14.06.2013 Views

«PAESAGGIO E PERSONAGGIO / NON SEMPRE VANNO INSIEME ...

«PAESAGGIO E PERSONAGGIO / NON SEMPRE VANNO INSIEME ...

«PAESAGGIO E PERSONAGGIO / NON SEMPRE VANNO INSIEME ...

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

<strong>«PAESAGGIO</strong> E <strong>PERSONAGGIO</strong><br />

/ <strong>NON</strong> <strong>SEMPRE</strong> <strong>VANNO</strong> <strong>INSIEME</strong>».<br />

EPPUR DOVREBBERO<br />

(Roberto Franzini Tibaldeo)<br />

Paesaggio e personaggio / non sempre vanno insieme, / che l’un nell’altro<br />

affondino / è quel che più si teme. // Però se questo capita / pur<br />

sempre è gran ventura, / solo ove il cuore palpita / la sintesi è sicura. //<br />

Fusi eppure distinti: / tali li vuol natura 1 .<br />

1. IntroduzIone<br />

Due sono le tesi di fondo del presente contributo. In primo luogo,<br />

vorrei evidenziare in che senso la nozione di paesaggio sia non<br />

solo dotata di un intrinseco valore etico e politico, ma offra una<br />

chiave interpretativa per fare luce sulle dinamiche socio-economiche,<br />

politiche e culturali che investono e trasformano i luoghi in cui<br />

si giocano le nostre esistenze. In questo senso, la vocazione essenzialmente<br />

interdisciplinare del paesaggio può elevarlo a efficace<br />

strumento di sintesi e riflessione critica circa le ragioni e le modalità<br />

dell’abitare, nonché di orientamento per le azioni di pianificazione<br />

territoriale. In secondo luogo, vorrei evidenziare le ragioni per cui<br />

l’anima etico-politica del paesaggio abbia buone chance di risultare<br />

feconda per un ripensamento della prassi politica democratica.<br />

Ritengo infatti che una rimeditazione di quest’ultima alla luce del<br />

binomio di responsabilità e partecipazione offra prospettive e strategie<br />

innovative per affrontare il problema della deterritorializzazione<br />

contemporanea e per conseguire un modello di sviluppo più<br />

1 A. zAnzotto, Paesaggio e personaggio, in Luoghi del pensare. Contributi in onore<br />

di Vincenzo Vitiello, Milano, Mimesis, 2005, p. 103.<br />

223


equilibrato, sostenibile e giusto. Per quanto la crisi paesaggistica e<br />

territoriale in cui viviamo si ammanti dei tratti epocali dell’irrevocabilità<br />

e dell’ineluttabilità, credo sia invece doveroso richiamare<br />

la libertà umana (sia a livello individuale sia a livello collettivo) al<br />

proprio impegno fattivo e trasformativo nei confronti della realtà.<br />

Con ciò, non ci si deve però illudere che la crisi contemporanea dei<br />

nostri paesaggi sia di facile o immediata risoluzione. L’impegno<br />

culturale e scientifico di chi intende occuparsi di questi temi assume<br />

piuttosto le fattezze di un Giano bifronte, con lo sguardo contemporaneamente<br />

orientato al passato e al futuro: al passato, per<br />

individuare senza edulcorazioni e ideologismi le motivazioni della<br />

crisi e formulare una diagnosi il più possibile accurata dei mali<br />

presenti, e al futuro, per immaginare scenari possibili e progettare<br />

interventi efficaci, lungimiranti e rispettosi della complessità delle<br />

dinamiche in atto. Se però in futuro l’impegno per il paesaggio<br />

si limiterà a essere – come è prevalentemente stato finora – una<br />

questione specialistica che riguarda i soli addetti ai lavori, dubito<br />

che si riuscirà a ripristinare i paesaggi perduti e a rianimarli con<br />

una socialità di qualità. Se davvero – come credo – la questione<br />

paesaggistica è rilevante per la vitalità della convivenza democratica,<br />

l’impegno per il paesaggio deve diventare questione, in senso<br />

lato, culturale, civica e politica, cioè deve trovare radicamento in<br />

un processo che preveda la partecipazione di ciascuno e coinvolga<br />

la responsabilità di ciascuno 2 . Perché sia efficace, il progetto deve<br />

infatti essere condiviso e partecipato quantomeno dall’insieme dei<br />

soggetti che detengono un interesse (i cosiddetti stakeholder) 3 , per<br />

arrivare a coinvolgere a seconda dei casi la cittadinanza intera.<br />

2 Cfr. R. GAmbIno, Paesaggio e sviluppo del territorio, in mInIstero per I benI e le<br />

AttIvItà CulturAlI, Conferenza Nazionale per il Paesaggio. Lavori preparatori,<br />

Roma, Gangemi, 2000, p. 125.<br />

3 Per stakeholder si intendono i portatori di interessi, vale a dire coloro che abitano<br />

e plasmano un determinato territorio e il relativo paesaggio, che si tratti di<br />

individui, enti pubblici o privati, imprese, associazioni, istituzioni, e così via.<br />

Cfr. E. turrI, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato,<br />

Venezia, Marsilio, 1998, pp. 186-191; A. de rossI, G. durbIAno,<br />

F. GovernA, L. reInero, M. robIGlIo, Linee nel paesaggio. Esplorazioni nei<br />

territori della trasformazione, Torino, Utet, 1999, pp. 104-105.<br />

224


Laddove ciò non è accaduto, non accade o non accadrà, a poco è<br />

valso, vale o varrà avere una buona legislazione in materia 4 : sono<br />

infatti fin troppo evidenti l’inefficacia, le criticità e i limiti degli<br />

interventi di tutela, valorizzazione e gestione del paesaggio calati<br />

unilateralmente «dall’alto». Ciò che occorre fare per ridare vita a<br />

molti dei nostri paesaggi divenuti inospitali e procedere alla loro<br />

adeguata valorizzazione (anche in senso economico ed ecologico)<br />

è contribuire a una ricostruzione del tessuto sociale e pubblico, che<br />

preveda la compartecipazione di «alto» e «basso».<br />

2. l’esperIenzA Come punGolo per lA rIflessIone fIlosofICA<br />

2.1. Il paesaggio tra esperienza e trasformazioni contemporanee<br />

L’esperienza paesaggistica è intrinsecamente ambivalente, poiché<br />

la scoperta e conoscenza della ricca trama del paesaggio, delle<br />

sue stratificazioni storiche testimoniate da una moltitudine di segni<br />

(naturali, umani o frutto dell’interazione tra natura e cultura), nonché<br />

delle sue mirabili dinamiche ed equilibri costitutivi, sono in<br />

qualche modo strettamente intrecciate con un’intrinseca fragilità<br />

dell’oggetto conosciuto e percepito – il paesaggio, appunto, su cui<br />

si abbattono fenomeni di più ampia portata che sembrano compromettere<br />

quelle dinamiche e quegli equilibri, costruitisi e stratificatisi<br />

nel corso dei secoli. L’ambivalenza è poi amplificata dall’impressione<br />

che la complessità del palinsesto paesaggistico rischi di<br />

venire compromessa da un plesso di fenomeni socio-economici,<br />

politici e culturali che si intrecciano con lo sviluppo economico<br />

4 Con ciò non intendo sostenere che l’aspetto legislativo e normativo sia di secondaria<br />

importanza, come richiama opportunamente Salvatore Settis nel suo<br />

recente contributo (S. settIs, Paesaggio costituzione cemento. La battaglia per<br />

l’ambiente contro il degrado civile, Torino, Einaudi, 2010). È però altrettanto<br />

vero che le problematiche paesaggistiche e territoriali di cui si discuterà eccedono<br />

l’ambito giuridico e interessano un più ampio spettro di discipline scientifiche. A<br />

ciò si aggiunga che molte di tali questioni non sarebbero peraltro da ricondursi in<br />

senso stretto a carenza o vuoto normativi (cfr. mInIstero per I benI e le AttIvItà<br />

CulturAlI, Conferenza Nazionale per il Paesaggio, cit., p. 148, p. 269).<br />

225


degli ultimi decenni e con il più recente fenomeno della globalizzazione.<br />

Limitandoci al caso italiano, tra le criticità paesaggistiche<br />

rilevate, si può citare per esempio l’ondata di trasformazione<br />

e omologazione che investe in modo particolare le zone di confine<br />

tra città e campagna, ma che ormai riguarda l’intero territorio<br />

accompagnandosi a fenomeni concomitanti di varia natura (deterioramento<br />

della manutenzione paesaggistica, aumento del rischio<br />

di dissesto idro-geologico, inefficienza nell’utilizzo delle risorse<br />

naturali, ecc.) 5 . La ricaduta, anche in termini emotivi, di questi fenomeni<br />

su chi fa esperienza di paesaggio produce spesso una sensazione<br />

di disorientamento, disagio, quando non di vero e proprio<br />

turbamento, per il fatto che sembra tra l’altro scomparso un modo<br />

condivisibile e condiviso di guardare le cose 6 .<br />

226<br />

2.2. Percezione e libertà<br />

Ritenere che il paesaggio sia frutto dell’interazione dell’essere<br />

umano con la natura (vale a dire dell’incontro di natura e cultura)<br />

e ribadire che la forma impressa al paesaggio dipende dalla libertà<br />

umana (nella misura in cui quest’ultima si misura con le cose del<br />

mondo, le utilizza e interagisce con la natura per assicurarsi una<br />

dimora e un proprio posto nel mondo) presenta infatti un duplice<br />

vantaggio: in primo luogo, argina la tentazione dell’agire umano<br />

(individuale e collettivo) di deresponsabilizzarsi, benché ci si trovi<br />

dinanzi a macrofenomeni e dinamiche di portata globale e di carattere<br />

inedito; in secondo luogo, è una premessa indispensabile per<br />

un’interrogazione circa il senso, i limiti e le peculiarità dell’agire<br />

umano nel mondo. Peraltro, solo in virtù della preliminare ammissione<br />

dell’effettività della libertà umana si può dare credito al potenziale<br />

critico-riflessivo che si manifesta nell’inquietudine provata<br />

al cospetto dei «brutti» paesaggi poc’anzi descritti. Il giudizio<br />

di «bruttezza» attribuito a un determinato paesaggio, così come<br />

5 A questo riguardo, cfr. tra gli altri A. de rossI et al., Linee nel paesaggio, cit.<br />

6 Cfr. S. GIrIodI, Immagini dai paesaggi della dispersione, in A. de rossI et al., Linee<br />

nel paesaggio, cit., p. 171.


