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alla parte iii - fisica/mente

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ASTRONOMIA 3<br />

FISICA/<br />

MENTE<br />

La storia dell'astronomia dai miti<br />

dell'antichità all'Universo infinito<br />

ALLA PARTE II<br />

GALILEO E COPERNICO<br />

PARTE III: l'astronomia moderna<br />

Roberto Renzetti<br />

[Premetto che tralascerò completa<strong>mente</strong> ogni riferimento al processo per il quale rimando ai sei<br />

articoli dal titolo L'incapacità di comprendere la rivoluzione galileiana].<br />

Iniziamo con seguire l'approccio di Galileo a Copernico per poi passare a vedere le sue<br />

scoperte astronomiche che, per la prima volta, fornirono una realtà <strong>fisica</strong> al cielo. Fino ad allora<br />

infatti lo studio del cielo era stato eminente<strong>mente</strong> cinematico, come se gli astri non avessero<br />

caratteristiche fisiche, come se tutto ciò che non fosse la Terra non avesse consistenza e fosse,<br />

aristotelica<strong>mente</strong>, un altro mondo incorporeo. Abbiamo visto che Kepler provò ad assegnare<br />

qualche caratteristica agli astri ma abbiamo anche visto che i suoi lavori passarono abbastanza<br />

inosservati.<br />

La prima notizia che abbiamo da un documento della "conversione" di Galileo al<br />

copernicanesimo è del 1597 (Galileo ha 33 anni e da 5 anni da Pisa si è trasferito a Padova (1) ). A<br />

maggio, da Padova, scrive una lettera (che in realtà è una vera pubblicazione che viene fatta<br />

circolare a mano) al suo ex collega Iacopo Mazzoni (2) manifestando per la prima volta la sua<br />

adesione alle teorie copernicane con una prima elaborazione matematica per contestare delle<br />

posizioni anticopernicane. Forte di questa prima uscita e del successo che aveva avuto, ad agosto,<br />

da Padova, scrive una lettera a Kepler (3) manifestandogli la sua adesione alle teorie copernicane.<br />

Egli dice che già da tempo pensa a tali teorie, di aver già in mano alcuni indizi favorevoli al sistema<br />

astronomico di Copernico, "nostro comune maestro", come lo chiama Galileo, ma di non avere<br />

argomenti per sostenerle (si tenga conto che in quegli anni si era in piena Controriforma: 30 anni<br />

prima San Tommaso era stato fatto Dottore della Chiesa; Giordano Bruno da 6 anni era nel carcere<br />

dell'Inquisizione; non si respirava aria tranquilla). Galileo viene confortato d<strong>alla</strong> risposta di Kepler<br />

(4) il quale gli comunica che ormai, dalle sue parti, ogni astronomo calcola le effemeridi basandosi<br />

sul sistema copernicano. Kepler fa inoltre osservare a Galileo che l'ordinaria accettazione del<br />

sistema copernicano da <strong>parte</strong> degli astronomi fa sì che ormai non restino da convincere che i<br />

matematici, i quali - per loro stessa definizione - non concedono postulati senza dimostrazione.<br />

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Galileo sa però che il copernicanesimo è solo una costruzione ipotetica che ha di fronte<br />

difficoltà enormi per essere solo preso in considerazione. Per quanto una gran mole di dati<br />

provenienti soprattutto dalle osservazione dei naviganti, testimonino la non affidabilità del sistema<br />

di Tolomeo, il geocentrismo è molto più affidabile, se non altro perché è a tutti più familiare.<br />

Galileo non ha altro, in questo momento, che lo spiraglio della possibilità di confutazione del<br />

sistema geocentrico attraverso una dimostrazione geometrica (quella che fa a Mazzoni). E' molto<br />

poco ed egli non azzarda di squalificarsi senza avere argomenti più solidi. Alle sollecitazioni di<br />

Thyco del 1600 a scrivere qualcosa sull'argomento neppure risponde. Anche perché il 17 febbraio<br />

di quell'anno la Chiesa aveva messo al rogo Giordano Bruno per aver sostenuto, solo in ambito<br />

filosofico, il copernicanesimo. Inoltre nel 1592 Francesco Patrizi era stato condannato per aver<br />

sostenuto l'esistenza di un solo cielo, la rotazione della Terra, la vita e l'intelligenza degli astri,<br />

l'esistenza di uno spazio infinito - riempito dal lumen - al di sopra del mondo sublunare; nell'arco di<br />

dieci anni, durante il pontificato di Cle<strong>mente</strong> VIII, erano state messe all'indice la Nota philosophia<br />

dello stesso Patrizi, il De rerum natura di Telesio, l'opera omnia di Bruno e di Campanella; erano<br />

state effettuate le inchieste contro Giambattista della Porta, Nicolò Stigliola e Cesare Cremonini;<br />

era stato condannato a morte Francesco Pucci, imprigionato Tommaso Campanella, arso sul rogo,<br />

come già detto, Giordano Bruno.<br />

A Padova il 10 ottobre del 1604 era apparsa nel cielo, nella costellazione di Ofiuco, una nuova<br />

stella (una supernova). Tutti gli studiosi si concentrarono sul fenomeno con varie discussioni, scritti<br />

e lettere (5) . Lo stesso Galileo aveva redatto appunti per alcune sue lezioni (6) , aveva chiesto<br />

informazioni sulle osservazioni di suoi conoscenti ed amici in altre città ed aveva fatto delle<br />

osservazioni, riportate come postille dal suo allievo Viviani ad un libretto che l'aristotelico<br />

Baldassar Capra aveva scritto sul fenomeno (7) . A questo lavoro di Capra ne seguì un altro, il<br />

Discorso intorno <strong>alla</strong> Nuova Stella dell'altro aristotelico, Antonio Lorenzini da Montepulciano. A<br />

quest'ultimo lavoro seguì uno scritto di autore incerto che fu attribuito a Galileo (anche se poi si<br />

scoprì essere stato scritto dal monaco benedettino Girolamo Spinelli con il sostanzioso aiuto e<br />

consiglio dello stesso Galileo), il Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la<br />

stella nuova del 1605 (8) . Il fatto è che quella stella ed i tentativi di riportarne la spiegazione<br />

all'interno della <strong>fisica</strong> aristotelica erano fatti apposta per stuzzicarlo. In un cielo eterno, etereo,<br />

immutabile, queste stelle nuove (altra era apparsa, nella costellazione del Sagittario, nel 1572 e<br />

Thyco aveva avuto una grande attività intorno ad essa) rappresentavano, quantomeno, un fatto da<br />

discutere. La prima questione che si presentava riguardava il seguente quesito: il fenomeno che si<br />

vede, dove si genera ? Al di sotto del cielo della Luna, dove sono possibili generazione e<br />

corruzione ? O al di sopra di tale cielo ? Se quest'ultima è l'eventualità che ne è delle caratteristiche<br />

suddette dei cieli al di sopra di quelli della Luna ? e, come vedremo, una discussione analoga<br />

nascerà per le comete. Galileo, al di là delle pagine ufficiali che scrive si diletta con il citato lavoro,<br />

un poemetto che, si badi bene, è scritto in dialetto padovano molto ma molto stretto (tanto che<br />

Antonio Favaro, curatore dell'Edizione Nazionale, ha dovuto tradurlo in volgare). In tale poemetto<br />

vi sono delle affermazioni che mettono in dubbio varie concezioni aristoteliche. Si inizia un dialogo<br />

in cui l'interlocutore Matteo sostiene la grande lontananza di tale stella. Natale obietta che non è poi<br />

tanto lontana se si trova sotto il cielo della Luna. Matteo chiede chi gli ha detto tal cosa e Natale<br />

risponde che sono i filosofi. Al che Matteo risponde seccato: "Filosofo, gli è? che ha a che fare la<br />

sua filosofia col misurare? Non sai che un ciabattino non può ragionare di fibbie? E' bisogna<br />

credere ai matematici, che sono misuratori dell'aria...". Per Matteo sono i matematici che debbono<br />

misurare e non basta. Vi sono altre cose che quei filosofi non capiscono come, ad esempio, il fatto<br />

che le stelle potrebbero essere tante, molte di più di quante se ne vedono ... Natale non demorde e<br />

dice che per quei filosofi se tale stella fosse in cielo rovinerebbe tutta la filosofia perché nel cielo<br />

non si può creare nulla essendo esso fatto di quint'essenza. Matteo si arrabbia e dice che allora<br />

dovrebbero portare in giudizio la stella. Quei filosofi dovrebbero convincersi che le cose in cielo<br />

vanno come sulla Terra e che quella stella è stata vista nello stesso luogo da spagnoli, tedeschi e<br />

napoletani e la cosa mostra che non sembra esservi par<strong>alla</strong>sse. Infine Matteo consiglia a Natale di<br />

utilizzare come carta igienica il libro di quei filosofi.<br />

Non risultano altre cose di Galileo in relazione a Copernico per altri 5 anni. Il nostro continuò<br />

i suoi insegnamenti di <strong>fisica</strong> aristotelica su: l'Almagesto di Tolomeo, il De caelo di Aristotele, la<br />

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Sphaera Mundi di Sacrobosco, il Liber de astronomia di Teone di Smirne. Mantenne<br />

pubblica<strong>mente</strong> un cauto riserbo sull'interpretazione del fenomeno, facendo addirittura intendere<br />

che poteva trattarsi di vapori lontani, illuminati dal Sole, in rapido moto di allontanamento radiale<br />

(spiegazioni molto in uso tra i filosofi aristotelici). Occorrerà attendere il 1610 perché le cose<br />

cambino.<br />

IL "SIDEREUS NUNCIUS"<br />

Arriviamo al 1610, primo anno fondamentale nella vita di Galileo che ha ora 46 anni.<br />

Raccoglie in un volume, "Nuncius Sidereus" ('Il messaggero delle stelle', nome che in qualche<br />

modo richiama il Mercurio, l'Hermes, della filosofia ermetica - vedi l'articolo "Magia, Scienza e<br />

Religione nel Rinascimento italiano"), tutte le osservazioni fatte nel cielo con il suo cannocchiale<br />

(elaborato da un esemplare che gli era stato portato dall'Olanda e che egli, per primo, rivolge al<br />

cielo). In particolare scopre:<br />

- le macchie sulla Luna sono ombre proiettate dai monti (dei quali calcola l'altezza); la superficie<br />

del satellite si rivela scabrosa, irregolare, con monti e valli quali osserviamo nel nostro mondo e<br />

non certo incorruttibili e perfetti come descritti d<strong>alla</strong> cosmologia aristotelica (9) ;<br />

La luna come disegnata da Galileo<br />

- scopre le quattro 'lune' di Giove, fatto che mostra che non solo la Terra può essere centro di moti<br />

circolari (10) ; egli ne dà le successive posizioni disegnando Giove con un circoletto e le 4 lune con<br />

degli asterischi di diverse grandezze;<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Le lune di Giove come si osservano in momenti diversi con un cannocchiale<br />

- la via lattea è costituita da un'infinità di stelle (la cosa era già stata sostenuta da Democrito) e ne<br />

fornisce alcune mappe;<br />

Una delle mappe stellari disegnate da Galileo e riportante svariate stelle non visibili ad occhio nudo<br />

- scopre l'anello di Saturno (data la bassa risoluzione del suo cannocchiale, non vede chiara<strong>mente</strong><br />

l'anello, ma il pianeta gli appare 'tricorporeo');<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Saturno, disegnato da Galileo<br />

I vari modi in cui poteva apparire Saturno con un cannocchiale come quello di Galileo (bassa risoluzione). Un corpo<br />

centrale con due rigonfiamenti laterali.<br />

- scopre le fasi di Venere (e di Mercurio) che mostrano che Venere 'potrebbe' ruotare intorno al<br />

Sole ed inoltre stabilisce che i pianeti sono per loro natura oscuri risultando ricevere luce dal Sole<br />

(11) .<br />

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Le fasi di Venere come risultano da un'osservazione con il cannocchiale.<br />

L'insieme di tutte queste clamorose scoperte lo convince final<strong>mente</strong> della teoria copernicana<br />

ed inizia a pensare di poterla sostenere.<br />

Dal punto di vista dell'osservazione, il punto di vista matematico, ha prove che gli sembrano<br />

inconfutabili (e che non verranno confutate, anche se in molti si rifiuteranno di guardare nel<br />

cannocchiale, strumento bugiardo e demoniaco). Dal punto di vista filosofico vi sono vari passi<br />

della cosmologia e <strong>fisica</strong> aristotelica che vengono compromessi definitiva<strong>mente</strong>. Il problema da<br />

discutere sarà sempre quello dei fenomeni se riguardano l'al di là del cielo della Luna o ciò che sta<br />

sotto di esso. In quest'ultimo caso non vi sarebbe stato alcun problema; nel primo invece i problemi<br />

sarebbero risultati insuperabili.<br />

1. Il paesaggio lunare è come il terrestre: vi sono monti, valli e "mari". La Luna perde<br />

le caratteristiche di "pianeta etereo", assumendo caratteristiche "materiali" precise.<br />

Inoltre un pianeta come la Luna, con caratteristiche terrestri, si muove senza essere<br />

dotato di un motore. Cade una delle fondamentali obiezioni di Tolomeo al moto della<br />

Terra (restano quelle contrarie al moto della Terra su se stessa, e quella di Aristotele<br />

sulla deviazione d<strong>alla</strong> verticale che dovrebbero subire gli oggetti in caduta).<br />

2. La scoperta dei satelliti di Giove crea un enorme disordine nel mondo a sfere<br />

cristalline concentriche. Come possono quei satelliti ruotare senza sfondare più volte le<br />

sfere cristalline ? Si pensi che San Tommaso avanzava dubbi sul dogma di fede che<br />

asserisce la salita al cielo di Gesù con tutto il suo corpo e, proprio per lo stesso motivo,<br />

lo sfondamento delle sfere celesti. Inoltre, quei satelliti mostrano che non solo la Terra<br />

può essere centro di moti circolari. Altri astri possono candidarsi allo scopo.<br />

3. La comparsa di nuove stelle pone la questione dell'immutabilità dei cielo. Il cielo<br />

muta. In esso vi è generazione e corruzione (che Aristotele prevedeva per la sola Terra<br />

e fin sotto il cielo della Luna). Più in generale, cade la divisione aristotelica<br />

dell'universo in due entità: quella al di sopra del cielo della Luna (perfetta e<br />

immutabile) e quella al di sotto di questo cielo, vile e corruttibile.<br />

4. La scoperta della Via Lattea come agglomerato di stelle apre <strong>alla</strong> pluralità bruniana<br />

dei mondi e fa capire che l'universo è molto più grande di quanto si sospettava poiché,<br />

se è vero che si vedono molte più stelle, la loro dimensione apparente resta invariata.<br />

