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Ottobre 2011 - Moked

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P10 EDITORIALI<br />

n. 10 | ottobre <strong>2011</strong> pagine ebraiche<br />

EDITORIALI<br />

&COMMENTI<br />

info@ucei.it - www.moked.it<br />

ú– LETTERE<br />

L’odio di sé<br />

Credo anch’io che la categoria dell’odio di sé occupi un ampio spazio<br />

nel mondo ebraico. È un punto su cui insiste molto il Maestro Baharier,<br />

non a caso frequentato in passato anche da chi, su queste pagine, ha<br />

sollevato, da par suo, il tema. Si tratta di una categoria che si tramuta<br />

in una sensazione di disagio (a volte anche di vergogna) per il fatto<br />

di dover giustificare una propria differenza. A me bambino, si presentava,<br />

ad esempio, negli spogliatoi di calcio, dove ero l’unico circonciso;<br />

nel nostro bollettino l’ha esplicitata molto bene la professoressa<br />

Anna Segre nel suo pezzo, da me apprezzatissimo, dedicato alla<br />

gaffe antisemita di Lars Von Trier. Penso, dunque, che sia una categoria<br />

trasversale a diversi piani: sì sociologica, ma anche psicologica ed<br />

infine filosofica. Si pone, infatti, il problema della sua definizione, operazione<br />

che rischia di assumere come unico parametro la propria visione<br />

dell’ebraismo. Come più volte ho detto, dal mio punto di vista<br />

non c’è ebraismo senza l’adesione ad una prospettiva universalistica<br />

che riconosca pari dignità alle persone, indipendentemente dall’etnia<br />

o dal luogo d’origine. È immediatamente intuibile come una simile<br />

prospettiva rischi un piano degenerativo dal momento che, sul piano<br />

logico, l’universalismo non ammette limiti. La tradizione ebraica si<br />

presenta così come sforzo etico di individuare un limite in grado di<br />

rispettare lo sguardo universalistico di partenza, dando origine a quella<br />

discussione infinita chiamata pilpul. In questa costante oscillazione,<br />

io credo, ogni posizione è legittimamente ammessa nel dibattito, a<br />

meno che non si voglia introdurre la figura di un papa che si assuma<br />

l’onere di fissare un limite per tutti. Ecco perché è auspicabile che<br />

una comunità accolga fra le sue braccia il maggior numero di opinioni,<br />

le quali, se non osservate dal proprio ombelico, possono rispondere<br />

all’intenzionalità etica dell’ebraismo senza dover essere rubricate sotto<br />

la voce “odio di sé”, che, nei suoi aspetti più cupi, rinvia all’immagine<br />

dell’ebreo collaborazionista.<br />

Davide Assael, ricercatore<br />

Pagine Ebraiche – il giornale dell’ebraismo italiano<br />

Pubblicazione mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane<br />

Registrazione al Tribunale di Roma numero 218/2009 – Codice ISSN 2037-1543<br />

Direttore editoriale: Renzo Gattegna<br />

REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE<br />

Lungotevere Sanzio 9 - Roma 00153<br />

telefono +39 06 45542210 - fax +39 06 5899569<br />

info@paginebraiche.it - www.paginebraiche.it<br />

Direttore responsabile: Guido Vitale<br />

“Pagine Ebraiche” aderisce al progetto del Portale dell’ebraismo italiano<br />

www.moked.it e del notiziario quotidiano online “l’Unione informa”.<br />

Il sito della testata è integrato nella rete del Portale.<br />

Le tante notizie di stampa sul voto dell’assemblea delle Nazioni Unite a proposito dello<br />

stato palestinese mi hanno indotto a riflettere sul ruolo di quest’organismo, sui suoi rapporti<br />

con Israele e sulle sue funzioni. Mi chiedo in particolare qual è l’impatto, anche economico,<br />

del suo intervento a sostegno dei palestinesi svolto attraverso una serie di agenzie.<br />