il relativo turbamento emotivo, sembrano infatti non solo ammettere<br />

che la porzione di territorio percepita avrebbe potuto essere<br />

diversa da com’è (avrebbe infatti potuto essere progettata, abitata<br />

o costruita diversamente), ma per certi versi anche esigere che su<br />

di essa si intervenisse in maniera diversa da come si è fatto. Con<br />

ciò – lo si vedrà a breve – non intendo certo sostenere che il dover<br />

essere sia deducibile dall’essere percepito, quasi che esso fosse già<br />

naturalmente contenuto o dato in quest’ultimo. Vorrei però evitare<br />

di interpretare la percezione – che nel caso dell’essere umano si<br />

configura come un rapporto pratico e simbolico con la realtà, rapporto<br />

che si gioca entro uno spazio di libertà 7 – nei termini di una<br />

dinamica di per sé valorialmente neutra, cieca o muta: al contrario,<br />

il suo carattere situato, contestualizzato, temporale e orientato fa<br />

del rapporto percettivo un’esperienza complessa, al tempo stesso<br />

teoretica e pratica, che – come si vedrà – si muove tra i poli dell’essere<br />

e del divenire, della conservazione e dell’innovazione, dell’identità<br />

e dell’alterità, della libertà e della responsabilità. Il carattere<br />

dinamicamente relazionale (e intersoggettivo) di tale esperienza<br />

si accompagna al fatto che il contesto in cui si esplica la libertà non<br />

è uno spazio neutro e uniforme, ma si configura piuttosto come<br />

un campo di forze o un mondo-ambiente permeato di biografie<br />

individuali e collettive, significati e valori simbolici, differenze e<br />

propensioni. In certo modo, ogni atto individuale di libertà si può<br />

dunque dialogicamente interpretare come la risposta a un appello<br />

proveniente dal contesto di senso. Come si vedrà, questa dinamica<br />

ha strettamente a che fare con la questione dei cosiddetti valori<br />

paesaggistici.<br />

7 Mi riferisco in particolare alle riflessioni di Hans Jonas sull’homo pictor, che testimoniano<br />

l’incontro di istanze della fenomenologia della percezione con altre provenienti<br />

dall’antropologia filosofica novecentesca (cfr. H. JonAs, Organismo e libertà. Verso<br />

una biologia filosofica, Torino, Einaudi, 1999, pp. 204-232). Sulla mediazione percettiva<br />

dell’azione umana, cfr. anche E. turrI, Il paesaggio come teatro, cit., p. 16, p. 35,<br />

p. 42; C. rAffestIn, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi<br />

per una teoria del paesaggio, Firenze, Alinea, 2005.<br />

227


228<br />

2.3. Paesaggio e costituzione antropologica<br />

Tornando alla questione circa il futuro del paesaggio locale in<br />

rapporto ai suoi elementi di criticità, mi sembra che tale interrogativo<br />

sottenda un auspicio o un desiderio orientati in senso essenzialmente<br />

etico: l’auspicio e il desiderio di poter progettare e realizzare<br />

azioni che consentano di invertire la tendenza all’impoverimento<br />

paesaggistico poc’anzi evidenziato. Si può certamente dibattere<br />

se a tale riguardo abbia ragione il filosofo Rosario Assunto, che<br />

colloca all’origine di tale perdita di valore paesaggistico la svolta<br />

inaugurata dalla modernità, un’età a suo avviso «renitente alla idea<br />

di infinito» 8 e promotrice di una civiltà del benessere e del comfort<br />

che ha smarrito ogni attitudine a sostare in contemplazione del paesaggio<br />

9 . Un giudizio così netto, se è certamente legittimo ai fini<br />

dell’analisi storico-critica, rischia però di incappare nella fallacia<br />

dell’uomo di paglia, interpretando la modernità alla stregua di un<br />

monolite, tralasciandone le «buone» ragioni, semplificandone indebitamente<br />

la complessità, negando il fatto che, volenti o nolenti, noi<br />

stessi siamo in qualche modo il frutto della modernità e che in essa<br />

(o nella cosiddetta tarda modernità) si giocano le nostre esistenze, e<br />

infine tralasciando di considerare che il modo migliore per arrivare<br />

a capo della questione paesaggistica non sia di procedere contro la<br />

modernità, ma piuttosto – come si vedrà – di attraversarla criticamente.<br />

Non lascerei però cadere un’utile indicazione proveniente<br />

proprio dalla lezione e dalla grande sapienza di Assunto, vale a<br />

dire l’individuazione del carattere antropologicamente fondamentale<br />

dell’esperienza estetica del paesaggio: la constatazione «della<br />

esperienza estetica del paesaggio come esperienza nel compimento<br />

della quale noi viviamo in ciò che godiamo esteticamente [...] ci<br />

autorizza inoltre a considerare il rapporto estetico che con la natura<br />

noi intratteniamo nell’esperienza del paesaggio, come la modalità<br />

fondamentale, paradigmatica, del rapporto uomo-natura in quanto<br />

è sempre un rapporto estetico, e non è mai un rapporto solamente<br />

8 R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica, Palermo, Novecento, 2005, p. 142.<br />

9 Cfr. ivi, pp. 238-239, pp. 360-361. Cfr. anche R. bodeI, Paesaggi sublimi. Gli<br />

uomini davanti alla natura selvaggia, Milano, Bompiani, 2008.


estetico» 10 . Poco dopo ribadisce che «ogni nostra relazione estetica<br />

con la natura non è mai soltanto estetica, ma è l’aspetto estetico di<br />

una relazione più complessa, totale, se vogliamo» 11 . L’esperienza<br />

del paesaggio consente così di illuminare la dinamica unitaria che<br />

costituisce l’essere umano come un fascio di relazioni con la natura<br />

e il mondo. Inoltre la medesima esperienza è in grado di testimoniare<br />

il fondamentale carattere critico-riflessivo e auto-riflessivo<br />

dell’uomo, che si costituisce anche sempre in rapporto a se stesso.<br />

Infine l’esperienza estetica del paesaggio manifesta «una implicazione<br />

e solidarietà di tutte le categorie del pensiero, una loro operante<br />

partecipazione al costituirsi della esperienza estetica ed al suo<br />

mediarsi in se stessa, formulandosi come giudizio vissuto e pensato<br />

ad un tempo» 12 . Pare dunque che l’esperienza del paesaggio<br />

abbia i numeri per proporsi come cifra sintetica dell’antropologico.<br />

Assunto desume inoltre alcuni corollari di particolare interesse per<br />

il presente discorso. Raccogliendo i frutti delle proprie riflessioni<br />

sulla dinamica antropologica, egli afferma che «la categoria estetica,<br />

applicata alla forma di un paesaggio, esprime, a questo punto,<br />

un giudizio morale sulla vita che in esso gli uomini conducono» 13 .<br />

In quanto unità di natura e cultura, il paesaggio presenta un’intrinseca<br />

duplicità, dovuta al fatto che «a volte viene accentuato il carattere<br />

di produzione umana, mentre certe altre volte vi acquista rilievo<br />

il compenetrarsi dell’uomo e del suo mondo con la natura» 14 .<br />

In entrambi i casi si tratta pur sempre di un esplicarsi della libertà<br />

umana nella natura, come aveva già teorizzato Joachim Ritter 15 . Il<br />

paesaggio diventa così «una forma nella quale viviamo», una forma<br />

che però eccede i limiti della mera individualità per incarnarsi<br />

nella natura in forme istituzionalizzate (o collettive) e diventando<br />

in tal modo un «programma morale» 16 . L’esperienza paesaggistica<br />

10 R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica, cit., p. 165.<br />

11 Ivi, p. 169.<br />

12 Ivi, p. 320.<br />

13 Ivi, p. 311.<br />

14 Ivi, p. 259.<br />

15 Cfr. ivi, pp. 206-266; J. rItter, Paesaggio. Uomo e natura nell’età moderna,<br />

Milano, Guerini e Associati, 2001.<br />

16 Ivi, p. 251.<br />

229


eccede dunque i rigidi confini della sola teoria per farsi prassi, della<br />

mera individualità per farsi impresa collettiva o comunitaria, della<br />

semplice dimensione estetica per farsi questione etica e politica.<br />

Benché permeate di una predilezione – tipica d’altri tempi – per<br />

la primazia dell’estetica, le seguenti righe in cui Assunto propone<br />

una definizione di che cosa significhi contemplare attivamente il<br />

paesaggio forniscono così molti spunti di riflessione:<br />

230<br />

la particolare contemplazione del paesaggio [...] si differenzia dalla<br />

contemplazione delle opere d’arte, costituendosi come attività<br />

che interviene nella vita stessa dell’oggetto: attività produttiva, in<br />

qualche modo, dell’oggetto in quanto si costituisce per noi come<br />

esteticità; ed appaga così quella esigenza di auto-produttività che<br />

proprio la odierna crisi del paesaggio, e l’eclissi (non tramonto,<br />

speriamo, anzi, vogliamo) della natura come oggetto estetico, ha<br />

indebitamente traslocata ai nostri giorni nel mondo dell’arte [...]; e<br />

la vera opera aperta (o meglio: forma aperta) è la natura, in quanto<br />

si costituisce ad oggetto estetico nel paesaggio 17 .<br />

Questa lezione di Assunto non può però essere accolta così<br />

com’è. Ai fini della comprensione delle dinamiche attuali, è infatti<br />

importante che si compia nei suoi confronti un moto di superamento<br />

conservativo, in particolare sotto due aspetti: in primo luogo,<br />

occorre ampliare il summenzionato concetto di «oggetto estetico»<br />

integrandolo con altre dimensioni rilevanti dell’abitare umano (l’economico,<br />