5. La scoperta della diversità tra stelle e pianeti crea una ulteriore frattura nei due<br />

mondi aristotelici (i pianeti, contraria<strong>mente</strong> alle stelle, variano il loro raggio<br />

apparente).<br />

6. La scoperta che Venere presenta delle fasi come quelle della Luna porta <strong>alla</strong><br />

conclusione che il centro del moto deve essere il Sole e non la Terra.<br />

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Le fasi di Venere nel sistema tolemaico (a) e nel sistema copernicano (b). Nel<br />

primo caso Venere deve sempre apparire con forma più o meno crescente<br />

mentre nel secondo caso può apparire quasi piena quando passa dietro il Sole con<br />

dimensioni notevol<strong>mente</strong> variabili. Da Westfall.<br />

7. La scoperta che la Terra riflette luce sulla Luna fa concludere che l'umile Terra<br />

fornisce luce al mondo etereo.<br />

8. La scoperta della "incorporeità" e "tricorporeità" di Saturno, di nuovo, rimette in<br />

discussione la perfezione del mondo sopralunare ed il fatto della non sfericità di tutti i<br />

corpi ivi situati.<br />

9. La scoperta delle macchie sul Sole è la prova più manifesta che non vi è zona<br />

perfetta nell'universo: uno degli astri che appartiene a questa zona presenta segni di<br />

corruzione, le macchie.<br />

E' un vero sconquasso nel sistema del mondo di Aristotele, ogni ordine gerarchico tra gli<br />

elementi è sconvolto, è fatta a pezzi la teoria dei luoghi naturali e si tratta di fatti che non<br />

necessitano di interpretazioni, essi sono eloquenti di per sé rispetto <strong>alla</strong> negazione delle ipotesi<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

dominanti. Osservo comunque che distruggere non porta automatica<strong>mente</strong> ad un'altra <strong>fisica</strong>. E<br />

Galileo se ne rende perfetta<strong>mente</strong> conto, deve elaborare una <strong>fisica</strong> che renda plausibile il sistema<br />

copernicano.<br />

La convinzione copernicana si rafforzò l'anno successivo (1611) quando Galileo scoprì le<br />

macchie solari (il fuoco, elemento tra i più nobili, quello che Tommaso mette più vicino a Dio,<br />

viene corrotto da macchie e ciò è inammissibile nella <strong>fisica</strong> aristotelica rimaneggiata da Tommaso).<br />

E tali macchie, per colmo di malvagità, ruotavano intorno al Sole o, meglio, il Sole ruotava su se<br />

stesso e le macchie restavano immobili (le due alternative erano presenti a Galileo che optò per la<br />

seconda; la prima avrebbe previsto una sostanza fluida in moto intorno al Sole ed era una cosa<br />

difficile da immaginare e descrivere). Il lavoro sarà pubblicato nel 1613 ed in esso si sostiene che si<br />

tratta proprio di macchie sull'astro e non come aveva sostenuto lo Scheiner, gesuita del Collegio<br />

Romano, di piccoli pianeti che lo eclissano. Galileo inizia a cambiare il contenuto delle sue lezioni.<br />

La pubblicazione del Sidereus Nuncius fece grande scalpore. Gli entusiasmi si mescolarono<br />

all'incredulità, all'invidia, allo scetticismo, <strong>alla</strong> rabbia. Iniziarono le tipiche operazioni dei filosofi<br />

peripatetici: è lo strumento che è ingannevole, le cose che si vedono sono prodotte dentro lo<br />

strumento, non è uno strumento che può mettere in dubbio la verità del maestro Aristotele. Il non<br />

guardare attraverso il cannocchiale divenne una prassi. Lo stesso Cremonini, amico di Galileo<br />

affermava che "Quel mirare per quegli occhiali m'imbalordisce la testa".<br />

La corrispondenza, in quel periodo si fa densa ed a Galileo arrivano anche dei consigli sul<br />

come comportarsi e sul non insistere troppo con le sue sconvolgenti scoperte (12) .<br />

Intanto vi è la scoperta delle macchie solari <strong>alla</strong> quale ho accennato. Galileo le aveva mostrate<br />

a Roma durante il suo viaggio del 1611. Ma per almeno un anno non studiò la cosa spinto da uno<br />

studio del matematico gesuita Scheiner, Tres Epistolae de Maculis Solaribus Scriptae ad Marcum<br />

Welserum, pubblicato in latino nel gennaio 1612 con lo pseudonimo di "Apelles latens post<br />

tabulam" ("Apelle aspetta dietro il dipinto"). Nel suo lavoro Scheiner resta fedele <strong>alla</strong> filosofia<br />

peripatetica e tenta di salvare la perfezione del Sole inventandosi dei pianetini ruotanti intorno ad<br />

esso che in alcuni momenti lo eclissano. Fu lo stesso Welser che inviò a Galileo una copia<br />

dell'opera di Scheiner con la richiesta di commentarlo ma Galileo fu impegnato fino ad aprile con<br />

la pubblicazione dell'altra sua opera, "Intorno alle cose che stanno in su l'acqua". Da quel<br />

momento si dedicò alle macchie solari con nuove osservazioni facilitate d<strong>alla</strong> scoperta dell'amico<br />

Benedetto Castelli che realizzò la proiezione dell'immagine del Sole catturata dal telescopio su una<br />

superficie. Galileo scrisse allora a Welser affermando che quelle macchie erano sul Sole ma ancora<br />

non era in grado di dire se sulla superficie o nella sua atmosfera ("nubi"). Welser fece conoscere la<br />

lettera a Scheiner che rispose (ottobre 1612) con l'opera De Maculis Solaribus . . . Accuratior<br />

Disquisitio nella quale ribadiva le sue convinzioni. Galileo aveva nel frattempo scritto (agosto<br />

1612) un'altra lettera a Welser ed a questa ne aggiunse una terza nel dicembre, dopo aver letto il<br />

secondo lavoro di Scheiner. Quest'ultima è lunga ed articolata ed è un vero trattato moderno di<br />

<strong>fisica</strong> e cosmologia, ormai fuori dalle vuote ed inutili chiacchiere peripatetiche con la ferma critica<br />

dell'ammissione a priori della perfezione del Sole che Scheiner faceva (anche se va ricordato che i<br />

rapporti fra Scheiner e Galileo furono cordiali e di rispetto reciproco fino ad un malinteso che si<br />

originerà 10 anni più tardi. Nel suo Il Saggiatore Galileo criticò chi non gli aveva riconosciuto la<br />

priorità sulla scoperta delle macchie senza far cenno a Scheiner. Quest'ultimo credette che l'accusa<br />

fosse a lui diretta e, da questo momento, gli divenne acerrimo nemico). Alla fine di questa lettera,<br />

Galileo riassume le sue scoperte, le mette insieme alle macchie solari e fa addirittura delle<br />

previsioni astronomiche su come si "muoveranno" nel tempo gli oggetti astronomici da lui scoperti<br />

per concludere: "... Siami per una volta permesso di usare un poco di temerità ... per ora sola<strong>mente</strong><br />

su probabil coniettura sembra che tutto con ammirabil maniera concorre all'accordamento del<br />

gran sistema Copernicano, al cui palesamento universale veggonsi propizi venti indirizzarci con<br />

tanto lucide scorte, che ormai poco ci resta da temere tenebre o traversie".<br />

Le tre lettere di Galileo a Welser vennero pubblicate in un unico volume a Roma<br />

dall'Accademia dei Lincei nell'estate del 1613 con il titolo Istoria e dimostrazioni intorno alle<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

macchie solari e loro accidenti.<br />

Dopo la pubblicazione del lavoro sulle macchie solari, continuarono le lettere che attaccavano<br />

Galileo, ma siamo ormai <strong>alla</strong> condanna pubblica del copernicanesimo in varie forme da <strong>parte</strong> di<br />

vari ordini religiosi. Pian piano iniziò un attacco concentrico a Galileo che sfocerà<br />

nell'Ammonizione (e non Precetto, come la Chiesa falsificò) di Bellarmino del 1616.<br />

ASTRONOMIA E FISICA<br />

Le scoperte di Galileo disegnavano, come accennato, un cielo con medesime caratteristiche<br />

della Terra. Questo cielo era del tutto inconciliabile con ogni teoria cosmologica precedente,<br />

particolar<strong>mente</strong> con quella aristotelico-tolemaica che, da San Tommaso, era stata assunta d<strong>alla</strong><br />

Chiesa.<br />

Galileo si rese subito conto di ciò e, mentre da un lato divenne un convinto copernicano,<br />

accettando la cinematica di quel sistema, dall'altro si pose il problema fondamentale <strong>alla</strong> base<br />

dell'accettazione medesima di tale sistema. Abbiamo visto che Aristotele aveva costruito un mondo<br />

perfetto integrando stretta<strong>mente</strong> cosmologia e <strong>fisica</strong>. Ma quella cosmologia con quella <strong>fisica</strong>.<br />

Cambiando sistema, cambiando le posizioni di Terra e Sole, l'intero sistema aristotelico crolla ed il<br />

sistema copernicano si trova privo, completa<strong>mente</strong> privo, di una <strong>fisica</strong>. Ecco, l'impegno maggiore<br />

di Galileo non è astronomico ma riguarda proprio il dotare il sistema copernicano di una <strong>fisica</strong><br />

consistente con esso. Per fare ciò non poteva partire da zero ma smontando ciò che c'era in un<br />

modo che doveva essere convincente per conquistare adepti <strong>alla</strong> nuova cosmologia.<br />

Galileo era ben cosciente che il sistema copernicano non si si riesce a mostrare in modo<br />

semplice agli osservatori ingenui per il semplice fatto che, osservando d<strong>alla</strong> Terra, sembra proprio<br />

che la Terra sia immobile e che il Sole le giri intorno. E' la classica cosa contraria al senso comune<br />

e, detto di passaggio, la scienza ha sempre fatto passi importanti quando è riuscita a superare<br />

l'empirismo ingenuo, il senso comune, per sottoporre i fatti circostanti a trattamento teorico. Far<br />

vedere in qualche modo che i ruoli di Sole e Terra sono invertiti è il fine principale di Galileo. A<br />

questo se ne associa subito un altro: controbattere tutte le argomentazioni che dicono essere<br />

impossibile che la Terra si muova. Di passaggio, e non è una sciocchezza, si tratta di fornire dei<br />

contenuti <strong>alla</strong> spiegazione di tutti quei fenomeni naturali che osserviamo sulla Terra e che con la<br />

<strong>fisica</strong> di Aristotele trovavano una loro logica sistemazione. Ammettere infatti il moto della Terra in<br />

un universo aristotelico comportava degli sconquassi enormi. Solo alcuni: la Terra materiale si<br />

infila a enorme velocità in un mondo etereo attraverso sfere cristalline che devono andare in<br />

frantumi. Quale motore è in grado di muovere la Terra ? e cosa regge sospesa nello spazio Terra ed<br />

altro, dal momento che le sfere sono andate in frantumi ? ed un oggetto perché dovrebbe cadere per<br />

terra ? quel luogo non è più naturale, non è più il luogo più in basso. Ed una Terra in moto non<br />

dovrebbe vedere tutti gli oggetti che si trovano su di essa e non ancorati, andarsene in volo scagliati<br />

via nel verso contrario a quello del moto della Terra ? Eccetera, eccetera, eccetera.<br />

L'impresa è ardua e mai nessuno, nella storia dell'umanità a noi nota, ha dovuto affrontare<br />

simultanea<strong>mente</strong>, accordando il tutto, questa mole di problemi per costruire un mondo radical<strong>mente</strong><br />

diverso da quello di <strong>parte</strong>nza (Descartes più oltre si diletterà in questioni metafisiche). E, per di più,<br />

con l'handicap di una Chiesa che non gradiva l'operazione e che aveva il potere, se si varcavano<br />

certe prescrizioni, di portarti fino al rogo.<br />

Questa operazione porterà Galileo a scrivere due opere fondamentali nella storia del pensiero<br />

scientifico, Discorso sui massimi sistemi del mondo e Discorsi e dimostrazioni matematiche. La<br />

prima di esse lo farà condannare dal Tribunale dell'Inquisizione della Chiesa, la seconda sarà<br />

pubblicata clandestina<strong>mente</strong> in Olanda (ripeto che di questo non mi occupo in questa sede, come<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

non mi occuperò di raccontare di nuovo i contributi di Galileo <strong>alla</strong> <strong>fisica</strong>, rimandando per ogni<br />

questione riguardante Galileo agli articoli citati).<br />

In tali lavori, in modo discorsivo, si smonta la <strong>fisica</strong> di Aristotele e si fanno i primi<br />

fondamentali passi nella <strong>fisica</strong> nuova (comprensione del moto, principio d'inerzia, principio di<br />

relatività cinematica, caduta dei gravi, traiettorie dei proiettili, composizione dei movimenti, leggi<br />

del pendolo, ... , microscopio, termoscopio,...). Gli argomenti di Galileo, sostenuti da sensate<br />

esperienze e dimostrazioni, hanno il senso del rivolgere completa<strong>mente</strong> ogni conoscenza<br />

preesistente. Il principio di relatività, insieme al principio d'inerzia, permette di assegnare il moto a<br />

determinati oggetti e non ad altri e luoghi privilegiati rispetto ad altri, sembrano ora svanire nel<br />

nulla. Si prefigura uno spazio moderno senza luoghi privilegiati e completa<strong>mente</strong> geometrizzato,<br />

anche se non nel senso euclideo, con molte rotture rispetto al passato ma con ancora un indulgere a<br />

circonferenze e moti circolari dai quali non riesce quasi a staccarsi. Non siamo certo <strong>alla</strong> meta<strong>fisica</strong><br />

dello spazio assoluto di Newton ma certa<strong>mente</strong> abbiamo liberato lo spazio ed il tempo da ogni<br />

costrizione meta<strong>fisica</strong> (13) .<br />

Ma a Galileo si deve un'altra innovazione fondamentale: il metodo sperimentale che fa<br />

accettare teorie solo se confermate dall'esperienza. Tale metodo rende la ricerca scientifica<br />

completa<strong>mente</strong> indipendente da dogmi filosofici e religiosi. È lo stesso esperimento che va<br />

progettato in funzione della teoria a priori. L'esperienza pregalileiana era altra cosa: la teoria a<br />

priori che discendeva da osservazioni offerteci dal mondo naturale, senza riproduzione e ripetizione<br />

in laboratorio e, soprattutto, senza quella sensazionale scoperta di Galileo (della quale quasi<br />

nessuno parla) della separazione delle variabili e dell'idealizzazione dell'esperienza medesima che<br />

spesso fa astrazione del fatto empirico per immaginare come andrebbero le cose senza alcune<br />

costrizioni (attrito, resistenza dell'aria, ...). Non è cosa da poco: ciò che ci offre la natura è un misto<br />

di vari fenomeni, eventi, moti, .. . Come distinguere, venirne a capo ? Isolando ciò che ci interessa.<br />

Tra i tanti parametri suscettibili di variazione, scegliere i "due" che si vogliono studiare;<br />

sterilizzando il fenomeno da studiare; semplificando il problema mediante astrazioni; riconducendo<br />

il fatto reale ad un fatto teorico. Questo procedimento assume un tal rilievo che lo stesso Newton<br />

seguirà pedissequa<strong>mente</strong> la strada tracciata da Galileo: solo con i lavori dei fisico-matematici<br />

francesi della seconda metà del '700 (Lagrange, D'Alembert, Laplace, . . . ) si riuscirà a<br />

formalizzare l'astrazione vincolare, d'attrito (Coulomb), ed altro realizzata da Galileo.<br />

E poi, basta una sola osservazione di laboratorio ? Occorre farne molte, perché una sola può<br />

essere proprio quella osservazione che, oggi diremmo, sta nelle code della gaussiana. Come<br />

confrontare i risultati delle diverse esperienze ? Non lo si può fare se non si ha una redazione<br />

precisa di ognuna; e per far ciò occorre passare dal qualitativo aristotelico al quantitativo. E per far<br />

ciò è necessaria la matematica come già detto da Galileo ne Il Saggiatore. A lui si deve quindi<br />

anche la formulazione esplicita della necessità di descrivere i fenomeni in forma matematica.<br />

