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Ottobre 2011 - Moked

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P32<br />

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO<br />

n. 10 | ottobre <strong>2011</strong> pagine ebraiche<br />

ú– SOCIETÀ<br />

uLa condizione della donna è uno dei temi centrali che percorrono l’ebraismo, a partire dalla Genesi e dal racconto della creazione. Ma in<br />

che modo si riflette negli assetti sociali? Sono alcuni interrogativi cui cerca risposta Haim Fabrizio Cipriani, rabbino della sinagoga riformata<br />

milanese Lev Chadash, nel libro Ascolta la sua voce-La donna nella legge ebraica (Giuntina, 186 pp.). Tre donne lo hanno letto e lo<br />

commentano. Un autorevole rabbino che si riconosce nella tradizione italiana traccia un percorso di lettura e di approfondimento.<br />

Donne e pregiudizio, dibattito aperto<br />

(…) Il racconto della creazione è importante perché<br />

molti dei pregiudizi che riguardano la donna<br />

hanno avuto origine proprio da esso o, meglio, da<br />

alcune sue interpretazioni. Abbiamo avuto già modo<br />

di citare Paolo di Tarso, il quale fonda la condizione<br />

d’inferiorità della donna rispetto all’uomo su<br />

questi due punti: “In effetti fu Adàm a essere creato<br />

per primo, ed Eva in seguito”. E ancora: “Non è<br />

l’uomo in effetti che è stato tratto dalla donna, ma<br />

la donna dall’uomo; e, naturalmente, non è l’uomo<br />

a essere stato creato per la donna, ma la donna per<br />

l’uomo”. La lettura di Paolo è chiara: Dio crea un<br />

essere di sesso maschile, e solo in un secondo momento<br />

completa la sua opera creando la donna, la<br />

quale ha come unico scopo quello di servire l’uomo,<br />

che conserva rispetto a essa una certa preminenza.<br />

In realtà, si tratta di una lettura non molto accurata.<br />

Nel Talmud troviamo, infatti, il passo seguente:<br />

“Rabbi Yirmià ben Elazàr insegna: il primo<br />

uomo fu creato con un doppio volto, come è<br />

detto: “Mi formasti dietro e davanti”». Questa interpretazione<br />

suggerisce che l’uomo sia stato creato<br />

come essere androgino, e che solamente in un<br />

secondo tempo sia avvenuta una separazione. In<br />

origine, non è un maschio a essere creato, ma un<br />

adàm, ossia un essere umano tratto dalla terra,<br />

adamà. Il progetto iniziale, quindi, contrariamente<br />

all’interpretazione di Paolo<br />

di Tarso, si basa sull’armonia perfetta e<br />

priva di gerarchie tra il femminile e il<br />

maschile.<br />

Il risultato è una creatura completa, che<br />

racchiude in se stessa la totalità dell’essere,<br />

ma proprio per questo condannata<br />

alla solitudine, senza un altro da sé con<br />

cui confrontarsi. Dio decide, quindi, di<br />

separare il lato femminile da quello maschile.<br />

Ma c’è dell’altro. Come nota Rashi, soltanto<br />

Dio può essere solo, senza bisogno di complementarità<br />

o di confronto. Creare l’essere umano con<br />

queste stesse caratteristiche avrebbe significato attribuirgli<br />

una dimensione propria del divino, con<br />

tutti gli eccessi e le distorsioni che questo avrebbe<br />

comportato. Va detto, però, che anticamente i rabbini<br />

erano divisi riguardo alla creazione di questo<br />

essere androgino. La Ghemarà riporta una discussione<br />

a proposito delle benedizioni da<br />

recitare durante il matrimonio, e sostiene,<br />

alla fine, che Dio avrebbe desiderato<br />

creare un essere di questo genere, ma di<br />

fatto realizzò un maschio, dal quale solamente<br />

in seguito trasse una femmina.<br />

Uno spunto anch’esso interessante,<br />

quello di uno scarto tra la volontà divina<br />

e la sua realizzazione, che fa eco ad altri<br />

midrashim. La creazione della donna<br />

sembra essere motivata, secondo la Tora,<br />

dalla necessita di un “aiuto davanti all’uomo”. Secondo<br />