il sociale, il politico, l’etico, il culturale, ecc.) e, in secondo<br />

luogo, occorre mutare atteggiamento dinanzi alla modernità,<br />

non più opponendovisi, ma cercando di attraversarla criticamente.<br />

2.4. Verso un nuovo paradigma paesaggistico<br />

Un interessante tentativo in tal senso è rappresentato dalla Convenzione<br />

europea del paesaggio (2000). Essa nasce in risposta alle<br />

aspettative e agli interrogativi «delle oltre 200.000 comunità locali<br />

e regionali che compongono il Continente europeo» e che si erano<br />

17 Ivi, p. 358 (cfr. sul concetto di «contemplazione attiva» le pagine 141, 354).


accorte della rilevanza della questione paesaggistica per il proprio<br />

futuro, in termini di benessere, identità e sviluppo 18 . La Convenzione<br />

ha fornito una «risposta politica ad una domanda sociale corrispondente<br />

ai bisogni più immediati delle popolazioni: il paesaggio<br />

è infatti da queste sempre più considerato un fattore di primaria<br />

importanza per la qualità della loro vita quotidiana» 19 . Coerentemente,<br />

la Convenzione ha pertanto adottato la seguente definizione<br />

di paesaggio, che presenta il merito di farne emergere l’essenza<br />

relazionale, nonché la rilevanza socio-politica: «“Paesaggio” designa<br />

una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle<br />

popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o<br />

umani e dalle loro interrelazioni» 20 . La domanda sociale proveniente<br />

dalle comunità territoriali europee originava da una consapevolezza<br />

che solo gli enti prossimi all’esistenza quotidiana delle<br />

popolazioni possono avere: parallelamente alla diminuzione della<br />

qualità dei paesaggi locali, anche la qualità della vita nel suo complesso<br />

stava subendo un assalto senza precedenti in virtù di dinamiche<br />

connesse con la globalizzazione. La domanda su che cos’è<br />

il paesaggio si intreccia dunque con il seguente interrogativo: il<br />

18 R. prIore, Convenzione europea del paesaggio. Un commento interpretativo,<br />

in Id., Convenzione europea del paesaggio. Il testo tradotto e commentato,<br />

Reggio Calabria, Edizioni Centro Stampa d’Ateneo, 2006, p. 40. Cfr. anche G.<br />

F. CArteI (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio,<br />

Bologna, il Mulino, 2007, pp. 27-114.<br />

19 Ibidem.<br />

20 ConsIGlIo d’europA, Convenzione europea del paesaggio, Firenze, 20 ottobre 2000,<br />

art. 1, comma a. Nel Preambolo, la Convenzione poi recita quanto segue: «Il paesaggio<br />

[...] partecipa in maniera decisiva all’interesse generale, riguardo ai progetti<br />

culturali, ecologici, ambientali e sociali e [...] costituisce una risorsa favorevole<br />

all’attività economica, per cui una tutela, una gestione ed una pianificazione appropriate<br />

possono contribuire alla creazione d’impiego; [...] [il paesaggio] è dovunque<br />

un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nei luoghi urbani<br />

e nelle campagne, nei territori degradati come in quelli eleganti, negli spazi d’eccellenza<br />

come in quelli quotidiani; [il paesaggio] costituisce un elemento essenziale<br />

del benessere individuale e sociale, e [...] la sua tutela, la sua gestione e la sua<br />

pianificazione implicano per ciascuno diritti e responsabilità» (dal Preambolo alla<br />

Convenzione europea del paesaggio). Per una definizione sintetica e al tempo stesso<br />

esaustiva del concetto di paesaggio, cfr. V. CAlzolArI, in mInIstero per I benI e le<br />

AttIvItà CulturAlI, Conferenza Nazionale per il Paesaggio, cit., pp. 56-57.<br />

231


territorio, perché sia pianificato e gestito adeguatamente (vale a<br />

dire, con la dovuta cura per la qualità di vita delle popolazioni),<br />

nel rispetto democratico della salute psico-fisica (e dunque anche<br />

economica) dei suoi abitanti e nel rispetto della sua complessità,<br />

necessita di norme paesaggisticamente significative? O, a rovescio:<br />

il paesaggio ha (o deve avere) voce in capitolo a livello politico-gestionale?<br />

Non basta forse a tal fine la nozione di territorio<br />

(con tutte le sue declinazioni: pianificazione territoriale, gestione<br />

territoriale, ecc.), che ha il vantaggio di essere un concetto più «oggettivo»<br />

e squisitamente geografico-politico? Non bastano forse<br />

(buone) norme di gestione e pianificazione territoriale? Che cosa<br />

ha o garantisce in più la nozione di paesaggio rispetto a quella di<br />

territorio? Partiamo da quest’ultima questione. Per dirla con il geografo<br />

Eugenio Turri, il paesaggio avrebbe il vantaggio di costituire<br />

un’esperienza di secondo livello, riflessiva e dunque potenzialmente<br />

critica e filosofica rispetto alle modalità con cui operiamo<br />

individualmente e collettivamente nel territorio: «nel paesaggio<br />

possiamo trovare il riflesso della nostra azione, la misura del nostro<br />

vivere ed operare nel territorio [...]. In questo senso si può assegnare<br />

al paesaggio la funzione di referente visivo fondamentale ai fini<br />

della costruzione territoriale [...]. Il paesaggio si pone allora come<br />

interfaccia tra il fare e il vedere quello che si fa, tra il guardarerappresentare<br />

e l’agire, tra l’agire e il ri-guardare» 21 . Il ruolo di<br />

primo attore conquistato dalla nozione di paesaggio corrisponde a<br />

un ripensamento profondo delle politiche di gestione e controllo<br />

del territorio, che negli ultimi decenni del XX secolo si sono progressivamente<br />

trovate in crisi dinanzi al bisogno di gestire la complessità.<br />

I grandi mutamenti negli scenari urbani e territoriali hanno<br />

messo in forse l’efficacia del tradizionale paradigma del government<br />

e hanno indotto a ricercare e attuare nuove forme di governabilità<br />

riassumibili nel concetto di governance. Nonostante<br />

l’apparente somiglianza lessicale, un vero abisso corre tra questi<br />

concetti, così come tra le relative pratiche politico-gestionali. «Il<br />

concetto di “governance” – recita il Libro bianco della governance europea<br />

– designa le norme, i processi e i comportamenti che influiscono<br />

21 E. turrI, Il paesaggio come teatro, cit., pp. 15-16.<br />

232


sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo [o, si<br />

potrebbe aggiungere, in genere a livello sovra-statuale; N.d.R.], soprattutto<br />

con riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità,<br />

efficacia e coerenza» 22 . La governance indica dunque una pratica<br />

gestionale delle problematiche contemporanee improntata<br />

all’efficacia (di contro alle inefficienze di pratiche di governo calate<br />

esclusivamente «dall’alto») e che si realizza secondo modalità<br />

multiscalari (vale a dire con il coinvolgimento e il concorso di enti<br />

territoriali non necessariamente dello stesso livello), a rete, rispettose<br />

della complessità dei processi e che prevedano la partecipazione<br />

attiva della cittadinanza 23 . Sotto certi aspetti la rivoluzione culturale<br />

rappresentata dalla governance evidenzia un paradosso: per<br />

un verso, il passaggio da logiche di government alla governance è<br />

qualche cosa di necessario e dettato dalla complessità di fenomeni<br />

epocali di ampio respiro e dall’inefficienza dei tradizionali metodi<br />

di gestione, mentre per altro verso l’incisività e l’efficacia delle<br />

nuove pratiche di governance, nonché l’equità dei loro risultati a<br />

medio e lungo termine, richiedono la consapevolezza e la convinta<br />

adesione da parte di una pluralità di soggetti che spazia dai governanti,<br />

passa per gli stakeholder e arriva ai semplici cittadini. Non è<br />

però scontato che tale consapevolezza e tale convinzione esistano,<br />

né che simili valori siano già così diffusi e radicati nella popolazione.<br />

A essere investito dal medesimo mutamento culturale è anche<br />

l’aspetto giuridico-normativo. Nel caso specifico della legislazione<br />

(sovra-nazionale, europea, nazionale, regionale e locale) concernente<br />

la gestione del territorio e del paesaggio, si profila infatti da<br />

qualche decennio la necessità di integrare le tradizionali istanze di<br />

tipo vincolistico (per cui certi territori e paesaggi incarnano valori<br />

unici ed eccellenti – di natura estetica, storico-artistica, culturale,<br />

ecc. – che vanno protetti, difesi e conservati) con istanze di altro<br />

22 CommIssIone delle ComunItà europee, Libro bianco sulla governance europea,<br />

2001, 8. Si veda anche la definizione di governance contenuta in D. CIAffI, A. melA,<br />