Ed in definitiva: prima ci vuole la chiara coscienza di ciò che si vuole trovare, una teoria a<br />

priori che si fondi sulla matematica e che parta dai presupposti più semplici (14) ; poi esperienza,<br />

ancora con il sostegno della matematica per la redazione dei risultati e per il loro confronto; quindi<br />

dallo studio di casi particolari <strong>alla</strong> formulazione di leggi che abbiano carattere più generale. Nel far<br />

questo è di potente ausilio il processo di astrazione che permette da una <strong>parte</strong> di superare<br />

l'empirismo ingenuo e, dall'altra, mediante il processo di separazione delle variabili, di cogliere<br />

l'essenza del fenomeno (si trascuri la resistenza dell'aria, si trascurino gli attriti, supponiamo un filo<br />

privo di massa, . . . ). Se tutto questo pare poco, lo stesso Galileo afferma la provvisorietà di ogni<br />

risultato e propone un modo per controllarlo iterativa<strong>mente</strong> nei Discorsi. In tutto questo<br />

argomentare è delineata la nuova <strong>fisica</strong>: intersezione di teoria, matematica ed esperienza. Ma da<br />

questo momento Galileo avrebbe avuto altre questioni da affrontare.<br />

Altro aspetto da sottolineare è la nuova strumentazione introdotta ancora da Galileo ed in<br />

particolare il cannocchiale ed il pendolo per la misura del tempo. Proprio per uscire dall'empirismo<br />

ingenuo è fondamentale, come detto, fare esperienze ma senza strumenti di precisione con<br />

affidabilità sempre maggiore l'impresa risulterebbe illusoria. L'avanzare della tecnica nel<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Rinascimento, nel Barocco e nelle epoche successive, insieme all'approfondimento degli studi sulle<br />

basi concettuali su cui si realizza uno strumento, permetterà di costruire strumenti di grandissima<br />

precisione che davvero destano ancora vivissima ammirazione.<br />

Ultimo aspetto da tenere presente è l'operazione che inconsapevol<strong>mente</strong> il cannocchiale aveva<br />

realizzato. Ora l'astronomia non era più un qualcosa riservato ai sacerdoti scienziati che con<br />

presunti meri artifici matematici disegnavano il mondo, in modo certa<strong>mente</strong> utile ma sfuggente di<br />

qualunque significato fisico. Ora chiunque avrebbe potuto guardare il cielo osservando un universo<br />

che solo l'ottusa Chiesa non riconosceva come copernicano o comunque non certa<strong>mente</strong><br />

aristotelico-tolemaico.<br />

HUYGENS<br />

[Anche per la biografia ed il complesso dell'opera di Huygens rimando agli articoli che lo<br />

riguardano]<br />

Huygens (1629-1695), fisico olandese, è in qualche modo il vero e forse unico seguace del<br />

metodo di Galileo. Le sue ricerche possono essere considerate il seguito ideale di quelle dello<br />

scienziato pisano e certa<strong>mente</strong> <strong>alla</strong> porta delle scoperte fondamentali di Newton sulla gravitazione<br />

universale. Purtroppo, come già altrove detto, di Huygens in Italia si conosce poco eppure è uno<br />

dei massimi scienziati della storia del pensiero scientifico. Qui seguirò i suoi lavori di astronomo e<br />

di costruttore di strumenti per poi passare alle sue scoperte di meccanica che avranno un ruolo<br />

fondamentale nella comprensione del moto dei pianeti.<br />

Tra il 1651 ed il 1654, mentre scriveva di matematica, Huygens (15) rivolse la sua attenzione<br />

ad una sua vecchia passione, il lavorare con le mani per realizzare meccanismi di ogni genere e si<br />

dedicò, questa volta, <strong>alla</strong> fabbricazione di lenti ed <strong>alla</strong> costruzione di telescopi. Apprese da studiosi<br />

e artigiani molte informazioni teoriche riguardo ai telescopi realizzati utilizzando più di due lenti,<br />

mettendo poi in pratica queste nozioni con la costruzione di lenti e telescopi. Intorno al 1654<br />

sviluppò un modo originale di taglio e levigatura di lenti che lo portarono a telescopi di grande<br />

qualità ed anche di grandi dimensioni (uno di essi era lungo 5 metri). Diresse uno di tali telescopi,<br />

tra i migliori esistenti all'epoca, verso il cielo in cerca di eventuali lune di Marte (osservando tale<br />

pianeta, scoprì, come dirò più oltre, alcune macchie su di esso delle quali il primo disegno era stato<br />

realizzato nel 1636 dal napoletano Francesco Fontana), Venere e Saturno. Quest'ultimo pianeta lo<br />

incuriosiva particolar<strong>mente</strong> perché il suo aspetto, dalle osservazioni di Galileo, restava misterioso<br />

risultando tricorporeo.<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

I disegni di Galileo sulle sue osservazioni di Saturno<br />

Dopo varie osservazioni, nel 1655, scoprì la prima luna di Saturno, Titano (16) e la natura della<br />

tricorporeità del pianeta, ma aspettò un anno prima di comunicare la sua scoperta perché voleva<br />

controllare molto bene le sue osservazioni.<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Nel frattempo, ad evitare che qualcuno gli togliesse la priorità delle scoperte, utilizzò anagrammi in<br />

latino composti di varie lettere che per loro trasposizione formavano la frase nascosta e li incideva<br />

sull'oculare del telescopio. L'anagramma per l'anello di Saturno era: aaaaaaa ccccc d eeeee g h <strong>iii</strong><strong>iii</strong>i<br />

llll mm nnnnnnnnn oooo pp q rr s ttttt uuuuu che sta per Annulo cingitur tenui, plano, numquam<br />

cohaerente ad eplicticam inclinato ("È circondato da un sottile anello piatto, che non lo tocca mai e<br />

che è inclinato rispetto all’eclittica"), mentre quello per la scoperta di Titano era: aaaaa b ccc ddd<br />

eee h <strong>iii</strong>i l mm nn ooo q rrrrr ssssss ttt uuuuuuuuu x che sta per Saturno luna sua circumducitur<br />

diebus sexdecim, horas quatuor ("Saturno è accompagnato da una luna che gli gira intorno in 16<br />

giorni e quattro ore"). Per la scoperta di Titano, Huygens ricevette le felicitazioni del grande<br />

astronomo ligure, Gian Domenico Cassini (che per la fama conquistatasi con le sue osservazioni a<br />

Bologna, nel 1669, venne chiamato a Parigi dal Re Sole, Luigi XIV, presso l'Observatoire Royal,<br />

appena istituito).<br />

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Disegno di Huygens rappresentante la Luna e Saturno


ASTRONOMIA 3<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Huygens, Cosmotheoros, che discuterò più oltre.<br />

Egli non dette alcun nome al satellite di Saturno, lo chiamò semplice<strong>mente</strong> Luna Saturni. Le<br />

sue osservazioni proseguirono e nel 1656 riscoprì la nebulosa di Orione, già scoperta dal gesuita<br />

astronomo svizzero Jean-Baptiste Cysat (che fu allievo dello Scheiner delle macchie solari che<br />

ebbe varie controversie con Galileo)nel 1618, isolando varie stelle che la costituiscono (era la<br />

seconda nebulosa<br />

Il disegno di Orione fatto da Huygens<br />

osservata, dopo quella di Andromeda). Più tardi, nel 1659, pubblicò Systema Saturnium nella quale<br />

spiegava la tricorporeità di Saturno: si trattava di un anello piatto sottile, formato da rocce<br />

orbitanti, che circondava il pianeta inclinato sul piano dell'orbita, cambiando forma secondo<br />

determinate fasi e, soprattutto, non legato al pianeta in alcun punto: "Saturne est entourée d´un<br />

anneau mince n'adhérant à l'astre en aucun point, et incliné sur l'écliptique". Per poter<br />

comprendere la vera natura delle singolari protuberanze, l'astronomo olandese adottò nelle<br />

osservazioni un nuovo telescopio da lui costruito avente una lunghezza focale circa doppia rispetto<br />

al primo e capace di raggiungere un centinaio di ingrandimenti. Nello stesso 1659 Christiaan<br />

Huygens misurò l'angolo che sottende Marte nel cielo e, attribuendo arbitraria<strong>mente</strong> un valore al<br />

diametro di questo pianeta, stimò che l'unità astronomica cioè la distanza media della Terra dal<br />

Sole, doveva essere di 160 milioni di chilometri, cioè sette volte maggiore di quella stimata da<br />

Kepler (ma un 10% più grande del suo valore reale che è di 149 milioni di chilometri). Tale misura<br />

non fu accettata ed anche lo stesso Huygens non la sostenne perché tutto dipendeva dall'arbitrarietà<br />

assunta per quel diametro di Marte (che per felice combinazione egli aveva indovinato). Altre<br />

osservazioni astronomiche di grande interesse sono dovute al nostro: fu lui che per primo parlò di<br />

atmosfera e nubi sul pianeta Venere; a lui si deve la scoperta di una macchia caratteristica su Marte,<br />

Syrtis Major, che gli permise di stabilire che anche quel pianeta aveva un moto di rotazione intorno<br />

al suo asse con una durata di circa 24<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Disegni di Huygens della superficie di Marte. Il primo è del 28 novembre 1659; il<br />

secondo del 13 agosto 1672 (ore 22 e 30); il terzo del 17 maggio 1683 (ore 22 e 03)<br />

ore (17) ; fu ancora lui che, subito dopo che lo aveva fatto Robert Hooke, osservò la grande macchia<br />

rossa sul pianeta Giove. Natural<strong>mente</strong> il giovane Huygens fu dura<strong>mente</strong> attaccato da vari<br />

personaggi tra cui il gesuita Fabri. Solo nel 1665, quando tutti poterono disporre di migliori<br />

telescopi, la teoria di Huygens degli anelli di Saturno fu general<strong>mente</strong> accettata, anche da Fabri.<br />

Il Sole, sullo sfondo, a confronto con le dimensioni di vari pianeti. Questa illustrazione<br />

proviene dall'ultima opera di Huygens, Cosmotheoros, che discuterò più oltre.<br />

E proprio al perfezionamento dei telescopi egli, con l'aiuto del fratello, dedicò gli anni che<br />

vanno dal 1681 al 1687 <strong>alla</strong> costruzione sempre più sofisticata di lenti per telescopi che arrivarono<br />

a dimensioni insperate per quell'epoca. Uno di tali telescopi, montato per quegli obiettivi, era lungo<br />

70 metri ed un altro 56 metri. Questi erano due casi particolari. In modo più "commerciale" essi<br />

realizzarono comune<strong>mente</strong> telescopi di 35 metri o più piccoli.<br />

Ma questo è solo uno dei contributi agli strumenti che Huygens fornì. Di fondamentale<br />

importanza fu la sua realizzazione della misura del tempo attraverso un orologio a pendolo. Nel<br />

1657, Huygens aveva brevettato il primo orologio a pendolo che aumentò enorme<strong>mente</strong> la<br />

precisione nella misura del tempo. Egli aveva incorporato al pendolo, che oscillava per un tempo<br />

limitato, il meccanismo di alimentazione da <strong>parte</strong> di pesi in caduta rallentata su una ruota dentata,<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

in modo da mantenere l'oscillazione per tutto il tempo che tali pesi impiegavano nella loro caduta.<br />

Egli riuscì poi ad accoppiare meccanismi di orologi (che avevano una storia lunga, di circa 400<br />

anni) con il pendolo mediante l'invenzione un sistema meccanico che permetteva di mantenere per<br />

molto tempo le regolari oscillazioni del pendolo e di misurare intervalli di tempo relativa<strong>mente</strong><br />

piccoli (fino ad un secondo): lo scappamento. Si tratta di un sistema meccanico per trasformare il<br />

moto oscillatorio in moto rotatorio. Questo sistema fu successiva<strong>mente</strong> perfezionato dallo stesso<br />

Huygens che riuscì a rendere isocrone anche oscillazioni pendolari non più piccole, mediante il<br />

pendolo cicloide.<br />

LA FORZA CENTRIFUGA<br />

Huygens, tra i molti suoi lavori, aveva anche scritto un trattato sulla forza centrifuga, De Vi<br />

Centrifuga (18) , pubblicato postumo nel 1703 negli Opuscola Postuma ed aveva anche discusso di<br />

forza centrifuga nella Parte V ed ultima dell'Horologium oscillatorium del 1673 ma solo<br />

presentando alcuni teoremi senza dimostrazione. Un commento sul titolo è indispensabile: si<br />

introduce la parola forza e quindi programmatica<strong>mente</strong> Huygens si pone sulla strada complessa<br />

della dinamica, strada che aveva rifiutato quando si era occupato di urti. Probabil<strong>mente</strong>, con<br />

Westfall, l'idea era di pensare questa forza come un peso statico e quindi del tutto accettabile nella<br />

statica. L'interesse per questo problema gli nasceva dallo studio degli orologi a pendolo e dalle<br />

oscillazioni ad arco di cerchio delle masse rigide pendolari. Egli osservò che un corpo rigido che si<br />

muove di moto circolare uniforme ha la tendenza (il conatus) a spostarsi verso la periferia e, tale<br />

tendenza, è del tutto simile a quella di un corpo in caduta, e quindi dei corpi pesanti sospesi ad un<br />

filo. Per Huygens forza centrifuga e peso, erano più che fenomeni simili; essi dovevano anche<br />

essere complementari. Occorre solo aggiungere che si risente l'influsso di Descartes, non certo per<br />

le conclusioni ma per l'essersi impegnato nell'esprimere in modo quantitativo il tentativo (conatus)<br />

dei corpi di allontanarsi dal centro di rotazione. Cercherò ora di discutere i risultati che egli ricavò<br />

su una grandezza, la forza centrifuga, che fu introdotta proprio da lui a partire dal principio<br />

d'inerzia, il quale nella pratica dice che solo quando si ha deviazione da un moto rettilineo a<br />

velocità costante, occorre ricercare la presenza di forze. La domanda di Huygens è: quale forza<br />

deve agire su un corpo che si muove di moto circolare ?<br />

Per trattare l'argomento, come diremmo oggi, Huygens si pone nel sistema di riferimento in<br />

moto rotatorio. Occorre aggiungere che oggi la forza centrifuga è considerata una forza fittizia<br />

poiché scegliamo sempre di studiare i fenomeni rotatori da un riferimento inerziale (o fermo o in<br />

moto rettilineo uniforme). Osservando da tale riferimento noi possiamo solo dire che un oggetto in<br />

moto circolare ha la tendenza ad andare verso il centro del moto, essendo soggetto così ad una<br />

accelerazione centripeta (variazione della velocità non in modulo ma in direzione e verso) (19) . Egli<br />

ipotizza una grossa ruota in rotazione su un piano orizzontale ed imperniata su un asse verticale.<br />

Prima di passare a discutere le elaborazioni di Huygens, leggiamo alcuni passi del De vi centrifuga,<br />

riferendoci <strong>alla</strong> figura seguente (sovrapposizione di due figure, la 4 e la 6, del De vi centrifuga).<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Sia una ruota BG orizzontale ruotante attorno al suo centro A. Una sfera attaccata<br />

<strong>alla</strong> sua circonferenza, quando giunge al punto B, ha una tendenza (conatus) a<br />

continuare il suo percorso secondo la retta BS tangente <strong>alla</strong> ruota nel punto B: in<br />

effetti, se essa è staccata d<strong>alla</strong> ruota e se sfugge, resterà sul percorso BS e non ne<br />

uscirà, a meno che la forza di gravità non la tragga verso il basso o che l'incontro con<br />

un altro corpo non impedisca il suo movimento. In verità, è difficile comprendere, a<br />

prima vista, perché il filo AB sia teso come è quando il globo ha una tendenza a<br />

procedere secondo BS, perpendicolare ad AB. Ma tutto diventerà chiaro con il<br />

seguente ragionamento.<br />

Immaginiamo, inoltre, che quest'uomo tenga in mano un filo che porti attaccato <strong>alla</strong><br />

sua seconda estremità una p<strong>alla</strong> di piombo. Il filo sarà dunque teso allo stesso modo e<br />

con la stessa energia (aeque valide) per mezzo della forza di rotazione, sia che venga<br />

tenuto in questo modo, sia che vada sino al centro A e che vi sia attaccato; la ragione<br />

per la quale è teso può essere intuita molto chiara<strong>mente</strong>. Prendiamo degli archi uguali<br />

