della</strong> “comunità”, poiché<br />

termine di confronto delle presenti considerazioni è – per le motivazioni che<br />

si addurrà – la “Comunità di Ricerca” (CdR) proposta da Lipman 10 . In secondo<br />

luogo, data la centralità di concetti quali libertà, dialogo, riflessione, condivisione,<br />

pensiero critico e autocritico, formazione, ecc., si comprenderà come<br />

l’ambito politico di riferimento non possa che essere quello democratico.<br />

Mi avvalgo di queste considerazioni per palesare due opzioni f<strong>il</strong>osofiche<br />

di fondo di cui nelle prossime pagine cercherò di indagare le conseguenze. Per<br />

entrambe mi avvalgo <strong>della</strong> lucida enunciazione proposta da Antonio Cosentino.<br />

La prima: “Se essere democratici implica l’apertura al f<strong>il</strong>osofare, allora,<br />

con ogni probab<strong>il</strong>ità, la f<strong>il</strong>osofia è un diritto-dovere di tutti i cittadini di una<br />

democrazia”. 11 Premessa implicita di questo ragionamento è che sia la condizione<br />

di persona <strong>riflessiva</strong> sia la cittadinanza non sono dotazioni “naturali”, ma<br />

traguardi da raggiungere. 12 Veniamo ora alla seconda delle opzioni f<strong>il</strong>osofiche<br />

annunciate: “Per st<strong>il</strong>e f<strong>il</strong>osofico in questo contesto dobbiamo intendere un<br />

modo di operare in cui la f<strong>il</strong>osofia funge da modello procedurale del ‘pensiero<br />

complesso’”. 13 Come anticipato, si tratta dell’ipotesi di lavoro secondo la quale<br />

<strong>il</strong> “f<strong>il</strong>osofare” avrebbe da offrire un valore aggiunto la cui precisazione può,<br />

a mio avviso, essere chiarita anche a partire dall’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità,<br />

essendo quest’ultima un’etica sensib<strong>il</strong>e alle istanze di complessità del mondo<br />

contemporaneo.<br />

La questione può essere affrontata a partire dalla nozione di “pensiero<br />

riflessivo”, che caratterizza in quanto tale la pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare.<br />

Parto dalla definizione che ne dà John Dewey: “L’attiva, costante e d<strong>il</strong>igente<br />

considerazione di una credenza o di una forma ipotetica di conoscenza alla<br />

luce delle prove che la sorreggono e delle ulteriori conclusioni alle quali essa<br />

tende, costituisce <strong>il</strong> pensiero riflessivo”. 14 La “riflessione” caratterizza una ricerca<br />

impegnata a trascendere in qualche modo ciò che si dà e ogni risultato<br />

eventualmente conseguito. Oltre a ciò, può dirsi “<strong>riflessiva</strong>” una ricerca che<br />

sia anche “responsab<strong>il</strong>e” delle conseguenze <strong>della</strong> conoscenza e dei prodotti<br />

<strong>della</strong> ricerca. Emerge in maniera evidente <strong>il</strong> retroterra pragmatistico di Dewey,<br />

per <strong>il</strong> quale ogni ricerca comincia con una situazione problematica o “cruciale,<br />

una situazione così ambigua da presentare un d<strong>il</strong>emma o proporre delle<br />

questa comunità” (M. SANTI, “Comunità di ricerca” e democrazia del pensiero: la “Ph<strong>il</strong>osophy for<br />

Ch<strong>il</strong>dren” come opportunità di internalizzazione del discorso euristico, cit., p. 81).<br />

10 Come si vedrà, <strong>il</strong> riferimento a questa tipologia di comunità mette al riparo da possib<strong>il</strong>i derive<br />

integraliste, comunitaristiche o organicistiche. Rinvio a questo proposito a quanto ho scritto<br />

nell’articolo a chiusura del primo anno del progetto “Pensiero in formazione”.<br />

11 A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come pratica sociale, cit., p. 36.<br />

12 Cfr. ivi, p. 37.<br />

13 Ivi, p. 88.<br />

14 Ivi, p. 68.


144<br />

Roberto Franzini Tibaldeo<br />

alternative”. 15 La ricerca è dunque ciò che occorre effettuare per risolvere<br />

detta situazione, mentre <strong>il</strong> pensiero (riflessivo) è ciò che “trasforma l’azione<br />

meramente appetitiva, cieca e impulsiva in azione intelligente”, 16 attribuisce<br />

significati e valori, e inoltre espleta i seguenti compiti: “giudicare dell’evidenza<br />

e agire in conformità”. 17<br />

A partire da Dewey e con la mediazione di Matthew Lipman, Cosentino<br />

rielabora come segue la definizione di “pensiero riflessivo”:<br />

lo scavo riflessivo non consiste in un semplice cammino a ritroso che risale dalla<br />

pratica alla corrispondente teoria che la giustifica, ma deve configurarsi come<br />

un’apertura alla complessità: un cammino che da lineare diventa circolare (pratica-teoria-pratica...),<br />

da predefinito diventa costruito su se stesso (ricorsività), da<br />

selettivo diventa inclusivo e trasversale rispetto ai contenuti, da programmab<strong>il</strong>e<br />

incerto e aperto all’imprevedib<strong>il</strong>ità. 18<br />

La riflessività del f<strong>il</strong>osofare ha pertanto assunto nuove sfumature che ne<br />

fanno un interessante e promettente paradigma di ricerca. 19 Contestualmente<br />

all’ampliamento teorico del “riflessivo” mi sembra che anche per l’idea di responsab<strong>il</strong>ità,<br />

tradizionalmente confinata entro i limiti <strong>della</strong> sola ponderazione<br />

delle conseguenze delle azioni umane, si prof<strong>il</strong>ino novità di r<strong>il</strong>ievo. Viviamo<br />

infatti entro scenari contraddistinti da incertezza e imprevedib<strong>il</strong>ità, scenari<br />

in cui, dopo secoli di riduzione <strong>della</strong> realtà a un’astrazione in cui l’elemento<br />

quantitativo la faceva da padrone, ciò che costituisce l’antropologico ha<br />

finalmente la possib<strong>il</strong>ità di venire liberato e “lasciato essere” in tutta la sua<br />

dinamica complessità. Viviamo inoltre in scenari plasmati da un agire individuale<br />

e collettivo che, anche in virtù delle possib<strong>il</strong>ità offerte dalla tecnologia,<br />

sperimenta <strong>il</strong> dramma <strong>della</strong> propria costitutiva ambivalenza e dell’assenza di<br />

punti di riferimento assolutamente certi. Come aveva ben compreso già tre<br />

decenni fa Hans Jonas, sim<strong>il</strong>i scenari finiscono inevitab<strong>il</strong>mente per porre l’uomo<br />

dinanzi a inedite sfide etiche concernenti questioni di senso, sfide che<br />

15 Ivi, p. 74; cfr. anche ivi, pp. 72 e sgg. In un altro passo <strong>della</strong> medesima opera Dewey aggiunge:<br />

“La funzione del pensiero riflessivo è quindi quella di trasformare una situazione in cui si<br />