La partecipazione. Dimensioni, spazi, strumenti, Roma, Carocci, 2006, pp. 49-50.<br />

23 La differenza esistente tra i concetti (e le relative pratiche) di government e governance<br />

è analoga a quella tra «confronto parlamentare» e «confronto creativo»<br />

(cfr. M. sClAvI, L. susskInd, Confronto creativo. Dal diritto di parola al diritto di<br />

essere ascoltati, Milano, et. al. edizioni, 2011).<br />

233


tipo (per esempio, di natura sociale ed economica), per approdare a<br />

una visione più articolata e dinamica delle componenti in gioco. Il<br />

concetto di governance ha infatti consentito di recepire in sede istituzionale<br />

un certo disagio espresso dalle popolazioni locali dinanzi<br />

alla gestione dei propri paesaggi (che in molti casi sono «ordinari»<br />

e dunque facilmente soggetti a sfruttamento e degrado, in quanto<br />

non sufficientemente «unici» da essere tutelati mediante vincolo) e<br />

l’apprensione delle comunità locali circa il proprio benessere, la<br />

propria identità e il proprio sviluppo. La governance tenta così di<br />

coniugare le istanze estetico-artistico-storico-culturali con la questione<br />

economico-ambientale, indirizzando quest’ultima verso forme<br />

innovative e inedite di «sviluppo sostenibile» e «sviluppo<br />

locale» 24 . La declinazione in senso paesaggistico del concetto di<br />

governance fornisce uno strumento in grado di fronteggiare efficacemente<br />

le pesanti e non occasionali ricadute della modernità sui<br />

nostri territori e paesaggi. Infatti, quest’ultima si caratterizza per<br />

essere «interamente generata dalle leggi della crescita economica;<br />

a carattere fortemente dissipativo ed entropico; senza confini né<br />

limiti alla crescita; squilibrante e fortemente gerarchizzante; omologante<br />

il territorio che occupa; ecocatastrofica; svalorizzante le<br />

qualità individuali dei luoghi; priva di qualità estetica; riduttiva nei<br />

modelli dell’abitare» 25 . La riconversione a logiche di governance<br />

24 Per il concetto di «sviluppo locale», cfr. A. mAGnAGhI, Il progetto locale,<br />

Torino, Bollati Boringhieri, 2000. Lo sviluppo locale e autosostenibile è infatti<br />

la soluzione per uscire dalla crisi del modello fordista degli anni Settanta e<br />

Ottanta (cfr. G. demAtteIs, Zeus, le ossa del bue e la verità degli aranci, lectio<br />

magistralis tenuta il 18 aprile 2008 a Torino). Per una critica della genericità<br />

della definizione di paesaggio proposta dalla Convenzione europea del paesaggio,<br />

si veda quanto affermato da Salvatore Settis, il quale però – al pari della<br />

Convenzione – richiama la centralità della pratica di partecipazione democratica<br />

per la risoluzione fattiva delle sfide paesaggistiche (cfr. S. settIs, Paesaggio<br />

costituzione cemento, cit., pp. 253-259, p. 282 ss).<br />

25 A. mAGnAGhI, Da Metropolis a Ecopolis. Elementi per un progetto per la città<br />

ecologica, in M. mAnzonI (a cura di), Etica e metropoli, Milano, Guerini, 1989, p.<br />

115. Per la precisione, queste righe di Magnaghi non si riferiscono genericamente<br />

alla modernità, ma alla metropoli contemporanea. Mi sembra però che evidenzino<br />

mirabilmente la problematicità della modernità in relazione alla gestione<br />

del territorio e del paesaggio. Cfr. anche P. bevIlACquA, Miseria dello sviluppo,<br />

Roma-Bari, Laterza, 2008.<br />

234


non è però di facile o immediata attuazione. Né produce frutti nel<br />

breve periodo. Il modello di gestione del territorio affermatosi in<br />

Occidente a partire dalla modernità e culminato con la metropolizzazione<br />

territoriale tipica della contemporaneità, si fonda infatti su<br />

premesse culturali e – per dirla con Alberto Magnaghi – su «regole<br />

di edificazione» che non solo hanno prodotto in passato risultati<br />

assai discutibili, ma che ancora oggi sembrano complessivamente<br />

caratterizzare gran parte delle trasformazioni territoriali in ambito<br />

locale. Lo stesso Magnaghi sintetizza tali regole come segue:<br />

* Liberazione dai vincoli di luogo e di dimensione della città.<br />

* Dominio delle funzioni economiche (produzione, circolazione, ri<br />

produzione e consumo) sulla organizzazione dello spazio.<br />

* Dissoluzione dello spazio pubblico.<br />

* Applicazione delle tecnologie industriali e uso di materiali<br />

standardizzati per la costruzione della città e del territorio.<br />

* Il territorio della crescita metropolitana come merce 26 .<br />

Per le questioni affrontate in questo contributo, si dedicherà<br />

particolare attenzione alla dissoluzione dello spazio pubblico e alla<br />

concomitante erosione dei valori paesaggistici condivisi, frutto di un<br />

ininterrotto processo storico – talvolta implicito e non consapevole<br />

– di negoziazione civica e dialogo pubblico 27 . A questo riguardo, risulta<br />

di particolare interesse la seguente riflessione di Eugenio Turri:<br />

nelle nostre società rurali come nelle società primitive, che sentono<br />

religiosamente il peso dei condizionamenti naturali, l’azione di trasformazione<br />

della natura, cioè l’acting teatrale, è sempre piuttosto<br />

esigua, controllata e attenta a rispettare l’ambiente naturale, anche<br />

al fine di trarre i maggiori vantaggi del suo sfruttamento; corrispondentemente<br />

perciò risulta ridotto il momento «riflessivo», la parte<br />

di spettatore assunta dall’individuo nel contesto sociale. In altre<br />

parole, se è vero che queste società recitano per gli dei e le forze<br />

naturali che sentono occhieggiare nel paesaggio, non giungono a<br />

26 A. mAGnAGhI, Il progetto locale, cit., pp. 20-25. Cfr. anche E. turrI, Il paesaggio<br />

come teatro, cit., p. 70 ss., pp. 101-102, p. 108 ss.<br />

27 Su questo aspetto richiama, peraltro, potentemente l’attenzione Salvatore Settis<br />

(cfr. S. settIs, Paesaggio costituzione cemento, cit.).<br />

235


236<br />

compiacersi della propria azione, non giungono a sentire il paesaggio<br />

come spettacolo 28 .<br />

In che misura il quadro appena delineato si modifica con l’avvento<br />

della modernità e il passaggio alla tarda modernità? Alla luce<br />

di queste riflessioni di Turri, si può dire che lo scenario attuale presenti<br />

caratteri profondamente diversi e, in sostanza, opposti rispetto<br />

all’epoca precedente: l’acting teatrale ha abbracciato le ragioni del<br />

funzionalismo e si è sbarazzato dei condizionamenti naturali e sociali;<br />

di contro, però, non pare essersi incrementato il momento «riflessivo»<br />

e «auto-riflessivo». O meglio, quest’ultimo è stato separato<br />

rispetto al momento produttivo e confinato in una dimensione privata<br />

di evasione o di ricerca della Gemütlichkeit individuale. Come<br />

già evidenziato a suo tempo da Hans Jonas, questa appare come una<br />

dinamica tipicamente moderna, laddove la modernità si configura<br />

come un eccesso del fare non controbilanciato dalla riflessione sulle<br />

sue conseguenze 29 . Come procedere, dunque? Rigettando tout court<br />

la modernità? Ma è probabile che un simile sforzo si riveli una pia<br />

illusione e finisca in un vicolo cieco. Una via più praticabile e promettente<br />

è quella che prende in considerazione le ragioni da cui la<br />

modernità stessa è scaturita e che considera lo spirito moderno come<br />

uno dei frutti della peculiare ambivalenza umana. In questo senso,<br />

l’analisi critica della modernità presentata nelle pagine precedenti<br />

non può andar disgiunta dallo sforzo costruttivo di individuare e realizzare<br />

il suo potenziale «riflessivo» rimasto sino ad ora inespresso.<br />

Come si vedrà, questo per certi versi si porrà come un dovere: dalle<br />

problematiche, dalle possibilità conoscitive offerte e dal carattere<br />

emancipativo della modernità si deve infatti tentare di conseguire<br />

una nuova immagine dell’essere umano e del senso complessivo del<br />

suo agire individuale e collettivo nel mondo. Ammonisce infatti Turri<br />

che «non si dà potere e non si dà cultura sino a quando l’uomo<br />

non si ponga come spettatore di sé, del suo agire, condizione necessaria<br />

per il controllo del mondo e quindi della propria riproduzione<br />

28 E. turrI, Il paesaggio come teatro, cit., p. 56.<br />

29 Cfr. H. JonAs, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica,<br />

Torino, Einaudi, 1990, p. 149.