BE, EF, molto piccoli in rapporto <strong>alla</strong> circonferenza intera ... L'uomo fissato <strong>alla</strong><br />

ruota percorre questi archi in tempi eguali, e negli stessi intervalli di tempo, il piombo<br />

percorrerebbe, se venisse lasciato, dei percorsi rettilinei BK, KL uguali a questi archi,<br />

e le cui estremità K, L, non cadono in verità esatta<strong>mente</strong> sui raggi AE, AF, ma, sono<br />

ad una piccolissima distanza da queste linee d<strong>alla</strong> <strong>parte</strong> di B ... (Poiché queste<br />

estremità si allontanano un poco dai raggi del lato di B), accade che il globo non<br />

tenda ad allontanarsi dall'uomo seguendo un raggio, bensì una curva che tocca questo<br />

raggio nel punto in cui si trova l'uomo. ( ... )<br />

Di conseguenza, poiché il globo trascinato d<strong>alla</strong> ruota, tende a descrivere, in rapporto<br />

al raggio nel quale si trova, una curva tangente a questo raggio, si vede che il filo sarà<br />

teso da questa tendenza (conatus) esatta<strong>mente</strong> come se il globo tendesse a seguire il<br />

raggio stesso.<br />

Ma gli spazi che percorrerebbe il globo sulla suddetta curva in tempi crescenti per<br />

gradi uguali sono come la sequenza dei quadrati 1,4,9.,16, ... di numeri interi, se si<br />

considera l'inizio del movimento e degli spazi molto piccoli. La figura mostra ciò nel<br />

caso in cui si<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

[Fig. 6]<br />

siano presi, sulla circonferenza della ruota, degli archi uguali BE, EF, FM, e sulla<br />

tangente BS dei segmenti BK, KL, LN, uguali a detti archi; poiché essendo d'altra<br />

<strong>parte</strong> i raggi EC, FD, MS. Se il globo fosse staccato nel punto B d<strong>alla</strong> ruota che gira,<br />

quando B giungesse nel punto E, il globo sarebbe nel punto K e avrebbe percorso<br />

l'elemento EK della curva qui sopra descritta; in capo ad un secondo intervallo di<br />

tempo uguale al primo, quando B fosse arrivato al punto F, il globo si troverebbe nel<br />

punto L e avrebbe percorso la <strong>parte</strong> di curva FL. .. Ma queste porzioni di curva<br />

devono essere considerate all'inizio della separazione del globo e della ruota come<br />

uguali alle rette EC, FD, MS che esse toccano, poiché si possono prendere, a partire<br />

da B, degli archi sufficiente<strong>mente</strong> piccoli perché la differenza tra queste rette e gli<br />

archi stia, con la loro lunghezza in un rapporto interiore ad ogni rapporto<br />

immaginabile.<br />

Dunque gli spazi EK, FL, MN, devono essere considerati come crescenti secondo la<br />

serie dei quadrati 1,4,9,16. E, conseguente<strong>mente</strong>, il conatus del globo trattenuto sulla<br />

ruota in movimento, sarà lo stesso che se il globo tendesse ad avanzare seguendo il<br />

raggio con un movimento accelerato nel corso del quale percorrerebbe in tempi uguali<br />

degli spazi crescenti come i numeri dispari... Da ciò trarremo la conclusione che le<br />

forze centrifughe di mobili disuguali trasportati in cerchi uguali a velocità uguali<br />

stanno tra di loro come le gravità dei mobili, cioè come le quantità solide ... Ci rimane<br />

da trovare la grandezza o la quantità dei diversi conatus per le diverse velocità della<br />

ruota [Tratto da Canguilhem].<br />

Da questa presentazione del fenomeno occorre passare <strong>alla</strong> sua formalizzazione. Intanto<br />

alcune osservazioni. La prima è relativa <strong>alla</strong> gravità che, come si può facil<strong>mente</strong> apprezzare, è<br />

considerata una tendenza verso la caduta (il conatus). La seconda riguarda come viene presentato il<br />

problema della misura della gravità: si deve misurare la velocità dell'oggetto immediata<strong>mente</strong> dopo<br />

la rottura del vincolo. E da ciò prende le mosse Huygens per discutere quantitativa<strong>mente</strong> la forza<br />

centrifuga (seguirò D'Agostino).<br />

L'uomo che si trova sulla ruota nel punto B rompe il vincolo (la corda) che teneva il corpo<br />

legato al centro A. Se questo corpo continua a muoversi con la medesima velocità, allora arriverà<br />

successiva<strong>mente</strong> in K, L, ... Per piccoli intervalli di tempo, tali che il conatus non faccia in tempo a<br />

distruggersi, si<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

possono fare le seguenti approssimazioni: EK = EC; FL = FD. Osserviamo ora che EC ed FD<br />

aumentano con i quadrati dei tempi e ciò vuol dire che il conatus si comporta come un grave<br />

sospeso ad un filo per il quale già sappiamo che vi è una dipendenza dal quadrato del tempo. Da<br />

qui si può trarre una prima conclusione: le forze centrifughe dei corpi mobili ineguali, ma mossi<br />

secondo circonferenze eguali e con eguali velocità stanno tra loro come la gravitas o quantità<br />

solide dei corpi (20) , la stessa cosa deve accadere per i corpi in rotazione, inoltre la forza centrifuga<br />

aumenta in proporzione con il peso (o materia solida) del corpo.<br />

Prendiamo ora in considerazione il triangolo rettangolo BAD. Da esso si ricava:<br />

AB 2 + BD 2 = AD 2<br />

osservando che AD = AF + FD e che AF = AB, si ha:<br />

sviluppando e semplificando:<br />

AF 2 + BD 2 = (AF + FD) 2<br />

BD 2 = FD 2 + 2.AF.FD<br />

Se FD è, come nelle ipotesi, piccolo, allora FD 2 è trascurabile:<br />

1)<br />

BD 2 = 2.AF.FD =><br />

Si devono ora fare delle osservazioni relativa<strong>mente</strong> <strong>alla</strong> <strong>fisica</strong> del problema. La lunghezza BD è<br />

quella percorsa dall'oggetto che si allontana di moto uniforme, si avrà pertanto:<br />

La lunghezza AF è il raggio r della ruota, la lunghezza FD è la lunghezza che il corpo percorre<br />

soggetto <strong>alla</strong> gravitas e quindi percorsa di moto uniforme<strong>mente</strong> accelerato:<br />

Sostituendo le ultime due espressioni nella 1) si trova:<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

2)<br />

che è l'espressione nota per l'accelerazione centrifuga. Quando sarà affermata la definizione<br />

newtoniana di forza (F = ma), basterà sostituire ad a questa espressione per avere la relazione che<br />

fornisce la forza centrifuga (21) . Occorre osservare che la 2) non fu data esplicita<strong>mente</strong> da Huygens<br />

ma che era completa<strong>mente</strong> implicita nelle sue proposizioni.<br />

Questo brillante studio di Huygens era finalizzato a realizzare pendoli sempre più perfezionati<br />

ed in particolare i pendoli conici, quelli costretti ad oscillare non su di un piano ma nello spazio. In<br />

un tale pendolo acquista importanza la forza centrifuga perché assume un valore che supera il peso<br />

del bilanciere e perché tale forza mantiene il pendolo non lungo la naturale linea verticale. Dice<br />

Westfall:<br />

Quando la corda faceva un angolo di 45° con la verticale, intuitiva<strong>mente</strong> sembrava che la forza<br />

centrifuga dovesse essere uguale al peso del bilanciere. In questo pendolo conico, il raggio della<br />

circonferenza descritta dal bilanciere era uguale all' altezza verticale del cono, e di conseguenza (in<br />

base <strong>alla</strong> sua analisi del moto circolare) la velocità del bilanciere era uguale a quella che<br />

acquisterebbe un corpo cadendo lungo metà dell' altezza del cono. Mediante quest'equazione, poté<br />

anche paragonare il tempo di caduta di un corpo lungo 1'altezza del cono al periodo del pendolo<br />

conico. Aveva dimostrato che tutti i pendoli conici con la medesima altezza verticale hanno lo<br />

stesso periodo e che tra pendoli che hanno diverse altezze verticali il periodo varia secondo la<br />

radice quadrata dell'altezza verticale (AB).<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Galileo aveva mostrato che il periodo di un pendolo normale varia secondo la radice quadrata della<br />

sua lunghezza e Huygens comprese che nel caso singolo di un'oscillazione minima il pendolo<br />

conico diventa uguale al pendolo normale. Il periodo di un pendolo conico quindi è uguale al<br />

periodo di un pendolo normale la cui lunghezza sia uguale all' altezza verticale del cono (AB). Poi,<br />

con una serie di semplici rapporti, utilizzando la propria analisi sul pendolo conico e la cinematica<br />

della caduta di Galileo, stabili che il rapporto tra il periodo di un pendolo ed il tempo di caduta<br />

lungo la sua lunghezza è uguale a π√2. Ma il periodo di caduta è √2l/g. Di conseguenza il periodo<br />

di un pendolo è 2π√l/g. Per Huygens, l'incognita dell'equazione era l'accelerazione di gravità, g.<br />

Riuscì a misurare il periodo e la lunghezza. A partire dal tempo di Galileo, moltissimi studiosi<br />

avevano cercato di misurare g misurando la distanza che un grave cadendo copre in un secondo. La<br />

maggior <strong>parte</strong> dei risultati dava g = circa 24 piedi/sec 2 ; il gesuita Riccioli aveva trovato un dato di<br />

30 piedi/sec 2 . Con il pendolo, Huygens stabili che g = 32,18 piedi/sec 2 , <strong>alla</strong> latitudine dei Paesi<br />

Bassi, un dato che corrisponde <strong>alla</strong> migliori misurazioni odierne.<br />

LA CAUSA DELLA GRAVITA'<br />

E' d'interesse osservare che alcune note di Huygens scritte a margine del De vi centrifuga nel<br />

1659 ed alcune proposizioni dell'Horologium oscillatorium mostrano che Huygens aveva compreso<br />

che la forza centrifuga facesse equilibrio <strong>alla</strong> forza gravitazionale che il Sole esercita sui pianeti, in<br />

modo da mantenerli sulle loro orbite (la gravità, ipotizzata da Newton, controbilancia così bene le<br />

forze centrigughe dei pianeti e produce esatta<strong>mente</strong> l'effetto dei movimenti ellittici di Kepler).<br />

Huygens, da seguace di Galileo, non indugiava spesso a speculazioni che non potesse poi<br />

sottoporre ad esperienza. Sta di fatto che rifiutava (insieme a molti altri scienziati) la concezione<br />

newtoniana di azione a distanza (a me pare assurda) poiché sembrava un cedere il passo a qualità<br />

occulte (in nota 12 vi sono altre considerazioni in proposito).<br />

Sulla questione della gravità Huygens tornò nel 1686, nei suoi Pensées privées, scrivendo:<br />

I pianeti galleggiano nella materia. Se così non fosse cosa impedirebbe infatti ai<br />

pianeti di fuggirsene via, e cosa li farebbe muovere ? Keplero assegna, erronea<strong>mente</strong>,<br />

questa funzione al sole [Oeuvres completes, Vol XXI, pag. 366].<br />

e due anni dopo appuntò:<br />

Vortici distrutti da Newton. Vortici di movimento sferico al loro posto.<br />

Rettificare l'idea dei vortici.<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Necessità dei vortici: la terra fuggirebbe via lontano dal sole; ma assai distanti l'uno<br />

dall'altro e non come quelli di Descartes, l'uno contiguo all'altro [Oeuvres completes,<br />

Vol. XXI, pagg. 437-439]<br />

e quindi scrisse:<br />

Il famoso Newton ha spazzato via tutte le difficoltà [relative alle leggi di Kepler]<br />

insieme ai vortici di Descartes; ha dimostrato che i pianeti sono mantenuti nelle<br />

rispettive orbite d<strong>alla</strong> loro gravitazione verso il sole. E che gli eccentrici diventano<br />

necessaria<strong>mente</strong> ellittici [Oeuvres completes, Vol. IX, pag. 190].<br />

Finché, nel 1690, pubblicò il suo Discours de la cause de la pesanteur, che era un'elaborazione<br />

di una conferenza che tenne <strong>alla</strong> Royal Society di Londra nel 1689, nel quale espone ampia<strong>mente</strong> le<br />

sue visioni che contrastano netta<strong>mente</strong> con quelle di Newton (seguirò qui la discussione che fa<br />

Koyré).<br />

Questo lavoro di Huygens inizia con queste parole:<br />

La Natura agisce attraverso delle vie così segrete ed impercettibili, portando a Terra<br />

tutti i corpi che chiamiamo pesanti, che per quanta attenzione o industria s'impiega i<br />

sensi non riescono a scoprire nulla. E ciò ha obbligato molti Filosofi del secolo<br />

passato a non cercare la causa di questo effetto mirabile che dentro i corpi medesimi e<br />

di attribuirla a qualche qualità interna e inerente che li faccia tendere in basso e verso<br />

il centro della Terra dove c'è una tendenza delle parti ad unirsi al tutto. E ciò non ci fa<br />

cogliere le cause ma supporre dei Principi oscuri e non capiti. [...]<br />

Mediante autori e studiosi moderni della Filosofia, molti hanno giusta<strong>mente</strong> affermato<br />

che occorrerebbe trovare qualcosa all'esterno dei corpi che causasse le loro attrazioni<br />

ed i fenomeni che, in relazione ad esse, uno osserva [Oeuvres complètes, vol. XXI, pag<br />

445].<br />

Ed Huygens propende per questa seconda possibilità, rifacendosi in qualche modo a Descartes<br />

con delle sostanziali modifiche <strong>alla</strong> teoria dei vortici. Egli affermava:<br />

Credo che se l'ipotesi principale, sulla quale io mi baso, non è quella vera, vi siano<br />

poche speranze di poterla trovare, restando nei limiti della vera e sana filosofia.<br />

e così scriveva:<br />

Se ci limitiamo ai corpi, senza (considerare) quella qualità che è chiamata gravità,<br />

vediamo che il loro movimento è natural<strong>mente</strong> rettilineo o circolare; il primo è proprio<br />

dei corpi che procedono senza incontrare resistenza, il secondo di quelli che vengono<br />

trattenuti intorno a qualche centro o proprio intorno a questo centro ruotano.<br />

Conosciamo abbastanza la natura del movimento rettilineo e le leggi osservate dai<br />

corpi, quando si scontrano, nel trasmettere il loro movimento. Ma per quanto si ci<br />

sforzi di analizzare soltanto questo tipo di movimento e le reazioni che è capace di<br />

determinare nelle parti della materia, non si scoprirà tuttavia la necessità del loro<br />

tendere verso un centro. Diviene quindi indispensabile volgersi alle proprietà del moto<br />

circolare per vedere se ve ne siano alcune che possano servire al nostro scopo.<br />