è fatta esperienza di un’oscurità, un dubbio, un conflitto, o un disturbo di qualche sorta, in una<br />

situazione chiara, coerente, risolta, armoniosa” (ivi, p. 172). Conseguentemente, l’autore procede<br />

a enunciare le fasi in cui si articola <strong>il</strong> pensiero riflessivo: suggestione, intellettualizzazione, ipotesi,<br />

ragionamento, controllo (ivi, pp. 180 e sgg.).<br />

16 J. DEWEY, Come pensiamo (1933), La Nuova Italia, Firenze 1961, p. 79.<br />

17 Ivi, p. 83.<br />

18 A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come pratica sociale, cit., p. 93.<br />

19 Sovrapposte all’originaria impronta pragmatista, si notano stratificazioni di matrice costruttivista,<br />

nonché riflessioni provenienti dal modello ecologico e dall’epistemologia <strong>della</strong> complessità<br />

[cfr. ad esempio G. BATESON, Verso un’ecologia <strong>della</strong> mente (1972), Adelphi, M<strong>il</strong>ano 2004; E. MORIN,<br />

Il paradigma perduto: che cos’è la natura umana? (1973), Bompiani, M<strong>il</strong>ano 1974; poi, Feltrinelli,<br />

M<strong>il</strong>ano 1994, 1999; ID., Le vie <strong>della</strong> complessità (1985), in AA.VV., La sfida <strong>della</strong> complessità,<br />

Feltrinelli, M<strong>il</strong>ano 1985; ID., Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi (1991), Feltrinelli,<br />

M<strong>il</strong>ano 1993; ID., Introduzione al pensiero complesso (1991), cit.,; U. BRONFENBRENNER, Ecologia dello<br />

sv<strong>il</strong>uppo umano (1979), Mulino, Bologna 1986; J. BRUNER, La cultura dell’educazione: nuovi orizzonti<br />

per la scuola, Feltrinelli, M<strong>il</strong>ano 1996; M. LIPMAN, Educare al pensiero, cit.; cfr. anche A. COSENTINO,<br />

Costruttivismo e formazione, Liguori, Napoli 2002].


<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità 145<br />

richiedono di mettere a tema <strong>il</strong> nesso esistente tra libertà e responsab<strong>il</strong>ità e<br />

di ampliare <strong>il</strong> significato di quest’ultima al di là <strong>della</strong> mera analisi preventiva<br />

circa le conseguenze dell’agire umano. 20<br />

I.2 – Il sapere critico come pratica: lo scardinamento di logiche<br />

di potere<br />

La complessità è dunque una sfida per <strong>il</strong> pensiero, che deve affinare <strong>il</strong> proprio<br />

acume e reperire strategie adeguate alle problematiche da fronteggiare.<br />

Per dirla con Aldo Visalberghi, c’è infatti bisogno di “esseri umani capaci di<br />

dominare e orientare opportunamente gli sv<strong>il</strong>uppi tecnologici e di operare<br />

valutazioni complessive di estremo impegno e che richiedono, fra l’altro, una<br />

assai consistente ‘massa critica’ di conoscenze di fatto in differenti settori”. 21<br />

Quest’esigenza non può andar disgiunta dall’interrogazione circa gli strumenti<br />

e le strategie da adottare al fine di formare le intelligenze e di come farle<br />

interagire a livello pubblico e istituzionale.<br />

Ancora una volta, ribadirei come la pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare possa<br />

rivestire a tal proposito un ruolo interessante. Data la co-originarietà del rapporto<br />

che lega esercizio riflessivo <strong>della</strong> libertà umana ed esplicazione di un<br />

potere (su se stessi, sul prossimo, sul mondo), <strong>il</strong> valore aggiunto del f<strong>il</strong>osofare<br />

consiste nel fatto che, per un verso, può incentivare la qualità <strong>della</strong> riflessione<br />

su se stessi e, per altro verso, esercitare un’assunzione critica del contesto in<br />

cui si esplica la libertà stessa. 22<br />

In entrambi i casi <strong>il</strong> risultato può venire conseguito mediante la pratica<br />

comunitaria del dialogo e <strong>della</strong> ricerca f<strong>il</strong>osofica, aspetti ai quali da ultimo deve<br />

essere ricondotto l’esercizio del potere. 23 Per essere più precisi, l’attività “f<strong>il</strong>oso-<br />

20 Cfr. H. JONAS, Il principio responsab<strong>il</strong>ità. Un’etica per la civ<strong>il</strong>tà tecnologica, Einaudi, Torino,<br />

1990, 19932 . Sim<strong>il</strong>mente a Jonas si esprime Visalberghi: “La nostra epoca è connotata dal fatto<br />

che l’impiego un<strong>il</strong>aterale delle tecnologie fondate sulla conoscenza scientifica acquisita non solo<br />

risolvono con sempre meno efficacia e sicurezza i problemi reali degli uomini, ma mostrano in<br />

modo sempre più grave di creare nuovi preoccupanti problemi, capaci qualche volta di mettere<br />

in forse la stessa sopravvivenza dell’uomo e di gran parte delle altre forme di vita sulla superficie<br />

terrestre”. A. VISALBERGHI, Insegnare ed apprendere. Un approccio evolutivo, La Nuova Italia, Firenze<br />

1988, p. 151.<br />

21 Ivi, p. 149.<br />

22 Cfr. N. POLLASTRI, Prospettive politiche <strong>della</strong> pratica f<strong>il</strong>osofica, in «Humana.mente», 7, 2008,<br />

pp. 19-33.<br />

23 “Dove <strong>il</strong> potere non è attualizzato, si dissolve, e la storia insegna fin troppo bene che le più<br />

grandi ricchezze materiali non possono compensare questa perdita. Il potere è realizzato solo dove<br />

parole e azioni si sostengono a vicenda, dove le parole non sono vuote e i gesti non sono brutali,<br />

dove le parole non sono usate per nascondere le intenzioni ma per rivelare realtà, e i gesti non<br />

sono usati per violare e distruggere, ma per stab<strong>il</strong>ire relazioni e creare nuove realtà” [H. ARENDT,<br />

Vita activa. La condizione umana (1958), Bompiani, M<strong>il</strong>ano, 20008 , p. 146]. Cfr. anche A. BEBBER,<br />

Ripensare <strong>il</strong> politico: H. Arendt e la “Ph<strong>il</strong>osophy for Ch<strong>il</strong>dren”. Aspetti politici <strong>della</strong> “comunità di<br />

ricerca” alla luce del pensiero arendtiano, in A. VOLPONE (a cura di), F<strong>il</strong>osofare, politica e società,<br />

cit., pp. 95-109: 104. Sul rapporto tra società-pubblico e potere politico, cfr. J. DEWEY, Comunità e<br />

potere (1927), La Nuova Italia, Firenze 1971.


