M. Scalia - Il leone e l'acquario - fisica/mente
M. Scalia - Il leone e l'acquario - fisica/mente
M. Scalia - Il leone e l'acquario - fisica/mente
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
IL LEONE E L’ACQUARIO<br />
Relazione di Massimo <strong>Scalia</strong>, coordinatore nazionale del<br />
Movimento Ecologista, al Convegno: “<strong>Il</strong> Sole del Mediterraneo”,<br />
Palermo 30-31 maggio 2003<br />
“<strong>Il</strong> Leone e l’Acquario”, così, con la consueta elegante fantasia,<br />
Fulvia Sebregondi titolava uno degli articoli di Quale Energia<br />
dedicato all’accoppiata energia solare/idrogeno. La citazione è<br />
d’obbligo non solo perché Quale Energia è stata, dalla fine degli<br />
anni settanta ai primi anni novanta la più prestigiosa rivista di<br />
settore degli ambientalisti, ma perché la sua pubblicazione è<br />
stata ripresa da pochi mesi, per merito de La Nuova Ecologia,<br />
ed è diretta da uno dei fondatori della prima edizione, Gianni<br />
Silvestrini.<br />
Era il 1984; nel giro di un paio d’anni uscivano, sui più importanti<br />
periodici automobilistici, articoli e foto di BMW e Mercedes, di serie<br />
all’apparenza, ma alimentate a idrogeno. Pochi anni prima, nel<br />
1980, il professor Giordano aveva aperto a Messina un laboratorio<br />
del CNR per la ricerca di base sull’idrogeno. E del resto non si<br />
trattava di un campo del tutto pionieristico, se già dal 1938 era in
funzione nella Ruhr una rete di interconnessione per il trasporto in<br />
pressione dell’idrogeno lunga 300 km.<br />
In realtà la vicenda dell’idrogeno accompagna tutto l’Evo<br />
Contemporaneo, da quando Lavoisier con i suoi esperimenti<br />
mostrò che idrogeno e ossigeno erano la base dell’acqua, dando<br />
nome a quel gas, inodore e incolore, che solo pochi anni prima<br />
era già stato sfruttato per le mongolfiere in virtù delle sue note<br />
proprietà ascensionali. Da allora, cioè dalla fine del 18° secolo,<br />
l’idrogeno è stato il protagonista di una infinità di progetti<br />
industriali, tanto è che oggi viene prodotto su larga scala con un<br />
quantitativo che si aggira intorno ai 50 milioni di tonnellate<br />
annue. Esso viene utilizzato in molte industrie per il<br />
trattamento di oli, grassi e, come materiale base, per la produzione<br />
di benzina, metanolo, coloranti, fertilizzanti, plastiche e anche<br />
medicinali. In natura è presente, nel rapporto 1 su 9, nell’acqua, e<br />
poi nella maggior parte dei composti organici, negli idrocarburi ed è<br />
un elemento fondamentale di tutti gli acidi.<br />
E’ un combustibile chimico eccezionale perché all’elevatissimo<br />
potere calorico (circa 30.000 kcal/kg, tre volte quello del miglior<br />
combustibile) associa, diversa<strong>mente</strong> dagli altri combustibili, un<br />
inquinamento pressoché nullo - “bruciato” dall’ossigeno<br />
produce acqua - e una molteplicità di usi superiore a quella<br />
della stessa elettricità, basti pensare al trasporto aereo, non solo<br />
degli Space Shuttle.<br />
IL “VETTORE” IDROGENO<br />
E’ forse necessario chiarire subito una differenza rispetto ad altri<br />
combustibili. Nonostante la sua elevata abbondanza relativa<br />
l’idrogeno non si presenta libero in natura, non è cioè una fonte<br />
primaria come le altre materie prime energetiche, dai combustibili<br />
fossili - petrolio, carbone, metano - all’energia solare, eolica,<br />
idroelettrica, geotermica, da biomasse.<br />
Questo fatto viene spesso accompagnato dal risolino critico di certa<br />
cultura ingegneresca: “Eh, ma non è una fonte primaria, è solo un<br />
vettore..” che allude, appunto, al fatto che l’idrogeno va<br />
prodotto. Poi può essere accumulato e trasmesso (e questo apre<br />
il campo alle valutazioni tecnologiche e di sicurezza, di costi per la<br />
fattibilità, ad es., dell’adattamento dei metanodotti al trasporto<br />
dell’idrogeno): infine utilizzato come combustibile.
E’, insomma, una fonte secondaria, un vettore energetico né più<br />
né meno che l’elettricità, della quale condivide molti aspetti assai<br />
appealing, dalla pluralità dei modi e delle fonti da cui si può<br />
ottenere - sottraendosi quindi all’ipoteca di “cartelli” geopolitici -<br />
alla capillarità della distribuzione. Ha in più alcuni vantaggi. Due<br />
già detti; è un combustibile che da qualche anno si sta<br />
sperimentando, come liquido criogenico, per gli aerei (Tupolev,<br />
Daimler Chrysler) ed è difficile pensare a un motore elettrico che<br />
spinga un jet; può, al contrario dell’elettricità, essere stoccato<br />
(come gas ad alta pressione, come idruri metallici) e utilizzato<br />
quando serve. Un altro vantaggio riguarda, in un futuro che<br />
potrebbe non essere remoto, le sue qualità di conduttore<br />
elettrico a resistenza quasi nulla.<br />
LA PRODUZIONE DELL’IDROGENO<br />
Come produrre questo vettore energetico, questo combustibile<br />
eccezionale? Esso può essere prodotto da fonti pulite e<br />
rinnovabili - solare, eolica, biomasse - , dai combustibili<br />
fossili, dall’energia nucleare. Dai combustibili fossili l’idrogeno<br />
viene “estratto” diretta<strong>mente</strong>, in generale attraverso processi<br />
termochimici; e mediante processi bio/termochimici l’idrogeno<br />
può venire estratto dalle biomasse o, con opportune condizioni di<br />
pressione e temperatura, si ottiene la scissione diretta dell’acqua in<br />
idrogeno e ossigeno, la termolisi. Se si parte dalle fonti<br />
energetiche rinnovabili o dal nucleare si tratta di produrre<br />
prima elettricità e con questa, scindendo l’acqua in idrogeno<br />
e ossigeno (elettrolisi dell’acqua), ottenere l’idrogeno.<br />
Vorrei subito sottolineare che l’accoppiata idrogeno/ nucleare è<br />
stata in passato a lungo ipotizzata e proposta: dai progetti militari -<br />
i “motori” nucleari delle portaerei che producessero idrogeno come<br />
carburante per gli aerei - a una più ampia strategia del gas come<br />
intermediario delle enormi quantità di calore prodotte da una<br />
centrale atomica, per immagazzinare quella energia e distribuirla<br />
per far fronte alla parte maggioritaria degli impieghi energetici, che<br />
non sono certa<strong>mente</strong> quelli elettrici.<br />
Questo binomio può essere l’occasione vera, non soltanto a mio<br />
modo di vedere, di un rilancio, questa volta sì, dell’energia<br />
nucleare che, col suo modesto 6,6% dopo quasi<br />
cinquant’anni, resta in deciso declino.