sociale» 30 . In questo senso, l’interrogazione paesaggistica si scopre<br />

orientata in senso squisitamente culturale, antropologico ed etico.<br />

2.5. La rilevanza etica e antropologica del paesaggio<br />

Raccogliendo e sistematizzando alcuni spunti relativi alla valenza<br />

etica del paesaggio, direi che essa deve caratterizzarsi in senso<br />

etico-pubblico. L’etica del paesaggio non si profila infatti come una<br />

questione di mera etica individuale. Essa deve mostrarsi all’altezza<br />

delle sfide – tipiche del tempo presente – circa la qualità e dignità<br />

dell’abitare, sfide che mobilitano e suscitano interrogativi di carattere<br />

squisitamente pubblico e collettivo 31 . Ci si deve dunque preliminarmente<br />

e sinteticamente interrogare intorno al senso dell’espressione<br />

«etica pubblica», per desumerne le possibilità di declinazione in senso<br />

paesaggistico. Tuttavia, nella sua accezione più comune, l’etica<br />

pubblica evita di trattare questioni di senso concernenti i valori e la<br />

loro conflittualità, optando – al contrario – per uno studio delle norme<br />

giuridiche che regolano la vita pubblica. Alcuni studiosi hanno<br />

messo in guardia circa le possibili criticità di un siffatto paradigma<br />

etico-pubblico 32 . Credo si debba far tesoro di tali osservazioni, tanto<br />

più se siamo interessati a reperire uno schema etico-pubblico efficace<br />

per la gestione del paesaggio. In questo senso, un’«etica pubblica<br />

per il paesaggio» non può limitarsi a essere un’etica astratta,<br />

individuale o deontologica, ma deve porsi l’obiettivo di affrontare<br />

apertamente le questioni di senso e di valore, tenendo presente che<br />

queste ultime sono dotate di rilevanza pubblica e non solo privata. In<br />

secondo luogo, essa deve aspirare al rispetto per la complessità delle<br />

problematiche affrontate e al recupero della costruzione sociale e<br />

dialogica del senso in rapporto all’elemento diacronico dell’abitare.<br />

Essa – questa almeno la tesi che cercherò di argomentare – deve<br />

in buona sostanza mirare al recupero teorico e pratico di forme di<br />

razionalità e relazionalità partecipative che si iscrivano in quella<br />

30 E. turrI, Il paesaggio come teatro, cit., p. 95.<br />

31 Cfr. il Preambolo alla Convenzione europea del paesaggio.<br />

32 Uno tra tutti, A. dA re, Figure dell’etica, in C. vIGnA (a cura di), Introduzione<br />

all’etica, Milano, Vita e Pensiero, 2001, p. 43.<br />

237


che ci si appresta a definire come l’area polarizzata e relazionale<br />

della responsabilità. Al fine di chiarire che cosa intendo con queste<br />

espressioni, propongo i seguenti grafici, nei quali confluiscono le riflessioni<br />

sin qui proposte in tema di paesaggio. Nel primo grafico le<br />

dinamiche connesse con i fenomeni di costruzione, mutamento, gestione,<br />

tutela e valorizzazione dei paesaggi sono evidenziate mediante un<br />

metodo dialettico e dicotomico che mette a fuoco l’area dell’agire paesaggistico<br />

responsabile a partire dalla negazione degli estremi antitetici<br />

in cui tali dinamiche possono finire incagliate 33 . Premessa implicita è,<br />

chiaramente, la definizione precedentemente richiamata di paesaggio 34 ,<br />

che qui viene analizzata dinamicamente (cfr. Grafico 1). 35 .<br />

[estremo oggettivistico]<br />

aspetti qualificanti:<br />

· Primato dell’oggetto<br />

(natura, ecc.)<br />

· Valori paesaggistici<br />

ritenuti oggettivi<br />

· Determinismo<br />

rischi:<br />

- Integralismo (anche<br />

ambientalistico)<br />

- Rinuncia all’agire<br />

- Spirito vincolistico<br />

(per paradosso)<br />

- Organicismo<br />

comunitario o<br />

comunitaristico<br />

- Esclusivismo<br />

identitario<br />

- «Comunitarismo<br />

35<br />

endogamico»<br />

238<br />

area dell’agire<br />

paesaggistico<br />

responsabile<br />

Grafico 1<br />

[estremo soggettivistico]<br />

aspetti qualificanti:<br />

· Primato del soggetto<br />

· Valori paesaggistici<br />

alla stregua di costrutti<br />

meramente soggettivi<br />

· Convenzionalismo<br />

rischi:<br />

- Agire tecniconichilistico<br />

astratto<br />

e indifferente alla<br />

specificità del luogo<br />

- Illusione tecnicistica<br />

- Creazione di fratture e<br />

cesure storico-culturali<br />

- Conflittualità e<br />

contrapposizioni<br />

sociali fini a se stesse e<br />

autoreferenziali<br />

- «Individualismo<br />

illimitato»<br />

33 La possibilità di ricadute in simili estremi e in derive patologiche è tanto più evidente<br />

nell’attuale contesto globalizzato. Cfr. soprattutto E. pulCInI, La cura del mondo.<br />

Paura e responsabilità nell’età globale, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.<br />

34 Cfr. Convenzione europea del paesaggio, art. 1, comma a.<br />

35 Per «l’individualismo illimitato» e il «comunitarismo endogamico» come patologie<br />

dell’età globale, cfr. E. pulCInI, La cura del mondo, cit., pp. 29-112.


Il vantaggio derivante dalla collocazione mediana dell’agire paesaggistico<br />

è tutt’uno con il fatto per cui esso non consisterebbe né nel<br />

mero esercizio di una libertà senza freni, né nella mortificazione della<br />

libertà per opera di un’istanza a essa totalmente eteronoma. Al tempo<br />

stesso, la caratterizzazione dell’agire paesaggistico come responsabile<br />

non significa limitarne lo specifico alla sola analisi preventiva delle<br />

possibili conseguenze prodotte (a livello individuale o collettivo). Al<br />

contrario, mettendo a frutto alcune felici intuizioni del filosofo Hans Jonas<br />

36 e intersecandole con sollecitazioni provenienti da ricerche interdisciplinari<br />

sull’idea di paesaggio, è possibile proporre una complessiva<br />

riformulazione del concetto stesso di responsabilità: oltre all’attenzione<br />

per le conseguenze dell’agire, essere paesaggisticamente responsabili<br />

significherebbe dunque anche sapersi di volta in volta agenti liberi situati<br />

in uno specifico contesto storico-culturale ed esistenziale permeato<br />

di tradizioni e valori paesaggistici e sentirsi impegnati a intessere un<br />

dialogo intergenerazionale circa il valore di quei valori 37 . Individuata<br />

per via negativa la cosiddetta area dell’agire paesaggistico responsabile,<br />

proviamo ora a gettare uno sguardo al suo interno per cogliere da<br />

quali dinamiche sia percorsa. Anche a questo riguardo, il precedente<br />

schema interpretativo dicotomico e duale può dar prova della propria<br />

efficacia ermeneutica. Esso è infatti in grado di evidenziare come, anche<br />

internamente, quell’area sia strutturata secondo un dinamismo di<br />

forze strutturato intorno a poli contrapposti (cfr. Grafico 2).<br />

area dell’agire paesaggistico responsabile<br />

(esercizio del plesso di libertà-responsabilità, pluralismo e inclusività,<br />

38<br />

governance e riterritorializzazione)<br />

si tratta di un’area polarizzata e caratterizzata da un’incessante dinamica tra:<br />

istanza ontologica: istanza costruttivistica:<br />

ontologia dell’abitare socialità dell’abitare<br />

riassunzione storica della memoria emancipazione<br />

Grafico 2 38<br />

36 Cfr. soprattutto H. JonAs, Il principio responsabilità, cit.<br />

37 La centralità e, al tempo stesso, la difficoltà di questa operazione è sottolineata in<br />

particolare da Eugenio Turri (cfr. E. turrI, Il paesaggio come teatro, cit., p. 157).<br />

38 La «territorializzazione» può definirsi come segue: «la relazione co-evolutiva tra<br />

239


Quel che intendo mostrare, è che questo stesso schema presenta<br />

anche il vantaggio di poter essere generalizzato al di là del<br />

solo agire paesaggistico. Infatti, non solo quest’ultimo, ma l’agire<br />

umano tout court è interpretabile alla luce della medesima dinamica<br />

incessante e della medesima sintesi produttiva tra tendenze reciprocamente<br />

divergenti. Per esigenze di sintesi, scelgo di definire la prima<br />

come un’«istanza ontologica» e l’altra nei termini di un’«istanza<br />

costruttivistica» 39 . Quest’ultima può essere denominata «costruttivistica»,<br />

in quanto incarna il desiderio di attività e relazione, espletamento<br />

della libertà, produzione simbolica e progettualità. L’altra<br />

può, al contrario, essere definita «ontologica», dal momento che<br />

esprime un rapporto originario, e per così dire innanzitutto recettivo,<br />

con una datità o un’alterità che in qualche modo interpella – formandola<br />

– la responsabilità individuale. Si tratta di un’istanza sensibile<br />

al contesto, ai suoi stimoli e alle sue pressioni. È sulla base di<br />

tale sensibilità originaria che l’essere umano può conseguentemente<br />

interpretare il proprio contesto di vita come un insieme di richieste<br />

che esigono da parte sua un riconoscimento preliminare. È chiaro<br />

società insediata e ambiente (ossia la forma attraverso cui si struttura il rapporto<br />

tra insediamento e natura)». G. lombArdInI, Rappresentare i cicli di territorializzazione:<br />

l’eco-regione urbana, in A. mAGnAGhI (a cura di), La rappresentazione<br />

identitaria del territorio. Atlanti, codici, figure, paradigmi per il progetto locale,<br />