146<br />

Roberto Franzini Tibaldeo<br />

fica può essere connotata come movimento di problem setting, di problematizzazione<br />

incessante, di de-banalizzazione dell’ordinario e di ricerca/costruzione<br />

di sempre nuove cornici, o di irriverente violazione di ogni cornice”. 24<br />

La pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare mostra con ciò <strong>il</strong> proprio potenziale critico<br />

e “sovversivo”. Chiaramente, questi aggettivi non sono da declinarsi in senso<br />

genericamente massimalista o rivoluzionario. Al contrario, essi si riferiscono<br />

all’esercizio attento, rigoroso e non ideologico del pensiero riflessivo in quanto<br />

esperienza di trascendib<strong>il</strong>ità e relatività di ogni specifica datità. Sovvertire<br />

l’esistente significa assumere consapevolezza critica delle ragioni di un certo<br />

sapere (che è anche un potere) circa la realtà. Scardinare l’esistente significa<br />

pertanto mettere in dubbio certe prassi consolidate o abitudini di pensiero e<br />

saper immaginare soluzioni e scenari alternativi. 25 Significa abbandonare determinate<br />

certezze irriflesse e vincere l’<strong>il</strong>lusione di essere un soggetto intatto,<br />

indifferente e disincarnato rispetto al proprio contesto di vita. Come ha efficacemente<br />

scritto Carlo Sini, “Fare f<strong>il</strong>osofia è anzitutto porre questa semplice<br />

questione: la questione <strong>della</strong> pratica f<strong>il</strong>osofica. In essa e per essa <strong>il</strong> soggetto<br />

umano si interroga come ‘soggetto alle pratiche’ che di fatto esercita”. 26<br />

I.3 – La responsab<strong>il</strong>ità “<strong>riflessiva</strong>”<br />

In questa prospettiva, la “sovversione” dell’esistente non intende dunque essere<br />

una pratica fine a se stessa o volta all’instaurazione di un ideale “massimo” in<br />

quanto ciò senza cui non possono darsi felicità o pace. Si tratta invece di una<br />

sovversione <strong>riflessiva</strong> e auto<strong>riflessiva</strong>, vale a dire conscia del fatto che nell’esercizio<br />

<strong>della</strong> propria libertà <strong>il</strong> soggetto (sia esso un individuo o una collettività)<br />

esercita – e non può fare a meno di esercitare – un potere e, al tempo stesso,<br />

è “‘soggetto alle pratiche’ che di fatto esercita”.<br />

Parimenti può dirsi <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità, che assume un analogo carattere<br />

riflessivo: la pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare ha come obiettivo non solo di acuire<br />

la capacità dei singoli e <strong>della</strong> CdR di percepire gli effetti del proprio esercizio di<br />

potere, ma anche di incrementare la loro consapevolezza del fatto di essere al<br />

tempo stesso anche costitutivamente e inevitab<strong>il</strong>mente “soggetti” – in quanto<br />

individui e in quanto collettività – a un certo potere. Il carattere riflessivo <strong>della</strong><br />

responsab<strong>il</strong>ità consiste pertanto nel riconoscere <strong>il</strong> carattere contestualizzato,<br />

relazionale e “appellato” <strong>della</strong> libertà umana. La responsab<strong>il</strong>ità <strong>riflessiva</strong> sancisce<br />

pertanto una volta per tutte l’uscita del soggetto e <strong>della</strong> volontà individuale<br />

dal paradigma moderno dell’autoreferenzialità e dell’autoevidenza. 27<br />

24 A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come pratica sociale, cit., p. 17.<br />

25 Per lo sv<strong>il</strong>uppo dell’idea di educazione libertaria come liberazione delle proprie potenzialità<br />

e come percorso di autonomia e fiducia di sé, cfr. P. CASARIN, Prospettive libertarie nel movimento<br />

educativo <strong>della</strong> “Ph<strong>il</strong>osophy for Ch<strong>il</strong>dren”, in A. VOLPONE (a cura di), F<strong>il</strong>osofare, politica e società,<br />

cit., pp. 117-125: 123.<br />

26 C. SINI, F<strong>il</strong>osofia e scrittura, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 86-87.<br />

27 Cfr. ad esempio J. DEWEY, Democrazia ed educazione (1916), La Nuova Italia, Firenze 1992,<br />

p. 171 e pp. 181 e sgg.; H. JONAS, Agostino e <strong>il</strong> problema paolino <strong>della</strong> verità. Studio f<strong>il</strong>osofico


<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità 147<br />

Le ricadute di queste riflessioni per la pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare possono<br />

chiarirsi allorché si consideri quest’ultima come una “pratica contestualizzata,<br />

dove i valori, prima di diventare inerti materiali da pensare, sono scelte, emozioni<br />

e passioni, norme di condotta e attribuzione di senso. Cosicché la pratica<br />

f<strong>il</strong>osofica in una ‘comunità di ricerca’, in quanto promuove l’esercizio del pensiero<br />

complesso, include necessariamente la valorizzazione dei suoi oggetti e<br />

dello stesso contesto in cui prende corpo”. 28 In questo senso, la “responsab<strong>il</strong>ità<br />

<strong>riflessiva</strong>” e <strong>il</strong> pensiero caring di Lipman sembrano davvero evidenziare istanze<br />

f<strong>il</strong>osofiche comuni.<br />

II – Ricerca f<strong>il</strong>osofica e democrazia: la riflessione di Dewey<br />

Il transito dai concetti di libertà e responsab<strong>il</strong>ità riflessive a quello di partecipazione,<br />

la cui trattazione è l’obiettivo di questo articolo, deve probab<strong>il</strong>mente<br />

prevedere una tappa r<strong>il</strong>evante in corrispondenza di alcune questioni cui per<br />

ora si è fatto cenno solo di sfuggita. Si tratta dei concetti di “democrazia” e<br />

di “educazione”.<br />

Vorrei preliminarmente esplicitare le coordinate di fondo delle argomentazioni<br />

che seguiranno. Con <strong>il</strong> termine “democrazia” non mi riferisco in primis<br />

al sistema politico-deliberativo democratico, ma al “contesto democratico” in<br />

quanto questione etico-culturale e alla “democraticità” in quanto st<strong>il</strong>e politico<br />

che assegna centralità al cittadino. 29 Questo spostamento semantico si giustifica<br />

con <strong>il</strong> fatto che vorrei concentrarmi non tanto su questioni di f<strong>il</strong>osofia<br />

politica, quanto piuttosto su interrogativi in senso lato culturali e di pertinenza<br />

<strong>della</strong> pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare. Tra le tante questioni, una mi sembra<br />

di particolare attualità: poiché la “buona salute” e l’efficacia di un sistema<br />

democratico non si esauriscono nel buon funzionamento dei suoi organismi<br />

rappresentativi, burocratici e politici, ma richiedono – forse addirittura come<br />

condizione preliminare – di avere “individui democratici”, è indispensab<strong>il</strong>e<br />

interrogarsi circa la centralità e i caratteri <strong>della</strong> formazione del cittadino.<br />

Nella prospettiva “<strong>riflessiva</strong>” adottata, l’educazione alla cittadinanza tenderà<br />

a configurarsi non tanto come conseguimento di uno specifico risultato o di<br />

una specifica conoscenza (ahimè, solamente teorica), ma come educazione<br />

reciproca e come tendenza. 30<br />

sulla disputa pelagiana (1930), Morcelliana, Brescia 2007, pp. 129-144; H. ARENDT, Vita activa. La<br />

condizione umana, cit.; H.-G. GADAMER, Verità e metodo (1960), Bompiani, M<strong>il</strong>ano 1983; P. RICOEUR,<br />

Dell’interpretazione. Saggio su Freud (1965), Saggiatore, M<strong>il</strong>ano 1967.<br />

28 A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come pratica sociale, cit., p. 112.<br />

29 Cfr. A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia e democrazia, in A. VOLPONE (a cura di), F<strong>il</strong>osofare, politica e società,<br />

cit., pp. 69-76: 71-72. Cfr. anche D. CIAFFI e A. MELA, La partecipazione. Dimensioni, spazi,<br />

strumenti, cit.<br />

30 Cfr. P. CASARIN, Prospettive libertarie nel movimento educativo <strong>della</strong> “Ph<strong>il</strong>osophy for Ch<strong>il</strong>dren”,<br />

cit., p. 122. A questo proposito, si veda anche <strong>il</strong> progetto psicologico-pedagogico – in corso di<br />

svolgimento presso l’Università di Konstanz (Germania) – che si concentra sull’apprendimento<br />

delle competenze morali e democratiche e ha elaborato la metodologia denominata Die Kon-