Non dobbiamo qui ripetere le ragioni, anche se purtroppo<br />
ignorate dalla maggior parte degli attuali trentenni, che abbiamo<br />
sostenuto contro l’opzione nucleare, per tanto tempo e fino alla<br />
vittoria - en passant non è male ricordare ai trentenni che dal<br />
1990 sono chiusi in Italia tutti gli impianti nucleari -, e che<br />
restano sostanzial<strong>mente</strong> immutate: nulla si è fatto nel campo<br />
della sicurezza, intrinseca o di concreti miglioramenti; la questione<br />
delle scorie di vita media lunghissima resta oggetto di ricerca,<br />
con budget rilevante in alcuni Paesi come la Francia. Per non<br />
parlare poi degli aspetti economici che fecero definire dalla rivista<br />
Forbes, era la metà degli anni ’80, i programmi nucleari degli<br />
Stati Uniti come uno dei più clamorosi fallimenti commerciali<br />
Ma non è davvero una guerra di religione: anche per queste scelte<br />
si tratta di dichiarare il proprio riferimento, non pretendendo di<br />
rappresentare posizioni oggettive o super partes, peraltro risibili. <strong>Il</strong><br />
contesto cui guardare è per noi quello della sostenibilità<br />
delle tecnologie, delle produzioni, dello sviluppo economico<br />
e sociale. Ed è significativo rilevare come già oggi, anche dal<br />
brutale punto di vista dei costi, ci siano interessanti opzioni prosostenibilità.<br />
I metodi tradizionali di produzione dell’idrogeno comprendono lo<br />
steam reforming del metano, la gassificazione del carbone e<br />
l’elettrolisi dell’acqua.<br />
Nello steam reforming il gas naturale viene fatto reagire con<br />
vapore ad alta temperatura (>800°C) e la miscela che ne risulta,<br />
raffreddata, è sottoposta ad una nuova reazione con altro vapore:<br />
dal processo escono idrogeno e anidride carbonica, CO2, che viene<br />
rimossa insieme ad altre impurità risultando alla fine solo idrogeno<br />
puro.<br />
Altri processi sono stati introdotti negli anni ’90, sempre basati<br />
sul gas naturale, che hanno in uscita la coproduzione di idrogeno<br />
e nerofumo. La vendita sul mercato di quest’ultimo componente<br />
(gomme, pneumatici, vernici, inchiostri) ripaga del costo del<br />
“sequestro” della CO2, tanto più quanto più elevata è la resa di<br />
conversione dal gas naturale in idrogeno e nerofumo: il “processo<br />
Kvaerner” porterebbe a un costo finale sensibil<strong>mente</strong> inferiore a<br />
quello dello steam reforming, mentre la tecnologia di ossidazione<br />
parziale, di efficienza inferiore al reforming con il vapore, potrebbe<br />
essere più flessibile per l’uso nelle autovetture e potrebbe essere
applicata all’“estrazione” di metanolo e etanolo dalle materie prime<br />
carboniose e dalle biomasse. 1<br />
La produzione di idrogeno da carbone è quella più svantaggiata<br />
rispetto agli altri combustibili fossili per il più basso rapporto<br />
idrogeno/carbonio (nel metano per ogni atomo di carbonio ci<br />
sono quattro atomi di idrogeno).<br />
Nell’elettrolisi si scinde diretta<strong>mente</strong> l’acqua, con l’aiuto di un<br />
elettrolita (acido o base), negli ioni dell’idrogeno e dell’ossigeno;<br />
facendo passare nella soluzione elettrolitica una corrente elettrica<br />
continua, si ottiene che l’idrogeno si deposita al catodo e<br />
l’ossigeno all’anodo. Sempre per ottenere idrogeno dall’acqua si è<br />
ricorso a processi elettrolitici con vapore ad alte temperature o alla<br />
scissione termochimica, elettrochimica o fotobiologica. Rompere le<br />
molecole d’acqua è, in ogni caso, un’operazione con elevato costo<br />
energetico, attesa la forza del legame idrogeno/ossigeno: per<br />
questo l’elettrolisi viene talvolta vista come un modo costoso di<br />
produrre idrogeno puro. In realtà grandi elettrolizzatori<br />
industriali sono stati costruiti fin dagli anni venti e, poi, dopo<br />
la seconda guerra mondiale, un po’ in tutto il mondo,<br />
dall’India all’Egitto. Dalla seconda metà degli anni ’90 sono state<br />
messe a punto e introdotte sul mercato nuove tecnologie<br />
economiche e ad elevata efficienza (>80%), che non<br />
riguardano solo grandi impianti.<br />
La questione dei costi va poi vista anche in rapporto ai costi<br />
dell’elettricità necessaria al processo e alla fonte primaria che si usa<br />
per generare questa elettricità. Dal punto di vista di quelle che<br />
vengono pudica<strong>mente</strong> chiamate externalities, cioè i costi<br />
ambientali e sanitari che le imprese tendono a far pagare alla<br />
collettività, è evidente che la produzione pulita dell’elettricità<br />
necessaria alla produzione dell’idrogeno rappresenta un vantaggio<br />
ambientale. Se si ricorre per la generazione dell’idrogeno a una<br />
fonte rinnovabile o inesauribile, come il Sole, al vantaggio<br />
ambientale si unisce il fatto che il costo della materia prima è<br />
nullo.<br />
Si capisce allora la simpatia degli ecologisti per l’idrogeno<br />
come combustibile pulito prodotto, come è tecnologica<strong>mente</strong><br />
possibile, da una fonte rinnovabile come l’energia solare o<br />
eolica: “<strong>Il</strong> Leone e l’Acquario”.<br />
Ma anche una transizione nella quale l’idrogeno dovesse essere<br />
ancora prodotto preminente<strong>mente</strong> dal metano, a tutti coloro che<br />
improvvisa<strong>mente</strong> hanno scoperto il ruolo della CO2 nei drammatici
cambiamenti climatici che stiamo già da tempo vivendo va ricordato<br />
che, se è banal<strong>mente</strong> vero che al momento della produzione si ha<br />
liberazione di CO2, al momento dell’utilizzo, pensiamo al traffico<br />
veicolare in un contesto urbano, fa una gran differenza, proprio<br />
per gli aspetti sanitari, la combustione dell’idrogeno a impatto<br />
sanitario pressoché nullo - vapor acqueo - rispetto a quella delle<br />
benzine, nei cui prodotti di combustione campeggia il<br />
cancerogeno benzene, per non citare tutti gli altri HC responsabili<br />
di danni sicuri all’apparato respiratorio.<br />
In conclusione, gli elementi fin qui forniti ci consentono di affermare<br />
che la “svolta idrogeno”, non è una profezia azzardata,<br />
diverrà, in parte lo è già, uno dei grandi leit-motiv del 21°<br />
secolo. Sarà, è bene saperlo, un grande conflitto economicotecnologico,<br />
ma anche culturale: da una parte il rilancio del<br />
nucleare, dall’altra il lancio su larga scala delle fonti<br />
sostenibili, energia solare ed energia eolica in testa; come è<br />
già oggi possibile leggere dalle scelte del Giappone, che ha<br />
mantenuto una forte opzione nucleare, ma che si sta<br />
impegnando molto seria<strong>mente</strong> sul solare. Penso che sarebbe<br />
ozioso declinare da quale parte stiamo e per quali opzioni ci<br />
batteremo in questo confronto.<br />
UN SISTEMA ECONOMICO/INDUSTRIALE “IDROGENO”<br />
E’ dalla Rivoluzione Francese che l’idrogeno calca le scene<br />
dell’attività industriale con alterne vicende. Per venire ai giorni<br />
nostri, dopo la crisi energetica del ’73 fece parte dei progetti<br />
alternativi al petrolio. Fu colpito, insieme alle fonti rinnovabili,<br />
dalla cancellazione di progetti e spese operata<br />
dall’amministrazione Reagan; nel contempo, in nome del<br />
liberismo, veniva finanziata coi soldi dello Stato l’industria nucleare<br />
mentre il nucleare militare raddoppiava il suo budget.<br />
Innegabil<strong>mente</strong> la sua riscossa fu segnata nei primi anni ‘90 dal<br />
libro di Al Gore, tradotto anche in italiano: “La Terra in bilico”.<br />
Da allora progetti di grande respiro hanno preso quota in Giappone<br />
come negli Stati Uniti come in Europa, e l’idrogeno torna di moda:<br />