ú–– Emanuel<br />

Segre Amar<br />

imprenditore<br />

Gerusalemme capitale della Palestina,<br />

ma non di Israele? Riflettiamo<br />

allora su ciò che succede alle Nazioni<br />

Unite.<br />

Nel 1961 vennero creati all'Onu i<br />

Gruppi regionali. Gli stati arabi impedirono<br />

ad Israele di entrare nel<br />

blocco asiatico, e di conseguenza per<br />

39 anni Israele è rimasta una delle<br />

poche nazioni che, non facendo parte<br />

di alcun Gruppo, non potevano<br />

partecipare alla maggior parte delle<br />

attività delle Nazioni Unite (Unite?).<br />

Nel frattempo la Palestina veniva<br />

ammessa a pieno titolo, già<br />

nel 1986, nel Gruppo asiatico. Finalmente<br />

Israele venne ammessa,<br />

nel 2000, nel Gruppo Weog (Western<br />

European and Other Group),<br />

ma venne trovato l'escamotage di<br />

riconoscerne l'affiliazione solo per le<br />

attività che si svolgevano a New<br />

York; nelle altre sedi Israele è rimasto<br />

un semplice paese osservatore,<br />

senza diritto di partecipare alle discussioni<br />

sui diritti umani, sul razzismo<br />

e su tanti altri temi importanti.<br />

Si noti che lo Human Rights<br />

Council si riunisce a Ginevra,<br />

l'Unesco a Parigi. E non si dica che<br />

ora qualcosa si muove per il semplice<br />

fatto che dal dicembre del 2007<br />

Israele è ammessa nelle agenzie Habitat<br />

(Un Human Settlement Program)<br />

e Unep (UN Environment<br />

Program), solo per il fatto che entrambe<br />

si riuniscono a Nairobi, e<br />

non a New York... Non è allora difficile<br />

comprendere perché nell'Un<br />

Human Right Council vi sia<br />

un'Agenda, la numero 7, che si occupa<br />

soltanto delle violazioni dei diritti<br />

umani compiute da Israele,<br />

mentre la numero 8 si occupa di<br />

quelle compiute nel resto del mondo.<br />

E parimenti diventa facile comprendere<br />

perché nell'UN Human Right<br />

Council che si<br />

Yerushalmi trent’anni dopo<br />

Giovanna Bagi, Milano<br />

riunisce a<br />

Ginevra (dove dunque Israele non<br />

può partecipare) lo Spécial rapporteur<br />

per le questioni palestinesi è<br />

stato, dal 2001 al 2008, John Dugard,<br />

che aveva come mandato di<br />

investigare solo sulle violazioni<br />

commesse da Israele, e non su quelle<br />

commesse dai palestinesi. Il suo successore,<br />

nominato nel 2008 con lo<br />

stesso mandato, tale Richard Falk,<br />

ha paragonato il trattamento dei palestinesi<br />

compiuto da Israele a quello<br />

dei nazisti nei confronti degli<br />

ebrei durante la Shoah... Ed allora<br />

non stupiamoci neppure se, chicca<br />

tra tante altre, Jean Ziegler, Un<br />

rapporteur spécial per il diritto al<br />

cibo, ha potuto accusare Israele di<br />

affamare i bambini palestinesi. È<br />

ben noto che, a fianco dell'Agenzia<br />

Unhcr che si occupa dei rifugiati di<br />

tutto il mondo, vi è l'Unrwa che si<br />

occupa unicamente dei rifugiati palestinesi<br />

per i quali, oltretutto, valgono<br />

criteri fabbricati ad hoc, finalizzati<br />

ad aumentare il numero dei<br />

rifugiati (e quindi dei finanziamenti)<br />

- al contrario di quanto avviene<br />

per tutti gli altri rifugiati del mondo<br />

- e a perpetuarne la condizione di<br />

profughi sine die. Ma forse non a<br />

tutti è noto che, secondo cifre del<br />

2006, l'Unhcr assiste 17 milioni<br />

400 mila rifugiati, tra i quali 350<br />

mila palestinesi, con un budget di<br />

1.45 miliardi, pari a 83 dollari/rifugiato.<br />

L'Unrwa assiste 4 milioni<br />

500 mila palestinesi con un budget<br />

di 784 milioni di dollari, pari a 174<br />

dollari/rifugiato. Inoltre è importante<br />

osservare che per i 17 milioni 400<br />

mila rifugiati del mondo intero sono<br />

occupate 6 mila 689 persone, mentre<br />

per i 4 milioni 500 mila rifugiati<br />

palestinesi sono occupate 28 mila<br />

persone. Anche queste ultime cifre<br />

spiegano molte cose, se solo sono conosciute.<br />

E allora chiediamoci per<br />

davvero a che cosa serve mantenere<br />

quel carrozzone dell'Onu; se infatti<br />

andiamo a curiosare anche nelle altre<br />

statistiche, i risultati non sono<br />

affatto diversi.<br />

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STAMPA<br />

NUOVA SEBE S.p.A. - Stabilimento di Via Brescia n. 22<br />

20063 Cernusco sul Naviglio (MI)<br />

QUESTO NUMERO È STATO REALIZZATO GRAZIE AL CONTRIBUTO DI<br />

Alberto Angelino, Davide Assael, Renzo Bandinelli, David Bidussa, Michael Calimani, Ariel Camerini, Miriam<br />

Camerini, Gheula Canarutto Nemni, Alfredo Caro, Claudia De Benedetti, Claudia De Benedetti Orvieto, Miriam<br />

Della Pergola, Sergio Della Pergola, Micaela Del Monte, Tommaso De Pas, Anna Di Castro, Rav Gianfranco Di<br />

Segni, Manuel Disegni, Lucilla Efrati, Sira Fatucci, Giorgio Gomel, Cinzia Leone, Rav Yoseph Levi, Aviram Levy,<br />