148<br />

Roberto Franzini Tibaldeo<br />

In questa direzione si muove John Dewey che in apertura al celebre Democrazia<br />

e educazione (1916) si esprime come segue:<br />

La continuità di qualsiasi esperienza attraverso <strong>il</strong> rinnovamento del gruppo sociale<br />

è un fatto da prendersi letteralmente. L’educazione, nel suo senso più vasto, è<br />

<strong>il</strong> mezzo di questa continuità sociale <strong>della</strong> vita [...]. Gli esseri che nascono, non<br />

solo ignari, ma completamente indifferenti agli scopi e costumi del gruppo sociale,<br />

devono esserne resi consci e attivamente interessati. L’educazione, e solo<br />

l’educazione, può colmare questa distanza. 31<br />

Al posto delle tradizionali idee di educazione in quanto controllo, direzione<br />

o guida, Dewey propone quella di educazione come crescita. 32 In questa<br />

prospettiva, l’educazione non viene intesa come preparazione alla vita adulta,<br />

né si riduce a mera formazione contenutistica, ma viene concepita come un<br />

processo contrassegnato dall’“ab<strong>il</strong>ità a sv<strong>il</strong>upparsi”, dal “potere di crescere” o<br />

dal “potere di sv<strong>il</strong>uppare le disposizioni”. 33 Per Dewey l’educazione, anziché<br />

avere un fine, diventa un fine in sé. Questo si giustifica con <strong>il</strong> fatto che, ad<br />

avviso del pensatore americano, in senso stretto l’esercizio <strong>della</strong> libertà non<br />

può andar separato dall’educazione, che si configura appunto come “la continua<br />

riorganizzazione o ricostruzione dell’esperienza [...], tale da accrescere <strong>il</strong><br />

significato dell’esperienza stessa e da aumentare la capacità a dirigere <strong>il</strong> corso<br />

dell’esperienza seguente”. 34<br />

Relativamente all’idea di educazione, <strong>il</strong> contesto democratico presenta poi<br />

la seguente specificità: “una società, che non solo cambia, ma che ha come<br />

ideale un cambiamento che la migliori, avrà norme e metodi di educazione<br />

diversi da quella che mira solamente alla perpetuazione dei suoi costumi”. 35<br />

Per Dewey, l’ideale democratico consiste nella fiducia con cui viene liberamente<br />

scambiata e riconosciuta una varietà di interessi comuni e condivisi. 36 La democrazia<br />

richiede pertanto “una più libera interazione fra i gruppi sociali”, nonché<br />

“un cambiamento nelle abitudini sociali, o <strong>il</strong> loro riadattarsi continuo”. 37 Lo<br />

st<strong>il</strong>e democratico è dunque intrinsecamente riflessivo e autoriflessivo:<br />

Una democrazia è qualcosa di più di una forma di governo. È prima di tutto<br />

un tipo di vita associata, di esperienza continuamente comunicata. L’estensione<br />

nello spazio del numero di individui che partecipano a un interesse in tal guisa<br />

stanzer Methode der D<strong>il</strong>emma-Diskussion (KMDD). Informazioni all’indirizzo Internet: http://www.<br />

uni-konstanz.de/ag-moral.<br />

31 J. DEWEY, Democrazia ed educazione, cit., pp. 3-4.<br />

32 Cfr. ivi, pp. 53 e sgg.<br />

33 Ivi, p. 54 e p. 57.<br />

34 Ivi, pp. 97-98.<br />

35 Ivi, p. 103.<br />

36 Circa la nozione di “interesse” Dewey osserva innanzitutto che esso etimologicamente significa<br />

ciò che “‘è tra’, [...] ciò che collega due cose altrimenti distanti” (ivi, p. 163). L’interesse rappresenta<br />

dunque “la proprietà stimolante degli oggetti, siano essi percepiti o immaginati, in qualsiasi<br />

esperienza che abbia uno scopo” (ivi, p. 167). L’interesse svolge pertanto un ruolo fondamentale<br />

nell’educazione, perché motiva al raggiungimento di scopi.<br />

37<br />

Ivi, p. 110. L’intero paragrafo è dedicato all’“ideale democratico” (cfr. ivi, pp. 110-112).


<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità 149<br />

che ognuno deve riferire la sua azione a quella degli altri e considerare l’azione<br />

degli altri per dare un motivo e una direzione alla sua equivale all’abbattimento<br />

di quelle barriere di classe, di razza e di territorio nazionale che impedivano agli<br />

uomini di cogliere <strong>il</strong> pieno significato <strong>della</strong> loro attività”. 38<br />

Chiaramente, la realizzazione dell’ideale democratico richiede che ciascuno<br />

sia <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e consapevole delle proprie azioni: “Essere coscienti vuol<br />

dire accorgerci di quel che facciamo, definisce l’aspetto deliberante, osservante,<br />

calcolante dell’attività”. 39<br />

Che, ad avviso di Dewey, <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofare possa e debba rivestire un ruolo<br />

formativo di primaria importanza lo dimostrano le seguenti fondamentali considerazioni:<br />

Il sapere, in quanto sapere fondato, è scienza; denota oggetti che sono stati<br />

stab<strong>il</strong>iti, ordinati, disposti razionalmente. Il pensare, d’altra parte, è prospettico,<br />

rispetto al sapere. È provocato da una non sistemazione e mira a eliminarla. F<strong>il</strong>osofare<br />

è riflettere sulle esigenze postulate da ciò che è noto, sull’atteggiamento<br />

responsivo che esso richiede da noi. È idea di ciò che è possib<strong>il</strong>e, non registrazione<br />

di un fatto compiuto. Perciò è ipotetico, come tutto <strong>il</strong> pensiero. Assegna qualcosa<br />

da fare, qualcosa da provare. Il suo valore non risiede nel fornire soluzioni<br />

(<strong>il</strong> che può avvenire solo nell’azione), ma nel definire difficoltà e nel suggerire<br />

metodi per affrontarle. Si potrebbe quasi affermare che la f<strong>il</strong>osofia è <strong>il</strong> pensiero<br />

divenuto consapevole di se stesso, <strong>il</strong> pensiero che ha generalizzato <strong>il</strong> suo posto,<br />

la sua funzione e <strong>il</strong> suo valore nell’esperienza. 40<br />

Ai fini del presente discorso, sottolineerei con particolare enfasi la r<strong>il</strong>evanza<br />

etica del f<strong>il</strong>osofare, coincidente con <strong>il</strong> fatto di misurarsi praticamente con<br />

la realtà e con l’impegno a conseguire per via di discussione comunitaria – per<br />

citare Lipman – un “pensiero di livello superiore”. 41 Contestualmente, sottolineerei<br />