Rifkin si ripropone, anche in questo campo, come profeta di un<br />
mondo nuovo 2 ; viene editato, con significative aggiunte e<br />
aggiornamenti rispetto al testo del 1981, “The forever fuel - The
history of Hydrogen”, “L’Era dell’Idrogeno” di Peter Hoffmann,<br />
al quale facciamo in più parti riferimento.<br />
Qual è il motivo per cui un combustibile versatile, che ha tutti i<br />
vantaggi dei combustibili fluidi - trasporto su lunghe distanze,<br />
stoccabilità - e che per di più ha un potere calorico elevatissimo e<br />
produce un inquinamento trascurabile, non è riuscito ad<br />
affermarsi da tempo come una delle grandi opzioni energetiche,<br />
almeno dopo la crisi energetica del ’73? Eh si, perché anche la<br />
rilevante produzione mondiale di idrogeno, peraltro indirizzata per<br />
la maggior parte a usi non energetici, rappresenta solo un 1% del<br />
fabbisogno energetico mondiale.<br />
Ci sono diversi motivi, ad alcuni abbiamo già accennato, ma quelli<br />
decisivi si riassumono facil<strong>mente</strong>.<br />
<strong>Il</strong> primo è il basso prezzo del petrolio - anche a 35 dollari a<br />
barile siamo a poco più di un terzo del costo massimo, quello<br />
del 1985 - che non stimola né le grandi multinazionali né i governi<br />
a impegnarsi nei formidabili investimenti necessari a proiettare su<br />
scala mondiale un nuovo fattore energetico; anche se non può<br />
essere sottovalutata l’amplissima gamma di progetti e<br />
sperimentazioni che renderebbero già possibile un significativo<br />
decollo dell’idrogeno nel giro dei prossimi anni.<br />
<strong>Il</strong> secondo è l’enorme inerzia associata ad ogni grande fonte<br />
energetica: si pensi non soltanto, come è ovvio, ai giganteschi<br />
interessi economico-finanziari, ma anche alle colossali<br />
infrastrutture, agli enormi quantitativi operati, ai milioni di addetti,<br />
alle abitudini consolidate anche dei consumatori, a una vera e<br />
propria “cultura” legata a quella fonte.<br />
<strong>Il</strong> terzo, il più importante, è la ancora scarsa propensione a<br />
ragionare in termini di sostenibilità, a investire sulla<br />
sostenibilità, per la quale la maggior parte delle imprese in<br />
tutto il mondo è disposta a devolvere nelle voci del proprio<br />
bilancio pochi per mille. E la tribolata vicenda del protocollo di<br />
Kyoto, che dopo cinque anni non ha ancora raggiunto quel 55% che<br />
lo renderebbe esecutivo, testimonia della sensibilità in materia di<br />
Paesi dell’importanza degli Stati Uniti e del Giappone.<br />
Nonostante queste considerazioni si intuisce da più segnali che ci<br />
troviamo di fronte a una situazione nuova. Non è solo il<br />
fascino di una proposta ormai matura: muoversi per una<br />
decisa sostituzione dei combustibili fossili. Non è solo il<br />
fascino di una grande rivoluzione industriale,
tecnologica<strong>mente</strong> ed economica<strong>mente</strong> possibile, in un<br />
percorso, appunto, di scelte sostenibili. C’è una considerazione<br />
basilare: in meno di vent’anni la produzione industriale di<br />
petrolio raggiungerà il suo massimo e allora sì che, la domanda<br />
superando l’offerta, la crescita del prezzo del greggio<br />
assumerà ritmi esponenziali. E, quando si programmano le<br />
scelte energetiche, vent’anni vuol dire domani.<br />
Elementi di valutazione economica sui prezzi, quindi, e sui nuovi<br />
protagonisti della domanda, e sulla disponibilità geopolitica delle<br />
fonti. Ma c’è anche aria di sfida, sulla competitività di nuove<br />
tecnologie energetiche che in qualche modo premono e<br />
urgono: dalla Germania come dalla Francia e dal Giappone si<br />
moltiplicano atti in questa direzione, né si può dimenticare il ruolo<br />
propulsivo che la California ha negli Stati Uniti. Del resto, a chi<br />
fosse preoccupato del carattere rivoluzionario della proposta<br />
“idrogeno” è bene ricordare che nelle migliori posizioni, per una<br />
scelta che sembra imminente, ci sono le grandi multinazionali<br />
dell’energia, a partire da BP e Shell.<br />
Vale la pena a questo punto sottolineare come una strategia<br />
industriale dell’idrogeno in chiave di grande vettore energetico<br />
possa essere concepita solo nel contesto di un forte lancio di<br />
tutte le fonti energetiche rinnovabili, dal solare - termico e<br />
fotovoltaico -, all’eolico, al micro-idro, alle biomasse. Può essere poi<br />
noioso ripeterlo, ma ogni politica di forte promozione delle energie<br />
rinnovabili deve procedere di pari passo, anzi dovrebbe essere<br />
preceduta, da significativi interventi di uso efficiente dell’energia<br />
in tutti i comparti di produzione e di consumo: la realizzazione cioè<br />
dei negawatt, che costano la metà dei megawatt e le cui<br />
enormi potenzialità furono ben illustrate dallo studio che l’ANPA<br />
commissionò a Florentin Krause 3 .<br />
E’ opportuno allora richiamare sintetica<strong>mente</strong> dati e stime, relativi<br />
all’Italia, che furono presentati dal direttore del CIRPS (Centro<br />
Interuniversitario per lo Sviluppo Sostenibile) nel convegno sul<br />
tema all’aula magna del CNR (ottobre 2002) ed implementati in<br />
un seminario svoltosi nel gennaio di quest’anno 4 : la potenzialità<br />
complessiva delle fonti rinnovabili per la produzione<br />
elettrica ascende, tenendo conto dei vincoli socio-ambientali, dei<br />
criteri economici e dei rendimenti degli attuali dispositivi, a 325<br />
Twh (*) corrispondenti a una potenza installata equivalente di circa
137.000 MW (*) ; a questa producibilità elettrica si può associare<br />
un obiettivo di produzione di idrogeno al 2020 di oltre 7<br />
milioni di tonnellate/anno, pari a oltre 20 Mtep/anno,<br />
scandito nelle tappe intermedie di 100mila ton./anno per il 2005 e<br />
di 1,5 milioni di ton./anno al 2010. Secondo le stime del CIRPS i<br />
nuovi posti di lavoro attivati, seguendo i parametri occupazionali<br />
del libro bianco della UE, nelle attività di Ricerca & Sviluppo, di<br />
produzione (con le tecnologie immediata<strong>mente</strong> disponibili nella<br />
previsione di breve termine), di infrastrutturazione (sistemi di<br />
stoccaggio, trasporto, distribuzione) sarebbero 100mila al 2005,<br />
non meno di 200mila al 2010 e oltre 600mila al 2020. Per<br />
conseguire questi obiettivi il CIRPS ipotizza un investimento di 15<br />
MLD di € per lo scenario di breve termine (con un ritorno di 1<br />
MLD di € all’anno) e un investimento di 100 MLD di € per lo<br />
scenario al 2020 (con un ritorno di 70 MLD all’anno).<br />
Sono dati e stime di un grande progetto di produzione di<br />
energie pulite e di idrogeno che, nelle cifre degli investimenti e<br />
dei conseguenti risultati in termini di energia disponibile e di<br />
nuova occupazione, fa ben capire la valenza economica e<br />
industriale dell’attivazione di questo comparto.<br />
E’ importante poi rilevare che le cifre del CIRPS implicano una<br />
gradualità ragionevole nello sviluppo delle fonti rinnovabili e<br />
l’attivazione di neanche il 5% della loro potenzialità al 2020,<br />
secondo i rendimenti “obiettivo” (quelli che i dispositivi di utilizzo<br />
avranno raggiunto per quella data); o, se si vuole un altro criterio<br />
di confronto, corrisponde a dedicare alla produzione<br />
dell’idrogeno tanti Twh da fonti pulite quanti ne prevede per<br />
l’Italia la direttiva UE (approvata nel settembre 2001), non al<br />
2020, ma al 2010.<br />
Questa produzione di idrogeno potrebbe coprire, ipotizzando al<br />
2020 una sostituzione con auto a idrogeno del 20% delle<br />