Rav Adolfo Locci, Gadi Luzzatto Voghera, Valerio Mieli, Anna Momigliano, Paolo Navarro Dina, Gadi Piperno,<br />

Alfredo Mordechai Rabello, Daniel Reichel, Susanna Scafuri, Anna Segre, Emanuel Segre Amar, Rachel Silvera,<br />

Adam Smulevich, Rav Alberto Moshe Somekh, Federico Steinhaus, Rossella Tercatin, Ada Treves, Claudio<br />

Vercelli, Lionella Viterbo, Ugo Volli.<br />

I disegni che accompagnano le pagine degli editoriali sono di Giorgio Albertini. La vignetta in pagina 3 è di<br />

Chiara Fucà.<br />

“PAGINE EBRAICHE” É STAMPATO SU CARTA PRODOTTA CON IL 100 % DI CARTA DA MACERO SENZA USO DI CLORO E DI IMBIANCANTI OTTICI.<br />

QUESTO TIPO DI CARTA È STATA FREGIATA CON IL MARCHIO “ECOLABEL”, CHE L’ UNIONE EUROPEA RILASCIA AI PRODOTTI “AMICI DELL’AMBIENTE”,<br />

PERCHÈ REALIZZATA CON BASSO CONSUMO ENERGETICO E CON MINIMO INQUINAMENTO DI ARIA E ACQUA. IL MINISTERO DELL’AMBIENTE TEDESCO<br />

HA CONFERITO IL MARCHIO “DER BLAUE ENGEL” PER L’ALTO LIVELLO DI ECOSOSTENIBILITÀ, PROTEZIONE DELL’AMBIENTE E STANDARD DI SICUREZZA.<br />

ú–– Alfredo Caro<br />

docente<br />

La ristampa riproposta dalla Giuntina<br />

dell’opera, magistrale, Zakhor<br />

dello storico ebreo-americano Yerushalmi,<br />

è un duplice dono fatto agli<br />

studiosi, soprattutto agli ebrei diasporici<br />

italiani, sia per la vastità di<br />

conoscenze che essa ci offre, sia per le<br />

considerazioni che ci propone. Seppur<br />

a 30 anni dalla sua prima pubblicazione<br />

è un lavoro ancora attuale<br />

sia per le conseguenze prossime e future<br />

che, come riflessioni, noi possiamo<br />

trarre, sia per i progetti che gli<br />

ebrei di oggi vogliano proporsi. Quest’operetta<br />

è una miniera, che a vari<br />

strati di profondità, permette di<br />

estrarre metalli rari e preziosi, offrendo,<br />

come laboratorio di ricerca ,<br />

possibilità di nuove scoperte. Già in<br />

questi mesi gli storici ebrei italiani<br />

stanno facendo delle valide considerazioni,<br />

mettendo in luce alcune problematiche,<br />

penso che se ne possano<br />

estrarre anche altre .<br />

Faranno da sfondo come orientamento,<br />

a questo mio dire, le considerazioni<br />

che Anna Foa svolge nel suo bell’articolo,<br />

apparso su Pagine ebraiche<br />

di maggio con il titolo Una riflessione<br />

di stretta attualità, anche se<br />

il mio approccio di scavo potrà approdare<br />

a luoghi diversi dai suoi.<br />

Giustamente la Foa rileva l’importanza<br />

di Yerushalmi nell’aver affrontato<br />

tra i primi la relazione fra<br />

memoria e storia ebraica, che “non si<br />

limita a proporre una visione della<br />

memoria ebraica come nettamente<br />

opposta alla storia ebraica… ma storicizza<br />

tanto la nascita della memoria<br />

quanto quella della storiografia<br />

aprendo così la strada a tutte le riflessioni<br />

sulla storia della memoria”.<br />

Penso che nello storicizzare la memoria,<br />

che si può dire nasca nel terzo<br />

decennio del secolo XIX , questa memoria<br />

sia ben diversa - e radicalmente<br />

- da quella che il popolo ebraico ebbe<br />

nel suo “lunghissimo “esilio. In<br />

questo periodo, che va dalla distruzione<br />

del Secondo Tempio all’inizio<br />

del nostro processo emancipativo-assimilativo(70<br />

e.v. - 1789) - pur differenziato<br />

sia temporalmente che spazialmente<br />

nella consistenza numerica<br />

del gruppo e nella relazione culturale<br />

con l’ambiente circostante - si à<br />

andata formando la nostra memoria<br />

culturale che ha forgiato la “catena<br />

della nostra tradizione”(“catena”, si<br />

badi, non “filo di seta”, cioè con discontinuità,<br />

precisa Yerushalmi<br />

(shalshelet ha kabbalah) che ci ha<br />

permesso di sopravvivere. ”Sopravvivenza”<br />

e durata nel tempo che<br />

hanno mantenuto una discreta identità<br />

di gruppo fra nazione e religiosità<br />

e che hanno permesso la “salvezza”<br />

attraverso i frequenti esodi mi-<br />

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