<strong>il</strong> richiamo di Dewey alla responsab<strong>il</strong>ità del pensare in quanto pratica<br />

sociale, anche se – come anticipato – in definitiva la sua idea di responsab<strong>il</strong>ità<br />

rimane vincolata a un’interpretazione restrittiva: “Essere intellettualmente responsab<strong>il</strong>i<br />

significa considerare le conseguenze di un passo progettato; significa<br />

essere disposti ad accettare quelle conseguenze che seguono ragionevolmente<br />

da una posizione già presa. La responsab<strong>il</strong>ità intellettuale assicura l’integrità,<br />

vale a dire la coerenza e l’armonia nella credenza”. 42<br />

Un’ultima battuta circa la r<strong>il</strong>evanza pubblica del f<strong>il</strong>osofare, che, ad avviso<br />

di Dewey, non si configura mai come un’attività privata. La mente umana<br />

pensante non è infatti un’entità autosufficiente, ma un comportamento pub-<br />

38 Ivi, pp. 110-111.<br />

39 Ivi, p. 132. Chiaramente, la nozione deweyana di responsab<strong>il</strong>ità, così come di quella di riflessione,<br />

rimane ancora inevitab<strong>il</strong>mente relegata entro i confini del calcolo delle conseguenze dell’agire<br />

umano. A suo avviso, infatti, la riflessione consiste nella “scoperta delle connessioni dettagliate<br />

delle nostre attività e di ciò che avviene in conseguenza” (ivi, p. 187).<br />

40 Ivi, p. 418.<br />

41 M. LIPMAN, Orientamento al valore (caring) come pensiero, «Inquiry», 15, 1995; poi in: «Comunicazione<br />

f<strong>il</strong>osofica», 3; ora in: A. COSENTINO (a cura di), F<strong>il</strong>osofia e formazione. 10 anni di Ph<strong>il</strong>osophy<br />

for Ch<strong>il</strong>dren in Italia (1991-2001), cit., pp. 29-46: 29.<br />

42 J. DEWEY, Come pensiamo (1933), La Nuova Italia, Firenze 1961, p. 95.


150<br />

Roberto Franzini Tibaldeo<br />

blico. “La mente – afferma a chiare lettere A. Guccione Monroy introducendo<br />

l’edizione italiana <strong>della</strong> celebre opera di Dewey Come pensiamo – letteralmente,<br />

emerge, sorge, si fa, perché opera nella comunicazione e nella comunione.<br />

Anche nella sua condizione interiore, essa è veramente, come dice Dewey,<br />

un’assemblea in miniatura”. 43 Il f<strong>il</strong>osofare emerge come attività di riflessione<br />

e autoriflessione che si esplica entro un contesto sociale che richiama alla<br />

responsab<strong>il</strong>ità delle proprie conseguenze. 44 Il f<strong>il</strong>osofare giunge pertanto a realizzazione<br />

allorché questo richiamo alla responsab<strong>il</strong>ità spinge <strong>il</strong> singolo a interrogarsi<br />

sul significato di ciò che si impara. 45<br />

III – Comunità di ricerca e partecipazione <strong>riflessiva</strong><br />

Quanto fin qui esaminato circa la r<strong>il</strong>evanza etico-politica del f<strong>il</strong>osofare come<br />

pratica sociale può, a mio avviso, essere proficuamente interpolato con un’ulteriore<br />

riflessione sul concetto di partecipazione. Ne risulta, come spero di<br />

evidenziare, una duplice fecondità ermeneutica. Da un lato, l’interpretazione<br />

in chiave partecipativa <strong>della</strong> pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare porta in luce aspetti<br />

di quest’ultima non ancora sufficientemente tematizzati. Dall’altro lato, l’inserzione<br />

<strong>della</strong> nozione di partecipazione in un contesto f<strong>il</strong>osofico sottopone<br />

tale concetto a un possib<strong>il</strong>e ampliamento di significato. Detto altrimenti, la<br />

riflessione sul tema <strong>della</strong> CdR a partire dalla nozione di partecipazione vorrebbe<br />

contribuire a esplicitare ulteriormente in che cosa consistano lo specifico<br />

dell’esperienza del f<strong>il</strong>osofare e le sue potenzialità a livello etico-politico-democratico.<br />

Per conseguire questo risultato, però, è necessario sottoporre la<br />

stessa nozione di partecipazione a un contestuale ampliamento di significato.<br />

La questione <strong>della</strong> partecipazione non si esaurisce dunque propriamente con<br />

l’individuazione di procedure, modalità e strategie per attuarla in quanto pratica<br />

sociale condivisa, ma richiede che ci si interroghi f<strong>il</strong>osoficamente intorno<br />

al senso del partecipare e del costruire socialmente <strong>il</strong> proprio conoscere e <strong>il</strong><br />

proprio contesto di vita, vale a dire <strong>il</strong> proprio abitare. Chiaramente, tale costruzione<br />

sociale di senso richiede <strong>il</strong> concorso dell’agire pubblico e di quello<br />

43 A. GUCCIONE MONROY, Introduzione, in ivi, pp. 1-53: 46.<br />

44 Così scrive infatti Guccione Monroy a commento <strong>della</strong> riflessione di Dewey: “La storia <strong>della</strong><br />

mente è la storia dell’educazione a questa responsab<strong>il</strong>ità dei propri risultati. Nel contrasto e nella<br />

cooperazione, nella comunione e nella competizione, sono questi ultimi a stab<strong>il</strong>ire, dice Dewey,<br />

l’importanza dell’atto di deliberare le proprie credenze, le suggestioni, quegli eventi mentali ancora<br />

naturali in cui originariamente si manifestano le idee. Senza questa assunzione di impegni questi<br />

eventi operano impersonalmente in noi, appunto come eventi, non personali deliberazioni” (ivi,<br />

pp. 47-48).<br />

45 Cfr. J. DEWEY, Come pensiamo, cit., p. 96. Lungi dal ridurre <strong>il</strong> pensiero effettivo alla mera logica<br />

formale (le cui rispettive differenze riguardano la materia, <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> pensiero reale è un processo<br />

in evoluzione e <strong>il</strong> fatto che esso “ha sempre riferimento a qualche contesto” (ivi, p. 141), Dewey<br />

sottolinea al contrario che “Le forme logiche non sono usate nel corso del pensiero effettivo, ma<br />

per esporre i risultati del pensiero” (ivi, p. 142). La logica formale non esaurisce dunque <strong>il</strong> campo<br />

<strong>della</strong> razionalità, che ricomprende in sé anche <strong>il</strong> pensiero effettivo, che si caratterizza per essere<br />

“ordinato, razionale, riflessivo” (ivi, p. 144).


<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità 151<br />

individuale, così come la mob<strong>il</strong>itazione di ogni dimensione del pensiero (critica,<br />

creativa, affettivo-valoriale, simbolica, ecc.).<br />

In quest’indagine partirei dalla proposta f<strong>il</strong>osofica <strong>della</strong> “Ph<strong>il</strong>osophy for<br />

Community” di Matthew Lipman 46 e dalla sua potenziale applicazione anche<br />

in contesti extrascolastici. Questa pratica libertaria, “circolare” 47 e sociale del<br />

f<strong>il</strong>osofare si regge su alcune linee guida che mirano a promuovere “la libertà di<br />

manifestare ed esprimere <strong>il</strong> proprio punto di vista, la opportunità di generare<br />

più prospettive su un problema, la necessità di deliberare tenendo conto delle<br />

alternative, <strong>il</strong> valore delle idee e <strong>il</strong> rispetto delle persone”. 48<br />