autovetture attual<strong>mente</strong> circolanti, tutto il fabbisogno italiano e<br />
quasi tutto quello europeo.<br />
Di valenza più generale per l’industria energetica, ma senz’altro<br />
anche uno dei punti chiave per le auto a<br />
idrogeno, sono le fuel cells , le celle a combustibile 5 : sono<br />
dispositivi elettrochimici che convertono<br />
l’energia di una reazione chimica diretta<strong>mente</strong> in energia<br />
elettrica. <strong>Il</strong> loro principio di funzionamento fu scoperto oltre un
secolo e mezzo fa da Sir William Grove, un fisico inglese che<br />
inventò un piccolo apparato<br />
in grado di produrre energia elettrica proprio dalla combustione<br />
dell’idrogeno ad opera dell’ossigeno.<br />
Attual<strong>mente</strong> questi generatori elettrici sono in sviluppo con<br />
una considerevole differenziazione: diversi i tipi di<br />
combustibile che le alimentano - idrogeno, metano,<br />
metanolo ecc.- , di ossidante, di elettrolita; diverse le<br />
temperature di esercizio (da meno di 100 °C a più di 800 °C)<br />
e i processi di reforming del combustibile.<br />
In quanto generatori di energia elettrica non è difficile capire la<br />
molteplicità di usi nei quali le fuel cells possono essere<br />
impiegate. Sul terreno stretta<strong>mente</strong> energetico sono utilizzabili<br />
anche per la micro-cogenerazione: produzione di elettricità<br />
con rendimenti superiori al 50% e di calore, circa il 25%, con<br />
potenze dai 250 KW ai 2 MW, cioè dalla domanda commerciale<br />
e residenziale a quella industriale; ad es., l’Edison conduce a<br />
Spinetta Marengo, con il supporto della Regione Piemonte e del<br />
Ministero dell’Ambiente, un progetto integrato “celle a<br />
combustibile + microturbina” su tecnologia Siemens, per un<br />
impianto di micro-cogenerazione da 300 KW in grado di erogare<br />
circa 170 KW di potenza elettrica e circa 70 KW di potenza termica.<br />
Questa tecnologia fornisce, insomma, un orizzonte assai<br />
interessante in un mix di opzioni e di scenari<br />
possibili e non è solo Peter Hoffmann 1 a ipotizzare che possa<br />
proprio essere la micro-cogenerazione la<br />
(*) Twh, terawattora, è un multiplo del più familiare kwh (1<br />
terawattora = 1 miliardo di kwh); per capire l’entità in gioco, 325<br />
Twh è il fabbisogno nazionale di energia elettrica prevedibile per il<br />
2006. Con MW, megawatt, si indica un multiplo del watt (mega =<br />
10 6 = 1 milione), l’unità di misura della potenza (non solo<br />
elettrica), cioè dell’energia erogata nell’unità di tempo; 137.000<br />
MW di potenza elettrica è più del doppio della potenza oggi<br />
richiesta in Italia, ma, in quanto riferita prevalente<strong>mente</strong> a fonti<br />
(sole, vento ecc.) che non sono utilizzabili con continuità, ad essa si<br />
può associare un’energia erogata, in media, per meno di 2500 delle<br />
8760 ore di un anno.
tecnologia che decollerà per prima sul mercato come traino per<br />
tutta l’“economia a idrogeno”.<br />
Davanti ai dati ed alle ipotesi per sommi capi illustrate non possono<br />
certo restare indifferenti tutti coloro che ritengono, ricordando<br />
sempre libro bianco della UE, che non tutte le produzioni possano<br />
essere dematerializzate (elettronica, informatica, telecomunicazioni,<br />
servizi ecc.), relegando nel terzo e quarto mondo quell’industria<br />
energetico-manifatturiera dei cui prodotti avremo in ogni caso<br />
bisogno; tutti coloro che ritengono invece auspicabile una sorta di<br />
re-industrializzazione ambientale in attività, appunto,<br />
sostenibili.<br />
Se pensiamo a tutte le attività di formazione, di education, di<br />
ricerca e sviluppo, di progettazione e produzione, di sistema e di<br />
rete ci si rende ben conto che l’ “economia a idrogeno” potrebbe<br />
rappresentare una valida alternativa a quel declino del nostro<br />
Paese, evocato di recente anche dal Governatore della Banca di<br />
Italia. Un declino che già da tempo si legge non tanto, o non<br />
solo, sui vari indicatori economici, ma sulla contrazione dei già<br />
esigui fondi per la ricerca, sui gravi ritardi nell’innovazione<br />
tecnologica, sulla mancanza di una forte politica di<br />
investimenti nell’istruzione e nella formazione in una<br />
prospettiva diametral<strong>mente</strong> opposta a quella para-aziendale e<br />
classista che ispira il Governo, che si parli della riforma Moratti o di<br />
quella del CNR.<br />
LO STATO DELL’ARTE NELL’UNIONE EUROPEA E IN<br />
ITALIA<br />
<strong>Il</strong> Consiglio di Göteborg del 2001, che ha fatto della<br />
sostenibilità una priorità dell’Unione europea e un criterio che<br />
deve informare la totalità delle sue politiche, prevede un maggiore<br />
sostegno alla ricerca, allo sviluppo e alla diffusione di<br />
tecnologie relative a risorse di energia pulita e rinnovabile.<br />
Nel settembre del 2001 la direttiva 2001/77 “sulla<br />
promozione di elettricità prodotta da fonti energetiche<br />
rinnovabili” (FER) riconosceva, in premessa, la primaria
importanza di una decisa iniziativa nel campo delle FER, dal punto<br />
di vista della protezione ambientale - e, in particolare, per<br />
realizzare gli obiettivi di Kyoto -, ma anche dal punto di vista<br />
dell’occupazione, della coesione sociale e del contributo alla<br />
sicurezza dell’approvvigionamento energetico.<br />
L’obiettivo comunitario al 2010 per le fonti energetiche<br />
rinnovabili veniva fissato in un contributo pari al 22% della<br />
produzione lorda di energia elettrica, in modo da poter<br />
raddoppiare la quota delle energie rinnovabili nel consumo<br />
lordo di energia totale: dal 6% del 1998 al 12%.<br />
Per conseguire tale obiettivo, la direttiva si propone di creare un<br />
quadro favorevole mediante forme di sostegno finanziario,<br />
semplificazione delle procedure amministrative e per l’accesso alla<br />
trasmissione e distribuzione di elettricità. La direttiva rinuncia<br />
però a porre precisi obiettivi vincolanti ai singoli Stati membri,<br />
limitandosi a stabilire obiettivi nazionali indicativi, così come<br />
giudica prematuro armonizzare il sostegno finanziario, che resta<br />
così prerogativa dei singoli paesi.<br />
Solo se i progressi degli Stati membri si rivelassero insufficienti<br />
rispetto agli obiettivi, la Commissione allora presenterebbe al<br />
Parlamento e al Consiglio proposte che potrebbero includere<br />
obiettivi obbligatori ed un Quadro Comunitario per i regimi di<br />
sostegno.<br />
La Commissione, in una recente comunicazione: “Prospettive a<br />
livello mondiale delle politiche in materia di Energia,<br />
Tecnologia e Clima all’orizzonte 2030”, delinea per la prima<br />
volta in maniera dettagliata le sfide globali che dovrebbero<br />
presentarsi in questo settore entro i prossimi trent’anni. Del<br />
documento, interessante per molti aspetti, non condividiamo<br />
assoluta<strong>mente</strong> gli accenti sul nucleare e non solo per le ragioni<br />
prima molto schematica<strong>mente</strong> ricordate: essi sembrano, infatti, più<br />
figli dei ripetuti richiami in materia del Commissario de Palacio, che<br />
non una più realistica presa d’atto delle risposte a quei richiami dei<br />
Governi nazionali, negative - a cominciare dal Governo italiano - o<br />
formali, e degli orientamenti in corso 6 . Del tutto condivisibile,<br />
invece, la missione internazionale della UE, delineata, attraverso<br />
il riorientamento delle sue politiche e dei suoi investimenti pubblici<br />
e privati, a favore dello sviluppo sostenibile, come impegno anche<br />
nei confronti dei PVS.