So bene che Descartes ha già tentato, nella sua Fisica, di spiegare la gravità con il<br />

movimento di una certa materia che ruota intorno <strong>alla</strong> terra; e torna a suo grande<br />

merito l'aver avuto per primo quest'idea. Ma, attraverso le osservazioni che svilupperò<br />

nel resto di questo Discorso, vedremo in che cosa la sua soluzione è diversa da quella<br />

che io proporrò, e anche da che punto di vista la consideri [Oeuvres complètes, vol.<br />

XXI, pag 455]<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Sono le forze centrifughe, le cui proprietà egli qui ricorda, che lo aiutano sulla strada della sua<br />

interpretazione:<br />

Lo sforzo di allontanarsi dal centro è, dunque, un effetto costante del movimento<br />

circolare e sebbene questo effetto possa sembrare diretta<strong>mente</strong> opposto a quello della<br />

gravità, e sebbene si sia obbiettato a Copernico che, a causa della rotazione diurna<br />

della terra, le case e gli uomini verrebbero scagliati in aria, dimostrerò tuttavia che<br />

proprio quello sforzo che compiono i corpi che si muovono di moto circolare per<br />

allontanarsi dal centro è motivo del convergere di altri verso il medesimo centro<br />

[Oeuvres complètes, vol. XXI, pag 452]<br />

Per spiegare ciò egli introduce un'esperienza con la quale egli credeva di poter spiegare la<br />

gravitazione mediante il moto molto veloce delle parti di un mezzo. Pose in un vaso chiuso pieno<br />

d'acqua dei pezzetti di ceralacca (cera spagnola), che essendo un po' più pesanti dell'acqua si<br />

depositano sul fondo del vaso. Se si fa ruotare il vaso, la ceralacca si dispone ai bordi esterni del<br />

vaso; se si fa cessare improvvisa<strong>mente</strong> la rotazione, l'acqua continua a girare, mentre i pezzi di<br />

ceralacca, che stanno sul fondo e il cui moto è di conseguenza frenato con maggiore rapidità, sono<br />

ora spinti verso il centro del vaso. Huygens vide in questo fenomeno una copia esatta dell'effetto<br />

della gravitazione oltre a vedervi anche i vortici cartesiani che comunque dovevano essere pensati<br />

in modi diversi da quanto aveva fatto Descartes. Scrive egli dunque:<br />

Supporrò che nello spazio sferico che comprende la terra e i corpi che la circondano<br />

fino a grande distanza si trovi una materia fluida, formata da piccolissime particelle,<br />

che, in diversi modi, viene agitata in tutte le direzioni con grande velocità. Dico che il<br />

movimento di tale materia, poiché non può abbandonare questo spazio, dato che è<br />

circondato da altri corpi, deve divenire parzial<strong>mente</strong> circolare intorno al centro; non<br />

in modo tale, comunque, che le sue particelle ruotino tutte nello stesso modo, ma<br />

piuttosto in modo che la maggior <strong>parte</strong> dei suoi movimenti si compia su superfici<br />

sferiche intorno al centro di questo spazio che diviene, per casi dire, il centro della<br />

Terra [Oeuvres complètes, vol. XXI, pag 455]<br />

ed allora le particelle che costituiscono il vortice non ruotano più, come Descartes aveva supposto,<br />

tutte in un'unica direzione e su piani paralleli, ma in tutte le direzioni e su tutti i piani pensabili<br />

passanti per il centro della Terra. Inoltre tali vortici dovevano essere pensati molto più piccoli di<br />

quelli ipotizzati da Descartes e costituiti da particelle in moto rapido in tutte le direzioni; pensò che,<br />

in uno spazio chiuso, il moto circolare di queste particelle prevalga su quello rettilineo, e si<br />

stabilisca da se stesso. Conseguenza di ciò è che:<br />

Non è difficile spiegare come, da questo movimento, venga generata la gravità.<br />

Poiché, se in mezzo <strong>alla</strong> materia fluida che ruota nello spazio, come abbiamo<br />

supposto, si trovano delle parti più grosse di quelle che compongono la materia fluida,<br />

o anche corpi formati da fasci di piccole particelle stretta<strong>mente</strong> aderenti, e [se] questi<br />

corpi non seguono il rapido movimento della suddetta materia [fluida], saranno<br />

necessaria<strong>mente</strong> spinti verso il centro del movimento e li formeranno il globo terrestre,<br />

se si suppone che la terra ancora non esista. E la ragione è la medesima che, nel<br />

sopracitato esperimento, costringe la cera spagnola ad ammassarsi al centro del<br />

recipiente. È dunque probabil<strong>mente</strong> in questo [effetto] che consiste la gravità dei<br />

corpi, e si può dire che essa [cioè la gravità] è lo sforzo che la materia fluida compie<br />

per allontanarsi dal centro e per spingere al suo posto i corpi che non seguono il suo<br />

movimento. Adesso, il motivo per cui i gravi che si vedono discendere nell'aria non<br />

seguono il movimento sferico della materia fluida è abbastanza chiaro; infatti, poiché<br />

v'è movimento in ogni direzione, gli impulsi che un corpo riceve si succedono l'un<br />

l'altro così rapida<strong>mente</strong> che nessuno di essi viene esercitato per un periodo di tempo<br />

sufficiente a fare acquistare al corpo un movimento sensibile [Oeuvres complètes, vol.<br />

XXI, pag 456]<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

In definitiva, messa a punto qualche altra questione, ha in mano la sua teoria della gravità e può<br />

quindi concludere su Newton:<br />

Non ho dunque niente contro la «Vis Centripeta», come la definisce il signor Newton,<br />

che ne fa la causa del gravitare dei pianeti verso il Sole e della Luna verso la Terra; al<br />

contrario, non trovo difficoltà a dichiararmi completa<strong>mente</strong> d'accordo: infatti<br />

l'esperienza c'insegna non soltanto che esiste in natura un'attrazione o impulso di<br />

questo genere, ma anche che esso si può spiegare con le leggi del movimento, come si<br />

vede da quanto ho scritto supra a proposito della gravità. Niente impedisce infatti che<br />

la causa di questa «Vis Centripeta» verso il Sole sia simile a quella che costringe i<br />

gravi a muoversi verso la Terra. È passato ormai molto tempo da quando si immaginò<br />

che la figura sferica del Sole potesse esser prodotta d<strong>alla</strong> medesima [causa] che,<br />

secondo me, produceva quella della Terra; ma non avevo esteso l'azione della gravità<br />

a distanze così grandi come quelle che separano il Sole dai pianeti, o la Terra d<strong>alla</strong><br />

Luna; questo perché i vortici di Descartes, che in un primo momento mi apparvero<br />

assai verosimili, e che tenevo ancora presenti, le superavano. Neppure immaginavo, a<br />

proposito del regolare diminuire della gravità, che esso fosse inversa<strong>mente</strong><br />

proporzionale al quadrato delle distanze dai centri: una nuova ed importante qualità<br />

della gravità di cui mette conto di indagare la causa. Ma vedendo adesso, con la<br />

dimostrazione del signor Newton, che, se si suppone una simile gravità verso il Sole e<br />

che diminuisce secondo detta proporzione, essa controbilancia così bene le forze<br />

centrifughe dei pianeti e produce esatta<strong>mente</strong> l'effetto dei movimenti ellittici supposti e<br />

dimostrati con osservazioni di Keplero, non posso dubitare né della verità di queste<br />

ipotesi riguardanti la gravità, né del sistema di Newton in quanto vi si fonda [...]<br />

Sarebbe diverso, natural<strong>mente</strong>, se la supposizione fosse che la gravità è una qualità<br />

inerente <strong>alla</strong> materia corporea. Ma non credo che il signor Newton lo avrebbe<br />

ammesso perché una simile ipotesi ci allontanerebbe di molto dai principi matematici<br />

e meccanici [Oeuvres complètes, vol. XXI, pag 472-474] .<br />

Altro punto di disaccordo con Newton ed in accordo con la sua teoria dei vortici, era la<br />

supposizione di uno spazio vuoto (e non perché avesse obiezioni contro il vuoto ma perché era<br />

convinto che la luce si propagasse per onde e ciò non andava d'accordo, nella sua concezione, con<br />

spazi vuoti). E' così che su questo tema conclude:<br />

V'è solo questa difficoltà, che Newton, respingendo i vortici di Descartes, afferma che<br />

gli spazi celesti contengono soltanto una materia molto rarefatta, tale da consentire ai<br />

pianeti e alle comete di procedere nella loro rapida corsa incontrando un minimo di<br />

resistenza. Ma se si ammette questa estrema rarefazione degli spazi celesti, pare non<br />

sia possibile spiegare l'azione della gravità o quella della luce, almeno con i mezzi di<br />

cui mi sono servito. Per esaminare questo problema, dico che la materia eterea può<br />

considerarsi rarefatta in due modi: a) le sue particelle restano separate l'una dall'altra<br />

da un vasto spazio; b) sono l'una contigua all'altra, in modo però che la trama che ne<br />

risulta non sia eccessiva<strong>mente</strong> compatta, ma piuttosto cosparsa di un grande numero<br />

di piccoli spazi vuoti. Quanto al vuoto, lo ammetto senza difficoltà e credo che sia<br />

indispensabile per il movimento dei piccoli corpuscoli tra di loro, poiché non sostengo<br />

affatto con Descartes che solo l'estensione costituisce l'essenza del corpo; aggiungo<br />

bensì ad essa la perfetta durezza che lo rende impenetrabile e impedisce che venga<br />

rotto o scalfito. Comunque, se si considera la rarefazione nel primo modo non vedo<br />

come si possa arrivare a una spiegazione della gravità; e, quanto <strong>alla</strong> luce, mi sembra<br />

del tutto impossibile, ove si ammettano tali vuoti, spiegarne la prodigiosa velocità che,<br />

secondo la dimostrazione del signor Roemer, da me riportata nel Traité de lumière,<br />

deve essere seicento volte maggiore di quella del suono. Questo è il motivo per cui<br />

ritenni che una tale rarefazione non poteva darsi negli spazi celesti [Oeuvres<br />

complètes, vol. XXI, pag 473].<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

SEGUE<br />

NOTE<br />

(1) A Padova vi erano due università, quella per studi giuridici e quella per studi "artistici". Galileo<br />

insegnava nella seconda dove frequentavano teologi, filosofi e medici. Gli studenti di Galileo erano<br />

in gran <strong>parte</strong> quelli di medicina che apprendevano un poco di geometria per poi passare<br />

all'astronomia che serviva loro per l'astrologia, specializzazione indispensabile per il "decoro" di un<br />

medico. Per quanto ne sappiamo dai pochi documenti ritrovati, Galileo insegnava gli Elementi di<br />

Euclide; la Sfera di Sacrobosco; l'Almagesto di Tolomeo; le Questioni Meccaniche di Aristotele.<br />

(2) Galileo a Iacopo Mazzoni in Pisa. Padova 30 maggio 1597 (vedi Vol. 2 dell'Edizione Nazionale<br />

- in seguito E.N. - pagg. 195-202). Si tratta di una lunga lettera in cui Galileo confuta con una<br />

dimostrazione matematica, alcune considerazioni del suo maestro ed amico Mazzoni. Secondo<br />

quest'ultimo, le ombre delle montagne dimostrerebbero la non plausibilità del sistema copernicano.<br />

Galileo dimostra che invece è plausibile se solo si tiene conto che l'universo copernicano è più<br />

grande di quello aristotelico.<br />

Per strano che possa sembrare è la <strong>parte</strong> relativa al moto ed al galleggiamento , cioè la totale<br />

insoddisfazione per la <strong>fisica</strong> (e non cosmologia) aristotelica, che scuote Galileo. Ancora nel 1590,<br />

quando era a Pisa, aveva confutato che i corpi avessero leggerezza in sé. Egli sosteneva che se la<br />

sostanza in cui i corpi si muovono è l'acqua invece dell'aria, alcuni di essi, come il legno, che sono<br />

considerati "pesanti", diventano "leggeri" perché il loro moto, anziché verso il basso è verso l'alto.<br />

Galileo ne conclude che tutti i corpi sono gravi ed il loro andare verso l'alto o verso il basso<br />

dipende solo d<strong>alla</strong> loro gravità specifica rispetto a quella del mezzo ambiente. E non è vero,<br />

aggiungeva Galileo, che un corpo si muove più veloce<strong>mente</strong> quanto meno è denso il mezzo in cui<br />

si trova. Se si gonfia una vescica di aria, essa si muove lenta<strong>mente</strong> verso il basso nell'aria e<br />

veloce<strong>mente</strong> verso l'alto nell'acqua. Galileo ne deduce una conclusione che sarà fondamentale per il<br />

suo allievo Torricelli: l'horror vacui di Aristotele è da rifiutare. Inoltre l'idea stessa del moto<br />

violento mantenuto dall'aria che si richiude dietro il corpo scagliato perde completa<strong>mente</strong><br />

significato perché diventerebbe impensabile un corpo in moto nel vuoto (su questo Galileo tornerà<br />

nel Dialogo). Ma anche altre furono le questioni che rendevano la <strong>fisica</strong> di Aristotele<br />

insoddisfacente: la caduta dei gravi, ad esempio. Per Galileo era inaccettabile che i corpi cadessero<br />

con gradi di velocità maggiori quanto maggiore è la massa di un corpo.<br />

(3) Galileo a Giovanni Kepler in Graz. Padova, 4 agosto 1597 - E.N. Vol. 10, pagg. 67-68. "... già<br />

da svariati anni mi sono schierato con l'opinione di Copernico e, <strong>parte</strong>ndo da tale posizione, ho<br />

avuto modo di trovare le cause anche di svariati effetti naturali che sono indubbia<strong>mente</strong><br />

inesplicabili per mezzo delle ipotesi correnti. Ho scritto molte ragioni e confutazioni di argomenti<br />

che tuttavia non ho osato pubblicare fino ad ora, spaventato d<strong>alla</strong> sorte dello stesso Copernico,<br />

nostro maestro, che, sebbene si sia procurato fama immortale presso alcuni, tuttavia presso<br />

moltissimi (tanto grande è infatti il numero degli stolti) è divenuto motivo di riso e<br />

disapprovazione. Oserei certa<strong>mente</strong> esporre le mie riflessioni davanti a molti come te, se ce ne<br />

fossero, ma, non essendovene, soprassiederò ad un impegno di tal genere"<br />

(4) Giovanni Kepler a Galileo in Padova. Graz, 13 ottobre 1597 - E.N. Vol. 10, pagg. 69-71.<br />

(5) Riporto dei brani di lettere a Galileo e da Galileo su questo fenomeno (ho ripreso questa<br />

selezione dal sito dell'Unione Astrofili Italiani):<br />

ILARIO ALTOBELLI a GALILEO in Padova.<br />

Verona, 3 novembre 1604.<br />

[..]In tanto mi piace che V. S. si sia accorta di questo nuovo mostro del cielo, da far impazzir i<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