La CdR lipmaniana si costituisce nella misura in cui ciascun suo componente<br />

vi partecipa attivamente, mettendosi in gioco. La partecipazione costituisce<br />

pertanto la conditio sine qua non <strong>della</strong> CdR. Poiché però non ogni comunità<br />

di partecipanti che comunicano o riflettono può definirsi una “comunità di<br />

ricerca f<strong>il</strong>osofica”, 49 nel caso <strong>della</strong> CdR la partecipazione dovrà connotarsi<br />

come “<strong>riflessiva</strong>”.<br />

Cercherò ora di mostrare in che senso <strong>il</strong> concetto di “partecipazione <strong>riflessiva</strong>”<br />

derivi la propria legittimità da un’istanza costruttivista. Mi confronto<br />

ancora una volta con Antonio Cosentino, che interrogandosi sulla validità <strong>della</strong><br />

pratica f<strong>il</strong>osofica lipmaniana in contesto scolastico ne evidenzia la compatib<strong>il</strong>ità<br />

con l’epistemologia <strong>della</strong> complessità e con <strong>il</strong> costruttivismo pedagogico<br />

e psicologico (ma, come vedremo, si può notare un vicinanza anche rispetto<br />

all’ermeneutica f<strong>il</strong>osofica contemporanea). Perché sia efficace e consenta a<br />

ciascuno di realizzarsi al meglio, <strong>il</strong> processo educativo deve abbandonare ogni<br />

ideologica pretesa di piegare la realtà a una qualche astratta teoria e deve<br />

preliminarmente assumere <strong>il</strong> dato di fatto che i soggetti non sono entità teoriche<br />

vuote, astratte e autoreferenziali, ma realtà in carne e ossa, dotate di<br />

esperienze biografiche specifiche e irriducib<strong>il</strong>i collocate entro differenti culture<br />

e storie collettive:<br />

Se, infatti, <strong>il</strong> nostro insegnamento vuole prendere le mosse dal punto in cui<br />

ogni studente si trova all’inizio del percorso formativo, sarà opportuno accettare<br />

preliminarmente anche la soggettività più arbitraria nella lettura di un testo e<br />

non porre alcun limite alla gamma di interpretazioni. Questa fase del lavoro sarà<br />

particolarmente ut<strong>il</strong>e. Infatti, consente una diagnosi sulle strutture cognitive e<br />

sulle generali ecologie mentali dello studente. Chiunque tenti di interpretare un<br />

testo non può evitare di fare appello a una pre-comprensione basata sulle sue<br />

aspettative (pre-giudizi ed esperienze precedenti). 50<br />

46 Cfr. M. LIPMAN, Educare al pensiero, cit.<br />

47 Cfr. P. CASARIN, Prospettive libertarie nel movimento educativo <strong>della</strong> “Ph<strong>il</strong>osophy for Ch<strong>il</strong>dren”,<br />

cit.,, p. 117.<br />

48 M. SANTI, “Comunità di ricerca” e democrazia del pensiero: la “Ph<strong>il</strong>osophy for Ch<strong>il</strong>dren” come<br />

opportunità di internalizzazione del discorso euristico, cit., p. 80.<br />

49 “Il pensiero riflessivo scaturisce dalla problematicità di una situazione. Ma la riflessività non<br />

è sempre e comunque f<strong>il</strong>osofia anche se la f<strong>il</strong>osofia è sempre riflessività” (A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia<br />

come pratica sociale, cit., pp. 13-14).<br />

50<br />

Ivi, pp. 78-79.


152<br />

Roberto Franzini Tibaldeo<br />

L’efficacia del processo educativo richiede dunque innanzitutto che ciascuno<br />

si metta in gioco e che metta in gioco le proprie esperienze di libertà<br />

(successi, fallimenti, gioie, dolori, ecc.). Di qui seguiranno poi aggiustamenti,<br />

accomodamenti e revisioni delle credenze iniziali attraverso esperienze di decentramento<br />

del Sé e di incontro con l’altro. Non la mera appartenenza a uno<br />

specifico retroterra biografico e culturale in quanto tale, ma, a partire da esso,<br />

<strong>il</strong> carattere partecipato, libero e aperto del confronto con l’altro costituisce<br />

<strong>il</strong> valore dell’educazione, così come – se estendiamo le considerazioni al di<br />

là del contesto pedagogico-educativo in senso stretto – di ogni incontro con<br />

<strong>il</strong> prossimo che si caratterizzi in senso “riflessivo” e “costruttivo”. Questo è<br />

proprio ciò che accade in una CdR f<strong>il</strong>osofica:<br />

La storia di ognuno, sebbene influente, non costituisce <strong>il</strong> punto di partenza dei<br />

percorsi di ricerca e non è direttamente l’oggetto delle riflessioni. Nella “comunità<br />

di ricerca” i vissuti personali rappresentano uno sfondo ineliminab<strong>il</strong>e e r<strong>il</strong>evante,<br />

ma non sono mai <strong>il</strong> materiale e <strong>il</strong> campo <strong>della</strong> ricerca. Quando elementi del<br />

vissuto personale affiorano e cercano spazio nel dialogo, essi vengono accolti<br />

ma non analizzati; vengono sfumati e dissolti in operazioni di generalizzazione<br />

e di distanziamento. Se ci sono carichi emotivi potenzialmente dirompenti, essi<br />

tendono a essere controllati a livello soggettivo e, quando vengono messi in circolo<br />

nella comunicazione di gruppo, sono già tradotti nel linguaggio condiviso,<br />

f<strong>il</strong>trati concettualmente e riformulati nella logica <strong>della</strong> classificazione e <strong>della</strong><br />

comprensione. In altri termini, possiamo dire che la sfera più propriamente psicologica<br />

non trova spazio direttamente nella pratica di ricerca comunitaria, ma,<br />

ciononostante, essa viene implicata. 51<br />

Lo specifico del partecipare a un’esperienza di ricerca f<strong>il</strong>osofica consiste<br />

nella capacità di fare un passo indietro rispetto alla propria biografia, senza<br />

però metterla tra parentesi. Consiste cioè nella capacità di assumere <strong>il</strong> dato personale<br />

proprio e altrui, così come la tradizione e <strong>il</strong> dato storico, ma sapendoli<br />

trascendere e generalizzare, con un’operazione di costruzione e ricostruzione<br />

sociale di senso che si discosta recisamente da un atto di mera astrazione. 52<br />

Come la pratica <strong>della</strong> f<strong>il</strong>osofia si leva da un problema, senza esaurirsi nel mero<br />

reperimento di una soluzione di tale problema, così vale analogamente per la<br />

partecipazione <strong>riflessiva</strong>, la quale si mob<strong>il</strong>ita a partire da una libera disponib<strong>il</strong>ità<br />

del singolo a mettersi in gioco, ma al tempo stesso si scopre intrinsecamente<br />

impegnata e interessata a tematizzare <strong>il</strong> senso complessivo di tale gioco e, con<br />

ciò, a ridisegnarlo e ristrutturarlo.<br />

III.1 – Esperienze di responsab<strong>il</strong>ità <strong>riflessiva</strong> e partecipativa<br />

Per chi ha avuto la possib<strong>il</strong>ità di parteciparvi, questo è proprio quanto è possib<strong>il</strong>e<br />

sperimentare in una comunità che si pone consapevolmente ed esplicitamente<br />

51 Ivi, pp. 119-120.<br />

52 Conclude Cosentino: “la metafora dell’agorà può aiutarci ad aprire un orizzonte di esperienza<br />

di pensiero e di comunicazione [...] fortemente localizzata e, nello stesso tempo, proiettata verso<br />

l’auto-trascendimento” (ivi, p. 121).