E’ poi in dirittura d’arrivo l’adozione del programma “Energia<br />
intelligente per l’Europa”, che disporrà dal 2003 al 2006 di una<br />
dotazione di 200 milioni di euro. <strong>Il</strong> nuovo programma rafforza le<br />
componenti “energie rinnovabili” (ALTENER) ed “efficienza<br />
energetica” (SAVE) e introduce altre due componenti, relative agli<br />
aspetti energetici dei trasporti (STEER) e della promozione delle<br />
fonti energetiche rinnovabili e dell’efficienza energetica a<br />
livello internazionale (COOPENER), soprattutto nei Paesi in via di<br />
Sviluppo. Inoltre esso potenzia le attività di diffusione e<br />
promozione delle migliori pratiche in materia di energia mediante<br />
azioni di sensibilizzazione ed educazione e la promozione di<br />
investimenti nelle nuove tecnologie 7 .<br />
Sempre per il quadriennio 2003-2006, il VI Programma<br />
quadro europeo della ricerca sviluppa un obiettivo di<br />
diversificazione delle fonti energetiche, che assegna allo “Sviluppo<br />
sostenibile” - che include attività su cambiamento climatico, energia<br />
e trasporti - 2,120 miliardi di euro. Le priorità in campo<br />
energetico riguardano: i) Celle a combustibile e la loro<br />
applicazione; ii) Nuove tecnologie per i vettori d’energia, il<br />
trasporto e lo stoccaggio, con particolare riguardo all’idrogeno;<br />
iii) Nuove tecnologie per le energie rinnovabili; iv) Isolamento<br />
delle emissioni di CO2.<br />
Questo nuovo programma quadro attribuisce più risorse per<br />
l’idrogeno (circa 200-300 milioni di euro) rispetto ai programmi<br />
precedenti e individua la cattura e l’isolamento della CO2 come una<br />
priorità a lungo termine 7 .<br />
L’”economia dell’idrogeno” è una delle principali priorità della<br />
Commissione Prodi, soprattutto nelle politiche dell’energia e dei<br />
trasporti.<br />
Nell’ottobre del 2002, la Vicepresidente de Palacio, con delega<br />
all’energia e ai trasporti e il Commissario alla Ricerca Busquin<br />
istituivano un gruppo ad alto livello, che, il 16 giugno scorso, ha<br />
presentato a Bruxelles il rapporto alla Commissione: “L'idrogeno e<br />
le pile a combustibile - una visione per il futuro”.<br />
<strong>Il</strong> gruppo ad alto livello raccomanda viva<strong>mente</strong> il lancio di una<br />
piattaforma tecnologica europea sull'idrogeno e le pile a<br />
combustibile sotto la guida di un Consiglio consultivo, al fine di<br />
incoraggiare un quadro politico coerente in materia di trasporti,<br />
energia, ambiente e imprese per premiare le tecnologie di sviluppo<br />
sostenibile.
La piattaforma deve anche prevedere un'Agenda per la ricerca e<br />
una strategia europea a lungo termine, inclusi programmi pilota<br />
e dimostrativi, per l'idrogeno e le pile a combustibile, che guidi la<br />
transizione, nell’arco di 20 - 30 anni, verso un'economia<br />
orientata all'idrogeno. <strong>Il</strong> rapporto presenta anche le “linee guida”<br />
per la piattaforma, indica le priorità di intervento e le possibili linee<br />
di finanziamento. Altre informazioni, e il loro aggiornamento, sono<br />
reperibili nel sito riportato nella nota bibliografica 8 .<br />
Questo è anche un modo con cui l’Unione europea può porsi come<br />
interlocutore credibile delle politiche energetiche planetarie,<br />
dopo l’esperienza negativa della guerra in Iraq e delle<br />
profonde divisioni che hanno attraversata l’UE, attuale e futura,<br />
nella speranza che il cammino della Convenzione rafforzi la sua<br />
credibilità politica.<br />
In Italia, ci troviamo di fronte alla depri<strong>mente</strong> la politica del<br />
Governo Berlusconi. Certo, l’Ulivo non aveva brillato, ma, se<br />
non altro, era stato emanato nel 2000 il decreto legislativo Bersani<br />
sulla promozione dell’impiego di fonti rinnovabili nella produzione<br />
elettrica, in sintonia con la direttiva europea - la già citata 2001/77<br />
- allora ancora in gestazione. Oggi, l’attuazione del decreto batte il<br />
passo, mentre l’azione del Governo consta di due provvedimenti,<br />
per non parlare della famigerata Ordinanza della Presidenza del<br />
Consiglio dei Ministri in materia di scorie nucleari del 7 marzo<br />
scorso, uno già preso e l’altro in itinere: il decreto<br />
“sbloccacentrali” e il d.d.l. Marzano sull’energia.<br />
Col primo, in nome di un liberismo pezzente, si dà licenza alle<br />
imprese costruttrici di centrali a turbogas e altro di far affari al di<br />
fuori di ogni programmazione e di ogni effettiva esigenza:<br />
100mila megawatt richiesti dalle aziende, circa ventimila già<br />
autorizzati, rispetto a una punta della domanda di 51.980 MW nel<br />
2002 e di un parco elettrico esistente di oltre 70mila MW. Un<br />
provvedimento così grossolano e miope da essere stato<br />
respinto dalla Regione Lazio, governata dalla CdL, che nel<br />
gennaio di quest’anno ha approvato all’unanimità, oltretutto<br />
in materia costituzional<strong>mente</strong> concorrente, la sua<br />
sospensione.<br />
L’altro, il “piano quinquennale”, disegna un programma per i<br />
prossimi cinque anni che definire low profile è ottimistico.<br />
Dovrebbe essere proprio uno strumento del genere a definire una<br />
strategia, gli obiettivi e gli investimenti per politiche energetiche
innovative, di grande rilevanza tecnologico-industriale e<br />
occupazionale come quella che stiamo qui delineando. Al contrario,<br />
tra le altre cose, riduce la quota di FER dei “certificati verdi”<br />
previsti dal decreto Bersani, assimilando all’energia elettrica da<br />
fonti rinnovabili quella ottenuta dalla combustione dei rifiuti e dei<br />
mangimi, e dalla combustione del gas ricavato dal tar, cioè dalla<br />
morchia che residua nei processi di raffinazione del petrolio.<br />
Quest’ultima estensione, che rinnovava il regime di favore che i<br />
petrolieri avevano già ottenuto con lo scandaloso CIP 6 del ’92,<br />
è stata bocciata il 17 luglio alla Camera; ma qualcuno la<br />
ripresenterà senz’altro al Senato.<br />
Non si vede proprio come, sulla base di queste azioni di governo,<br />
l’Italia possa rimontare il gravissimo ritardo nel settore delle<br />
FER, riassumibile in due dati vergognosi: al 2001 i m 2 di<br />
pannelli solari installati in Italia erano meno di quelli installati in<br />
Danimarca, un sesto di quelli dell’Austria, un dodicesimo della<br />
Germania; mentre la Germania supera i 12mila MW di potenza<br />
eolica installati, l’Italia non ha ancora raggiunto i 1000 MW.<br />
LE AUTO A IDROGENO E IL CASO FIAT<br />
Quello delle auto a idrogeno è senz’altro uno dei settori di<br />
maggior interesse: i beninformati mormorano che già nel 2005 si<br />
dovrebbero vedere in circolazione le mitiche Bmw e Mercedes di<br />
cui parlavo all’inizio, e le stazioni di rifornimento potrebbero non<br />
essere più quei “santini” mostrati in libri e riviste. Del resto, dalla<br />
Ford, alla Toyota, alla GM tutte le grandi multinazionali del settore<br />