la lettura che Paolo di Tarso dà di questo<br />

passo, l’espressione starebbe a indicare un tipo di<br />

rapporto come quello esistente tra un servitore e il<br />

suo padrone. Il testo, però, non parla di un aiuto<br />

per l’uomo, bensì di un aiuto davanti all’uomo. Il<br />

termine ézer kenegdò non implica, infatti, nessuna<br />

funzione subordinata. Stare “davanti a qualcosa”,<br />

néghed, in ebraico antico non significa trovarsi in<br />

una posizione inferiore, ma essere sullo stesso piano,<br />

avere lo stesso valore, come nel seguente e noto<br />

passo talmudico: “E lo studio della Tora vale<br />

quanto tutte [le altre mitzvot]”, talmud Torà kenéghed<br />

kullàm. Del resto, nemmeno il sostantivo<br />

ézer, aiuto, ha una connotazione servile. Al contrario,<br />

l’uso che se ne fa nei salmi, in cui si chiede<br />

a Dio stesso di essere il nostro “aiuto”, sembrerebbe<br />

suggerire una condizione di superiorità da parte<br />

di colui che aiuta l’altro. Eventualmente e colui<br />

che e bisognoso di aiuto ad essere in condizione di<br />

inferiorità. (…)<br />

(tratto da Haim Fabrizio Cipriani “Ascolta la Sua Voce<br />

– La donna nella legge ebraica” Giuntina editore)<br />

Lungo la via per diventare eguali<br />

ú––Anna Segre<br />

docente<br />

Un libro sull’uguaglianza delle donne<br />

scritto da un uomo (e, come il titolo<br />

porta a pensare, per gli uomini) potrebbe<br />

suscitare inizialmente qualche<br />

diffidenza. In effetti il testo ha il rispetto<br />

e la delicatezza tipici di chi invita<br />

a non discriminare una categoria di<br />

persone a cui non appartiene; forse<br />

un’autrice donna sarebbe stata più autoironica,<br />

e magari avrebbe messo<br />

maggiormente in luce le responsabilità<br />

delle donne stesse. D’altra parte il testo<br />

mi ha incuriosita fin dall’inizio, per<br />

l’importanza dell’argomento trattato<br />

e per l’autore, di cui ho già avuto occasione<br />

di leggere i commenti alla parashah<br />

settimanale diffusi attraverso<br />

la newsletter di Lev Chadash, che trovo<br />

sempre interessanti, con osservazioni<br />

talvolta illuminanti, basati su una<br />

ricca serie di citazioni di testi della tradizione<br />

ebraica di ogni epoca (Tanakh,<br />

Talmud, raccolte di midrashim, commentatori<br />

medievali, moderni e contemporanei:<br />

insomma, tutto quello che<br />

ci si può aspettare in un commento<br />

“ortodosso”).<br />

E in effetti il libro si è dimostrato all’altezza<br />

delle attese per la competenza<br />

e la serietà con cui sono affrontati sistematicamente<br />

i diversi temi: dal midrash<br />

alle riflessioni sociologiche, dalla<br />

pratica quotidiana (tallet e tefillin), alla<br />

possibilità di contare nel minian, allo<br />

studio e all’insegnamento della Torah,<br />

fino alla simbolica e fondamentale<br />

questione delle donne-rabbino; non<br />

manca un capitolo dedicato al diritto<br />

di famiglia e al gravissimo problema<br />

delle agunot (donne separate che non<br />

possono formarsi una nuova famiglia<br />

perché non riescono a ottenere un<br />

ghet, un documento di divorzio). Il riferimento<br />

puntuale a testi della tradizione<br />

ebraica è spesso accompagnato<br />

da brevi riflessioni sul significato delle<br />

mitzvot; in questo modo si corre talvolta<br />

il rischio di semplificare troppo,<br />

e naturalmente ammetterle al rabbinato.<br />

Il libro presuppone evidentemente un<br />

lettore legato alla tradizione ortodossa<br />

dell’ebraismo italiano, per cui cerca di<br />

dimostrare che per arrivare a questo<br />

non sarebbe necessario uscire dall’ortodossia<br />

(che peraltro viene definita<br />

come “una vera e propria controriforma”,<br />

nata solo nel XIX secolo in opposizione<br />

all’ebrai-<br />

/ segue a P35<br />

ú–– Miriam Camerini<br />

regista<br />

però in molti casi siamo portati a osservare<br />