<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità 153<br />

un compito di ricerca f<strong>il</strong>osofica. Personalmente, ho avuto modo di partecipare<br />

a siffatte esperienze sia in contesto scolastico, sia in contesto extrascolastico. 53<br />

In entrambi i casi la metodologia ut<strong>il</strong>izzata consisteva nella “Ph<strong>il</strong>osophy for<br />

Ch<strong>il</strong>dren” (P4C) di Lipman, la quale non è certo l’unica disponib<strong>il</strong>e “sul mercato”,<br />

ma, tra le proposte metodologicamente articolate di pratica sociale del<br />

f<strong>il</strong>osofare, è tra le più interessanti e feconde per <strong>il</strong> presente discorso.<br />

Fare esperienza di ricerca f<strong>il</strong>osofica comunitaria significa prendere posizione<br />

rispetto a se stessi e al prossimo, significa accettare di orientarsi verso<br />

pratiche di inclusione, partecipazione e cognizione condivisa che creano un<br />

contesto loro proprio, la “comunità di ricerca” appunto, che si configura come<br />

“uno schema cognitivo, al pari di un libro. Gli schemi sono strutture gestaltiche<br />

di relazioni che spingono i membri <strong>della</strong> comunità a partecipare, allo stesso<br />

modo in cui un libro interessante conduce <strong>il</strong> lettore a non abbandonare la<br />

lettura”. 54 Per un verso, la CdR incentiva la partecipazione per <strong>il</strong> fatto di costituire<br />

un ambiente motivante e stimolante. Per altro verso, la partecipazione<br />

crea la CdR, la quale si fonda sull’ascolto (operazione che richiede <strong>il</strong> decentramento<br />

del Sé, la messa tra parentesi del proprio punto di vista e l’assunzione<br />

di quello altrui) e sull’attività dialogica. 55 Il f<strong>il</strong>osofare praticato da una CdR<br />

– è stato osservato – assume un andamento “orchestrale” sim<strong>il</strong>e all’improvvisazione<br />

jazzistica. 56 Il ritmo che scandisce un dialogo f<strong>il</strong>osofico può inoltre<br />

essere avvicinato alla creazione di un’opera d’arte collettiva (e, in effetti, una<br />

delle matrici <strong>della</strong> public art contemporanea è proprio la consapevole interrelazione<br />

dell’artista con <strong>il</strong> pubblico e con <strong>il</strong> contesto). 57 Come ogni esperienza<br />

e processo umano, anche <strong>il</strong> “con-f<strong>il</strong>osofare” si caratterizza per un equ<strong>il</strong>ibrio<br />

instab<strong>il</strong>e e per un incessante dinamismo, per la sensib<strong>il</strong>ità al contesto, per la<br />

consapevolezza con cui si sa implicato in una dinamica ermeneutica circolare<br />

e per l’impegno con cui – al di là di soluzioni fac<strong>il</strong>i e rassicuranti – persegue<br />

obiettivi di costruzione e ricostruzione di senso.<br />

La partecipazione <strong>riflessiva</strong> a un processo di ricerca comunitaria è tale<br />

in quanto si accompagna alla consapevolezza <strong>della</strong> libera accettazione di un<br />

impegno e di un compito: quello di contribuire al perseguimento di determinati<br />

prodotti <strong>della</strong> ricerca, essendone dunque in qualche modo responsab<strong>il</strong>i. 58<br />

53 Nello specifico, ci si riferisce a una interessante sessione di ricerca svolta in data 20 gennaio<br />

2009 presso l’Università <strong>della</strong> Terza Età di Fossano (CN), con la partecipazione di circa 45 iscritti<br />

e due formatori del CRIF.<br />

54<br />

M. LIPMAN, Educare al pensiero, cit., p. 110. Cfr. anche A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come pratica<br />

sociale, cit., p. 57.<br />

55 Cfr. ivi, p. 58 e p. 61.<br />

56<br />

Cfr. ivi, p. 59 e p. 118; cfr. anche N. POLLASTRI, Prospettive politiche <strong>della</strong> pratica f<strong>il</strong>osofica,<br />

cit., p. 59.<br />

57 Cfr. ad esempio Nuovi committenti: arte contemporanea, società e spazio pubblico, S<strong>il</strong>vana,<br />

Cinisello Balsamo 2008.<br />

58 Sono “prodotti <strong>della</strong> discussione i movimenti r<strong>il</strong>evanti del logos comune, le operazioni riflessive,<br />

inferenziali, inventive, i passi in avanti nella costruzione dell’identità personale e comunitaria,<br />

nel riconoscimento e nella valorizzazione reciproca dei partecipanti” (A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come<br />

pratica sociale, cit., p. 65) e ancora la definizione, <strong>il</strong> mettere alla prova una teoria, l’esame del<br />

valore di un valore, ecc.


154<br />

III.2 – La costruzione sociale dell’abitare<br />

Roberto Franzini Tibaldeo<br />

Vorrei riprendere la tesi di fondo di questo articolo cercando, per quanto possib<strong>il</strong>e,<br />

di esplicitarla ulteriormente. Ho insistito in particolare su due aspetti tra<br />

loro legati a doppia mandata: <strong>il</strong> valore aggiunto del f<strong>il</strong>osofare offerto da una<br />

CdR e la nozione di partecipazione <strong>riflessiva</strong>. Ebbene, ritengo che questi due<br />

concetti offrano un <strong>contributo</strong> interessante alla chiarificazione di problematiche<br />

culturali e politiche, quali l’odierna crisi dei sistemi politici democratici e<br />

l’inefficacia con cui essi sembrano affrontare le sfide <strong>della</strong> contemporaneità.<br />

Se <strong>il</strong> rischio corso in special modo dalle democrazie del cosiddetto mondo<br />

avanzato è di vedersi svuotare di significato sotto i colpi di forze e tendenze<br />

che riducono <strong>il</strong> “democratico” alla mera apparenza di una procedura svuotata<br />

di senso e inefficace, allora non si prof<strong>il</strong>a che un’alternativa: lavorare in<br />

vista <strong>della</strong> riattivazione di quel senso, e lavorarci in termini pragmatici e non<br />

ideologici.<br />

Per esigenza di sintesi, vorrei riferirmi a quest’operazione nei termini di un<br />

recupero del senso dell’abitare. Rispetto ad altre scelte lessicali possib<strong>il</strong>i (polis,<br />

agorà, ecc.), mi pare che <strong>il</strong> concetto di “abitare” presenti una maggiore fecondità<br />

e pregnanza. Esso mostra infatti l’intreccio costitutivo dell’umano nelle<br />

sue molteplici dimensioni, quali <strong>il</strong> politico, l’etico-individuale, l’etico-pubblico,<br />

<strong>il</strong> social-relazionale, <strong>il</strong> dialogico, l’affettivo, l’agire comunitario, ecc.<br />

L’approccio costruttivista alla questione significa in sintesi che, dinanzi<br />

all’apparente venir meno del senso (individuale o sociale), si reagisca proponendo<br />

nuove costruzioni di significato. Il fatto che precedenti orizzonti di senso,<br />

poi tramontati, non sembrassero frutto di “costruzione”, non vuol dire che in<br />

realtà non lo fossero. Il fatto è che, al netto delle <strong>il</strong>lusioni poi rivelatesi infondate,<br />

con l’avvento <strong>della</strong> “società trasparente” 59 alla tarda-modernità si sono<br />

presentate inedite opportunità conoscitive di cui abbiamo la possib<strong>il</strong>ità di far<br />

tesoro. Tra queste, spiccano in modo particolare la relatività delle culture e la<br />

costruzione sociale <strong>della</strong> conoscenza. 60 A ben vedere entrambe sono implicate<br />

nella questione, qui affrontata, <strong>della</strong> costruzione sociale dell’abitare.<br />