hanno esibito da tempo i loro prototipi a celle a combustibile<br />
marcianti, mentre la Daimler Chrysler, non paga dei bus, si<br />
impegna anche nel trasporto aereo.<br />
Molti mesi fa Beppe Grillo, con la sua eclatante e intelligente<br />
presenza davanti agli stabilimenti di Mirafiori tolse la questione<br />
idrogeno dal terreno degli addetti ai lavori e implicita<strong>mente</strong>, ma<br />
non troppo, fece sorgere l’interrogativo: “Ma non è che la Fiat,<br />
nell’accordo con la General Motors, abbia fatto un passo<br />
indietro in questo settore?”.<br />
Più che un interrogativo sembrerebbe quasi una certezza, se si<br />
pensa all’impegno sulle auto a idrogeno della GM, a partire<br />
dall’Opel, la controllata della GM che rappresenta l’interfaccia
europea dell’accordo e che ha già presentato nel ‘98 uno dei suoi<br />
modelli di successo, la Zafira, con le celle a combustibile.<br />
In un recente Salone la GM ha presentato come concept car un<br />
“ibrido”, cioè una vettura con un doppio dispositivo: a celle a<br />
combustibile alimentate a idrogeno, e a benzina, con un reformer<br />
che estrae dalla benzina idrogeno. Quale sia il significato di questa<br />
seconda possibilità merita certa<strong>mente</strong> attenzione: l’idrogeno<br />
sembrava porre problemi di stoccaggio a bordo, ma già nel<br />
1999 in una conferenza a Vancouver i consulenti della Ford<br />
concludevano che lo stoccaggio a bordo è possibile e che<br />
l’idrogeno “potrebbe addirittura essere il combustibile meno<br />
costoso per i veicoli con celle a combustibile, con prezzo inferiore a<br />
quello della benzina in rapporto ai chilometri percorsi” 1 . E del resto<br />
già oggi un litro di idrogeno costa meno, in Europa, di un litro<br />
di benzina.<br />
Perché allora nella concept car della GM anche l’alimentazione a<br />
benzina (con il reformer per l’idrogeno)? E’ una questione di<br />
strategia: se si valuta che la rete di distribuzione dell’idrogeno<br />
per le autovetture abbia tempi di realizzazione più lunghi e che le<br />
difficoltà complessive possano essere maggiori di quelle<br />
preventivate, c’è una soluzione di transizione che consente di<br />
poter continuare a consumare benzina e, per il breve termine, c’è<br />
un miglioramento dal punto di vista dei consumi e, quindi,<br />
dell’autonomia. Proprio in questa chiave la GM ha proposto, come<br />
vari giornali hanno riportato, un veicolo militare, un “ibrido”<br />
gasolio-idrogeno (con celle a combustibile), che è l’oggetto di una<br />
possibile massiccia commessa di 30mila unità. Alla luce di questo<br />
fatto si può pensare - basta aver a <strong>mente</strong> i fondi che l’esercito Usa<br />
può mettere a disposizione della sperimentazione e della<br />
produzione - ad un’accelerazione formidabile della diffusione<br />
delle auto a idrogeno. Tant’è che Rick Wagoner, presidente e<br />
amministratore delegato di GM, ha annunciato l’offerta entro il<br />
2003 di un’intera gamma ibrida, dai pick up alle berline medie,<br />
con la prospettiva di ridurre il divario generazionale tra i motori a<br />
combustione interna e quelli a celle a combustibile e in sostanziale<br />
accordo, peraltro, con le indicazioni dello studio del MIT del<br />
febbraio di quest’anno 9 .<br />
<strong>Il</strong> panorama finora evocato fa capire l’entità della partita in<br />
gioco e come la crisi Fiat potrebbe rappresentare<br />
un’opportunità, ove fosse stata e fosse gestita in termini diversi,
a partire dalla concessione della cassa integrazione all’impegno di<br />
risorse pubbliche e private, da quelli, tradizional<strong>mente</strong> finanziari e<br />
di industrial planning, secondo i quali viene affrontata.<br />
Non è una critica gratuita o un pregiudizio, come si può capire<br />
dall’esame dell’accordo di Arese 10 . L’accordo - stipulato tra<br />
Sindacato, Regione Lombardia, Amministrazioni locali interessate e<br />
imprese proprietarie delle aree - prevede la creazione di un Polo<br />
della Mobilità Sostenibile, costituito da centri di ricerca<br />
applicata per nuove tecnologie nel campo della mobilità e<br />
dell’energia “volte alla salvaguardia dell’ambiente e della salute” e<br />
di sostegno tecnologico agli operatori industriali, centri di<br />
sperimentazione, gestione del traffico con sistemi intelligenti; ma,<br />
soprattutto, prevede condizioni favorevoli per l’insediamento<br />
progressivo di realtà produttive nei settori dei veicoli,<br />
trasformazione a metano di veicoli pesanti, pneumatici, celle a<br />
combustibile per l’uso dell’idrogeno. Completano il quadro i centri<br />
di omologazione per componenti e veicoli e di studio per la<br />
sicurezza. Insomma, un evento di importanza significativa per la<br />
prospettiva che apre in direzione di una riconversione produttiva<br />
improntata alla sostenibilità. E, accanto all’impegno per interventi<br />
di sostegno normativo, la Regione annuncia una dotazione di<br />
partenza dell’ordine dei 40 milioni di euro.<br />
Che fine ha fatto la Fiat in tutto questo? Oggi la Fiat non c’è.<br />
Ma, superato, almeno sembra, il momento peggiore del rapporto<br />
con le banche, e ridisegnata una missione che ripone al centro del<br />
core businness la produzione di autovetture competitive, in molti<br />
sperano che i promotori dell’accordo di Arese abbiano qualche<br />
carta per stanare, in un prossimo futuro, Fiat ad una prospettiva<br />
che si potrebbe rivelare straordinaria<strong>mente</strong> positiva.<br />
La parte più significativa potrebbe essere proprio quella<br />
dell’idrogeno. Sarà forse improbabile, ma non è utopia concepire un<br />
grande accordo di programma tra la Fiat, gli Enti territoriali<br />
interessati, i Ministeri competenti ed altri soggetti - Università,<br />
Centri di ricerca - che abbia come obbiettivo la riconversione<br />
parziale di alcuni segmenti produttivi nella ricerca &<br />
sviluppo e realizzazione delle auto a idrogeno, ma anche nel<br />
trasporto aereo; nella produzione delle diverse tipologie di<br />
celle a combustibile, per autovetture e per la microcogenerazione,<br />
attingendo ai finanziamenti europei<br />
disponibili. Innovazione tecnologica e difesa<br />
dell’occupazione si salderebbero, a Torino come a Termini
Imerese, in una prospettiva di sostenibilità. Insomma, Fiat<br />
potrebbe rappresentare la capofila di una rete di imprese per<br />
l’ampio sistema di componentistica necessario, assistita da un<br />
insieme di partner scientifici degni di rispetto: dalla disponibilità<br />
annunciata dal Politecnico milanese, al già ricordato CIRPS, al<br />
laboratorio del CNR di Messina, all’Enea.<br />
Anche in Italia, come in molti Paesi avanzati, l’automobile<br />
potrebbe essere una sorta di “cavallo di Troia” per andare verso<br />
l’era dell’idrogeno, in tempi ragionevoli e con la ricaduta, di<br />
grande rilevanza rispetto agli obiettivi di Kyoto, di abbattere una<br />