Peripatetici, ch'hanno creduto sin hora tante bugie in quella stella nova e miracolosa del 1572,<br />

priva di moto e di par<strong>alla</strong>sse. Come semifilosofi, potriano protervire che pur era fuor del zodiaco<br />

et in <strong>parte</strong> boreale; ma in questa, quo se vertant, nescient: poi che, se non intendono le par<strong>alla</strong>sse,<br />

non potranno negare che non sia in <strong>parte</strong> australe nel Zodiaco, vicino <strong>alla</strong> eclittica, in segno igneo,<br />

appresso Giove calido, et hora poco lontana si può dir dal sole), e più bella che mai, nata nella<br />

congiunzione di Giove et Marte calidissimo, alli 9 d'Ottobre e non prima, perchè io osservando la<br />

congiunzione di Giove et Marte se rispondeva al calcolo Prutenico alli 8 d'Ottobre, intento tutto e<br />

per lungo spatio in quella <strong>parte</strong> del cielo, con un compagno, non si vedeva altra stella nè vicina nè<br />

lontana che gli tre superiori, per esser l'aria molto chiara. Ma perchè io ne scrivo per hora una<br />

breve indicatione, che fra 8 giorni forsi sarà finita, per servire tanti che mi fanno instanza, non ne<br />

dirò altro per hora a V. S.; ma la prego sì bene instantissima<strong>mente</strong> a farmi gratia di osservar se<br />

facci diversità d'aspetto et quanta, come anco la lunghezza et larghezza precisa<strong>mente</strong>, perchè io<br />

non ho altro instrumento che un astrolabio d'un piede di diametro e manco, sì che non posso<br />

scapricciarmi bene. Et del tutto mi farà gratia, come ne la prego grande<strong>mente</strong>, avisarmi.[..]<br />

ILARIO ALTOBELLI a GALILEO in Padova.<br />

Verona, 25 novembre 1604.<br />

Tengo molto cara la risposta di V. S. gentilissima, godendo insieme l'amore che scuopre verso di<br />

me, e che così presto l'habbi accecata per mio gusto, e che l'occasione di questa maravigliosissima<br />

maraviglia del cielo, donata per ultima luce all'ultimo della penultima età del mondo, facci<br />

conoscere gl'ingegni e la verità della natura celeste, nei secoli precedenti sin <strong>alla</strong> prima origine<br />

d'ogni cosa non mai più così chiara<strong>mente</strong> testificata. Questo è impossibile che sia globo sospeso<br />

nell'aria elementare per cagion di freddo et humido, pasto del foco celeste, mentre vediamo che<br />

non ha nessun moto proprio, nè retto nè obliquo nè confuso, che saria impossibile ad intenderlo,<br />

stante la liquidezza e continua concitatione varia dell'aria. Non è dissimile dall'altre dell'ottava<br />

sfera, non ha mutato mai colore, scintilla più d'ogni altra fissa a quali solo e per natura propria, et<br />

il suo sito rende possibile ogni impossibilità conietturata di Aristotile, distrugendo ogni sua<br />

imaginatione, poi che è in <strong>parte</strong> australe nel zodiaco, vicino all'eclittica, in segno igneo e fra<br />

pianeti calidissimi nata, nè teme la faccia del sole che già l'asconde, sì che è cosa manifesta ch'ella<br />

habbi ottenuto il suo trono infra le fiamme ardenti.<br />

[..]Ma, in ogni modo, l'istessa stella, emula di Giove, et opposta al tempio di Mercurio, doppio non<br />

men di figura che di natura, distrugerà il falso e parturirà il vero, e final<strong>mente</strong> si caminerà per la<br />

luce et non per le tenebre.<br />

Io credo esser stato un de' primi, e forsi solo primo, a conoscere et veder la sua prima apparitione<br />

in Europa, che fu li 9 d'Ottobre, quasi nel tramortar del sole, nella congiungiunzionr di Giove et<br />

Marte et certo che all'occhio pareva che havesse l'istessa lunghezza che havevano questi doi, poi<br />

che si vedeva in sito consimile:<br />

Stella nova<br />

Giove Saturno<br />

Marte<br />

[..] In quei giorni ero vigilante in censurar il calcolo Prutenico con l'occasione della congiunzione<br />

di Giove e Marte , et la sera delli 8 d'Ottobre particolar<strong>mente</strong>, sul traboccar del sole, trovai gli tre<br />

superiori soli, in questa forma di trigono equicrurio giusto:<br />

Giove<br />

Marte<br />

Saturno<br />

nè si vedeva altra stella per tutto il cielo, con particolare maraviglia d'un Padre qui secondo<br />

lettore, instrutto così da me <strong>alla</strong> cognitione oculare degli stessi pianeti più volte: e la sera delli 9<br />

Ottobre, tornando al medesimo luogo, vedessimo gli istessi con la positura visuale antescritta, sì<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

che non v'è dubio alcuno.[..]<br />

CRISTOFORO CLAVIO a GALILEO in Padova.<br />

Roma, 18 dicembre 1604.<br />

[..]Qui è stato un gran bisbiglio della stella nova, la quale habbiamo trovata nel 17 grado di<br />

Sagittario, con latitudine borea di gradi 1 1/2 in circa. Se V. S. ha fatto qualche osservatione, mi<br />

farà piacere d'avisarmi. Il Magino mi scrive d'haverla anco lui osservata nel medesimo grado; et<br />

così anco scrivono di Germania e Calabria.[..]<br />

LEONARDO TEDESCHI a GALILEO in Padova<br />

Verona, 22 dicembre 1604.<br />

[..] Et per cominciar hor mai, io dico che, essendo la questione che cosa sia questa luce<br />

nuova<strong>mente</strong> alli X ottobre del presente anno apparsa nel Saggittario, vicino a Giove che si era per<br />

congionger insieme con Marte, bisogna che sia luce fondata o in un corpo, et così sia reale et<br />

radicata in un soggetto solo, o in due corpi, et così sia più tosto luce intentionale et spirituale, cioè<br />

dependente dal suo producente et efficiente. Se è d'un corpo solo, o che è elementare et<br />

corruttibile, o celeste et immortale; se è di doi, o che ambidui sono elementari, o ambidoi celesti, o<br />

l'uno elementare e l'altro celeste. Ritorno al primo, et mostro che non poss'esser elementare:<br />

perchè se tale fosse, essendo in regione alta, sarebbe corpo meteorologico, et per consequenza,<br />

havendo gran duratione et moto verso l'occaso, saria del genere delle comete: ma come[ta] non è,<br />

come son per provare; adonque non può esser questa luce, luce di corpo elementare. Le ragioni<br />

mo' sono altre naturali, altre più tosto matematiche. Et per cominciar dalle naturali, la prima sarà<br />

tolta d<strong>alla</strong> chiarezza, limpidezza e splendor suo incomparabile, che di gran lunga avanza ogni<br />

stella et qual si voglia altra celeste luce, d<strong>alla</strong> solare in poi, non che luce o di foco che sia qui tra<br />

noi, o di vapore ignito et cometa. Se dunque supera di splendore tutte le stelle, et Venere et Giove<br />

istesso, le quali hanno la sua luce d<strong>alla</strong> sola densità del loro orbe, senza admistioni d'alcuna<br />

sostanza opaca, chi non dirà che questa non sia luce di foco? [..]<br />

ILARIO ALTOBELLI a GALILEO in Padova.<br />

Verona, 30 dicembre 1604.<br />

[..]Per servir V. S. Ecc.ma, le significo della nuova stella che già doi giorni sono un mio amico qua<br />

intendente l'ha veduta; ma io, non havend'orizzonte commodo in questi tempi così rigidi, massime<br />

la matina, non ho animo di vederla per hora.<br />

Ho aviso dal S.r Pirro Colutii, mio paesano et peritissimo nella professione, che scrive a lui l'Ill.<br />

mo S.r Bardi, haver veduto la sua prima apparitione li 27 Settembre et osservatala più sere, ch'è<br />

cosa alienissima dal vero; poi che io avanti li 9 Ottobre più giorni hebbi l'occhio in quella <strong>parte</strong><br />

del cielo, intentissimo al moto di Marte, che andava a Giove, con testimonio intendente, nè mai fu<br />

veduta, ma solo li 9 Ottobre, che ci fece grande<strong>mente</strong> maravegliare, et era quasi un narancio<br />

mezzo maturo. L'istesso scrive un medico da Cosenza, di Calabria, matematico, ciò è che non<br />

prima delli 9 Ottobre apparve, intento ancor lui in quei giorni pur là su. [..]<br />

ONOFRIO CASTELLI a GALILEO [in Padova].<br />

Roma, 1° gennaio 1605.<br />

[..]Sì come l'obligatione che tengo a V. S. è grande, così vengo ad esser in debito di augurarle,<br />

come faccio, il buon Capo d'Anno; ricordandoli appresso, che mi farà molta gratia mentre mi<br />

favorirà di qualche commandamento, et pari<strong>mente</strong> a dirmi due parole del suo giuditio circa questa<br />

nuova stella. [..]<br />

GALILEO GALILEI a ONOFRIO CASTELLI<br />

[Padova, gennaio 1605].<br />

Mi è più di una volta stata fatta instanza dal nostro gentilissimo S. Orazio Cornacchini, che io<br />

dovessi mandare a V. S. Ecc.ma copia di tre letioni fatte da me in publico sopra il lume apparso<br />

circa li 9 di Ottobre in cielo, il quale sotto nome di stella nuova viene addimandato, affermandomi<br />

ciò esser da lei molto desiderato. [..]<br />

Sono poi andato differendo tal publicazione, et sono anco per differirla per qualche giorno, perchè<br />

il fermarmi sola<strong>mente</strong> nel dimostrare, il sito della nuova stella essere et esser sempre stato molto<br />

superiore all'orbe lunare, che fu il principale scopo delle mie letioni, è cosa per sè stessa così<br />

facile, manifesta et comune, che al parer mio non merita di slontanarsi d<strong>alla</strong> catedra; dove bisognò<br />

che io ne trattassi in grazia de i giovani scolari et della moltitudine bisognosa di intendere le<br />

demostrazioni geometriche, ben che apresso li esercitati nelli studii di astronomia trite et<br />

domestichissime. Ma perchè ho hauto pensiero di esporre ancora io, tra tanti altri, <strong>alla</strong> censura del<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

mondo quel che io senta non solo circa il luogo et moto di questo lume, ma circa la sua sustanza et<br />

generatione ancora, et credendo di havere incontrato in opinione che non habbia evidenti<br />

contradizioni, et che per ciò possa esser vera, mi è bisognato per mia assicuratione andar a passo<br />

lento, et aspettare il ritorno di essa stella in oriente dopo la separatione del sole, et di nuovo<br />

osservare con gran diligenza quali mutationi habbia fatto sì nel sito come nella visibile grandezza<br />

et qualità di lume: et continuando la speculazione sopra questa meraviglia, sono final<strong>mente</strong> venuto<br />

in credenza di poterne sapere qualche cosa di più di quello in che la semplice coniettura finisce[..]<br />

ILARIO ALTOBELLI a GALILEO in Padova.<br />

Verona, 10 gennaio 1605.<br />

[..]Ho veduto quella buffoneria o temerità del Discorso della Nuova Stella, in disterminatione<br />

dell'autore, non de' matematici; et perchè incidit in foveam quam fecit, non occorre risponder<br />

altro: vilesceret animus etc.<br />

La stella poi, quando fu veduta da me e da quelli ch'eran con me, alli 9 Ottobre, e non prima,<br />

ancor che fussimo pur intenti a rimirar quella <strong>parte</strong> del cielo più giorni prima, et massime la sera<br />

delli 8, e c'intervennero, per maggior giustificatione, queste parole: Com'è possibile che non si<br />

vedano altre stelle che quelle tre?, vedendosi Giove Saturno e Marte soli: et la sera delli 9 <strong>alla</strong><br />

prima vista apparve con le tre la nuova, e disse quell'istesso: O là, che stell'è quella? hier sera non<br />

v'era già? Et era grande, al mio parere, quanto Giove, et di colore come un narancio mezzo giallo<br />

e mezzo verde, o pur misto di giallo et verde. Dopo non la potei vedere, per turbarsi il tempo, sino<br />

la sera delli 15 Ottobre, et appareva assai più grande di Giove, anzi quella fu la maggior<br />

grandezza ch'io habbi osservato nella stella nuova, e credo che più tosto gli giorni seguenti sia<br />

decresciuta che altri<strong>mente</strong>; ma poco però in quei primi giorni potea andar mancando, havendo<br />

continuato d'osservarla per molti giorni seguenti sempre maggior di Giove. Scrive l'istesso al P.<br />

Clavio un medico matematico di Calabria, ciò è che non è stata veduta prima delli 9 Ottobre,<br />

ancorachè egli havesse intenta<strong>mente</strong> più giorni prima rimirato quella <strong>parte</strong> del cielo, et massime la<br />

sera delli 8, et che nella prima apparitione era come Giove, e poi si fece presto assai maggior di<br />

Giove: et io ho la copia della sua lettera, mandata dal P. Clavio al S.r Magino et dal S.r Magino a<br />

me etc. Et questo basti della grandezza, che hora deve esser di seconda in circa.[..]<br />

OTTAVIO BRENZONI a GALILEO in Padova.<br />

Verona, 15 gennaio 1605<br />

.<br />

[..]Circa li 15 d'Ottobre 1604, nell'occultarsi del sole, vidi improviso una nova luce, che<br />

rassembrava stella a Giove, di equale a lui o di maggior grandezza, quasi con l'istesso colore, ma<br />

scintillante. Sarei stato all'hora (lo confesso), per la meraviglia, incredulo a me stesso, se ciò non<br />

havessi creduto esser fiamma alta<strong>mente</strong> acesa, che comune<strong>mente</strong> si dice cometa; et forse ...<br />

maggior<strong>mente</strong> la meraviglia, quando anco così fatto splendore potevo dubbitare che fosse<br />

nova<strong>mente</strong> apparso in cielo, poi che ramentomi d'haver letto che ne l'anno 1572 un simile<br />

n'apparve in Cassiopeia. All'hora, per trovar argomento di levarmi di dubio et farmi, se non<br />

chiaro, almeno men confuso, osservai con un instromento, in ciò mediocre<strong>mente</strong> opportuno, una<br />

distanza tra Marte et questa nova luce, et la vidi se non maggiore, almeno equale, quando era alta<br />

da terra, a quella distanza che presi per due hore doppo, ciò è nel tramontar di quella: assai<br />

chiaro argomento, per il creder mio (s'altra condittion materiale non s'interpose), ch'ella non fosse<br />

sotto il cerchio della luna, perchè in questo caso sarebbe stata maggiore la distanza ultima<strong>mente</strong><br />

presa della prima...[..]<br />

(6) Vedi E.N. Vol 2, Frammenti di lezioni e di studi sulla nuova stella, pagg. 275-284. Riporto un<br />

brano di tali frammenti per la traduzione di Ezio Fonio:<br />

"Una luce estranea, il dieci ottobre di questo milleseicentoquattro, per la prima volta fu vista in<br />

alto; inizial<strong>mente</strong> di debole consistenza, ma in seguito, passati pochi giorni, grande<strong>mente</strong><br />

aumentata da superare tutte le stelle, sia le fisse sia le mobili, ad eccezione della sola Venere; luce<br />

splendidissima e intera<strong>mente</strong> sfavillante, al punto da sembrare nel vibrare della luminosità quasi<br />

spegnersi e subito riaccendersi; luce che supera in splendore quello di tutte le stelle fisse,<br />

compreso lo stesso Cane; simile, per il colore della luce, allo splendore dorato di Giove e al<br />

rossastro colore di Marte.<br />

Mentre infatti contrae i raggi temibili e dà l'idea errata di uno spegnimento, si presenta quasi<br />