Quest’espressione implica <strong>il</strong> riferimento a due concetti: quello di comunità<br />

e quello di conoscenza. Per quanto riguarda <strong>il</strong> primo, oltre a quanto già<br />

richiamato, occorre dire che esso presenta varie declinazioni. Si parla infatti di<br />

comunità di discorso, di pratica, degli allievi o di apprendimento, di comunità<br />

socio-culturale e, infine, di comunità di ricerca (quest’ultima riassume in sé<br />

le altre). 61 Per quanto riguarda la nozione di conoscenza, occorre ricordare<br />

come solo a seguito di un sostanziale impoverimento concettuale essa si sia<br />

59 Cfr. G. VATTIMO, La società trasparente (1989), Garzanti, M<strong>il</strong>ano 2000 (edizione accresciuta).<br />

60 Per quanto riguarda la seconda questione, cfr. l’approccio socio-costruttivista [cfr. J. BRU-<br />

NER, La cultura dell’educazione: nuovi orizzonti per la scuola, cit.; A. COSENTINO, Costruttivismo e<br />

formazione, cit.; intervento di Maura Striano alla Tavola rotonda riportata in A. VOLPONE (a cura<br />

di), F<strong>il</strong>osofare, politica e società, cit., pp. 52-53; A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come pratica sociale, cit.,<br />

pp. 39 e sgg.].<br />

61 Cfr. M. SANTI, “Comunità di ricerca” e democrazia del pensiero: la “Ph<strong>il</strong>osophy for Ch<strong>il</strong>dren”<br />

come opportunità di internalizzazione del discorso euristico, cit., p. 78.


<strong>Partecipazione</strong> <strong>riflessiva</strong>: <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>contributo</strong> dell’etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità 155<br />

ridotta a mera conoscenza teoretica o teoria. Al contrario, la conoscenza è<br />

una questione assai più complessa:<br />

Quando si ha a che fare con le strutture <strong>della</strong> conoscenza, ossia con i paradigmi<br />

che sovrintendono alla gestione <strong>della</strong> conoscenza ordinaria, non sono in gioco<br />

soltanto fattori di ordine logico, trasparenti, comunicab<strong>il</strong>i, generalizzab<strong>il</strong>i; sono<br />

in gioco, in modo molto più r<strong>il</strong>evante, gli aloni emotivi, i rispecchiamenti sociali<br />

con i vincoli di status, gli interessi, i legami a specifici contesti; sono in gioco <strong>il</strong><br />

senso dell’identità personale e <strong>il</strong> senso generale <strong>della</strong> vita, <strong>il</strong> disagio e <strong>il</strong> benessere<br />

esistenziali. 62<br />

Posto che la costruzione sociale dell’abitare e i concetti di comunità e<br />

conoscenza in essa implicati si configurano sostanzialmente come processi e<br />

pratiche che hanno effettivamente luogo, ci si può a questo punto domandare<br />

quale valore aggiunto possa essere loro apportato dal f<strong>il</strong>osofare.<br />

Data la relazione di mutua implicazione tra teoria e prassi, e alla luce<br />

del fatto che la conoscenza si origina sempre in rapporto a una situazione<br />

problematica da riequ<strong>il</strong>ibrare, ecco che lo spazio e la possib<strong>il</strong>ità per la ricerca<br />

f<strong>il</strong>osofica possono individuarsi in una pratica comunitaria di riflessione e autoriflessione<br />

condotta alla luce di una concezione costruttivista e contestualista,<br />

“secondo la quale la verità di un concetto o di un enunciato non si misura<br />

sulla sua efficacia a rappresentare una presunta dimensione ontologica, bensì<br />

sulla sua condivisib<strong>il</strong>ità e <strong>il</strong> suo ‘uso’ all’interno di un contesto discorsivo e<br />

nell’orizzonte di praticab<strong>il</strong>ità relativo alle forme di vita in cui gli interlocutori<br />

sono collocati”. 63 Non posso qui articolare alcune riserve rispetto a una siffatta<br />

concezione, che a mio avviso insiste troppo un<strong>il</strong>ateralmente sull’istanza<br />

costruttivista del conoscere a scapito di quella – del pari fondamentale – ontologica.<br />

64 Una tale deviazione ci porterebbe fuori tema.<br />

Le righe appena citate insistono però su un punto importante: suscitata<br />

dalla prassi, la conoscenza è impegnata a reperire soluzioni praticab<strong>il</strong>i per<br />

l’esistenza individuale e comunitaria. R<strong>il</strong>evo, en passant, una certa vicinanza<br />

di intenti con alcuni pensatori che, qualche decennio fa, ambivano a riab<strong>il</strong>itare<br />

la f<strong>il</strong>osofia pratica, in quanto dotata di una forma specifica di razionalità. Com’è<br />

noto, queste riflessioni si radicavano a loro volta in istanze squisitamente<br />

ermeneutiche, quali la critica del paradigma oggettivante <strong>della</strong> verità come<br />

adaequatio, la figura originariamente circolare del comprendere e l’impossib<strong>il</strong>ità<br />

del soggetto di giungere a una completa autochiarificazione. Per non<br />

dire dei risultati che ne sarebbero derivati, ad esempio, per <strong>il</strong> recupero del<br />

valore <strong>della</strong> tradizione, <strong>della</strong> storicità del comprendere e <strong>della</strong> r<strong>il</strong>evanza etica<br />

del f<strong>il</strong>osofare.<br />

Relativamente alla costruzione sociale dell’abitare, la pratica <strong>della</strong> f<strong>il</strong>osofia<br />

può dunque richiamare l’attenzione all’impegno di ricerca dinanzi ai problemi<br />

62 A. COSENTINO, F<strong>il</strong>osofia come pratica sociale, cit., p. 47.<br />

63 Ivi, pp. 61-62.<br />

64<br />

In altri autori, tra cui lo stesso G. Bateson, l’impostazione sembra essere più equ<strong>il</strong>ibrata (cfr.<br />

G. BATESON, Verso un’ecologia <strong>della</strong> mente, cit.).


156<br />

Roberto Franzini Tibaldeo<br />

dell’esistere individuale e collettivo. Tale compito non si esaurisce in mere<br />

discussioni fini a se stesse, ma in dialoghi in cui ciascuno apporta <strong>il</strong> proprio<br />

<strong>contributo</strong> in termini di riflessione, dialoghi che inaugurano forme e st<strong>il</strong>i di<br />

vita riflessivi e innovativi, confronti che hanno la forza di incidere sulla prassi<br />

e di procedere a una “ristrutturazione” del senso individuale e sociale dello<br />

stare al mondo. 65 La pratica sociale del f<strong>il</strong>osofare richiede la partecipazione<br />

responsab<strong>il</strong>e e <strong>riflessiva</strong> dei membri di una comunità. Questo però non può<br />

limitarsi al partecipare per <strong>il</strong> mero gusto di partecipare (o al presenzialistico<br />

“esserci per l’esserci”), deriva che l’attuale società dell’immagine sembra aver<br />

imboccato con particolare convinzione.<br />

Il valore aggiunto del f<strong>il</strong>osofico può portare un <strong>contributo</strong> eversivo proprio<br />

a questo livello: può incoraggiare forme di partecipazione alternative, più costruttive<br />

e responsab<strong>il</strong>i, vale a dire forme di partecipazione contrassegnate da<br />

un più rigoroso impegno di riflessione e soggette in misura minore alle mode<br />

culturali e politiche del momento.<br />

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