quota significativa di CO2; e di ridurre forte<strong>mente</strong>, anche nel<br />
caso di una transizione con gli ‘ibridi’, l’inquinamento urbano<br />
dovuto al traffico veicolare, con guadagno certo per la<br />
salute.<br />
L’ENERGIA SOLARE E IL MEDITERRANEO<br />
In questo ragionamento, forte<strong>mente</strong> incentrato sulle prospettive<br />
dell’energia da idrogeno, non si può certo tacere quella “fusione<br />
fredda” che Giuliano Preparata, le sue sperimentazioni, i<br />
successi suoi e dei suoi collaboratori hanno sottratto dal limbo del<br />
futuribile: nel medio periodo la fusione fredda potrebbe, tra l’altro,<br />
rendere disponibili dei reattori di piccola potenza al servizio di<br />
un’incredibile pluralità di usi domestici. Giuliano non è più con noi,<br />
ma la battaglia istituzionale che, mi sia consentito, ho<br />
pervicace<strong>mente</strong> condotto, è riuscita da tempo a incardinare quelle<br />
ricerche di base, con la autorevole comprensione di Carlo Rubbia,<br />
nei laboratori dell’Enea di Frascati.<br />
Come non ricordare, allora, che, in occasione della<br />
commemorazione di Giuliano Preparata alla Sala del Cenacolo della<br />
Camera (24 ottobre 2000), fu proprio Carlo Rubbia a presentare<br />
un progetto di solare termodinamico, quasi con gli stessi<br />
argomenti e gli stessi esempi che molti di noi avevano usato, senza<br />
successo, oltre vent’anni prima: nelle parole del premio Nobel<br />
l’enorme potenziale di energia solare del Mediterraneo veniva<br />
proposto quasi come sfida da lanciare al Nord Europa, ricco di<br />
carbone e di petrolio; cioè, venendo al nostro tema, uno dei modi
puliti per avere energia elettrica, in generale, e per produrre<br />
con essa l’idrogeno.<br />
Su quel progetto, pochi giorni dopo, vennero appostati 200 MLD<br />
di lire nella Finanziaria 2001, ai quali se ne sarebbero dovuti<br />
aggiungere altri 300 dei due colossi di proprietà del Tesoro, Eni e<br />
Enel. Alla presentazione della fattibilità del progetto, nell’autunno<br />
2001, furono liquidati all’Enea 30 miliardi, una novantina vagano<br />
nel “piano quinquennale” di Marzano, gli altri sono spariti e<br />
quelli che il Governo doveva far sborsare a Eni ed Enel non si<br />
sono più visti: non c’è più il progetto. Memoria di esso e della<br />
fusione fredda si può trovare in un opuscolo, certo non di larga<br />
diffusione 11 .<br />
Resta però ferma la convinzione che è in quella direzione che<br />
bisogna muoversi. In questi mesi, in seminari e convegni, è stata<br />
spesso posta la questione:“Ma perché produrre elettricità dal sole<br />
per poi produrre idrogeno, che serve, a sua volta, per produrre<br />
elettricità? Utilizziamo diretta<strong>mente</strong> l’elettricità prodotta dal sole o<br />
dal vento”. Sarebbe sbagliato vedere queste scelte come fossero in<br />
contrapposizione: la risposta è: “Sviluppiamo al massimo tutte le<br />
fonti rinnovabili - i diversi tipi di solare, il vento, le biomasse -; e<br />
sviluppiamo al massimo le potenzialità del vettore idrogeno”.<br />
Se 2500 km 2 dell’assolato interno della Sicilia - un po’ meno di un<br />
decimo della superficie dell’isola, l’8 per mille del territorio<br />
italiano - potrebbero rispondere a tutta la richiesta di elettricità<br />
dell’Italia, appunto per via solare, quanto può dare, con molto<br />
minor problemi socio-ambientali, l’8 per mille degli oltre 5<br />
milioni di km 2 di superficie del Sahara? Quanto basterebbe a<br />
far fronte al fabbisogno elettrico al 2030 di tutta l’Africa e<br />
dell’Europa dei “25”.<br />
Ma le migliaia di terawattora producibili, per poter essere gestiti<br />
rispetto ai “carichi”, cioè alle diverse esigenze quantitative,<br />
stagionali e orarie in un sistema a rete devono prevedere grandi<br />
capacità di accumulo per poter trasmettere e distribuire secondo<br />
le flessibilità richieste. Del resto questo è sempre stato il fascino e il<br />
grande sogno del “<strong>leone</strong>” e dell’ “acquario” 12 : enormi potenziali di<br />
energia solare, a grandi distanze dalle utenze (Sahara,<br />
Australia, Gobi), trasformata in idrogeno per poterla poi erogare<br />
secondo le modulazioni della domanda.
<strong>Il</strong> CEPES (Centro Studi di Politica Economica in Sicilia) e<br />
l’indomabile Nicola Cipolla che lo dirige hanno capito a pieno<br />
queste potenzialità e la necessità di coinvolgere in un progetto<br />
epocale gli interlocutori sociali, associazioni, movimenti,<br />
sindacato e imprese, qui in Italia, per metterli in rapporto con gli<br />
esponenti della sponda “di fronte” del Mediterraneo.<br />
E’ un’iniziativa lungimirante alla quale bisogna assicurare<br />
supporti finanziari e, soprattutto, iniziative politicoistituzionali.<br />
Basta ricordare che nella comunicazione adottata il<br />
13 maggio scorso dalla Commissione UE, tra i vari campi di<br />
intervento individuati nell’ambito del rafforzamento della<br />
cooperazione energetica con i paesi vicini, venivano indicati quelli<br />
della creazione di mercati euromediterranei dell'elettricità e<br />
del gas; della stretta partecipazione dei paesi vicini e dei<br />
partner in via di sviluppo all'armonizzazione tecnica e<br />
all'interoperabilità delle reti di gas e di elettricità; della costruzione<br />
di nuove infrastrutture eventual<strong>mente</strong> necessarie per un buon<br />
funzionamento dell'Unione ampliata, in stretta collaborazione con i<br />
paesi fornitori e con le regioni di transito. Nel quadriennio 2003-<br />
2006 è poi operativo il già ricordato programma europeo<br />
COOPENER, dedicato proprio alla cooperazione con i Paesi in via di<br />
sviluppo per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili.<br />
L’UE si assume il compito di affrontare con strumenti transnazionali<br />
sfide di carattere transnazionale, che integrino gli aspetti<br />
tecnologici con quelli infrastrutturali, economici, sociali e culturali;<br />
l’Italia si dovrebbe muovere in questo main stream.<br />
Ma, per i motivi già ricordati, mi sembra che il Governo non sia<br />
proprio in grado di mettersi in sintonia, o non voglia, con progetti<br />
di così gran peso e momento; il suo cervello a tutt’altre faccende<br />
affaccendato a queste cose è morto e sotterrato. Si tratta allora di<br />
pensare a un’alternativa politica rispetto alla indisponibilità del<br />
Governo, sia di quello centrale che di quello della Sicilia,<br />
ricorrendo esplicita<strong>mente</strong> ad alcuni grandi enti territoriali, penso<br />
alla Regione Campania, ai Comuni di Roma e di Napoli, per<br />
stimolarne la “vocazione mediterranea” e uno sponsorship nella<br />
direzione indicata. Anzi, pensare in grande non fa mai male, a una<br />
più generale iniziativa non solo sul terreno del sole e<br />
dell’idrogeno, ma dell’acqua e della gestione dei rifiuti.<br />
Questo è l’impegno particolare, a nome del Movimento<br />