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incandescente a causa del colore rosso di Marte, ma mentre diffonde i raggi in modo più ampio,<br />

come se rivivesse, si mostra splendente del bagliore di Giove: dal che qualcuno non a torto<br />

sarebbe portato a credere che tale luce sia stata generata d<strong>alla</strong> congiunzione di Giove e di Marte;<br />

e questo, inoltre, soprattutto, perché appare generata quasi nello stesso luogo e nello stesso tempo<br />

nella congiunzione dei citati pianeti.<br />

Il nove ottobre, infatti, alle cinque del mattino si verificò la congiunzione di Giove e di Marte<br />

davanti a Saturno, situato a 8 gradi soltanto da essi, verso occidente; nel qual tempo, osservando<br />

tale congiunzione, non abbiamo visto in quella zona nessun'altra stella oltre le tre citate: la sera<br />

seguente, cioè il dieci ottobre al tramonto del sole, si vide innanzitutto questa nuova luce; e, mentre<br />

inizial<strong>mente</strong> appariva debole e piccola, ben presto nel giro di pochi giorni raggiunse una notevole<br />

dimensione, non sarà fuori luogo supporre che quella nuova luce sia stata generata al momento<br />

della citata congiunzione e, data la tenuità, sia rimasta nascosta.<br />

E inoltre allorché i pianeti si ritrovarono insieme al 19° grado del Sagittario, nel 18° grado del<br />

medesimo segno questa luce apparve nuova<strong>mente</strong>; inoltre le distanze secondo la latitudine<br />

dall'ellittica furono allora, di Marte anzitutto, a mezzodì [a Sud], di gradi 0,53', di Giove, a<br />

tramontana [a Nord], gradi 0,37', della nuova luce poi gradi 1,40' circa, ad aquilone [Nord-Nord-<br />

Est], di Saturno invero gradi 1,48', parimenti, in direzione dell'Orsa, di modo che tale<br />

configurazione risulterebbe costituita da queste quattro luci.<br />

Questo splendore fece elevare alle realtà divine gli occhi ottusi e rivolti alle terrene della gente,<br />

quasi si trattasse di un nuovo miracolo del cielo; ciò che la congiunzione di astri splendidissimi ed<br />

innumerevoli di cui si ornano i campi del cielo non riesce ad effettuare: la condizione della<br />

struttura umana è infatti tale che le realtà quotidiane, anche quelle degne di ammirazione, ci<br />

sfuggono; al contrario, se accade qualcosa d'insolito e fuori della norma, questo attira ogni<br />

popolazione.<br />

Siete testimoni, giovani che qui siete accorsi numerosi per sentirmi trattare di questa apparizione<br />

degna di ammirazione; alcuni, spaventati e scossi da inconsistente superstizione, per capire se il<br />

prodigio portentoso annunci un cattivo augurio; altri chiedendosi se esista nei cieli una vera stella<br />

oppure un vapore bollente nelle vicinanze della terra; tutti, poi, cercando ansiosa<strong>mente</strong> di<br />

conoscere con unanime interesse la sostanza, il moto, il luogo e il motivo di quella apparizione.<br />

Desiderio stupendo, perbacco, e degno delle vostre intelligenze!<br />

E, oh! voglia il cielo, che la pochezza della mia intelligenza possa rispondere all'importanza della<br />

cosa e <strong>alla</strong> vostra attesa! Non spero né diffido: ritengo di accingermi a stabilire soltanto questa<br />

unica cosa di mia stretta competenza, se si riferisca, in modo da potersi dimostrare, al movimento<br />

relativo <strong>alla</strong> sostanza, imparerete a conoscerlo tutti…[..]."<br />

(7) Postille di Galileo <strong>alla</strong> Considerazione Astronomica circa la Stella Nova dell'anno 1604 di<br />

Baldesar Capra, E.N. Vol. 2, 285-305.<br />

(8) E.N. Vol. 2, pagg. 309-334.<br />

(9) «Da osservazioni più volte ripetute di tali macchie fummo tratti <strong>alla</strong> convinzione che la<br />

superficie della Luna non è levigata, uniforme ed esatta<strong>mente</strong> sferica, come gran numero di filosofi<br />

credette di essa e degli altri corpi celesti, ma ineguale, scabra e con molte cavità e sporgenze, non<br />

diversa<strong>mente</strong> d<strong>alla</strong> faccia della Terra, variata da catene di monti e profonde valli.»<br />

(10) «Abbiamo dunque un valido ed eccellente argomento per togliere ogni dubbio a coloro che,<br />

accettando tranquilla<strong>mente</strong> nel sistema di Copernico la rivoluzione dei pianeti intorno al Sole,<br />

sono tanto turbati dal moto della sola Luna intorno <strong>alla</strong> Terra, mentre entrambi compiono ogni<br />

anno la loro rivoluzione attorno al Sole, da ritenere si debba rigettare come impossibile questa<br />

struttura dell’universo. Ora, infatti, non abbiamo un solo pianeta che gira intorno a un altro,<br />

mentre entrambi percorrono la grande orbita intorno al Sole, ma la sensata esperienza ci mostra<br />

quattro stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno <strong>alla</strong> Terra, mentre tutte insieme<br />

con Giove, con periodo di dodici anni si volgono in ampia orbita attorno al Sole. »<br />

(11) Qui si potrebbe aggiungere una cosa che se fosse stata compresa fino in fondo da Galileo<br />

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avrebbe creato molti scompigli ed in particolare avrebbe fatto recedere Kepler dal suo sistema<br />

astronomico. Come hanno mostrato Kowal e Drake (1980), dallo studio minuzioso dei manoscritti<br />

galileiani, Galileo, tra il dicembre 1612 ed il gennaio 1613, scoprì anche il pianeta Nettuno che fu<br />

riscoperto da Lalande l'8 maggio 1795 ma che lo scambiò per una stella finché Galle nel 1846,<br />

basandosi su calcoli di Leverrier, lo identificò definitiva<strong>mente</strong>. Ricordo che all'epoca ancora non<br />

era stato scoperto Plutone.<br />

Galileo per due volte annotò nei suoi appunti la posizione di un astro relativa<strong>mente</strong> luminoso, la<br />

prima volta il 28 dicembre 1612 alle 3 e 46, <strong>alla</strong> destra di Giove; la seconda volta il 27 gennaio<br />

1613 intorno alle 23, a 20 raggi di Giove osservò un astro di magnitudine 7. In tali posizioni<br />

l'osservatorio di Monte Palomar non situa alcuna stella. In compenso, con il computer si è risaliti a<br />

tale data e Nettuno si trovava proprio lì dove Galileo aveva appuntato. Poiché gli scomparve d<strong>alla</strong><br />

visione nel raggio d'azione dell'osservazione di Giove e perché probabil<strong>mente</strong> il pregiudizio di<br />

pianeti che terminavano con quelli conosciuti era troppo forte, la cosa finì solo sugli appunti delle<br />

due osservazioni citate.<br />

Tanto per capire con cosa si scontrava Galileo, è utile un cenno ai filosofi aristotelici che, come<br />

tutte le persone colte dell'epoca, facevano gli astrologi. Essi dicevano per negare l'esistenza dei<br />

satelliti di Giove: Perché mai Dio avrebbe posto nel cielo pianeti tanto piccoli destinati a rimanere<br />

superflui ed inefficaci, del tutto inutili all'uomo ed indegni della sua considerazione ?<br />

(12) Quella che segue è la lettera del Cardinale Carlo Conti (7 luglio 1612) che avverte Galileo di<br />

lasciar perdere Copernico (E.N. Vol. 11, pagg. 354-355):<br />

Ill. re et molto Ecc. te Sig. re<br />

Le questione mosse da V. S. nel suo libro sono molto belle et curiose, fondate in assai ferme<br />

ragione et esperienze certe: però, come sono le cose nove, non vi mancaranno impugnatori, quali<br />

spero serviranno solo a fare più chiaro l'ingegno di V. S., et la verità più certa.<br />

In quanto poi a quello che me rechiede, se la Scrittura Sacra favorisca a' principii de Aristotele<br />

intorno la constitutione dell'universo; se V. S. parla dell'incorrottibilità del cielo, come pare che<br />

accenni nella sua, dicendo scoprirse ogni giorno nove cose nel cielo, le respondo non essere<br />

dubbio alcuno che la Scrittura non favorisce ad Aristotele, anzi più tosto <strong>alla</strong> sentenza contraria, sì<br />

che fu comune opinione de' Padri che il cielo fosse corruttibile. Se poi queste cose che di nuovo si<br />

scorgono in cielo, dimostrino questa corruttibilità, ricerca longa consideratione, sì perchè il cielo<br />

essendo da noi sì distante, è difficile affermare di lui cosa di certo senza longhe osservatione, sì<br />

anco perchè se è corruttibile, bisogna habbi determinate cause di queste mutatione, quale a certi et<br />

determinati tempi si debbino vedere, nè salvare si possino senza che il cielo patisca corruttione,<br />

come facil<strong>mente</strong> alcuni pensaranno potersi salvare le macchie che si vedono nel sole con il moto<br />

de alcune stelle che sotto de lui se aggirino. Queste ragione, et altre molte, penso siino state da V.<br />

S. molto ben considerate et essaminate; et però aspetto haver da lei più longa dechiaratione delle<br />

sue osservatione et ragione.<br />

Quanto poi al moto della terra et del sole, si trova che de due moti della terra puol essere<br />

questione: l'uno de' quali è retto, et fassi d<strong>alla</strong> mutatione del centro della gravità; et chi ponesse tal<br />

moto, non dirrebbe cosa alcuna contro la Scrittura, perchè questo è moto accidentario <strong>alla</strong> terra:<br />

et così la notò Lorino sopra il primo recto (sic) dell'Ecclesiastico (sic) (1) . L'altro moto è circolare,<br />

sì che il cielo stii fermo et a noi appare moversi per il moto della terra, come a' naviganti appare<br />

moversi il lido; et questa fu opinione di Pittagorici, seguitata poi dal Copernico (2) , dal Calcagnino<br />

et altri, et questa pare meno conforme <strong>alla</strong> Scrittura: perchè, se bene quei luoghi dove se dice che<br />

la terra stii stabile et ferma, si possono intendere della perpetuità della terra, come notò Lorino nel<br />

luogo citato, nondimeno dove si dice che il sole giri et i cieli si movono, non puole havere altra<br />

interpretatione la Scrittura, se non che parli conforme al comun modo del volgo; il qual modo<br />

d'interpretare, senza gran necessità non non si deve ammettere. Nondimeno Diego Stunica (3) ,<br />

sopra il nono capo di Giob, al versetto 6°, dice essere più conforme <strong>alla</strong> Scrittura moversi la terra,<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

ancor che comune<strong>mente</strong> la sua interpretatione non sia seguita. Che è quello si è potu[to] trovare<br />

fin hora in questo proposito; se bene quando V. S. desideri di havere altra chiarezza d'altri luoghi<br />

della Scrittura, me lo avisi, chè gli lo mandarò.<br />

Et quanto a quelle macchie negre che V. S. vede nel sole, ho voluto mandarle copia (4) di quanto si<br />

trova scritto in un libro non comune, dal quale si ricava che sono stelle che lo girano. Et<br />

rengratiando V. S. della <strong>parte</strong> che ha voluto darne de questa sua nobile fatiga, fo fine, et me le<br />

raccomando di cuore.<br />

Di Roma, li 7 di Luglio 1612.<br />

(1) Cfr. IOANNIS LORINI Avenionensis, Societatis Iesu. Commentarii in Ecclesiasten, ecc. Lugduni, sumptibus<br />

Horatii Cardon, 1606, pag. 27, al cap. I, vers. 4 "terra autem in aeternum stat".<br />

(2) dal Coperniae -- [CORREZIONE]<br />

(3) DIDACI A STUNICA Salmaticensis Eremitae Augustiniani In Iob Commentaria. Romae, apud Franciscum<br />

Zannettum, M.D.XCI, pa". 140-141.<br />

(4) Non è ora allegata <strong>alla</strong> lettera.<br />

(5) CONTE CONTI, Duca di Poli.<br />

(13) Un solo cenno a questo problema della meta<strong>fisica</strong> nella <strong>fisica</strong>. Galileo farà i salti mortali per<br />

cacciare ogni meta<strong>fisica</strong> dall'interpretazione del mondo ma sulla sua strada, anche coloro che si<br />

proclamavano seguaci, pochi si mossero davvero (tra questi Huygens, un vero galileiano).<br />

Descartes e Newton, per citare i personaggi più noti, rimetteranno non solo la meta<strong>fisica</strong> ma<br />

diretta<strong>mente</strong> Dio nella spiegazione del mondo.<br />

Una delle obiezioni che viene rivolta a Galileo è di non avere incluso nella sua <strong>fisica</strong> le orbite<br />

ellittiche introdotte da Kepler. Se il discreto lettore conosce gli scritti di Kepler capirà meglio<br />

quanto dico: Galileo era agli antipodi da quel misticismo e da quella numerologia, davvero<br />

incomprensibili. Tra l'altro, ancora oggi, è estrema<strong>mente</strong> difficile estrarre le leggi di Kepler d<strong>alla</strong><br />

mole dei suoi scritti. Vi sono poi altri motivi. Le emanazioni di cui parla Kepler da <strong>parte</strong> del Sole,<br />

emanazioni che provocherebbero il moto dei pianeti, e quelle da <strong>parte</strong> della Luna, che<br />

provocherebbero le maree (Kepler aveva intuito il fenomeno delle maree), erano per lui forze<br />

misteriose e comunque un qualcosa di fuori del metodo che si era imposto. Infine, probabil<strong>mente</strong>,<br />

vi era la sua convinzione di orbite circolari che erano di ogni copernicano (il De Revolutionibus di<br />

Copernico apre proprio su queste circolarità).<br />

(14) Il criterio di ricerca di semplicità è lo stesso con il quale lo scienziato si è sempre mosso :<br />

prima si cercano eventuali relazioni lineari e poi si passa ad andamenti parabolici e quindi a<br />

relazioni più complesse. Solo Kepler ebbe la costanza e la forza di passare al terzo grado.<br />

(15) Su Gallica http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k77849n/f144.item vi è pubblicata tutta l'opera<br />

di Huygens, oltre a quella di moltissimi altri autori. Anche nel sito http://www.xs4all.nl/~adcs/<br />

Huygens/oeuvres.html si può trovare l'opera completa di Huygens (quest'ultimo link è più agile<br />

nell'uso). Vi sono comunque dei problemi di consultazione: in Gallica non si capisce bene come<br />

andare a cercare il volume che interessa mentre nel sito olandese, più agile di Gallica, non vi è<br />

proprio tutta l'opera di Huygens. Il sito che meglio funziona, utile anche per vari altri autori del<br />

secolo XVII è:<br />

http://www.clas.ufl.edu/users/rhatch/pages/03-Sci-Rev/SCI-REV-Home/resource-ref-read/sci-revprimary/sr-prim-index.htm<br />

(16) Dopo aver scoperto Titano, Huygens non cercò altri satelliti per un suo strano preconcetto<br />

(strano per un uomo come lui che non aveva mai fatto concessioni a numerologie o misticismi<br />

vari). Egli era convinto che il numero dei satelliti non poteva essere superiore al numero dei pianeti<br />

principali e che, dopo la scoperta di Titano, il sistema solare contava sei pianeti e sei satelliti e<br />

quindi era completo.<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

(17) Con queste parole Huygens descrisse Marte:<br />

Marte ... presenta zone più scure delle altre; il cui periodico apparire ha permesso di<br />

stabilire che i suoi giorni durano all'incirca quanto ai nostri. I suoi abitanti, però non<br />

noteranno apprezzabili differenze fra estate ed inverno, perchè, come è stato<br />

dimostrato dal movimento delle macchie, l'asse di rotazione è pochissimo o per niente<br />

inclinato sul piano dell'orbita (in epoca più recente si stabilì che l'asse di Marte è<br />

legger<strong>mente</strong> più inclinato di quello terrestre). La Terra deve apparire ai marziani<br />

suppergiù come a noi appare Venere e, con l'aiuto di un telescopio mostrerebbe le fasi<br />

come la Luna; essa non si discosta mai dal Sole di più di 48° per cui la vedrebbero<br />

come Mercurio e Venere, passare talvolta davanti al disco solare. Essi possono anche<br />

osservare Venere ad intervalli, come noi Mercurio. Sono incline a ritenere che il suolo<br />

di Marte sia di colore più scuro di quello di Giove o della Luna, il che causa la<br />

colorazione rossastra e la riflessione di una luce più debole di quanto dovrebbe essere<br />

a quella distanza dal Sole. Marte, come ho già notato, per quanto sia più lontano dal<br />