sotto una nuova luce pratiche<br />

che tendiamo a ripetere meccanicamente<br />

senza farci troppo caso (per<br />

esempio, mi è piaciuta molto la considerazione<br />

sull’essenza “profondamente<br />

democratica” del minian: “nove<br />

rabbini non costituiscono un minian,<br />

ma dieci ebrei molto ignoranti sì”). Altra<br />

caratteristica tipica dello stile dell’autore<br />

è la scelta di traduzioni insolite,<br />

che ci aiutano a riflettere sul vero<br />

significato dei termini, ma corrono talvolta<br />

il rischio di spiazzare il lettore,<br />

togliendogli il linguaggio comune a<br />

cui è abituato. Qualcuno potrebbe forse<br />

obiettare che il libro non propone<br />

una vera apertura della cultura ebraica<br />

verso la specificità femminile, ma semplicemente<br />

un'estensione alle donne<br />

di riti e pratiche elaborati nel corso<br />

Vedere e ascoltare, sono queste le due<br />

gentili ingiunzioni che Haim Fabrizio<br />

Cipriani rivolge al lettore dal profondo<br />

del suo libro dalla copertina fucsia recentemente<br />

pubblicato da Giuntina.<br />

Ascolta la sua voce, così si intitolano<br />

le 177 pagine più glossario che Cipriani,<br />

rabbino della comunità Lev Chadash<br />

di Milano e membro del Collegio<br />

rabbinico progressivo europeo, ha dedicato<br />

al delicato tema della donna<br />

nella legge ebraica, nella letteratura,<br />

biblica e rabbinica, nonché nella società<br />

ebraica contemporanea. L'accento<br />

è però posto proprio sull'aspetto<br />

normativo, perché, spiega l'autore:<br />

“Non è difficile trovare nel mondo<br />

ebraico espressioni di stima e apprezzamento<br />

per le doti di intelligenza,<br />

comprensione e sensibilità che si attribuiscono<br />

alle donne. I concetti teorici<br />

assumono però un valore solo se<br />

inclusi e codificati nella halakhà, la legge<br />

ebraica”.<br />

Argutamente allusiva è la scelta del<br />

versetto di Bereshit (Genesi 21:12) che<br />

funge da titolo: Dio ordina ad Abramo<br />

di ascoltare la voce di sua moglie Sara.<br />

www.moked.it<br />

dei secoli dagli uomini per gli uomini;<br />

va detto, però, che alcune di queste<br />

pratiche (in particolare lo studio della<br />

Torah) costituiscono l’essenza stessa<br />

della cultura ebraica; inoltre l’uguaglianza<br />

non può prescindere in alcun<br />

modo dall’accesso delle donne alle<br />

stanze del potere, e questo nell’ebraismo<br />

significa al rabbinato.<br />

Il testo si propone sostanzialmente di<br />

dimostrare che tutte le discriminazioni<br />

a cui le donne sono soggette oggi nel<br />

mondo ebraico non hanno in realtà<br />

un fondamento halakhico insuperabile<br />

e che quindi non solo le donne possono<br />

indossare il tallet e i tefillin, ma<br />

che si potrebbe anche facilmente giungere<br />

a contarle nel minian, eliminare<br />

le barriere divisorie nelle sinagoghe,<br />

permettere alle donne di recitare una<br />

tefillah o leggere la Torah in pubblico,<br />

Occasione per ragionare<br />

La citazione – soltanto apparentemente<br />

femminista – è però a doppio taglio,<br />

in quanto rimanda al seguente atteggiamento:<br />

la donna è una creatura dotata<br />

di intuito, saggezza e pragmatismo<br />

che però non è autorizzata a utilizzare<br />

per la sua personale affermazione, bensì<br />

è tenuta a mettere a disposizione<br />

del marito o comunque di altri. Inizialmente<br />

sono caduta anch'io nella<br />

trappola abilmente tesa da Cipriani.<br />

Solo dopo qualche giorno ho capito<br />

quanto è facile essere presi in giro. Soprattutto<br />

se lo si desidera, per quieto<br />

vivere. La voce delle donne – al di là<br />

dell'uso metaforico – è uno dei temi<br />

concretamente trattati: la proibizione,<br />

rivolta alla donna, di far udire la pro-

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