Ecologista, nell’ambito di un più generale impegno politico che
stiamo da vari mesi profondendo su tutti questi terreni; insieme,<br />
ovvia<strong>mente</strong>, al proseguire la comune impresa di sensibilizzare<br />
tutti gli interlocutori sociali, CGIL nazionale in testa, ma anche il<br />
mondo imprenditoriale e della formazione.<br />
E’ bene chiarire che a un progetto del genere spetterebbe definire<br />
tutte le questioni di sicurezza per l’accumulo e il trasporto<br />
dell’idrogeno ed i relativi costi. Su queste problematiche esistono<br />
esperienze industriali, analisi sugli incidenti (ad es., quelle<br />
raccolte dalla NASA 1 ), studi sui materiali (ad es., la questione<br />
dello sfaldamento delle tubature) e sull’esigenza di additivare<br />
l’idrogeno, che è inodore e incolore, con altre sostanze che gli<br />
diano un odore o un colore 13 ; come anche dettagliate analisi sui<br />
costi del trasporto (ad es., dall’Algeria alla Ruhr 1 )<br />
Senza soggiacere alla sindrome dell’Hinderburg - il disastro nel<br />
1937 del dirigibile tedesco, che stende a tutt’oggi sull’idrogeno<br />
un’ombra nell’opinione pubblica 14 - , è però del tutto connaturato<br />
alla cultura ecologista dare priorità alle questioni di sicurezza (a<br />
partire dalle norme e dalle leggi che devono regolare gli usi<br />
energetici dell’idrogeno 13 ); e questo impegno vale ovvia<strong>mente</strong> non<br />
solo per il progetto abbozzato, ma anche per tutti i momenti e i<br />
dispositivi di utilizzo prevedibili in un prossimo futuro, autovetture<br />
in testa.<br />
DALLA QUANTITA’ ALLA QUALITA’<br />
Abbiamo sempre contrastato sul terreno energetico la concezione<br />
de “la scelta”, come unica e risolutiva, alla quale ambiva il<br />
nucleare. Storica<strong>mente</strong> non è mai stato così, né ci sono validi<br />
motivi razionali per ritenere che ci sia “una sola risposta” e non,<br />
invece, una pluralità, un mix di soluzioni possibili. La “svolta<br />
idrogeno” sarà una delle risposte cardinali per il 21° secolo<br />
se, come per ogni altra scelta economica, industriale e,<br />
quindi, sociale, potrà essere inscritta nel passaggio epocale<br />
dalla quantità alla qualità, evocato fin dalle sue origini dal<br />
movimento ecologista e perno di ogni politica della<br />
sostenibilità.
NOTA BIBLIOGRAFICA<br />
1 Peter Hoffmann, L’era dell’idrogeno, 2002, Franco Muzzio<br />
Editore, Roma;<br />
2 Jeremy Rifkin, Economia all’idrogeno, 2002, Mondadori, Milano;<br />
3 Florentin Krause, La risorsa efficienza, 1999, rapporto<br />
commissionato dall’ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione<br />
Ambientale), Roma;<br />
4 Vincenzo Naso, direttore del CIRPS, relazione al Seminario: “La<br />
svolta idrogeno”, Camera dei Deputati, 28 gennaio 2003, Roma<br />
(disponibile sui siti: www.uniroma1.sae.it; www.yoyoba.it );<br />
5 Per il loro funzionamento e le diverse tipologie vedi, ad es., ENEA,<br />
TEA-CCBT/MR/2001;<br />
6 <strong>Il</strong> parlamento tedesco approvò già nella precedente legislatura<br />
una mozione che dava alla Germania l’obiettivo di sostituire, entro il<br />
2050, i combustibili fossili tramite l’uso efficiente dell’energia e le<br />
fonti rinnovabili. <strong>Il</strong> premier francese Raffarin ha sostenuto che un<br />
massiccio impegno nelle fonti rinnovabili per l’adempimento del<br />
protocollo di Kyoto, nella linea della sostenibilità, costituisce una<br />
delle priorità del suo Governo. Per il Regno Unito, è assai istruttivo<br />
lo studio: “Slow Road to UK Hydrogen Economy/Fuelling Road
Transport - Implications for energy policy”, EST (Energy Saving<br />
Trust) www.est.org.uk, IEEP (Institute for European Environmental<br />
Policy) www.ieep.org.uk, NSCA (National Society for Clean Air and<br />
Environmental Protection) www.nsca.org.uk, novembre 2002;<br />
7 Carlotta Gualco, direttore del Centro In Europa, relazione al<br />
Seminario: “Verso l’era dell’idrogeno”, Palazzo Doria Spinola,<br />
19 maggio 2003, Genova;<br />
8<br />
http://www.europa.eu.int/comm/research/energy/nn/nn_rt_hlg1_e<br />
n.html ;<br />
9 MIT LFEE_2003_001_RP.pdf : “Comparative Assessment of<br />
Fuel Cell Cars”;<br />
10 Gianni Mattioli e Massimo <strong>Scalia</strong>, “Da Arese parte il futuro<br />
italiano dell’idrogeno”, <strong>Il</strong> Manifesto, 22 aprile 2003;<br />
11 L’energia fredda e le fonti rinnovabili. In ricordo di<br />
Giuliano Preparata, Maggioli Editore, 2002, Rimini;<br />
12 In verità va riconosciuta a Cesare Marchetti , per quel che<br />
riguarda l’Italia, una primogenitura sull’idrogeno, con un’ipotesi<br />
contrapposta a quella di questa relazione, ma con molti elementi<br />
comuni: egli infatti sostenne a livello europeo, con decisione ed<br />
entusiasmo, la promozione dell’idrogeno in accoppiata con la<br />
produzione nucleo-elettrica. Marchetti, un tecnologo che aveva<br />
lavorato all’ENI negli anni ’50 e dirigeva nel ’70 il Centro di ricerca<br />
per l’energia atomica della CEE di Ispra, sosteneva il ricorso<br />
all’idrogeno non soltanto per superare l’era dei combustibili fossili,<br />
ma anche per usi energetici diversi dall’elettricità (ad es., come<br />
combustibile domestico e industriale), come input per produzioni<br />
nell’industria chimica, estrattiva, dei trasporti e per produzioni<br />
alimentari (proteine);<br />
13 Vale la pena di menzionare anche lo sforzo fatto, già dal 1990,<br />
per la costituzione di un Comitato tecnico per l’energia da idrogeno<br />
- il TC 197 - all’interno dell’Organizzazione Internazionale per gli<br />
Standard 1 . La sostanziale assenza in molti Paesi avanzati di norme<br />
e di misure di sicurezza per gli usi energetici dell’idrogeno rende
problematico il lavoro del TC 197 ed è, ovvia<strong>mente</strong>, uno dei punti di<br />
prima attenzione anche per l’Italia;<br />
14 All’incontro annuale del 1997 della National Hydrogen<br />
Association, Addison Bain, un tecnico della NASA, presentò i<br />
risultati di un suo decennale lavoro sull’incidente che configuravano<br />
una primaria responsabilità non dell’idrogeno, ma delle scariche<br />
elettriche atmosferiche in presenza del materiale alta<strong>mente</strong><br />
infiammabile di cui era costituito il rivestimento del dirigibile<br />
(alcune sostanze, come l’ossido di ferro e la polvere d’alluminio,<br />
sono usate nei razzi ausiliari dello Space Shuttle). Quei risultati<br />
furono pubblicati, tra l’altro, nella sezione scientifica del New York<br />
Times e furono oggetto di vari documentari televisivi 1 . Bain mostrò<br />
nell’ultima diapositiva l’incendio, che a prima vista poteva sembrare<br />
quello dell’Hindenburg, di un dirigibile in una base della Georgia,<br />
che era stato riempito non con idrogeno ma con elio (un gas<br />
chimica<strong>mente</strong> inerte), e concluse: “La morale della storia è: non<br />
verniciate il vostro dirigibile con combustibile da razzi” 1 .