Sole è più piccolo di Venere e non ha lune che gli ruotano attorno (in tempi molto<br />

recenti verranno scoperti due satelliti di Marte) , e anche sotto questo aspetto come<br />

Mercurio e Venere deve essere ritenuto inferiore <strong>alla</strong> Terra. La luce e il calore che gli<br />

giungono sono la metà e talvolta tre volte minori dei nostri, ma ritengo gli abitanti si<br />

siano adattati a queste condizioni.<br />

(18) A questo indirizzo DE VI CENTRIFUGA , si trova l'opera in oggetto nella sua traduzione<br />

inglese.<br />

(19) Dice Mach in proposito:<br />

Se si accetta il principio galileiano che la forza determina accelerazione,<br />

necessaria<strong>mente</strong> va attribuita a una forza ogni variazione di velocità, e quindi ogni<br />

variazione nella direzione del moto (giacché la direzione è determinata da tre<br />

componenti della velocità perpendicolari fra loro). Se dunque un corpo sospeso a una<br />

corda, per esempio una pietra, è fatto ruotare con moto circolare uniforme, la traiettoria<br />

curvilinea è spiegabile solo supponendo che una forza costante faccia deviare il corpo<br />

d<strong>alla</strong> traiettoria rettilinea. La tensione della corda è questa forza che fa deviare d<strong>alla</strong><br />

linea retta il corpo e lo tira verso il centro del cerchio. La tensione rappresenta dunque<br />

una forza centripeta. D'altra <strong>parte</strong> la tensione del filo agisce anche sull'asse o sul centro<br />

fisso del cerchio, e quindi si presenta come forza centrifuga.<br />

(20) Si osservi che l'espressione usata da Huygens, quantità solida, non può essere altro che la<br />

massa. Si osservi anche che l'influenza della sua formazione cartesiana (teoria dei vortici) faceva<br />

considerare ad Huygens il peso come una mancanza di forza centrifuga: la caduta di una pietra<br />

avviene in corrispondenza ad una piccola quantità di materia che si allontana d<strong>alla</strong> Terra.<br />

(21) A commento della scoperta di Huygens dell'accelerazione centrifuga e delle conseguenze che<br />

ne derivavano nella spiegazione della gravità, dice Dijksterhuis:<br />

Fra le varie applicazioni per le quali Huygens fece uso della sua teoria del moto<br />

circolare uniforme citiamo special<strong>mente</strong> il pendolo conico, una particella appesa a una<br />

corda priva di massa, che descrive un cono circolare retto. Questo caso presentava per<br />

lui un interesse particolare in connessione con la costruzione di orologi a pendolo.<br />

L'importanza della teoria della forza centrifuga di Huygens per la meccanica teorica<br />

consiste principal<strong>mente</strong> nel fatto che essa rendeva assoluta<strong>mente</strong> chiaro che il<br />

mantenimento di un moto curvilineo, anche se è uniforme, richiede l'azione costante di<br />

una forza (la tensione esercitata lungo la corda è tale da neutralizzare la forza<br />

centrifuga). Così una vecchia, ma mai completa<strong>mente</strong> sradicata, concezione<br />

dell'inerzia, la quale riteneva che una particella, una volta che si trovasse in moto lungo<br />

un cerchio, avrebbe continuato a muoversi in questo moto circolare, qualora fossero<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

state eliminate tutte le influenze esterne, veniva così definitiva<strong>mente</strong> confutata. E'<br />

inoltre importante il fatto che un moto curvilineo uniforme possiede un'accelerazione<br />

(giacché questo è, propria<strong>mente</strong> parlando, il risultato a cui porta la linea di pensiero di<br />

Huygens, anche se egli non usa la parola "accelerazione") si basa sul fatto che la<br />

variazione di una velocità (il requisito per la presenza di una accelerazione) può anche<br />

consistere esclusiva<strong>mente</strong> in un mutamento di direzione; e ciò equivale al<br />

riconoscimento del carattere vettoriale di una velocità.<br />

Sullo stesso argomento dice Mach:<br />

Con l'aiuto della sua teoria Huygens fu in grado di spiegare immediata<strong>mente</strong> tutta una<br />

serie di fenomeni. Quando, per esempio, si scoprì che un orologio a pendolo<br />

trasportato da J. Richer da Parigi a Caienna (1671-73) ritardava nel suo movimento,<br />

Huygens osservò che la forza centrifuga dovuta <strong>alla</strong> rotazione della terra è maggiore<br />

all'equatore, e ne dedusse la diminuzione dell'accelerazione gravitazionale g, dando<br />

così la spiegazione del ritardo.<br />

Ed in proposito aggiunge Dijkstheruis:<br />

Huygens introduceva una nuova specie di materia dotata di un particolare grado di<br />

sottigliezza ogni volta che ne avesse bisogno per la spiegazione di un fenomeno. Così<br />

c'era una materia per la spiegazione dei fenomeni magnetici, una per i fenomeni<br />

elettrici e una per render conto del fenomeno - da lui scoperto - che un liquido che non<br />

contenga aria può rimanere in un tubo barometrico a un livello molto più alto di quello<br />

che corrisponde <strong>alla</strong> pressione atmosferica. Ma non sempre è chiaro se anche più tardi<br />

abbia continuato a distinguere tra due tipi siffatti di materia. E nel Traité de la lumière,<br />

per dare una spiegazione del fatto che vi sono corpi che non trasmettono affatto la luce<br />

(i metalli) si suppone persino che tra le particelle dure ve ne siano alcune molli, le quali<br />

ricevono gli impulsi di etere, ma non li trasmettono. Ma allora questa mollezza avrebbe<br />

a sua volta dovuto venir spiegata supponendo che queste particelle fossero composte<br />

da particelle ancora più piccole, le quali avrebbero dovuto a loro volta essere dure. Ciò<br />

mostra in maniera convincente come la concezione pura<strong>mente</strong> meccanicistica, la quale<br />

non riconosce altre qualità all'infuori della dimensione, della forma e del movimento,<br />

coinvolgesse gli scienziati nelle massime difficoltà non appena essi cominciavano a<br />

studiare i fenomeni in maniera esaustiva. E tuttavia, accettando la durezza come una<br />

proprietà originaria, Huygens si allontanava già d<strong>alla</strong> posizione stretta<strong>mente</strong> ortodossa.<br />

E D'Agostino, per <strong>parte</strong> sua, conclude:<br />

La pesantezza o peso è spiegata in questo lavoro come effetto dell'urto o pressione<br />

nelle particelle dell'etere che circonda i corpi sui corpi stessi<br />

ed in questo senso viene modificata la teoria di Descartes del trascinamento (che, fra<br />

l'altro, non spiegava il moto retrogrado di alcune comete), Huygens si chiede anche<br />

come i corpi possono essere ancora pesanti quando si muovono con una velocità<br />

uguale a quella delle particelle urtanti di etere: ma le particelle di etere sono accelerate<br />

ed in questo fatto Huygens crede di trovare una spiegazione anche <strong>alla</strong> legge di. uguale<br />

accelerazione di caduta dei gravi scoperta da Galilei. (vedi, in questi tentativi di<br />

spiegazione per urto, oltre che un ritorno al quadro Cartesiano, anche un inizio di quei<br />

concetti che saranno ripresi d<strong>alla</strong> teoria cinetica dei gas). Si accenna arche<br />

all'esperimento eseguito d<strong>alla</strong> spedizione <strong>alla</strong> Caienna, un paese dell'America centrale,<br />

sulle oscillazioni del pendolo: il fatto che le oscillazioni in quel paese equatoriale sono<br />

più lente, cioè g è minore che a Parigi, viene spiegato con la presenza della forza<br />

centrifuga (sic) senza tener conto dello schiacciamento terrestre.<br />

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BIBLIOGRAFIA<br />

(1) - Paul Couderc - Le tappe dell'astronomia - Garzanti 1954. Il libro è tratto dall'originale<br />

francese Histoire de l'astronomie, Presses Universitaires de France 1945.<br />

(2) - Carl B. Boyer - Storia della matematica - Mondadori 1980<br />

(3) - Ludovico Geymonat (coordinato da) - Storia del pensiero filosofico e scientifico - Garzanti<br />

1970<br />

(4) - U. Forti - Storia della scienza - Dall'Oglio 1968<br />

(5) - Marguerite Rutten - La science des chaldéens - Presses Universitaires de France 1970<br />

(6) - René Taton (diretta da) - Storia generale delle scienze - Casini 1964<br />

(7) - André Pichot - La nascita della scienza - Dedalo 1993<br />

(8) - P. Bakouline, E. Kononovitch, V. Moroz - Astronomie Générale - MIR, Mosca 1981<br />

(9) - M. Ch. Delaunay - Cours élémentaire d'astronomie - Masson & Garnier, Parigi 1876.<br />

(10) - Giovanni V. Schiaparelli - L'astronomia nell'Antico Testamento - U. Hoepli 1903<br />

(11) - J. L. E. Dreyer - Storia dell'astronomia da Talete a Keplero - Feltrinelli 1980<br />

(12) - P.S. de Laplace - Compendio di storia dell'astronomia - Universale economica, Milano 1953.<br />

(13) - Paul Couderc - L'astrologia - Garzanti 1977<br />

(14) - Kocku von Stuckrad - Storia dell'astrologia - Mondadori 2005<br />

(15) - Boll, Bezold, Gundel - Storia dell'astrologia - Laterza 1979<br />

(16) - Thomas L. Heath - Greek Astronomy - Dover 1991<br />

(17) - S.F. Mason - Storia delle scienze della natura - Feltrinelli 1971<br />

(18) - Aristotele - Fisica, Del cielo - Laterza 1973<br />

(19) - A. E. Taylor - Aristotle - T. C. & E. C. Jack 1919<br />

(20) - John L. Ackrill - Aristotele - il Mulino 1993<br />

(21) - Werner Jaeger - Aristóteles - Fondo de Cultura Economica (Mexico) 1993<br />

(22) - Jonathan Lear - Atistotle. The desire to understand - Cambridge University Press 1988<br />

(23) - Giulio Preti - Storia del pensiero scientifico - Mondadori 1975<br />

(24) - Thomas Kuhn - La rivoluzione copernicana - Einaudi 1972<br />

(25) - G. Loria - Le scienze esatte nell'antica Grecia - Cisalpino Goliardica 1987<br />

(26) - Lucio Russo - La rivoluzione dimenticata - Feltrinelli, 2001<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

(27) - G. de Santillana - Le origini del pensiero scientifico - Sansoni, 1966<br />

(28) - F. Arago - Grandes Astronómos de Newton a Laplace - Austral, Buenos Aires 1945.<br />

(29) - Peter Gorman - Pythagoras. A Life - Routledge & Kegan, London 1978<br />

(30) - E. J. Dijksterhuis - Il meccanicismo e l'immagine del mondo dai Presocratici a Newton -<br />

Feltrinelli 1971<br />

(31) - Geoffrey E. R. Lloyd - La scienza dei greci - Laterza 1978<br />

(32) - Geoffrey E. R. Lloyd - Metodi e problemi della scienza greca - Laterza 1993<br />

(33) - Niccolò Copernico - De revolutionibus orbium coelestium - Einaudi 1970<br />

(34) - Nicolas Copernico - Sobre las revolutiones de los orbes celestes - Editora Nacional, Madrid<br />

1982<br />

(35) - Nicolas Copernico, Thomas Digges, Galileo Galilei - Opuscolo sobre el movimiento de la<br />

Tierra - Alianza Editorial, Madrid 1983<br />

(36) - Antonio Bertin - Copernico - Accademia 1973<br />

(37) - Max Caspar - Kepler - Dover 1992<br />

(38) - Arthur Koestler - The Sleepwalkers - Hutchinson Publisching Group 1959<br />

(39) - J. L. Dreyer - Storia dell'astronomia da Talete a Keplero - Feltrinelli 1980<br />

(40) - Richard S. Westfall - La rivoluzione scientifica del XVII secolo - il Mulino 1984<br />

(41) - Paolo Rossi - La rivoluzione scientifica da Copernico a Newton - Loescher 1979<br />

(42) - Paolo Rossi (diretta da) - Storia della scienza - UTET 1988<br />

(43) - Paolo Rossi - La nascita della scienza moderna in Europa - Laterza 2000<br />

(44) - Maurizio Mamiani - Storia della scienza moderna - Laterza 2002<br />

(45) - Eugenio Garin - La cultura filosofica del Rinascimento italiano - Sansoni 1992<br />

(46) - V. Ferrone, P. Rossi - Lo scienziato nell'età moderna - Laterza 1994<br />

(47) - I. Bernard Cohen - La nascita di una nuova <strong>fisica</strong> - Il Saggiatore 1974<br />

(48) - R. Tatòn (diretta da) - Storia generale delle scienze - Casini 1964.<br />

(49) - A. Koyré - Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione - Einaudi 1967.<br />

(50) - A.C. Crombie - Da S. Agostino a Galileo - Feltrinelli 1970.<br />

(51) - Marie Boas - Il Rinascimento scientifico 1450-1630 - Feltrinelli, 1973.<br />

(52) J. Kepler - El secreto del universo - Alianza Editorial, Madrid 1992.<br />

(53) Max Jammer - Storia del concetto di forza - Feltrinelli 1971<br />

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ASTRONOMIA 3<br />

(54) Max Jammer - Storia del concetto di spazio - Feltrinelli 1966<br />

(55) Ana Rioja, Javier Ordóñez - Teorías del Universo - Sintesis, Madrid 1999<br />

(56) Anna Maria Lombardi - Keplero - Codice 2008<br />

(57) - I. Bernard Cohen - La rivoluzione newtoniana - Feltrinelli 1982<br />

(58) - Alexander Koiré - Studi newtoniani - Einaudi 1972<br />

(59) - Ernst Mach - La meccanica nel suo sviluppo storico-critico - Boringhieri 1968<br />

(60) - G. Canguilhem - Introduzione <strong>alla</strong> storia delle scienze - Jaca Book 1973<br />

(61) - Mary B. Hesse - Forze e campi - Feltrinelli 1974.<br />

(62) - Maurice Daumas (a cura di) - Storia della scienza - Laterza 1976<br />

(63) - Nicola Abbagnano (coordinata da) - Storia delle scienze - UTET 1965<br />

(64) - I. Bernard Cohen - La rivoluzione della scienza - Longanesi 1988<br />

(65) - A.R. Hall e M. Boas Hall - Storia della scienza - il Mulino 1979<br />

(66) - Charles Singer - Breve storia del pensiero scientifico - Einaudi 1961<br />

(67) - Salvo D'Agostino - Dispense di Storia della Fisica (a.a. 1972/73) - IFUR 1972.<br />

(68) - A. Rupert Hall - Da Galileo a Newton - Feltrinelli 1973<br />

(69) - Hugh Kearney - Science and Change 1500 - 1700 - Weidenfeld and Nicolson. 1971<br />

(70) - H. Butterfield - Le origini della scienza moderna - il Mulino 1962<br />

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