Firenze, Alinea, 2005, p. 312. Come si vedrà, ogni azione di «ri-territorializzazione»,<br />

cioè volta al recupero e alla riattivazione di tale relazione, non potrà che<br />

realizzarsi mediante il coinvolgimento delle comunità locali; cfr. R. GAmbIno, Il<br />

paesaggio tra conservazione e innovazione, in A. de rossI et al., Linee nel paesaggio,<br />

cit., p. 30.<br />

39 Per il costruttivismo (filosofico, epistemologico e psicologico) in quanto tendenza<br />

a mettere da parte l’ontologia a favore dell’epistemologia e a effettuare una riflessione<br />

sull’esperienza interna del soggetto e la sua autonomia, cfr. autori come E.<br />

von Glasersfeld, H. von Foerster, L. Vygotskij, J. Bruner, U. Bronfenbrenner ed<br />

E. Morin (cfr. U. bronfenbrenner, Ecologia dello sviluppo umano, Bologna, il<br />

Mulino, 1986; A. CosentIno, Costruttivismo e formazione. Proposte per lo sviluppo<br />

della professionalità docente, Napoli, Liguori, 2002). Per certi versi queste<br />

istanze possono essere avvicinate alla dualità evidenziata da Turri (Il paesaggio<br />

come teatro, cit.) a proposito della metafora del paesaggio-teatro: l’essere<br />

attori (la rappresentazione-azione) e l’essere spettatori (la rappresentazione-contemplazione).<br />

Cfr. anche il concetto di «conservazione innovativa» proposta da<br />

Gambino: R. GAmbIno, Conservare innovare, Torino, Utet, 1997; R. GAmbIno, Il<br />

paesaggio tra conservazione e innovazione, cit., pp. 26-28.<br />

240


che la risposta a tali richieste di riconoscimento potrà venire soltanto<br />

dalla messa in moto dell’istanza «costruttivistica», la cui efficacia<br />

necessita a sua volta di essere già preliminarmente in relazione con<br />

l’istanza «ontologica» 40 . Nel caso di specifiche azioni paesaggistiche<br />

può, di volta in volta, prevalere l’una o l’altra istanza, ma nella<br />

stratificazione storico-culturale di tali azioni è possibile comunque<br />

riscontrare la viva e armonica compresenza di entrambe. Che queste<br />

istanze non siano però naturalmente e spontaneamente solidali,<br />

potendo anche darsi l’una indipendentemente dall’altra (quando<br />

non l’una contro l’altra), lo evidenziano gli esempi citati di paesaggi<br />

della tarda modernità, accostabili in certo modo a individui<br />

che hanno smarrito il senso e l’identità del proprio essere e in cui<br />

sia venuta meno l’armonia tra le componenti costitutive 41 . Pur concorrendo<br />

alla costruzione dei paesaggi, entrambe le istanze si comportano<br />

al tempo stesso anche come forze rivali e tendenti la prima<br />

(l’istanza ontologica) a spostare il baricentro del paesaggio verso<br />

l’estremo oggettivistico, mentre l’altra inclina verso l’estremo opposto.<br />

Alla luce di queste riflessioni, la questione – dotata di rilevanza<br />

etica – riguardante il valore e il destino futuro dei paesaggi<br />

costruiti dall’uomo può approdare al seguente risultato intermedio:<br />

si può diventare «buoni» costruttori di paesaggi se si sarà in grado<br />

di esserne interlocutori responsabili; il che significa assumersi<br />

l’onere di «travalicare ogni estetismo, ma anche evitare di cadere<br />

in uno psicologismo soggettivistico; non vuol dire incontrare il paesaggio<br />

tramite un’imposizione immaginaria – sia solipsistica che<br />

“culturale” – di attese e di schemi, bensì collocarsi in una prospettiva<br />

di impersonalità simbolica che sola permette di riconoscere la<br />

40 Lo spazio intermedio in cui queste due istanze si implicano vicendevolmente<br />

e che si tiene in equilibrio tra il momento dell’autonomia e quello dell’appartenenza<br />

(o dell’eteronomia), è peraltro lo spazio ambivalente e dialettico dell’«essere<br />

sociale» (E. pulCInI, La cura del mondo, cit., p. 280, p. 112). Cfr. R.<br />

frAnzInI tIbAldeo, Limiti e legittimità della modernità in rapporto alla questione<br />

della libertà umana, in u. perone (a cura di), Filosofia dell’avvenire,<br />

Torino, Rosenberg & Sellier, 2010, pp. 28-36.<br />

41 Cfr. a questo proposito R. bodeI, Scomposizioni: forme dell’individuo moderno,<br />

Torino, Einaudi, 1987; R. bodeI, Destini personali. L’età della colonizzazione<br />

delle coscienze, Milano, Feltrinelli, 2002.<br />

241


specificità della fisionomia del paesaggio, e di progredire nei vari<br />

piani della sua comprensione» 42 . Il simbolismo – osserva Luisa Bonesio,<br />

in singolare sintonia con le ricerche antropologiche jonasiane<br />

– è dunque connesso con il luogo e con la sua realtà spirituale.<br />

Questo a riprova del fatto che la natura non è solo oggettualità<br />

quantificabile, ma è dotata di significati profondi e ontologici 43 . In<br />

sintonia con lo schema polare proposto, si vorrebbe però avanzare<br />

la seguente precisazione: a rigore, la valenza simbolica in cui si<br />

esprime la fisionomia di un paesaggio non è un costrutto meramente<br />

naturale, ma è già il risultato di un atto umano, che ha instaurato<br />

una relazione con la natura e che, in dialogo con essa, ha costruito<br />

i propri significati simbolici e valori. L’«impersonalità simbolica»,<br />

che permette a ciascuno di riconoscere la fisionomia del paesaggio<br />

o il suo specifico genius loci 44 , non dovrebbe pertanto venire intesa<br />

in senso ontologico al punto da farne un costrutto assolutamente<br />

eteronomo rispetto alla libertà umana. Quel carattere può però<br />

certamente fungere da utile indicazione critica e metodologica per<br />

cogliere adeguatamente l’alterità del paesaggio e il fatto che da<br />

esso possa in certo modo levarsi un’invocazione a essere rispettato<br />

in quanto valore: per poter contemplare (nel senso attivo e<br />

passivo indicato da Assunto e Turri) adeguatamente il paesaggio<br />

occorre infatti fare un passo indietro sia rispetto a se stessi sia rispetto<br />

a esso. Rispetto a se stessi, dal momento che – con spirito<br />

autocritico e autoriflessivo – bisogna sapersi mettere tra parentesi<br />

(insieme al proprio agire), per riconoscere in quanto tale l’alterità<br />

del paesaggio (nessun individuo ne è in senso stretto il creatore, ma<br />

semmai l’ha plasmato con l’aiuto dei propri simili a partire da una<br />

«materia» – la natura – preesistente ma non grezza, per via delle<br />

forme «naturali» che la caratterizzano e dei segni tracciati su di<br />

essa dall’umanità passata), oltreché per poter valutare serenamente<br />

il reale effetto delle proprie azioni. Parallelamente occorre fare un<br />

passo indietro anche rispetto al paesaggio stesso e considerarlo<br />

42 L. bonesIo, Geofilosofia del paesaggio, Milano, Mimesis, 1997, p. 33.<br />

43 Cfr. ivi, pp. 78-79, p. 102, pp. 118-120.<br />

44 Per il concetto di genius loci, cfr. C. norberG-sChulz, Genius loci. Paesaggio<br />

Ambiente Architettura, Milano, Electa, 1979, 2005.<br />

242


come se fosse dotato di una completa autonomia rispetto all’agire<br />

umano, per poterne più chiaramente percepire l’identità e l’appello<br />

a una riappropriazione responsabile. Questo infatti accade (e deve<br />

accadere) a ogni generazione: i significati e i simboli iscritti nella<br />

realtà dai padri vengono consegnati alla generazione successiva che<br />

avrà il compito di interrogarsi circa il senso di tale eredità e circa<br />

i caratteri, i limiti, le possibilità e l’opportunità di un’eventuale riscrittura<br />

o sovrascrittura di tali simboli e valori. In questo senso, per<br />

quanto problematici, gli eccessi prodotti dalla modernità testimoniano<br />

e confermano, seppure in modo paradossale, il carattere aperto e<br />

ambivalente della libertà umana: nelle sue esplicazioni individuali e<br />

collettive, quest’ultima può infatti anche scegliere di prescindere per<br />

intero dai valori paesaggistici preesistenti e di adottare azioni i cui<br />

effetti siano biecamente omologanti o del tutto decontestualizzati 45 .<br />

Se questa è una scelta certamente possibile (si potrebbe nondimeno<br />

dubitare della sua legittimità), non si può però negare a chi non<br />

intende piegare il capo dinanzi alle devastazioni della modernità la<br />

possibilità di spendersi per una causa opposta: quella che stigmatizza<br />

la contemporanea deresponsabilizzazione dell’agire umano e<br />

propone invece di riappropriarsi del paesaggio con buone pratiche<br />

di riterritorializzazione, che fungano da apripista per buone politiche<br />

di governance e, in prospettiva, per il «passaggio dalla partecipazione<br />

all’autogoverno» 46 .<br />

3. Il pAesAGGIo Come prAtICA IndIvIduAle e soCIAle<br />

dI responsAbIlItà<br />

Siamo così giunti alla questione centrale: quali strategie adottare<br />

per ritessere il dialogo tra essere umano e natura da cui dipende il<br />

paesaggio? Quali modalità progettuali sono in grado di ricostruire il<br />

45 Circa l’omologazione prodotta dalla modernità, cfr. L. bonesIo, Geofilosofia<br />

del paesaggio, cit., pp. 60-63. Cfr. anche E. turrI, Il paesaggio e il silenzio,<br />

Venezia, Marsilio, 2004, p. 212 ss., p. 232 ss.; A. bonomI, A. Abruzzese, La<br />

città infinita, Milano, Bruno Mondadori, 2004.<br />

46 A. mAGnAGhI, Il progetto locale, cit., p. 96.<br />

243


apporto tra attori-spettatori e «il paesaggio come riferimento della<br />

propria identità»? 47 Mi pare che una promettente ipotesi di lavoro<br />

sia quella che propone una lettura in chiave partecipativa della nozione<br />

di agire paesaggistico responsabile. In buona sostanza, l’idea<br />

è di tornare a essere individualmente e collettivamente protagonisti<br />

e costruttori dei propri paesaggi locali (dove – afferma Turri – «si<br />

percepisce il senso di essere al mondo, di far parte di una società e<br />

di una comunità umana»), senza però dimenticarsi di essere al tempo<br />

stesso anche attori del «teatro mondiale»: «L’uomo deve imparare<br />

a coltivare entrambe queste due anime [...]. Infatti non può fare<br />

a meno del locale, ma non può al tempo stesso escludersi dal globale.<br />

E se è vero che come attore sul teatro mondiale egli non ha<br />

molti modi per farsi sentire [...], egli può sicuramente avere una<br />

parte di primo piano, sempre, sul teatro locale» 48 . Tra locale e globale<br />

hanno luogo innumerevoli forme di collaborazione. La rete<br />

globale può offrire alle culture locali maggiori chance di visibilità<br />

o addirittura l’occasione per una rinnovata vitalità. Oppure le possibilità<br />

offerte dalla tecnica e la digitalizzazione delle informazioni<br />

possono contribuire a far incontrare o avvicinare esperienze e culture<br />

distanti o eterogenee. Infine, la condivisione di informazioni è<br />

spesso il primo passo per la costruzione di reti e comunità virtuali<br />

di reciproco aiuto, mutuo soccorso, condivisione di esperienze e<br />

informazioni, e così via. Ai fini del presente discorso, le possibilità<br />

offerte dalla globalizzazione devono però essere raccolte consapevolmente<br />

e devono sapersi tradurre in prassi progettuale e governance<br />

efficace. Queste operazioni non possono più prescindere –<br />

come di norma capitava in passato e come troppo spesso accade<br />

ancora oggi – dalla partecipazione fattiva delle popolazioni locali,<br />

pena la sostanziale inefficacia di tale progettualità. Se invece la gestione<br />

delle trasformazioni paesaggistiche saprà riattivare, attraverso<br />

la partecipazione, il «senso comune del paesaggio» 49 o contribuire<br />

47 E. turrI, Il paesaggio come teatro, cit., p. 127.<br />

48 Ivi, p. 136. A questo proposito, cfr. anche L. bonesIo, Paesaggio, identità e<br />

comunità tra locale e globale, Reggio Emilia, Diabasis, 2007.<br />

49 G. demAtteIs, Una geografia mentale, come il paesaggio, in A. de rossI et al.,<br />

Linee nel paesaggio, cit., pp. 35-37.<br />

244


alla promozione di quelle comunità, che oggi esistono per lo più a<br />

livello informale e che si prendono cura del proprio paesaggio 50 , allora<br />

davvero si potrà dire di aver messo a frutto le opportunità offerte<br />

dal tempo presente. Circa la questione della partecipazione responsabile,<br />

si può accogliere un suggerimento di Turri, che ne<br />

identifica due volti, uno attivo e l’altro riflessivo (o dello spettatore),<br />

di cui si è già in parte detto. Il geografo è però anche conscio di un<br />

rischio: in futuro «il ruolo di attore nel paesaggio del singolo individuo<br />

è destinato a ridursi sempre più», a fronte del fatto che sembra<br />

invece «destinato a crescere funzionalmente quello nuovo di spettatore<br />

che osserva attraverso i terminali che lo mettono in comunicazione<br />

con lo spazio ecumenico» 51 . Occorre dunque garantire in<br />

qualche modo all’individuo e alla comunità quel «ruolo di attore<br />

nel paesaggio» che – in sintonia con la Convenzione europea del<br />

paesaggio – si ritiene essenziale ai fini della vitalità delle culture.<br />

Proprio grazie a Turri, sappiamo però che l’aggettivo «riflessivo»<br />

non è dotato solo di una rilevanza percettivo-drammaturgica (si<br />

percepisce una rappresentazione paesaggistica in veste di spettatore),<br />

ma ne possiede uno anche più specificamente cognitivo ed etico<br />

(«Si guarda al paesaggio [...] per ricavare utili conoscenze, necessarie<br />

per guidare l’azione») 52 . In questo senso, il termine<br />

«riflessivo» esprime un potenziale squisitamente filosofico: la riflessione<br />

del paesaggio diventa occasione di riflessione sul paesaggio e<br />

di interrogazione su se stessi (autoriflessione), rivelando con ciò la<br />

propria rilevanza critica e autocritica 53 . L’esigenza di riattivare,<br />

50 Per l’espressione «comunità di paesaggio», cfr. L. bonesIo, Paesaggio, identità<br />

e comunità tra locale e globale, cit. La declinazione in senso paesaggistico del<br />

concetto di comunità deve però andare nella direzione di scongiurarne eventuali<br />

derive endogamiche, comunitaristiche o identitarie. Le comunità di paesaggio<br />

devono dunque cercare di mettere a frutto la dualità di istanze precedentemente<br />

descritta, realizzando forme inclusive e ospitali di progettualità sociale e politica.<br />

51 E. turrI, Il paesaggio come teatro, cit., p. 137.<br />

52 Ivi, p. 28. Cfr. anche E. turrI, Il paesaggio e il silenzio, cit., p. 85.<br />

53 Per una riflessione sul carattere critico, dialogico, creativo, riflessivo, emancipativo<br />

e caring del filosofare comunitario, cfr. M. lIpmAn, Educare al pensiero, cit.<br />

Per un approfondimento della nozione di «riflessività», cfr. D.A. sChön, Il professionista<br />

riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Bari,<br />

Dedalo, 1993.<br />

245


mediante la partecipazione politica, questa riflessività filosofica di<br />

modo tale che giochi a beneficio del paesaggio nasce inoltre da un<br />

problema ulteriore, costituito dall’elevata conflittualità esistente tra<br />

interessi di parte, che danno origine a giudizi, altrettanto di parte ed<br />

eterogenei, relativi alla gestione territoriale e paesaggistica. Ne risulta<br />

il seguente quadro: gli interessi di parte «obnubilano ogni capacità<br />

di guardare, di apprezzare, e difatti la maggior parte degli<br />

individui, in una società come la nostra, dove oltretutto pochi ormai<br />

devono misurarsi concretamente con il paesaggio [...], sono<br />

insensibili, indifferenti a tutto ciò che avviene intorno a loro, anche<br />

se si tratta del paesaggio che fa da scenario al loro vivere<br />

quotidiano» 54 . La questione si pone proprio a questo livello: come<br />

e con quali misure intervenire al fine di riattivare la sensibilità per<br />

il paesaggio? 55 Come far sì che gli abitanti del paesaggio se ne riapproprino<br />

da un punto di vista etico-politico tornando a considerarlo<br />

un valore e un bene al tempo stesso «proprio» e «comune»?<br />

Come mediare tra i cosiddetti «saperi esperti» e quelli «diffusi»? 56<br />

Come affrontare con efficacia e in modo trasparente la questione<br />

degli interessi individuali e collettivi? Non si ritiene che la risposta<br />

a tali interrogativi possa prescindere dalla riattivazione di dinamiche<br />

in qualche modo rigeneratrici di socialità, responsabilizzazione<br />

o cura comunitarie 57 . Al fine però di evitare forme di cristallizzazione<br />

o integralismo comunitaristiche, tali operazioni devono accompagnarsi<br />

alla consapevolezza della complessità dei processi e delle<br />

variabili in gioco 58 . Sotto questo aspetto, lo specifico contributo del<br />

54 E. turrI, Il paesaggio come teatro, cit., p. 46.<br />

55 Indicando all’articolo 6 le misure specifiche da adottare per realizzare un’efficace<br />

salvaguardia, gestione e pianificazione dei paesaggi, la Convenzione europea del paesaggio<br />

individua nella sensibilizzazione la prima e prioritaria azione da intraprendere.<br />

56 Cfr. D. CIAffI, A. melA, La partecipazione, cit., pp. 127-128 e p. 150; A. de<br />

rossI et al., Linee nel paesaggio, cit., p. 307 ss.<br />

57 La rigenerazione di socialità non può prescindere poi dalla questione pedagogicoeducativa.<br />

A questo riguardo, infatti, U. Bronfenbrenner caldeggia l’introduzione<br />

a scuola di un «curriculum relativo al “prendersi cura”» (U. bronfenbrenner,<br />

Ecologia dello sviluppo umano, cit., p. 96). Un’interessante proposta ai fini<br />

dell’instaurazione di un paradigma partecipativo e responsabilizzante viene dal<br />

«confronto creativo»; cfr. M. sClAvI, l. susskInd, Confronto creativo, cit.<br />

58 Sono questi i motivi per i quali forme di pratica sociale del filosofare come la<br />

246


filosofico alla questione paesaggistica consiste nella capacità di garantire<br />

non solo che abbia luogo la partecipazione, ma che si produca<br />

un clima riflessivo e autoriflessivo tra i suoi partecipanti. Infatti,<br />

partecipare al paesaggio non significa solo – per dirla con Turri –<br />

agire o agire diversamente, ma diventare attori-spettatori consapevoli<br />

del proprio agire, delle sue conseguenze e dei valori paesaggistici<br />

che appellano l’agire umano. In una parola, diventare<br />

attori-spettatori responsabili. Il filosofico deve dunque portare il<br />

proprio contributo riflessivo in vista del consolidamento delle tipologie<br />

codificate di azione in cui si articolano i processi partecipativi<br />

(comunicazione, animazione, consultazione ed empowerment) 59 . Si<br />

può proporre un passo ulteriore. Ci si appoggia ancora una volta<br />

alle lucide riflessioni di Magnaghi, il quale ritiene che le azioni di<br />

«riterritorializzazione» non possano andar disgiunte da una più<br />

ampia svolta culturale relativa al «modello d’uso del territorio» 60 .<br />

Questo significa tornare a porre la questione del luogo e della sua<br />

identità, le cui istanze dovrebbero essere raccolte nei cosiddetti<br />

«statuti dei luoghi». In quanto «strumento di pianificazione per lo<br />

sviluppo locale», lo statuto è «un passaggio successivo alla descrizione<br />

dell’identità del luogo» e «definisce le invarianti strutturali,<br />

le modalità di trattamento dei valori territoriali (in quanto<br />

potenziali risorse), le regole di trasformazione e le loro ricadute<br />

sulla pianificazione ordinaria» 61 . La definizione di tali statuti –<br />

«philosophy for community» di Matthew Lipman sembrano particolarmente<br />

promettenti. Tra gli obiettivi di tali pratiche si collocano infatti il potenziamento<br />

della relazionalità (auto-)riflessiva (vale a dire la capacità di andare al di là del<br />

proprio punto di vista), la creazione di una comunità di ricerca filosofica, la<br />

costruzione di senso tramite la narrazione esperienziale (impiego del pensiero<br />

espressivo e creativo), il dialogo argomentativo (pensiero critico e autocritico)<br />

e la condivisione (pensiero caring). Cfr. M. lIpmAn, Educare al pensiero, cit.<br />

59 Cfr. D. CIAffI, A. melA, La partecipazione, cit. Sui processi partecipativi mi<br />

limito a citare i seguenti testi: M. sClAvI, Arte di ascoltare e mondi possibili,<br />

Milano, Bruno Mondadori, 2003; L. bobbIo (a cura di), Amministrare con i<br />

cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia, Soveria Mannelli,<br />

Rubbettino, 2007; M. sClAvI, L. susskInd, Confronto creativo, cit.<br />

60 A. mAGnAGhI, Il progetto locale, cit., 122. Cfr. anche A. de rossI, M. robIGlIo,<br />

Nuovi ruoli per il progetto, in A. de rossI et al., Linee nel paesaggio, cit., p. 65.<br />

61 Ivi, p. 124.<br />

247


osserva Magnaghi – poggia però sul fatto che valori, storia, norme<br />

e regole sono e devono essere frutto di negoziazione, condivisione<br />

e riconoscimento a livello individuale e sociale. Si è con ciò<br />

tornati al nodo della partecipazione e allo specifico contributo<br />

che può in tal senso offrire la riflessione filosofica. Riattivare la<br />

relazionalità e la razionalità partecipativa in cui si esprime l’essenza<br />

del paesaggio significa dunque tentare di motivare alla partecipazione<br />

riflessiva e sensibilizzare alla responsabilità comunitaria.<br />

Entrambi i compiti possono realizzarsi fattivamente, in<br />

particolare mediante attività comunitarie di lettura e riflessione sul<br />

paesaggio. Fonte di ispirazione di tale proposta è ancora una volta<br />

il genio di Turri, che intende la «lettura del paesaggio come relativa<br />

al modo di inserirsi dell’azione umana nella natura, come apprezzamento<br />

delle qualità di quest’azione [...], come lettura di una vicenda<br />

umana, come interpretazione di una storia narrata o<br />

rappresentata» 62 . A tal fine nessuna disciplina scientifica e nessun<br />

sapere «esperto» sono inutili o devono a priori essere esclusi. A<br />

patto, però, che si sappia costruire un dialogo effettivo con chi<br />

«esperto» non è. Ad avviso di Turri, leggere il paesaggio è un’azione<br />

intrinsecamente complessa, che richiede un’apposita educazione.<br />

Tale complessità dipende non solo dalla stratificazione naturale<br />

e culturale di ciò che si percepisce (o su cui si va a intervenire in<br />

base a specifici progetti di trasformazione della realtà), ma anche<br />

dal fatto che l’atto con cui si guarda il paesaggio è un processo altamente<br />

selettivo e scandito in svariate tappe. Così, leggere il paesaggio<br />

significa imparare a interpretarlo come segno diacronicamente<br />

impresso dalla comunità umana e a considerare il segno<br />

umano «come il risultato di un rapporto comunicativo tra uomo e<br />

ambiente naturale» e come insieme di «risposte specifiche che<br />

l’uomo dà all’ambiente particolare in cui si trova a operare» 63 . Leggere<br />

il paesaggio si articola pertanto in due operazioni: individuare<br />

i suoi elementi componenti e strutturali (in una parola, i suoi valori),<br />

e apprezzare la qualità di questi ultimi e il loro essere pregni di<br />

62 E. turrI, Il paesaggio come teatro, cit., p. 165.<br />

63 Ivi, p. 163.<br />

248


futuro 64 . Le modalità con cui concretizzare queste azioni non sono<br />

indifferenti rispetto al risultato. Esse dovranno puntare il più possibile<br />

a suscitare la partecipazione attiva e riflessiva degli stakeholder<br />

locali e dei cittadini. Il loro ruolo in queste attività non può<br />

essere né passivo, né a rigore solamente attivo, ma dovrebbe essere<br />

riflessivo. Attraverso la mobilitazione dell’interesse personale,<br />

l’autoformazione paesaggistica e lo scambio di esperienze, l’obiettivo<br />

è che i partecipanti prendano coscienza del loro essere<br />

co-protagonisti e co-costruttori del paesaggio in cui vivono, oltreché<br />

del fatto che nel loro costruire il paesaggio ne va del senso<br />

stesso dell’abitare, in quanto cifra sintetica che esprime – tanto<br />

sotto il profilo individuale, quanto sotto quello collettivo – il plesso<br />

di identità, qualità della vita, sviluppo economico e umano, e<br />

così via 65 . Questo ci riporta direttamente al tema della responsabilità,<br />

che a livello delle comunità di paesaggio non può esaurirsi in<br />

una mera teorizzazione, ma – in prospettiva – deve assurgere a<br />

pratica liberamente assunta, condivisa e consapevole. Praticare<br />

comunitariamente la responsabilità paesaggistica significa riflettere<br />

criticamente intorno al senso e ai limiti della libertà umana e riconoscere<br />

– d’accordo con Jonas – una qualche «preminenza della<br />

responsabilità sulla pianificazione» 66 . Inoltre, significa esplicitare e<br />

mettere in pratica la fitta trama della responsabilità individuale e<br />

comunitaria. Sia come singolo sia come comunità, l’individuo è<br />

infatti responsabile non solo delle proprie azioni e delle loro conseguenze,<br />

ma anche dinanzi all’altro e alla promessa di futuro che<br />

traluce attraverso questa alterità (la responsabilità è anche sempre,<br />

e forse principalmente, cura per l’altro). Ciascuno è poi responsabile<br />

dinanzi al processo di ricerca della comunità (responsabilità<br />

epistemica), la cui sedimentazione storica si esprime attraverso i<br />

cosiddetti «valori paesaggistici». Infine, ciascuno è responsabile<br />

dinanzi alla qualità dei risultati della ricerca etica comunitaria e<br />

dinanzi ai possibili effetti derivanti dalla realizzazione pratica di<br />

64 Cfr. Ivi, p. 164.<br />

65 Cfr. L. bonesIo, Geofilosofia del paesaggio, cit., pp. 116-117, p. 121; L. bonesIo,<br />

Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale, cit., pp. 189-222.<br />

66 H. JonAs, Il principio responsabilità, cit., p. 152.<br />

249


specifiche decisioni assunte a livello comunitario. Si tratta, come si<br />

può immaginare, di compiti che investono e, al tempo stesso, eccedono<br />

in senso stretto la semplice dimensione individuale, richiedendo<br />

contestualmente il concorso di assunzioni di responsabilità a<br />

livello, appunto, comunitario o pubblico.<br />

250

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!